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Sommario del 23/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: dove non c'è misericordia non c'è giustizia

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Dove non c’è misericordia non c’è giustizia e tante volte oggi il popolo di Dio soffre un giudizio senza misericordia: così, in sintesi, Papa Francesco durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

I rigidi hanno una doppia vita
Commentando le letture del giorno e riferendosi anche ad un altro passo evangelico, Papa Francesco parla di tre donne e tre giudici: una donna innocente, Susanna, una peccatrice, l’adultera, e una povera vedova bisognosa: “Tutte e tre - spiega - secondo alcuni padri della Chiesa, sono figure allegoriche della Chiesa: la Chiesa Santa, la Chiesa peccatrice e la Chiesa bisognosa”. “I tre giudici sono cattivi” e “corrotti”, osserva il Papa: c’è innanzitutto il giudizio degli scribi e dei farisei che portano l’adultera a Gesù. “Avevano dentro il cuore la corruzione della rigidità”. Si sentivano puri perché osservavano “la lettera della legge”. “La legge dice questo e si deve fare questo”:

“Ma non erano santi questi, erano corrotti, corrotti perché una rigidità del genere soltanto può andare avanti in una doppia vita e questi che condannavano queste donne poi andavano a cercarle da dietro, di nascosto, per divertirsi un po’. I rigidi sono - uso l’aggettivo che dava Gesù loro – ipocriti: hanno doppia vita. Quelli che giudicano, pensiamo nella Chiesa - tutte e tre le donne sono figure allegoriche della Chiesa - quelli che giudicano con rigidità la Chiesa hanno doppia vita. Con la rigidità neppure si può respirare”.

Il popolo di Dio tante volte non trova misericordia
Poi ci sono i due giudici anziani che ricattano una donna, Susanna, perché si conceda, ma lei resiste: “Erano giudici viziosi – sottolinea il Papa - avevano la corruzione del vizio, in questo caso la lussuria. E si dice che quando c’è questo vizio della lussuria con gli anni diventa più feroce, più cattivo”. Infine, c’è il giudice interpellato dalla povera vedova. Questo giudice “non temeva Dio e non si curava di nessuno: non gli importava niente, soltanto gli importava di se stesso”: Era “un affarista, un giudice che col suo mestiere di giudicare faceva gli affari”. Era “un corrotto di denaro, di prestigio”. Questi giudici – rileva il Papa – l’affarista, i viziosi e i rigidi, “non conoscevano una parola, non conoscevano cosa fosse misericordia”:

“La corruzione li portava lontano dal capire la misericordia, l’essere misericordiosi. E la Bibbia ci dice che nella misericordia è proprio il giusto giudizio. E le tre donne - la santa, la peccatrice e la bisognosa, figure allegoriche della Chiesa - soffrono di questa mancanza di misericordia. Anche oggi, il popolo di Dio, quando trova questi giudici, soffre un giudizio senza misericordia, sia nel civile, sia sull’ecclesiastico. E dove non c’è misericordia non c’è giustizia. Quando il popolo di Dio si avvicina volontariamente per chiedere perdono, per essere giudicato, quante volte, quante volte, trova qualcuno di questi”.

Una delle parole più belle del Vangelo: "Neanche io ti condanno"
Trova i viziosi che “sono capaci di tentare di sfruttarli”, e questo “è uno dei peccati più gravi”; trova “gli affaristi” che “non danno ossigeno a quell’anima, non danno speranza”; e trova “i rigidi che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima”. “Questo – dice il Papa - si chiama mancanza di misericordia”. Quindi, conclude:

“Vorrei soltanto dire una delle parole più belle del Vangelo che a me commuove tanto: ‘Nessuno ti ha condannata?’ – ‘No, nessuno, Signore’ – ‘Neanch’io ti condanno’. Neanche io ti condanno: una delle parole più belle perché è piena di misericordia”.

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Tweet: ogni comunità cristiana sia un luogo di misericordia

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Il Papa ha lanciato oggi a mezzogiorno un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Che ogni Chiesa, ogni comunità cristiana sia un luogo di misericordia in mezzo a tanta indifferenza”.

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Viaggio Papa a Napoli. Don Palmese: stimolo a cambiare

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Ieri il Papa all'Angelus ha ringraziato nuovamente i napoletani per la calorosa accoglienza riservatagli durante la visita di sabato scorso. Una visita che ha lasciato una viva emozione tra la gente del capoluogo campano. Il nostro inviato, Alessandro Guarasci, ha raccolto il commento di don Tonino Palmese, vicario episcopale per la carità: 

R. – C’è un cambiamento forse nella coscienza di tante persone: abbiamo capito – vale anche per me, naturalmente - che possiamo cambiare. Questo sì. Il cambiamento è quel potenziale di fede e di autostima che deve nascere in un popolo che ha sempre dimostrato di potercela fare nonostante tutto e al di là di tutto. Siamo un popolo capace di accogliere bene il Papa e di rimandarlo a casa suscitandogli un pizzico di nostalgia!

D. – I passaggi a Scampia e Poggioreale hanno fatto capire alle persone l’attenzione del Papa verso gli ultimi? Insomma, questa attenzione è stata percepita?

R. – E’ stata percepita ed ho sottolineato in queste ore a me stesso, più volte, e a qualche compagno di viaggio col quale abbiamo condiviso la preparazione e poi la stessa giornata, questa straordinaria cultura teologica e pastorale di Papa Francesco, non solo nell’incontrare gli ultimi e i privilegiati, ma quel – ribadisco – potenziale evangelizzatore dei poveri, che diventa per tutti noi un promemoria straordinario. Di che cosa? Di quanto Dio ci ami e di quanto Dio desideri che in questo incontro con i poveri noi possiamo cambiare il cammino della storia.

