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Sommario del 26/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco e la Preghiera di pace per i 500 anni di Santa Teresa d'Avila

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Una Preghiera mondiale per la pace in occasione dei 500 anni dalla nascita di Santa Teresa d’Avila. A proporla sono i Carmelitani scalzi che quest’anno ricordano la mistica spagnola con una serie di celebrazioni nei cinque continenti. A sostenere l’iniziativa anche Papa Francesco, che ha elevato la sua preghiera all’inizio della Messa odierna a Santa Marta, alla presenza del preposito generale e del vicario dei Carmelitani scalzi. Il servizio di Tiziana Campisi

Pregare era l’essenza della vita di Santa Teresa d’Avila e una immensa preghiera - da oggi e fino a sabato, giorno in cui ricorrono 500 anni dalla nascita - hanno voluto i carmelitani scalzi per ricordarla e seguirne le orme. Preci dai cinque continenti per la pace nel mondo sono state pensate sull’esempio della mistica che credeva fermamente nella forza del dialogo con Dio, costante e animato da una fede forte. Anche Papa Francesco stamattina ha pregato Teresa d’Avila, perché il dialogo prevalga sulla violenza:

“Mi unisco di cuore a quest'iniziativa, affinché il fuoco dell’amore di Dio vinca gli incendi di guerra e di violenza che affliggono l’umanità e il dialogo prevalga dovunque sullo scontro armato. Santa Teresa di Gesù interceda per questa nostra supplica”.

Un momento di intensa preghiera a Santa Marta, che il preposito generale dei carmelitani scalzi, padre Saverio Cannistrà, ci descrive così:

R. - È stato un grande dono per noi, di cui siamo particolarmente grati al Santo Padre, perché ci siamo sentiti accompagnati, appoggiati dalla sua preghiera personale, e quindi questo ci ha rafforzato in questo nostro desiderio di pregare per la pace. Il Papa, all’inizio della celebrazione eucaristica, ha ricordato che il 28 sarà il giorno esatto dell’anniversario dei 500 anni dalla nascita di Santa Teresa e ha presentato questa intenzione di Preghiera per la Pace della famiglia carmelitana, alla quale lui si è unito. Con un gesto simbolico ha acceso un cero, che poi io ho ricevuto dalle sue mani e che ho tenuto durante la celebrazione fino alla lettura del Vangelo.

D. – Oggi in tutto il mondo, nelle comunità dei carmelitani scalzi, si sta dunque pregando per la pace nel mondo, e si prega anche insieme a fedeli di altre confessioni cristiane o di altre religioni…

R. – Poiché l’ordine è presente con i carmelitani e le carmelitane scalze in oltre 100 Paesi in tutto il mondo - quindi siamo presenti anche in situazioni in cui si vive in un contesto interreligioso - ci è sembrato importante includere in questa preghiera, per un valore universale della pace, anche fratelli e sorelle di altre confessioni e di altre religioni. È un modo per ricordare a tutti il valore universale della preghiera, come relazione tra l’uomo e Dio, a partire dalla propria fede, dalla propria cultura, dalla propria situazione storica. Dio ascolta, come Padre, le voci di tutti i suoi figli.

D. – Che cosa direbbe Teresa d’Avila al mondo di oggi?

R. – Io credo che Teresa direbbe qualcosa di molto simile a ciò che disse nei suoi tempi. Anche i suoi tempi erano tempi di grandi rivolgimenti, di lotte, e in questa situazione di turbamento, Teresa si è impegnata nel fare – come dice lei – “quel poco che dipende da me”, che poi concretamente per lei ha significato un impegno nella sua vita religiosa, nella preghiera e nella vita fraterna. Ecco, io credo che questa raccomandazione di fare quel poco che dipende da noi, sia fondamentale anche per il nostro tempo, perché la tentazione è quella di pensare che tutto ciò ci supera, che sono problemi più grandi di noi e che, dunque, noi non possiamo fare assolutamente niente e restiamo come degli spettatori passivi. Teresa ci dice: “No! C’è qualcosa che tu in quanto portatore di Dio in te, in quanto oggetto dell’amore di Dio, c’è qualcosa, c’è una missione, per quanto piccola, che tu puoi compiere”.

D. – Una frase, un pensiero di Santa Teresa, per chiudere…

R. – Vorrei citare l’inizio del suo libro “Il cammino di perfezione”, dove Teresa esprime nella maniera più chiara quello che è il senso della sua vocazione, della vocazione delle sue comunità: “Il mondo è in fiamme e non è tempo di trattare con Dio di cose di poca importanza”. Quindi portare davanti a Dio tutto il peso della nostra storia, sapendo che solo così questo peso della nostra storia potrà essere sostenuto e innalzato dalla forza dell’amore di Dio.

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Il Papa: non la dottrina fredda, ma la fede in Gesù dà gioia

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Non è la dottrina fredda che dà gioia, ma la fede e la speranza di incontrare Gesù. E’ triste un credente che non sa gioire: è quanto ha detto il Papa nell’omelia pronunciata nella Messa del mattino a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

La gioia di Abramo che esulta nella speranza di diventare padre, come promesso da Dio, ha guidato la riflessione del Papa nel commento alle letture del giorno. Abramo è vecchio, così come la moglie Sara, ma lui crede, apre “il cuore alla speranza” ed è “pieno di consolazione”. Gesù ricorda ai dottori della legge che Abramo “esultò nella speranza” di vedere il suo giorno “e fu pieno di gioia”:

“E questo è quello che non capivano questi dottori della legge. Non capivano la gioia della promessa; non capivano la gioia della speranza; non capivano la gioia dell’alleanza. Non capivano! Non sapevano gioire, perché avevano perso il senso della gioia, che soltanto viene dalla fede. Il nostro padre Abramo è stato capace di gioire perché aveva fede: è stato fatto giusto nella fede. Questi avevano perso la fede. Erano dottori della legge, ma senza fede! Ma di più: avevano perso la legge! Perché il centro della legge è l’amore, l’amore per Dio e per il prossimo”.

Il Papa quindi prosegue:

“Soltanto avevano un sistema di dottrine precise e che precisavano ogni giorno in più che nessuno le toccasse. Uomini senza fede, senza legge, attaccati a dottrine che anche diventano un atteggiamento casistico: si può pagare la tassa a Cesare, non si può? Questa donna, che è stata sposata sette volte, quando andrà in Cielo sarà sposa di quei sette? Questa casistica… Questo era il loro mondo, un mondo astratto, un mondo senza amore, un mondo senza fede, un mondo senza speranza, un mondo senza fiducia, un mondo senza Dio. E per questo non potevano gioire!”.

Forse, i dottori della legge – osserva con ironia il Papa – potevano anche divertirsi, “ma senza gioia”, anzi “con paura”. “Questa è la vita senza fede in Dio, senza fiducia in Dio, senza speranza in Dio”. E “il loro cuore era pietrificato”. “E’ triste – sottolinea Francesco - essere credente senza gioia e la gioia non c’è quando non c’è la fede, quando non c’è la speranza, quando non c’è la legge, ma soltanto le prescrizioni, la dottrina fredda”:

“La gioia della fede, la gioia del Vangelo è la pietra di paragone della fede di una persona. Senza gioia quella persona non è un vero credente. Torniamo a casa, ma prima facciamo la celebrazione qui con queste parole di Gesù: ‘Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno. Lo vide e fu pieno di gioia’. E chiedere al Signore la grazia di essere esultanti nella speranza, la grazia di poter vedere il giorno di Gesù quando ci troveremo con Lui e la grazia della gioia”.

