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Sommario del 16/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Bosnia ed Erzegovina. Papa: ogni energia per aiutare i deboli

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Non “risparmiate energie” per sostenere deboli e poveri e per aiutare chi voglia rimanere in patria evitando di ingrossare le file dei migranti. È l’appello di Papa Francesco ai vescovi di Bosnia ed Erzegovina, ricevuti in visita “ad Limina”. Il Papa ha parlato dei problemi della disoccupazione e dei ricordi della guerra ancora vivi, esprimendo solidarietà al Paese in attesa di incontrarne di persona la gente il prossimo 6 giugno, durante la sua visita a Sarajevo. Il servizio di Alessandro De Carolis

Vent’anni di calma relativa non cancellano una memoria di guerra, specie una dai risvolti particolarmente crudeli come quella che a metà degli anni Novanta disintegrò i Balcani. E il peso dei ricordi è come sale sulle ferite di oggi, figlie di un altro tipo di guerra, quella che la gente combatte contro la disoccupazione, contro una generale “mancanza di prospettive”, contro la conseguente voglia di scappare pur di farcela da qualche altra parte.

Aiutate chi non vuole emigrare
Il Papa è consapevole di tutto questo e affronta con sensibilità le contingenze sociali ed ecclesiali che coinvolgono la Bosnia ed Erzegovina. Nel fenomeno dell’emigrazione, dice all'inizio ai presuli, individuo la “difficoltà del ritorno di tanti vostri concittadini, la scarsità di fonti di lavoro, l’instabilità delle famiglie, la lacerazione affettiva e sociale di intere comunità”, la “precarietà” di “diverse parrocchie”, le “memorie ancora vive del conflitto”. Dunque, Francesco incoraggia “a non risparmiare” energie “per sostenere i deboli”, aiutare nei modi “possibili” quanti hanno “legittimi e onesti desideri di rimanere nella propria terra natale”, ma anche provvedere alla “fame spirituale” di chi crede nei valori indelebili, nati dal Vangelo”.

Fuori dal “perimetro liturgico”
Le parole di Francesco suonano in qualche modo come preludio e viatico per quelle che pronuncerà il 6 giugno, quando potrà vedere direttamente negli occhi la gente di Sarajevo e di tutta la nazione. Alle comunità cristiane il Papa chiede di non rimanere chiuse nell’ambito delle loro “pur nobili tradizioni”, ma anzi di “allargare la presenza della Chiesa al di là del perimetro liturgico, assumendo con fantasia ogni altra azione che possa incidere nella società”, grazie al “fresco spirito del Vangelo”.

Perseguire con forza la comunione 
Francesco invoca poi una “solida pastorale sociale” per i giovani – perché, soggiunge, “non possono aspettarsi solo di ricevere” dal Paese. Quindi, elogia il lavoro pastorale svolto dai vescovi per stabilire buoni rapporti tra clero locale e quello religioso, esortando anche a vigilare affinché, proprio nell’Anno della Vita Consacrata, non accada di carismi che invece di essere “effettivamente orientati all’edificazione del Regno di Dio” siano “inquinati da finalità parziali”. In chiusura, Francesco lancia un appello alla comunione tra il Soglio di Pietro e una comunità di vescovi che definisce “di frontiera”: “Pur se talvolta imperfetta – osserva – tale comunione va perseguita con vigore a tutti i livelli, al di là delle peculiari individualità. Occorre agire in base all’appartenenza al medesimo Collegio Apostolico; altre considerazioni – conclude – passano in secondo piano e vanno analizzate alla luce della cattolicità della vostra fede e del vostro ministero”.

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Francesco: Dio è innamorato di noi e ha sogni d'amore per noi

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Dio è innamorato di noi e noi siamo il suo sogno d’amore, questo nessun teologo lo può spiegare, ma possiamo solo piangere di gioia: questo, in sintesi, quanto detto da Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Il sogno di Dio
Partendo dalla prima lettura del profeta Isaia, dove il Signore dice che creerà “nuovi cieli e nuova terra”, Papa Francesco ribadisce che la seconda creazione di Dio è ancora più “meravigliosa” della prima, perché “quando il Signore ‘rifà’ il mondo rovinato dal peccato”, lo ‘rifà’ in Gesù Cristo. In questo rinnovare tutto, Dio manifesta la sua immensa gioia:

“Troviamo che il Signore ha tanto entusiasmo: parla di gioia e dice una parola: ‘Godrò del mio popolo’. Il Signore pensa a quello che farà, pensa che Lui, Lui stesso sarà nella gioia con il suo popolo. E’ come se fosse un sogno del Signore: il Signore sogna. Ha i suoi sogni. I suoi sogni su di noi. ‘Ah, come sarà bello quando ci troveremo tutti insieme, quando ci troveremo là o quando quella persona, quell’altra … quell’altra camminerà con me … Ma io godrò, in quel momento!’. Per fare un esempio che ci possa aiutare, come se una ragazza con il suo fidanzato o il ragazzo con la fidanzata (pensasse): ‘Ma quando saremo insieme, quando ci sposeremo …’. E’ il ‘sogno’ di Dio”.

Noi siamo nella mente e nel cuore di Dio
“Dio – ha proseguito il Papa - pensa a ognuno di noi” e “pensa bene, ci vuole bene, ‘sogna’ di noi. Sogna della gioia di cui godrà con noi. Per questo il Signore vuole ‘ri-crearci’, fare nuovo il nostro cuore, ‘ri-creare’ il nostro cuore per fare trionfare la gioia”:

“Avete pensato? ‘Il Signore sogna me! Pensa a me! Io sono nella mente, nel cuore del Signore! Il Signore è capace di cambiarmi la vita!’. E fa tanti piani: ‘Fabbricheremo case, pianteremo vigne, mangeremo insieme’ … tutte queste illusioni che fa soltanto un innamorato … E qui il Signore si fa vedere innamorato del suo popolo. E quando gli dice, al suo popolo: ‘Ma io non ti ho scelto perché tu sei il più forte, più grande, più potente. Ma ti ho scelto perché tu sei il più piccolo di tutti. Anche puoi dire: il più miserabile di tutti. Ma io ti ho scelto così’. E questo è l’amore”.

L'amore di Dio per noi non lo può spiegare nessun teologo
Dio “è innamorato di noi” – ha ripetuto il Papa, commentando anche il brano del Vangelo sulla guarigione del figlio del funzionario reale:

“Credo che non ci sia alcun teologo che possa spiegare questo: non si può spiegare. Soltanto su questo si può pensare, sentire e piangere. Di gioia. Il Signore ci può cambiare. ‘E cosa devo fare?’. Credere. Credere che il Signore può cambiarmi, che Lui è potente: come ha fatto quell’uomo che aveva il figlio malato, nel Vangelo. ‘Signore, scendi, prima che il mio bambino muoia’. ‘Va’, tuo figlio vive!’. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Credette. Credette che Gesù aveva il potere di cambiare il suo bambino, la salute del suo bambino. E ha vinto. La fede è fare spazio a questo amore di Dio, è fare spazio alla potenza, al potere di Dio ma non al potere di uno che è molto potente, al potere di uno che mi ama, che è innamorato di me e che vuole la gioia con me. Questa è la fede. Questo è credere: è fare spazio al Signore perché venga e mi cambi”.