D. – I giovani di Napoli, circa 100 mila, alla Rotonda Diaz, adesso hanno una spinta in più per sperare in un futuro migliore, secondo lei?

R. – Io credo di sì, anche se c’è un pericolo. Quale pericolo? Di non trovare poi quelle forme storiche, sociali, culturali – per esempio, della politica – abbastanza pronte e recettive per dare ai giovani quel protagonismo necessario del cambiamento. Ecco, mi auguro davvero che questa gioia non si trasformi in frustrazione. Come realtà ecclesiale, inoltre, non basta l’aggregazione ecclesiale, abbiamo bisogno di quello sbocco sociale e politico che ci permette il cambiamento.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nel primo giorno di primavera: in prima pagina, un editoriale del direttore a conclusione della visita del Papa a Napoli.

Yemen sull'orlo della guerra civile: l'Onu ribadisce il sostegno al presidente Hadi.

Sarkozy frena il Front National: Ump primo partito nelle elezioni amministrative francesi.

Nel segno della croce: giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri.

Onestà, solidarietà e famiglia: il cardinale Bagnasco al Consiglio permanente della Cei.

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Oggi in Primo Piano



Elezioni: Francia vince Sarkozy, discreto "Podemos" in Spagna

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Si è votato ieri in Francia in 101 dipartimenti per il primo turno delle elezioni amministrative. Vince l’alleanza di centrodestra guidata dall’ex-presidente, Nicolas Sarkozy. Il "Front National" (Fn) di Marine Le Pen, dato per favorito dai sondaggi, non sfonda, ma ottiene il 25% dei voti. Perde posizioni il Partito socialista, che tuttavia non crolla. Voto regionale anche in Andalusia, nella Spagna meridionale, dove c’era attesa per il primo test elettorale del partito anti-austerity “Podemos”, risultato terzo con il 15% dei suffragi. Il servizio di Michele Raviart

Nicolas Sarkozy rientra prepotentemente nella politica francese. L’alleanza formata dall’ex-presidente tra il suo partito Ump e i centristi dell’Udi, raccoglie circa il 32%  dei voti e sbarra la strada al "Front National" di Marine Le Pen, comunque in testa in 43 dipartimenti. I socialisti non scendono sotto il 20%, come previsto dai sondaggi, ma recuperano dal loro minimo storico del 14%, registrato alle ultime europee. “Siamo rallegrati perché il Front National non è il primo partito in Francia”, ha commentato il primo ministro socialista, Valls, appena dopo la chiusura dei seggi.“Siamo noi gli unici vincitori”, ha detto invece Le Pen, che ha sottolineato di aver preso 360 mila voti in più delle scorse europee, senza Parigi e Lione, dove non si votava. Per il secondo turno della prossima settimana, i socialisti hanno chiamato a raccolta il “fronte repubblicano” per votare in massa contro il "Front National". Sarkozy non si alleerà con il partito di governo, ma esclude ogni accordo locale o nazionale con l’estrema destra di Le Pen. In Spagna si è votato invece per rinnovare il parlamento dell’Andalusia. Ha vinto il Partito socialista, che governa la regione da oltre 30 anni. Il partito “Podemos”, alleato dei greci di Syriza, ha ottenuto sedici seggi al suo esordio elettorale.

In attesa di capire quanto questa tornata influenzerà il futuro di questi Paesi, abbiamo sentito Federiga Bindi, docente di Politica europea al centro "Jean Monnet" dell'Università di Tor Vergata: 

R. – Per avere gli effetti reali dobbiamo aspettare il secondo turno, anche perché è un sistema nuovo: erano state ridisegnate le contee, era stata creata la doppia preferenza di genere… Quindi, soltanto con il secondo turno avremo il risultato reale. Il dato che comunque esce e che è certo è che la popolarità del presidente Hollande è tornata dov’era, cioè a livelli minimi. Quindi, direi che ha una chance pari a zero di essere rieletto. Mentre incredibilmente è tornato su il presidente Sarkozy, che ha saputo unire il centro-destra, motivare le truppe e vincere.

D. – Le Pen è al 25%: ha ormai un suo elettorato stabile, oppure hanno pesato i tragici eventi di Charlie Hebdo?

R. – Teoricamente "Charlie Hebdo" avrebbe dovuto aiutarla, Marine Le Pen: infatti tutti pensavano che avrebbe stravinto. Io credo che abbia raggiunto il livello massimo, cioè non credo che andrà oltre questo dato.

D. – In Spagna, invece, si è votato per le regionali dell’Andalusia e il partito “Podemos” ha avuto un buon risultato: era il primo test elettorale. Si può parlare di un tripartitismo che sta nascendo in Spagna e in Francia?

R. – In Francia sicuramente sì, perché Fn è un partito consolidato che esiste da tempo. Ha cambiato faccia con l’arrivo di Marine, quindi direi che è ormai un partito stabile. In Spagna, è un po’ presto per dire se questi partiti possano considerarsi stabili, ma poi spesso fanno la fine dell’”Uomo qualunque” in Italia. E anche lì l’aspettativa era che “Podemos” avrebbe fatto un grande exploit e invece chi ha vinto è stato il Partito socialista. Direi che non vedo in Spagna una soluzione “greca”.

D. – In modo diverso sia il “Front National” che “Podemos” sono partiti anti-europeisti o quanto meno anti-austerity: si stanno rafforzando queste compagini? E qual è la loro posizione adesso nello scacchiere europeo?

R. – Se c’è un dato che è generalizzato, è che gli europei non ne possono più dell’austerity, anche perché vedono ormai con chiarezza che in quei Paesi dove alla crisi si è risposto con politiche keynesiane, tipo negli Stati Uniti, la crisi sta finendo, mentre in Europa è ben lungi dall’essere finita. Il che non deve essere assolutamente confuso con l’euro e qui bisogna stare molto attenti: cioè l’austerity non è l’euro.

