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Sommario del 21/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Scampia: corruzione puzza, è togliere dignità a lavoratori

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Napoli si è praticamente fermata per la visita del Papa. Francesco ha iniziato la sua ottava visita pastorale in Italia al Santuario di Pompei, dove ha venerato l’immagine della Madonna del Rosario e recitato la piccola supplica. Poi l’incontro con la popolazione nel difficile quartiere di Scampia. Forti le sue parole. Il servizio del nostro inviato Alessandro Guarasci

Papa Francesco: "E ca ‘a Maronna v’accumpagne!”.

Il Papa inizia gioiosamente la sua visita a Napoli, con quello che è un po’ il motto di queste dieci ore nella città partenopea. Una Napoli che si caratterizza per una religiosità diffusa. Francesco ha voluto iniziare questa sua visita dalla periferia, Scampia. E’ stato affettuosamente assalito dalle migliaia di fedeli, soprattutto dai bambini, che lo hanno atteso nella Piazza Giovanni Paolo II. Da lui un richiamo all’animo caldo di questa città, alla voglia di guardare al futuro tipica di tanti napoletani. Ma anche un richiamo alla legalità, perché da qui vuole partire un messaggio che va ben al di là del dei luoghi comuni di questa città:

“Chi prende volontariamente la via del male ruba un pezzo di speranza. Lo ruba a sé stesso e a tutti, a tanta gente onesta e laboriosa, alla buona fama della città, alla sua economia”.

Alla comunità dei tanti immigrati che qui vivono e che hanno portato la loro testimonianza, il Papa ha ricordato il valore della parola di Gesù: “I migranti sono umani di seconda classe? Dobbiamo far sentire ai nostri fratelli e sorelle migranti che sono cittadini, che sono come noi, figli di Dio, che sono migranti come noi, perché tutti noi siamo migranti verso un’altra patria,  tutti siamo in cammino”.

Poi c’è la disoccupazione che nelle periferie di Napoli colpisce anche sei abitanti su dieci. Un lavoratore ha parlato per tanti che vivono questo dramma, e il Papa ha risposto:

“Ma, il problema non è mangiare, il problema più grave è non avere la possibilità di portare il pane a casa, di guadagnarlo! E quando non si guadagna il pane, si perde la dignità!”.

No dunque a un sistema economico che scarta la gente, no allo sfruttamento di chi, magari, è costretto a lavorare 11 ore al giorno per 600 euro, perché “questa mancanza di lavoro ci ruba la dignità – ha detto il Pontefice - Dobbiamo lottare con questo, dobbiamo difendere la nostra dignità di cittadini, di uomini, di donne, di giovani”. E poi il mancato rispetto della legge, che trova punte massime nella corruzione, da Francesco una risposta alla testimonianza del presidente della Corte d’Appello:

“Se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti, nessuno di noi può dire: io mai sarò corrotto. (…) la corruzione 'spuzza'! E la società corrotta 'spuzza'!”.

Un discorso questo che richiama alla buona politica, espressione “più alta  della carità, del servizio e dell’amore. Fate una buona politica, ma fra voi: la politica si fa fra tutti! Fra tutti si fa una buona politica!”.

La prima tappa di questa giornata è stata Pompei dove il Pontefice ha sostato di fronte all’immagine della Beata Vergine Maria del Santo Rosario, portata da Bartolo Longo nel 1875. Francesco ha salutato i pellegrini, ma in particolare ha scambiato alcune battute con alcune volontarie all’entrata del Santuario. Nella preghiera della Piccola Supplica ha consegnato alla Madonna “le nostre miserie, le tante strade dell’odio e del sangue, le mille antiche e nuove povertà e soprattutto il peccato”, ricordando che il Rosario è “arma di pace e di perdono”.

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Il Papa: è tempo di riscatto per Napoli, "criminali, convertitevi!"

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“Napoli sia piena della speranza di Cristo Signore”. E’ l’auspicio di Papa Francesco risuonato durante la Santa Messa, celebrata nella straordinaria cornice di Piazza Plebiscito. “Quando i cuori si aprono al Vangelo - ha affermato il Santo Padre - il mondo comincia a cambiare e l’umanità risorge”. La Parola di Cristo - ha aggiunto - vuole raggiungere tutti, “in particolare quanti vivono nelle periferie dell’esistenza”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ “tempo di riscatto per Napoli”. E’ questo l’augurio e la preghiera di Papa Francesco per una città – ha detto – che “ha tante potenzialità spirituali, culturali e umane, e soprattutto tanta capacità di amare”. Napoli è oggi l’emblema di tante città del mondo, chiamate non a ripiegarsi nella rassegnazione ma – ha osservato - “ad aprirsi con fiducia per costruire un futuro migliore”.  

La corruzione non sfiguri il volto di Napoli
“Cari napoletani - ha esortato il Santo Padre - non lasciatevi rubare la speranza!”:

“Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Non ti può portare niente! Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! E di più: non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: la Chiesa ripete: convertitevi all’amore e alla giustizia”.

Gesù cerca tutti
Tutti, anche dopo sconsiderate deviazioni, possono percorrere la strada di una vita onesta:

“Lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio! Siate consapevoli che Gesù vi sta cercando per abbracciarvi, per baciarvi, per amarvi di più. Con la grazia di Dio, che perdona tutto e perdona sempre, è possibile ritornare a una vita onesta. Ve lo chiedono anche le lacrime delle madri di Napoli, mescolate con quelle di Maria, la Madre celeste invocata a Piedigrotta e in tante chiese di Napoli. Queste lacrime sciolgano la durezza dei cuori e riconducano tutti sulla via del bene”.

La parola di Cristo cambia il mondo
L’abbraccio del Santo Padre alla popolazione di Napoli è radicato in Gesù Cristo, l’unica Persona “che può guarire le ferite del nostro cuore”: 

“La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo”.

Uscire dai recinti e accogliere i poveri
Andare e accogliere sono i battiti vitali con cui – ha detto il Papa - “pulsa il cuore della Chiesa e di tutti i suoi figli”. Il Santo Padre ha esortato ad “uscire dai recinti”, a portare a tutti “la misericordia, la tenerezza e l’amicizia di Dio”. Ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale – ha affermato il Pontefice - diventino “santuario per chi cerca Dio e casa accogliente per i poveri, gli anziani e i bisognosi”. Napoli – ha aggiunto - sia piena di speranza: 

“Questa città può trovare nella misericordia di Gesù Cristo, che fa nuove tutte le cose, la forza per andare avanti con speranza, la forza per tante esistenze, tante famiglie e comunità. Sperare è già resistere al male. Sperare è guardare il mondo con lo sguardo e con il cuore di Dio”.

Scommettere sulla misericordia di Dio
“Sperare – ha spiegato il Papa - è scommettere sulla misericordia di Dio”, che perdona sempre e perdona tutto:

“Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli!”.

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Francesco a Poggioreale: detenuti vivano in condizioni degne

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L’amore di Gesù è consolazione e speranza. E’ il cuore del discorso di Francesco consegnato ai detenuti del carcere di Poggioreale dove oggi il Papa ha pranzato. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere. Papa Francesco nel suo messaggio ai detenuti di Poggioreale è come se parlasse a tutti coloro che vivono una situazione di segregazione, spiegando loro che “l’unica cosa che ci può separare da Dio è il nostro peccato” che però se riconosciuto e confessato “con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro con Lui”.