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Il Papa incontra i Capitani Reggenti di San Marino

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Papa Francesco ha ricevuto i Capitani Reggenti della Serenissima Repubblica di San Marino, Giancarlo Terenzi e Guerrino Zanotti, che poi hanno incontrato il cardinale segretario di Stato  Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana -  è stato espresso vivo compiacimento per i buoni rapporti esistenti  tra la Santa Sede e la Repubblica di San Marino ed è stata sottolineata la fattiva collaborazione  delle istituzioni pubbliche e della Chiesa in campo sociale. Infine, è stata sottolineata la proficua cooperazione fra la Santa Sede e la Repubblica di San  Marino a livello bilaterale e nel contesto della comunità internazionale”.

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Dal Papa la Rete Latinoamericana sulla Dottrina Sociale

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il priore di Taizé, Frère Alois, e i membri di una delegazione della Rete Latinoamericana sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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Cento milioni i cristiani perseguitati e ridotti al silenzio

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15 fedeli cristiani uccisi ieri in Pakistan ed altri 78 feriti, 30 in gravi condizioni, in due chiese, una cattolica e l’altra protestante, sono solo le ultime vittime di una persecuzione “che il mondo cerca di nascondere”, come ha denunciato Papa Francesco all’Angelus di ieri, gridando il suo dolore per questi “fratelli che versano il sangue soltanto perché cristiani”. Dunque, quanti sono i cristiani perseguitati e in quali Paesi? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Cristina Merola, dell’Associazione internazionale “Porte aperte”, da 60 anni a servizio dei cristiani perseguitati, in oltre 60 Stati. 

R. – Le nostre stime sono attorno ai 100 milioni di cristiani perseguitati o discriminati per la loro fede.

D. – Ogni anno “Porte Aperte” stila una "lista nera" dei Paesi più a rischio per i cristiani, un fenomeno in crescita se nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate…

R. – Sì, la persecuzione è in crescita in diversi Paesi. Questa lista viene redatta tenendo conto di cinque aree della vita quotidiana nelle quali i cristiani possono o non possono vivere liberamente la loro fede: nel privato, nella famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella congregazione che frequentano e nella vita pubblica della nazione in cui vivono. A questa si aggiunge una sesta area, che serve a misurare il grado di violenze che subiscono. I primi dieci Paesi di questa lista sono la Corea del Nord, la Somalia, l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan, il Sudan, l’Iran, il Pakistan, l’Eritrea e la Nigeria.

D. – Papa Francesco ha denunciato una persecuzione "che il mondo cerca di nascondere". Perché?

R. – I cristiani che incominciano a essere noti a tutti come la minoranza o la religione comunque più perseguitata lì dove sono, probabilmente non fanno gli interessi forse delle persone al potere o degli Stati. Non sono al centro dell’attenzione, perché per esempio in Pakistan sono una minoranza, seppur consistente, che spesso è tenuta poco più che analfabeta. Sarebbe invece di grande interesse, anche per i nostri governi, cercare di aiutare queste minoranze cristiane, alla luce anche dei flussi migratori che ci sono.

D. – L’Africa in particolare sta diventando un continente insicuro in molti Paesi…

R. – La situazione infatti è peggiorata in 33 delle 50 nazioni che noi elenchiamo e l’Africa è entrata con diversi Paesi. Ci sono Stati che si sono fortemente destabilizzati, soprattutto nella cintura del Sahel che comprende la Nigeria, il Niger, il Ciad fino al Sudan, e queste nazioni hanno fortemente risentito della caduta dei governi nella parte più a nord, come la Libia. Paesi che hanno infatti messo in giro tantissime armi e hanno armato appunto tutti questi gruppi di integralisti islamici, che ora si stanno muovendo per ottenere degli Stati basati sulla legge islamica.

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Card. Filoni: per l'Africa solidarietà e non armi e saccheggi delle risorse

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“In Cristo, questo amato continente del Comboni, dove volle terminare la sua vita, ha bisogno di leader politici coraggiosi e profetici, che sanno ispirarsi al Vangelo; vescovi e sacerdoti secondo il cuore di Cristo; laici generosi e responsabili, figli devoti, che guardano alla propria terra non come luogo problematico e avaro, ma ricco del bene e della speranza che si semina e si costruisce.” Sono le parole con cui il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha concluso l’omelia della Celebrazione Eucaristica che ha presieduto ieri, a chiusura del Convegno “Africa, continente in cammino”.

Promuovere in Africa riconciliazione, pace e giustizia
Il prefetto del dicastero missionario ha citato i due Sinodi Speciali che “hanno approfonditamente scrutato l’Africa”, nel 1994 e nel 2009, da cui scaturirono le Esortazione apostoliche “Ecclesia in Africa” e “Africae Munus”. In particolare - riferisce l'agenzia Fides - quest’ultima ha focalizzato l’attenzione sulla necessità della riconciliazione, della promozione della pace e della giustizia, nella verità. “Parole quanto mai opportune – ha commentanto il cardinale - nel contesto di un Continente afflitto da numerose guerre, violenze e odii, specialmente a nord (Libia), e nella Regione Sub-Sahariana (Nigeria, Niger, Ciad, Cameroon, Repubblica Centroafricana, Repubblica del Congo a nord, Sud-Sudan). E che dire delle altre guerre: l’ebola, la malaria, la dengue, l’Aids, e le numerose malattie endemiche che colpiscono ovunque la popolazione? Poi ci sono le divisioni tribali, i saccheggi delle ricchezze naturali e minerali, la povertà di molti che contrasta con le ricchezze di pochi e la corruzione a vari livelli”.

Rigenerare l'Africa con l'Africa
“Africae Munus” ha richiamato l’Africa ad avere coraggio, ad alzarsi, a intraprendere il cammino. Si tratta di un appello alla ri-generazione del Continente – ha detto il card. Filoni - quasi eco a quel ‘Piano per la rigenerazione dell’Africa’, che fu concepito dal Comboni nel 1864, 150 anni fa. L’idea centrale: ‘rigenerare l’Africa con l’Africa’, oggi possiamo dire è più che ‘idea’, se, come è vero, che questo Continente oggi conta circa 536 circoscrizioni ecclesiastiche per una popolazione stimata in 1.066.140 abitanti, con 200 milioni di cattolici… il sogno di Comboni, grazie all’opera di religiosi, religiose, laici, in questi 150 anni di missionarietà ha preso consistenza e realtà”.

Africa: una terra capace di crescere e svilupparsi
Commentando quindi le letture del giorno, il card. Filoni ha sottolineato che l’Africa “ha bisogno di incoraggiamento e di solidarietà. Non ha bisogno di migrazioni, di acquisto di armi, di saccheggi. Ha bisogno di solidarietà: questo è il nuovo sogno!” E ha concluso: “Cristo rimane la fonte della sua rigenerazione spirituale e morale. L’Africa non deve essere un ‘problema’, come per esempio a volte pensano le società opulente occidentali, ma una terra capace di crescere e svilupparsi, e di partecipare al bene e alla vita internazionale”. (S.L.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La persecuzione che il mondo nasconde: all’Angelus il dolore di Papa Francesco per le stragi dei cristiani in Pakistan.

Un voto oltre il conflitto: Luca M. Possati sulle elezioni politiche in Israele.

Il coraggio di parlare della risurrezione: Lucetta Scaraffia recensisce “Il Regno” di Emanuele Carrère.