D. – Avranno un peso nelle politiche europee questi successi dei partiti anti-austerity?

R. – Dipenderà molto anche da quello che succede in Germania: devo dirle la verità. Cioè, il problema è che queste forze non sono poi al tavolo europeo. Al momento, al tavolo europeo chi spinge sono l’Italia, la Francia, la Grecia e pochi altri. Certo, sarebbe sbagliato non ascoltare queste forze, anche perché viviamo in un momento di grande incertezza e quando alla minaccia per la sicurezza delle persone si aggiunge anche la povertà, il mix è spesso micidiale: basta ricordarsi di com’è finita la crisi del 1929.

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Yemen: rischio guerra civile, caos avvantaggia al Qaida e Is

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Rischio altissimo di guerra civile nello Yemen, dopo gli ultimi sanguinosi attentati di venerdì scorso che hanno colpito tre moschee sciite e un edificio governativo nelle città di Sanaa e Saada. Preoccupazione nella comunità internazionale per uno scenario di violenze fuori controllo, combinato alla presenza del sedicente Stato islamico in Siria, in Iraq e in Libia. Il servizio di Roberta Gisotti

Allerta del Consiglio di sicurezza dell’Onu che, riunito ieri sera, ha invitato tutte le parti e gli Stati membri ad astenersi da qualsiasi azione che mini l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dello Yemen, esprimendo sostegno al presidente Hadi, deposto a settembre dalle milizie sciite Huthi e ritiratosi dalla capitale Sana’a nella città di Aden. Hadi, lo ricordiamo, era succeduto nel febbraio 2012 al presidente Saleh, travolto dai moti della "primavera araba" nel 2011. Unificato solo nel 1990, lo Yemen - unica Repubblica nella penisola arabica, Paese non petrolifero, tra i più poveri al mondo - è da anni alla ricerca di uno Stato federale. Oggi, versa in uno stato di caos istituzionale, travolto da faide regionali, da rivalità tra popolazione sciita e sunnita, sfociata in uno scontro frontale tra miliziani sciiti filo-iraniani e forze lealiste del presidente Hadi, sostenuto da Arabia Saudita e Stati Uniti, che sono alla caccia di cellule di al Qaeda nel sud e nell’est del Paese. In questo quadro, l’ex presidente Saleh che per anni aveva combattuto i miliziani Huthi arrocati nel nord è tornato sulla scena, in funzione anti Hadi, sostenendo la causa dei suoi ex nemici, gli insorti zaiditi, branca dello sciismo cui appartiene lo stesso Saleh.

“Un dialogo pacifico è l’unica opzione che abbiamo”, ha ammonio l’inviato speciale dell’Onu, Benomar, a evitare le derive della Siria e della Libia, Infatti “sarebbe illusorio - ha spiegato - credere che le milizie Huthi possano prendere tutto il controllo del Paese o che il presidente Hadi possa mettere insieme un numero sufficiente di truppe per liberarlo”. Grande è il timore che al Qaida usi l’instabilità del Paese a suo vantaggio, favorendo l’avanzata del sedicente Stato islamico nell’area mediororientale.

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Israele: consultazioni in corso per il nuovo governo

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In Israele sono in corso le consultazioni per la formazione del nuovo governo. Dopo le elezioni caratterizzate da forti tensioni politiche, il capo dello Stato, Reuven Rivlin, ha esortato i partiti, a cominciare dal Likud del premier Netanyahu, vincitore della tornata elettorale, al dialogo e alla coesione. Il nuovo esecutivo dovrà fare riferimento agli ebrei come agli arabi, alla destra come alla sinistra, ha detto il presidente. Sulla possibilità di dar vita in Israele ad un governo di ampie intese, Giancarlo La Vella ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: 

R.  – Io credo proprio che non si andrà verso un governo di questo tipo. Netanyahu ha vinto con una maggioranza chiara e quindi difficilmente accetterà questo invito del presidente Rivlin, che è molto preoccupato delle ripercussioni internazionali che tutto questo potrebbe avere. Però, probabilmente, si andrà a un governo di destra guidato da Netanyahu, molto più a destra del governo precedente.

D.  – Con quali ricadute sulla questione palestinese?

R. – E’ ormai da un anno che non esiste più alcun negoziato. Quindi, è pensabile che questo stallo andrà ancora avanti. C’è da spettarsi un ulteriore inasprimento nella costruzione delle colonie. Sarà il prezzo che Netanyahu pagherà ai coloni che sono stati determinanti per il suo successo elettorale. Ma il vero nodo oggi è il rapporto con Washington, che è molto freddo.

D. – C’è quasi un moltiplicarsi per Israele delle emergenze: la Siria, l’Iran… C’è il rischio che lo Stato ebraico a questo punto si trovi troppo isolato?

R. – Netanyahu non è un politico che vuole cercare l’isolamento di Israele. Lui ha fatto una scommessa chiara, che è quella sulle elezioni americane del 2016. Lui ha puntato tutto sulla vittoria dei repubblicani a quelle elezioni, ma quello sarà anche per lui il momento della verità, perché qualsiasi amministrazione americana non potrà comunque tollerare uno scivolamento troppo a destra del governo israeliano, troppo prono a qualsiasi richiesta dei coloni.

