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Sommario del 11/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: anzianità è vocazione, non ora di tirare remi in barca

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La società tende a scartare gli anziani, ma il Signore non ci scarta, “ci chiama a seguirlo in ogni età della vita”. Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, durante la quale ha proseguito la riflessione sui nonni, iniziata mercoledì scorso, concentrandosi in particolare sul valore e sull’importanza del loro ruolo nella famiglia. Il servizio di Giada Aquilino

Le famiglie accolgano le persone anziane “con riconoscenza”, per ricevere la loro testimonianza di saggezza “necessaria alle giovani generazioni”. Questa l’esortazione del Papa che, immedesimandosi, ha subito voluto condividere una riflessione con la piazza gremita:

“Anch’io sono nell'età dei nonni
“Anch’io appartengo a questa fascia di età. Quando sono stato nelle Filippine, i filippini, gli abitanti delle Filippine, il popolo filippino mi salutava, dicendo 'Lolo Kiko', cioè nonno Francesco”.

Eppure, ha aggiunto, la società di oggi tende a scartare gli anziani: ma “di certo non il Signore”:

“Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di ‘tirare i remi in barca’”.

La vecchiaia ci è data per pregare, la preghiera degli anziani è un dono
Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio da parte di Maria e Giuseppe, quando Simeone e Anna - “vecchi straordinari” - dimenticarono “il peso dell’età” e scoprirono nel Bambino Gesù “ una nuova forza, per un nuovo compito: rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio”, il Pontefice ha invitato a diventare “poeti della preghiera”. Abbiamo bisogno – ha detto – di “anziani che preghino, perché la vecchiaia ci è data proprio per questo”, la loro preghiera è un “grande dono”:

“La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta”.

L’esempio di Benedetto XVI
In tale prospettiva, un pensiero al suo predecessore:

“Guardiamo a Benedetto XVI, che ha scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita”.

Anziani, esempio di fedeltà coniugale
Soffermandosi sulla Giornata per gli anziani, svoltasi l’anno scorso in Piazza San Pietro, Francesco ha voluto ricordare non solo “le storie di anziani che si spendono per gli altri”, ma anche quelle di coppie salde nella loro unione, giunte per festeggiare anche i 50 o 60 anni di matrimonio:

“E' importante farlo vedere ai giovani che si stancano presto; è importante la testimonianza degli anziani nella fedeltà”.

L’invito del Papa è stato allora a riflettere su questo periodo della vita “diverso dai precedenti”, che va forse anche inventato “perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente”, a dare ad esso il suo pieno valore. Anche la spiritualità cristiana “è stata colta un po’ di sorpresa”: occorre quindi “delineare una spiritualità delle persone anziane”, perché se “una volta” non era così normale avere tempo a disposizione, oggi – ha proseguito – “lo è molto di più”. D’altra parte gli anziani, pregando, possono “ringraziare il Signore per i benefici ricevuti e – ha aggiunto – riempire il vuoto dell’ingratitudine che lo circonda”:

“Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Incoraggiamento ai giovani
Perché i nonni e le nonne formano quella che il Papa ha definito una “‘corale permanente di un grande santuario spirituale”, in sostegno alla “comunità che lavora e lotta nel campo della vita”. La preghiera, poi, “purifica incessantemente il cuore”, prevenendo l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo:

“Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita! Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita”!

Chiesa sfidi cultura scarto, per abbraccio tra giovani e anziani
Questa è dunque la “missione dei nonni”, la “vocazione degli anziani”, secondo il Pontefice, perché - ha spiegato - “le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani”, che comprendono tale importanza: lo stesso Francesco, ha confessato, conserva ancora nel breviario le parole che la nonna gli scrisse il giorno dell’ordinazione sacerdotale.

“Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani”.

Santa Teresa
Nei saluti finali nelle varie lingue, il Papa ha tra l’altro rivolto un penisero particolare ai pellegrini della Corea: conserva – ha detto – “un vivo ricordo” della visita dell’agosto scorso nel Paese asiatico. Ai pellegrini di lingua italiana, la sollecitazione in questo tempo quaresimale “ad impegnarsi nella costruzione di una società a misura d’uomo in cui - ha sottolineato - ci sia spazio per l’accoglienza di ciascuno, soprattutto quando è anziano, ammalato, povero e fragile”. Infine ha menzionato “il vigore spirituale” di Santa Teresa di Gesù, nel quinto centenario della nascita ad Ávila. Al termine dell’udienza i partecipanti al pellegrinaggio carmelitano “Cammino di Luce” hanno portato al Pontefice il bastone della Santa, che Francesco ha toccato “con amore e gioia”, ha raccontato padre Antonio González, segretario generale dell’organizzazione per l’anniversario.

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Giovedì Santo, Papa a Rebibbia laverà i piedi a detenuti e detenute

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Il prossimo 2 aprile, in occasione del Giovedì Santo, Papa Francesco si recherà nella Casa Circondariale Nuovo Complesso Rebibbia per incontrare i detenuti. Alle 17.30 celebrerà la Messa “in Coena Domini” nella chiesa “Padre Nostro”: durante il rito laverà i piedi ad alcuni detenuti e detenute della vicina Casa Circondariale Femminile. Su questo evento ascoltiamo il cappellano di Rebibbia, don Sandro Spriano, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Siamo super-felici, perché il Papa ha accolto l’invito che gli ho rivolto incontrandoci in una Messa a Sana Marta, a settembre; ci aveva detto che nei limiti del possibile sarebbe venuto il Giovedì Santo. Il fatto che abbia mantenuto questa promessa ci fa molto, molto piacere: è una cosa bella. Ripeteremo l’esperienza di tre anni fa, con Papa Ratzinger, in un contesto diverso e con una persona diversa.

D. – Per i detenuti, cosa significa questa visita?

R. – Significa sicuramente un’attenzione importante della Chiesa di Roma in particolare alla loro condizione.  Diciamo sempre che sono i più disgraziati; in questo caso, far vedere che sono figli di Dio amati dalla Chiesa e in particolare dal Papa, è per loro molto, molto importante. Tra l’altro, sarà la prima volta in cui celebreremo con uomini e donne detenute, quindi spostando le detenute del carcere femminile da noi: sarà una cosa molto bella.

D. – Che ricordo c’è della visita di Benedetto XVI?

R. – Un ricordo molto vivo, perché allora fu un dialogo di domande e risposte con il Papa, e lui si lasciò andare anche a confidenze personali e quindi fu una cosa veramente fraterna. In questo caso, la celebrazione sicuramente ha una solennità diversa ma il gesto della “Lavanda dei Piedi” ai detenuti e alle detenute, sarà il momento davvero non solo liturgicamente determinante, ma sarà il momento anche emotivamente molto bello.

D. – Qual è la situazione, oggi, di Rebibbia?

R. – Una situazione con un po’ meno sovraffollamento, ma le persone che ci stanno hanno sempre le problematiche di prima, perché purtroppo sul carcere – a parte qualche provvedimento deflattivo sui numeri - non è successo niente di nuovo.

D. – Quali sono le sue attese?

R. – Questa è una visita strettamente pastorale. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci faccia sentire parte della società, che ci faccia sentire cristiani di una Chiesa più ampia e non segregati. Questo il Papa lo farà e questo noi desideriamo.

D. – Che cosa chiede ai politici?

R. – Noi chiediamo davvero che il carcere non sia semplicemente la punizione e la vendetta della società rispetto a chi commette dei reati, a chi delinque; ma il carcere chiederemmo che fosse – come dice la Costituzione – un luogo di recupero, un luogo di ri-socializzazione, un luogo dove si possa anche mettere qualche base per tornare a vivere – meglio! – quando si esce.

