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Sommario del 13/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il secondo anno di Francesco: "lo Spirito Santo scombussola"

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Il 13 marzo di 2 anni fa, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio veniva eletto in conclave quale 265° Successore di Pietro: primo gesuita, primo latinoamericano e primo a portare il nome di Francesco. Ripercorriamo questo secondo intensissimo anno di Pontificato, prendendo spunto da alcuni importanti discorsi del Papa. Il servizio di Sergio Centofanti

Tempo della misericordia
E’ il tempo della misericordia. Papa Francesco ripete questa buona notizia: “per Gesù ciò che conta” è “raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio”. “Questo scandalizza qualcuno” – osserva - ma “Gesù non ha paura di questo tipo di scandalo”, tocca e guarisce i lebbrosi. Si tratta di “due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti”:

“Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio. (Omelia per la Messa con i nuovi cardinali, 15 febbraio 2015)

Cristiani non si isolino come una casta
“La strada della Chiesa” – afferma Papa Francesco ai nuovi cardinali – “è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione”:

“Vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale”. (Omelia per la Messa con i nuovi cardinali, 15 febbraio 2015)

Sinodo: le tentazioni di cosiddetti progressisti e tradizionalisti
Uno dei momenti forti di questo secondo anno di Pontificato è stato senza dubbio il Sinodo sulla famiglia. Francesco ha esortato alla parresìa, la libertà nel parlare, ed è stato ascoltato. Tanti i temi dibattuti con vivacità. A chiusura dell’assemblea, anche il Papa ha parlato chiaramente: ricorda che la Chiesa è custode, non proprietaria del "depositum fidei", ma vede delle tentazioni. C’è quella dei cosiddetti “tradizionalisti”:

“La tentazione dell'irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”. (Discorso di chiusura del Sinodo sulla famiglia, 18 ottobre 2014)

Ma c’è anche la tentazione dei cosiddetti "progressisti e liberalisti":
“La tentazione del buonismo distruttivo, che in nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici”. (Discorso di chiusura del Sinodo sulla famiglia, 18 ottobre 2014)

Le 15 malattie curiali
C’è un altro tratto caratteristico di Papa Francesco: cerca i lontani e scuote con forza i vicini. Lo fa soprattutto nelle omelie mattutine a Santa Marta. Ma l’intervento più incisivo è stato in occasione degli auguri natalizi ai suoi collaboratori, quando ha elencato 15 “malattie curiali”, applicabili ovviamente a ogni cristiano: la patologia del potere e dell’accumulo, il complesso degli eletti, l’attivismo, l’impietrimento mentale e spirituale, la schizofrenia esistenziale, il vizio perenne delle chiacchiere, la mondanità. E poi “la malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso” e “causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli”:

“L’autodistruzione o il ‘fuoco amico’ dei commilitoni è il pericolo più subdolo. È il male che colpisce dal di dentro; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina»”. (Discorso alla Curia, 22 dicembre 2014)

I diritti “individualisti” generano la cultura dello scarto
Ma c’è un elemento del magistero di Francesco poco evidenziato dai media: la questione dei diritti, trattata in particolare nella visita a Strasburgo all’Europarlamento e al Consiglio d’Europa. Il Pontefice parla dei rischi “dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l’idea di diritto individualista”. Le conseguenze sono il disinteresse per il bene comune, la globalizzazione dell’indifferenza, la cultura dello scarto, dove a pagare sono sempre i poveri e i più deboli. E infatti, parlando alla Fao, afferma:

“Oggi si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri; forse ci siamo preoccupati troppo poco di quanti soffrono la fame. È inoltre doloroso constatare che la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla ‘priorità del mercato’, e dalla ‘preminenza del guadagno’, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria. E mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, chiede di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina”. (Discorso alla Fao, 20 novembre 2014)

Famiglia mai attaccata come oggi
L’individualismo fa valere, in modo sottile, la legge del più forte e - afferma Papa Francesco - porta a negare i diritti dei più vulnerabili: gli immigrati, gli anziani, i malati, le donne, i bambini nel grembo delle madri. In particolare, la società individualista attacca la famiglia come mai era accaduto prima. Il Papa riafferma con forza “il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma”, “nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva”. Ribadisce “il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli” e denuncia la “colonizzazione ideologica” delle teorie del gender a scuola, paragonata alle dittature del passato:

“Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’. Mi diceva … un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti - riferendosi a progetti concreti di educazione - si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”. (Discorso al Bice, 11 aprile 2014)

Aborto, eutanasia, obiezione di coscienza
Nei Paesi occidentali, la rivendicazione dei diritti individuali rischia di attaccare il diritto all’obiezione di coscienza sui temi etici fondamentali. E Papa Francesco, ampliando il discorso nell’incontro con i medici cattolici, ricorda che “il pensiero dominante propone a volte una ‘falsa compassione’: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica ‘produrre’ un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre”.  Ed esorta i medici a “scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza”.

Dalla riforma della Curia alla cultura dell’incontro
In Vaticano, intanto, prosegue la riforma della Curia e dell’amministrazione economica, mentre sul piano della tutela dei minori il Papa vara una Commissione specifica: non c’è posto nella Chiesa – afferma – per chi abusa dei bambini. A livello internazionale, l’impegno del Papa per la pace e la cultura dell’incontro, vede, dopo la veglia per fermare le armi in Siria, la preghiera in Vaticano con i presidenti israeliano e palestinese e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e l’azione decisiva per il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba. Un’attenzione forte, Papa Francesco la rivolge ai cristiani perseguitati nel mondo: ce ne sono più oggi – dice - che nei primi secoli. In agosto invia il cardinale Filoni in Iraq tra i cristiani cacciati dalle loro città dai jihadisti.

Lo Spirito Santo scombussola
Francesco entra nel terzo anno di Pontificato. Continua a chiedere una Chiesa in uscita che annunci a tutto il mondo il Vangelo della gioia. Esorta a vincere “la tentazione di fare resistenza allo Spirito Santo, perché scombussola, perché smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti”:

“Ed è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo. E la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo anche quando lascia da parte la tentazione di guardare sé stessa. E noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito. Egli è freschezza, fantasia, novità. (Messa nella Cattedrale Cattolica dello Spirito Santo, Istanbul, 29 novembre 2014)

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P. Spadaro: Francesco, leader grande vicino ai piccoli

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Un "Pontificato poliedrico", sostenuto da un messaggio di misericordia e caratterizzato da un linguaggio nuovo che manifesta una chiara leadership nel momento stesso in cui riesce comprensibile a chiunque. Sono alcuni dei tratti del ministero di Papa Francesco, messi in risalto dal gesuita padre Antonio Spadaro, direttore della rivista "Civiltà Cattolica". Davide Dionisi gli ha chiesto in quale momento cada, per la Chiesa cattolica, il secondo anniversario del Pontificato: 

R. – E’ un momento molto intenso, in cui sono attivi vari processi avviati da Papa Francesco, in modo particolare il processo sinodale che per lui ha un’importanza straordinaria. Cioè, l’intera Chiesa è in movimento non solo a riflettere, ma a raccogliere esperienza. In questo, la leadership di Papa Francesco risulta molto importante, perché è una leadership dal profilo alto – moralmente – ma capace di suscitare dal basso delle riflessioni. Poi, è un momento storico molto intenso, ricco di aspetti interessanti ma anche pieno di tensioni, tensioni difficili soprattutto nelle tensioni che vediamo nel mondo, in Medio Oriente in particolare. In tutto questo, la parola chiave che il Papa ha usato nei suoi viaggi internazionali è stata la parola “armonia”.

D. – Cosa pensò il 13 marzo di due anni fa, quando fu annunciata l’elezione papale dell’allora cardinale Bergoglio? Fu sorpreso?

R. – Sorpresa totale! Anzi, ricordo che mezz’ora prima dell’elezione un vaticanista mi chiese se l’elezione di Bergoglio potesse avvenire, potesse essere reale. Risposi chiaramente no, che era assolutamente impensabile. Quindi una grande sorpresa, grande stupore, seguito poi dalla sorpresa di vedere come quest’uomo si comportava, le parole che diceva… Quindi, un’esperienza di stupore, assolutamente.

D. – Quali i tratti più caratterizzanti del Pontificato di Papa Francesco?

R. – Sono tanti. Direi che è un Pontificato poliedrico, per usare un’immagine molto cara al Pontefice. Direi che forse la cosa che mi colpisce in modo particolare in questo momento è la dimensione del linguaggio. Il linguaggio del Papa è un linguaggio molto vicino alla gente, al sentire comune, direi quasi al linguaggio di strada, quindi tutti lo comprendono. Eppure, questo linguaggio così semplice e così vicino esprime una grande capacità di essere guida, di essere leader. Ricordo un leader musulmano, tra l’altro, che ha conosciuto Papa Francesco molto tempo fa, mi disse che con la sua elezione nel 2013 il mondo aveva acquistato un leader. Non solo, quindi, leader per i cattolici, ma una persona capace di dire una parola di significato morale per tutti.