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Funerali vittime Tunisi. Nosiglia: rispondere al male col bene

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Al Santuario della Consolata a Torino oggi i funerali per due delle vittime degli attentati di Tunisi: Orazio Conte e Antonella Sesino, entrambi 54enni. Nel Duomo di Novara invece le esequie di Francesco Caldara, 64 anni, ucciso sempre nell’attacco al Museo del Bardo, mentre a Meda, in provincia di Monza, stamani l’allestimento delle camera ardente della quarta vittima Giuseppina Biella, 72 anni. Grande la partecipazione. A celebrare i funerali nel capoluogo piemontese l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Difficile trovare le parole, tanto più di fronte ad una follia omicida così brutale, così irrazionale, così disumana, che ci lascia attoniti, sconvolti. Io credo che solo la preghiera, il silenzio e la Parola di Dio, possano infondere speranza e dare forza. Per questo ho scelto il Vangelo delle Beatitudini, perché lì Gesù proclama felici coloro che piangono, coloro che sono perseguitati. Dà loro, però, una speranza non effimera, ma forte, perché l’amore di Dio nella croce può portare veramente speranza. E questo è ciò che dobbiamo, in questi momenti, far crescere sempre di più dentro di noi: senza rispondere al male con il male, perché questo aggraverebbe ancora di più la situazione. Dobbiamo vincere il male con il bene, con maggiore impegno per la solidarietà, l’amore, l’amicizia anche per i popoli, tra le religioni, tra tutti coloro che lottano – e sono tanti nel mondo – per costruire un mondo più giusto e più pacifico. Ci troviamo di fronte, infatti, a minoranze estremiste e allora dobbiamo credere tutti nel bene, far crescere in tutta l’umanità questo senso profondo di rispetto, di accoglienza e collaborazione reciproca.

D. – Se, dunque, da una parte la vendetta non è la strada giusta, legittimo è il desiderio di giustizia…

R. – Quello sì. Indubbiamente bisogna perseguire la giustizia, ma va sempre unita strettamente anche all’amore. Gesù non si è lasciato vincere dal male, l’ha vinto persino con il perdono e sulla croce ha perdonato anche quelli che lo stavano crocifiggendo. Questo allora significa che la via che vince è sempre quella che ci porta ad agire attraverso strade e metodi che non sono violenti, come risposta alla violenza: le vie del dialogo, dell’impegno a far crescere all’interno dei Paesi che purtroppo subiscono questa presenza terrorista, ma che non sono certamente d’accordo, la forza di un popolo di onesti che vogliono superare queste terribili situazioni. Penso che questa strage di innocenti debba scuotere le coscienze di ogni uomo di buona volontà, sia cristiano che di altre religioni, per poter agire insieme, poter favorire un’alleanza – chiamiamola così – mondiale, perché si possa veramente dare una risposta appropriata di giustizia – certamente – ma di una giustizia carica anche di grande disponibilità all’amore e al rispetto di ogni persona. Mi pare che Papa Francesco ci indichi questa strada, quando dice a tutti gli uomini di imparare ad andare a scuola dai più poveri, dai più miseri, dai più perseguitati, immergendosi nelle periferie esistenziali, condividendo le loro miserie, le loro situazioni di grave disagio, di difficoltà. Ripartire da lì per promuovere una società veramente più giusta e più capace di essere solidale.

D. – Che cosa si può dire in particolare dei due defunti? Lei ha avuto contatti in questi giorni con i loro parenti?

R. – Sì, io ho avuto contatti, perché ovviamente sono andato anche ad accoglierli all’aeroporto. Sono stati i parenti che hanno deciso di celebrare i funerali nel Santuario della Consolata.

D. – Un luogo molto importante per i torinesi …

R. – Sì, è stata una scelta veramente importante, perché già di per sé il Santuario richiama una dimensione interiore, una dimensione di preghiera, una dimensione di spiritualità. Mi hanno chiesto come prima Lettura ai funerali l’Inno alla Carità di San Paolo, che come sappiamo è un inno all’amore: all’amore di Dio, vissuto anche attraverso vie non facili, di rifiuto della violenza e di ogni ingiustizia, ma anche di speranza piena che questa carità rimarrà per sempre. Anche il sacrificio e l’amore di queste persone per la loro famiglia è un patrimonio che non andrà perso.

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Roma. Settimana carità. Vallini: ci prepariamo al Giubileo

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Ieri, le offerte delle Chiese romane per i cristiani perseguitati in Iraq. Domani una veglia in memoria del prossimo Beato, mons. Romero, perché “la carità più grande è dare la vita”. Sono alcune delle iniziative della Settimana della carità, indetta dalla Caritas di Roma e in corso fino a sabato prossimo. Il servizio di Alessandro De Carolis

È il “format” che piace a Francesco: una Chiesa che si guarda costantemente attorno per vedere a chi possa dare aiuto. E la Chiesa del Papa, la diocesi di Roma, ha voluto dare l’esempio con una settimana all’insegna della carità. Peraltro, il primo sguardo non è stato attorno ma lontano: è andato ben oltre la geografia capitolina, ha raggiunto le migliaia di fratelli in Iraq che solo per essere dei cristiani sono passati in pochi minuti da una casa in città a una tenda in mezzo al fango, da una vita normale a una fuga senza meta, incalzati dalle belve dello jihadismo. Ieri, ogni chiesa di Roma ha raccolto offerte per loro, ricorda il cardinale vicario Agostino Vallini, intervistato da Lucia Marinelli:

“E’ una situazione molto grave, soprattutto perché sono nella loro terra a rischio della vita, per difendere la loro dignità, la loro fede, le loro chiese, la loro cultura e quindi è un contesto sul quale credo la comunità internazionale si debba interrogare. E quindi, ci auguriamo che si facciano dei passi avanti”.

Passi avanti, di quelli normalmente invisibili ai media – che hanno sempre molti spazi per riferire di crimini e corruzione e molto pochi per raccontare il bene vero, quello che cambia in silenzio la vita delle persone – li compie la Caritas romana. Le sue porte sono aperte ogni giorno dove ingrossano le file dell’umanità di scarto, nuovi poveri e vecchie miserie mangiati dalla crisi infinita e da un’indifferenza che non è da meno. I numeri parlano, sono scritti nell’ultimo Rapporto della Caritas di Roma e a darli è il suo direttore, mons. Enrico Feroci:

“Abbiamo incontrato quasi 13 mila persone alle quali è stato dato cibo, quindi abbiamo distribuito 348 mila pasti. Abbiamo 5.700 persone che sono andate nei nostri ambulatori. Abbiamo incontrato studenti nelle scuole, perché come sappiamo la Caritas è una realtà pedagogica che deve insegnare, soprattutto, a comprendere che l’attenzione all’altro è necessaria e fondamentale per il cristiano ma anche per il cittadino”.