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Mons. Caputo: il Papa a Pompei per rilanciare la speranza

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Presentato oggi il programma della visita pastorale a Pompei di Papa Francesco prevista per il 21 marzo prossimo. Il Santo Padre arriverà in mattinata nella città mariana per recitare la Supplica alla Madonna del Rosario e poi incontrerà i fedeli soffermandosi soprattutto con malati e bisognosi. Al termine, proseguirà il suo viaggio per Napoli. “Il Santuario di Pompei quella mattina sarà una chiesa piena di carità: Papa Francesco sarà circondato interamente dai poveri che ogni giorno affollano le nostre mense e i nostri centri di solidarietà” ha spiegato mons. Tommaso Caputo, arcivescovo prelato di Pompei. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. – Questa breve visita rappresenta un momento davvero importante. Prepararsi, dunque, a questo evento di grazia significa innanzitutto pregare per Papa Francesco, come lui stesso chiede sempre durante i suoi incontri. Stiamo anche cercando di preparare degnamente il nostro cuore a questo incontro, che non vogliamo resti solo un momento di festa e di giubilo. Vogliamo che questa visita abbia per noi il giusto significato: rafforzare cioè la nostra fede, e rinnovare il nostro impegno verso il prossimo, così come ha fatto il Beato avvocato Bartolo Longo, nostro fondatore, che nella sua vita ha unito sempre fede e carità. Il Successore di Pietro viene dunque per invitarci ad uscire dalle nostre singole esistenze, dai nostri egoismi, dai nostri personalismi. Viene per dirci di aprire i nostri cuori e le nostre coscienze, proiettandoli verso tutta l’umanità.

D. – In che chiave si può leggere la scelta di Papa Francesco di iniziare il suo viaggio proprio con una preghiera nel Santuario di Pompei?

R. – Papa Francesco viene ad affidarsi alla Vergine del Rosario di Pompei, così come fanno milioni di pellegrini ogni anno. Lui stesso, fin dall’inizio del suo Pontificato, ha manifestato una profonda devozione mariana ed ha mostrato la sua predilezione per la preghiera del Rosario. Più volte, ha detto: “Il Rosario è la preghiera che accompagna sempre la mia vita”. E qui a Pompei, ai piedi della Vergine del Rosario, dove sosterà a pregare prima di raggiungere Napoli, il Santo Padre toccherà con mano come sia profonda la devozione a Maria, e come si concretizzi ogni giorno, in varie forme di accoglienza e di carità verso gli ultimi, verso i nostri fratelli più bisognosi e indifesi. La vocazione di Pompei è proprio questa: un’intensa spiritualità mariana, che si esprime ponendosi a fianco dei deboli, agendo per alleviare le sofferenze altrui. Pompei sarà dunque la ‘porta della preghiera’, di quella che si presenta come un unico pellegrinaggio attraverso le complessità e le realtà non facili di una città come Napoli. Preghiera, che è il modo migliore, se non l’unico, per aprire e assicurare all’umanità nuovi orizzonti di speranza.

D. – Secondo lei, che rapporto c’è tra la Madonna di Pompei e Papa Francesco?

R. – Il fatto che il Papa inizi a Pompei il suo viaggio per Napoli spiega la profondità del suo rapporto con Maria, rapporto intensamente filiale. Il Santo Padre pregherà dinanzi al quadro della Vergine, affidandosi alla sua intercessione. Saranno pochi minuti di dialogo intenso, tra la Madre della Chiesa e chi oggi guida la Chiesa come Buon Pastore. Posso immaginare che fin dall’Argentina il Papa conoscesse la Madonna di Pompei, che è conosciuta in tutto il mondo. Infatti, anche in Sud America vi sono numerose chiese a Lei dedicate costruite dai missionari e dagli emigranti italiani ai quali, prima che partissero dal porto di Napoli, lo stesso Bartolo Longo regalava quadri, rosari, immaginette, preghiere. A Buenos Aires, c’è un intero quartiere chiamato “Nueva Pompeia”, al centro del quale sorge un santuario dedicato alla nostra Madonna. Come ho detto, il Papa predilige la preghiera del Rosario, dal lui definita “preghiera del mio cuore”; cuore con il quale - possiamo dire - è già stato qui, anche se non fisicamente. Ricordiamo che il 5 ottobre scorso, nella prima domenica di ottobre, giorno della preghiera e della supplica, durante l’Angelus il Papa ricordò proprio la città mariana di Pompei. Disse così: “Ci associamo spiritualmente a quanti, nel Santuario di Pompei, elevano la tradizionale supplica alla Madonna del Rosario: che ottenga la pace alle famiglie e al mondo intero”.

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Card Parolin: serve un Ufficio per la mediazione pontificia

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Costruire il bene universale della pace chiede alla Santa Sede di essere non solo una “voce critica” di ciò che non va, ma un attore che promuova concretamente la “fraternità” e la “convivenza” tra i popoli attraverso le regole del diritto internazionale. È una delle considerazioni centrali del discorso che il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha tenuto all’Università Gregoriana. Occasione, l’annuale Giornata di studi multidisciplinari dedicata per il 2015 al tema della pace, intesa come “responsabilità umana” e insieme “impegno cristiano”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Anima e ragione, missione e diritto. Si muove sempre su due binari paralleli l’azione diplomatica della Santa Sede. Un principio seguito lungo la storia e nella cronaca dei nostri giorni, sulla cui riva si abbatte l’onda di una “violenza fratricida”, estrema ed estremistica, che “prova disastri umanitari di vaste proporzioni”. A raccontare il funzionamento della diplomazia vaticana, nell’ottica della costruzione della pace, è il suo massimo responsabile, il cardinale Pietro Parolin, che sull’argomento ha tenuto una “lectio magistralis” alla Gregoriana.

Santa Sede e diritto internazionale
Il segretario di Stato ha anzitutto voluto ribadire come il Diritto canonico, che regola tra l’altro la funzione degli “ambasciatori del Papa” nel mondo, non sia mai stato un corpo di norme destinato a ordinare il solo culto religioso, “tentazione”, questa, ha rilevato, che ritorna “in tanti ambienti, anche internazionali”. Al contrario, tale Diritto ha sempre voluto conciliare le “ragioni ecclesiali” della diplomazia vaticana con il “pieno inserimento” di quest’ultima “nelle regole che governano i rapporti internazionali”.

Ecco perché, ha proseguito il cardinale Parolin, la voce del Papa e della Santa Sede ha sempre avuto un chiaro peso specifico in tutti i consessi dove si misurano i rapporti tra le nazioni, in particolare sul tema dei temi, la pace. In merito, la Santa Sede – ha ricordato il segretario di Stato – “opera sullo scenario internazionale non per garantire una generica sicurezza – resa più che mai difficile in questo periodo dalla perdurante instabilità – ma per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali ad iniziare da quelli degli ultimi, i più vulnerabili”.

Più forza a dialogo e negoziati
Diversa, ha rilevato il cardinale Parolin, è invece l’idea di pace sostenuta dal diritto internazionale contemporaneo, dove sia pure tacitamente si mantengono riferimenti alla guerra. “I fatti e le atrocità di questi giorni”, ha osservato, domandano a Stati e istituzioni intergovernative “di operare per prevenire la guerra in ogni sua forma”, dando consistenza “a norme in grado di sviluppare, attualizzare e soprattutto imporre quegli strumenti già previsti dall’ordinamento internazionale per risolvere pacificamente le controversie e scongiurare il ricorso alle armi. Mi riferisco – ha detto il porporato – al dialogo, al negoziato, alla trattativa, alla mediazione, alla conciliazione”.