Francesco scrive di conoscere le “situazioni dolorose” dei carcerati, attraverso le lettere che gli giungono dai penitenziari di tutto il mondo. “I carcerati - il Papa lo sa e lo spiega -  troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società”. Francesco rende omaggio al lavoro di dirigenti, cappellani, educatori, e operatori pastorali che sanno stare vicino ai detenuti “nel modo giusto”. E ricorda anche che ci sono “esperienze buone e significative di inserimento”. Ecco quindi l’incoraggiamento a “sviluppare queste esperienze positive, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa”, partendo però sempre da un dato, che “alla base di questo impegno c’è la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone”.

“Capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti, si legge anche nel messaggio, ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è sempre al nostro fianco, specialmente nell’ora della prova. E “questa è una certezza che infonde consolazione e speranza, specialmente nei momenti difficili e tristi”. Il Signore “non si stanca” di indicare la via del ritorno e dell’incontro con Lui. Il Suo amore è sorgente di consolazione e di speranza. “Il futuro è nelle mani di Dio!”, è questa la speranza cristiana.

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I fedeli napoletani: il Papa ci porta la speranza

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Migliaia i fedeli napoletani che hanno assistito alla visita del Papa, anche lungo il corteo che si è snodato in città, magari aspettando ore il passaggio di Francesco solo per guardarlo e avere un saluto. Ascoltiamo le voci della gente raccolte da Alessandro Guarasci

D. – Che impressione vi ha fatto vedere il Papa?

R. – E’ una bella emozione …

D. – Che messaggio porta a Napoli?

R. – La speranza: la speranza che si riprenda Napoli …

R. - … si dovrebbe migliorare per tutti …

R. – Per noi che abbiamo fede è un’emozione unica … in questo momento ancora dobbiamo realizzare, forse, fino in fondo questa grande opportunità, forse irripetibile!

R. – Bellissima, bellissima … E’ favoloso!

D. – Vi dà un messaggio di positività?

R. – Certo!

R. – Ma sì, è chiaro che è un messaggio di positività! Con questa partecipazione così ampia, dev’essere per forza un messaggio di positività!

D. – Buongiorno: voi delle forze dell’ordine, come state vivendo questa giornata?

R. – Bene, grazie …

D. – Indaffarati?

R. – Il giusto. E’ un grande evento!

R. – Non possiamo lamentarci: tra l’altro, è anche stato organizzato benissimo …

D. – E per voi, ragazzi?

R. – E’ la cosa più bella!

R. – E’ stata un’emozione meravigliosa, davvero!

R. – Ma è bellissima questa opportunità!

R. – (tutti insieme) “Viva Papa Francesco”!

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Padre Sala: colpiti da paragone di Francesco tra "pulizia" e "puzza"

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Padre Sergio Sala, gesuita, è del Centro Alberto Hurtado, un luogo di formazione per i giovani di Scampia. Lui si occupa di progetti che riguardano i rom, così come gli scout. Antonella Palermo gli ha chiesto cosa hanno significato per lui le parole del Papa: 

R. – Siamo stati tutti molto colpiti in modo positivo da quello che ha detto. Personalmente ho trovato molto azzeccato e stimolante il rapporto tra la “pulizia” e la “puzza”: la pulizia della propria anima, siamo nel periodo di Quaresima in preparazione alla Pasqua, la pulizia della città e la pulizia del mondo del lavoro. In tutti e tre questi aspetti c’è, da una parte, la ricerca della pulizia, dall’altra la puzza, rappresentata dalle nostre debolezze umane, dalle strade piene di immondizia. Non è possibile che in tre giorni sia stato pulito tutto quando, fino ad una  settimana fa le strade erano sporche. Abbiamo paura che tra una settimana lo diventino di nuovo. Questo non è possibile. Il Papa ha sottolineato quali sono le puzze del mondo del lavoro: la disoccupazione e per chi ha un lavoro la mancanza di diritti e - ha addirittura detto - la schiavitù nel mondo del lavoro. Quindi è stato veramente molto toccante.

D. - Lei ha a che fare con i giovani che spesso non riescono nel vostro territorio a trovare lavoro; ha a che fare con gli scout, con il centro Hurtado … che offre qualche aiuto, vero?

R. - Certo, noi puntiamo sull’educazione umana e sull’educazione al lavoro. Abbiamo una piccola cooperativa che dà lavoro a persone di Scampia e dobbiamo purtroppo salutare molti nostri ragazzi che devono emigrare per cercare lavoro.

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Ex camorrista di Scampia: ripartire da fede e istruzione

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In piazza a Scampia c’era anche Davide Cerullo, ex camorrista e spacciatore del quartiere, dopo un periodo di carcerazione a Poggioreale ha lasciato la città, per tornarvi dopo la conversione alla fede. Oggi a Scampia dirige un’associazione di sostegno ai giovani, da lui fondata. L’ha intervistato Antonella Palermo

R. - Sono contento, sono felice perché questo Papa rappresenta la Chiesa che scende da cavallo, dal piedistallo e si china sui problemi reali della gente, è veramente il Papa degli ultimi, degli emarginati, degli invisibili, possiamo dire. Ben venga questa voce, soprattutto la forza salutare della parola di questo Papa per questo territorio veramente abbandonato. La camorra qui non comanda: governa! E ci fa soprattutto credere che non c’è uno Stato, che non ci sono le istituzioni che invece comandano con i poteri necessari che sono i diritti.

D. - Come vivi oggi il tuo impegno di fede e il tuo impegno sociale a Scampia?

R. - La fede è necessaria perché ti permette di aprire gli occhi sul senso vero della vita. Sono tornato a Scampia due anni fa, ho aperto un centro che si occupa della dispersione scolastica. Quello che io vorrei fare è di riuscire ad abbattere questo fenomeno, perché la famiglia e la scuola sono i due elementi centrali per vincere la criminalità organizzata. La scuola è debole, le istituzioni sono assenti, la famiglia vuole che i figli diventino grandi, adulti, in fretta e, in questo modo, bruciano le tappe dell’infanzia, della poesia, della fiaba. In casa non ci sono libri, siccome sappiamo che l’istruzione è il più grande atto di democrazia e di libertà, quando manca è facile essere fregato.

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Rinunce e nomine

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Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico nei Paesi Bassi S.E. Mons. Aldo Cavalli, Arcivescovo titolare di Vibo Valentia, finora Nunzio Apostolico in Malta e in Libia.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Rožňava (Slovacchia), presentata da S.E. Mons. Vladimír Filo, in conformità al Can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo di Rožňava (Slovacchia) S.E. Mons. Stanislav Stolárik, trasferendolo dalla sede titolare di Barica e dall’Ufficio di Ausiliare di Košice. S.E. Mons. Stanislav Stolárik è nato il 27 febbraio 1955 a Rožňava. Ha compiuto gli studi nel Seminario maggiore di Bratislava e l’11 giugno 1978 è stato ordinato sacerdote per l’allora diocesi di Košice. Ha lavorato come Vicario parrocchiale a Trebišov e a Humenné (1978-1981), come Amministratore parrocchiale a Prešov, al Santuario Mariano di Obišovce e a Čaňa (1981-1992), nonché come Parroco a Humenné e nel quartiere di periferia di Prešov (1992-2001). Negli anni 2001-2004 è stato Parroco e Decano della parrocchia di San Nicola a Prešov. È laureato in Teologia e Filosofia. Il 26 febbraio 2004 è stato nominato Vescovo titolare di Barica ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Košice. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 20 marzo 2005. Nell’ambito della Conferenza Episcopale è Responsabile della Commissione per la Liturgia e Membro del Consiglio Permanente.