“La carità più grande è dare la propria vita”, una verità che spesso fa rima con martirio. Dunque, nella Settimana della carità non poteva mancare l’esempio di un testimone. Quello scelto è mons. Oscar Romero, l’arcivescovo salvadoregno assassinato 35 anni fa e – come ricordato da Papa Francesco all’Angelus -  “presto Beato”. In sua memoria domani alle 19 si svolgerà una veglia ecumenica presso la Basilica dei Santi Apostoli, mentre venerdì prossimo due speciali Via Crucis si svolgeranno alle 16 con i detenuti dei quattro istituti penitenziari di Rebibbia e in serata, alle 19, nel parco di Villa Glori ai Parioli, con i residenti delle case famiglia per malati di Aids. Insomma, un grande cuore aperto su chi non ha motivi di gioire ma tanti per essere disperato e ha bisogno di asciugarsi qualche lacrima. E sullo sfondo di questi gesti di carità, ricorda il cardinale Vallini, già si staglia il grande profilo del Giubileo della misericordia:

“E’ un dono e una responsabilità. E’ un dono perché è un’occasione per sviluppare ulteriormente – particolarmente per noi di Roma – il lavoro pastorale che andiamo facendo ormai da otto anni, che è quello di riproporre alla comunità cittadina i motivi per credere, la realtà benefica della fede; e parlare di misericordia non vuol dire altro che parlare del contenuto della fede cristiana. Quando parliamo di Giubileo, consideri che noi facciamo una riflessione di tipo spirituale. Poi, ho sentito dalle istituzioni che faranno di tutto per poter realizzare un’accoglienza dei pellegrini nel modo giusto.

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Storia di guerra trasformata in storia di pace a "Rondine"

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L'Associazione "Rondine Cittadella della Pace" presenta oggi a Grado il progetto "Capire i conflitti - praticare la pace", che vede come protagonisti giovani provenienti da località di guerra in veste di guide a 600 studenti di tutta Italia, in un percorso alla scoperta degli scenari del conflitto del '15-'18. Una riflessione sul tema della memoria storica e della consapevolezza del nostro presente, in occasione del centenario della Grande Guerra. Ne parla Franco Vaccari, presidente dell'Associazione, al microfono di Claudia Minici

R. - E' il progetto sul centenario della Prima Guerra mondiale che è stato fatto proprio dal Comitato interministeriale presso Palazzo Chigi per le commemorazioni della Grande Guerra. Rondine è stata scelta tra i tanti progetti perché noi portiamo nei luoghi della Prima Guerra mondiale, in Friuli e in Trentino, giovani da tutta Italia attraverso un percorso di formazione svolto dai giovani di Rondine, che sono i giovani che vengono dai luoghi di guerra. Portano i nostri giovani da tutta Italia, che invece la guerra la vedono in televisione, e attiva la coscienza critica, le suggestioni di testimonianze dirette, in modo tale che un evento di cento anni fa venga tirato fuori e diventi invece forza di cambiamento per l'oggi.

D - E' il quinto anno consecutivo che si ripete il progetto: cosa vi spinge a riproporlo ogni anno?

R. - Ci spinge il successo. Abbiamo visto fin dal primo anno che è andato molto bene, si è esteso il bacino di utenza per cui ormai abbiamo tante città d'Italia. Oggi, portiamo a Grado, in Friuli Venezia Giulia, 150 giovani delle scuole superiori ed è il primo turno di altri quattro turni che si svolgeranno poi nel Trentino. Quindi, noi porteremo circa 600 giovani dalle varie città d'Italia questo primo anno e abbiamo dovuto dire di no ad altri 200 giovani. Ci sembra un "mix" tra storia e dei testimoni diretti, giovani di 24-25 anni che vogliono fare i conti con la loro storia di guerra e trasformarla in una storia di pace.

D - Cinque giorni sono sufficienti per trasmettere agli studenti una nuova consapevolezza rispetto alla storia contemporanea?

R. - Non sono solo cinque giorni perché il percorso è lungo, cominciamo all'inizio dell'anno ad andare nelle classi. Un primo incontro, una mattinata intera in cui i nostri formatori incontrano le classi poi fanno una visita della Cittadella della pace, Rondine, e lì s'innesca l'attesa forte del percorso dei cinque giorni a cui poi segue un accompagnamento sulle ricadute. Quindi, è un percorso che dura un anno scolastico intero.

D - In quale elemento del territorio riecheggia con più forza il ricordo della Grande Guerra?

R. - Noi da cinque anni andiamo in posti sempre diversi, è difficile dare un riconoscimento di primato ad uno di questi luoghi, sia i musei che i musei a cielo aperto come le trincee. Noi li portiamo ad aprile, quando qualche volta c'è la neve, il freddo e il vento. Anche questo contribuisce, pur nel suo disagio, a far capire meglio ai nostri giovani diciassettenni cos'era stare in quei luoghi, non in aprile ma starci in gennaio e starci poi con quei equipaggiamenti di quella tragedia ,che era la guerra del 15-18. Non glielo dico qual è il posto più significativo perché sono tutti in qualche modo significativi e suggestivi.

