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Sommario del 18/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: i bambini rendono vivo e limpido il mondo

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I bambini sono “un grande dono per l’umanità”, anche se spesso sono vittime di un mondo che li esclude. Lo ha affermato Papa Francesco durante la catechesi dell’udienza generale, in Piazza San Pietro, che ha concluso un primo gruppo di riflessioni dedicate alle figure che compongono la famiglia. La presenza pura e fiduciosa dei bambini, ha detto Francesco, dà speranza alla realtà degli adulti dove convivono malizie e doppiezze. Il servizio di Alessandro De Carolis

Sarebbe perduta una società abitata solo da sorrisi di cartone, finti o a comando. Non lo sarà mai una società rischiarata dal sorriso trasparente e spontaneo di un bambino. Papa Francesco arriva alla fine di un percorso di catechesi – in cui ha parlato di mamme, papà, figli, fratelli e nonni – fermandosi sulle figure più piccole della famiglia ma le più grandi per l’umanità, perché per essa, dice, sono il “grande dono” e troppo spesso anche i “grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere”:

“Mi vengono in mente i tanti bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Asia: pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali”.

Siamo tutti figli
Il racconto di questo mercoledì mette intanto l’accento sulla “ricchezza” che ogni bambino porta con sé. Primo, indica Francesco, proprio perché piccoli e bisognosi di attenzioni “ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono”. Secondo, i bambini “ci ricordano che siamo sempre figli”:

“Tutti siamo figli. E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto, la vita. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti”.

"Dicono quello che vedono"
Un altro dono che un bambino porta al mondo dei grandi è quello dello sguardo “fiducioso e puro” e la totale assenza di “malizia” e “doppiezze”, delle “incrostazioni della vita che – sottolinea il Papa – induriscono il cuore”:

“I bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori: ‘Questo non mi piace perché brutto’, (dicono) davanti alle altre persone. Ma i bambini dicono quello che vedono, non sono persone doppie. Ancora non hanno imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti abbiamo imparato”.

Hanno la capacità di sorridere e di piangere
E poi bambino, prosegue Francesco, è sinonimo di “tenerezza”, di uno sguardo di “poesia” sulla vita, perché un cuore tenero sente le cose, non si limita a trattare gli avvenimenti come “meri oggetti”. Bambino vuol dire avere ancora la capacità, dissolta in tanti adulti, “di sorridere e di piangere”:

“Alcuni, quando li prendo per abbracciarli, sorridono. Altri mi vedono in bianco: credono che io sia il medico e che vengo a fargli il vaccino e piangono… ma spontaneamente! I bambini sono così! Sorridere e piangere: due cose che in noi grandi spesso ‘si bloccano, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio… I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente”. 

Meglio bambini e "guai", che senza e tristi
Ce n’è d’avanzo per capire come mai Gesù abbia detto che il Regno di Dio appartiene ai bambini, è la considerazione finale di Francesco. Bambino è “vita, allegria, speranza”. Talvolta anche “guai”, ma guai benedetti:

“Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini”.

Giuseppe, Santo di tutti
Alla fine dell’udienza, Papa Francesco ha ricordato la solennità di domani, quella di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale: “Cari giovani – ha detto – guardate a lui come esempio di vita umile e discreta; cari ammalati, portate la croce con l’atteggiamento del silenzio e dell’orazione del padre putativo di Gesù; e voi, cari sposi novelli, costruite la vostra famiglia sullo stesso amore che legò Giuseppe alla Vergine Maria”.

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Papa benedice Fiaccola benedettina in viaggio per Cassino

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Al termine dell’Udienza Generale, Papa Francesco ha benedetto la fiaccola benedettina “Pro Pace et Europa Una”, che il primo marzo è partita in pellegrinaggio da Norcia a Dublino. Oggi pomeriggio, la fiaccola seguirà una staffetta lungo il cammino di San Benedetto e tornerà a Norcia sabato sera per i solenni festeggiamenti in onore del Patrono d’Europa. Elvira Ragosta ha intervistato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, che questa mattina ha accompagnato la delegazione: 

R. – In questo contesto particolare, la fiaccola di San Benedetto è stata accompagnata dalle città che sono legate a San Benedetto – dunque Norcia, Cassino e Subiaco – e quest’anno è andata a Dublino, con questo messaggio di umanesimo cristiano, legato alla sapienza e alla Regola di San Benedetto.

D. – Trecento chilometri a piedi per i tedofori, che da oggi pomeriggio ripercorreranno il cammino di San Benedetto…

R. – Sì, sono le società sportive delle tre città, che si impegnano ad accompagnare questo fuoco nei luoghi di San Benedetto. Questo fuoco sarà un poco, simbolicamente, il messaggio di San Benedetto che viene riproposto.

D. – L’opera, la Regola e il messaggio di San Benedetto quanto sono attuali oggi per l’Italia e per l’Europa?

R. – E’ curioso che un’opera così lontana nel tempo non abbia perso nulla della sua attualità. Benedetto guarda all’uomo e alla società da un punto di vista cristiano, fondando le sue radici nel Vangelo, e sottolinea la dignità dell’uomo fatto a immagine di Dio: parla di solidarietà, di accoglienza reciproca, di riconciliazione, tutti temi particolarmente attuali per la nostra società, che ha bisogno di ritrovare un’anima, di ritrovare un centro attorno al quale organizzare, sviluppare e promuovere la vita sociale.

Il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, ha posto l’accento sulla dimensione europea della fiaccola benedettina:

“Il viaggio della fiaccola in Europa, che si reitera ormai da moltissimi anni, quasi 50, ha un senso importante per le nostre tre comunità di Cassino, Subiaco e Norcia. E’ un messaggio importantissimo, fondamentale e noi vorremmo che l’Europa riprendesse seriamente in considerazione la possibilità di scrivere nella Carta costituzionale europea i valori fondanti di questa Unione Europea, non solo valori politici ed economici, ma anche il messaggio di San Benedetto e quindi un riferimento a Benedetto. Sappiamo, infatti, che le radici giudaico-cristiane non possono essere accettate, accolte nella Carta, ma certamente Benedetto ovunque sia andato – ovunque in Europa, ovunque nel mondo – attraverso i suoi monaci ha lasciato il suo messaggio di pace, cultura e civilizzazione, cui l’Europa intera può fare riferimento”.

Ai nostri microfoni, il sindaco di Cassino, Giuseppe Golini Petrarcone, parla della fiaccolata che da Cassino arriverà sabato sera a Norcia con una staffetta di tedofori, attraverso il cammino di San Benedetto:

“E’ un evento nell’evento il portare di corsa questa fiaccola nella via di San Benedetto, la via che San Benedetto percorse 1500 anni fa, ripartendo da Norcia, Subiaco e Cassino. Un’altra emozione: quest’anno siamo stati a Dublino e siamo stati accolti davvero con grandissima commozione dalla comunità cattolica e anche dai nostri concittadini”.

Una staffetta organizzativa anche per le amministrazioni delle tre città benedettine, come ci racconta il sindaco di Subiaco, Francesco Pelliccia:

“Si è creata veramente una bella sinergia tra le tre comunità. Abbiamo ripreso quattro anni fa con vigore questo messaggio forte, da cui proviene appunto la nostra identità benedettina, e devo dire che c’è un’attenzione forte della popolazione: attendono con ansia ogni anno questo appuntamento del marzo benedettino e ormai si sono consolidati dei rapporti di amicizia, di solidarietà, di cooperazione con le altre tre città. Chiaramente, oltre al fattore civile, istituzionale, solidaristico, c’è anche un grande messaggio spirituale che siamo onorati di portare in tutta Europa”.