Il Papa ha nominato Vescovo di Arundel and Brighton (Inghilterra) S.E. Mons. Charles Phillip Richard Moth, finora Vescovo Ordinario Militare per la Gran Bretagna. S.E. Mons. Charles Phillip Richard Moth è nato l'8 luglio 1958 in Chingola (Zambia). Ha compiuto gli studi primari e secondari nelle scuole cattoliche in Kent. Ha ricevuto la formazione sacerdotale presso il seminario St. John's in Wonersh, Surrey e, presso l'Università St. Paul di Ottawa, ha conseguito la Licenza e il Master in Diritto Canonico. E’ stato ordinato sacerdote il 3 luglio 1982 per l'arcidiocesi di Southwark.In seguito ha svolto i seguenti ministeri: Viceparroco, Giudice del Tribunale Metropolitano di Prima Istanza di Southwark, Cappellano "part time" del Corpo Medico dell'Esercito in Kennington, Segretario privato dell'Arcivescovo Mons. Michael Bower, Maestro delle Cerimonie, Direttore dell'Ufficio Vocazioni e Vice-Cancelliere, Presidente del Tribunale Metropolitano di Seconda Istanza di Southwark. Nel 2001 è stato nominato Vicario Generale dell'arcidiocesi di Southwark e Prelato d'Onore; nel 2003 Amministratore Parrocchiale di Holy Cross, Plumsteas; nel 2006 Amministratore Parrocchiale di St. Joseph's, St.Mary's, Cray. Il 25 luglio 2009 è stato eletto Vescovo Ordinario Militare per la Gran Bretagna, ricevendo la consacrazione episcopale il 29 settembre 2009.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Limón (Costa Rica) il Rev.do Javier Gerardo Román Arias, del clero dell’arcidiocesi di San José de Costa Rica, finora Economo arcidiocesano, Parroco di Nuestra Señora de Guadalupe e Segretario Aggiunto della Conferenza Episcopale costaricana. Il Rev.do Javier Gerardo Román Arias è nato ad Alajuela il 19 ottobre 1962. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Seminario Maggiore Nazionale di Costa Rica. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’8 dicembre 1987, incardinandosi nell’arcidiocesi di San José de Costa Rica. Dopo la sua ordinazione ha svolto il suo ministero pastorale, prima come Vice parroco e poi come Parroco, in diverse parrocchie dell’arcidiocesi (San Cristobal Norte, María Reina de Pavas, Loreto Rohrmoser, San Miguel de Escazú, San Vicente de Moravia e Sagrado Corazón de Jesús). Dal 2008 è Segretario Aggiunto della Conferenza Episcopale costaricana, dal 2011, Parroco di Nuestra Señora de Guadalupe e, dal 2014, Economo dell’arcidiocesi di San José de Costa Rica.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Amministratore Apostolico dell’Ordinariato per gli Armeni Cattolici residenti in Grecia, presentata da S.E. Mons. Nechan Karakéhéyan, in conformità al canone 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Il Papa ha nominato il Rev. Sac. Hovsep Bezazian (Bezouzou), attualmente parroco in Aleppo, Amministratore Apostolico dell’Ordinariato per gli Armeni Cattolici residenti in Grecia, senza carattere episcopale.

Dalle Chiese Orientali Cattoliche
Il Patriarca di Cilicia degli Armeni, con il consenso del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale e dopo aver informato la Sede Apostolica, ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcieparchia di Istanbul degli Armeni, presentata da S.E. Mons. Hovhannes Tcholakian, in conformità al canone 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Il Santo Padre ha posto termine all’ufficio di Amministratore Apostolico sede plena dell’Arcieparchia di Istanbul degli Armeni di S.E. Mons. Lévon Boghos Zékiyan, rendendo in questo modo attuabile la sua elezione all’ufficio di Arcivescovo di Istanbul, effettuata dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale Armena.

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Mons. Vasil': ho portato vicinanza del Papa ai cristiani in Siria

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Si è conclusa il 18 marzo scorso la missione vaticana in Siria guidata da mons. Ciryl Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. Il presule ha portato la vicinanza del Papa e la costante attenzione con cui la Santa Sede continua a seguire la drammatica situazione del popolo e della Chiesa in Siria. Al microfono di Jozef Bartkovjak, mons. Vasil’ spiega quale messaggio ha portato in questo Paese: 

R. - In quanto incaricato della Congregazione per le Chiese Orientali il messaggio si potrebbe ricondurre a tre punti principali: vicinanza, solidarietà e incoraggiamento. La nostra Congregazione segue da sempre le Chiese Orientali in tutte le parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, dove rappresentano un mosaico molto diversificato delle comunità che da secoli convivono in questo territorio, anche con rappresentanti di altre religioni e fedi religiose. La nostra vicinanza si esprime in tanti modi, talvolta con una visita in situazioni specifiche come questa che vive la Chiesa in Siria. In questi casi può essere un segno abbastanza eloquente. Solidarietà: anche questa si esprime attraverso l’organizzazione di vari tipi di aiuto: sostentamento del clero, aiuto spirituale e organizzazione delle varie iniziative portate poi avanti, come quelle caritative. L’ultimo punto è l’incoraggiamento ai cristiani che stanno vivendo una situazione particolarmente difficile, perché rappresentano una minoranza - forse la meno difesa - che si trova in mezzo a vari fuochi incrociati e che per questo potrebbe essere facilmente portata verso un sentimento di scoraggiamento o una tentazione di fuga.

D. - Con quale esperienza lei torna dalla Siria? Cosa ha visto incontrando la gente?

R. - In certi momenti mi sorprendeva la naturalezza con la quale la gente continua a vivere anche nelle situazioni che, per un osservatore esterno, sembrano estreme o impossibili da vivere; vedere i ragazzi, i giovani che nonostante esperienze traumatiche comunque riescono ad esprimere la gioia tipica della loro età è un fattore incoraggiante e sorprendente. Dall’altra parte però non si può negare una sofferenza sempre più grande delle nostre comunità cristiane che condividono con altri cittadini della Siria situazioni difficili. Infatti noi parliamo spesso solo delle comunità cristiane, ma occorre tenere presente che queste rappresentano solo una parte, perché la maggioranza dei morti e dei feriti vengono dalle comunità di altre fedi religiose, musulmane o altre. Perciò, l’interesse da parte nostra deve essere sicuramente concentrato sulle comunità cristiane, ma non esclusivamente su di esse, con la consapevolezza che queste fanno parte della sofferenza dell’intero popolo siriano. Da parte dei cristiani c’è grande attesa, curiosità e sensibilità verso tutto quello che viene portato come messaggio della Santa Sede, del Santo Padre; lo percepiscono con molta sensibilità prendendo ispirazione da ogni gesto di solidarietà e addirittura si aspettano anche qualche soluzione concreta come se il Santo Padre potesse risolvere direttamente la situazione - o come se l’Occidente fosse davvero così cristiano – come se bastasse un cenno del Santo Padre per cambiare le grandi decisioni politiche che vengono trattate ad altri livelli. Infatti in questo senso anche le attese dei cristiani in Siria sono in altissime. Si potrebbe dire che talvolta è difficile soddisfarle in maniera immediata, ma ogni gesto di buona volontà, di incoraggiamento e di sensibilizzazione è ben atteso e ben accolto.