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Roma. Chagall in mostra al Chiostro del Bramante

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Dopo la fortunata mostra di Escher, al Chiostro del Bramante arriva Marc Chagall, uno degli artisti più amati del ‘900. L’esposizione, visitabile a Roma fino al 26 luglio, si chiama “Love and Life” ed espone i lavori più intimi e personali di Chagall. Per noi l’ha vista Corinna Spirito: 

È uno Chagall inedito in Italia quello ospitato dal Chiostro del Bramante. In “Love and Life” disegni, litografie e acqueforti sostituiscono i coloratissimi olii e acquerelli a cui l’artista deve la sua fama. Una mostra da cui esce uno Chagall più intimo ma parimente efficace, come ha detto Tania Coen, vicedirettrice dell’Israel Museum di Gerusalemme, da cui arrivano tutte le 140 opere esposte a Roma:

“Io trovo che Chagall sia meno conosciuto per le sue illustrazioni, per la sua nostalgia verso il posto dove ha vissuto, che viene messo qui in evidenza in alcuni disegni, in alcune acquetinte in bianco e nero, in cui si vede invece il tratto molto deciso, l’artista vero, il disegnatore che c’è in Chagall, che lo fa essere un grande artista del Novecento, a prescindere dalla sua colorazione. Ha un tratto molto intenso, molto espressionista, che vuole in qualche modo darci l’idea di quello che è il suo sentimento”.

Le 8 sezioni della mostra portano in scena i temi più vari: si passa dai ritratti dell’amata moglie Bella alle illustrazioni delle favole di La Fontaine fino all’iconografia religiosa. Nonostante fosse ebreo, Marc Chagall non si limitò ad esaminare i passi del Vecchio Testamento, ma si immerse anche nell’esame e nella rappresentazione del Vangelo. Ecco allora che a fianco de “La Traversata del Mar Rosso” o “Il sacrificio di Isacco” sono esposte anche “La crocefissione” e “L’annunciazione”. Opere piene di poesia e di spiritualità che rivelano una profonda riflessione. Ma le sorprese di “Chagall – Love and Life” non finiscono qui. La curatrice Ronit Sorek non ha dimenticato di occuparsi del lato interattivo della mostra, che stimola e diverte, come ha spiegato la direttrice del Chiostro del Bramante, Laura De Marco:

“La peculiarità di questa mostra è anche una novità assoluta, tra l’altro, per il panorama delle mostre romane: le video installazioni di Fabien Iliou, che è un artista francese, che attraverso dei giochi di luce, accanto al disegno in bianco e nero,  espande il colore da cui nasce il quadro colorato”.

Una chicca che piacerà anche ai più piccoli così come tutte le sale interattive del Chiostro: dai timbri che riproducono i più famosi soggetti dell’artista a un sottofondo musicale che rende multisensoriale l’esperienza della mostra.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giornata Missionari Martiri: 1.062 uccisi dal 1980 al 2014

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Domani, 24 marzo si celebra la “Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri”, promossa dal Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie, nel giorno anniversario dell’assassinio di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador (24 marzo 1980), che sarà beatificato il 23 maggio. L’iniziativa intende ricordare, con la preghiera e il digiuno, tutti i missionari che sono stati uccisi nel mondo e gli operatori pastorali che hanno versato il sangue per testimoniare il Vangelo.

1.602 missionari uccisi dal 1980 al 2014
Secondo i dati in possesso dell’agenzia Fides, nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Il quadro riassuntivo degli anni 1990-2000 presenta un totale di 604 missionari uccisi. Il numero risulta sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente soprattutto in conseguenza del genocidio del Rwanda (1994), che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico. Negli anni 2001-2014 il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 343 persone. Nell’anno 2014 sono stati uccisi 26 operatori pastorali: 17 sacerdoti, 1 religioso, 6 religiose, 1 seminarista, 1 laico. Tali cifre sono comunque da considerare in difetto poiché si riferiscono solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia. (S.L.)

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India: nuovi attacchi contro due chiese cattoliche

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"Sono addolorato e rattristato per gli attacchi contro due chiese cattoliche in India. Condanno con forza queste azioni malvagie e pericolose contro la nostra gente. Preghiamo per l'India, affinché il dialogo interreligioso, la coesistenza pacifica e il rispetto reciproco tra tutti i cittadini portino il progresso e lo sviluppo della comunità, della società e della nostra nazione". Lo afferma all'agenzia AsiaNews il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente del Consiglio dei vescovi cattolici dell'India (Ccbi), commentando due diversi attacchi perpetrati contro una chiesa a Mumbai (Maharashtra) e una cattedrale a Jabalpur (Madhya Pradesh) due giorni fa.

Attacco alla chiesa cattolica di St. George a Mumbai
All'alba del 22 marzo tre persone hanno lanciato pietre contro la statua del santo a cui è dedicata la chiesa cattolica St. George, nel quartiere New Panvel di Mumbai. Telecamere a circuito chiuso hanno ripreso i vandali, che però indossavano delle maschere. La chiesa è stata costruita nel 2007 e può accogliere oltre 800 persone.

Attacco nei locali della cattedrale di St Paul a Jabalpur
Qualche ora prima a Jabalpur un gruppo di persone si è introdotto nel cortile della cattedrale di St. Peter e St. Paul, dove stavano dormendo i partecipanti a un seminario biblico. Mons. Gerald Almeida, vescovo di Jabalpur, racconta ad AsiaNews: "Abbiamo organizzato il seminario dopo aver chiesto e ottenuto i permessi necessari all'amministrazione e alla polizia. Venerdì sera, continua il presule, "i partecipanti che vivono in zona sono tornati a dormire nelle loro case, mentre circa 200 persone, provenienti da tutti i distretti della diocesi, sono rimaste nel dormitorio. La polizia era stata avvisata, ma aveva inviato solo pochi agenti che hanno detto: 'Voi cristiani siete persone pacifiche'. Intorno all'una del mattino, una gran numero di persone è piombata dentro, ha picchiato i fedeli e ha rubato i loro oggetti personali. Dopo il pestaggio, gli aggressori hanno distrutto il portone della cattedrale e alcuni veicoli. Le forze dell'ordine sono arrivate molte ore dopo, solo alle 4 del mattino, quando ormai era tutto finito".