Inoltre, ha proseguito il segretario di Stato, strumenti normativi sono più che mai necessari per “gestire i conflitti conclusi”, con tutte le loro conseguenze -  dal rientro di profughi e sfollati alla ripresa delle attività politiche ed economiche – pensando in particolare alle “esigenze di riconciliazione tra le parti”, con la tutela del “diritto al ritorno, al ricongiungimento di famiglie”, alla “restituzione dei beni” o al loro “risarcimento”.

Ufficio per la mediazione pontificia
Parlando poi dei temi “caldi” del disarmo, della protezione delle minoranze religiose, tra cui quelle cristiane tra le più perseguitate – e ripetendo che il ricorso alla forza “nel disarmare l’aggressore” deve essere considerato l’“estrema ratio della legittima difesa” – il cardinale Parolin ha lanciato una proposta affinché, così come in passato con Giovanni Paolo II, “nell’opera di riforma avviata dal Santo Padre ritrovi spazio nella Segreteria di Stato un Ufficio per la mediazione pontificia che possa fare da raccordo – ha spiegato – tra quanto sul terreno già svolge la diplomazia della Santa Sede nei diversi Paesi e parimenti collegarsi alle attività che in tale ambito portano avanti le Istituzioni internazionali”.

Lo sviluppo garantisce la pace
La riflessione finale ha riguardato la necessità, per la Santa Sede, di far maturare nelle coscienze, al di là delle regole, il valore rappresentato da “una cultura della pace”, che significa, tra l’altro, comprendere che la prima costruzione e la prima difesa della pace sono legate alla lotta alla “povertà” e al “sottosviluppo”. “Ineguale distribuzione degli alimenti, mancato accesso ai mercati, ingiuste regole imposte al commercio internazionale, mancata coscienza ecologica e danni all’ambiente sono alcuni dei fattori – ha concluso il cardinale Parolin – che domandano un’effettiva solidarietà tra gli Stati, se si vuole garantire un futuro di pace”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Poeti della preghiera: Papa Francesco parla del ruolo dei nonni nella famiglia.

Un’agenda di pace: il cardinale segretario di Stato sull’attività diplomatica della Santa Sede.

In difesa della dignità della persona: intervento della Santa Sede sulla pena di morte.

Contro il mito del principe azzurro: Silvia Guidi intervista la drammaturga svedese Annika Nyman.

Anticorpi e manganello: Pierluigi Natalia recensisce il nuovo libro di Angelo Paoluzi.

La storia vista dal basso: Enzo Romeo sul diario di un prete di campagna.

Il ciclo della vita: Giancarlo Rocca su qual è la durata di un istituto religioso.

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Oggi in Primo Piano



Libia: a Tobruk il gen. Haftar chiede armi contro i jihadisti

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Onu e Europa non possono obbligarci al negoziato: è la posizione del generale libico Haftar che guida le forze armate del governo di Tobruk, nell’est della Libia, riconosciuto ufficialmente dalla comunità  internazionale.  Haftar chiede aerei da combattimento, carri armati e armi per combattere i gruppi jihadisti dell’ovest, sempre più infiltrati da miliziani del sedicente Stato Islamico, con i quali – sostiene – è impossibile negoziare. Ma otto Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno bloccato la richiesta e il Palazzo di Vetro continua a lavorare per il negoziato. L’inviato speciale Leon ha incontrato oggi a Roma il premier italiano Renzi. Siamo di fronte a un'impasse?  Fausta Speranza l'ha chiesto a Andrea Carrugati, direttore dell'agenzia di stampa Kikapress, che ha raggiunto telefonicamente a Tobruk: 

R. – Abbastanza, abbastanza. Anche se Haftar non ha detto, esattamente, che rifiuta il negoziato in assoluto ma che rifiuta di sedersi al tavolo con quelli che lui considera terroristi e che hanno comunque una storia di terrorismo in Libia e non solo.

D. – Chi è davvero l’altra parte da far sedere al tavolo?

R. – A Tobruk riconoscono che ci siano leader moderati, anche all’interno di Ansar al Sharia o in Alba Libica, però rifiutano decisamente di sedersi con coloro che erano a capo delle milizie, che hanno contribuito alla caduta di Tripoli: sono gli stessi che hanno bombardato l’aeroporto, sono gli stessi che hanno occupato i Centri di potere, che hanno costretto la loro Corte Costituzionale in Tripolitania a rendere illegittimo il governo, che invece viene considerato legittimo dalla comunità internazionale.

D. – A Sirte, la città di Gheddafi - quindi c’è anche un valore simbolico - sembra svettare la bandiera del sedicente Stato Islamico, ma qual'è davvero la presenza dei miliziani dell’Is nell’Ovest della Libia?

R. – In verità, non sono miliziani dell’Is, sono milizie indipendenti di matrice islamica, che sono affiliate con l’Is, che semplicemente prendono la bandiera dell’Is e la usano come se fosse un brand. In verità, per il momento, l’Is sta arrivando dal Sud e in questo momento, ad esempio, ha occupato le rovine romane. Per questo c’è anche molta preoccupazione per quanto riguarda le statue e tutti i reperti archeologici che sono molto preziosi. Si rischia che anche questi vengano tutti distrutti, come è già successo in Siria.

D. – Che cosa puoi dirci dei posti che hai visitato?

R. – C’è molta tensione. E’ sicuramente un Paese sull’orlo di una crisi di nervi. Però non c’è la guerra intesa come la immaginiamo: non è una guerra strada per strada; ci sono piccoli attentati, piccoli focolai. La vita della gente va avanti in maniera quasi normale, almeno nella parte Est della Libia. Certo è molto difficile comunicare all’esterno, perché Internet in pratica è assente e poi ci sono molti pericoli, perché le milizie possono essere imprevedibili. Ma non è la guerra che ci si immagina in Europa.

D. – Gheddafi teneva insieme centinaia di tribù, ora si può dare un’identità al popolo libico o davvero si è sfaldato tutto?

R. – Credo che si sia sfaldato tutto, perché sono veramente tanti che pensano veramente in maniera diversa. Ad esempio, qui a Tobruk, dove sono, sostengono – e questa è la grossa differenza fra le due fazioni – che il governo debba rimanere laico e che le regole coraniche non debbano entrarci con la vita civile; i gruppi estremisti, invece, puntano alla legge coranica, applicata rigidamente, chi più chi meno ovviamente.

D. – Haftar è arrivato come uomo forte, qual è stata la risposta della gente?

R. – Haftar è molto amato. Durante la cerimonia di nomina a Capo delle forze armate, la gente era veramente contenta, era veramente entusiasta. Qui ci contano molto e lo vedono come una sorta di Garibaldi. Lui, infatti, tornato dagli Stati Uniti dove si era rifugiato, aveva poi cercato di spodestare Gheddafi. E’ riuscito ad unificare una serie di milizie ed ora sta difendendo i vari luoghi dove gli estremisti non sono ancora presenti ma dove c’è la minaccia. La gente qui ha paura di perdere tutto e gira armata: non c’è nessuno che non abbia una pistola, anche le donne.

D. –Haftar risponde ad un’ansia non soltanto di ordine, ma anche di democrazia?

R. Assolutamente sì, assolutamente sì. Rappresenta una speranza di democrazia, anche se magari in Europa non sembra. Io ho parlato personalmente con Haftar ieri e la prima cosa che mi ha detto è stata proprio quella: “Io sono per una Libia democratica”.