D. – Si può dire che qui in questo luogo l’ecumenismo è palpabile …

R. – Infatti per lunga tradizione i cristiani che si trovano in minoranza di fronte ad altre fedi religiose si sentono più vicini l’un l’altro nonostante le eventuali differenze, denominazioni, distinzioni confessionali che sono nate nel corso dei secoli; questo l’ho visto e sperimentato, ad esempio, durante un incontro dei giovani in una parrocchia della periferia di Damasco dove erano presenti i ragazzi di varie parrocchie cristiane, non solo cattoliche. Durante l’incontro con il Patriarca greco ortodosso di Damasco, nel momento della preghiera ecumenica inserito nell’ambito della preghiera dell’ufficio bizantino, hanno partecipato i rappresentanti della Chiesa ortodossa, siro ortodossa e armena. Perciò era un segno veramente eloquente dell’unione di preghiera per il bene di tutti i cittadini della Siria.

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Santa Sede promuove conferenza all'Onu sul genio delle donne

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Una giornata dedicata al “genio della donna”, come l’ha chiamato San Giovanni Paolo II. La Missione permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite l’ha organizzata questa settimana a New York, con una conferenza sulle “Donne promotrici della dignità umana”. Il servizio di Elena Molinari

“Un riconoscimento più profondo e un maggiore apprezzamento del genio femminile sono le chiavi per la lotta alla violenza contro le donne e per la difesa della dignità umana”. Con questa convinzione l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente, ha aperto i lavori della conferenza presso la missione vaticana all’Onu. Ha ricordato poi che se “tutti noi siamo chiamati a dare amore, le donne eccellono in questo”, perché “individuano velocemente le esigenze degli altri e vi rispondono più rapidamente”.

L’osservatore permanente della Santa Sede ha sottolineato che in particolare coloro che lavorano nelle istituzioni a contatto con le persone hanno bisogno di un "cuore che vede" e di una "formazione del cuore", nella quale, ha detto, le donne sono professori in tutto il mondo. Carolyn Woo, presidente dei Catholic Relief Services, che fornisce assistenza a 130 milioni di persone, ha quindi condiviso la sua esperienza di sviluppo e di assistenza umanitaria. Michèle Pierre-Louis, ex primo ministro haitiano, ha parlato del ruolo delle donne come leader civici. E suor Norma Pimentel, della Valle di Rio Grande, alla frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico, ha descritto il suo lavoro con i migranti irregolari che attraversano il confine, soffermandosi sul traffico di esseri umani, soprattutto donne e bambini.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per cambiare il mondo: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Pompei e a Napoli.

Vitalità della Chiesa in Belarus': la visita del cardinale segretario di Stato.

Se la pena diventa tortura: intervista di Silvina Pérez al giurista argentino Roberto Carlés.

L'ora tragica: Maurizio Cau su Alcide De Gasperi e la grande guerra.

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Oggi in Primo Piano



Strage in Yemen, oltre 150 morti. Dubbi su rivendicazione Is

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Ancora nessuna certezza sugli autori delle stragi di ieri nello Yemen. Cinque gli attacchi kamikaze che hanno colpito tre moschee e un edificio governativo, nelle città di Sanaa e Saada, provocando oltre 150 morti e più di 350 feriti. Il ramo locale del sedicente Stato Islamico ha rivendicato gli assalti, ma per gli Stati Uniti, non ci sono riscontri. ”Atti brutali e inconcepibili” commentano il segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon e la Casa Bianca. Il servizio di Gabriella Ceraso

Un venerdì di preghiera trasformato in una giornata di sangue da dimenticare, ieri nello Yemen, per una serie di attentati a catena. Nella capitale Sanaa un kamikaze si è fatto saltare in aria nella moschea Badr, un altro ha aspettato all'esterno la fuga dei fedeli sciiti per azionare l’esplosivo. Un terzo attentatore ha detonato la cintura che indossava in un'altra moschea quella di Al-Hashahush. Sangue anche nella città Saada, nel nord, una delle roccaforti dei ribelli sciiti Houthi, dove gli attentatori hanno colpito sia una moschea, sia un edificio governativo. Le stragi sono state rivendicate dal ramo locale del sedicente Stato Islamico, ovvero Wilayat al-Yemen: "E' solo la punta dell'iceberg", avrebbero avvertito gli jihadisti in un messaggio su Twitter, anche se la Casa Bianca ha invitato alla cautela. Non vi sono, al momento, chiari collegamenti fra la carneficina e i miliziani dello Stato islamico, secondo l'amministrazione Usa. Sangue anche nel sud del Paese ad Aden, dove risiede il presidente Hadi, deposto dai miliziani sciiti Houthi: 29 i morti negli scontri tra le forze di sicurezza e miliziani, tra cui jihadisti di al Qaeda e separatisti. Dunque un Paese destabilizzato per il quale l’Unione Europea parla di volontà di far deragliare il processo di transizione in atto.

Sulla realtà yemenita e la diffusione della strategia del terrore Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Germano Dottori, docente di Studi Strategici all'Università Luiss di Roma: 

R. - La situazione in Yemen è caratterizzata dalla persistenza di uno scontro di fondo tra elementi che si stanno disputando il potere: i sunniti che sono riconducibili in qualche modo alla Fratellanza musulmana e gli sciiti che appartengono evidentemente ad un’altra famiglia confessionale. Sullo sfondo c’è anche al Qaeda ed è nell’ambito di questa che si registra anche qualche tentativo di penetrazione del Paese da parte dello Stato islamico.

D. - Oltre alla minaccia internazionale, lo Stato islamico è concentrato in Siria e in Iraq. Ha dunque aperto anche un altro fronte in Yemen?

R. - Secondo me, in questo momento non ha la forza necessaria per ordire una campagna di attentati di questa natura all’interno dello Yemen; penso che la rivendicazione che è stata pubblicizzata, in realtà rientri in un progetto propagandistico teso a negare ai rivali dello Stato islamico la paternità di questa iniziativa. Lo Stato islamico in questo momento è sulla difensiva; è stato sconfitto a Kobane, alla frontiera con la Turchia, sta combattendo per il possesso di Tikrit e si accinge ad affrontare l’offensiva dei regolari iracheni e di chi li appoggia per Mosul. Quindi credo che abbiano problemi più urgenti di cui occuparsi che non quello di esportare il loro brand in teatri da cui non dipende la loro sopravvivenza.