D. – Papa Francesco può essere considerato, secondo lei, un Pontefice comodo, scomodo oppure…

R. – Non è né comodo, né scomodo. E’ un Pontefice che ritengo adatto al tempo che stiamo vivendo. In fondo, visto da uno sguardo di fede il Signore provvede alla sua Chiesa nel tempo presente dando alla Chiesa la guida che le serve per andare avanti nel suo cammino. Quindi, direi la guida giusta, che ha degli aspetti di “comodità”, nel senso che la gente si ritrova nelle sue parole, lo capisce, percepisce il suo messaggio. “Scomodo” perché evidentemente il messaggio di Francesco non è affatto un messaggio dolce o “zuccheroso”, come lui stesso dice, ma invita a un impegno, a una lotta quotidiana.

D. – Che giudizio può dare degli interventi pubblici di Papa Francesco, fatti attraverso gli scritti, le catechesi o i discorsi pronunciati durante i viaggi in Italia e all’estero?

R. – Sento che il motivo profondo che spinge Papa Francesco a parlare è far sentire la misericordia di Dio: lo ripete sempre, in vario modo e in molti contesti. Cioè, il Signore non è un Dio che punisce, non è un Dio sorvegliante, non è un Dio che fustiga, ma è un Dio che offre misericordia e soprattutto accoglie le persone, qualunque sia la condizione di vita che esse vivano. Quindi, diciamo che il motore, l’impulso fondamentale del suo magistero è un impulso missionario, capace di far cogliere le braccia di Dio che abbracciano ogni singolo uomo.

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Due anni con Francesco: l'opinione di un non credente

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In questi due anni di Pontificato le parole e i gesti di Papa Francesco hanno destato interesse anche tra molti non-credenti. Lo conferma la testimonianza di Luigi Alfieri, docente ordinario all’Università di Urbino, coordinatore della Scuola di scienze politiche e sociali dell’ateneo. Fabio Colagrande gli ha chiesto quale aspetto del magistero di Francesco l'abbia colpito di più: 

R. – Sicuramente l’aspetto sociale, che d’altra parte credo sia volutamente quello che dallo stesso Papa viene messo in primo piano. Papa Francesco sta prendendo sul serio e facendo prendere sul serio l’idea di una Chiesa dei poveri, che non è qualcosa di astratto, perlomeno non lo è nel suo caso. Direi che si configura, anzi, come una vera e propria precisa scelta politica che, come tutte le scelte politiche vere, è anche una scelta di parte, non in senso banale e tanto meno in senso ideologico o partitico; ma certamente implica opzioni fondamentali riguardo ai valori, riguardo a chi tutela questi valori e a chi, invece, non li tutela; implica certamente un giudizio molto preciso sull’attuale sistema economico mondiale e su questo il Papa mi sembra sia stato sempre del tutto esplicito. E quindi, direi che in questo momento la Chiesa di Papa Francesco si presenta come una Chiesa complessivamente dissenziente rispetto a un ordine mondiale che certamente non può più definirsi – ammesso che mai abbia potuto definirsi – un ordine cristiano.

D. – Da non credente, come considera l’immagine ricorrente di una “Chiesa in uscita”, così cara a Papa Francesco?

R. – Direi che è un’immagine che è insita anche nel nome che si è voluto dare. Certamente nessuno ha mai pensato che la scelta di chiamarsi Francesco – tra l’altro, da parte di un non-francescano – sia un dettaglio privo di importanza. Evidentemente, è una precisa indicazione di linea politica, anche una precisa scelta di immagine: appunto, una Chiesa che parla fraternamente agli ultimi e che quindi sceglie di stare dalla parte degli ultimi e non può farlo efficacemente senza ricorrere – appunto – al nome e all’immagine e alla dimensione simbolica che sta dietro a Francesco. Tra l’altro, con la piena consapevolezza di quello che è il problema della povertà è stato nei secoli, nei millenni, direi, nella Storia della Chiesa. E’ stato uno dei problemi cruciali e anche una delle maggiori fonti di lacerazioni, nella Chiesa. Certamente, il Papa attuale pensa che Francesco possa avere nel mondo di oggi un’attualità e quindi un ruolo simbolico paragonabile a quello che è stato svolto nel mondo medievale.

D. – Ecco: infine, come studioso, anche, dei fenomeni politici, come si spiega le capacità comunicative di Francesco?

R. – Certamente, se il mezzo è il messaggio, vale anche l’idea opposta: che il messaggio sia il mezzo. E appunto, un messaggio della semplicità, un messaggio del rifiuto degli orpelli, un messaggio – in un certo senso – di “desacralizzazione” della Chiesa, una Chiesa fraterna, una Chiesa che soccorre, non una Chiesa che “giudica” e “regna”, evidentemente se questo è il messaggio dev’essere espresso in maniera adeguata. Quindi è conseguente la sua scelta di un linguaggio semplice, spoglio, in realtà molto più raffinato di quello che non sembri. Papa Bergoglio è un grande intellettuale, non è certamente un semplice parroco di campagna, anche se a volte sceglie precisamente “quel” linguaggio o “quel” modo di porsi; ma lo fa in maniera raffinata, con la piena consapevolezza di che cosa vuole dire: per dire “quello”, deve dirlo “in quel modo”. Non mi fraintenda: non do certamente alla cosa un senso negativo; ma Papa Bergoglio è un finissimo politico, sicuramente uno dei più fini politici che la Chiesa abbia avuto negli ultimi decenni …

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Il Papa racconta a Televisa i due anni di Pontificato

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Migrazioni e narcotraffico, la riforma della Curia e le sfide del Sinodo per la Famiglia. Papa Francesco affronta tutti i temi caldi dei due anni di Pontificato in un’intervista alla giornalista Valentina Alazraki dell’emittente messicana Televisa, manifestando il suo desiderio di compiere un viaggio in Messico. Il servizio di Stefano Leszczynski:

Madonna di Guadalupe
Nella stanza di Santa Marta dove il Papa incontra i suoi più stretti collaboratori, domina un’immagine della Vergine di Guadalupe, una figura di fondamentale importanza e di grande devozione per tutto il Continente latinoamericano. E’ in quella stanza che per espressa volontà del Papa si svolge l’intervista a tutto tondo concessa all’emittente messicana Televisa. La Madonna di Guadalupe è per Francesco “fonte di unità culturale, che porta verso la santità in mezzo a tanto peccato, a tanta ingiustizia, a tanto sfruttamento e a tanta morte".

Dramma delle migrazioni
”I mali del Messico sono del tutto simili a quelli del resto del mondo: il dramma delle migrazioni e i muri eretti per contrastarle. Francesco parla della frontiera tra Usa e Messico, ma ricorda anche i migranti costretti ad attraversare il Mediterraneo in cerca di una vita migliore o in fuga dalle guerre e dalla fame. Sono i sistemi economici distorti a provocare questi grandi spostamenti, la mancanza di lavoro, la cultura dello scarto applicata all’essere umano. E poi la piaga del narcotraffico. Dove ci sono povertà e miseria, il crimine trova terreno fertile. Papa Francesco ricorda i 43 ragazzi trucidati dai narcos a Iguala e svela di aver voluto rendere omaggio alla loro memoria anche nominando cardinale l’arcivescovo di Morelia, “un uomo - dice Francesco - che si trova in una zona molto calda ed è un testimone di vita cristiana”.

Non girarsi dall'altra parte di fronte ai mali del mondo
Il Papa, proprio perché figlio di migranti, si sente spontaneamente portato a dare voce alle vittime della tratta e di una società ingiusta, anche se – nota Francesco – sarebbe infantile attribuire le responsabilità soltanto ai governi. Bisogna imparare a non girarsi dall’altra parte di fronte ai mali del mondo e questo riguarda ciascuno di noi. L’impegno dei cattolici nei confronti degli ultimi richiede un esercizio di prossimità. E’ il terreno sul quale la Chiesa viene sfidata dalle sétte e dai movimenti evangelici, soprattutto in America Latina.