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Ucraina: manovre militari Usa-Russia, venti di guerra fredda

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L’accordo di Minsk non impedisce che quotidianamente si faccia la conta dei morti in Ucraina orientale, dove nelle ultime 24 ore almeno un soldato di Kiev è rimasto ucciso, quattro i feriti. Secondo lo Stato maggiore ucraino, i ribelli filorussi avrebbero inoltre commesso nella notte una decina di violazioni della tregua. Ed è delle ultime ore il giro di vite nei rapporti Usa-Russia. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Sono centinaia i veicoli militari e i carri armati statunitensi arrivati nei Paesi baltici per garantire sicurezza agli alleati della Nato, intimiditi da Mosca che negli ultimi giorni – secondo Washington – avrebbe violato gli accordi inviando carri armati oltre il confine ucraino. La Russia nel frattempo ha anche sospeso la sua partecipazione al Gruppo consultivo per il Trattato sulle forze convenzionali in Europa (Cfe). Sono inoltre partite esercitazioni militari nella regione meridionale di Stavropol. Sulla situazione in Ucraina è intervenuto oggi anche il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, alla vigilia della sua partenza per la Bielorussia. Il Vaticano, ha detto, non sta pensando a iniziative particolari, ma sostiene lo sforzo del governo di Minsk di cercare un’uscita negoziata e pacifica alla crisi. La situazione, però, secondo alcuni osservatori starebbe precipitando: lo dimostrano le tensioni, seppur non nuove, tra  Washington e Mosca. Tiberio Graziani, presidente dell’Isag, l'Istituto di Alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie:

R. – E’ un braccio di ferro tra Stati Uniti e Russia che non è da oggi, neanche dall’ultimo anno, ma forse trova le sue radici intorno al 2008, quando si è parlato già della cosiddetta "rivoluzione arancione". In quell’epoca, gli Stati Uniti tendevano ad aumentare il proprio spazio di manovra anche in Europa orientale e chiaramente l’Ucraina diventava uno dei Paesi target in cui la destrutturazione poteva avvantaggiare gli Stati Uniti dal punto di vista geostrategico – cosa che è avvenuta effettivamente nell’arco dello scorso anno, anzi da un paio di anni a questa parte.

D. – Quanto l’Europa, quanto l’Unione Europea, ha sottovalutato i segnali che sono venuti nell’arco di quest’anno, segnali evidenti di questa sorta di "Guerra fredda"?

R. – L’Europa, l’Unione Europea non ha capito molte cose, anche perché l’Unione Europea – va sottolineato ancora una volta – non ha una politica estera vera e propria, in quanto non è un’entità geopolitica come le altre, come ad esempio, gli Stati Uniti e la Russia, e quindi soffrendo di questa mancanza di politica estera unitaria si trova a non comprendere gli avvenimenti con cui poi dovrà far fronte. L’Europa non ha compreso l’importanza della Russia per i Paesi europei, si è sbilanciata troppo sull’alleato d’oltreoceano, e chiaramente ora le conseguenze più dure saranno proprio per i Paesi membri dell’Unione Europea.

D. – Al contrario di ciò che si poteva sperare, la situazione sembra prendere veramente una brutta piega…

R.  – Certamente, sembra prendere una brutta piega. Si parla di manovre Nato, si parla di risposte da parte del Cremlino e di spostamenti verso Riga di carri armati della coalizione Nato, quindi sostanzialmente statunitensi. Questo è molto preoccupante. La piega è brutta però bisogna, chiaramente, tentare sempre e soprattutto la via diplomatica.

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Aborto: per Strasburgo diritto di competenza è degli Stati

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Una risoluzione non legislativa, ma che rischia di esercitare una forte pressione politica e culturale sui 28 Paesi dell’Unione. Così il Rapporto Tarabella sull’eguaglianza uomo-donna, approvata a larga maggioranza in questi giorni dal parlamento di Strasburgo, inclusa la parte più controversa che chiede di garantire un "accesso agevole" alla contraccezione e all'aborto, sostenendo la necessità di informare le donne sui loro diritti. ”Un provvedimento contraddittorio”, commenta la Federazione delle Associazioni cattoliche per la famiglia in Europa, che con Nicola Speranza, responsabile rapporti istituzionali e politici della Ong, rilancia :"Continueremo a lottare”. L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – Si è trattato di un risultato contraddittorio, perché sono state confermate le competenze degli Stati membri – e questo è molto importante – su tematiche attinenti alle politiche sanitarie e tanto delicate, quali l’aborto. Però, dall’altro lato, sono rimasti nel testo tutti i riferimenti che includono l’aborto nella definizione di “diritti sessuali”, una definizione che a livello internazionale di per sé non include l’aborto.  

D. – Perché allora far avanzare il testo, nonostante il mancato riscontro legislativo?

R. – Perchè è in corso una vera battaglia culturale: cultura della vita contro cultura della morte, senza andare a cercare delle vere soluzioni ma facendo di queste questioni delle questioni ideologiche e politiche. Domani, per esempio, ci sarà il voto sulla relazione di un altro eurodeputato socialista, questa volta italiano – la relazione Panzeri – nella quale un’altra volta troviamo questo paragrafo in cui ci si richiama all’aborto come “diritto”. E sono presenti anche dei riferimenti come la legalizzazione delle unioni omosessuali, si criticano anche, per esempio, i referendum nazionali tenutisi in Croazia e in Slovacchia: il referendum in Croazia che ha definito il matrimonio come unione tra uomo e donna a livello costituzionale. Si tratta di discussioni molto sensibili, che vanno anche al di là delle competenze dell’Unione Europea.

D. – Quindi, l’approvazione di questo documento nell’immediato comporta qualche cambiamento per le donne?

R. – Per come è stata approvata, la Relazione non ha alcuna conseguenza immediata sulla legislazione degli Stati membri dell’Unione Europea. Si tratta, piuttosto, di fare una pressione soprattutto su quegli Stati membri nei quali l’aborto resta completamente illegale e anche su quegli Stati, come l’Italia per esempio, che hanno una legge che permette una definizione ben precisa dell’aborto. Invece, parlando di “accesso agevole all’aborto” si va appena al di là di quella che è la realtà nella maggior parte degli Stati membri.

D. – Voi seguite sempre la strada del dialogo, non dello scontro, anche se scontro c’è stato. Ora, dopo questa approvazione, come pensate di muovervi per restare a lavorare comunque a fianco delle donne in difficoltà?

R. – Innanzitutto, sottolineando il lavoro delle associazioni sul terreno in tutta Europa. E poi, a livello nazionale e dell’Unione Europea, sviluppare delle politiche che permettano alle donne di far sì che i loro bambini possano nascere nelle migliori condizioni. A cominciare dal tema dell’equilibrio tra vita familiare e vita lavorativa, oppure la condivisione di buone pratiche in materia fiscale tra gli Stati membri... Ecco, ci sono molti ambiti nei quali l’Unione Europea può farsi amica e non nemica delle famiglie europee. Noi, come Federazione delle Associazioni familiari, continuiamo a portare il nostro messaggio, che è un messaggio di bellezza sulla famiglia e sulla vita, a sostegno della maternità.