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Presto Santi i genitori di S. Teresa di Lisieux

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Il papà e la mamma di Santa Teresa del Bambino Gesù saranno presto canonizzati. Papa Francesco, molto devoto di Santa Teresina, ha ricevuto oggi il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare il decreto che riconosce un miracolo attribuito all'intercessione dei Beati Louis Martin e Zélie Guérin, genitori della Santa di Lisieux. Il servizio di Sergio Centofanti

Volevano entrambi entrare in monastero: ma Dio ha avuto per loro progetti diversi. Lui non è stato accettato perché non riusciva proprio ad imparare il latino, lei perché rifiutata dalla superiora del convento. Si sono incontrati nell’aprile del 1858 lungo un ponte ad Alençon, nella Bassa Normandia, e si sono innamorati a prima vista. Luigi è orologiaio, Zélie ha un negozio di merletti. Si sposano presto e arrivano nove figli: quattro muoiono in tenera età. La loro vita è semplice: lavorare e stare insieme con gioia. Al centro c’è la fede: Messa quotidiana, preghiera in famiglia, Confessione, adorazioni notturne. Luigi dice: “Messer Dio è il primo ad esser servito”.

L’amore tra i due sposi è forte e delicato. Luigi, in viaggio di lavoro, scrive alla moglie: “Il tempo mi sembra lungo e non vedo l’ora di essere vicino a te”. Si definisce “marito e vero amico” di Zélie che a sua volta diceva: “Mio marito è un sant’uomo. Ne auguro uno simile a tutte le donne. Io sono sempre felicissima con lui: mi rende la vita molto serena … è per me un consolatore ed un sostegno”.

Educano i figli a condividere con i più poveri: li invitano a casa, pranzano con loro, gli regalano vestiti e scarpe. Un giorno Luigi incontra per strada un povero, lo ospita, mangiano insieme. Poi, prima che se ne vada, gli chiede la benedizione. Il papà per primo si inginocchia davanti al povero che benedice tutta la famiglia.

Teresa è l’ultima dei nove figli: afferma di essere “figlia di santi”. “Il Signore - dice - mi ha dato due genitori più degni del cielo che della terra”. Ricorda di aver imparato la spiritualità della “piccola via” sulle ginocchia della mamma. Alle consorelle confida: “Non avevo che da guardare mio papà per sapere come pregano i santi”. 

Il Papa ha autorizzato il dicastero a propulgare anche i decreti riguardanti nuovi sette Venerabili:

- le virtù eroiche del Servo di Dio Francesco Gattola, Sacerdote diocesano, Fondatore della Congregazione delle Suore Figlie della Santissima Vergine Immacolata di Lourdes, nato a Napoli (Italia) il 19 settembre 1822 ed ivi morto il 20 gennaio 1899;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Pietro Barbarić, Novizio Scolastico della Compagnia di Gesù; nato a Klobuk (Bosnia ed Erzegovina) il 19 maggio 1874 e morto a Travnik (Bosnia ed Erzegovina) il 15 aprile 1897;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Aikenhead, Fondatrice dell'Istituto delle Suore della Carità in Irlanda; nata a Cork (Irlanda) il 19 gennaio 1787 e morta a Dublino (Irlanda) il 22 luglio 1858;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Elisabetta Baldo, già Vedova, Fondatrice della Pia Casa di San Giuseppe a Gavardo, Confondatrice della Congregazione delle Umili Serve del Signore; nata a Gavardo (Italia) il 29 ottobre 1862 ed ivi morta il 4 luglio 1926;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Vincenza della Passione del Signore (al secolo: Edvige Jaroszewska), Fondatrice della Congregazione delle Suore Benedettine Samaritane della Croce di Cristo; nata a Piotrków Trybunalski (Polonia) il 7 marzo 1900 e morta a Warszawa (Polonia) il 10 novembre 1937;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Giovanna della Croce (al secolo: Giovanna Vázquez Gutiérrez), Monaca professa del Terzo Ordine di San Francesco, Abbadessa del Convento di Santa Maria della Croce a Cubas di Madrid; nata a Villa de Azaña oggi Numancia La Sagra (Spagna) il 3 maggio 1481 e morta a Cubas de La Sagra (Spagna) il 3 maggio 1534;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Orsola Bussone, Laica; nata a Vallo Torinese (Italia) il 2 ottobre 1954 e morta a Ca' Savio (Italia) il 10 luglio 1970.

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Messaggio Papa a parrocchia villa miseria dedicata a Don Bosco

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Papa Francesco ha inviato un messaggio alla comunità della parrocchia “San Juan Bosco” di Buenos Aires che verrà inaugurata ufficialmente domenica prossima, 22 marzo. Si tratta della prima parrocchia villera, cioè situata in una villa miseria, dedicata a Don Bosco, fondatore della Famiglia salesiana e celebre per il suo “sistema preventivo”, e non punitivo, nell’educazione dei giovani.

Aiutare i giovani ad avere una vita dignitosa
Come riferisce l’agenzia salesiana Ans, nel suo messaggio il Pontefice spiega: “La parrocchia porta il nome di San Giovanni Bosco, nel secondo centenario della sua nascita, perché Don Bosco ha lavorato tanto con i bambini e i giovani e una delle dimensioni più fonti di questa parrocchia saranno i bambini e i giovani. Per aiutarli ad integrarsi, a condurre una vita dignitosa, felice; perché siano felici e abbiano un lavoro e possano formare una famiglia”. “Mi auguro che questa parrocchia faccia del bene a tutti voi – aggiunge il Papa - Prego per voi, perché possiate andare avanti, prego per il parroco, prego per tutti coloro che collaborano all’interno di essa. Vi benedico tutti, a tutti voi, a tutti i collaboratori, a tutti; e vi chiedo per favore di pregare per me”.

Il parroco è don “Pepe”, amico di lunga data del Papa
Il parroco a cui è stata assegnata la parrocchia è don José María “Pepe” Di Paola, amico di vecchia data dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. Anche se non è salesiana, la parrocchia mette in pratica gli insegnamenti di Don Bosco nel dedicarsi ai giovani, specialmente a coloro che vivono emarginati, nelle periferie. Don Pepe, infatti, ha disseminato il territorio di cappelle, aprendone ben nove, che hanno preso vita rapidamente grazie all’animazione soprattutto di anziani, giovani e donne.

Una Chiesa vicina agli ultimi
Nel 2014 il registro dei battesimi della parrocchia contava 600 nomi, dieci volte di più dell’anno precedente. Tra i neobattezzati, anche figli di evangelici. Un dato che non sorprende don Pepe il quale spiega: “Dove la Chiesa torna ad essere presente, vicina ai corpi e alle anime, un ‘ospedale da campo’ che lenisce le ferite, lì chi si è allontanato ritorna con una certa facilità”. (I.P.)