Clericalismo e riforma della Curia
Il Papa ne parla con franchezza quando critica l’incapacità del clero di coinvolgere i laici a causa di un eccessivo clericalismo. Il Pontefice che è venuto dall’altra parte del mondo tocca tutti i temi che hanno caratterizzato i suoi due anni di Pontificato, primo tra tutti l’attenzione ai poveri e ai diseredati. E poi il lavoro di riforma della Curia, non tanto la forma di quella che definisce l’ultima corte d’Europa, ma la sostanza. Ogni cambiamento inizia dal cuore - spiega il Papa - e comporta una conversione nel modo di vivere. Una conversione che coinvolge la stessa figura del Pontefice e che è alla base dei fuori protocollo che tanto entusiasmano il popolo di Dio.

Tempo a disposizione non sembra essere molto
Una semplicità che spiazza, anche quando Francesco ammette che gli manca di poter girare liberamente, magari per poter andare in pizzeria senza essere riconosciuto. Ma il tempo a disposizione non sembra essere molto. Francesco ammette di avere la sensazione che il suo sarà un Pontificato breve, ma afferma anche di potersi sbagliare. All’intervistatrice che accenna all’eventualità di un ritiro per limiti di età, come avviene per i vescovi, il Papa risponde di non condividere una simile evenienza per la figura del Pontefice - definisce il Papato una grazia speciale - ma dice anche di apprezzare la strada aperta da Benedetto XVI riguardo alla figura del Papa emerito. Una scelta coraggiosa la definisce, come coraggiosa fu la decisione di avere reso pubblica la gravità degli abusi commessi da alcuni membri della Chiesa contro i bambini e la necessità di prendersi cura delle vittime. Lo stesso Francesco ne ha ricevute sei in Vaticano e la Commissione istituita ad hoc in Vaticano ha proprio lo scopo di prevenire e tutelare i bambini.

Sinodo sulla famiglia
Tutelare, proteggere, accompagnare. Sono gli stessi imperativi che Francesco attribuisce alla Chiesa quando parla del Sinodo sulla famiglia che si riunirà a ottobre per la sua seconda tappa. Definisce smisurate le aspettative su temi complessi e delicati come quello della Comunione ai divorziati risposati o in materia di omosessualità. Quello che è certo per Francesco è che la famiglia attraversa una crisi mai vista prima e che bisogna ripartire da una pastorale che si rivolga innanzitutto ai giovani e agli sposi novelli. I segnavia del Papa sono tracciati e già Francesco guarda a settembre con l’appuntamento di Filadelfia, la Giornata mondiale della famiglia, e all’Africa che visiterà presto e all’America Latina che lo attende.

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Il Papa ai coreani: saldi nella fede, lo zelo non si negozia

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Voi siete “una Chiesa di martiri”: non cedete alla “mondanità spirituale” e non negoziate sullo “zelo” che tiene vivo il Vangelo. È l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto nel pomeriggio di ieri alla folta comunità coreana che si è radunata nella Basilica di San Pietro assieme ai propri vescovi, presenti a Roma per la visita “ad limina”. Il Papa si è intrattenuto prima della Messa, poi celebrata dai presuli coreani, per ricordare la sua visita apostolica in Sud Corea dello scorso anno. Il servizio di Alessandro De Carolis

La trappola del “benessere religioso”, quella che annacqua la fede e ne trasforma il fuoco in uno scialbo tepore che non serve a nessuno. È l’insidia che deve schivare ogni cristiano e in particolare chi – come i cristiani di Corea – è stato generato da sangue e zelo, quello di tanti laici e tanti martiri.

Per favore, non cedete
È insistita, intensa, la raccomandazione che Francesco rivolge ai circa 400 coreani seduti in San Pietro con i loro vescovi incontrati dal Papa la mattina stessa. Siete un popolo “che mi ha edificato” – dice ricordando i giorni dello scorso agosto, quelli di una visita che definisce “bellissima” due volte. Però c’è una eredità di fede da portare avanti senza tentennamenti. Una storia di fede, ricorda Francesco, che in Corea poggia su due cardini:

“Primo, i laici. La vostra Chiesa è stata portata avanti durante due secoli soltanto da parte dei laici. Aiutate i laici ad essere consapevoli di questa responsabilità. Loro hanno ereditato questa gloriosa storia. Primo, i laici: che siano coraggiosi come i primi! Secondo, i martiri. La vostra Chiesa è stata ‘annaffiata’ col sangue dei martiri, e questo ha dato vita. Per favore non cedete. Guardatevi dal ‘benessere religioso’”.

Una fede “ammorbidita”
Francesco spiega che la tattica del benessere fu adottata dai giapponesi contro i cristiani per costringerli all’apostasia. Dopo averli torturati in carcere, un mese prima dell’abiura li portavano in belle case e servivano loro del buon cibo allo scopo di “ammorbidire" la fede e farli cedere. Attenzione, avverte il Papa, perché questo potrebbe accadere anche a voi:

“Se voi non andate avanti con la forza della fede, con lo zelo, con l’amore a Gesù Cristo, se voi diventate morbidi - cristianesimo ‘all’acqua di rose’, debole - la vostra fede andrà giù. Il demonio è furbo – dicevo – e farà questa proposta, il benessere religioso – ‘siamo buoni cattolici, ma fino a qui…’ – e vi toglierà la forza. Non dimenticatevi, per favore: siete figli di martiri e lo zelo apostolico non si può negoziare”.

Una promessa per l’Asia
Francesco poi cita un passo della "Lettera agli Ebrei", in cui l’autore dice ai cristiani: “Ricordate i primi tempi, quando avete lottato e sofferto per la fede. Non andate indietro adesso”. E ancora: “Ricordate i vostri padri nella fede, i vostri maestri, e seguite il loro esempio”:

“Voi siete Chiesa di martiri, e questa è una promessa per tutta l’Asia. Andate avanti. Non mollare. Niente mondanità spirituale, niente. Niente cattolicesimo facile, senza zelo. Niente benessere religioso. Amore a Gesù Cristo, amore alla croce di Gesù Cristo e amore alla vostra storia”.

A presiedere la Messa in San Pietro, assieme ai 26 vescovi e a 130 sacerdoti che studiano a Roma, è stato il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Igino Kim Hee-jong, arcivescovo di Gwangju. Davide Dionisi gli ha chiesto quali siano le sfide pastorali della Chiesa coreana e cosa sia cambiato dalla visita di Papa Francesco: 

R. – Abbiamo sentito specialmente la necessità di rinnovare noi stessi, per tutta la Chiesa coreana. La strada del Santo Padre ci spinge a camminare con più spiritualità, per mostrare una Chiesa povera per i poveri, non solo i poveri economicamente, ma anche gli oppressi, gli emigranti e così via.

D. – In che modo la Chiesa in Corea accompagna e sostiene lo sviluppo di una società indubbiamente moderna?

R. – Il nostro dovere, della Chiesa coreana, sarebbe quello di mostrare il valore spirituale, il valore della cultura. Quel materialismo che ci impedisce di andare avanti, di aiutare i poveri e che cerca solo lo sviluppo economico ci farà diventare un cosiddetto “animale economico”.

D. – Come avete preparato la visita “ad Limina”?

R. – L’anno scorso, la Conferenza episcopale ha cercato di adattare il messaggio del Santo Padre. Ogni diocesi sta studiando specialmente la “Evangelii Gaudium”. Ma anche noi vescovi volevamo fare qualcosa e abbiamo creato un fondo per aiutare i poveri, non soltanto i poveri coreani, ma anche le altre Chiese dell’Asia. Alla fine dell’anno, discuteremo su come possiamo utilizzare questo fondo economico per le altre Chiese dell’Asia.

D. – Come la Chiesa sta aiutando i fratelli che abitano, che vivono al di là del 38.mo parallelo, e in che modo fornisce il suo sostegno alla comunità del Nord?

R. – Noi cerchiamo specialmente di avere un dialogo e poi, con il dialogo, cercheremo una strada di riconciliazione e la cooperazione economica. Per esempio, due settimane fa ho incontrato un nordcoreano per avere uno scambio di opinioni. Cercheremo concretamente di avere un dialogo e di aiutare la ricostruzione della Chiesa, di cooperare economicamente con i nordcoreani. Per esempio, noi vescovi che siamo responsabili della riconciliazione tra Nord e Sud cercheremo di visitare la Corea nei prossimi anni.

D. – Guardando al futuro, dunque, che spazio hanno l’evangelizzazione e l’impegno sociale nella visione della Chiesa coreana?

R. – Noi vogliamo specialmente elevare lo spirito del Vangelo e anche l’insegnamento della Chiesa, considerando specialmente l’“Evangelii Gaudium”. Vogliamo applicarlo in ogni caso, non solo al clero, ma anche ai laici. Noi dobbiamo cooperare insieme.