Un articolo di Silvia Guidi dal titolo “Roncalli a fumetti"”: rieditato “The Story of Giovanni XXIII"” di Joe Sinnott.

Riforme e brontolii: Gianpaolo Romanato sulle iniziative di Pio X per correggere il sistema di potere vaticano.

Castigo e delitto: Gabriele Nicolò su Daniel Defoe e le origini del romanzo poliziesco.

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Oggi in Primo Piano



Domani Israele al voto: ex primo ministro Barak con Herzog

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un giorno dal voto in Israele, arriva al leader del centrosinistra Isaac Herzog l'appoggio dell'ex primo ministro e anche responsabile della Difesa, Ehud Barak. Pochi giorni fa, anche l'ex presidente di Israele, Shimon Peres, aveva assicurato il suo sostegno a Herzog, largamente favorito nei sondaggi rispetto al premier uscente, Netanyahu, del Likud.  Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente a Tel Aviv Eric Salerno, inviato di Avvenire:  

R. – E’ soprattutto la risposta negativa alla gestione di Netanyahu, preoccupata troppo delle vicende della sicurezza e troppo poco della situazione interna del Paese.

D. – A proposito di situazione interna, cosa dire sul piano economico?

R. – L’economia israeliana va molto bene. La moneta – lo sheqel (siclo in italiano) – è fortissimo nei confronti sia del dollaro americano sia dell’euro. La gente, però, subisce una trasformazione enorme di questa società, ossia un Paese dove certamente i disoccupati sono pochi però i lavori redditizi fuori dal settore high-tech sono pochissimi per cui, sì, sta crescendo moltissimo il divario tra i ricchi e i poveri, ma la classe media è sempre più povera e i ricchi sono sempre più ricchi. Questa divisione è alla base delle proteste sociali che ci sono state due anni fa nelle piazze di Israele e sono ancora oggi alla base del sentimento anti-Netanyahu che vediamo nei vari sondaggi, sia quelli a sostegno del partito laburista di Herzog e la coalizione con il centro guidato da Tzipi Livni, sia dai sondaggi che riguardano i partiti minori dove molta gente spera di trovare risposta adeguata alle sue lamentele.

D. – Anche gli ebrei ultraortodossi non escludono un governo con Herzog…

R. – Gli ebrei ultraortodossi in genere hanno sempre accettato di governare con chi in qualche modo rispondesse alle loro richieste. Spesso sono richieste economiche. Non bisogna dimenticare, peraltro, che Herzog viene da una famiglia in cui non ricordo se suo nonno o bisnonno era il rabbino capo askhenazita, prima ancora della creazione dello Stato di Israele.

D. – Proviamo a immaginare qualche scenario politico post-elezioni?

R. – Una vittoria di Herzog non significa che necessariamente sarà lui a guidare il Paese dopo: dipende da tutti i partiti, dai vari sondaggi. Per cui, se a un certo punto i laburisti di Herzog riescono a sconfiggere Netanyahu di due o tre seggi soltanto, il nuovo premier sarà probabilmente Herzog. Ma sarà un premier incaricato e poi dovrà costituire un governo e avrà tempo più o meno 40 giorno per farlo. E non è detto che sia in grado di farlo. Perché è vero che c’è una parte della popolazione israeliana e una parte dei partiti di centrosinistra che sicuramente si schiereranno con lui, ma è anche vero che non necessariamente tutti insieme riesciranno a mettere insieme i 61 seggi necessari per controllare il parlamento e dunque per andare avanti. A quel punto, in una fase successiva, Netanyahu potrebbe essere incaricato dal presidente di tentare, e lui forse a quel punto riuscirebbe, a formare il governo.

D. – Ci sarà qualche cambiamento nella posizione di compromessi con i palestinesi?

R. – Per adesso, Herzog continua a ripetere che vuole riaprire il dialogo, vuole andare avanti, vuole uno Stato palestinese accanto a Israele… Credo di non aver sentito molti commenti sullo status di Gerusalemme se non quello di dire “possiamo trovare una formula di convivenza anche per Gerusalemme”. Però, non è l’elemento più importante, quello della Palestina, in questa campagna elettorale. Sicuramente, per la maggioranza degli israeliani non è la cosa che conta di più in questo momento.

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Siria. Kerry: negoziamo con Assad. Damasco: aspettiamo azioni

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“Dobbiamo aspettare le azioni, poi decideremo”. E' questa, secondo l'agenzia siriana Sana, la prima reazione del presidente siriano, Bashar al Assad, a quanto affermato dal segretario di Stato americano, John Kerry, sulla necessità di aprire un dialogo con Damasco “per cercare una soluzione politica alla guerra civile”. In un’intervista con la Cbs, il capo della diplomazia Usa aveva infatti evocato la necessità di “negoziare” con il presidente siriano, anche di fronte all’offensiva del sedicente Stato Islamico (Is). Sul terreno, proseguono i raid della coalizione contro postazioni jihadiste in Siria e Iraq, mentre i miliziani dell’Is hanno rivendicato un attacco in Libia al quartier generale delle forze di sicurezza a ovest di Tripoli. In Iraq, invece, l'esercito iracheno e le truppe sciite hanno fatto sapere che saranno ancora necessari “alcuni giorni” per strappare ai gruppi jihadisti il controllo di Tikrit. Negli scontri, è stata distrutta la tomba di Saddam Hussein: il corpo dell’ex dittatore era stato comunque rimosso l’anno scorso dai suoi fedelissimi per strapparlo ai combattimenti. L’attenzione internazionale ora appare puntata sulle possibilità della diplomazia, con le ultime dichiarazioni di Kerry su Assad. Giada Aquilino ha intervistato Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista di geopolitica ‘Limes’: 

R. – Sicuramente, le dichiarazioni di Kerry rappresentano una novità da questo punto di vista, ma dobbiamo inserirle nel contesto. Gli Stati Uniti sono impegnati in questi giorni nel negoziato per il programma nucleare iraniano. Sappiamo che al Assad è uno storico alleato del governo iraniano – anzi il governo iraniano è il "patron" di quello di Damasco – e le dichiarazioni di Kerry vanno anche in questo senso: cioè, proprio mentre vorrebbe chiudere un accordo con l’Iran, Kerry segnala l’intenzione al governo di Teheran di non voler rovesciare – ammesso che gli Stati Uniti abbiano mai avuto questa intenzione, ma meno che mai in questa fase – al Assad. Al di là di ciò, forse un reale cambiamento americano non c’è ancora stato. Da diversi mesi, ormai, la situazione siriana è di fatto congelata proprio perché gli Stati Uniti sono impegnati nel negoziato con l’Iran, che considerano in assoluto la priorità regionale tutto il Medio Oriente, e anche perché c’è stata negli ultimi mesi l’ascesa dello Stato islamico. E' evidente che tra i due mali si sceglie il minore e al Assad rappresenta il male minore.