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Onu: dibattito a Ginevra su libertà religiosa e di espressione

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Esistono violenze commesse "in nome della religione" e questo può portare a massicce violazioni dei diritti umani, compresa la libertà di religione o di credo. Questo è il tema centrale dell’intervento di Heiner Bielefeldt, relatore speciale sulla libertà di religione o di credo oggi durante la 28.ma sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra. Gabriele Beltrami: 

Il lavoro svolto dal relatore speciale affronta un tema politicamente esplosivo, rispondendo agli eventi drammatici in Medio Oriente e in Nord Africa. Il rapporto è in realtà un atto di accusa contro gli Stati che, implicitamente o esplicitamente, appoggiano violenze commesse in nome della religione, le tollerano sul loro territorio o ne hanno istituzionalizzato, anche, il funzionamento. L’Arabia Saudita, ad esempio – ha affermato Bielefeldt – non differisce in questo senso dallo “Stato islamico”, per il fatto di essere uno Stato dove la violenza religiosa verso altre fedi è un fatto noto. Il relatore speciale chiede che sia riconosciuta la complessità di ogni violenza in nome della religione; egli ha ribadito che le religioni non sono violente di per sé, ma possono diventarlo in determinate circostanze. Rifiutare tale idea vuol dire commettere un errore di interpretazione o una manipolazione esterna. La responsabilità ricade però anche sugli Stati che, tollerando tali atti, si rendono complici, così come quelle autorità religiose che non si oppongono, i media che li trasmettono e incoraggiano, i gruppi armati che li commettono, la comunità internazionale – garante del diritto internazionale e dei diritti umani – che si fregia di essere in grado di prevenire la violenza in nome della religione. L’analisi dettagliata delle cause di questo tipo di violenza è stata però l’essenza del rapporto. Si tratta infatti di gruppi armati terroristici barbari o della strumentalizzazione della religione per fini di potere o politici; altre volte si tratta di politiche di esclusione etnica o religiosa, oppure della mancanza di uno Stato di diritto che garantisca pace e stabilità ed eviti l’emergere forme di radicalizzazione religiosa. Altre cause però risiedono nella mancanza di istruzione, della quale approfitta l’irrazionalità della violenza religiosa o nei media stessi che si trasformano in vettori di violenza. Infine, le autorità religiose e politiche che non condannano le barbarie commesse in nome della religione, complici nel promuovere e far crescere tali atti violenza.

La posizione della Santa Sede riguardo a questo tema è stata espressa, sempre oggi, da mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra: 

R. – La sessione attuale del Consiglio dei diritti umani affronta, tra le altre questioni, in modo particolare quella della libertà di religione e della libertà di espressione. I punti fermi sui quali la Santa Sede si è espressa sono soprattutto la responsabilità nell’utilizzare la libertà di espressione, in modo che si prenda coscienza delle conseguenze delle posizioni che si affermano, per non creare problemi inutili. Per esempio, quando si parla della libertà di espressione attaccando una religione o il modo di vivere di una cultura o di un popolo, dobbiamo sempre tenere presente che più importante della stessa religione e della cultura sono le persone, per cui dobbiamo sempre rispettare l’identità di queste persone, in modo che non vengano offese nelle loro credenze più preziose e in quello che costituisce il nucleo centrale della loro vita interiore, sulla quale prendono le decisioni fondamentali della loro esistenza.

D. - Quali tra le altre delegazioni appoggiano la Santa Sede su un tema complesso anche dal punto di vista politico, come lo ha definito il relatore speciale Bielefeldt?

R. – Vari Paesi si sono allineati, inclusi i Paesi dell’Europa come la Spagna, la Francia, la Germania; abbiamo infatti previsto assieme a Paesi come il Libano, la Russia, il Perù e una varietà di nazioni di vari continenti, di introdurre una dichiarazione congiunta sul tema della protezione dei cristiani nel Medio Oriente. Questo è un fatto nuovo che rafforza la linea che abbiamo sostenuto in tutti questi anni di crisi nel Medio Oriente, specialmente le difficoltà che le comunità cristiane e le comunità di religioni diverse devono affrontare in Siria. Si sta camminando verso la creazione di una coscienza pubblica, che veda nel dialogo, nel rispetto delle persone, nel negoziato la strada per cercare di arrivare ad una soluzione dei problemi.

D. - Sono previsti eventi sulla stessa tematica a margine di questa sessione del Consiglio?

R. – Il tema della libertà di religione e della libertà di espressione, che sono due diritti fondamentali che si devono in qualche modo integrare ed equilibrare, sono anche il soggetto di un evento parallelo al Consiglio dei diritti umani che si terrà in questi giorni, e che coinvolge il relatore speciale Bielefeldt, che tratta appunto questa questione, ed è sponsorizzato dal Sovrano Militare Ordine di Malta e dalla Santa Sede. Di fatto, con l’Ordine di Malta lavoriamo spesso insieme in convergenza di obiettivi, per cercare di sensibilizzare sempre più la comunità internazionale, soprattutto qui a Ginevra, sui valori cristiani e i valori fondamentali che poi regolano i rapporti tra le varie comunità umane.

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Chiara Lubich e la politica: domani un Convegno a Roma

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Dialogo, idee, proposte e testimonianze in un Convegno che, a partire dal pensiero di Chiara Lubich, vedrà politici, studiosi ed esponenti della società civile interrogarsi sul senso e le finalità della politica. L’evento, promosso dal Movimento politico per l’unità, nato nell’ambito dei Focolari, si terrà domani a Roma presso la Camera dei Deputati. Una trentina di iniziative simili si terranno tra domani e il 15 marzo in altrettante città del mondo in occasione del settimo anniversario della morte della fondatrice del Movimento dei Focolari. Ma che cos’era per Chiara la politica? Adriana Masotti lo ha chiesto a Letizia De Torre, presidente del Centro internazionale del Movimento politico per l’unità: 

R. – La politica, per Chiara, era l’amore degli amori, cioè la forma più alta di amore sociale. Lei vedeva la politica come uno sfondo, uno scenario su cui tutte le altre realtà della società si potessero esprimere per costruire la convivenza umana.

D. – Un valore cardine del pensiero politico di Chiara è la fraternità. Dove invece trovare più facilmente il conflitto, il contrasto, se non in politica?

R. – Sì, per Chiara la visione di come fare politica in una parola la si potrebbe chiamare “dialogo”. Però, quello alla sua maniera, quello del suo carisma che è l’unità. Non l’unità intesa come qualcosa di uniforme, tutti che pensano nella stessa maniera, tutti che fanno le stesse scelte: no. Un’unità nella libertà e nella distinzione, anche delle visioni politiche. Quindi, il dialogo tra le forze politiche, il dialogo tra gli Stati, il dialogo a tutti i livelli che Chiara immaginava nella politica, poggiava su questo: sul riconoscimento dell’altro, sulla reciprocità fino a dire: “Io devo amare la patria altrui come la mia”.

D. – Ecco, e più tardi è nato il Movimento politico per l’unità che in particolare, appunto, vuole incarnare questo stile…

R. – Sì, questo è accaduto nel ’96 a Napoli. Nacque questa idea: “Insieme per l’unità”, quindi un movimento politico per l’unità. E’ stato definito da Chiara Lubich stessa una corrente di cultura politica. Non è un partito ma un luogo dove ci si incontra, ci si confronta con i grandi valori – gli ideali evangelici ma anche gli ideali di altre fedi, di alte culture… E questo, anche sui temi concreti. Un confronto che, nel rispetto delle proprie culture politiche, può essere portato e offerto lì dentro, dove uno lavora: nel proprio partito, nel proprio assessorato, nel governo…

D. – Dunque, nei prossimi giorni ci saranno in diverse parti del mondo Convegni su Chiara Lubich e la politica, e domani anche qui a Roma, alla Camera dei deputati...

R. – Ci saranno una trentina di eventi nel mondo e qui in Italia l’evento si terrà alla Camera dei deputati. Al mattino ci saranno giovani – 300 giovani – per metà provenienti da 42 Paesi del mondo e per metà italiani, delle scuole di partecipazione politica che, appunto, sono nate con Chiara Lubich. Nel pomeriggio, invece, ci sarà il Convegno vero e proprio, rivolto ai politici, rivolto ai parlamentari. E’ un’occasione per approfondire, ma concretizzata dentro la prassi politica, questa visione di unità, questa visione di unità nella diversità.