D. – Quali sono le difficoltà che incontrate nel vostro servizio pastorale quotidiano?

R. – Il materialismo soprattutto impedisce di evangelizzare. Noi vogliamo educare, formare i laici, non solo i preti. Come lei sa, la storia della Chiesa coreana è cominciata con i laici. E allora noi vogliamo appoggiare l’attività dei laici. Nonostante la Chiesa cattolica sia minoritaria in Corea – la percentuale è solo del 10% – per quanto riguarda l’influsso sociale, la Chiesa cattolica pare sia più forte, paragonata ad altre religioni. Per esempio, il 30-35% dei parlamentari è cattolico. Anche il 30-35% dei generali militari è cattolico. Se c’è qualche problema sociale in Corea, sia i cattolici che i non cattolici aspettano di sentire le nostre parole al Paese. Tutti i coreani, quindi, hanno fiducia nella Chiesa cattolica, ma noi dobbiamo stare attenti, perché questo non è solo un onore, è un dovere molto serio.

D. – Che cosa racconterà ai fedeli coreani della visita “ad Limina” e dell’incontro con il Santo Padre?

R. – Il Santo Padre ci ha detto di fare un ponte per l’evangelizzazione dell’Asia. Noi faremo così. Vogliamo poi cambiare non solo materialmente, ma anche mandando missionari coreani ovunque. Vogliamo avere uno scambio pastorale con le Chiese dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Adesso, più di mille missionari coreani lavorano nei Paesi dell’Africa, dell’America Latina e anche dell’Asia.

D. – Il ruolo della famiglia in questo vostro impegno, in questa vostra sfida pastorale…

R. – Il problema della famiglia è molto importante. Per esempio, nella nostra diocesi tre anni fa ci siamo concentrati nel pregare, nel condividere la Parola di Dio, nel servire i vicini, le famiglie, per tre anni. Così tutti i vescovi coreani hanno sentito questo problema. Noi poi ci concentreremo ad aiutare la famiglia.

D. – I giovani?

R. – Come lei sa, i giovani sono una speranza della Chiesa del futuro. Noi dobbiamo comprendere bene il problema dei giovani. Noi vogliamo stare insieme ai giovani, comprendere i loro problemi.

D. – Se lei dovesse dire con precisione quali siano i messaggi più importanti che Papa Francesco ha lanciato durante il suo viaggio e che ha ribadito durante il vostro incontro, che hanno colpito di più il popolo coreano, quali sono?

R. – La vicinanza ai poveri, la vicinanza agli oppressi. Si sono commossi di questo. Anche noi dobbiamo praticare questa vicinanza. I pastori devono risvegliarsi di fronte ai problemi sociali, non solo all’interno delle mura della Chiesa. Dobbiamo uscire dalle mura della Chiesa, dalle mura chiuse della Chiesa. Dobbiamo andare più avanti, sia cattolici che non cattolici, sia religiosi che non religiosi. Dobbiamo stare con i poveri, con gli oppressi, e anche noi dobbiamo risvegliarci di fronte ai problemi sociali o politici, tenendo presente il valore del Vangelo.

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Francesco presiede in San Pietro la liturgia penitenziale

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Francesco nelle vesti di confessore. È ciò che vedranno i fedeli che nel pomeriggio, alle 17, saranno nella Basilica di San Pietro per partecipare alla celebrazione penitenziale presieduta dal Papa, che si tratterrà per qualche tempo anche in confessionale. La celebrazione si inserisce nell’iniziativa “24 ore per il Signore”, promossa dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, e vedrà anche alcune chiese aperte nel centro di Roma per l’adorazione eucaristica e le confessioni. Luca Collodi ha parlato dell’iniziativa con mons. Rino Fisichella, capo del dicastero promotore: 

R. – Direi che non poteva esserci momento più simbolico per celebrare l’inizio del terzo anno di pontificato di Papa Francesco. Non dimentichiamo che fin dal primo Angelus, affacciato alla finestra del Palazzo apostolico, il Papa aveva parlato esattamente della misericordia. Aveva detto: “Non dobbiamo mai stancarci di chiedere la Misericordia, perché Dio non si stanca mai di perdonarci”. E di questo punto di partenza  fondamentale dell’annuncio cristiano, che è quello della tenerezza, della misericordia, dell’amore di che perdona, il Papa ha fatto un suo cavallo di battaglia. Penso che si possa dire realmente che sia il primo punto all’ordine del giorno di Papa Francesco, cioè dare il segno della misericordia a tutti, nonostante tutto, senza escludere nessuno.

D. – Le 24 ore di preghiera iniziano proprio venerdì pomeriggio alle 17 nella Basilica di San Pietro…

R. – Il Papa anche quest’anno ha espresso il desiderio di presiedere questa celebrazione per indicare proprio che è un punto al quale tiene molto, ma anche per indicare, di nuovo, che lui sarà un confessore. Non dimentichiamo che lo scorso anno fu anche il primo penitente. Prima di entrare nel confessionale andò a confessarsi. E questa icona credo rimanga come un elemento fondamentale. Ci ricorda ancora una volta che questo è tempo favorevole per convertire il nostro cuore e andare verso la Pasqua in maniera più spedita.

D. – Dal venerdì sera, per tutta la notte, molte chiese nel centro di Roma resteranno aperte per l’adorazione eucaristica e le confessioni…

R. – Non soltanto a Roma, nel centro città, ma nel mondo intero. Questa è un’iniziativa che parte da Roma, ma rientra nella nuova evangelizzazione. Già l’abbiamo attuata l’anno scorso, quest’anno la ripetiamo e così anche negli anni futuri. Il venerdì e il sabato della quarta domenica di Quaresima in tutta la Chiesa si celebrano le 24 ore per il Signore. Noi abbiamo già avuto tanti vescovi che ci hanno risposto aderendo all’invito del Papa. Qui a Roma, in modo particolare, e nel centro storico in maniera simbolica, ci saranno tre chiese aperte: quella di sant’Agnese a Piazza Navona, quella delle Stimmate a Largo Argentina e la Basilica di Santa Maria nel pieno cuore di Trastevere. Rimarranno aperte fino a notte inoltrata, mentre il sabato si continuerà soltanto nella chiesa di Sant’Agnese a Piazza Navona. Ci saranno anche giovani in grado di animare questo momento di adorazione e di avvicinamento alla Riconciliazione. Giovani che sono capaci di andare in cerca di tanti altri loro coetanei che in queste zone di Roma pensavano di vivere un weekend in maniera diversa e che, invece, si vedranno proporre di entrare in chiesa, di scoprire il valore del silenzio e soprattutto di ritornare a quel sacramento che è la riconciliazione con il Signore.

D. – Per questa 24 ore di preghiera, voi avete preparato anche un volumetto che può aiutare anche al riflessione e la preparazione personale al sacramento della riconciliazione…

R. – Esatto. Noi abbiamo preparato un sussidio che è in distribuzione in quattro lingue: italiano, inglese, spagnolo e polacco. È distribuito a pieno ritmo in tutte le parrocchie e a quanti ne facessero richiesta. Questa testimonianza, le 24 ore per il Signore, è un‘iniziativa che avviane nel mondo. In questo nostro sussidio pastorale, si cerca di rispondere, innanzi tutto, a quelle domande comuni che sono presenti nel cuore delle persone: perché devo confessarmi? Che motivo c’è? Non posso farlo direttamente io con Dio? Sono quegli interrogativi a cui Papa Francesco ha saputo dare una bella risposta e che noi riportiamo nel sussidio. Oltre a questo, aiutiamo anche le persone a pregare, a riflettere sulla propria esistenza.

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Santa Sede: cristiani a rischio scomparsa in Medio Oriente

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“Sostenere la radicata presenza storica” dei cristiani e di tutte le comunità etniche e religiose del Medio Oriente, di fronte alla minaccia terroristica. È il senso della dichiarazione congiunta di Santa Sede, Federazione Russa e Libano, presentata oggi al Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Partecipa ai lavori, l’osservatore permanente della Santa Sede agli uffici Onu della città svizzera, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi. Il servizio di Giada Aquilino

Rischio di scomparsa completa dei cristiani in Medio Oriente
La “grave minaccia” rappresentata dal sedicente Stato Islamico (Daesh), da Al Qaeda e dai vari gruppi terroristici che operano in Medio Oriente, sta generando il “rischio di scomparsa completa per i cristiani” dalla regione, oltre a sconvolgere la vita di tutte le comunità locali. Questo l’allarme lanciato dalla dichiarazione - dal titolo “Sostenere i diritti umani dei cristiani e delle altre comunità, in particolare nel Medio Oriente” - firmata da 63 Paesi che così vogliono manifestare “una volontà politica positiva” per eliminare tali violazioni dei diritti umani, ha sottolineato l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi:

“Si cercano due strade diverse per arrivare a delle soluzioni. La prima è di sensibilizzare la comunità internazionale sui diritti umani di tutte queste categorie di persone, di queste comunità; e quindi nel Consiglio dei diritti umani si parla specificamente della situazione in Siria, del cosiddetto Stato Islamico, dell’Iraq e così via. E poi si cerca anche a livello informale - alcuni Stati importanti, come la Russia e gli Stati Uniti - di creare dei colloqui informali dove, al di là del diritto di veto che può esserci, per esempio, nel Consiglio di Sicurezza, si possano cercare dei compromessi, delle formule nuove, per arrivare a stabilire un cessate-il-fuoco: cioè far smettere finalmente la violenza, che tormenta da più di quattro anni questa regione”.