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Familiari vittime Is dal Papa: l'amore vince l'odio dei terroristi

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Vincere l'odio dei terroristi con l'amore: lo hanno affermato i familiari di due ostaggi britannici uccisi dall'Is in Siria, che ieri hanno incontrato il Papa al termine dell'udienza generale in Piazza San Pietro. Intanto, l'Onu registra il record di richiedenti asilo nel 2014, in fuga da Iraq e Siria e dalla violenza del cosiddetto Stato islamico. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Crescono in un anno del 45%, fino a 866mila, i richiedenti asilo da Siria e Iraq verso i paesi industrializzati, Germania in testa. Fuggono dai jihadisti del cosiddetto Stato islamico che la coalizione internazionale continua a combattere in particolare tra Siria e Turchia ma soprattutto nel nord dell’Iraq intorno a Tikrit. Ma c’è chi pensa che per sconfiggere il terrore estremista ciascuno debba compiere un atto di “carità in più". Si tratta di Barbara Henning e Mike Haines rispettivamente moglie e fratello di due ostaggi britannici uccisi dagli estremisti in Siria. Insieme ad un Imam londinese promuovono iniziative di unità tra comunità diverse perché l’odio non prevalga e ieri in udienza lo hanno raccontato al Papa. Queste le parole di Mike Haines intervistato da Philippa Hitchen:

R. – I had tried to prepare words…
Avevo cercato di prepararmi delle parole da dirgli, ma quando ho visto il Papa ho dimenticato ogni cosa e lui se ne è accorto. Quindi, mi ha messo a mio agio, parlandomi subito. Mi ha detto di avere pregato per mio fratello, che avrebbe continuato a pregare per me, perché continuassi il lavoro che sto facendo, e che pregava per la mia famiglia. Questo mi ha dato il tempo necessario per essere in grado di dire le parole che volevo dire. Siamo determinati nel continuare a lavorare per questo messaggio di unità, tolleranza e conoscenza tra fedi diverse, comunità diverse e gruppi etnici diversi, per combattere quello che i terroristi nel mondo cercano di fare. Stanno cercando di radicalizzare le nostre comunità e tante, tante persone stanno opponendo resistenza. Quindi ora io sono qui come figura di rappresentanza di tutto il lavoro che si sta già facendo. E’ stato, dunque, molto, molto commovente.

E’ chiara la condanna di Mike verso chi cerca di incolpare la comunità musulmana per le atrocità terroristiche .Per questo dopo l’uccisione di suo fratello David, ha chiesto il parere di uno studioso musulmano, l’imam londinese Shahnawaz Haque, anche sull’uso del Corano che i jihadisti fanno. E questa è la testimonianza dell’imam, raccolta da Philippa Hitchen:

R. – Its’ extremely disturbing…
E’ estremamente inquietante e doloroso: giustificare la violenza col Corano, accade nel mondo da anni ma per noi, musulmani comuni, è una cosa davvero difficile da comprendere. Nel Regno Unito si usa dire infatti “religione deviata da alcuni estremisti”. Io stesso partecipo all’attività di circa quattro o cinque moschee e alla preghiera del venerdì e non ne ho mai avuto neanche il sentore. Poi improvvisamente vedi sullo schermo o leggi sul giornale di qualche atrocità commessa apparentemente nel nome dell’islam, apparentemente da musulmani. Ed è traumatico! Se  cediamo al radicalismo e all’estremismo, il passo dalla paura alla violenza è rapido. Se invece ci opponiamo e siamo accoglienti mostrandoci disponibili a conoscere una società diversa, colmiamo le distanze e ci avviciniamo. E’ importante la testimonianza che su questo sta dando il Papa, interagendo con diverse comunità lavorando sui  valori cristiani dell’umiltà e della compassione. Prego il Signore che lo assista nel bel lavoro che sta facendo.

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Tweet: fedeli laici siano fermento di vita cristiana nella società

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Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “I fedeli laici sono chiamati a diventare fermento di vita cristiana in tutta la società”.

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Nuova Eparchia e nuovo esarcato apostolico in India

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Il Santo Padre Francesco ha eretto la nuova Eparchia di St John Chrysostom of Gurgaon dei Siro-Malankaresi (India) ed ha nominato primo Vescovo Eparchiale S.E. Mons. Jacob Mar Barnabas Aerath, O.I.C., finora Vescovo titolare di Bapara e Visitatore Apostolico per i Siro-Malankaresi dell’India fuori del territorio proprio.

S.E. Mons. Jacob Mar Barnabas Aerath, O.I.C., è nato a Karikulam nell’Arcieparchia di Tiruvalla il 7 dicembre 1960. Entrato nell’Order of the Imitation of Christ, è stato ordinato sacerdote il 2 ottobre 1986. Ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale all’Alfonsianum di Roma. Conosce e parla inglese, tedesco, italiano e indi, oltre a malayalam. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi: Procuratore del suo Istituto religioso; Vice-Rettore (incaricato dei pre-novizi); Rettore e Superiore del Seminario Maggiore dell’Istituto; Professore di teologia morale in vari seminari in India; Superiore Provinciale (per due mandati consecutivi); e Maestro dei novizi della Provincia di Navajyothy ad Alwaye. Il 7 febbraio 2007 è stato nominato da Papa Benedetto XVI Visitatore Apostolico con carattere episcopale per i Siro-Malankaresi dell’India fuori del territorio proprio e gli è stata assegnata la sede titolare di Bapara.

L’Eparchia si estende per tutta la parte settentrionale dell’India, abbracciando 22 dei 29 Stati del Paese. Il limite meridionale della circoscrizione è formato dai quattro Stati centrali: Gujarat, Madhya Pradesh, Chhattisgarh ed Orissa. Oltre a questi Stati, i fedeli sono distribuiti diffusamente specialmente in Punjab, Haryana, Delhi, Uttar Pradesh, Rajasthan e West Bengal. La sede dell’Eparchia è Gurgaon, perché in questa area metropolitana si trova la concentrazione più consistente dei fedeli, distribuiti in nove parrocchie. Nella regione ci sono due collegi e dieci scuole gestite dalla Chiesa Siro-Malankarese. Nelle opere pastorali, educative e caritative ci sono 15 sacerdoti, tra eparchiali e regolari, e circa 30 religiose. Il primo Vescovo eparchiale avrà la sua residenza e cancelleria al Mar Ivanios Bhavan nel quartiere di Neb Sarai, dove si trova anche la chiesa di Santa Maria, che servirà da cattedrale.

Il Papa ha eretto il nuovo Esarcato Apostolico di St Ephrem of Khadki dei Siro-Malankaresi (India) ed ha nominato primo Esarca S.E. Mons. Thomas Mar Anthonios Valiyavilayil, O.I.C., Vescovo titolare di Igilgili, finora Vescovo di Curia della Chiesa Siro-Malankarese.

S.E. Mons. Thomas Mar Anthonios Valiyavilayil, O.I.C., è nato il 21 novembre 1955 ad Adoor, nell’Arcieparchia di Trivandrum. È un religioso appartenente all’Order of the Imitation of Christ, dove ha fatto la sua prima professione il 15 gennaio 1974 e la professione perpetua il 9 dicembre 1980. È stato ordinato presbitero il 27 dicembre 1980. Susseguentemente, ha conseguito il dottorato in diritto canonico al Pontificio Istituto Orientale. Oltre all’inglese e al malayalam, parla italiano, tedesco, indi, siriaco e legge greco e latino. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi: Superiore di vari conventi; Direttore del boarding school, a Kottayam; Maestro del Postulandato; Economo; Cappellano e Parroco; Professore nel St. Mary’s Malankara Major Seminary di Trivandrum e in altri Seminari Maggiori; Consigliere Generale del suo Istituto e Postulatore della causa di beatificazione del Servo di Dio Mar Ivanios; Cancelliere della Curia Arcivescovile Maggiore della Chiesa Siro-Malankarese. S.E. Thomas Mar Anthonios è stato eletto Vescovo di Curia il 25 gennaio 2010 e gli è stata assegnata la sede titolare di Igilgili.