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I detenuti di Poggioreale: il Papa si farà nostro portavoce

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Tra i momenti cruciali della vista del Papa sabato a Napoli, il pranzo con i detenuti di Poggioreale. Ad attendere Francesco ci saranno anche i reclusi dell’altro istituto partenopeo, Secondigliano. In entrambe le strutture si contano circa 3mila detenuti. Fondamentale l’aiuto dei volontari: tra questi c'è Anna Maria Esposito, presidente dell’associazione “Carcere Vivo”. Federico Piana l’ha intervistata: 

R. – Da quello che abbiamo saputo sarà un pasto molto frugale, semplice, perché il tempo è breve e perché l’intenzione del Santo Padre è quello di salutare singolarmente ogni detenuto: non so bene in questo momento se prima o dopo il pasto, prima di andare via.

D. – Cosa si aspettano i detenuti e i volontari del carcere di Poggioreale e di Secondigliano da questa visita del Santo Padre?

R. – Che la loro voce - di persone comunque “costrette” a vivere senza la propria libertà e “costrette” anche a vivere in situazioni molto difficili – possa essere portata fuori dal Papa.

D. – Che situazione vivono le carceri di Poggioreale e di Secondigliano? Sappiamo che le carceri italiane sono sovraffollate: ma quali sono i problemi che ci sono e che affrontate voi operatori di volontariato che siete lì ogni giorno e cercate di fare tanto per queste persone ristrette?

R. – Sono 28 anni che io faccio volontariato nel carcere di Poggioreale e una ventina d’anni che sono anche a Secondigliano. Dal mio punto di vista, oltre al sovraffollamento, anche se da 7-8 mesi è diminuito perché parecchi sono stati spostati in altre carceri della Campania o dell’Italia, uno dei problemi è l’inattività che questi ragazzi devono subire durante la loro carcerazione. Le attività che si possono svolgere “dentro” sono poche; il lavoro è pochissimo. Stanno veramente 24 ore chiusi in cella. L’inattività, noi lo sappiamo, è il padre dei vizi … E loro vorrebbero essere impegnati! Per quanto le direzioni di entrambi i carceri cercano di organizzare corsi su corsi, sia a livello volontario sia anche a pagamento, cioè la scuola, ma sono sempre pochi rispetto al numero enorme di persone che si trovano ristrette nelle carceri.

D. – Quali frutti vi aspettate che porti questa visita del Papa?

R. – Una speranza maggiore. Giovanni Paolo II venne a Poggioreale. Anni dopo, io incontrai nel carcere di Secondigliano una persona e parlando della visita di Papa Giovanni Paolo II lui mi disse: “Il Papa passò davanti alla mia cella e mi strinse la mano. Io in quel momento sentii una scarica dentro di me, uno svuotarmi di me stesso e trovai una serenità dentro di me … non le dico che cosa ho provato!”. E mi diceva: “Io sono sicuro che quando uscirò da qui non rientrerò più”, perché evidentemente quella stretta di mano aveva infuso in lui tanta e tanta di quella forza, di quella speranza per cui lui con sicurezza diceva: “Io non rientrerò più in carcere!”.

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Papa dona 500 kg di viveri ai poveri di Tor Bella Monaca

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Formaggio, pomodori, marmellate, cereali, legumi e tanto altro. Cinquecento chili di cibo donati a chi vive una pena quotidiana quando deve uscire a fare la spesa. A queste persone ha pensato Papa Francesco quando ha deciso di far preparare 5 quintali di alimenti e affidarli all'Associazione “Medicina Solidale”, che si occuperà di distribuirle alle famiglie in difficoltà di Tor Bella Monaca, quartiere periferico di Roma visitato da Francesco meno di due settimane fa.

Mons. Krajewski distribuirà i viveri
E a rendere più concreta e vicina la presenza del Papa sarà il suo elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, che sabato prossimo alle 9 sarà nella sede dell’Associazione, a Via Aspertini 520, per consegnare di persona i pacchi viveri. “È stata una vera sorpresa quando ci è arrivata la telefonata che ci annunciava l'arrivo degli alimenti per le famiglie più povere del quartiere”, ha detto Lucia Ercoli, direttore di “Medicina Solidale”. “Il Papa non si è dimenticato di noi e a distanza di 10 giorni dalla sua visita a Tor Bella Monaca ha voluto dare un segno della sua vicinanza a chi si trova in difficoltà”.

Un anticipo di Giubileo
Inoltre, ha soggiunto la Ercoli, “con questi gesti di misericordia idealmente il Papa ha dato un'anticipazione sull'Anno Santo straordinario e per questo lo ringraziamo con il cuore per avere donato una speranza a tanti che vivono nella sofferenza e nell'emarginazione”.

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Trasferimento episcopale in Brasile

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In Svizzera, Papa Francesco ha accettato la rinuncia presentata per raggiunti limiti di età di dom Joseph Roduit, C.R., all’ufficio di Abate ordinario dell’Abbazia territoriale di Saint-Maurice.

In Brasile, il Papa ha trasferito all’incarico di ausiliare di São Luís do Maranhão mons. Esmeraldo Barreto de Farias, finora arcivescovo di Porto Velho. Il presule è nato il 4 luglio 1949 a Santo Antônio de Jesus, diocesi di Amargosa, e ordinato sacerdote il 9 gennaio 1977. Ha frequentato gli studi di Filosofia presso l’Universidade Federal de Minas Gerais e quelli di Teologia presso l'Istituto di Teologia dell'Università Cattolica di São Salvador da Bahia. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto le seguenti funzioni: Vicario nella parrocchia Senhor do Bonfim, di Jiquiriçá (1977-1992). Nello stesso tempo ha prestato servizio alle parrocchie dei Municipi di Santa Inês e Brejões (1977), Mutuípe (1979-1986) e Ubira (1983-1987), della diocesi di Amargosa (Bahia) e di Parelhas, nel Rio Grande do Norte. È stato anche Coordinatore della Equipe diocesana della Pastorale Rurale; Amministratore Diocesano di Amargosa durante la sede vacante (1988); collaboratore alla direzione spirituale del Seminario Maggiore di Amargosa; Vicario nella parrocchia São Benedito, in Santo Antônio de Jesus (1992-1997) e Coordinatore nazionale dei Sacerdoti del Prado (1991-2000). Eletto Vescovo di Paulo Afonso il 22 marzo 2000, è stato consacrato l'11 giugno successivo. Il 28 febbraio 2007 fu trasferito alla diocesi di Santarém. All’interno della Conferenza Episcopale, Mons. Farias ha svolto le funzioni di Membro del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Brasiliana e Presidente della Commissione Episcopale per i Ministeri Ordinati e la Vita Consacrata (2007-2011). Il 30 novembre 2011 è stato nominato arcivescovo di Porto Velho.