D. – Se non si può parlare di cambiamento, come possiamo quindi definire le parole di Kerry?

R. – Come una presa di coscienza del fatto che, dopo aver sostenuto almeno nelle primissime fasi della rivoluzione siriana, quindi tra il 2011 e il 2012, l’opposizione in maniera massiccia, poi a Washington ci si è resi conto che dall’opposizione poteva nascere per così dire un male ben maggiore rispetto al sanguinario regime di Damasco, oltre a una formazione come quella dello Stato Islamico, che era già nata ampiamente, con il conseguente caos nel Paese. Quindi, gli americani che vorrebbero invece stabilire un equilibrio nella regione, soprattutto trattando con l’Iran, è inevitabile che considerino anche la possibilità che al Assad almeno tratti per una soluzione. Dico "almeno tratti" perché gli americani vorrebbero comunque sostituirlo con qualcun altro, forse addirittura qualcuno del suo stesso clan, semplicemente per dare l’idea di un cambiamento formale, sebbene non sostanziale. Ma è chiaro che le priorità rispetto al 2011 e al 2012 sono nettamente cambiate.

D. – Di che trattativa si può parlare in questo momento?

R. – Con la collaborazione di Assad non credo si possa arrivare a debellare lo Stato islamico, per il semplice fatto che Stato islamico e al Assad non si sono mai combattuti più di tanto. Ad esempio, il regime di Damasco ha acquistato per moltissimo tempo il petrolio che contrabbandava lo Stato islamico, non solo perché venduto a prezzi nettamente più bassi rispetto a quelli di mercato, ma perché c‘era stata la volontà da parte di Damasco di accrescere le finanze dello Stato islamico per poi aumentarne anche la potenza e mostrarlo al mondo come il "male maggiore". È evidente che lo Stato islamico ha peraltro altri legami, ad esempio quelli con la Turchia, altrettanto forti e se si vuole debellarlo in Siria bisogna convincere ad esempio la Turchia e non tanto al Assad a intervenire sul terreno, a intervenire maggiormente nella guerra. Aggiungiamo a questo che poi decidere della Siria senza avere a che fare ad esempio con la Russia è di fatto impossibile, perché prima parlavamo di Iran come "patron" principale di Damasco, ma lo stesso governo di Mosca è da sempre un alleato di al Assad. Ad esempio, c’è una base navale russa a Tortosa, proprio in Siria, l’unica ufficiale dei russi nel Mediterraneo. E c’è anche la Cina che, sebbene – come spesso capita – con un formato minore, un po’ nell’ombra, ha altrettanto sostenuto fin qui il governo di Damasco.

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Fmi, Atene paga "tranche" debito. Ue, continua braccio di ferro

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Sulla Grecia "la situazione è seria" e prima che la questione possa tornare al tavolo dei leader europei bisognerà completare i negoziati a livello tecnico. E’ l’avvertimento lanciato a Bruxelles da una portavoce della Commissione europea. Il premier greco Alexis Tsipras, da parte sua, ha ribadito che è fuori discussione qualsiasi ritorno alle politiche di austerity. Intanto, Atene a ha rimborsato la tranche in scadenza in data odierna del prestito ricevuto dal Fondo monetario internazionale. Ma quale può essere la soluzione del braccio di ferro tra Bruxelles e Atene? Emanuela Campanile lo ha chiesto all’economista greco Giorgio Arfaràs: 

R. - Una soluzione parziale potrebbe essere quella - che poi è indicata dal ministro delle Finanze greco - di rilanciare la spesa di infrastruttura, la quale non avverrebbe con il bilancio pubblico della Grecia - che non ha i soldi - ma attraverso la Banca europea degli investimenti che finanzia la spesa in infrastrutture attraverso l’emissione di obbligazioni che verrebbero comprate dalla Banca centrale europea. Questa potrebbe essere una strada, però anche se tutti la ritenessero tale, la soluzione non avviene domani mattina. Ci vorrà, un anno, due anni, bandi, concorsi … E poi cosa fare: autostrade, bande larghe? Allora forse la soluzione migliore è quella di chiudere un occhio sulle promesse greche che non sono mantenute, continuare a finanziare la Grecia in maniera tale che riesca a mette un insieme di cose contro la povertà intanto che si discute quest’altra questione. Però va avanti sempre così, nel senso che non c’è una soluzione. Il negoziato non è altro che la copertura di una soluzione difficile del problema; non è che i tedeschi vogliono i greci nella miseria, oppure i greci pensano che sia la Germania ad averli resi poveri. Non è così. I greci, se si trovano in questa situazione, è per colpa loro e i tedeschi non hanno alcun interesse a farsi odiare oppure a vedere la Grecia uscire dall’euro.

D. - Ci sono almeno degli obiettivi ritenuti minimi che Tsipras vuole portare a casa in questo confronto con Bruxelles?

R. - Sì, certo. Per esempio le cose legate all’esplosione della povertà in Grecia. Si può combattere la povertà con maggiore spesa pubblica se si ha una raccolta fiscale sufficiente, altrimenti no. La povertà nel lungo termine si combatte con la crescita economica. Ma come fanno? Qui non tratta di un problema di promesse: è un problema di come fare. Probabilmente la soluzione è quella di aiutare la Grecia ancora per un po’, chiudere un occhio, allargare i cordoni della borsa … Un continuo tira e molla.

D. - Perché il problema Grecia rappresenta un problema europeo?

R. - La Grecia non è un vero problema per l’Europa. È un Paese piccolo che ha un peso relativo estremamente limitato. Il potere negoziale che potrebbe aver è quello di accendere la miccia di una crisi in Europa su tutti i debiti pubblici; quello che era successo nel 2010, nel 2011 e nel 2012. Adesso però, questa miccia non può essere più accesa perché la Banca centrale compra il debito pubblico. Di conseguenza il potere negoziale della Grecia – "muoia Sansone con tutti i filistei" – non c’è più. Quindi da questo punto di vista la Grecia è più debole. Quello che non andrebbe bene per l’Europa è che se la Grecia uscisse, l’Euro diventa, più che un cavallo di Troia per avere l’unità politica, una moneta messa in comune, andando a perdere molto del suo impatto politico. Questo è il problema che si solleverebbe in seguito all’uscita della Grecia.

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Utero in affitto. Pensiero unico non ammette contraddittorio

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Ha scatenato una vera e propria campagna di boicottaggio ai danni di Dolce&Gabbana la dichiarazione di Domenico Dolce su Panorama, sulla pratica dell’utero in affitto. “Sono gay, non posso avere un figlio. Tutti nasciamo da un padre e una madre – ha dichiarato - per questo non mi convincono i figli della chimica, i semi scelti da un catalogo”. Solidarietà dalla Manif pour tous, movimento laico nato in Francia a difesa della libertà di espressione e della famiglia naturale. Paolo Ondarza ha intervistato il portavoce Filippo Savarese: 

R. - Questo è solo l’ultimo di tantissimi casi che ci deve far rendere conto di una situazione in cui ormai viviamo: chi è a favore della famiglia, come unione fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna da proteggere e da tutelare, e a favore dei diritti dei bambini di potere conoscere e crescere con i loro genitori - il loro papà e la loro mamma - oggi vede la sua libertà violata, menomata. Dobbiamo assolutamente contrastare questo. 

D. - L’ideologia omosessualista che, questo è un caso eclatante, non si identifica con l’omosessualità e con le persone omosessuali è espressione davvero di quella dittatura del pensiero unico più volte denunciata da Papa Francesco?