L’Esarcato si estende per tutta la parte meridionale dell’India finora priva di circoscrizioni ecclesiastiche della Chiesa Siro-Malankarese, cioè di interi Stati di Maharashtra, Goa, Andhra Pradesh e Telangana, insieme alla parte degli Stati di Karnataka e Tamil Nadu. La missione della Chiesa Siro-Malankarese fuori del territorio proprio cominciò nel 1955 con la fondazione a Poona della Bethany Ashram per la cura pastorale degli emigrati. Oggi la presenza siro-malankarese nella regione dell’Esarcato si articola in 27 parrocchie o missioni. Ci sono ventuno sacerdoti dedicati alla cura pastorale, tredici conventi di religiose e una decina di scuole, compreso un collegio di studi superiori. La maggioranza dei fedeli si trova nei dintorni di Mumbai e Poona, nella parte occidentale dello Stato di Maharashtra. Il primo Esarca avrà la sua residenza e cancelleria nella città di Khadki, nel complesso che include St. Mary’s Malankara Catholic Church la quale servirà da cattedrale.

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Santa Sede: rispettare legalità internazionale e confini Ucraina

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Intervenendo alla sessione del Consiglio dei diritti umani in corso a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi ha espresso “la vicinanza e la solidarietà” della Santa Sede “a tutta la popolazione dell’Ucraina” colpita dalla guerra. “La Santa Sede – ha affermato l’osservatore permanente vaticano presso l’Ufficio Onu di Ginevra - intende sottolineare ancora una volta l'urgente necessità di rispettare la legalità internazionale riguardo al territorio e ai confini dell'Ucraina, come un elemento chiave per garantire la stabilità sia a livello nazionale che regionale, e per ristabilire la legge e l'ordine basati sul pieno rispetto di tutti i diritti umani fondamentali”.

“A questo proposito – ha detto il presule - la Santa Sede accoglie con favore le misure adottate per far rispettare il cessate il fuoco, che è inteso come una condizione essenziale per arrivare a soluzioni politiche esclusivamente attraverso il dialogo e il negoziato. Allo stesso tempo, si sottolinea la necessità cruciale per tutte le parti di attuare le decisioni prese di comune accordo, riconoscendo in tale contesto, gli sforzi compiuti dalle Nazioni Unite, l'Osce e altre organizzazioni competenti con riferimento al pacchetto di misure per l'attuazione degli accordi di Minsk”.

“La Santa Sede – spiega mons. Tomasi - ritiene che la piena adesione di tutte le parti alle disposizioni di tali accordi sia un prerequisito per tutti gli ulteriori sforzi per migliorare la situazione umanitaria e dei diritti umani nei territori colpiti”, innanzitutto “ponendo fine alle perdite di vite umane, agli atti di violenza e ad altre forme di abuso. Esso dovrebbe includere anche la liberazione di tutti gli ostaggi e le persone detenute illegalmente e garantire un accesso senza ostacoli da parte di tutti gli attori legittimi a fornire assistenza umanitaria in quelle zone”.

Il presule esprime inoltre la preoccupazione della Santa Sede “per l'emergenza sociale che sta affrontando la popolazione residente nelle zone colpite, a causa della povertà, della fame, l’insicurezza e i rischi sanitari”. Forti i timori anche per “i feriti, gli sfollati e le famiglie che soffrono la perdita dei propri cari”. “In questa situazione d'urgenza – conclude mons. Tomasi - la Santa Sede è impegnata ad offrire la propria assistenza attraverso le sue istituzioni e chiede alle organizzazioni caritative della Chiesa cattolica di intensificare e coordinare i loro sforzi per fornire assistenza alla popolazione dell'Ucraina” ed esprime “la sua fiducia nella solidarietà della comunità internazionale”.

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Profughi nigeriani. Caritas Internationalis: situazione catastrofica

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Sempre più drammatica la situazione in Nigeria: sono 150mila i rifugiati nei Paesi vicini e 800mila gli sfollati interni, molti dei quali ospiti nei campi di accoglienza messi a disposizione della Chiesa cattolica. Stilare un piano d’azione e creare una rete tra Caritas locali e ong è l’obiettivo di un incontro che si svolge, oggi e domani, presso la sede della Caritas Internationalis a Palazzo San Calisto a Roma. “Il terrore e la sofferenza del popolo nigeriano sono estremi“ denuncia padre Evaristus Bassey, direttore esecutivo di Caritas Nigeria. Ma quali sono i bisogni più urgenti della popolazione a due giorni dalle elezioni presidenziali e dopo l’ennesimo rapimento di 400 donne e bambini da parte di Boko Haram? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Moira Monacelli, coordinatrice regionale per l’Africa occidentale di Caritas Italiana: 

R. – Sono i bisogni primari: alimentari; i bisogni nell’ambito della sanità, quindi medicine, primo soccorso; alloggio: sono persone che hanno perso le proprietà, hanno perso tutto; bisogni per quanto riguarda igiene e accesso all’acqua potabile, in particolare nei campi profughi. Ci sono però anche bisogni di supporto psicosociale per superare il trauma di avere lasciato le proprie case. I gruppi più vulnerabili, tra questi, sono le donne e i minori.

D. - Molti sono i nigeriani costretti a fuggire in Niger, in Ciad, in Camerun: quali sono le difficoltà dei Paesi che li accolgono?

R. – Sono Paesi anch’essi che vivono situazioni di povertà, di instabilità a volte, e di fragilità. Quindi, anche in questo caso, dobbiamo aiutare - e siamo pronti a farlo - le Caritas locali, le popolazioni locali, proprio per rispondere ai bisogni primari delle popolazioni.

D. – Quanto è difficile per la Caritas coordinare gli aiuti nelle zone in cui la minaccia dei terroristi di Boko Haram è più forte?

R. – Ci sono delle zone in cui è stato dichiarato, dallo stesso governo nigeriano, lo stato di emergenza e ci sono delle zone difficilmente accessibili per quanto riguarda gli aiuti umanitari. Si cerca, fin dove possibile, di aiutare tutti e di essere vicino a tutte le popolazioni: sappiamo che - ad esempio - ci sono delle strutture della Chiesa che sono state messe a disposizione per ospitare, per accogliere gli sfollati. In questo momento si fa oltretutto molta attenzione all’evolversi della situazione umanitaria e al rischio che, a poco tempo dalle elezioni, non ci sia un aumento della violenza. È molto, molto importante seguire l’evoluzione della situazione: siamo qui, in questa riunione, per capire come poter rispondere al meglio ai bisogni.

D. – Non solo di Nigeria si parla in questo incontro; la crisi oggi investe tutta l’area centrafricana: come agisce la Caritas nella zona?

R. – Parliamo di Paesi che confinano con la Nigeria: possiamo far riferimento alla Repubblica Centrafricana, che vive da tempo un conflitto molto violento, che ancora oggi risente fortemente delle sue conseguenze e dove ancora c’è grande instabilità. Ma pensiamo anche al Ciad, al Niger: la Caritas è attiva in questi Paesi da molto tempo, con programmi di sicurezza alimentare, di coesione sociale, anche di “peace building”. Quindi il nostro fare rete, il nostro sentire i bisogni e operare per un piano comune su più Paesi, a livello regionale, è questo: poter rispondere ai bisogni primari nel modo migliore, ai bisogni che vengono dalle voci, dalle popolazioni locali e dalla Caritas locali.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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L'ora della pace: il Papa si unisce alla preghiera delle comunità carmelitane nel quinto centenario della nascita di Santa Teresa.