Il silenzio del governo centrale
Mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bhopal (Madhya Pradesh), dichiara ad AsiaNews: "Alcuni elementi stanno diventando più sfacciati perché nessuno prende provvedimenti contro di loro da quando il Bjp [Bharatiya Janata Party, destra nazionalista indù - ndr] è alla guida del governo centrale. Ciò è pericoloso per i nostri valori democratici. Questi individui si incoraggiano l'un l'altro per portare avanti le loro azioni anti-sociali. Non hanno un obiettivo religioso, ma usano la religione per polarizzare [la società]. Il governo centrale non è serio. Il Primo ministro ha dichiarato che non ci sarà intolleranza religiosa, né divisione, ma questi elementi si sentono incoraggiati ad andare avanti dal fatto che New Delhi non si occupa di loro in modo severo".

La fragilità della libertà religiosa 
Anche il Global Council of Indian Christians (Gcic) condanna con forza i nuovi attacchi anticristiani avvenuti in India. "Questi episodi - sottolinea ad AsiaNews il presidente Sajan George - rivelano la fragile situazione in cui versa la libertà religiosa nel nostro Paese. I gruppi di destra portano avanti il loro regno del terrore contro la vulnerabile comunità cristiana". In Madhya Pradesh, spiega il leader del Gcic, "l'Hindu Dharma Sena terrorizza le minoranze sfruttando la draconiana legge anti-conversione, che viene usata per muovere accuse false contro cristiani innocenti. Questi estremisti godono della protezione politica del governo e mettono in pericolo le vite della comunità cristiana". (N.C.)

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Vescovi Perù. Marcia per la vita: aborto non è progresso

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L’aborto non è progresso, né modernità, perché la vita umana è il riflesso dell’amore di Dio, “è un dono e non un prodotto di laboratorio”: così, in sintesi, mons. José Antonio Eguren, presidente della Commissione Famiglia e vita della Conferenza episcopale del Perù (Cep) si è rivolto ai fedeli sabato scorso, in occasione della Marcia per la vita organizzata in diverse città del Paese. In particolare, mons. Eguren è intervenuto al corteo svoltosi nella sua diocesi, quella di Piura.

Diritto alla vita è fondamentale. Essere umano è inviolabile
“Il diritto alla vita a partire dal concepimento e fino alla morte naturale è un diritto umano fondamentale”, ha detto il presule, ribadendo che “non è segno di progresso né di modernità pretendere di risolvere i problemi uccidendo l’esistenza dell’uomo”. “L’essere umano – ha aggiunto – è sempre sacro ed inviolabile, in qualunque situazione ed in qualsiasi tappa sia del suo sviluppo”. Per questo, mons. Eguren ha esortato i fedeli ad “impegnarsi in favore dei nascituri”, indicando nella famiglia “il motore ed il modello del rispetto della vita umana, sin dal concepimento”, in quanto “generatrice dell’esistenza e nucleo fondamentale della società”.

No al protocollo attuativo dell’aborto terapeutico
Per questo, il vescovo peruviano ha sottolineato che “il nucleo familiare deve essere una priorità della pastorale e della politica”, affinché sia “sostenuto e rafforzato, per avere i mezzi necessari ad accogliere la vita”. In questo contesto, mons. Egueren ha chiesto l’abrogazione del protocollo medico, relativo alla pratica dell’aborto terapeutico negli ospedali. Approvato a giugno 2014, tale protocollo specifica che l’aborto terapeutico è ammesso in caso di pericolo di vita per la madre a causa di patologie o malattie gravi (gravidanza ectopica, cancro maligno o cardiopatie). In tal caso, l’interruzione terapeutica della gravidanza è permessa fino a 22 settimane di gestazione, ma solo con l’autorizzazione della gestante o del suo rappresentante legale. “Si tratta di un documento definito dagli stessi medici come non necessario ed assurdo – ha ribadito il presule – Per questo, ne richiediamo l’abrogazione”.

Tutelare i nascituri: nulla giustifica l’aborto
Allo stesso modo, mons. Eguren ha sottolineato l’opposizione della Chiesa alla proposta di legge in favore della depenalizzazione dell’aborto in casi di violenza sessuale: “Chiediamo al governo ed al congresso, i quali reiteratamente manifestano il loro impegno nei confronti della giustizia e dei diritti umani, di non dimenticare i nascituri, che non hanno voce per difendersi”. “Nulla, assolutamente nulla giustifica l’aborto”, ha incalzato il presule, evidenziando poi come “la difesa della vita non ammette, da parte della Chiesa, silenzi, scuse od eccezioni”. Di qui, l’appello ai fedeli a proclamare che “Dio è l’unico Signore della vita e che nessun uomo può ergersi a padrone o arbitro dell’esistenza dell’altro”.

Rispettare diritto dei genitori all’educazione dei figli
Un ulteriore tema cruciale messo in risalto dall’arcivescovo di Piura ha riguardato una proposta di legge per permettere ai minorenni di accedere ai servizi sanitari di educazione sessuale e riproduttiva, anche senza il consenso dei genitori. Ma questo, ha sottolineato mons. Eguren, “viola il diritto dei genitori alla patria potestà”. Al contrario, ha spiegato il presule, “se si vogliono ridurre i casi di gravidanza adolescenziale, bisogna rilanciare i valori fondamentali e non l’edonismo puro e vacuo, che verrebbe incrementato dall’uso di contraccettivi”.