R. - Sì, non c’è alcun dubbio. Questi interessi ideologici hanno anche un loro riscontro economico: si cerca non solo di imporre un sistema unico di pensiero ma soprattutto di limitare la libertà di chi si oppone a questo sistema. Bisogna ricordare che quello che hanno detto Dolce e Gabbana in realtà non riguardava neanche il discorso dei matrimoni o delle unioni gay, e neanche quello delle adozioni. Riguardava quelle pratiche tecnologiche con cui una coppia, una di due uomini ed una di due donne, può decidere di privare un bambino del papà o della mamma. Loro hanno semplicemente detto: ”Questo è sbagliato secondo noi, perché tutti nasciamo da un papà e da una mamma e – usando questa bella espressione, hanno aggiunto - questo non passa di moda”. Chi ha interesse che questa idea non rimanga maggioranza? Chi ha interessi economici affinché le pratiche di fecondazione eterologa o di maternità surrogata  - l’utero in affitto - siano incrementate, siano il nuovo mercato del capitale. Quindi per questo bisogna opporsi a questa imposizione del pensiero unico, perché ci porta verso il mercato dei figli nel quale purtroppo gran parte del mondo è già oggi immersa.

D. - Pensiero unico che colpisce indifferentemente anche persone dichiaratamente omosessuali. Voi potete citare dei casi all’interno del vostro movimento in Francia e in Italia, di persone omosessuali che non si identificano, appunto con il pensiero unico, e che per questo motivo hanno subito delle conseguenze?

R. – Sì: la Manif pour tous francese fece notizia quando scesero molti omosessuali in piazza in difesa del matrimonio e dei diritti dei bambini. Addirittura uno dei portavoce della Manif pour tous, Jean Pierre, è omosessuale e anche convivente. Anche lui costantemente dice:” Il fatto che io sia omosessuale non c’entra niente con il fatto che io difendo il matrimonio come istituzione che riconosce la famiglia e che, fondamentalmente, riconosce il diritto dei bambini di crescere con un papà ed una mamma”. Per queste affermazioni Jean Pierre è stato ferocemente attaccato dalle associazioni Lgbt del movimento gay; addirittura deve girare con una scorta per evitare dei veri  e propri attentati alla sua persona. Quello che noi difendiamo, quello che noi sosteniamo non ha una radice confessionale politica, non è un’idea o una morale che i bambini nascano da un papà e da una mamma; è un fatto pratico come lo sono gli alberi, le nuvole, il sole, … Noi dobbiamo difendere la realtà, perché i bambini non nascono da due donne o da due uomini. Se si trovano a vivere con due donne o due uomini vuol dire che qualcuno li ha privati della possibilità di conoscere o il loro papà o la loro mamma. Crediamo che questo sia un crimine contro i diritti umani.

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Gioco d’azzardo: bozza decreto, aspetti controversi

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Cento miliardi di fatturato, 4% del Pil nazionale, terza industria del Paese. Sono alcuni dei dati legati al gioco d’azzardo legale in Italia, dove sono più di 400 mila le slot-machine. Al tema del riordino della normativa, in questo ambito, è stato dedicato oggi, a Milano, l’incontro organizzato dal gruppo del Pd al Senato ed intitolato “Verso il decreto sul gioco d’azzardo”. Sulla bozza di questo provvedimento, Amedeo Lomonaco ha intervistato il direttore di “Vita”, Riccardo Bonacina: 

R. - Questo decreto azzera tutto quello che è stato fatto finora: impone una regola statale che non prevede al momento che i comuni possano fare di più.

D. – Ad esempio, il decreto del governo non prevede che le amministrazioni locali abbiano anche un potere di veto, cioè l’ultima parola proprio sull’apertura delle sale …

R. – Esatto. E tantissimi Comuni, ormai, lavoravano su due punti. Il primo riguardava la dislocazione delle slot. I Comuni imponevano che le slot fossero poste almeno a 300 in alcuni casi 500 metri dai luoghi sensibili, quindi scuole, ospedali; l’altra leva dei Comuni erano gli orari di apertura. Queste due cose non ci saranno più.

D. – Un altro punto controverso è legato alla pubblicità …

R. – Sì, noi ad esempio siamo per il divieto assoluto di pubblicità. In Europa ci sono già pronunciamenti che rendono lecito, da parte dei singoli governi, muoversi in questo senso. Sicuramente non basta come è scritto nella bozza attuale del decreto vietare la pubblicità nelle fasce protette, cioè dalle 16.00 alle 19.00. Si dovrà essere molto più coraggiosi e vietare la pubblicità.

D. - Un altro aspetto controverso del decreto è la mancanza di informazioni precise sulle forme di contrasto alle infiltrazioni mafiose, all’evasione fiscale e tributaria …

R. – Sì, è un altro punto su cui abbiamo chiesto di specificare di più. Così come abbiamo chiesto maggiore specifiche su un punto dove viene detto che saranno ritirate 80-100mila macchinette. Chiediamo una norma più chiara e precisa che indichi con quali modalità, con quale tempistica e la tipologia delle macchinette ritirate e anche la precisazione che queste non saranno sostituite.

D. – Intanto questo fenomeno, il gioco d’azzardo, continua a colpire. I giocatori abituali - tra cui almeno 800mila con una dipendenza patologica - sono circa 15 milioni. La spesa del sistema sanitario ammonta ogni anno a quasi sei miliardi …

R. – I danni dell’azzardo legale, dell’azzardo di Stato, sono ormai indiscutibili. Anche l’esperienza di ricerca scientifica su questi temi è andata molto avanti. Per questo, la regolazione deve essere informata in maniera più efficace rispetto a quanto si è capito in questi anni.

D. – Questi, dunque, sono gli aspetti che destano maggiore preoccupazione. Quali, invece, gli aspetti positivi di questo provvedimento?

R. – L’aspetto positivo è che lo Stato, dopo circa 20 anni, prende in mano la situazione e prova a regolare questo settore. Certo è che se ci deve essere una regolazione, un provvedimento che influenzerà per i prossimi dieci anni un comparto che ha provocato tanti disastri, è importante che questa sia una regolazione condivisa e accorta. E anche un po’ coraggiosa, come sta accadendo in altri Paesi europei.

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Suor Enrichetta Alfieri chiude ciclo "Ritratti di Santi"

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Si terrà alle 21 la terza ed ultima lettura quaresimale del ciclo "Ritratti di Santi", evento promosso dal Movimento ecclesiale carmelitano e ospitato dalla chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. Sarà presentato un personaggio in profumo di santità, ancora poco noto, Suor Enrichetta Alfieri. Claudia Minici ha intervistato Vincenzo Bocciarelli, interprete della lettura: 

R. - Ho scelto di approcciarmi alla figura di Enrichetta Alfieri proprio prendendo spunto dalla quotidianità, nel guardarmi intorno, nell'osservare quelle che sono anche un po’ le ingiustizie e l'odio che spesso si sviluppa, divide, crea contrasti. L'esempio di Enrichetta Alfieri è proprio quello di donarsi, la parola amore. Donarsi nei rapporti, donarsi nel rispetto verso gli altri, nell'ascolto. Leggendo ripetutamente le sue parole, i suoi scritti, quello che ci ha lasciato in eredità ci spinge proprio allo stare nell'altro, ad immedesimarsi nella sofferenza altrui. Questo è l'incipit un po’ da cui ho preso spunto per restituire agli ascoltatori questa sera un messaggio che possa rimanere.

D. - Enrichetta Alfieri ha lasciato il segno nell'Italia fascista, la sua assistenza ai prigionieri politici la consacra un messaggero di pace. L'azione sociale è importante nella conoscenza del personaggio?