Raid sauditi contro i ribelli sciiti nello Yemen.

Libertà religiosa e libertà di espressione: intervento della Santa Sede a Ginevra.

Quei numeri che ci somigliano: Carlo Maria Polvani sui collegamenti fra il mondo reale e alcune insospettabili regole della matematica.

La primavera di Giovanna d'Arco: Silvia Guidi sull'Historial Jeanne d'Arc, un museo "immersivo" dedicato alla patrona di Francia.

Se il canto buca il muro del silenzio: Gaetano Vallini recensisce il film "La famiglia Bélier" che racconta la diversità con garbata ironia.

A caccia di parole per riempire il cestino: Claudio Toscani sull'amore per l'italiano della scrittrice statunitense di origine indiana Jhumpa Lahiri.

Storia di un parroco: una lunga intervista del cardinale Ortega y Alamino alla rivista "Palabra nueva".

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Oggi in Primo Piano



Sciagura aerea: cresce l'ipotesi del suicidio del copilota

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Cresce l’ipotesi del suicidio del copilota per spiegare le cause dell’incidente dell’Airbus di Germanwings sulle Alpi francesi. Il procuratore di Marsiglia Robin ha rivelato tutte le informazioni recuperate dalla scatola nera. Prima della conferenza stampa ha voluto incontrare e parlare con i familiari delle vittime, arrivati in Francia. Da Parigi, Francesca Pierantozzi: 

Informazioni sempre più precise arrivano sugli ultimi drammatici 10 minuti del volo 4u 9525, che martedì mattina si è schiantato sulle Alpi dell’Alta Provenza. Secondo le registrazioni della scatola nera recuperata, negli ultimi 8 minuti del volo, prima dello schianto, ai comandi è restato soltanto il copilota, Andreas Lubitz, 28 anni, originario della regione a sud di Düsseldorf. Il comandante è uscito dalla cabina e non è più riuscito a rientrare. Secondo il procuratore di Marsiglia, che è responsabile delle indagini, nella registrazione si sente distintamente bussare alla porta e cercare quasi si sfondarla. Il copilota ha volontariamente fatto perdere quota all’aereo fino a farlo schiantare sulla montagna e non ha volontariamente risposto alle numerose chiamate dalla torre di controllo di Marsiglia. A questo punto l’ipotesi più accreditata è quella di un suicidio o di un attentato suicida. Il procuratore ha ben precisato che per il momento non ci sono elementi per parlare di terrorismo. I passaggieri si sarebbero resi conto di quanto accadeva soltanto negli ultimi istanti prima dello schianto, quando il comandante tenta disperatamente di entrare nella cabina. Sono circa 300 i familiari delle vittime arrivati all’aeroporto di Marsiglia, su due voli messi a disposizione da Lufthansa da Düsseldorf e da Barcellona; in pullman raggiungeranno i paesi più vicini al luogo del dramma. 

Anche i piloti sono sotto choc per quanto avvenuto e chiedono nuove misure per rafforzare la sicurezza. Alessandro Guarasci ha sentito Antonio Divietri, presidente dell’Anpac, l’Associazione nazionale professionale aviazione civile: 

R. – Se confermato quello che sta venendo fuori, siamo in presenza di un comportamento talmente inaccettabile che, al di là di quelli che possono essere i controlli psicologici, che pure avvengono, ci indigna talmente che gli interventi verranno fatti immediatamente. Questo è importante saperlo: ci saranno immediati interventi, che impediranno, nel futuro, che un singolo pilota possa trovarsi in queste condizioni.

 D. – Lei quando dice immediati interventi a che cosa si riferisce?

 R. – Si renderà impossibile per un pilota chiudersi da solo in cabina con un intento ostile verso l’aeromobile.

 D. – Come piloti, quanto è successo, quanto vi coinvolge, vi porta anche a riflettere sulla vostra professione?

 R. – Il turbamento è enorme, lo può ben comprendere. C’è turbamento, c’è indignazione. Immagini un pompiere che dà fuoco alla stazione dei pompieri nel corso di una visita dei bambini di un asilo. E’ qualcosa di completamente inaccettabile. Quello che è importante, però, è applicare delle regole che impediscano che un atto del genere possa ripetersi. Questo è veloce, fattibile e verrà fatto.

 D. – Non è possibile da parte della torre di controllo di intervenire in casi di anomalie evidenti?

 R. – Non è che un terzo all’esterno dell’aeromobile possa intervenire sui comandi di volo. Il volo in remoto lo fanno i droni. Qui stiamo parlando di aeroplani che vengono guidati da persone, da uomini.

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Yemen: le forze dell'Arabia Saudita attaccano i ribelli sciiti

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Lo Yemen nel caos. Di fronte all’avanzata dei ribelli sciiti houthi, che hanno attaccato il sud del Paese, la coalizione araba a guida saudita ha lanciato un’imponente campagna militare a cui partecipa, tra gli altri, anche l’Egitto. Numerosi i raid aerei contro le basi dei miliziani. Intanto il presidente Hadi è fuggito in Oman. Sulle conseguenze internazionali di questo nuovo conflitto, Giancarlo La Vella ha intervistato Eleonora Ardemagni, analista politica esperta dell’area mediorientale: 

R. – Il conflitto in Yemen, che ha una natura interna di lotta per il potere, ma che purtroppo si sta colorando di settarismo, vede già da tempo la partecipazione indiretta delle due grandi potenze regionali: l’Arabia Saudita e l’Iran. L’Arabia Saudita, in questa fase, sostiene il governo - riconosciuto dalla comunità internazionale - di Hadi, che si trova ad Aden; mentre invece, dall’altra parte, l’Iran appoggia non solo gli houthi – i ribelli del nord – ma anche le milizie sciite che fanno ancora capo all'ex presidente Ali Abdullah Saleh. Quindi, ovviamente, l’intervento di questa nuova coalizione militare araba aumenta la tensione regionale e segna un nuovo solco fra Arabia Saudita e Iran. Questi due Paesi si trovano divisi, da due parti opposte, all’interno dello Yemen. Questo crea oltretutto anche un nuovo solco tra gli Stati Uniti e l’Iran, visto che gli Stati Uniti stanno già offrendo appoggio logistico e di intelligence alla nuova coalizione Alleanza militare araba.

D. – Perché i Paesi arabi sono così spaventati dall’avanzata dei ribelli sciiti houthi? Inizialmente si pensava fosse un gruppo abbastanza esiguo…

R. – Spaventa soprattutto il fatto che gli houthi stiano trovando l’appoggio del gruppo di potere ancora vicino ad Ali Abdullah Saleh, che controlla ancora i segmenti del frammentato esercito yemenita. Gli houthi sono sciiti, però sono sciiti diversi da quelli iraniani: sono sciiti zaiditi e quindi con una fede differente da quella duodecimana degli iraniani. Ricordiamoci che lo Yemen è un Paese nella Penisola Arabica e quindi è un Paese da sempre considerato il “cortile di casa” dell’Arabia Saudita. Riad considera lo Yemen una questione di politica interna e di sicurezza nazionale. Quindi l’instaurarsi di un regime sciita a Sana’a rende l’Arabia Saudita estremamente nervosa, perché per la prima volta in questi ultimi decenni - e lo vediamo - sente una forte pressione alle proprie frontiere, che viene appunto da un movimento sciita.

D. – A fronte del tentativo di ampliamento del Califfato – questo l’obiettivo dichiarato del sedicente Stato Islamico – i ribelli houthi non avrebbero potuto essere un fronte contro l’Is?