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Card. Turkson: aiuti Santa Sede a Paesi colpiti da Ebola

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Sta prendendo forma il Fondo anti-Ebola con cui la Santa Sede intende concretizzare il suo aiuto alle Chiese cattoliche locali di Guinea, Liberia e Sierra Leone, i Paesi più colpiti dall’epidemia, per sostenere la loro risposta alla crisi causata dal virus. E’ stato stanziato il primo pacchetto di 500 mila euro a cui si aggiungeranno i contributi finanziari dei benefattori e di chiunque voglia aderire, fino al raggiungimento della cifra preventivata di 3 milioni di euro. L’impegno di raccolta e di gestione del Fondo è affidato al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace il cui presidente è il card. Peter Turkson. Il nostro collega Stefan von Kempis l’ha intervistato: 

R. – Tutti noi abbiamo seguito i discorsi del Santo Padre sulla questione di Ebola, in cui chiedeva spesso le preghiere di tutta la Chiesa per le vittime dell’Ebola. Ricordiamo anche che in una delle sue riflessioni lui ha paragonato l’Ebola alla lebbra: in ambedue i casi, non è facile toccare i pazienti. E quindi, ecco: il Santo Padre come sempre nella sua sollecitudine, non ha voluto limitare il suo intervento soltanto alle parole e alle espressioni di vicinanza a queste persone; ha voluto far qualcosa di più concreto: l’istituzione di questo piccolo fondo per aiutare e dare un po’ di assistenza alle Chiese locali nei tre Paesi più colpiti.

D. – Come procederete quindi nel Pontificio Consiglio? A chi andranno i soldi? Come sceglierete i progetti?

R. – Uno degli obiettivi di questo Fondo è di aiutare le Chiese locali a migliorare le loro strutture, i loro posti sanitari per poter dare assistenza agli ammalati. Il secondo obiettivo e di dare assistenza agli orfani, vittime dell’Ebola, e ce ne sono tantissimi! Conosco un Istituto salesiano che già ha incominciato ad accogliere alcuni di questi bambini, a dare loro un po’ di istruzione … E poi conosco anche diocesi che hanno deciso di procedere diversamente: invece di creare un centro, hanno voluto incoraggiare i parrocchiani ad adottare alcuni di questi bambini, affinché crescano in un ambiente più familiare. Il terzo obiettivo è quello della formazione per aiutare un po’ a fermare la diffusione di questa malattia: il quarto obiettivo è quello di poter prestare anche assistenza di consulenza alle vittime di questa malattia, perché molte famiglie sono praticamente decimate da questo virus e devono ricevere aiuto su come affrontare questa situazione, come andare avanti con la loro vita … Serve quindi assistenza psico-sociale. Poi, a livello della Chiesa, del suo ministero pastorale: anche lì ci vuole un po’ di assistenza, perché la situazione dell’Ebola richiede sempre quella che si chiama la “no-touch policy”, cioè la pratica di non toccare, e non toccando come fa un vescovo – per esempio – a cresimare. La stessa cosa vale per le sepolture: adesso hanno sviluppato un sistema che consente al parroco o agli imam di assistere alla sepolture delle vittime. Stando a debita distanza, si può aspergere l’acqua benedetta e dire una preghiera e benedire la salma prima della sepoltura. Tutto questo ha portato a cambiare un po’ tutto l’atteggiamento delle persone e la loro disponibilità ad aiutare. Quindi, tutti, tutti sono invitati, ognuno può contribuire a questo Fondo. E’ gestito qui al dicastero del Consiglio della Giustizia e della Pace insieme anche alla Caritas: ognuno può contribuire.

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Mons. Tomasi: garantire l'istruzione ai bambini siriani

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In Siria, a quattro anni dall’inizio del conflitto, sono oltre cinque milioni i bambini sfollati e altri due milioni quelli profughi oltre confine, su un totale di quattro milioni di siriani rifugiati nei Paesi limitrofi. Secondo l'Unicef, i minori morti sono più di 10 mila e dimezzate risultano nel Paese le iscrizioni alle scuole elementari. Il numero delle persone bisognose di aiuti urgenti è raddoppiato in un anno. Giuseppe Beltrami ha intervistato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso gli uffici Onu di Ginevra: 

R. – La situazione in Medio Oriente continua ad essere critica. La violenza è l’espressione quotidiana delle ostilità che continuano in questa regione. La situazione peggiore continua nel nord dell’Iraq e in Siria, dove i combattimenti sono più aspri e sistematici.

D. – I minori e le loro famiglie sono fra i più colpiti. Quali iniziative dovrebbe mettere in atto la comunità internazionale per loro?

R. – Vittime di questi combattimenti sono le famiglie, che vengono separate o distrutte, e molti bambini. Infatti, nei campi profughi del Medio Oriente metà della popolazione è costituita da bambini e questi hanno bisogno di essere protetti in modo particolare, perché sono il futuro della società. Fra le misure che si dovrebbero prendere, bisogna soprattutto cominciare a registrare questi bambini quando nascono, in modo che abbiano una posizione legale nella società. Queste misure dovrebbero essere prese in maniera concreta, facilitando il processo di registrazione attraverso l’eliminazione di tasse, provvedendo con uffici particolari e aiutando con persone specializzate a contattare queste famiglie. Anche l’educazione dei bambini è un problema grosso: solo in Siria sono state distrutte più di cinquemila scuole e nella zona controllata dal cosiddetto Stato islamico abbiamo una distruzione sistematica delle scuole per impedire l’educazione dei bambini e farli crescere in un contesto di fanatismo, che poi li porta ad essere addirittura dei “suicide bombers”, cioè dei bambini che, imbottiti di esplosivo, vengono mandati ad attaccare degli obiettivi militari. Quindi, quello che si deve continuare a difendere è la protezione dei diritti dei bambini, ma anche di tutti i membri delle loro famiglie. E in questo senso la comunità internazionale ha la responsabilità di fare in modo di facilitare il raggiungimento della pace, attraverso una volontà politica di incontri, di dialogo, di coordinazione. E poi, se questo non è possibile, bisogna trovare altre forme più energiche, più forti, attraverso le strutture della comunità internazionale - come le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza - per poter arrivare a difenderli da questa specie di genocidio che continua in tutta la regione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Terrore a Tunisi: otto morti e decine di turisti presi in ostaggio in un museo.

Ricchezza dell’umanità: all’udienza generale il Papa parla dei bambini.

Diplomazia del Vangelo: il cardinale segretario di Stato per i venticinque anni dei rapporti diplomatici con la Romania.

Dal 28 marzo la rivista spagnola “Vida Nueva” pubblicherà il mensile dell’Osservatore Romano, “donne chiesa mondo”, tradotto in castigliano.

Risposta equilibrata: Ferdinando Cancelli sulla proposta di legge francese sulla fine della vita.

Un articolo di Pier Luigi Guiducci dal titolo “Giovanni Palatucci e il mistero del carcere”: raccolte nuove testimonianze sul questore di Fiume che salvò migliaia di ebrei.

Gli occhi di Monica: Silvia Gusmano su emarginazione degli anziani e fragilità umana.

Javier Sierra sulla signora in blu: il 21 marzo lo Stato del Texas celebra Maria di Agreda.

Sorprese dall’Africa: Pierluigi Natalia sul convegno dei comboniani dedicato al cammino del continente.

Maurizio Gronchi sul volto di Dio nella confessione.