R. - E' molto importante, in ogni suo gesto, rischiando proprio la vita insieme a questo esercito. Bisogna ricordare tutte le suore che erano insieme a lei al servizio in un momento così delicato, così difficile, che poteva essere quello della seconda guerra mondiale. Loro cercavano di assistere con grande generosità i prigionieri. C'erano appunto, ricordo, due figure importanti come Indro Montarelli che poi scriverà, racconterà di questo fruscio rassicurante della sua veste che passava attraverso i corridoi per cercare di confortare, di portare di nascosto i messaggi, anche qualche cosa da mangiare. Poi anche la figura di Mike Buongiorno che era prigioniero con la madre perché era stato appunto spacciato di aver appoggiato i partigiani. Quindi ci sono anche delle figure importanti che hanno testimoniato il grande supporto, la grande generosità di Enrichetta Alfieri.

D. - La missione nel Carcere di San Vittore testimonia il suo ruolo di difensore degli emarginati. Può considerarsi un personaggio in linea con pensiero di Papa Francesco?

R. - Assolutamente si, la contemporaneità di questa figura, la modernità di questa santa, di questa beata è fondamentale in questo momento perché mette appunto in pratica le parole, gli insegnamenti di Papa Francesco. La figura di Enrichetta Alfieri sottolinea il dono totale dell'atto d'amore.

D. - Cosa porterà con se di queste letture?

R. - Porterò innanzitutto il piacere di aver fatto scoprire delle figure di santi poco conosciute, poi la chiesa di Santa Maria della Vittoria, questo percorso di luce. Proprio il senso della luce, la luce come ricorda anche Enrichetta, è un percorso volto verso la bellezza e l'immensità della luce.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: Giornata di preghiera per i cristiani uccisi

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Tempo di lutto e di preghiera per la Chiesa in Pakistan: oggi i fedeli cattolici celebrano una “speciale Giornata di preghiera per le vite innocenti dei martiri”. Lo ha annunciato, in una nota ripresa dall’agenzia Fides, mons. Sebastian Shaw, arcivescovo di Lahore, dopo il duplice attentato suicida che ieri, 15 marzo, ha colpito la chiesa cattolica di San Giovanni e quella protestante, la “Chiesa di Cristo”, a Youhanabad, sobborgo interamente cristiano alla periferia di Lahore, facendo 15 morti e oltre 80 feriti.

Le vittime innocenti definite 'martiri'
L’arcivescovo annuncia che le scuole e gli istituti cattolici oggi restano chiusi per commemorare le vittime innocenti, e definisce “martiri” quanti “hanno dato la loro vita nell'incidente per salvare migliaia di persone”. “Il loro sangue non sarà stato versato invano e porterà la pace a tutti i cittadini del Pakistan”. Condannando i barbari atti e chiedendo maggiore impegno del governo a protezione dei cristiani pakistani, mons. Shaw prega “perché la pace e l'armonia prevalgano nel Paese”, invitando tutti i cittadini a “rigettare apertamente violenza e terrorismo”.

La Chiesa chiede di non reagire con la violenza
Anche mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan ha diffuso una nota, inviata all’agenzia Fides, in cui dice: “La Chiesa cattolica condanna fermamente i brutali attacchi suicidi alle chiese di Lahore. Supplichiamo il governo del Punjab e il governo federale del Pakistan affinchè prendano adeguate misure per la protezione delle chiese e delle minoranze religiose in Pakistan. Chiediamo ai fedeli di non reagire con la violenza e di collaborare con le forze di polizia nelle indagini. Preghiamo il Signore nostro Gesù Cristo per la guarigione dei feriti e per le famiglie delle vittime”.

Il Pakistan è chiamato ad unirsi contro il terrorismo
​“Il governo, i partiti politici, i leader religiosi e ogni cittadino del Pakistan – ha ricordato mons. Coutts – sono chiamati a prendere posizione contro le forze estremiste, a fianco dei loro fratelli e sorelle cristiani. Atroci episodi come questo, esigono che tutta la nazione si unisca contro il terrorismo. I credenti di tutte le religioni devono promuovere la pace e l'armonia sociale e proteggersi a vicenda dal terrorismo. La Chiesa cattolica e le minoranze religiose in Pakistan chiedono al governo di adottare misure efficaci per garantire la libertà di religione nel Paese”. (P.A.)

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Appello vescovi Usa: no a persecuzioni religiose

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Un invito a pregare per le vittime di tutte le persecuzioni religiose ed un appello affinché tali violenze non si ripetano più: questo il contenuto di una dichiarazione del Comitato amministrativo della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Guidato dall’arcivescovo di Louisville, Joseph Kurtz, l’organismo raccoglie i presuli di 15 regioni geografiche del Paese, insieme al presidente del Catholic Relief Service, l’ente caritativo della Chiesa locale.

Pregare per i martiri della fede
“Invitiamo i fedeli di ogni credo – si legge nella dichiarazione – ad unirsi in preghiera per coloro che affrontano la drammatica realtà delle persecuzioni in Medio Oriente e nel resto del mondo”. Ricordando, in particolare, i 21 cristiani copti uccisi dall’Is il mese scorso, i presuli sottolineano che “la testimonianza del loro martirio coraggioso non è l’unica, insieme a quella di migliaia di famiglie, cristiane e di altre religioni, in fuga da violenze terrificanti”.

Tutelare i diritti delle minoranze religiose
Di qui, l’appello a “tutte le persone di buona volontà a lavorare per la tutela degli emarginati e dei perseguitati”, collaborando con “la comunità internazionale per proteggere i diritti delle minoranze religiose ed i civili, nell’ambito del diritto internazionale umanitario”. L’auspicio dei vescovi statunitensi è anche quello che vengano affrontate le cause di esclusione in ambito politico ed economico, “che sono sfruttate dagli estremisti”, incrementando “l’assistenza umanitaria e lo sviluppo”.

La speranza di una pace duratura
Infine, ribadendo che la Quaresima è un tempo forte per “unirsi più strettamente a Cristo sofferente”, la Chiesa di Washington esorta i fedeli a pregare, “con la speranza che un giorno tutti possano condividere la gioia e la pace duratura della risurrezione di Cristo”. (I.P.)

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Vanuatu. Ciclone Pam: arrivano i primi aiuti

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Dopo i primi tre aerei atterrati ieri nella devastazione della capitale Port Vila, oggi altri due velivoli australiani hanno portato i primi soccorsi alle popolazioni colpite sabato dal passaggio ciclone Pam, che al suo culmine ha visto venti fino a 300 chilometri l’ora. Si calcola - riporta l'agenzia Misna - che il 90% degli edifici della capitale e dell’isola principale dell’arcipelago, Efate, siano state distrutte o danneggiate.

Mancano rifugi d'emergenza, cibo e acqua
Anche oggi il Presidente Baldwin Lonsdale, che in questi giorni si trova nella città giapponese di Sendai per partecipare alla Conferenza internazionale Onu sulla riduzione dei rischi di disastri iniziata sabato, ha chiesto alla comunità internazionale ogni possibile aiuto, segnalando come in poche ore la violenza di Pam ha azzerato il progresso delle isole nell’ultimo quarto di secolo. In particolare, la Croce Rossa locale segnala che mancano rifugi d’emergenza, cibo e acqua potabile per molti dei 253.000 abitanti.