Abusi e conseguenze disastrose per le popolazioni
Nel mettere in luce la “pericolosa situazione che i cristiani devono affrontare” nella zona, il documento – riferisce l’osservatore permanente della Santa Sede - denuncia “gli abusi che vengono subiti da persone di qualsiasi appartenenza religiosa, etnica e culturale” che vogliono semplicemente esercitare la loro “libertà di religione e di credo, senza essere perseguitati o uccisi”. Il testo infatti evidenzia come la situazione di instabilità e conflittualità si sia recentemente “aggravata”, con “conseguenze disastrose” per l’intera popolazione mediorientale. “L'esistenza di molte comunità religiose è seriamente minacciata” e, si precisa, “i cristiani sono oggi particolarmente colpiti”: in questi giorni “anche la loro sopravvivenza è in questione”. Soffocati gli sforzi per costruire un futuro migliore di fronte a “violenza, odio religioso ed etnico, radicalismo fondamentalista, estremismo, intolleranza, esclusione, distruzione del tessuto sociale” che mettono “in pericolo l'esistenza stessa di molte comunità” e di quella cristiana “in particolare”:

“Parliamo degli atti barbarici di cui sono vittime i cristiani e non solo loro naturalmente, ma soprattutto loro. In questo caso volevamo fare risaltare l’abbandono in cui politicamente si trovano queste comunità cristiane, che sono vittime di decapitazioni, con persone che vengono bruciate vive, bambini che vengono ammazzati, donne e piccoli venduti al mercato come schiavi. Davanti a questa situazione, abbiamo voluto sottolineare che i diritti umani di queste persone sono uguali a quelli di tutte le altre persone”.

Contributo dei cristiani
La fotografia di tale realtà è fatta di “milioni di persone” sfollate e costrette a lasciare le loro “terre ancestrali”, per gruppi terroristici che compiono “violazioni dei diritti umani”, “repressione” e “abusi”. In questo quadro, “decine di chiese cristiane” e antichi luoghi di culto di “tutte le religioni” sono stati distrutti. Eppure il contributo dei cristiani in Medio Oriente è indubbio:

“La presenza cristiana nel Medio Oriente - dal Libano, alla Siria, alla Palestina, a Israele, all’Iraq - è una presenza che continua dai tempi apostolici. I cristiani costituiscono il fermento di una vitalità unica nella regione e contribuiscono con la loro presenza a un senso di pluralismo che rende possibile lo sviluppo della democrazia. Perché senza questa presenza c’è, appunto, il pericolo che venga imposta un’uniformità tale che non lasci spazio a sviluppi democratici. Il diritto di rimanere nelle loro case e nelle loro proprietà per i cristiani come per le altre comunità religiose - sciiti, sunniti, yazidi, alawiti - è qualcosa che è indipendente dalla credenza religiosa: è un diritto che viene alle persone. Sono cittadini come tutti gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri”.

Seri timori per comunità cristiane
Ci sono, quindi, sempre più motivi “per temere seriamente per il futuro delle comunità cristiane, che hanno oltre duemila anni di esistenza in questa regione”:

“L’idea è di creare non una posizione politica, ma una sensibilità umanitaria di rispetto dei diritti delle vittime della violenza, particolarmente dei cristiani, nella regione del Medio Oriente. Perché se non si fa qualcosa per loro - la possibilità che i loro diritti come cittadini vengano rispettati, che possano ritornare alle loro case: il diritto quindi di ritorno per i rifugiati - c’è il serio pericolo che le comunità, ridotte al minimo già adesso dopo più di un secolo di continuo dissanguamento, spariscano completamente e che il Medio Oriente, la regione dove Gesù è nato, dove il cristianesimo ha cominciato a svilupparsi, diventi una regione del mondo vuota della testimonianza e della presenza cristiana”.

Pluralismo è arricchimento
I promotori e i firmatari auspicano quindi che a loro si uniscano “i governi e tutti i leader civili e religiosi del Medio Oriente” per affrontare tale “allarmante situazione” e “costruire insieme una cultura di convivenza pacifica”: nel nostro mondo globalizzato – concludono – “il pluralismo è un arricchimento”. Un Medio Oriente “senza le diverse comunità” significa dunque un Medio Oriente che rischia “nuove forme di violenza, esclusione e assenza di pace e sviluppo”.

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Delegazione vaticana in Siria a nome del Papa

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Porteranno con sé l’abbraccio e l’aiuto del Papa ai siriani l’arcivescovo Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, e padre Max Cappabianca, officiale del Dicastero, e incaricato della Segreteria della ROACO (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali, che da oggi a mercoledì prossimo saranno in visita in Siria.

“Il viaggio – si legge in una nota ufficiale – intende esprimere visibilmente la costante attenzione con cui la Santa Sede continua a seguire la drammatica situazione del popolo e della Chiesa in Siria, e il sostegno che la Congregazione, a nome del Santo Padre, garantisce a pastori e fedeli del Paese”.

Mons. Vasil’ parteciperà alla riunione dell’Assemblea dei Gerarchi Cattolici e all’incontro dei responsabili della Caritas nazionale, oltre a presiedere un incontro di giovani cristiani previsto per sabato a Damasco. Oltre alla visita ad alcune strutture caritative e pastorali, è prevista la preghiera sulla tomba del sacerdote gesuita Frans Van Der Lugt, ucciso a Homs il 7 aprile 2014.

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Messaggio di p. Lombardi all'Unione Africana di Radiodiffusione

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Rinnovare l’immagine del continente africano e la sua piena partecipazione ai diversi dibattiti a livello mondiale: è questo l’auspicio espresso da padre Federico Lombardi, direttore generale della Radio Vaticana, in un messaggio inviato all’ottava Assemblea generale dell’Unione Africana di Radiodiffusione (Uar). L’incontro, che si svolge oggi e domani a Dakar, in Senegal, ha per tema “Le sfide del passaggio al digitale; il lancio della Rete di scambio di contenuti Menos-Uar”. Menos, infatti, è un progetto panafricano che mira alla creazione di una piattaforma per condividere programmi di attualità televisiva e radiofonica.

Nel suo messaggio, Padre Lombardi esprime “apprezzamento ed incoraggiamento per l’impegno dell’Uar nel favorire lo sviluppo umano ed il miglioramento della qualità della vita a livello continentale”. Quindi, sottolineando come il passaggio al digitale comporti “numerose sfide” economiche, sociopolitiche e culturali, il direttore generale della Radio Vaticana evidenzia che “la convergenza digitale induce ad un cambiamento e necessita di una nuova visione della collaborazione” tra i diversi settori dei singoli Stati ed a livello mondiale. Ciò significa “non semplicemente produrre l’informazione, ma anche condividerla”. Una necessità, conclude Padre Lombardi, ribadita spesso da Papa Francesco nei suoi numerosi appelli contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. (I.P.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sotto il segno della misericordia: nel giorno in cui inizia il terzo anno di pontificato Francesco presiede la celebrazione della penitenza nella basilica vaticana.

La traduzione italiana integrale dell’intervista concessa dal Papa alla giornalista Valentina Alazraki dell'emittente messicana Televisa.

L’Is nega le sconfitte e rinnova le minacce.

Dialogo per la pace in Libia: proseguono i contatti con la mediazione delle Nazioni Unite.

Esclusa l’ipotesi di un default di Atene: incontro a Bruxelles tra il premier greco e il presidente della commissione europea.