R. – Stati Uniti e houthi hanno un obiettivo convergente, che è quello di combattere le milizie jihadiste: quindi sia al-Qaeda nella Penisola Arabica, che è fortemente radicata nel sud dello Yemen, sia le cellule del cosiddetto Stato Islamico che stanno – a quanto sembra – trovando anche contatti all’interno dello Yemen. In questo momento, però, a prevalere è la difesa della legittimità internazionale del governo di Hadi. Quindi, in questa fase, vediamo che gli Stati Uniti ritrovano forte la loro partnership con l’Arabia Saudita, per tentare di conservare la presenza del governo riconosciuto dalla Comunità internazionale in Yemen.

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Pakistan. Mons. Coutts: cristiani, cittadini discriminati

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Ieri sera a Roma, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, è stata celebrata la Messa in preparazione alla Pasqua per i parlamentari italiani. Il rito è stato presieduto per la prima volta da mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pachistana, che ha richiamato l’attenzione dei politici presenti alla drammatica situazione che vivono i cristiani nel suo Paese, spesso vittime di ingiustizie e discriminazioni. Ascoltiamo le sue parole al microfono di Marina Tomarro

R. – In general, according to our Constitution…
In generale, secondo la nostra Costituzione, noi abbiamo la libertà religiosa. L’unica restrizione è che il capo di Stato, il primo ministro e il presidente non possono non essere musulmani, perché noi siamo ufficialmente uno Stato islamico. Abbiamo avuto il regime militare di Zia-ul-Haq, che ha governato per 11 anni, che ha cercato di islamizzare ogni cosa introducendo alcune leggi islamiche, tra cui la legge sulla blasfemia, fonte di grande preoccupazione per noi. Molte persone sono state uccise a causa di questa legge. La legge dice che se qualcuno menziona il nome di Maometto esprimendosi contro di lui, attraverso parole, rappresentazioni o in qualsiasi altra maniera, la punizione sarà la morte. Un’altra legge come questa dice che se tu offendi il Corano, puoi essere messo in prigione a vita. Ora, i cristiani non parlano contro Maometto e non offendono il Libro sacro ai musulmani, ma questa legge può essere usata in modo sbagliato molto facilmente ed è stata usata in modo sbagliato. E’ molto facile accusare falsamente qualcuno. Qual è il pericolo? Che subentrino le emozioni e che prima di indagare e poi agire o prima che la persona possa dimostrare di essere innocente, molti vengono linciati o uccisi dalle folle. Quindi, stiamo combattendo da anni ormai per cercare di modificare questa legge o per avere una qualche sicurezza. Ma è una questione talmente emozionale che i gruppi fanatici non vogliono toccare la legge. Dicono: “No, questa deve difendere l’onore del nostro profeta e del Sacro Libro”. E questo ci sta causando molta sofferenza.

D. – Come sono trattati i cristiani dalla società?

R. - In general, living in a islamic society…
In genere, vivendo in una società islamica, sperimentiamo molta discriminazione, specialmente riguardo al lavoro e le promozioni sul lavoro e cose del genere. Un’altra cosa è il concetto islamico - che non fa parte ufficialmente del governo, ma che è nella mente di molti musulmani - che un non musulmano che vive in un Paese musulmano sia in qualche modo da meno e non sia uguale ai musulmani. E c’è una parola araba con cui viene chiamata questa persona: “dhimmi”. Quindi l’idea che tu non sia uguale a noi né politicamente né socialmente.

D. – Qual è il ruolo del governo? Come considera queste discriminazioni? Il governo potrebbe fare di più, secondo lei?

R. – Yes, yes the positive side…
Sì, sì, il lato positivo è che noi siamo liberi di protestare e protestiamo molte volte. Ora la nostra Commissione Giustizia e Pace e la Conferenza episcopale stanno lavorando molto fortemente. Il libro di testo usato dal governo, insegnato nelle scuole, non mostra alle nuove generazioni come vivere insieme ad altre religioni, come rispettare gli altri. Ci sono molte cose negative. Ma c’è un risultato in questo: il governo se ne è accorto. Stiamo aspettando la pubblicazione di un nuovo libro di testo. Ma, come ho detto, lavoriamo insieme alla Commissione per i diritti umani del Pakistan, un grande ente indipendente, dove quasi tutti sono musulmani e dove ci sono molte brave persone.

D. – E le donne hanno uno spazio nella vita pubblica del Paese?

R. - One of the bravest person in Pakistan…
Una delle persone più coraggiose in Pakistan è una donna, avvocato, Asma Jahangir, che è stata minacciata. E’ stata presidente della Commissione dei diritti umani ed ha parlato proprio a proposito dell’uso sbagliato della legge sulla blasfemia. Abbiamo anche una parlamentare, Sherry Rehman, un’altra donna, minacciata perché voleva introdurre un progetto di legge in Parlamento che abolisse la legge sulla blasfemia. Ha dovuto lasciare il Paese ed ora è tornata. Ci sono quindi molte brave persone. Noi dobbiamo aiutarli e lavorare insieme come cittadini pachistani, non solo come cristiani, perché queste leggi sono pericolose anche per i musulmani.

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Unioni e adozioni gay. Mobilitazione contro ddl Cirinnà

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Procede spedito l’iter del Ddl Cirinnà sulle Unioni civili che di fatto le equipara al matrimonio, aprendo la strada alle adozioni da parte di persone dello stesso sesso. Il provvedimento - che il premier Renzi spera di approvare entro maggio - è oggi sottoposto al voto della Commissione giustizia del Senato. “Assoluta contrarietà” è stata espressa stamani in Conferenza Stampa a Palazzo Madama dalla Manif Pour tous secondo cui “è tempo di una mobilitazione popolare”. Lo spiega Filippo Savarese, portavoce del movimento al microfono di Paolo Ondarza: 

Ddl Cirinnà, primo passo verso rottamazione matrimonio
R. – Girando per i nostri 50 circoli territoriali abbiamo raccolto la contrarietà di decine di migliaia di persone al Ddl e la volontà di mobilitarsi per difendere la famiglia. Una mobilitazione è necessaria perché tutti sanno che le unioni civili previste dal Ddl Cirinnà non sono altro che il primo passo verso la rottamazione del matrimonio. Nelle stesse intenzioni di chi ha proposto questo disegno di legge, il fine ultimo è la ridefinizione ideologica della famiglia, con lo sradicamento della filiazione dal padre e dalla madre. Le unioni civili sono soltanto un compromesso temporaneo per non impattare immediatamente con il dissenso vastissimo dell’opinione pubblica. In realtà noi già oggi dobbiamo parlare di vero e proprio matrimonio gay.

Inevitabile una mobilitazione popolare
D. – Pensate a un nuovo Family day?

R. – Non c’è alcun dubbio secondo noi che prima o poi una mobilitazione di quella importanza si imporrà nelle cose. Se qualcuno non organizzerà una piazza di due milioni di persone, due milioni di persone si ritroveranno in quella piazza spontaneamente.

Non c'è niente di più concreto che difendere la famiglia
D.  – Oggi in Commissione il voto sul testo base del Ddl Cirinnà. A questo punto il provvedimento quale iter seguirà?

R.  – Si aprirà la fase degli emendamenti in commissione, dopodiché la Commissione stessa voterà in via definitiva il testo che passerà all’aula del Senato dove sarà ridiscusso, votato e poi passerà alla Camera. In una riunione del Partito Democratico recente si dice che lo stesso Matteo Renzi abbia espresso la necessità di sbrigarsi sull’approvazione di questo disegno di legge per potere arrivare alla vigilia delle elezioni regionali che si svolgeranno il 31 maggio, con “qualcosa di sinistra” in mano. Francamente siamo a consigliargli che se ha veramente questa intenzione di sbandierare la rottamazione del matrimonio in faccia agli elettori, ai suoi elettori che riempiono molto spesso i circoli della “Manif pour tous-Italia”, commette un grave errore. Il 41 per cento che prese alle europee non lo prese parlando di questi temi, parlando di matrimoni gay e adozioni gay; lo prese parlando di cose concrete e non c’è niente di più concreto che difendere la famiglia, come lui stesso disse aderendo al Family day del 2007.