Molte isole ancora irraggiungibili
Ufficialmente il bilancio dei morti resta fermo a otto, ma le comunicazioni stentano ancora a essere ripristinate e molte delle isole sono ancora irraggiungibili. Questo fa temere che il numero delle vittime in intere comunità azzerate dalla forza del vento e delle onde, possa crescere ulteriormente.

Asia-Pacifico: l’88% della popolazione colpita da catastrofi naturali 
Proprio il rapporto Onu diffuso all’inizio della Conferenza di Sendai, ha segnalato come l’88% della popolazione colpita da catastrofi naturali negli ultimi 45 anni vive in Asia e nel Pacifico. Alti i costi in vite umane, con oltre due milioni di morti, ma anche quelli economici, stimati in 1150 miliardi di dollari Usa. Alluvioni, tifoni, terremoti e tsunami sono responsabili per il 92% delle vittime e per il 76% dei danni economici. (C.O.)

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Leader religiosi: lotta a corruzione per bloccare Boko Haram

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L’odio e la diffidenza seminati da Boko Haram nel nord della Nigeria rischiano di durare anni anche dopo la scomparsa del gruppo islamista. È quanto emerso dal seminario intitolato “L’estremismo religioso e le sue sfide al dialogo interreligioso”, organizzato dalla Conferenza episcopale dell’Africa Occidentale (Cerao), insieme all’Ufficio missione e dialogo della Conferenza episcopale della Nigeria. All’incontro - riporta l'agenzia Fides - hanno partecipato tra gli altri il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, e mons. Mathew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, che lo ha organizzato. Scopo dell’iniziativa era quello di trovare modalità concrete per contrastare la minaccia dell’estremismo religioso.

Cause all'origine di Boko Haram: malgoverno e corruzione
Uno studioso musulmano, il prof. Kyari Mohammed della Modibo Adama University, ha condannato con forza le azioni di Boko Haram che ha definito un gruppo locale con ambizioni globali. L’esperto ha sottolineato però che tra le cause che hanno dato origine a Boko Haram vi sono il malgoverno, l’impunità e la corruzione delle élite nigeriane. Queste ultime, ha ricordato l’esperto, sono state educate all’occidentale e gli estremisti di Boko Haram (che significa “l’educazione occidentale è proibita”) hanno avuto buon gioco a presentare la corruzione come derivante dalla cultura occidentale. “Le persone colte non sono state buoni ambasciatori dell’educazione occidentale” ha affermato il prof. Mohammed.

Per vincere Boko Haram: dialogo e promozione allo sviluppo della popolazione
“Anche se Boko Haram dovesse scomparire oggi, lascerà una società lacerata e violenta - ha aggiunto - perché tutti i gruppi delle aree dove è presente Boko Haram sono vittime delle violenze. Le immani distruzioni e le perdite subite fanno sì che molti abbiano perso fiducia nel governo”. Inoltre la presenza di gruppi di autodifesa civile (Joint Task Force- Jtf) rischia di essere in futuro fonte di nuova instabilità. Per vincere la sfida di Boko Haram occorre dunque puntare sul dialogo con le popolazioni locali e sulla promozione dello sviluppo economico. (L.M.)

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Libano: appello vescovi maroniti per elezione nuovo presidente

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I vescovi maroniti, riunitisi sabato a Bkerkè per un Sinodo straordinario, hanno lanciato ancora una volta un appello ai parlamentari ad eleggere al più presto il nuovo Presidente della Repubblica. Il Libano è senza Presidente dal 25 maggio 2014. Nel delicato sistema istituzionale libanese la carica di Capo dello Stato spetta a un maronita, ma i leader politici cristiani presenti nei due blocchi politici che dominano la vita politica del Paese non sono ancora riusciti a trovare un accordo sul nome su cui far convergere i voti dei deputati. Dopo l’ennesima sessione parlamentare senza esito, l’11 marzo, i vescovi libanesi ribadiscono che la paralisi istituzionale rischia di avere “ripercussioni disastrose”, sia per la sicurezza del Paese, sia sul piano economico e sociale.

L’appello ai cristiani in Medio Oriente
L’incontro ha affrontato anche la drammatica situazione dei cristiani in Medio Oriente. Il comunicato finale, ripreso dal quotidiano libanese l’Orient-le-Jour, li esorta “a resistere a questa tempesta che un giorno passerà e a restare nelle loro terre e proprietà che – affermano i vescovi – rappresentano la loro identità e la garanzia della loro libertà”. A questo proposito essi rivolgono un appello ai Paesi arabi e musulmani “ad assumersi le loro responsabilità storiche lottando contro estremismo e il fanatismo” e a proteggere “la presenza cristiana che ha un ruolo chiave nella costruzione dell’identità del mondo arabo e della sua civiltà islamo-cristiana”.

Gli Stati arabi aiutino il Libano ad uscire dalla crisi
In questo senso essi esortano inoltre gli Stati arabi ad aiutare il Libano ad uscire dall’attuale crisi politica, economica e dall’insicurezza provocata dai conflitti nella regione. “Il Libano – ricordano - è uno dei Paesi fondatori della Lega Araba. Esso rappresenta un fattore di stabilità e un’oasi di incontro e di dialogo”. Per quanto riguarda la crisi economica che attanaglia il Paese, i vescovi maroniti invitano , infine, la comunità cristiana alla solidarietà con le famiglie più povere. (L.Z.)

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Vietnam: Giornata di digiuno e preghiera per il Creato

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Una Giornata di digiuno e preghiera per ribadire l’importanza della salvaguardia del Creato è stata celebrata il 13 marzo scorso, nell’arcidiocesi di Hô Chi Minh-Ville, in Vietnam, su iniziativa dell’arcivescovo, mons. Paul Bui Van Doc. In un nota indirizzata a sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli, il presule enumera le tante minacce ambientali dell’epoca contemporanea: cambiamenti climatici, riscaldamento globale, inquinamento dell’aria, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, deforestazione eccessiva, presenza di sostanze tossiche nelle acque fluviali.

Tutela dell’ambiente, priorità di Papa Francesco
Di qui, il richiamo di mons. Van Doc al fatto che oggi “prendersi cura concretamente dell’uomo significa prendersi cura dell’ambiente in cui egli vive, lavora e si sviluppa”. E questa, continua il presule, è una “priorità pastorale” indicata anche da Papa Francesco sin dall’omelia di inizio pontificato, il 19 marzo 2013: in quell’occasione, infatti, il Pontefice richiamò l’importanza di “custodire il Creato nel suo insieme”, di “avere rispetto per tutte le creature di Dio e per l’ambiente in cui si vive”.

In Quaresima, ridurre gas-serra e riciclare l’usato
Proprio “per rispondere all’appello di Papa Francesco”, spiega l’arcivescovo vietnamita, “è stata fondata l’organizzazione ecclesiale ‘Movimento cattolico mondiale per il clima’, composta da vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, laici, teologi e scienziati provenienti da numerosi Paesi”. L’organismo è stato istituito il 15 gennaio scorso ed ha già lanciato diverse iniziative di sensibilizzazione sul tema della tutela ambientale, tra cui la riduzione, per tutto il tempo di Quaresima, del consumo di prodotti e servizi che producono gas-serra, accompagnata dall’appello a riciclare il più possibile l’usato.