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Libia: raid aerei delle forze di Tobruk su Tripoli

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Si complica la situazione in Libia. In mattinata le forze del governo di  Tobruk hanno condotto raid aerei su Tripoli, contro postazioni dei miliziani islamisti che controllano la capitale. L’Onu già ieri aveva definito inaccettabile l’uso delle armi perché compromette la possibilità dei negoziati. Proprio sulla valenza di questa opzione Eugenio Bonanata ha intervistato Domenico Quirico, giornalista del quotidiano La Stampa esperto dell’area: 

R. – La situazione libica è di una complessità che credo sfugga qualche volta agli stessi libici: ci sono 300 bande armate, due governi, due Parlamenti, eserciti di varia natura e con vari scopi. Alcuni sono puramente criminali e di accumulazione di denaro, altri di istaurazione di Stati islamici, altri di ricostruzione del Paese … E’ molto difficile orientarsi. Questo significa che pensare di mettere insieme islamisti di Tripoli e governo o Parlamento di Tobruk che odiano questa parte del Paese in modo feroce e assoluto, in più con un regista che sta dietro a tutto questo e che è l’Egitto, mi sembrava e mi sembra ancor più ora assolutamente impossibile.

D. – Quindi, nessuna speranza nei negoziati tra le parti in corso in Marocco?

R. – Credo che, in una situazione come quella libica, a un certo punto uno è purtroppo obbligato a scegliere qualcuno, a scegliere tra gli uni e gli altri, forse il meno peggio o quelli che danno maggiori garanzie. L’idea è di costruire delle coalizioni che servano, poi, per battersi contro quello che è considerato giustamente il nemico principale, cioè il progetto del califfato nella sua estensione territoriale anche in questa parte del mondo mediterraneo, credo sia purtroppo utopistica. Dopo quattro anni di caos e di lotta feroce, selvaggia, di tutti contro tutti, come si fa a cancellare tutto questo da un momento all’altro? Forse perché c’è un pericolo più grande? Ma in realtà, poi, una parte di questa lotta fratricida, con questo pericolo più grande, cioè con le formazioni islamiste radicali, combatte e ha strette alleanze, ed è strettamente collegata. Quindi, riesce molto difficile pensare che si distacchi da tutto questo per passare ad un’altra alleanza.

D. – Come valutare la condotta dell’Europa che, come l’Onu, punta sul dialogo?

R. – Credo che siano poi scelte un po’ obbligate, nel senso che proporre il dialogo è scenograficamente molto efficace, perché appare la via della ragionevolezza, del rifiuto delle decisioni drastiche. Ma in realtà, come sempre quando si ricorre all’Onu, è un modo per guadagnare tempo e non avere la necessità di operare subito. E si spera, secondo un vecchio principio – credo della diplomazia e della politica internazionale – che siano poi i fatti e la realtà che ti aiutino a risolvere i problemi prima che tu debba affrontarli in prima persona. Temo purtroppo che, come per tutto il problema dell’avvento e della crescita dello Stato totalitario islamico, ovvero del califfato, questo non sia possibile e che prima o poi sia necessario prendere decisioni molto pesanti, molto onerose per evitare di essere poi travolti dai fatti.

D. – Cosa dire delle tecniche e della strategia che sta seguendo l’Is in questo momento, con soluzioni di guerriglia che vanno dall’attacco kamikaze ai gruppi armati? Quale è lo scenario?

R. – Questa è – come dire – nella malefica natura del califfato, dell’Is: utilizzare sui vari scacchieri su cui opera la sua strategia globale, diverse forme di penetrazione e di lotta. Porta avanti una guerra, per certi aspetti, tradizionale nel cuore e nel centro di questo progetto, che è il califfato tra Siria e Iraq; e invece sfrutta tecniche di guerriglia in altre zone del mondo, tipo il Sahel e certe parti della Libia; ricorre all’attentato terroristico – Tunisia, tanto per fare un esempio; sfrutta rivalità di tipo etnico-tribale che hanno spesso percentuali di odio assolutamente terrificanti, come avviene nel nord della Nigeria o ad esempio in Somalia o nello Yemen. Allora è purtroppo la straordinaria intelligenza che fa del califfato una cosa sostanzialmente completamente nuova rispetto a quello che era al Qaeda, che invece aveva un’unica nota nel suo spartito che era quella di seminare il terrore con degli attentati. Questi miliziani dell'Is invece hanno una grande varietà di strategie e di tattiche sul terreno. Anzi, su vari terreni perché la loro guerra è globale; è a distanza di migliaia di chilometri da un teatro all’altro; e sanno utilizzarle con estrema duttilità e purtroppo con estrema intelligenza ed efficacia.

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Giornata Sindrome di Down: eliminare pregiudizi e ignoranza

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Aumentare la conoscenza sulla sindrome di Down eliminando pregiudizi e ignoranza. E’ questo l’obiettivo che si pone la Giornata mondiale della sindrome di Down. Ma perché è stata scelta come data il 21 marzo? Anna Zizzi ha intervistato la coordinatrice nazionale dell'Associazione Italiana Persone Down, Anna Contardi: 

R.  – La Giornata mondiale della sindrome di Down nasce pochi anni fa dalla necessità di dare una maggiore rilevanza alle persone con sindrome Down. Si è voluta scegliere una data un po’ simbolica perché 21-3 richiama la trisomia 21 e fa, quindi, riferimento alla condizione genetica specifica della sindrome di Down.

D.  – A livello nazionale quali eventi celebrano la giornata della sindrome di Down?

R. – Le manifestazioni sono moltissime. Alcune sono più mirate alla sensibilizzazione del territorio, altre a farne occasione di approfondimento. Inoltre, l’Italia ha aderito a un virtual flash mob europeo perché in tutti i Paesi dell’Unione europea partiranno mail al presidente della Commissione europea per chiedere una maggiore visibilità riguardo gli interventi rivolti alle persone Down e alle persone con disabilità intellettiva in genere.

D.  – L’Italia in tema di sostegno alle persone con sindrome di Down sta facendo abbastanza?

R.  – Sicuramente sul piano legislativo l’Italia è un Paese molto avanzato sia in termini di inclusione scolastica che di inclusione lavorativa. Il problema, come sempre, è l’applicazione effettiva delle leggi. Io credo che oggi i punti di maggiore attenzione per l’Italia dovrebbero essere sicuramente i diritti e le esigenze della popolazione adulta. Infatti, in Italia, il 70 per cento delle persone con sindrome di Down è già maggiorenne, quindi temi come futuro, inteso come lavoro, occupazione e come possibilità di vivere fuori della casa dei propri genitori - cosa che per alcune persone sarà una necessità proprio per l’allungamento della vita, ma per altre persone può essere una scelta - sono sicuramente i temi centrali, anche per questo il Coordown, che è il coordinamento delle associazioni Down, ha coniugato il tema internazionale della famiglia pensandolo proprio come la famiglia possibile per persone con sindrome Down che diventano adulte e che vogliono costruirsi una propria indipendenza e una propria famiglia.