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Oggi in Primo Piano



Israele-Netanyahu: nuovo governo in due, tre settimane

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"Sono emozionato per l'incarico che il popolo ebraico mi ha affidato ancora una volta, prometto sicurezza e prosperità". Così il premier Benyamin Netanyahu all'indomani della vittoria a sorpresa alle elezioni anticipate che lo porterà, entro due o tre settimane, a formare un nuovo governo con i partiti nazionalisti e religiosi. Al via già i primi colloqui, mentre il leader del centrosinistra Isaac Herzog ammette la sconfitta, ma rilancia: ”continueremo a batterci”. Dura invece la reazione dei Palestinesi anche se l’Unione Europea tiene a ribadire che il processo di pace va incoraggiato. Il servizio di Gabriella Ceraso

Netanyahu si è affermato nonostante sondaggi e previsioni sfavorevoli e ha conquistato per il suo partito Likud, 30 su 120 seggi alla Knesset e si prepara ora ad una coalizione che lo potrebbe portare ad una maggioranza di oltre 67 deputati per una legislatura blindata, tra destra nazionalista di Bennett e Lieberman e gli ultraortodossi del partito Kulanu. Fermi alla sconfitta di 24 seggi, i rivali di Campo Sionista, il laburista Herzog e la centrista Livni .La paura da entrambi i fronti è stato un fattore fondamentale nell’esito delle urne, spiega  Marcella Emiliani storica del Medio Oriente, al microfono di Massimiliano Menichetti

R. - L’unione sionista, cioè la sinistra, confidava sul fatto che Netanyahu avesse operato una sorta di strappo con la presidenza americana, quindi l’alleato più importante e il blocco totale del dialogo con i palestinesi, questo lo avrebbe fortemente penalizzato. Evidentemente gli israeliani si sono spaventati, per quanto diceva Netanyahu, ovvero che il blocco dei tre partiti arabi schierato con l’Unione Sionista avrebbe significato la fine dello Stato d’Israele

Altro significativo risultato del voto è il successo della Lista araba unita che ha ottenuto la cifra record di 14 seggi, rispecchiando una realtà mutata in Israele secondo Aldo Baquiscollaboratore Ansa da Tel Aviv, intervistato da Antonella Palermo: 

R. – Potrebbe anche assumere il controllo di alcune commissioni parlamentari importanti. La cosa viene giudicata rilevante perché dimostra la volontà delle popolazione araba in Israele di assumere una maggiore responsabilità nelle cose pubbliche; finora si era accontentata di fare l’opposizione dai banchi esterni del Knesset. Quindi c’è forse un’inversione di tendenza che, secondo molti analisti, va sostenuta e incoraggiata però, al tempo stesso, va detto che da un lato l’affermazione della destra nazionalista religiosa e dei gruppi ortodossi e dall’altro lato l’affermazione della Lista Araba hanno eroso la base di consensi per la sinistra laica socialista o socialdemocratica che si rifaceva, in qualche modo, al modello di Isaac Rabin perché la demografia ha avuto in definitiva l’ultima parola. La demografia premia le comunità ultraortodosse, la popolazione araba, i coloni in Cisgiordania, ma va a scapito di coloro che si basavano un tempo su un movimento laburista organizzato sulla centrale sindacale di Histadrut e sul movimento dei Kibbutz.

Entro due o tre settimane, comunque, il nuovo esecutivo sarà pronto, afferma Netanyahu, mettendo al primo posto sicurezza e benessere di tutti. Resta il nervo scoperto dei rapporti con i palestinesi: Olp e Hamas giudicano questa, una vittoria del razzismo e quindi della resistenza armata. L’Anp rilancia invece l’idea dei due Stati in attesa di nuovi pronunciamenti del neo premier. Quali dunque gli scenari prevedibili? Ancora Aldo Baquis:

R. – Per quanto riguarda le relazioni esterne si prevede che Israele continuerà a trovarsi isolato, perché, ancora nei giorni scorsi, Netanyahu ha assicurato che se resterà in carica provvederà a far sì che non possa nascere uno Stato palestinese indipendente accanto ad Israele. Sono posizioni che sono considerate inaccettabili. Invece la novità più interessante è quella che riguarda la politica interna del governo: Netanyahu includerà nel suo esecutivo il ministro Moshe Kahlon, leader del partito Kulanu. È una formazione assolutamente nuova su base popolare sefardita che si prefigge di diminuire i divari sociali fra chi sta molto bene e i molti che invece non riescono ad arrivare a fine mese, in modo particolare gli ebrei sefarditi, originari dei Paesi arabi, gli arabi israeliani e gli ebrei ortodossi. Quindi Netanyahu sarà indotto dai nuovi rapporti di forze a dedicare maggiore attenzione alla società israeliana.

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Progressi in colloqui per Libia: la conferma di Ban Ki-moon

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Si registrano progressi nel negoziato per il dialogo in Libia. Li mette in luce il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, incontrando a Roma il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Intanto, 10 persone sono morte nei pressi di Sirte, dove una milizia della coalizione Fajr Libya cerca di allontanare i jihadisti legati al sedicente Stato islamico, che dal mese scorso controllano gli edifici governativi. Le prospettive di un governo di unità nazionale nella riflessione di Paolo Magri, direttore dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale, nell’intervista di Fausta Speranza: 

R. – Qualcosa si sta muovendo dopo che la settimana scorsa in Marocco non si erano presentati i rappresentanti di Tripoli e sembrava che tutto si fosse bloccato. Qualcosa sta procedendo. Lo spiraglio sembra essere quello di creare un governo di unità nazionale dando a figure esterne, cioè a libici che hanno lavorato sempre all’estero, per esempio alla Banca mondiale, un ruolo di primo piano nel governo. E con i due governi – Tripoli e Tobruk – che sostengono questo sforzo. La vera domanda, se si raggiungesse questo risultato, è questa: cosa faranno le milizie sul territorio? Una cosa è il dialogo dei diplomatici e degli uomini politici, una cosa è tenere insieme le molte milizie armate della Libia, che sono armate l’una contro l’altra, all’interno delle decisioni di vertice.

D. – Inoltre, Tobruk dell’est della Libia, riconosciuto dalla comunità internazionale, afferma che può anche dialogare con Tripoli, ma non con i miliziani dell’Is che, a suo dire, stanno aumentando in Libia…

R. – Questo è comprensibile. Nessuno vuole dialogare con l’Is, neanche il governo di Tripoli. Il punto è che il governo di Tobruk prende questo elemento – quello di contrastare l’Is – per chiedere armamenti internazionali, ma non c’è nessuna certezza che poi, una volta avuti, non li utilizzi anche contro il governo di Tripoli. Questo è un po’ il gioco. Ricordiamo che le forze dello Stato islamico presenti in Libia – che sono poi gruppi locali che si sono affiliati allo Stato islamico, non sono arrivati dalla Siria e dall’Iraq – non sono molto numerose ma stanno prosperando proprio nell’incertezza di governo che c’è in Libia, che in alcune zone è diventata terra di nessuno.

R. – Noi identifichiamo est, ovest... Ma è difficile parlare della situazione sul campo, visto che le tante tribù dopo la fine del regime di Gheddafi sono anche allo sbando…

R. – È questo il punto centrale. Noi semplifichiamo la realtà “Libia” dicendo che c’è un governo che chiamiamo legittimo – che si autoproclama tale – che è quello di Tobruk. Chiamiamo un governo islamico quello di Tripoli, ma in mezzo ci sono una quantità di milizie: sono quelle di Bengasi e quelle delle varie città, in alcuni casi composte da delinquenti comuni, in altri casi da approfittatori della situazione economica e in altri casi da terroristi che si sono affiliati. Questo gioco delle milizie diffuse sul territorio è il problema profondo della Libia e questa situazione è favorita dal fatto che non ci sia nessuno che pone l’ordine nel Paese, visto che i due governi – legittimi o meno che siano – si stanno contrastando a livello militare.