Pregare per i martiri che predicano il Vangelo di vita
Infine, mons. Eguren ha esortato alla tutela degli anziani ed ha invitato i fedeli a pregare per tutti i “martiri cristiani che ancora oggi vengono uccisi perché predicano il Vangelo di vita, il Vangelo di Gesù”. Da ricordare che la Marcia della vita in Perù si tiene ogni anno, a ridosso della "Giornata del nascituro", in programma il 25 marzo e che ricorda l’articolo 1 della Costituzione Politica nazionale, in cui si afferma: "La difesa della persona umana e il rispetto per la sua dignità sono il fine supremo della società e dello Stato". (I.P.)

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Nigeria. Card. Onaiyekan: la politica cambi. La gente è stanca

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“Occorre un cambiamento nella politica della Nigeria, chiunque sia il vincitore delle elezioni del 28 marzo” ha affermato il card. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, la capitale federale nigeriana. Il 20 marzo, nel suo discorso per la celebrazione del Cathedraticum nella chiesa di San Giovanni ad Abuja, il card. Onaiyekan ha affermato: “ritengo che occorra un cambiamento. Non sto parlando del cambiamento del conducente. Non mi interessa chi vince, se il Pdp (attualmente al potere) o l’Apc (il principale partito d’opposizione), ma chiunque vince, deve attuare un cambiamento, perché la popolazione è scontenta per quello che accade; la gente è affamata, sta soffrendo”.

Dobbiamo sostituire il pessimismo con l'ottimismo
​“Dobbiamo rifarci alla profezia di Isaia. Quest’anno è pieno di pessimismo, ansia e paura. È come se la gente non credesse più in questa nazione. La gente fugge, ma le persone come noi non possono fuggire. Dobbiamo sostituire il pessimismo con l’ottimismo. Chiunque vinca dovrà agire diversamente” ha ribadito il cardinale. Dopo aver invitato a pregare per lo svolgimento di elezioni pacifiche il card. Onaiyekan si è detto ottimista sul fatto che Boko Haram verrà sconfitto, ed ha ricordato le sofferenze delle popolazioni del nord, colpite dalle violenze della setta islamista. (L.M.)

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Vescovi Rwanda: coltivare terreni della Chiesa contro la fame

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Coltivare i terreni che appartengono alla Chiesa per far fronte alla carenza alimentare e alla malnutrizione: è uno dei progetti discussi dai vescovi del Rwanda riuniti nei giorni scorsi a Kigali per la prima sessione plenaria del 2015. L’idea è quella di dar vita nelle parrocchie a coltivazioni per contribuire alla lotta contro la fame, rispondendo anche all’invito del Papa che in diverse occasioni ha esortato l’intera Chiesa ad un maggiore impegno.

Le prossime celebrazioni nella Chiesa ruandese
Durante i lavori i presuli hanno anche discusso delle celebrazioni per il 25.mo anniversario della visita di Giovanni Paolo II in Rwanda che ricorre l’8 settembre e che coinvolgeranno la diocesi di Kabgayi e l’arcidiocesi di Kigali. La Chiesa ruandese si prepara inoltre a celebrare i 100 anni dalla ordinazione dei primi sacerdoti autoctoni. Sarà un Giubileo del sacerdozio ed è previsto per il 7 ottobre del 2017. Sono imminenti invece le celebrazioni per i 50 anni del decreto conciliare sulla evangelizzazione Ad Gentes che prevedono iniziative in ogni diocesi e in particolare gruppi di studio e di meditazione sui contenuti del documento.

A maggio nuova Plenaria su educazione, famiglia e promozione della pace
A proposito di educazione, sarà la diocesi di Byumba, il 20 giugno, ad ospitare la settimana nazionale sull’educazione cattolica e di educazione si parlerà poi nella sessione ordinaria di maggio, durante la quale è previsto un incontro con i vescovi anglicani del Paese. Con loro la conferenza episcopale si confronterà anche su famiglia e promozione della pace nella Sotto-regione dei Grandi Laghi. Alla Plenaria ha preso parte anche il nunzio apostolico, mons. Luciano Russo che ha ricordato ai presuli l’importanza delle celebrazioni per l’anno della vita consacrata, sulle quali poi ha offerto una relazione il presidente dell’Associazione dei Superiori Maggiori delle Congregazioni del Rwanda padre Romuald Uzabumwana. (T.C.)

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Australia: scuole cattoliche unite contro il bullismo

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Gli istituti primari e secondari cattolici di Sydney hanno raggruppato oltre 1.900 scuole in tutta l’Australia per manifestare contro il bullismo. Nel comunicato inviato all’agenzia Fides dall’arcidiocesi si legge che l’iniziativa è già al suo terzo anno di vita. Nel Paese infatti è stata appena celebrata la Giornata nazionale contro Bullismo e Violenza, e a lanciarla è stato un video messaggio del Primo Ministro Tony Abbott agli studenti, nel quale ha evidenziato che “non c’è posto per il bullismo né nei parchi giochi né su internet”. In questa occasione Abbot ha anche annunciato la nomina da parte del Governo di un Commissariato per la Tutela degli studenti che vigilerà sul bullismo nei social media.

I danni del cyber-bullismo
Negli ultimi tre anni genitori, società, gruppi di comunità, scuole e istituti australiani si sono resi conto non solo del danno operato dal cyber-bullismo, ma di quelli a lungo termine che il bullismo tradizionale può avere su un bambino. Il Sydney Catholic Education Office è stato uno dei leader in questo settore con le politiche anti-bullismo in tutte le scuole. L’istituzione offre risorse a personale scolastico e genitori per aiutarli a sradicare il fenomeno, riconoscere se il loro bambino ne è vittima, o coinvolto in questa pratica, e che cosa fare al riguardo. Secondo una ricerca, le vittime di bullismo scolastico rischiano tre volte di più di soffrire di depressione e sintomi depressivi in età adulta rispetto a coloro che non ne subiscono. (A.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 82

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.