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Oggi in Primo Piano



Ebola: 10 mila morti, meno contagi. Fine epidemia entro estate

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Dieci mila decessi in tutto, quasi 25 mila malati, ma nell’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’ebola si trovano anche dati incoraggianti come la contrazione del virus nella distribuzione geografica, la diminuzione dei contagi in Guinea e Sierra Leone, mentre la Liberia non registra nuove infezioni da due settimane. Secondo l’Onu servono ancora 400 milioni di aiuti internazionali per dare il colpo finale alla malattia che potrebbe arrivare entro l’estate, come conferma Giovanni Maga, responsabile del laboratorio di virologia molecolare del Cnr di Pavia, al microfono di Cecilia Seppia

R. – Sicuramente parliamo di dati positivi, da 300 casi di contagio la settimana, siamo passati a 100-115 in Guinea e Sierra Leone, anche se non sempre parliamo di dati attendibili, per via delle notifiche che arrivano in ritardo. In ogni caso l’epidemia potrebbe essere fermata nel giro di qualche mese, forse anche prima dell’estate. Un problema, chiaramente, è quello di continuare ad investire in risorse che sono soprattutto risorse umane perché ancora oggi uno dei principali veicoli di trasmissione sono, ad esempio, i funerali, quindi l’interramento dei cadaveri in condizioni non sterili, non controllate. Il controllo di questa pratica richiede un grande sforzo, ci vogliono squadre di persone specializzate che vadano casa per casa a convincere i famigliari a intraprendere una sepoltura secondo le norme di sicurezza, che spesso sono in contrasto con le tradizioni religiose culturali.

D. – Quindi notizie positive che fanno ben sperare: però, secondo l’Onu, mancano ancora 400 milioni di dollari di aiuti internazionali per poter dare il colpo finale alla malattia. A cosa serviranno questi soldi?

R. - Fondamentalmente per reclutare, formare personale anche locale per l’assistenza ai pazienti, per implementare le misure di prevenzione, aumentare la capacità dei centri di assistenza di accogliere i pazienti, di supportare le loro funzioni vitali come si fa negli ospedali occidentali, fino a quando il paziente stesso non riesca a superare la fase critica. Quindi è estremamente necessario continuare ad aiutare questi Paesi, che sono fra i più poveri dell’Africa, a dotarsi delle attrezzature per fare fronte non solo a questa epidemia ma anche a quelle future, perché il virus non scomparirà, continuerà a circolare e si sa che la comparse nella popolazione umana avviene in maniera casuale, quando qualcuno ad esempio entra in contatto con animali infetti, anche per scopo alimentare.

D. – Un altro dato sempre segnalato dall’Oms è che in questi Paesi dell’Africa occidentale colpiti da ebola è stato lanciato un allarme morbillo: 2 milioni di bimbi tra i 9 mesi e i 5 anni potrebbero morire. Questo a cosa si deve?

R. – Sono calate le vaccinazioni di routine per far fronte all’emergenza e il morbillo è il virus più contagioso che si conosca, quindi è in grado di dare epidemie molto estese e in modo molto rapido. Soprattutto in un contesto già fragile dal punto di vista sanitario, come può essere appunto un Paese africano, può anche avere delle conseguenze mortali per i neonati e per i bambini piccoli. Quindi è sicuramente un dato preoccupante, da non trascurare.

D. – Secondo gli analisti, la diminuzione dei nuovi casi di ebola rappresenta paradossalmente un problema: cioè i 'trial' clinici che sono in corso per studiare i futuri trattamenti per la malattia potrebbero subire uno stop anche per mancanza di pazienti. Secondo lei c’è questo rischio?

R. – Ci sono stati almeno due casi noti di 'trial' clinici che dovevano partire e che sono stati fermati proprio perché il numero di pazienti disponibili si è contratto. Secondo me non è ancora questo il momento in cui possiamo dire che non ce ne sono abbastanza per i 'trial' clinici, però è necessario superare tutti quegli ostacoli burocratici, normativi, politici, economici, che in questo momento, in alcuni casi, stanno ritardando l’inizio dei 'trial'.

D. - Come siamo messi sul fronte dei vaccini? L’Italia è ed è stata in prima linea. Lei giustamente diceva che l’epidemia potrebbe ritornare, magari non così forte come quella che stiamo vivendo, che abbiamo vissuto, però potrebbe ritornare. In caso ritornasse, c’è un vaccino allo stato dei fatti?

R. – Ci sono due vaccini che sono in sperimentazione: hanno superato la prima fase, ci sono dati che indicano che non causano effetti collaterali gravi, di fatto nessun effetto - perlomeno il numero di persone sane che è stato investigato per un periodo limitato di tempo - ma per arrivare alla certezza che questi vaccini siano efficaci sono necessari studi che normalmente durano anni. In una condizione di emergenza si possono accorciare il più possibile i tempi ma non è possibile oggi dire: abbiamo un vaccino contro ebola. Forse non sarà possibile neanche dirlo entro la fine di questa epidemia. Abbiamo però almeno due candidati molto promettenti, quello si può dire, ed è già comunque un grosso passo avanti.

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UE: aborto e nozze gay "diritti politici e umani". Belletti: precisa strategia

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“Dopo le nozze gay, il prossimo passo è quello delle adozioni per queste coppie”. Così il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, all’indomani del via libera del parlamento Ue alla Relazione su diritti e democrazia nel mondo, contente non solo un nuovo e più incisivo riferimento all'"aborto sicuro e legale" come "diritto inalienabile", ma anche un “incoraggiamento” agli Stati membri al riconoscimento delle unioni omosessauli in quanto “diritto politico e umano”. “E’ una battaglia ideologica, che travisa il significato dei diritti”, sottolinea in sintesi, Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – Diciamo che siamo di fronte a una strategia molto di lungo periodo, che tende a introdurre elementi di una certa cultura – quindi la cultura dei diritti, la cultura individualistica delle persone… Di fatto, la cosa che un po’ disorienta è che è una cultura non relazionale, quindi questo tema dei diritti parla solo del singolo individuo slegato dalle relazioni e dalle responsabilità. Questi continui interventi di pronunciamenti generali di affermazioni di diritti sembra lascino il tempo che trovano, in realtà sono come singoli chiodi piantati in montagna durante una scalata. Poi ci si appoggerà a questi pronunciamenti per continuare a rappresentare questa vertenza, di fatto andando anche contro le regole interne dell’Unione Europea sulla sussidiarietà. Infatti, sul rispetto delle culture delle singole nazioni sul tema del matrimonio, sul tema dell’identità della famiglia, l’Europa si è autolimitata – dicendo che non tocca a lei ma tocca alle legislazioni nazionali – e poi con questi pronunciamenti va a smantellare la legittimità delle scelte nazionali. Ecco, qui c’è un gioco molto complicato, perché purtroppo sono oggettivi attacchi all’identità della famiglia.

D. – Il Papa, parlando al parlamento europeo a novembre, ha citato esattamente quello che lei diceva, cioè questo rischio di passare dal diritto umano al diritto individualistico. Cosa fare?

R. – Diciamo che il progetto culturale della famiglia all’interno dell’identità europea è un progetto di lungo periodo, è un progetto che ha di fronte una verità antropologica. Invece, queste nuove culture tendono a cavalcare la legge per cambiare la testa delle persone. Un po’ il contrario di quello che dovrebbe fare la legge: la legge dovrebbe essere espressione della volontà del popolo. Invece, così si vuole cambiare la testa delle persone. Tantissimi interventi sull’educazione al "gender" hanno proprio questa cultura esplicita: dobbiamo intervenire prima possibile perché la gente la pensi in modo diverso. E quindi si tratta di mantenere vigile il discorso pubblico, cioè bisogna riuscire a distinguere che un conto è rispettare i diritti delle persone, degli individui – e tutelarli quindi contro ogni atteggiamento di marginalizzazione e di violazione dell’integrità della persone – e un conto è andare a rivisitare alcune istituzioni fondamentali dell’umano. E la famiglia e la tutela della vita, sempre e comunque, sono due pilastri fondamentali di una società umana e equa. E’ questa la cosa preoccupante: che si vanno a deteriorare le fondamenta dell’umano. Dopo, se l’aborto diventa un diritto anziché essere giudicato come un’operazione negativa – al di là del fatto che sia possibile oppure no – e se la famiglia viene totalmente svuotata di significato si indebolisce radicalmente la protezione dell’umano.