D. – Cosa si può fare di più per rispondere ai bisogni delle persone con sindrome di Down?

R.  – Bisogna intanto ricordarsi che non si tratta di una malattia ma di una condizione genetica e che quindi sono persone come tutti, che come tutti hanno una serie di bisogni che necessitano di una risposta. Questo vuol dire che siamo chiamati tutti a renderci conto della loro presenza. Sono chiamate le istituzioni perché sicuramente, per esempio, gli investimenti sul tema della residenzialità, oggi, nel nostro Paese, sono ancora molto scarsi e anche sul tema dell’inserimento lavorativo si potrebbe fare certamente di più. Ma io credo che siamo chiamati un po’ tutti perché credo che la richiesta che fa la giornata in tutto il mondo sia questa:  accorgetevi che le persone con sindrome Down sono persone.

D.  – Cosa si può fare per agevolare le famiglie che sostengono un parente con sindrome di Down?

R.  – Le famiglie sono le persone più coinvolte perché vivono con il loro figlio, fratello, tutti i giorni della vita. Dal punto di vista legislativo ci sono agevolazioni per le famiglie che mediamente hanno aiutato, nel nostro Paese, la gestione in casa. Probabilmente, si potrebbe fare di più. Ci sono molti genitori che periodicamente richiamano in causa il tema della possibilità di un’anticipazione del momento di andare in pensione come risposta a una convivenza che a volte può essere piuttosto faticosa e al tempo stesso, di nuovo, siamo chiamati tutti a darci una mano.

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A Bologna la giornata del ricordo delle vittime delle mafie

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In centomila hanno invaso questa mattina le strade di Bologna per abbracciare i familiari delle vittime innocenti delle mafie, portate nel capoluogo emiliano dall’associazione «Libera». Alla giornata nazionale di impegno contro le mafie, giunta ormai alla sua ventesima edizione, ha partecipato anche il presidente del Senato Pietro Grasso. Il servizio da Bologna di Luca Tentori

La lettura di mille nomi ha scandito a Bologna il ricordo delle vittime di mafia. Tra loro Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi, Peppino Impastato, ma anche tante persone meno note. Tutti innocenti, uccisi da organizzazioni criminali che oltre alla vita si sono portate via, per la maggior parte di loro, anche la verità e la giustizia. Da qui parte l’impegno di «Libera» che tra decine di appuntamenti in terra emiliana questa mattina ha sfilato per il centro di Bologna e ieri sera ha tenuto una veglia nella cattedrale di San Pietro con don Luigi Ciotti:

“Una Chiesa che non guarda solo verso il cielo ma che si preoccupa anche dei problemi della terra. Noi siamo qui per riflettere, per pregare, per chiedere a Dio che ci dia una bella pedata per andare avanti, perché nessuno si senta mai a posto, mai arrivato. Per abbracciare questi familiari a cui la violenza criminale ha strappato gli affetti. Io credo che manchi una parola nella nostra Costituzione: la parola verità. La verità illumina la giustizia. Abbiamo bisogno di fare luce, tanta luce per cercare e conoscere delle verità, ma anche luce dentro le nostre coscienze”.

I parenti delle vittime, la ferita aperta delle storie di mafia, hanno ricordato nel silenzio e nella preghiera i loro familiari. Tra loro anche il figlio sacerdote del magistrato Alberto Giacomelli ucciso nel 1988. Don Giuseppe Giacomelli da novello sacerdote celebrò i suoi funerali:

“Io da vittima della mafia come voi, quando celebro la Messa sull’altare, come faccio a separare il sangue di Gesù, non solo dal sangue di mio padre, ma da quello di tutti i miei fratelli, vittime della mafia come me? Allora sappiate che quando io alzo il calice, in quel sangue non c’è solo il sangue del mio papà, ma c’è anche il sangue di tutti i parenti”.

Alla veglia di ieri sera è intervenuto anche il vicario generale della diocesi di Bologna, mons. Giovanni Silvagni, che ha ricordato le vittime della città cadute sotto gli attentati degli anni di piombo dalla strage del Rapido 904, a quella terribile della stazione, fino a Ustica. La storia è passata anche da qui e ha lasciato il segno:

“La nostra città, la nostra diocesi è famiglia delle vittime. Vi sente parenti, vi sente di casa. E’ una visita tra familiari, tra gente che sanno cosa vuol dire, tra gente che hanno condiviso la stessa sofferenza e che condividono la stessa speranza. Siate dunque i benvenuti, siate i benedetti”.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella quinta domenica di Quaresima la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù annuncia che è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. Quindi aggiunge:

“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

La domanda di alcuni greci di voler vedere il Signore – erano proseliti pagani, a Gerusalemme per partecipare alla Pasqua – fa dire a Gesù una parola molto forte sulla sua “ora”, cioè sul tempo stabilito dal Padre per salvarci. È l’ora della sua glorificazione, cioè di essere innalzato sulla croce, il tempo di essere posto nella terra, come un chicco di grano, perché questi produca frutto. Gesù capovolge davvero tutto il senso del nostro vivere: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Egli è venuto perché l’uomo abbia la vita, ma per avere la vita – al contrario di quanto noi pensiamo e facciamo ogni giorno – è necessario porla a servizio, farne dono a Dio perché Egli la doni agli altri. La croce è questo donarci. Come Dio che si dona interamente a noi, in Cristo, sulla croce e dalla croce. Il cristianesimo non è nessun vittimismo, non è nessuna rassegnazione. Ci si rassegna sotto la croce, non sopra di essa. Quando la si subisce e ti schiaccia, non quando produce il frutto dell’amore. Non si tratta neppure di nessun “eroismo” a buon mercato, sulla pelle degli altri. Il cristiano o è “alter Christus” – un altro Cristo – sulla croce, dando la vita per gli altri – come un S. Massimiliano Kolbe o una Madre Teresa di Calcutta e migliaia di cristiani – o anch’egli è sotto la croce a difendere la propria vita, forse massacrando gli altri, anche in nome della giustizia o della religione. Viene la Pasqua, viene la vittoria della croce di Cristo, la sua gloria, e tu ed io, da che parte stiamo?

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Nella Chiesa e nel mondo



Conclusa Plenaria della Comece su lavoro, ambiente ed etica

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La prossima assemblea plenaria della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, si terrà dal 28 al 30 ottobre a Parigi. L’annuncio – informa l’agenzia Sir - è stato dato dal card. Reinhard Marx, rieletto alla guida dell’organismo ecclesiale che ha sede a Bruxelles per i prossimi tre anni, in chiusura della Plenaria di primavera.

Prossima Plenaria a Parigi, in vista del Cop21
Non è un caso che l’assemblea si svolgerà in Francia perché, come spiega lo stesso Marx, “siamo molto interessati al tema del cambiamento climatico e della tutela ambientale” e a Parigi, a dicembre, è prevista proprio la Conferenza internazionale sul clima (Cop 21). Ed i cambiamenti climatici sono stati posti in rilievo nel corso dell’Assemblea dei vescovi europei, svoltasi dal 18 al 20 marzo.

All’esame il Trattato Ue-Usa sugli scambi commerciali
Tra gli altri argomenti in discussione, anche il Ttip, il trattato in fase di negoziato tra Ue e Stati Uniti relativo agli scambi commerciali e agli investimenti, con evidenti ricadute in materia sociale, occupazionale, ambientale. A tal proposito, il card. Marx ha puntualizzato che sono in corso contatti con l’episcopato statunitense per una eventuale pubblicazione di una “dichiarazione congiunta” sull’argomento. “Abbiamo davanti tre anni intensi – ha affermato il presidente Comece - per noi e per l’integrazione Ue nel suo insieme”.