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Boko Haram: profughi in Camerun, servono alimenti e vaccini

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Parla di “attacco finale” agli estremisti islamici di Boko Haram il governo della Nigeria, alla vigilia delle legislative e presidenziali nel Paese africano, spostate dal 14 febbraio al prossimo 28 marzo proprio a causa dei continui attacchi dei miliziani e della conseguente offensiva delle truppe di Abuja, appoggiate da quelle di Camerun, Ciad e Niger. Riconquistata dai militari la città di Bama, nello Stato di Borno. Mentre ai vescovi nigeriani è giunta in questi giorni la lettera di Papa Francesco, in cui di fronte alla violenza esorta ad andare avanti sulla via della pace “senza scoraggiamenti”, proprio dalla zona al confine tra Nigeria e Camerun arriva un nuovo allarme profughi, in particolare a Fotokol. Ce ne parla fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, in Camerun. L’intervista è di Giada Aquilino

R. - La situazione è diventata più grave del previsto, perché c’è stato un grosso cambiamento nella strategia delle forze della coalizione. Da una settimana, il contingente delle forze armate del Ciad, che era in Nigeria per cercare di fermare l’avanzata di Boko Haram, è rientrato in Camerun su richiesta del presidente della Nigeria, perché dice che per il momento bisogna arrestare un po’ questa campagna in quanto ci saranno le elezioni tra circa due settimane. Quindi, il fatto che i ciadiani siano rientrati dalla loro missione ha permesso agli islamisti di Boko Haram di riprendere con più forza il territorio. E la popolazione che si trovava ancora nella zona di confine si è riversata in Camerun.

D. - Si parla di questa nuova ondata di profughi: ci sono dei numeri?

R. – Per Fotokol, si tratta di oltre 11.200 persone, che si sono aggiunte alle 4.000 che erano già sul posto.

D. – Quali sono le emergenze?

R. – Le emergenze sono legate in primo luogo agli alimenti. Attualmente siamo nel periodo tra una coltura e l’altra. Quindi, oltre al fatto di essere in guerra, il cibo scarseggia. In secondo luogo, c’è un’emergenza sanitaria, perché abbiamo visto molti bambini denutriti: su 11.200 persone, oltre 5.300 sono piccoli al di sotto dei 10 anni.

D. – Che tipo di assistenza state fornendo?

R. – Abbiamo iniziato a portare degli alimenti per tutta la popolazione. Abbiamo inviato più di 30 tonnellate di mais; abbiamo preparato uno stock per la cura di circa 200 bambini malnutriti. E, dato che ci troviamo al momento nella stagione secca, con un vento che viene dal deserto, tutti i nostri esperti dicono che, se non interveniamo con delle vaccinazioni contro la meningite, si rischia un’epidemia. Quindi abbiamo portato circa 5.000 dosi per una prima fase di vaccinazioni contro la meningite, soprattutto per i bambini e per le persone malate.

D. - Voi avete notato che tra queste persone ci sono moltissimi bambini, donne e anziani, ma pochi uomini e giovani: perché?

R. – Non si capisce bene se gli uomini stiano combattendo dall’altra parte con i Boko Haram, siano fuggiti o siano stati uccisi.

D. – Tra l’altro, sono stati denunciati dei traffici di armi…

R. – Sì. Posso dire che eravamo sul posto dove c’erano questi profughi venuti dalla Nigeria e in alcuni bagagli di donne che arrivavano sono state ritrovate delle armi: questo ha provocato un’agitazione enorme da parte delle forze armate camerunesi e un irrigidimento nei controlli. Purtroppo in questa tragedia si verificano anche queste situazioni paradossali.

D. – Il Papa ha scritto ai vescovi nigeriani citando le nuove e violente forme di estremismo e di fondamentalismo, ma anche l’impegno della Chiesa della Nigeria al fianco di chi ha bisogno. Ha esortato i presuli e quindi tutti quelli impegnati per la crisi nigeriana ad andare avanti sulla via della pace senza scoraggiamenti. In che condizioni operate voi in Camerun, ma anche i vostri fratelli in Nigeria?

R. – Qui in Camerun possiamo dire che non abbiamo grosse difficoltà, se non di tipo logistico. Il problema è sicuramente quello di lavorare in profondità sulle persone che cercano di costruire la pace. C’è anche un’emergenza di coscienze da ricostruire e penso che le parole e le indicazioni del Papa siano più che giuste in questa situazione. Qui nella nostra regione, a Maroua, è in corso una buona iniziativa. Con l’associazione ‘Acadir’ che raggruppa musulmani e cristiani si cerca di dialogare, per la pace. E’ un primo passo che viene fatto in città, bisognerà farlo anche nelle zone rurali e soprattutto nelle aree che sono colpite direttamente.

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Francia, fine vita. D’ornellas: legislastore sostituisce medico

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Approvata ieri in Francia, in prima lettura, dall’Assemblea nazionale la nuova proposta di legge sul fine vita, esaudendo la promessa elettorale del presidente Hollande, espressa nel maggio 2012. Il testo - presentato da due deputati di opposti schieramenti, il socialista Claeys e il neogollista Leonetti - dovrà passare al vaglio del Senato tra maggio e giugno. Aspre polemiche hanno accompagnato la votazione di una normativa che solleva profondi interrogativi etici. Il servizio di Roberta Gisotti: 

La nuova legge introduce il diritto di "sedazione profonda, continua" e irreversibile fino alla morte per i pazienti in fase terminale che ne facciano richiesta anche anticipatamente per rifiutare l’accanimento terapeutico. Tali disposizioni saranno vincolanti per i medici che non potranno opporsi, in alcun modo, anche se il quadro clinico del paziente dovesse indicare a loro giudizio un trattamento diverso che non sia quello di portare a morte il paziente. Se il premier Valls ha giudicato il testo "equilibrato", gli oppositori politici alla legge denunciano la liberalizzazione di un "diritto alla morte", che mette all’angolo le cure palliative, falsamente additate come troppo onerose per il sistema sanitario. Contraria la stessa Accademia della Medicina che ha espresso pesanti riserve, cosi anche la Chiesa cattolica e la cordata associativa "lenire senza uccidere", sostenuta dal noto paraplegico Phillippe Pozzo di Borgo ; molti gli appelli a bocciare la legge di leader cristiani, ebraici musulmani. Questo il parere del vescovo di Rennes mons. Pierre D’Ornellas, presidente del gruppo di lavoro sul fine vita della Conferenza episcopale, al microfono di Etienne Pépin, direttore di RCF Alpha (Rennes):

R. – "Ce n’est pas une nouveauté, puisque déjà pour la loi de 2005 qui refuse …
Non è una novità: infatti già la legge del 2005 che rifiuta l’accanimento terapeutico prevede la possibilità di prescrivere una sedazione profonda e continua di caso in caso, quando la prognosi vitale lo preveda e questa possibilità viene nuovamente affermata nella proposta di legge di Claeys e Leonetti. Ma ora c’è una novità: la sedazione profonda e continua è presentata come un diritto e se è un diritto significa che il medico non ha più – o rischia di non avere più – il diritto di valutazione, anche collegiale, per prendere una decisione: sarà un diritto ‘imposto’ al medico. Non so, in pratica, come questo si possa fare, perché se è un diritto allora il rapporto di fiducia, il rapporto di cura che è di vicendevole stima tra il paziente e il medico, viene a cessare perché il medico è ‘costretto’ da un diritto legale. E, qualora non ottemperasse a questa richiesta del paziente, potrebbe essere condannato dalla giustizia. Temo che sarà la legge a decidere al posto del medico: è come se il legislatore si sostituisse al medico. Secondo me, questa è una deriva della medicina".