D. – Come battersi, in maniera ovviamente pacifica e dialogante, per portare avanti le proprie idee, se non sono queste?

R. – Diciamo che il dibattito è sia a livello politico-istituzionale, poi c’è la battaglia culturale di convincimento, cioè far risuonare nel discorso pubblico – appunto – l’idea che la difesa della famiglia, la difesa della vita è un valore di progresso, è un valore di futuro, non è la difesa di un passato. E poi c’è un lavoro di testimonianza: cioè rifondare dal basso un popolo che, qualunque cosa pensino le élite che votano nei parlamenti, comunque alla vita e alla famiglia crede fino in fondo con la propria esperienza concreta. E questo popolo c’è. Dobbiamo essere più coraggiosi…

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Sindacati e presidi: per la "Buona Scuola" servono più risorse

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Sindacati e presidi cauti sulla riforma della “Buona Scuola” varata ieri sera dal Consiglio dei Ministri. Soprattutto c’è attesa per il passaggio parlamentare che potrebbe modificare parte del provvedimento. Per il premier Renzi è tra le riforme più importanti del governo. Alessandro Guarasci

Approssimativa e ancora non sufficiente. I sindacati vedono la riforma di Renzi con molte ombre e poche luci. Insomma, tanta comunicazione da parte del premier ma ancora non c’è un articolato di legge. Positivo il fatto che siano stati confermati gli scatti per gli insegnanti, ma perplessità sulla possibilità per i presidi di decidere a quale insegnante meritevole dare il bonus del 5% sullo stipendio. Francesco Scrima, segretario generale di Cisl Scuola:

“Se questa fosse una posizione rigida, significa che chi sta pensando queste cose, non conosce la scuola nella sua realtà, perché la scuola è una comunità educativa. La futura valutazione del personale non può essere gestita in termini monocratici o con due persone scelte direttamente dal capo d’istituto”.

Serve mettere le risorse, dicono i sindacati. Si stabilizzano 100mila insegnanti, ma la Legge di Stabilità aveva già decurtato le supplenze. Ancora Scrima:

“Se già nella legge di stabilità, c’è scritto che non si possono sostituire fino a sette giorni i collaboratori scolastici, i bidelli, immaginate cosa significa una scuola elementare che normalmente ha quattro, cinque o sei plessi distaccati dove c’è un solo collaboratore scolastico. Nel momento in cui  questa persona si ammala, si assenta da chi sarà sostituito?”.

Arrivano poi gli sgravi, forse del 22 %, per chi manda i propri figli alle paritarie, ma lo sgravio vale solo fino alle medie. Le superiori d'ispirazione cattolica sono 656. Padre Giovanni La Manna, rettore dell’Istituto Massimo di Roma:

“E’ una discriminazione. Quello di cui ho timore è che, visto che ci sarà  una passaggio in parlamento, molto probabilmente gli sgravi si attesteranno soltanto sull’infanzia, dove lo Stato fa fatica, e dove trova un’utilità nel fatto che le suore possono avere degli asili. Non c’è l’onesta di fondo di dire: ‘Garantiamo a tutti l’istruzione rispettando la scelta dei genitori’”.

Dunque anche per padre La Manna bisogna investire sulla scuola tutta, statale e paritaria:

“È stupido insistere su una contrapposizione facendo emergere l’aspetto economico. Io non credo che non finanziando i genitori che decidono per la scuola paritaria, quelle risorse finiscano alla scuola statale e che siano poi in grado di migliorare quest’ultima. Prima dell’economia, dobbiamo mettere al centro gli alunni, i programmi, ma facciamolo tenendo conto di cosa accade intorno a noi: noi siamo parte di una realtà più ampia, l’Europa. Insisto: come è possibile che parliamo di Unione Europea e abbiamo ancora sistemi diversi per cui il laureato in un altro Paese arriva sul mercato del lavoro prima di un italiano?”.

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Giornata Unitalsi. Pagliuca: aiutare persone con disabilità

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Promuovere la sensibilizzazione verso i bisogni dell’altro. Questo l’obiettivo alla base della XIV Giornata nazionale dell’Unitalsi, che si celebra il 14 e il 15 marzo in duemila piazze italiane. Anna Zizzi ne ha parlato il presidente nazionale dell’Associazione, Salvatore Pagliuca

R. – La Giornata nazionale Unitalsi nasce dalla necessità di comunicare tutti i progetti, le attività, le azioni di sostegno alla malattia, alla disabilità che l’Associazione ha messo in campo sul territorio italiano. C’è una necessità di presentarsi, di dire chi siamo, cosa facciamo per un’Associazione che nell’immaginario collettivo è vista come quella dei “treni bianchi”, cioè che fanno i pellegrinaggi a Lourdes, a Loreto, a Fatima.

D. – In occasione della 14.ma Giornata nazionale Unitalsi, è stato scelto come simbolo una piantina di ulivo. Cosa rappresenta?

R. – L’ulivo notoriamente è simbolo di pace. A noi piace pensare che un albero rappresenti il forte radicamento nel territorio e la durata nel tempo. Quindi, l’ulivo rappresenta un po’ ciò che vuole essere la nostra Associazione: radicata e credibile nel territorio, con attività e impegni che non si limitano a un breve periodo ma che sono proiettati nel tempo, perché chi vive la malattia e la disabilità non la vive solo per qualche giorno, ma per 365 giorni l’anno, per molti anni.

D. – Quali sono gli obiettivi che contate di raggiungere con la celebrazione di questa Giornata?

R. – Un obiettivo è quello di farci conoscere meglio e presentare le nostre attività. L’altro è quello del rilancio forte del pellegrinaggio, in particolare di quello a Lourdes. Per noi, è il pellegrinaggio in un luogo di grazia che ha messo al centro della sua attenzione proprio la malattia. Non a caso San Giovanni Paolo II istituì la Giornata mondiale del malato l’11 febbraio, la ricorrenza delle apparizioni a Bernardette.

D. – Quali sono gli eventi organizzati in occasione di questa Giornata?

R. – Saremo presenti in circa duemila piazze in tutta Italia con alcuni punti di incontro e, a seconda delle varie realtà territoriali, presenteremo anche ciò che facciamo. Ci saranno momenti di festa, di gioco, di testimonianza da parte di alcuni nostri amici che fanno parte del mondo dello spettacolo. Insomma, sarà una sorta di happening nelle varie piazze d’Italia a seconda delle risorse che ci sono nei territori.

D. – Quali sono i maggiori progetti che Unitalsi porta avanti?

R. – I maggiori progetti sono, oltre il pellegrinaggio che è quello principale, le case famiglia. Una risposta a una domanda angosciosa che ci viene rivolta da molti genitori proprio nei pellegrinaggi è questa: che ne sarà di mio figlio dopo di me? E quindi abbiamo sviluppato una casa famiglia che cerca di dare una risposta a questo problema. Ci sono diverse attività che svolgiamo nei territori che sono frutto della fantasia della carità.

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Cinema. "Io sono Mateusz": dalla disabilità, inno all'amore

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Dopo aver vinto importanti premi e aver coinvolto emotivamente il pubblico di numerosi festival internazionali, è nelle sale italiane “Io sono Mateusz” del regista polacco, Maciej Pieprzyca. Il film è tratto dalla vera storia di un ragazzo affetto fin dalla nascita di paralisi cerebrale. Un film sulla vita, la malattia e la forza dell’amore. Il servizio di Luca Pellegrini

"Tredici al giorno, novantuno a settimana, almeno quattrocento al mese, meno i trenta che sputavo. Erano queste le mie lezioni di matematica". Sono i bocconi della pappa che la mamma di Mateusz gli porta alla bocca e lui commenta così, con la sua voce interiore, perché quella vera non gli può uscire. La paralisi cerebrale che lo affligge dalla nascita non gli permette di vivere come i suoi coetanei. Lui si muove a stento, le articolazioni sono contorte, i suoni che emette simili a grugniti, striscia per casa oppure sta alla finestra a guardare silenzioso il mondo là fuori.

Amore senza misura
Ma Mateusz è amato per ciò che è: una persona. Il padre gli dice, sull'uscio: "Quanto sei bello" e lo incoraggia a non arrendersi mai. Non vede quel corpo accartocciato sul pavimento, ma il figlio che ha generato con amore. E con una pazienza coraggiosa e un affetto incommensurabile la mamma lo accudisce senza desistere mai, dapprima nel piccolo appartamento dove vivono – siamo nel 1987, in Polonia – poi in un centro di assistenza specializzato. Soltanto dopo 25 anni si scoprirà che Mateusz non è un vegetale, come affermavano i medici, ma una persona in grado di comunicare.

Una storia vera
Maciej Pieprzyca dirige con grande intensità “Io sono Mateusz”, tratto da una storia vera, quella di Przemek, tutt'ora ospite di una struttura che accoglie questo genere di disabili. "Volevo creare una storia sul mondo dei disabili ma non doveva essere un film triste – ha dichiarato il regista polacco – Ho trovato in Dawid Ogrodnik un interprete eccellente, dotato di una straordinaria capacità di trasformazione".