Incoraggiare processo di integrazione europea
Dall’assemblea Comece viene anche, come ha specificato il porporato, “un incoraggiamento al processo di integrazione”, così come ha fatto Papa Francesco “con i due discorsi tenuti a Strasburgo” a fine novembre. Un’Europa che deve chiarire il “senso della solidarietà” fra i Paesi e i popoli, rispondendo con unità di intenti alle nuove sfide che giungono in vari settori. Fra questi il card. Marx ha ricordato i temi etici, i diritti umani, le migrazioni.

Focus sulla Grecia
Durante la Plenaria, si è riflettuto, inoltre, sul processo di allargamento dell’Unione e sulla situazione della Grecia, sulla quale mons. Jean Kockerols, vicepresidente della Comece, anch’egli confermato nell’incarico, ha detto: “L’uscita della Grecia dall’euro o dall’Ue non è una soluzione” ai problemi del Paese. I vescovi hanno, a questo proposito, verificato le collaborazioni in atto tra Caritas Grecia, Caritas Europa e le Caritas di alcuni Stati europei. Padre Patrick Daly, segretario generale Comece, ha ricordato, poi, il lavoro che la Commissione degli episcopati europei sta conducendo nell’ambito del Trattato di Lisbona, per un dialogo strutturato e aperto tra comunità religiose e istituzioni comunitarie.

Incontro tra vescovi e Commissione Ue
Nel corso dei lavori, si è tenuto anche un incontro tra i vescovi Comece e i vertici della Commissione Ue. Si è trattato di un evento “interessante, disteso ma anche molto franco – afferma mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, rieletto alla vicepresidenza della Comece - Abbiamo ascoltato i programmi e i propositi” dell’esecutivo “sulle sfide che ha di fronte l’Europa, e ora ci auguriamo che questi si trasformino in azioni e in risultati”.

Preoccupazione per disoccupazione giovanile e terrorismo
Tra i temi toccati durante l’incontro, “la situazione economica, la disoccupazione, l’impegno per la crescita: tutti aspetti che ci stanno a cuore e che come vescovi seguiamo a livello nazionale ed europeo”. Particolari sottolineature di mons. Ambrosio riguardano le migrazioni e la disoccupazione giovanile, “argomento questo che verrà nuovamente affrontato in sede di Commissione problemi sociali” istituita presso la Comece, presieduta dallo stesso presule. Riguardo al problema del terrorismo, infine, mons. Ambrosio ha ribadito “la grande preoccupazione” della Comece per la situazione internazionale, e per “le sofferenze che subiscono i cristiani” in diversi Paesi. (I.P.)

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Stati Uniti. Mons. Chaput: più tutele per la libertà religiosa

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Gli Stati Uniti stanno affrontando pressioni sempre maggiori affinché abbandonino la tutela, tradizionalmente ampio, della libertà religiosa: questo, in sintesi, l’allarme lanciato da mons. Charles Chaput, arcivescovo di Filadelfia, nel corso di un intervento pronunciato al Seminario “San Carlo Borromeo” della città. Il presule è intervenuto ad un convegno dedicato alla Dignitatis Humanae, la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa.

Libertà religiosa include libertà di culto e di educazione
“La libertà di religione – ha sottolineato l’arcivescovo di Filadelfia – significa molto di più del pregare in casa o in Chiesa: essa implica il diritto di pregare, insegnare e praticare il proprio culto sia in pubblico che in privato; implica il diritto  dei genitori di proteggere i propri figli da insegnamenti dannosi ed il diritto di impegnarsi pubblicamente in dibattiti morali ed opere di pastorale sociale; implica la libertà di fare tutto questo senza interferenze negative da parte del governo”.

Il ruolo dei credenti nella costruzione del Paese
“I credenti – ha ribadito il presule – hanno giocato un grandissimo ruolo nel fondare e costruire la nazione”, tanto che “una larga maggioranza degli americani crede in Dio e si identifica come cristiana”. Tuttavia, “le cose stanno cambiando”, ha affermato mons. Chaput: “Sempre più, infatti, i giovani si disaffezionano alla religione e molti di loro non comprendono il significato che la libertà religiosa ha nella vita e nella cultura del Paese”.

Dignità umana è ad immagine e somiglianza di Dio
Di qui, il richiamo forte che il presule ha fatto all’amministrazione attuale, definita come quella “probabilmente meno amica dell’attenzione alla libertà religiosa”: basti pensare alla tanto dibattuta riforma sanitaria, bocciata dall’episcopato statunitense perché non tutela il diritto all’obiezione di coscienza nei casi di aborto e prescrizioni contraccettive, nemmeno negli ospedali cattolici, o all’insegnamento scolastico in “materia di sessualità umana” che – ha detto mons. Chaput – “mina il concetto di verità nella distinzione tra maschio e femmina”. “La dignità umana ha una sola fonte e una sola garanzia: – ha ribadito il presule – la creazione dell’umanità ad immagine e somiglianza di Dio e mentiremmo a noi stessi se mantenessimo le nostre libertà senza riferimenti alla visione biblica su chi e cosa è l’uomo”.

No alle conversioni forzate
Quindi, l’arcivescovo di Filadelfia ha ricordato che “la scelta di credere in una religione deve essere volontaria, perché la fede deve essere un atto di libera volontà, altrimenti non è valida”. Di conseguenza, “le conversioni forzate violano le persone, la verità e l’intera comunità di fede, perché sono una menzogna”.  “Nessuna legge e nessuna Costituzione – ha concluso mons. Chaput – tutela la libertà religiosa se la gente non vive e pratica la sua fede non solo in casa o in Chiesa, ma anche in pubblico. Ma è anche vero che nessuno ci porterà via tale libertà, a meno che non siamo noi a buttarla via”. (I.P.)

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Africa: cala il tasso di mortalità tra i malati di Ebola

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Buone notizie sul fronte Ebola in Africa: secondo quanto riportato dall’agenzia salesiana Ans, infatti, “in Liberia da oltre 15 giorni non ci sono stati nuovi casi di infezione. In Sierra Leone, le nuove infezioni sono scese a 10 al giorno, nelle ultime settimane. Le buone cure, il corretto trattamento dei sintomi, una migliore alimentazione dei malati e il sostegno emotivo hanno ridotto il tasso di mortalità tra gli infetti dal 70 al 40%”. I dati sono citati da don Jorge Crisafulli, Superiore dei salesiani dell’Africa Occidentale anglofona.

In difesa dei diritti degli orfani
D’altronde, i salesiani si stanno dedicando da tempo agli orfani dell’Ebola. Oltre 200 bambini tra i 4 e i 17 anni sono passati attraverso il centro “Interim Child Care” aperto dai religiosi. “Alcuni sono arrivati molto deboli, incapaci di parlare o camminare. Con una buona alimentazione e attenzioni hanno cominciato a sorridere. E questo è meraviglioso” spiega don Crisafulli. Ma le sfide non sono finite perché molti di questi bambini sono stati espropriati delle terre ed eredità dai loro genitori. “Abbiamo assunto avvocati per difendere i loro diritti”, spiega il sacerdote salesiano.