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: incontro a Homs dei vescovi cattolici

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Ieri i vescovi cattolici della Siria si sono incontrati nella città di Homs, in occasione della periodica Assemblea che li vede riuniti due volte l'anno allo scopo di riflettere insieme sull'opera pastorale e caritativa condotta dalle singole diocesi e eparchie, in un Paese entrato nel quinto anno di conflitto. All'incontro, oltre al patriarca greco-melchita Grégorios III, al patriarca siro cattolico Ignace Youssif III e a quattordici vescovi appartenenti a diverse Chiese cattoliche sui iuris, ha preso parte anche il nunzio apostolico mons. Mario Zenari. In questa occasione, la vicinanza del Papa e della Chiesa di Roma ai fratelli vescovi siriani è stata testimoniata anche dalla presenza dell'arcivescovo Cyril Vasil', Segretario della Congregazione per le Chiese orientali, e di mons. Massimo Cappabianca, officiale del medesimo dicastero vaticano.

La Chiesa ha soccorso più di 300mila siriani
Gli interventi pronunciati dai vescovi presenti hanno fatto emergere le sofferenze e le ferite che marcano la vita ordinaria di tutte le comunità cattoliche siriane, ma hanno anche reso testimonianza del miracolo della carità che fiorisce nella rete delle diocesi e delle parrocchie, a vantaggio di tutto il popolo siriano. “La Chiesa di Siria - dichiara all'agenzia Fides il patriarca Grégorios III - è davvero gloriosa: nonostante tanto dolore e sofferenza, grazie anche al sostegno dei nostri fratelli in tutto il mondo, siamo riusciti a soccorrere direttamente più di 300mila siriani, soprattutto attraverso la Caritas, sostenendo progetti emergenziali per almeno 5 milioni di dollari”. 

Mons. Audo riconfermato alla guida di Caritas Siria
Durante l'incontro, il vescovo caldeo di Aleppo mons. Antoine Audo, è stato confermato alla guida di Caritas Siria, e tutti hanno avuto parole di apprezzamento per la dedizione e l'efficacia con cui ha finora assolto il suo compito per far fronte alle emergenze umanitarie che fanno soffrire milioni di siriani.

Presto ad Homs torneranno a suonare le campane
La scelta di tenere ad Homs l'incontro dei vescovi cattolici ha assunto un evidente valore simbolico: “Aleppo è da anni sotto assedio - sottolinea il patriarca Grégorios III - ma Homs forse è la città che è stata più martoriata. Per questo, da quando lì è terminato il conflitto, i capi delle Chiese cristiane di Siria l'hanno visitata tante volte. Vogliamo manifestare una particolare cura per quella gente ferita e accompagnare il loro desiderio di ricominciare. Ho saputo che forse presto arriveranno le nuove campane, dopo che quelle che c'erano prima del conflitto sono state rubate. Noi proviamo pena nel vedere il dolore del popolo - conclude il patriarca - e vediamo che tanti vanno via, perchè non ne possono più della paura e delle sofferenze. Ma siamo anche fieri dei nostri preti, dei religiosi e delle religiose, che sono tutti rimasti al loro posto, per camminare insieme con il popolo nella fede in Gesù, anche in questo tempo così difficile”. (G.V.)

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Il patriarca Gregorios: no a interventi stranieri in Siria

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“E' da sconsiderati parlare di interventi militari condotti dall'esterno per difendere i cristiani della Siria e del Medio Oriente. Siamo un Paese sovrano, con un governo legittimo, a cui spetta il compito di tutelare i suoi cittadini. Se davvero si vuole mettere fine alla tragedia del popolo siriano, c'è una sola strada: basta guerre, basta armi, soldi e stratagemmi usati per attaccare la Siria”. Così il patriarca di Antiochia dei greco-melchiti, Grégorios, conversando con l'agenzia Fides, respinge senza appello l'idea – prospettata in maniera ricorrente nel dibattito mediatico – che le sofferenze inflitte alle comunità cristiane e ad altre componenti delle popolazioni mediorientali da parte dei jihadisti vengano evocate per giustificare un intervento militare sotto egida internazionale.

Veglia per la pace a Damasco
Il primate della Chiesa cattolica orientale con più fedeli in Siria ha presieduto lunedì scorso un'affollata Veglia di preghiera per la pace nella cattedrale dell'Assunzione di Maria, a Damasco, a cui hanno preso parte rappresentanti e delegazioni di tutte le comunità cattoliche e ortodosse damascene. “Abbiamo condiviso canti e preghiere di penitenza e di pace” riferisce il patriarca, “mostrando a tutti, anche in questo modo, che i cristiani sono i veri promotori della pace in Siria”. A giudizio di Grégorios, la via per favorire la pace che la Chiesa deve indicare costantemente “a tutti gli uomini di buona volontà” è quella della preghiera e del sostegno offerto a tutto ciò che può contribuire a interrompere il flusso di armi che insanguinano il Medio Oriente.

La guerra alimentata da altre nazioni e gruppi di potere
“Il 7 settembre del 2013” ricorda il patriarca melchita “Papa Francesco chiamò il mondo alla grande preghiera per la pace, e le navi da guerra che erano già partite fecero marcia indietro. Nei giorni scorsi, mentre noi eravamo in preghiera, si sono diffuse le notizie che Paesi occidentali riaprono alle trattative con Assad. Questa adesso è la via realista da seguire, se davvero si vuole la pace. I gruppi che terrorizzano il nostro popolo non avrebbero avuto tanta forza senza gli aiuti e le armi arrivati loro da altre nazioni e gruppi di potere. 

Appello a tutti i cristiani del mondo
​Per questo – prosegue il patriarca Grégorios - faccio appello a Papa Francesco e a tutte le Chiese e le comunità cristiane, affinché i due miliardi di cristiani di tutto il mondo, parlando con una sola voce, si facciano promotori di una road map concreta e realista per chiedere a tutte le forze in campo di mettere da parte i propri calcoli di potere e tutte le cause che alimentano la guerra. Solo così le sofferenze del nostro popolo potranno avere fine”. (G.V.)

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L'Asean contro lo Stato islamico: minaccia su scala globale

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La condanna "unanime" espressa dai ministri della Difesa del blocco Asean, l'associazione che riunisce 10 nazioni del Sudest asiatico, nei confronti dello Stato islamico (Is) è un fatto "significativo". A sottolinearlo è il ministro di Singapore Ng Eng Hen, a margine dell'incontro fra i rappresentanti dei Paesi membri che si è tenuto nei giorni scorsi Langkawi, nello Stato federato di Kedah, in Malaysia. L'alto funzionario della città-Stato ricorda che vi sono, all'interno dell'Asean, nazioni a larga maggioranza musulmana - come Indonesia e Malaysia - e che resta forte e concreto il rischio di una deriva estremista al loro interno. Per questo il pericolo, aggiunge, deve essere "neutralizzato". 