Ddl Crinnà apre a adozioni gay
D.  – Anche se non lo dichiara esplicitamente il Ddl Cirinnà va ad approvare le adozioni di minori da parte di coppie costituite da persone dello stesso sesso…

R. – Esattamente. In realtà è un vero e proprio escamotage. Nel testo si dice che un adulto può adottare il figlio del proprio compagno. D’altronde, noi sappiamo che a livello europeo non esistono mezze misure: dire che una coppia omosessuale può adottare un minore già interno alla coppia, ma non un minore esterno è un’ipocrisia. E allora la Corte Europea, se noi in Italia approveremo il Ddl Cirinnà, ci imporrà di riconoscere le adozioni gay in via universale, come già imposto agli altri Paesi dell’Unione Europea.

in campo altre proposte politiche su Unioni civili
D. - Va rilevato che oltre al Ddl Cirinnà ci sono altre proposte in campo, l’ultima è quella di Forza Italia presentata proprio nei giorni scorsi…

R. - Allora, in realtà dentro Forza Italia c’è un grande caos con due proposte. L’ultimo disegno di legge della Carfagna è sul modello del Ddl Cirinnà, con alcune modifiche che riguardano sostanzialmente la questione dell’adozione. Ma anche questo ha un vizio di fondo e cioè che va sulla strada dell’equiparazione dell’unione tra persone dello stesso sesso e la famiglia difesa e tutelata dalla Costituzione. Il testo, invece, al Senato a prima firma Caliendo anch’esso ha problematicità ma si impone più su un discorso privatistico: cioè, sul riconoscere a una persona il diritto di poter condividere con un’altra persona le questioni di vita pratica e quotidiana, le questioni matrimoniali, le questioni legate alla gestione della sanità legate agli immobili.

La maggioranza dei diritti chiesti dai conviventi oggi sono già riconosciuti
D. - Questioni che a differenza di quanto erroneamente si creda, sono già riconosciute dalla giurisprudenza italiana in varie sentenze, che il disegno di legge presentato da Maurizio Sacconi del Nuovo Centro Destra collaziona in un testo unico…

R. - Esattamente va ricordato che la grande maggioranza dei diritti che i conviventi chiedono oggi già sono disponibili per intervento o di leggi specifiche o di sentenze giurisprudenziali. Il disegno di legge, a prima firma Maurizio Sacconi del Nuovo Centro Destra, riunisce questi diritti già oggi esercitabili e li mette in un testo organico e armonico. Le posizioni in Parlamento sono molte, ma non facciamoci nessun tipo di illusione. Oggi vengono votate per la prima volta proposte sul matrimonio gay e oggi contro questo bisogna mobilitarsi.

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Dl antiterrorismo. Renzi blocca intercettazioni da "remoto"

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Il premier Renzi ha chiesto e ottenuto lo stralcio dal Dl antiterrorismo, all'esame della Camera, del passaggio che consente di 'frugare' nel computer dei cittadini. Punto controverso era proprio la possibilità per le Forze dell’ordine di fare intercettazioni telematiche da “remoto”. Ma che cosa significa questo nel concreto? Roberta Gisotti lo ha chiesto al prof. Giovanni Ziccardi, dicente di Informatica giudiziaria all’Università statale di Milano: 

R. – Significa poter entrare nel computer, nel telefono cellulare, nello smartphone di una persona o nel suo sistema informatico, come ad esempio la rete wi-fi, un router, e poter vedere, monitorare e memorizzare tutto quello che succede, ossia le comunicazioni in entrata e in uscita, le attività su quel computer, le conversazioni in chat, le conversazioni di whatsapp, le fotografie scattate, i video memorizzati, i siti web visitati: ogni attività pensabile e possibile su un dispositivo.

D.  – Questo tipo di intercettazioni telematiche hanno sollevato proteste ma gli estensori del decreto si sono difesi dicendo che è “necessario adeguamento tecnologico” rispetto alle tradizionali intercettazioni telefoniche …

R. – Intanto, questo metodo di indagine è già diffuso da anni. Già la Cassazione in Italia e diversi esponenti della dottrina giuridica sono più di 10 anni che cercano di inquadrare questo metodo di analisi del computer altrui durante le indagini. La novità di questi giorni è che si vorrebbe formalizzare in un articolo del Codice di procedura penale la possibilità di effettuare questo tipo di indagine che è la più invasiva probabilmente oggi esistente. Forse più invasiva potrebbe essere soltanto tramite i droni, ad esempio un drone miniaturizzato che entri proprio nell’abitazione del soggetto indagato. E’ ovvio che un sistema di questo tipo, talmente invasivo, ha creato subito due schieramenti: quelli che dicono che sono necessari questi strumenti di limitazione della libertà e chi, come invece il Garante per la privacy, che dice che anche nei momenti di crisi dell’ordinamento non bisogna mai perdere di vista i grandi principi della libertà. Quindi si tornerà a discutere sul bilanciamento necessario tra libertà e sicurezza, che da dopo l’11 settembre è un argomento che in tutto il mondo tiene banco ed è ancora molto attuale.

D. – Però è pur vero che queste pratiche sono permesse ai privati, ovvero di spiarci in ogni modo e di assemblare tutti i nostri dati privati…

R. – Infatti una delle cose più pericolose, secondo me, può essere l’accordo tra le Forze dell’ordine e chi opera le investigazioni e le società private che tengono e memorizzano tutti i nostri dati. E’ quello che negli Sati Uniti chiamano l’accordo tra il governo e il business e che può dare vita ad un ‘grande fratello’, cioè ad un sistema di controllo che diventa veramente di una pericolosità estrema, perché gran parte dei nostri dati siamo noi i primi a metterli a disposizione all’interno di realtà commerciali che non sempre garantiscono la privacy. Di sicuro il futuro sarà sempre più votato al controllo.

D. – Quando è lo Stato a voler controllare, a scopo di tutela del rispetto delle leggi, vengono sollevate tante obiezioni, non altrettante quando il controllo viene operato da privati …

R.  – …sì per fini commerciali o altro. Questo è vero, perché la percezione della violazione alla privacy di solito si ha quando succedono questi fatti clamorosi ed evidenti di tentativo da parte dello Stato di invadere così palesemente la vita dei cittadini, mentre nel quotidiano sembra più indolore la svendita dei dati. Oggi, gran parte degli utenti sono portati a non essere loro i primi a tutelare la loro privacy ma a svendere e regalare i loro dati in cambio di visibilità, di servizi, di una finta gratuità. Però, quando è lo Stato e si entra nel sistema delle garanzie processuali e della libertà delle persone, il problema pare palese a tutti e diventa estremamente urgente.