D. – Suona particolarmente attuale il tema scelto per questo anniversario – la politica – in un momento in cui c’è tanta diffidenza, invece, nei riguardi della politica…

R. – Sì, ma è proprio perché occorre cambiarla, occorre farla nuova, occorre riportarla all’interesse generale. Chiara Lubich nel Duemila parlò ancora in parlamento e lanciò un “Patto di fraternità per l’Italia” in cui si mettesse l’interesse e il bene del Paese al di sopra di ogni interesse personale. E’ il tempo in cui dobbiamo girare pagina e occorre che chi fa politica veramente si dia totalmente al bene del proprio popolo e anche degli altri popoli. Questo è evidente e chiama ciascuno di noi, perché la politica non la si fa solo nei palazzi della politica, come affermeremo al Convegno, ma la si fa anche ogni giorno, nella nostra vita. Quindi, chiama ciascuno di noi a un impegno nuovo verso il bene comune.

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Roma. Dialoghi in cattedrale sull'uomo e la sua dignità

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“Dio abita la città” è il tema che fa da filo conduttore al nuovo ciclo dei Dialoghi in Cattedrale promossi dalla diocesi di Roma. Ieri sera, nella Basilica di San Giovanni in Laterano il primo dei tre incontri su “L’uomo e la sua dignità”. Novità di questa edizione, accanto ai due relatori anche la presenza di una testimonianza significativa relativa al tema trattato. Prossimi appuntamenti il 24 marzo e il 14 aprile. Il servizio di Marina Tomarro: 

Ritrovare la presenza di Dio nelle strade e nelle piazze delle città. E’ questa la sfida del nuovo ciclo dei Dialoghi in cattedrale. Una ricerca che parte proprio dalla riscoperta della dignità dell’uomo, spesso messa in pericolo dalla solitudine, presente soprattutto nelle grandi città. Il commento di mons. Antonino Raspanti vescovo di Acireale e tra i relatori dell’ incontro:

R. - L’espressione che l’uomo ha un volto, l’uomo è il volto di un altro, e le due espressioni devono stare per forza legate insieme, perché se io penso che l’uomo è un volto e basta, nel momento in cui non lo tocco, perché non mi reagisce, allora lo elimino, non è più quell’uomo; se invece dico che è anche il volto di un altro, significa che in lui c’è l’apertura ad una trascendenza: voglio dire che c’è la presenza di un altro, che lui in quanto uomo mi porta e mi rappresenta qui.

D. – Spesso la dignità umana è calpestata dalla società. In che modo allora si può difendere?

R. – Non c’è, credo, soltanto un modo, perché abbiamo visto che il diritto, la politica hanno i loro limiti. Non c’è un modo unico. Secondo me ci vuole un concorrere dei vari corpi, che compongono la società – quindi da quello religioso a quello economico – un concorrere per cercare di intendersi e davvero lavorare in rete, comunque collaborare. Se questi corpi rimangono staccati, slegati o addirittura diffidenti – la politica diffida della finanza, la finanza schiavizza l’economia, l’economia butta fuori la religione – fino a quando c’è diffidenza ed estraneità dei vari corpi, secondo me è impossibile, anzi la dignità verrà sempre più calpestata, perché solo i prepotenti vinceranno. Nella misura in cui invece i vari corpi e le varie componenti si ridanno fiducia l’un l’altro, credo ci sia davvero possibilità di proteggere l’uomo.   

D. – Lei è vicepresidente del Comitato organizzatore del prossimo incontro ecclesiale a Firenze, in che modo stanno procedendo i preparativi?

R. – Abbiamo la sensazione, per esempio attraverso la partecipazione ai social network – perché abbiamo usato, stiamo usando questi strumenti – che ci sia voglia di partecipare. E noi vorremmo far sì che si avviino dei dinamismi, dei rapporti in tutte le diocesi, che perdurino oltre il Convegno, perché il Convegno è già iniziato, non è quella celebrazione di una settimana. Se è già iniziato va anche oltre. Non ci si deve aspettare chissà che, ma che davvero inneschi meccanismi che continuino.

Anche la malattia può diventare un momento di prova molto delicato per il rispetto della persona. Ascoltiamo la testimonianza di Maria Albanese, medico e volontaria dell’ associazione “In punta di piedi” che dal 2012 è accanto ai malati del Policlinico Tor Vergata per portare loro un po’ di aiuto e compagnia:

R. – Avvicinarsi in punta di piedi vorrebbe dire, almeno per noi medici, che ci accostiamo tutte le mattine al letto del malato, durante il giro visite, mettersi in ascolto, e anche attraverso quella che è la routine, la pratica, cercare di capire qual è la sofferenza, il motivo che lo ha portato da noi. Questo serve innanzitutto a noi per metterci in contatto con lui.

D. – Qual è la reazione dei malati quando entrate nelle loro stanze?

R. – Sicuramente già il saluto al malato e il chiamarlo per nome lo mette a proprio agio e gli permette di aprirsi. Nel momento in cui uno arriva al letto del malato, lo saluta e lo chiama per nome, il malato si affida al medico.

D. – Cosa la spinge in questa missione?

R. – Soltanto aiutando chi sta male, sento di dare un senso diverso al mio essere qua, al vivere la vita, che viene guardata da un’altra prospettiva. 

Sul filo conduttore dei tre incontri, il tema “Dio abita la città”, ascoltiamo il commento del vescovo ausiliare mons. Lorenzo Leuzzi, tra gli organizzatori dei Dialoghi:

R. – Il tema riprende l’invito di Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium a prendere consapevolezza della presenza di Dio nella città. Si tratta cioè di capire come l’evangelizzazione in qualche modo preceda già la stessa azione diretta della comunità cristiana, perché la presenza di Dio in Gesù Cristo si è così unita alla vita stessa concreta dell’uomo e della città, che la Chiesa deve essere in grado di cogliere quali sono gli aspetti positivi da valorizzare e quali sono invece le situazioni nelle quali occorre un intervento sempre maggiore di testimonianza, perché quel bisogno di umanità, quel bisogno di promozione umana si renda nella sua pienezza.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: incertezza sulla sorte dei cristiani ostaggio dei jihadisti

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I cristiani dei villaggi della valle del Khabur presi in ostaggio dai jihadisti del sedicente Stato Islamico continuano ad essere nelle mani dei loro sequestratori, e la loro sorte appare legata anche all'evoluzione degli equilibri militari nella regione. “Abbiamo dei segnali - riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi – che l'esercito sta per attaccare la regione che si trova a sud di Qamishli e ad est di Hassakè, controllata dai jihadisti dello Stato Islamico. Se l'operazione militare avrà effetto, potrebbero poi andare a liberare i villaggi della valle del Khabur da dove sono fuggiti gli assiri e puntare in seguito a Sheddadi, che è una roccaforte del Daesh (acronimo arabo usato per indicare l'Is, ndr)”.

La richiesta di liberare donne e bambini
In questa situazione incerta, l'arcivescovo Hindo riferisce che non ci sono notizie recenti attendibili su una loro possibile liberazione, e che ogni indiscrezione al riguardo va verificata con cura. “Avevamo chiesto di liberare almeno i ragazzi e le donne, ma finora ciò non è accaduto. Il vescovo assiro mi ha detto: dirò che sono certo della loro liberazione solo quando li vedrò arrivare davanti alla porta della chiesa”. Al momento, sono stati liberati dai jihadisti soltanto 23 delle centinaia di cristiani presi in ostaggio. (G.V.)

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Belgio: marcia leader religiosi per dire no al terrorismo

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Per dire no alla “strategia del terrore” scatenata in Europa dagli atti terroristici di Parigi e Copenaghen e dall’attacco sventato in Belgio, i leader religiosi scenderanno per le strade di Bruxelles domenica 15 marzo, dando vita a una marcia nazionale con lo slogan “Together in Peace - Liberté et Respect”. Il corteo si fermerà davanti a una moschea, una sinagoga, una casa della laicità, una cattedrale ortodossa, una chiesa cattolica e un tempio protestante: “Luoghi - scrivono i rappresentanti delle religioni in Belgio in un comunicato congiunto ripreso dall'agenzia Sir - che simboleggiano il pluralismo filosofico e religioso del nostro Paese e dell’Europa. Sarà segno del rispetto fondamentale che abbiamo gli uni per gli altri e della solidarietà profonda che ci unisce”.