Dopo l’emergenza, non abbassare la guardia  
Al di là delle cifre positive, ci sono però ancora drammi reali: “Adesso comincia una nuova sfida, lavorare per il recupero di alcuni Paesi che sono rimasti traumatizzati” spiega don Crisafulli. “Si apre una nuova tappa in cui l’educazione – aggiunge - i bambini a rischio e gli aiuti alle famiglie più povere saranno le nostre priorità”. “Non possiamo dimenticare le sofferenze di milioni di persone – conclude Ana Muñoz, portavoce della Procura missionaria salesiana di Madrid - e anche se il recupero completo può richiedere 5 o 6 anni, continueremo ad aiutare e sostenere i più vulnerabili”. (I.P.)

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Il Sinodo sulla famiglia al centro del Consiglio permanente della CEI

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Sono tre giorni intensi quelli che si prepara a vivere la Conferenza episcopale italiana: dal 23 al 25 marzo, infatti, si svolge a Roma la riunione del Consiglio permanente. Due, in particolare, i temi in agenda: il 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, ed in vista del quale la Cei presenterà la sintesi dei contributi delle diocesi sui “Lineamenta”, ovvero la sintesi delle risposte delle Chiese locali al questionario del documento preparatorio all’Assise.

Preparativi per l’Assemblea generale di maggio
In secondo luogo, il Consiglio permanente rifletterà sulla preparazione all’Assemblea generale, in programma dal 18 al 21 maggio prossimi. In agenda, anche l’approvazione delle relazioni quinquennali delle Commissioni episcopali, giunte a scadenza di mandato: i nuovi presidenti saranno eletti a maggio, mentre sarà il Consiglio permanente di settembre a nominarne i membri.

24 marzo, Adorazione eucaristica per i missionari martiri
I lavori della riunione si apriranno alle ore 16.00 di lunedì, con la prolusione del cardinale presidente, Angelo Bagnasco, mentre la presentazione del comunicato finale dei lavori è attesa per venerdì 27 marzo, alle ore 12.00, presso la sede della Radio Vaticana, alla presenza del segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino. Infine, martedì 24, nella “Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri” alle ore18.30, è prevista un’adorazione eucaristica. (I.P.)

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Diocesi di Roma: “Giornata della carità” per le famiglie in Iraq

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Domani, domenica 22 marzo, la diocesi di Roma promuove in tutte le chiese la “Giornata di animazione e preghiera per la carità”, insieme ad una colletta in favore delle famiglie cristiane che vivono in Iraq, nelle proprie case o sfollate nei campi di accoglienza della Caritas e di altre organizzazioni umanitarie. Per 6mila di loro, informa una nota del Vicariato, “la Chiesa dell’Urbe assicurerà una Pasqua di solidarietà, raggiungendole con il dono di una colomba e con gli aiuti che si raccoglieranno nelle parrocchie attraverso la Caritas diocesana.

Fino al 28 marzo, Settimana della carità
La colletta di domani aprirà anche la “Settimana della carità”, la serie di iniziative che la Caritas diocesana promuove ogni anno alla fine della Quaresima. Tanti gli appuntamenti in programma: domani, alle 9.30, mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, presiederà la Santa Messa nella Parrocchia di Santa Maria in Traspontina, mentre venerdì 27 si terranno due Via Crucis: la prima avrà luogo con i detenuti dei quattro istituti penitenziari di Rebibbia, animata dal gruppo Volontari in Carcere della Caritas, mentre la seconda si svolgerà a Villa Glori, organizzata dai residenti delle case-famiglia per malati di Aids.

Veglia ecumenica in memoria di mons. Romero
Da ricordare, inoltre, la Veglia ecumenica in programma martedì 24 marzo, alle ore 19.00, nella basilica dei Santi Apostoli: la celebrazione si terrà in occasione del 35.mo anniversario dell’uccisione di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che verrà beatificato il prossimo 23 maggio. Ma durante la preghiera “verranno ricordati i tanti martiri dei nostri giorni e quanti, come i cristiani di Iraq, Siria e Pakistan, sono perseguitati e in pericolo per la loro fede”.

La Caritas in cifre
Infine, qualche dato sull’attività della Caritas nel 2014: secondo l’ultimo rapporto, solo lo scorso anno sono stati più di 7.800 i volontari coinvolti nei 45 Centri diocesani per dare da mangiare a quasi 13mila persone, accogliere 2.400 senza dimora, curare 5.700 malati indigenti. Migliaia i volontari nelle parrocchie che hanno dato “ascolto” a 42mila famiglie. Oltre 348mila i pasti distribuiti, 186mila pernottamenti, 15mila prestazioni sanitarie, 10mila visite domiciliari a famiglie e anziani. (I.P.)

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Padova: è morto mons. Pasini. Ha guidato la Caritas Italiana

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E' morto questa mattina a Padova mons. Giuseppe Pasini. Si è spento all’Opera Immacolata Concezione della Mandria all'età di 82 anni, dove risiedeva da qualche tempo ed era amorevolmente seguito dal personale e da moltissime persone che costantemente lo visitavano, preti, laici e la “famiglia” della Fondazione Zancan.

La telefonata di Papa Francesco
Lo scorso 3 marzo mons. Pasini aveva ricevuto la telefonata di Papa Francesco e due giorni dopo ne aveva parlato, seppur a fatica, esprimendo tutta la sua gioia per questo “evento” così importante. “La diocesi tutta, il vescovo Antonio Mattiazzo e i presbiteri - si legge in una nota ripresa dall'agenzia Sir - esprimono profondo cordoglio per la perdita di un uomo e di un presbitero, che tanto ha dato alla Chiesa ma c’è anche tanta riconoscenza per aver condiviso un dono che il Signore ha alimentato dando voce ai poveri e ai bisogni degli ultimi”.

E' stato alla guida della Caritas per 10 anni
La Caritas Italiana in una nota “ringrazia il Signore per il dono di un testimone di fede limpido e coerente fino all’ultimo giorno come don Giuseppe Pasini, apostolo di una carità aperta a tutti ma preferenziale verso i poveri, sempre impegnata a promuovere la giustizia e a liberare i poveri dalla dipendenza altrui”. La Caritas italiana ricorda che il sacerdote padovano per 24 anni ha operato in modo significativo all’interno di Caritas Italiana, che ha diretto dal 1986 al 1996, accompagnandone e orientandone il cammino fin dal suo primo avvio, accanto a mons. Giovanni Nervo, e nei decenni successivi. 

Le esequie martedì prossimo nella cattedrale di Padova
Mons. Pasini, aveva seguito i passi di mons. Nervo, prima alla direzione di Caritas Italiana, per due mandati, e poi alla presidenza della Fondazione Emanuela Zancan onlus. “Un cammino così profondamene condiviso, quello di mons. Nervo e di mons. Pasini - afferma la diocesi di Padova -, da vederli accomunati anche dal ritorno alla Casa del Padre: il 21 marzo 2013, esattamente due anni fa, anche mons. Nervo lasciava questa terra”. Le esequie, presiedute dal vescovo Antonio Mattiazzo, saranno celebrate martedì 24 marzo alle ore 10 nella cattedrale di Padova. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 80

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.