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Al Bari Film Festival, la lezione di cinema di Andrzej Wajda

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Il decano del cinema polacco, Andrzej Wajda, ha tenuto ieri al Bari Film Festival una intensa lezione di cinema, ripercorrendo non soltanto la sua importante carriera di cineasta, ma la storia stessa della Polonia nel XX secolo, oggi pienamente inserita in Europa, una nazione in grande fermento culturale.Il servizio di Luca Pellegrini: 

La Polonia, per la prima volta nella storia del suo cinema, ha vinto quest'anno con "Ida" un Oscar per il miglior film straniero. Le produzioni si moltiplicano e molti titoli riescono ad arrivare nelle sale europee. E' la dimostrazione di un fermento culturale che sta sostenendo l'immagine della Polonia in Europa. Ma molto deve oggi all'attività e al coraggio di grandi artisti che ne hanno attraversato la tragica storia. Uno di questi è l'ottantanovenne Andrzej Wajda, che nel 2000 un Oscar lo vinse per la carriera, oltre alla Palma d'Oro a Cannes per il suo "L'uomo di ferro" e altri premi a Berlino e Venezia. Prima dei suoi ricordi è stato proiettato Katyn, girato nel 2007, che rimane una delle sue opere più emblematiche, sofferte, vicine. Perché il padre, Jakub Wajda, capitano di fanteria, morì in quel massacro compiuto dai sovietici insieme ad altri 22mila ufficiali e civili. Ma vittima di quella menzogna - ha confessato - fu anche la madre, che invano lo aspettò tutta la vita, senza sapere la verità. Ha naturalmente seguito la canonizzazione di Giovanni Paolo II. Ma ha mai pensato di girare un film sul grande Papa polacco?

R. – No, io non ci ho mai pensato, anche perché non sono così vicino a questo tema. Krzysztof Zanussi è un regista polacco molto vicino a questi progetti e a questi temi e ne ha anche fatto film. Io non ci ho pensato.

D. – Nel suo ultimo film, in cui affronta la figura di Lech Wałęsa negli anni di Solidarność, si sente forte la presenza del Pontefice...

R. – Naturalmente, anche negli altri film – come “L’Uomo di ferro” – sono presenti queste tematiche che riguardano la Chiesa cattolica in Polonia, ma la sua presenza è sempre legata all'argomento principale del film, mai diretta. Non avrei il coraggio di fare un film solo sulla Chiesa cattolica in Polonia.

D. – Maestro, ha invece il coraggio di affrontare un nuovo lavoro ora?

R. – Sì, ho il coraggio di misurarmi di nuovo con il cinema. A giugno dovrei iniziare le riprese. Se si tratti di una nuova pagina nella mia vita, non lo so.

D. – Ci può dire qualcosa di questo nuovo progetto?

R. – Sì, sarà un film sugli anni ’50, quando praticamente prese il sopravvento il potere sovietico, stalinista, in Polonia e noi ci siamo ritrovati in questa situazione. Narrerà la storia di un grandissimo pittore, artista polacco, che morì totalmente nell’oblio, dimenticato, per strada. Si chiama Władysław Strzemiński l’artista di cui parlerà il film.

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Nella Chiesa e nel mondo



Albania. Mons. Massafra: Anno Vita Consacrata spinga a rinnovamento

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“Voglio pensare all’Anno della Vita Consacrata come all’occasione propizia per voi di trovarvi un ulteriore motivo di rinnovamento e per la Chiesa tutta di lasciarsi “condire” dalla vostra presenza umile, ma incisiva”. Sono queste le parole con cui mons. Angelo Massafra, presidente della Conferenza episcopale albanese e vicepresidente del Ccee, si è rivolto ai partecipanti all’Assemblea Generale dell’Ucesm - l’Unione delle Conferenze Europee dei e delle Superiori/e Maggiori - riuniti per il loro incontro annuale a Tirana da lunedì 23 fino a sabato 28 marzo.

Il vescovo deve favorire lo sviluppo dei carismi
Nell’Anno della Vita Consacrata, l'arcivescovo ha incentrato il suo intervento sulla corretta interpretazione dei rapporti tra vescovi e vita consacrata, e in particolare sul carisma dell’unità del vescovo nel rapporto con le varie realtà ecclesiali. “Il vescovo, nell’esercizio della sua paternità spirituale, propria del ministero che ha ricevuto, ha esattamente il dovere principale di discernere, riconoscere, accettare e favorire lo sviluppo dei carismi che lo Spirito Santo suscita in mezzo al suo popolo, tanto nei singoli, quanto negli Istituti di vita consacrata, quanto nei Movimenti o Associazioni”. 

Lo Spirito della Pentecoste in antitesi alla Babele
Mons. Massafra, di origine pugliese, ricorda come lo “scopo della Chiesa è di ‘essere’ quella comunione stessa che lo Spirito ha realizzato a Pentecoste in antitesi con Babele... è ‘vivere e riprodurre’ in modo speciale quella comunione sussistente nella vita della Trinità…”. Così, l'arcivescovo di Scutari invita a “ripartire dalla retta considerazione e ridefinizione dei ruoli all’interno della Chiesa, a partire proprio da una corretta presa di coscienza della propria identità istituzionale o carismatica, oltre che, naturalmente dai numerosi documenti che, dal Concilio Vaticano II in poi, ci sono stati offerti”. Infatti, insiste il vice presidente Ccee – “non è ammissibile pensare alla Vita Consacrata come ad un modello alternativo di Chiesa (una sorta di Chiesa nella Chiesa), ma piuttosto a quella parte di Chiesa che, con spirito profetico, muove l’intero corpo ecclesiale alla perfetta sequela del Maestro nelle mutate situazioni dei tempi”.

Modello del legame vescovo-congregazioni è l'istituzione familiare
Per mons. Massafra il modello che più rispecchia il legame tra il vescovo e le congregazioni o istituti di vita consacrata – e gli stessi rapporti tra i diversi membri di queste realtà ecclesiali – è l’istituzione familiare. “Si sa quanto fallimentare possa rivelarsi il rapporto genitori/figli quando questi ultimi sono costretti a diventare ciò che i genitori desiderano fare di loro; quando, piuttosto che favorire e incanalare le risorse proprie di ciascuno, i genitori obbligano i figli a comportamenti e scelte che, invece, distruggono il dono che Dio ha fatto loro; un dono che, piuttosto, va scoperto, riconosciuto, accettato e favorito nel suo sviluppo: la vocazione personale. È proprio questo il compito principale di un genitore nei confronti dei figli”. 

Favorire punti d'incontro tra consacrati e vescovi
Pertanto, dice il vicepresidente Ccee, è importante che comunità di vita consacrata, famiglia e vescovo trovino e realizzino punti di incontro che favoriscono la relazione: ne risulterebbe “una vita ecclesiale vivace, capace di attingere alle risorse di ciascuno, nella valorizzazione delle singole vocazioni e carismi”. “Mi domando come mai ancora oggi, dopo anni di studi, di convegni, di sinodi e documenti non si sia ancora giunti a quest’armonia tra le parti del corpo ecclesiale che pure sogniamo, desideriamo ed auspichiamo. “Un problema – conclude mons. Massafra - che, forse, non va risolto in termini dottrinali, ma nell’ambito di un’umanità informata dalla spiritualità”. (A cura di Isabella Piro)

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Pakistan: costante violenza sulle minoranze religiose

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“La violenza contro le minoranze religiose in Pakistan è stata continua e costante nel biennio 2012-2014. Conversioni forzate, rapimenti, danni alle aree di culto, violenza sessuale e omicidi mirati sono pratiche oppressive a cui le minoranze sono regolarmente sottoposte”: lo afferma una nota del Jinnah Institute, prestigioso Centro studi indipendente, con sede a Karachi, intitolato al “Padre della patria”, Mohammed Ali Jinnah.

I dati "indipendenti" del Centro Ali Jinnah
Nel biennio 2012-2014 tra le minoranze religiose (cristiani, indù, ahmadi e altri) il Centro ha censito: 265 vittime di attentati; 550 famiglie costrette alla fuga; 21 persone incriminate per presunta blasfemia; 15 casi di conversioni forzate; 15 aggressioni a sfondo sessuale, 20 casi di abusi domestici.