L'Is minaccia la sicurezza a livello globale
In una nota congiunta al termine del 9° vertice dei ministri della Difesa Asean (Admm) - riporta l'agenzia AsiaNews - i rappresentanti dei Paesi membri affermano che il movimento jihadista è una "minaccia alla sicurezza" di tutta la regione e anche su scala globale. Intervistato da Bloomberg, il ministro di Singapore plaude alla condanna "unanime" dei rappresentanti Asean, verso una "minaccia" che riguarda "tutti gli Stati membri" e che "deve essere neutralizzata". "È una dichiarazione di enorme forza" aggiunge, che verrà sostenuta da una maggiore cooperazione fra le intelligence del gruppo e che "ridurrà i rischi di tensioni razziali" all'interno dei vari Paesi.

Falsa ideologia perpetrata dagli estremisti" a scopi criminosi
"Tutti noi ci siamo detti che questo non è islam - conclude il ministro Ng Eng Hen - ma è una falsa ideologia perpetrata dagli estremisti" per i loro scopi criminosi. Anche per questo Singapore ad aprile, in occasione dell'East Asia Summit, organizzerà un simposio dedicato alle pratiche migliori di "de-radicalizzazione" e di riabilitazione a sfondo religioso e confessionale. 

Anche in Asia il sogno del califfato islamico
​Del resto come riferito in passato da AsiaNews, movimenti fondamentalisti e leader islamici nel sud-est asiatico hanno trovato ispirazione nelle gesta dei combattenti sunniti e intendono sostenere la lotta per la creazione del califfato, che ormai si è esteso anche all'Asia. Cellule estremiste e membri attivi nel reclutamento sono presenti tanto in Indonesia, il Paese musulmano più popoloso al mondo, quanto nella vicina Malaysia e nelle Filippine. I suoi membri sono già operativi sul territorio nella preparazione di attentati e attacchi mirati contro pub, disco e birrerie "sognando il califfato islamico". (R.P.)

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Lettera aperta di studiosi islamici contro l'Is: tradisce l'islam

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Continuano le adesioni di studiosi, esperti, attivisti e singoli cittadini di tutto il mondo alla Lettera aperta al sedicente "califfo" dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi, sottoscritta e pubblicata nei mesi scorsi da oltre 120 rappresentanti e studiosi islamici. Una delle poche prese di posizione nette e chiare del mondo islamico contro il movimento terrorista, che in pochi mesi - riporta l'agenzia AsiaNews - ha conquistato ampie porzioni di territorio in Iraq e Siria. Perseguendo l'ideologia del jihad, esso mira alla fondazione di un nuovo "califfato" che abbraccia, l'Africa, il Medio Oriente e l'Asia, puntando anche alla conquista di luoghi simbolo dell'Europa. 

L'islam non è religione di violenza
Rivolgendosi al leader dell'Is, gli intellettuali e leader religiosi musulmani lo accusano di aver "tradito l'islam" interpretandolo come "religione di violenza, torture, brutalità e omicidi". Nella lettera i firmatari elaborano elementi della dottrina, come il divieto di emettere fatwa (editti religiosi) senza aver seguito tutte le procedure previste dai "testi classici". Essi aggiungono che anche "è vietato citare un verso del Corano o una parte di un verso, per trarne un insegnamento senza guardare al quadro complessivo tracciato dal Corano o dagli Hadith", i versetti di Maometto. 

L'islam non prevede persecuzioni contro i cristiani
L'islam impone anche di "non uccidere gli innocenti", "non ignorare la realtà attuale", di "non uccidere ambasciatori, diplomatici, giornalisti e cooperanti". Infine, essi ricordano che la religione islamica non prevede abusi e persecuzioni - in alcun modo - contro i cristiani o le genti del Libro, conversioni forzate o attribuire gesti violenti alla volontà di Dio. (P.R.)

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Messico: parte dagli Usa Caronava per i 43 studenti scomparsi

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San Antonio, McAllen e El Paso, in Texas: partirà da queste tre distinte località statunitensi la “Carovana 43”, la marcia dei genitori dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, nello Stato meridionale messicano di Guerrero, scomparsi a Iguala il 26 settembre 2014. Familiari, avvocati, amici, hanno deciso di percorrere in lungo e in largo gli Stati Uniti per denunciare il caso ancora insoluto presso le istituzioni locali, le organizzazioni internazionali e la folta comunità degli immigrati ‘latinos’.

I cadaveri dei 43 studenti non sono mai stati ritrovati
Secondo la versione ufficiale - riferisce l'agenzia Misna - gli studenti sono stati massacrati da poliziotti corrotti e narcotrafficanti e i loro corpi bruciati e gettati in una discarica. Ma, fatta eccezione per una sola identificazione, i cadaveri non sono mai stati ritrovati. Divisa dunque in tre fronti, la Carovana percorrerà gli Stati centrali, quelli occidentali e quelli orientali degli Usa.

I genitori incontreranno esponenti per la difesa dei diritti umani
Le tappe più importanti saranno Washington e New York, dove i familiari dei giovani scomparsi incontreranno esponenti della Commissione interamericana dei diritti umani e di Amnesty International, sezione locale. Il tour durerà tre settimane e segnerà solo l’inizio di una serie di attività che i familiari degli studenti di Ayotzinapa hanno organizzato per portare il loro reclamo di giustizia fuori dai confini nazionali. (F.B.)

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Brasile. Rapporto della Chiesa sui conflitti per l'acqua

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La Commissione Pastorale per la Terra (Cpt) ha annunciato l’imminente pubblicazione del Rapporto sui conflitti per l'acqua (principalmente quella da impiegare in agricoltura) con i dati relativi all’anno 2014. Secondo alcuni dati già resi noti, l'anno scorso è stato registrato il maggior numero di conflitti a causa dell'acqua e di famiglie coinvolte negli ultimi dieci anni: sono state più di 42 mila le famiglie interessate, contando solo quelle che vivono nelle zone rurali.

Un problema che coinvolge oltre 200mila persone
Secondo la nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Brasile, dall’anno 2005 si contano 322.508 famiglie coinvolte nei conflitti per l'acqua. Nell’anno 2014 i casi sono stati 127 con 42.815 famiglie. I calcoli del Centro di documentazione mons.Tomas Balduino hanno stimato 214.075 persone coinvolte direttamente.

La pubblicazione presenterà anche una classifica degli Stati
La zona del Parà conta 69.302 famiglie legate al conflitto, che la mette al primo posto della lista. Come è stato documentato nell'incontro per la creazione della Rete Ecclesiale Pan-Amazzonia (Repam), tenutosi nel mese di settembre 2014, la regione soffre per la mancanza di “grandi progetti macro-economici” mentre “i governi nazionali non presentano proposte nell'ambito dell’Iniziativa Integrale delle Infrastrutture regionali del Sud America (Iirsa) e per gli impatti dei cambiamenti climatici nell’Amazzonia” come sottolineato dal documento diffuso in quella circostanza.

37mila persone coinvolte nei conflitti
Per quanto riguarda la cosiddetta "crisi idrica", che colpisce gli Stati del sud-est del Brasile, l'analisi stima che oltre 37 milioni di persone sono state coinvolte nei conflitti. Nonostante la mancanza di dati specifici, il rapporto indica come la conservazione dell'Amazzonia e del Cerrado (zona sud della foresta brasiliana) siano i fattori essenziali per fornire di acqua il centro-sud del Brasile. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 77

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.