Film sulla bellezza dell’amore
Il film, pur mettendo in scena il dolore, la malattia e le terribili difficolta di conviverci ogni giorno, non ha mai un attimo di tristezza, non spinge mai al pietismo. E' un meraviglioso documento sulla vita, che è triste e allegra, terribile e gioiosa. Dove l'amore riesce sempre a trasformare, rigenerare, creare un sorriso, una speranza, un piccolo istante di felicità. Ne sono coscienti tutti, spettatori per primi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iniziativa della Chiesa inglese per i cristiani perseguitati

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“Un messaggio di speranza”: così mons. Declan Lang, presidente del Dipartimento per gli Affari internazionali della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles definisce l’iniziativa di inviare ai cristiani perseguitati nel mondo una cartolina di auguri per la Pasqua. L’idea, spiega, è quella di “incoraggiare i cattolici a prendere contatti con i cristiani, prigionieri di coscienza e difensori dei diritti umani”, detenuti in diverse parti del globo.

Iniziativa resa possibile grazie ad Acat
L’iniziativa viene resa possibile grazie all’organismo Acat, "Azione dei cristiani contro la tortura", che per la prima volta ha pubblicato una lista contenente alcuni dettagli sui cristiani perseguitati, tra cui un insegnante arrestato in Indonesia, un sacerdote minacciato a causa del suo impegno per i diritti umani a Cuba e una donna che rischia la vita in Pakistan per la sua attività in favore delle minoranze religiose.

Dare speranza ai perseguitati
“Le cartoline – spiega l’Acat – fanno capire alle autorità locali che questi detenuti non sono stati dimenticati e ciò può portare a condizioni carcerarie migliori o a nuovi processi che possono concludersi con la scarcerazione”. Una simile iniziativa, quindi, può essere un modo per “sostenere e incoraggiare” i carcerati, “accendendo un piccola luce nelle loro vite”. “Papa Francesco – aggiunge mons. Lang – esorta a supportare i cristiani perseguitati in ogni parte del mondo. Spedire loro un messaggio di auguri pasquali è un gesto concreto molto forte per dare speranza” e dimostrare “solidarietà” nei loro confronti. (I.P.)

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L’arcidiocesi di Madrid organizza la Settimana per la vita

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Si apre sabato 21 marzo la “Settimana per la vita” promossa dall’arcidiocesi di Madrid. L’evento, che si conclude il 28 marzo, vede il suo culmine il 25 marzo, Giornata nazionale della vita, della quale riprende il tema “C’è vita in ogni vita”. Tanti gli eventi ospitati da diverse parrocchie di Madrid, nel corso della settimana: il 21 marzo, ad esempio, nella parrocchia della Purificazione di Nostra Signora, si terrà una Santa Messa dedicata a “genitori speciali per figli speciali". Il 22 marzo, invece, nel Cineforum della parrocchia del Buon Successo, verrà proiettato il film “La chiave di Sara”, che narra il dramma dell’Olocausto.

Veglia di preghiera contro l’aborto
E ancora: il 25 marzo, nella Collegiata di San Isidro, l’arcivescovo di Madrid, mons. Carlos Osoro, presiederà l’Eucaristia e un Veglia di preghiera per la vita, durante la quale verranno presentate testimonianze di donne incinte, famiglie numerose, genitori con figli disabili e nonni. Una benedizione particolata verrà quindi impartita a tutte le gestanti. A concludere la Settimana, sarà un Messa celebrata nella parrocchia dello Spirito Santo, secondo una particolare intenzione di preghiera contro l’aborto.

La vita è sempre un dono prezioso
Dal suo canto, il delegato per la Famiglia dell’arcidiocesi madrilena, Fernando Simón, esorta i fedeli a “riconoscere il prezioso dono di ogni vita umana, specialmente di coloro che nascono o vivono con alcune vulnerabilità o disabilità”. L’invito, quindi, è a chiedere “alla Vergine Maria di insegnarci ad accogliere ogni vita umana a partire dal concepimento, specialmente i più deboli o più indifesi”. (I.P.)

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Lavoro e dignità: Convegno della Comece a Bruxelles

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“Lavoro decente, strada verso la dignità per tutti”: questo il Convegno che si terrà il 17 marzo presso la sede del parlamento europeo a Bruxelles. Il dibattito è organizzato dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) e si pone l’obiettivo di contribuire ai negoziati in corso a livello europeo e internazionale, in riferimento all’agenda per lo sviluppo sostenibile post-2015. Saranno presenti anche numerose organizzazioni non governative e associazioni cattoliche attive nel sociale.

Lavoro dignitoso, chiave per sradicare povertà
Il dibattito partirà da una constatazione: “La maggior parte della forza lavoro globale sopravvive oggi con posti precari, senza protezione sociale e guadagni appena sufficienti per vivere o con lavori a servizio delle catene di produzione globali, che servono per lo più solo una parte del pianeta”. Ad aprire i lavori sarà il vicepresidente della Comece, e vescovo di Piacenza-Bobbio, mons. Gianni Ambrosio, mentre il segretario generale, padre Patrick Daly, ne guiderà il dibattito. In programma anche l’intervento di referenti delle istituzioni europee sullo "status quaestionis" dei negoziati, mentre esponenti di sindacati, imprenditori, giovani, forze politiche cercheranno di riflettere sui passi ulteriori da compiere per raggiungere possibilità di lavoro dignitoso, chiave per sradicare la povertà. Da segnalare, infine, che dal 18 al 20 marzo i vescovi della Comece si riuniranno in Assemblea plenaria.

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Gabon. Mons. Mvé Engone: a Quaresima siamo artigiani di pace

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L’impegno del Gabon e dell’Africa tutta per la giustizia, la riconciliazione e la pace deve essere “professato, celebrato, vissuto e pregato”. Scrive così mons. Basile Mvé Engone, vescovo di Libreville, nel suo messaggio per la Quaresima 2015. Nel testo, il presule prende spunto dall’analogo documento di Papa Francesco ed esorta a contrastare “la globalizzazione dell’indifferenza” che oggi sembra predominare nella società. “Il popolo di Dio ha bisogno di rinnovamento – sottolinea il presule – perché come si può essere artigiani di pace restando indifferenti gli uni agli altri?”.

La Quaresima, tempo di rafforzamento spirituale
Per questo, continua mons. Mvé Engone, la Quaresima rappresenta “un’occasione per rafforzare la nazione gabonese e pregare per i suoi abitanti”, tenendo a mente anche il motto dell’anno pastorale in corso, ovvero “Beati gli artigiani di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Un tema che segue quelli del 2013 e 2014, sempre ispirati alla riconciliazione: due anni fa, infatti, l’arcidiocesi di Libreville si era soffermata sul motto “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia”, mentre lo scorso anno pastorale era stato dedicato al tema “In nome del Signore, lasciatevi riconciliare con Dio”.

Accettare le differenze reciproche per promuovere la pace
E sempre alla pace è stata dedicata la Messa solenne che mons. Mvé Engone ha presieduto due giorni fa nella cattedrale cittadina di “Nostra Signora dell’Assunzione”, assieme ai membri delle Commissioni episcopali Giustizia e pace, Famiglia ed educazione, e con religiosi, religiose, gruppi e Movimenti ecclesiali. Da segnalare, infine, che il tema della riconciliazione era stato al centro anche della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, svoltasi lo scorso gennaio: in quell’occasione, infatti, l’arcivescovo di Libreville aveva esortato cattolici e protestanti “ad andare gli uni verso gli altri, accentando le reciproche differenze, per riportare la pace, così tanto minacciata nel mondo”. (I.P.)

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Togo: Forum sulla Vita consacrata nell’Africa dell’Ovest

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“Le comunità dei consacrati, testimoni di riconciliazione, giustizia e pace”: è stato questo il tema al centro del terzo Forum sulla vita consacrata nell’Africa dell’Ovest, svoltosi a Lomé, in Togo, dal 5 all’8 marzo scorsi. Nove le Chiese rappresentate all’incontro: Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Senegal, Nigeria, Ghana e, naturalmente, Togo. A organizzare il Forum è stata l’Unione delle superiori maggiori del Togo, assieme ad altre comunità religiose, parrocchie, ma anche numerosi laici. Presente all’incontro, inoltre, il nunzio apostolico in Benin e Togo, mons. Brian Udaigwe.

Riconciliazione e collaborazione
Tre, in particolare, gli spunti di riflessione che sono stati presentati da mons. Nicodème Barrigah-Benissan, presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace della Chiesa togolese, e da padre Vincent Kambere, assunzionista della diocesi di Sokodè: la questione della riconciliazione in seno alla comunità di consacrati, la loro collaborazione con il clero locale e l’appello alla conversione personale e permanente. L’evento è stato concluso dal una Messa solenne presieduta dall’arcivescovo di Lomé, mons. Denis Komivi Amuzu-Dzakpah. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 72

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.