Il Creato è un dono di Dio
L’arcidiocesi di Hô Chi Minh-Ville ha, quindi, dato ascolto all’esortazione del Movimento: oltre alla Giornata di preghiera e digiuno, sono state anche raccolte offerte per finanziare programmi di studio sulla salvaguardia del Creato. Prossimamente, inoltre, la Caritas locale darà inizio ad una sessione di formazione sulla tutela dell’ambiente, accompagnata da esperienze pratiche. “Prendiamoci cura dell’ambiente – conclude mons. Van Doc – poiché esso è un’opera che Dio ci ha affidato e donato, affinché la realizzassimo”. (I.P.)

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Rep. Dominicana-Haiti: Chiesa chiede rispetto dei migranti

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In seguito a diversi episodi di violenza contro i migranti verificatisi su entrambi i lati dell'isola Hispaniola, che stanno creando uno scontro acceso tra Repubblica Dominicana e Haiti in seguito alla chiusura delle frontiere e alla tensione fra le popolazioni che vivono ai confini, la Commissione nazionale di pastorale per i migranti della Conferenza episcopale dominicana (Ced) ha chiesto alle autorità di entrambi i Paesi di non incoraggiare la violenza e di non promuovere l'odio tra i concittadini.

Rep. Dominicana e Haiti chiamare a coltivare cultura di pace
Secondo la nota pervenuta all'agenzia Fides da una fonte locale, il vescovo di Mao-Montecristi, mons. Diomedes Espinal, che è presidente della Commissione nazionale della pastorale per i migranti della Ced, ha pubblicato un comunicato dove ribadisce che la Repubblica Dominicana e Haiti "sono due Paesi che condividono l'isola, quindi sono chiamati a coltivare una cultura di pace con un buon vicinato". Ha sottolineato inoltre che "se non vengono applicati dei correttivi, le tensioni aumenteranno. Si sta giocando con il fuoco, e la situazione potrebbe degenerare in un conflitto con conseguenze imprevedibili".

La Chiesa chiede la ripresa del dialogo
Secondo il documento, firmato anche da padre Julio Acosta, segretario esecutivo della Commissione, la Chiesa cattolica chiede alle autorità dei due Paesi di “rispettare la dignità umana dei migranti, in particolare dei più vulnerabili e indifesi, con documenti e senza documenti, di entrambi i Paesi". Mons. Espinal e padre Acosta hanno anche chiesto “che venga ripreso il dialogo bilaterale nel quadro del rispetto reciproco”, e di affrontare le questioni “con genuina volontà politica". (C.E.)

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Angola: appello dei vescovi in favore di pace e democrazia

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“Consolidare la pace e la riconciliazione nazionale, implementare la vera democrazia e la giustizia sociale, costruire un Paese nuovo in tutte le sue dimensioni”: questa la sfida principale dell’Angola, evidenziata da mons. Gabriel Mbilingi, presidente della Conferenza episcopale di Angola e São Tomé (Ceast). Il presule è intervenuto, in questi giorni, all’Assemblea plenaria della Ceast, in corso a Luena, nella provincia di Moxico, fino al 18 marzo.

La crisi economica ricade su poveri e giovani
Guardando al 40.mo anniversario di indipendenza dell’Angola, che ricorre proprio quest’anno, il presidente dei vescovi ha ribadito che “le conseguenze della crisi economica si fanno sentire pesantemente sulla vita degli angolani, soprattutto sui più poveri, compromettendone lo sviluppo umano e materiale”. Basti citare, ha aggiunto il presule, “il rincaro dei prezzi dei prodotti di prima necessità, l’aumento della disoccupazione e la prevedibile crescita della delinquenza, i tanti giovani che vedono la loro formazione accademica, morale e spirituale fortemente minacciata dalla corruzione”.

Tutelare la donna, combattere l’ideologia del genere
Quindi, mons. Mbilingi ha richiamato l’importanza di tutelare la donna, esortando la Chiesa, le istituzioni e tutta la società civile “ad un maggiore impegno nella ripristino della vera dignità femminile, così da realizzare quella vocazione e missione, comune e complementare, che Dio ha affidato all’essere umano, maschio e femmina, creandolo a sua immagine e somiglianza”. Per questo, il presidente della Ceast ha esortato a “combattere efficacemente l’ideologia del genere e le sue nefaste conseguenze sulla donna e, soprattutto, sulla famiglia, la quale si ritrova a vivere un forte senso di disgregazione e di disorientamento morale”.

No a estremisti che seminano morte in nome della religione
In quest’ottica, i lavori della Conferenza episcopale di Angola e São Tomé si concentreranno anche sui preparativi per il prossimo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Altro punto saliente messo in risalto da mons. Mbilingi riguarda “la grande ondata di violenza perpetrata da gruppi estremisti che, in nome della religione, seminano terrore e morte in vari Paesi del mondo, soprattutto nel continente africano”. Di qui, l’appello e la preghiera a Dio affinché “conservi sempre la pace”.

Verso la fine del triennio sulla Nuova evangelizzazione
Ma l’agenda dei lavori della Ceast prevede anche la presentazione della bozza del messaggio intitolato “La parrocchia, centro di irradiazione della Nuova Evangelizzazione”, in programma per il 2016, ultimo anno del triennio pastorale dedicato proprio alla nuova evangelizzazione. I presuli esamineranno, inoltre, la possibilità di ampliare la Facoltà di Teologia dell’Università cattolica dell’Angola e prepareranno l’Assemblea plenaria del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam). Infine, la Ceast non ha mancato di pregare per Papa Francesco per il secondo anniversario dall’elezione a vescovo di Roma, il 13 marzo scorso ed in vista del 19 marzo, seconda ricorrenza dell’inizio del suo pontificato. (I.P.)

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Vescovi europei: incontro con Juncker e rinnovo cariche

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Un’intensa Assemblea plenaria di primavera comincerà per i 28 vescovi della Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece) mercoledì 18 marzo a Bruxelles, quando incontreranno a palazzo Berlaymont il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. L’analisi e il confronto sulle priorità del programma di lavoro del team Junker - riferisce l'agenzia Sir - saranno discussi anche nella giornata successiva, insieme a due funzionari europei, Rudolf Mögele, direttore generale aggiunto per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e Marcel Haag, capo unità al segretariato generale della Commissione. Nel programma è previsto uno scambio con Herman Van Rompuy, presidente emerito del Consiglio europeo. 

Rinnovo delle cariche della Comece
Nell’ultima giornata dei lavori, il 20 marzo, sarà eletta la presidenza Comece per i prossimi 3 anni. Dal marzo 2012 gli episcopati dei Paesi membri dell’Ue sono guidati dal card. Reinhard Marx, che nel frattempo è diventato anche presidente dei vescovi tedeschi e membro del ‘comitato dei saggi’ di Papa Francesco. Prima di lui il vescovo olandese Adrianus van Luyn era stato in carica per 6 anni (2006-2012), preceduto dal tedesco Josef Homeyer (con 4 successivi mandati dal 1993 al 2006). Il cardinale Marx è affiancato da vescovi vicepresidenti, che attualmente sono Gianni Ambrosio (Piacenza, Italia), Virgil Bercea (Oradea, Romania), Jean Kockerols (ausiliare di Malines-Bruxelles, Belgio). (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 75

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.