Marcia per esprimere il desiderio di vivere insieme nella pace
A promuovere l’iniziativa - sostenuta e coordinata dalla Comunità di Sant’Egidio - figurano mons. André-Joseph Léonard, presidente dei vescovi belgi e arcivescovo di Malines-Bruxelles, Henri Bartholomeeusen, presidente del “Centre d’Action Laïque” (Cal), Julien Klener, presidente del Concistoro centrale israelitico di Bruxelles, e Noureddine Smaïli, presidente dell’Esecutivo dei musulmani del Belgio. Saranno presenti anche i rappresentanti delle Chiese anglicana, protestante e ortodossa con il metropolita Athenagoras Peckstadt del patriarcato ecumenico. “Marceremo gli uni accanto agli altri per le strade di Bruxelles per mostrare il nostro desiderio di vivere insieme nella pace”. (R.P.)

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Vescovi Francia: preoccupazione neutralità asili nido e materne

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Domani sarà presentato all’Assemblea nazionale un progetto di legge firmato da Françoise Laborde (Rdse) che mira a “estendere l’obbligo di neutralità alle strutture private che hanno in carico la piccola infanzia e assicurare il rispetto del principio di laicità”. In un comunicato firmato dal presidente dei vescovi francesi, mons. Georges Pontier, la Conferenza episcopale di Francia esprime “la sua più profonda preoccupazione” in quanto intravede nel testo di legge “la presenza di una chiara sfiducia verso le religioni” ritenute come elementi “da cui occorrerebbe proteggere i minori”.

La legge relega la religione nella sfera privata
I vescovi - riporta l'agenzia Sir - denunciano “fermamente” che la proposta di legge rappresenta “un nuovo attacco che cerca non solo di relegare le religioni alla sfera privata ma a nasconderle facendole sparire progressivamente da ogni luogo della vita sociale. Minando così progressivamente e insidiosamente il nostro modello di laicità - scrive mons. Pontier - non si garantisce uno Stato laico ma si promuove una società svuotata di qualsiasi riferimento religioso. Non possiamo accettarlo; in quanto non corrisponde a nulla con la realtà della nostra società”. (R.P.)

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Card. Caffarra: grave offesa al Sacramento della confessione

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“Una grave offesa alla verità di un Sacramento della fede cristiana, la Confessione” nonché “una grave mancanza di rispetto verso i credenti, che vi ricorrono”. Non usa mezzi termini l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, per esprimere, in una nota diffusa oggi dall’arcidiocesi, “la più forte protesta” per la pubblicazione a puntate, su di un diffuso quotidiano, “di servizi giornalistici sulla Confessione” ottenuti, scrive il cardinale, che è anche presidente della Conferenza episcopale Emilia Romagna, “traendo deliberatamente in inganno il confessore e violando con ciò la sacralità del Sacramento, che come primo requisito richiede la sincerità della contrizione del penitente”. 

I servizi sono grave mancanza di rispetto verso i credenti
“Nello sconcerto per l’accaduto e con l’animo ferito da un profondo dolore - si legge nella nota ripresa dall'agenzia Sir - intendo ribadire che tali servizi configurano oggettivamente una grave offesa alla verità di un Sacramento della fede cristiana, la Confessione; tali servizi sono anche una grave mancanza di rispetto verso i credenti, che vi ricorrono come a un bene tra i più preziosi perché dischiude loro i doni della Misericordia di Dio; e verso i sacerdoti confessori in quanto, esponendoli al dubbio di un possibile inganno, ne inficiano la libertà del giudizio, che è fondata sul rapporto fiduciario col penitente, come tra padre e figlio”.

Dal cardinale anche la sottolineatura della gravità del “comportamento suddetto” che “rientra nei delitti più gravi, a norma del motu proprio di Benedetto XVI “Inter graviora delicta” art. 4, §2 (21.5.2010)”. (R.P.)

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America Latina: ancora 130 milioni i poveri nella regione

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“Nonostante questi progressi eccezionali, attualmente un latinoamericano su quattro continua ad essere povero. Alcuni hanno subito scosse di assestamento che lo hanno fatto temporaneamente cadere in povertà (poveri “transitori”). Ma la cosa più preoccupante - riferisce l'agenzia Misna - è che gli altri non sono mai riusciti ad uscire dalla loro povertà: questi sono i poveri cronici”. È uno dei passaggi dello studio dal titolo “I dimenticati: Povertà cronica in America Latina e nei Caraibi” realizzato dalla Banca Mondiale, in base al quale la povertà cronica nella regione colpisce 130 milioni di persone che vivono con meno di 4 dollari al giorno, nonostante la crescita economica negli ultimi dieci anni e gli sforzi per incoraggiare l’accesso al mercato del lavoro.

Differenze significative tra i vari Paesi
Nel 2004, la percentuale di poveri in America Latina era pari a 44,9%; nel 2012 è scesa al 25,7%, sebbene ci siano differenze significative tra i Paesi. Uruguay, Argentina e Cile sono i Paesi col tasso minore di povertà cronica, attorno al 10%, ma in Nicaragua l’indice sale al 37% e in Guatemala arriva al 50%.

La mobilità ha portato la povertà cronica anche nei centri urbani
La povertà presenta anche variazioni significative all’interno dello stesso Paese, come in Brasile dove è considerato povero cronico il 5% della popolazione dello Stato centrale di Santa Catarina, mentre nello Stato nordorientale del Ceará è il 40%. La mobilità sociale all’interno dei Paesi ha portato la povertà cronica anche ai centri urbani: Cile, Brasile, Messico, Colombia e Repubblica Dominicana hanno tassi più alti di poveri cronici in città, tra il 2004 e il 2012, rispetto alla campagna. (F.B.)

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Fukushima 4 anni dopo: contenere le radiazioni

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Nel quarto anniversario del terremoto e dello tsunami che devastarono le regioni nord-orientali del Giappone provocando 18.000 tra morti accertati e dispersi, il Paese ricorda le vittime ma anche i sopravvissuti che a migliaia vivono in condizioni ben lontane dalla normalità. Il Paese si interroga anche sulle sue potenzialità e sul futuro che deve insieme gestire le conseguenze della catastrofe – anche nucleare – avviata l’11 marzo 2011, ma insieme prepararsi a fenomeni imprevedibili e devastanti.

Il rischio che i reattori in avaria ancora comportano
La ricostruzione nelle provincie più colpite, quelle di Iwate, Miyagi e Fukushima - riferisce l'agenzia Misna - avanza a rilento, con un gran numero di sfollati costretti a vivere in località distanti, spesso in condizioni precarie, soprattutto per il rischio che i reattori in avaria della Centrale nucleare di Fukushima ancora comportano per una vasta area. In una conferenza stampa convocata questa mattina, il segretario-capo di gabinetto, Yoshihide Suga, ha detto di “voler pregare per un riposo pacifico delle vittime ed esprimere la sincera simpatia alle loro famiglie e a coloro che ancora vivono da sfollati”.

Nuovo piano quinquennale per accelerare la ricostruzione
Il primo ministro Shinzo Abe, che oggi ha partecipato a una cerimonia commemorativa insieme all’imperatore Akihito, aveva chiesto ieri un rinnovato impegno nazionale e anticipato un nuovo piano quinquennale per accelerare la ricostruzione. “L’attuale piano scadrà nel marzo 2016, ma entro la prossima estate definiremo quello nuovo”, ha indicato Abe senza specificare dettagli dell’iniziativa che – ha però segnalato – sarà concordata in stretto rapporto con le autorità locali.

La spesa per contenere le radiazioni nelle aree contaminate
Si stima che Tokyo abbia finora destinato alle tre provincie maggiormente colpite l’equivalente di 50 miliardi di dollari per la riabilitazione delle aree interessate dagli eventi naturali e dalla contaminazione atomica. Di questi, almeno 15 miliardi sono stati spesi per contenere le radiazioni nelle aree contaminate, ad esempio costruendo 88.000 contenitori in cui accumulare provvisoriamente le scorie nucleari. La prospettiva di costruire strutture di accumulo permanenti in località un tempo abitate rischia di posporre a tempo indefinito la riabilitazione e il rientro della popolazione. Al momento, tuttavia, rispetto a ogni altra esigenza e anche per non incentivare preoccupazione e sospetti dall’estero e l’opposizione interna al riavvio della cinquantina di reattori per scopi civili fermi da oltre un triennio, prioritario resta l’impegno a domare la rabbia dei reattori a rischio fusione. (C.O.)

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Vescovi Irlanda: matrimonio è un vincolo tra uomo e donna

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Il 22 maggio il popolo irlandese sarà chiamato a votare in un referendum che cambierà il significato del matrimonio nella Costituzione dell’Irlanda. I vescovi cattolici sottolineano l’importanza di un’approfondita riflessione in vista del voto. “Il matrimonio è di fondamentale importanza per i figli, le madri e i padri, e per la società”, esordiscono i presuli in una dichiarazione diffusa ieri, nel corso dell’Assemblea generale di primavera. “L’unione di un uomo e di una donna nel matrimonio, aperta alla procreazione dei figli, è un dono di Dio che ci ha creati ‘maschio e femmina’”, si legge nel testo. 

Rapporto tra uomo e donna è unico e aperto alla vita
“Anche la ragione porta alla verità sulla sessualità umana che rende il rapporto tra un uomo e una donna unico. Madri e padri portano doni diversi, ma complementari” nella vita di un figlio. I vescovi spiegano di non poter sostenere un emendamento alla Costituzione che ridefinisce il matrimonio e “pone di fatto l’unione di due uomini, o due donne, alla pari con il rapporto coniugale tra marito e moglie, che è aperto alla procreazione dei figli”, ed esprimono la preoccupazione che, “se passasse l’emendamento, diventerebbe sempre più difficile parlare ancora in pubblico del matrimonio” come vincolo tra un uomo e una donna. 

Proteggere diritti civili dei gay senza pregiudicare significato del matrimonio
“Cosa insegneremo ai bambini a scuola sul matrimonio? Coloro che sinceramente continuano a credere che il matrimonio è tra un uomo e una donna, saranno costretti ad agire contro la propria coscienza?”, si chiedono i vescovi irlandesi invitando a trovare un modo per “proteggere i diritti civili delle persone omosessuali senza pregiudicare il significato fondamentale del matrimonio come comunemente inteso tra culture e fedi nel corso dei secoli”. “The Children and Family Relationships Bill”, avvertono, si propone di “eliminare la menzione di madri e padri da tutta una serie di leggi precedenti”. Di qui l’incoraggiamento a tutti a riflettere su questi temi e a votare il 22 maggio. 

Riflettere prima di modificare l'emendamento sul matrimonio
Gli effetti dell’emendamento proposto “saranno di vasta portata per questa e per le generazioni future. Diciamo a tutti gli elettori: il matrimonio è importante. Riflettete prima di modificarlo”. Infine l’invito alle persone di fede a “portare questa decisione nella preghiera” e un annuncio: “Nelle prossime settimane, e in particolare a maggio, il mese di Maria, invitiamo alla preghiera per il matrimonio e la famiglia”. (R.P.)

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Usa: colletta di Quaresima per i poveri del mondo

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“Aiutate Gesù nascosto”: è l’esortazione contenuta nello slogan della prossima Colletta di Quaresima dai Catholic Relief Services (Crs), l’opera caritativa della Chiesa degli Stati Uniti per gli aiuti ai Paesi d’oltremare. Tra sabato e domenica, 14 e 15 marzo, i fedeli di tutte le diocesi del Paese saranno invitati a dare il loro contributo ai numerosi progetti umanitari e di sviluppo dell’organizzazione a favore oltre 100milioni di persone nel mondo colpite da persecuzioni, povertà e disastri naturali. Un’occasione quindi – afferma il presidente della Commissione nazionale per le collette della Conferenza episcopale degli Stati Uniti , mons. Dennis Schnurr - per dimostrare la “nostra solidarietà globale e il nostro amore verso Dio e il prossimo aiutando i poveri e gli emarginati e per aiutare ad alleviare le sofferenze in tanti modi concreti”.

Numerosi i progetti finanziati l’anno corso in Africa e Medio Oriente
I fondi raccolti l’anno scorso sono serviti, tra l’altro, a fornire case e protezione ai civili vittime della violenza a Gaza, Gerusalemme e nel Kurdistan iracheno, per finanziare progetti di peace-building in Sud Sudan, sostenere la ricostruzione in Paesi colpiti da disastri naturali come Haiti e le Filippine. Inoltre , in collaborazione con l’ufficio dei vescovi per la giustizia e la pace internazionale, grazie a questi finanziamenti i Crs stanno portando avanti programmi di sensibilizzazione e advocacy in altri Paesi teatro di violenze e conflitti come la Repubblica Centrafricana.

6 i destinatari dei fondi raccolti, tra cui Cor Unum
Sono 5 gli organismi della Usccb destinatari dei proventi raccolti con la colletta: oltre ai Crs: il Dipartimento per i migranti e i rifugiati ( Mrs); il Segretariato per la diversità culturale; il dipartimento per la giustizia, la pace e lo sviluppo umano ; la rete legale cattolica per gli immigrati. A questi va aggiunto il Pontificio consiglio Cor Unum, il dicastero vaticano che distribuisce la carità del Papa. (L.Z.)

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Cuba: sarà costruita una nuova chiesa, la prima dal 1959

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La Chiesa cattolica cubana potrà costruire un nuovo luogo di culto sull'isola, che sarà il primo dal tempo della rivoluzione, nel 1959. Secondo le informazioni dell'arcidiocesi de L'Avana, date all’agenzia Fides, il luogo scelto è una cittadina nella provincia occidentale di Pinar del Río.

Sarà dedicata al Sacro Cuore di Gesù
La nuova chiesa sarà dedicata al Sacro Cuore di Gesù, occuperà una superficie di 200 metri quadrati nel centro di Sandino, il più grande Comune della provincia, e potrà ospitare circa 200 persone sedute, come ha annunciato il vescovo della diocesi di Pinar del Río, mons. Jorge Enrique Serpa Pérez. Secondo i dati dell'arcidiocesi dell'Avana, il 60% della popolazione cubana (11,1 milioni di abitanti) è cattolica, e sull’isola ci sono 650 chiese, 340 sacerdoti e 600 religiosi.

Un segno del disgelo tra governo cubano e Chiesa cattolica
L'autorizzazione alla costruzione della nuova chiesa era già stata data il 9 settembre 2014, proseguendo così la fase di disgelo nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e il governo cubano, che ha portato all’autorizzazione a svolgere le processioni pubbliche, a dichiarare festivo il Venerdì Santo ed a trasmettere in televisione il messaggio del card. Ortega e alla restituzione alla Chiesa di alcuni luoghi di culto che erano stati espropriati. Su questa linea, la costruzione di nuovi edifici di culto è una delle richieste della Chiesa cattolica, che intende recuperare gli spazi necessari per svolgere la sua missione evangelizzatrice. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 70

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.