Le discriminazioni generano l'esodo delle famiglie cristiane
Tra gli episodi più gravi segnalati dall’Istituto: l’attacco alla “Joseph Colony” di Lahore, l’attentato suicida a Peshawar, il brutale omicidio di due coniugi cristiani, Shama e Shehzad, accusati di blasfemia a Kot Radha Kishan. “La persecuzione contro le minoranze religiose – spiega la nota inviata a Fides – passa spesso attraverso la via della legge sulla blasfemia, ma restano numerosi i casi di molestie e discriminazioni”. Questa situazione “ha provocato l’esodo di circa 550 famiglie delle minoranze religiose dal Pakistan”. (P.A.)

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Pakistan: garantita istruzione a figli dei coniugi cristiani arsi vivi

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Suleman e Sonia vanno a scuola. Anche Poonam ci andrà. I tre bambini sono figli di Shama e Shahzad Masih, i due coniugi cristiani torturati e arsi vivi da una folla di musulmani con l’accusa di blasfemia a Kot Radha Kishan, nel distretto Kasur (Punjab) nel novembre 2014. Come riferito all'agenzia Fides, la “Cecil & Iris Chaudhry Foundation”, guidata dalla cristiana Michelle Chaudhry, ha assunto la responsabilità di garantire un’istruzione a tutti e tre i figli della coppia. I due bambini Suleman, sei anni, e Sonia, tre anni, sono stati ammessi in una scuola a Lahore. Il più piccolo, Poonam (un anno e mezzo) è in un asilo.

L'istruzione: strumento di difesa contro sfruttamento e ingiustizie
Michelle Chaudhry, presidente della Fondazione intitolata all’eroe cristiano pakistano Cecil Chaudhry, suo padre, ha spiegato a Fides: “Abbiamo voluto portare un cambiamento in meglio nella vita di questi bambini e considerato varie opzioni per aiutarli. Tuttavia, avendo una forte convinzione nel potere dell'istruzione, abbiamo deciso di assumerci la responsabilità di educarli. È nostra convinzione che l'istruzione è una delle migliori difese contro lo sfruttamento e l'ingiustizia ed è un prezioso strumento per affrancarsi da una vita fatta di oppressione ed emarginazione. Pertanto è cruciale accompagnarli in un percorso di istruzione”.

Fondazione contro le ingiustizie nella società pakistana
​La “Cecil & Iris Chaudhry Foundation”è una organizzazione indipendente, senza scopo di lucro, dedicata a sradicare l'ingiustizia nella società, sostenendo gruppi emarginati e oppressi, specie delle minoranze religiose, in Pakistan. (P.A.)

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Centrafrica: Caritas distribuisce aiuti agli sfollati musulmani

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Caritas Bangui, molto attiva nel prestare soccorso agli sfollati della guerra civile nella Repubblica Centrafricana, ha distribuito aiuti alimentari e di altro tipo a 49 membri della comunità musulmana nella città di Mbaiki (che si trova a 107 km dalla capitale Bangui). Secondo le notizie pervenute all’Agenzia Fides, i beneficiari degli aiuti sono dei musulmani costretti a fuggire dal villaggio di Boboua (a 50 km da Mbaiki) a causa delle violenze delle milizie Anti-Balaka, che si contrappongono agli ex ribelli Seleka.

Aiuti Caritas agli sfollati musulmani: l'elogio dell'imam Layama
Gli sfollati sono stati accolti in un primo momento in una base della Minusca (Missione Onu nella Repubblica Centrafricana) per poi essere ospitati presso alcune case d’accoglienza. Il 24 marzo una delegazione della Caritas ha distribuito loro vestiti, sapone, zucchero, riso, lattine d’olio, e altri alimenti. La delegazione della Caritas era accompagnata dall’imam Kobine Layama, uno dei tre leader della piattaforma religiosa per la pace, della quale fanno parte l’arcivescovo di Bangui mons. Dieudonné Nzapalainga, e il pastore Nguerekoyame Gbangou. L’imam ha elogiato gli abitanti del luogo per la generosità dimostrata nell’accogliere gli sfollati. “È un gesto da incoraggiare. Questo prova che ci sono dei credenti a Mbaiki. Le altre città devono fare altrettanto. Per quanto riguarda il loro ritorno a Boboua, ci vorrà ancora del tempo perché gli sfollati possano tornare alle loro residenze” ha affermato l’imam Layama.

L'iniziativa crea un nuovo clima tra cristiani e musulmani
La guerra civile ha creato profonde divisioni all’interno della società centrafricana, e tra la comunità cristiana e quella musulmana. Gesti come l’accoglienza da parte degli abitanti di Mbaiki o la distribuzione di viveri effettuata dalla Caritas sono importanti per creare un nuovo clima di fiducia e di rispetto reciproci. (L.M.)

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Costa d'Avorio: plenaria vescovi su seminari e insegnamento cattolico

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L’importanza dei seminari, l’adeguata formazione dei sacerdoti e la questione dell’insegnamento cattolico: questi i temi intorno ai quali è ruotata la centesima Assemblea plenaria della Conferenza episcopale della Costa d’Avorio (Cecci) svoltasi dal 16 al 20 marzo a Yamoussoukro. Al termine dei lavori, i presuli hanno diffuso un messaggio in cui si spiega che la riflessione è partita “dalle diverse situazioni legate alla formazione dei futuri sacerdoti e dei loro formatori, in base al rapporto realizzato dalla Commissione episcopale per il clero e dalla Pastorale per le vocazioni”.

Fiducia e riconoscenza ai sacerdoti formatori
In quest’ambito, la Cecci ha ribadito la sua “fiducia e riconoscenza” ai sacerdoti formatori nei diversi seminari del Paese, stabilendo di rendere “più gratificante” il loro settore missionario. Allo stesso tempo, i presuli hanno nominato “alcuni professori, per risolvere il problema legato alla mancanza di formatori ed in risposta ai bisogni espressi dai Seminari maggiori”. Nell’ambito della Plenaria, inoltre, i vescovi hanno incontrato una rappresentanza dell’Ufraci (Unione fraterna del clero ivoriano), con la quale si è riflettuto sull’importanza di “coltivare buoni rapporti di comunione e di fraternità”, per un “rilancio dinamico” dell’Unione stessa.

Criticità dell’insegnamento cattolico: pochi fondi e sovraffollamento classi
La Plenaria della Cecci, inoltre, ha riflettuto sull’insegnamento cattolico, con particolare riferimento alle sue problematiche: le scuole cattoliche del Paese, infatti, si trovano in difficoltà finanziarie, a causa della drastica riduzione delle sovvenzioni statali, avvenuta negli anni scorsi, e della cattiva gestione economica di molti istituti. Altra questione è quella del sovraffollamento delle classi, che a volte sfiorano il centinaio di alunni, raccogliendo anche i giovani sfollati. In questo senso, i vescovi hanno lanciato un invito “a tutto il popolo di Dio” a “pregare per la pace nel Paese”, auspicando che la Quaresima “offra a ciascuno l’occasione di un rinnovamento interiore, al fine di impegnarsi sul vero cammino dell’amore e della fraternità”.

Incontro con il card. Tauran e appello ad essere artigiani di pace
Infine, nel corso dei lavori, la Cecci ha incontrato Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, che ha visitato la Costa d’Avorio dal 13 al 17 marzo per i 110 anni di evangelizzazione della diocesi di Korhogo. Insieme al porporato, i vescovi ivoriani hanno concelebrato una Santa Messa a Yamoussoukro, ricevendo da lui l’invito ad essere “artigiani di pace per una cultura dell’unità nella diversità, così da divenire veri rappresentanti della comunione”. La prossima Plenaria della Cecci, la 101.ma, avrà luogo a Taabo, nella diocesi di Agboville, dal 4 al 10 maggio 2015. (I.P.)

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Bolivia: i vescovi chiedono elezioni libere e pacifiche

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I vescovi della Bolivia invitano la comunità nazionale ad esercitare il diritto civile di voto in piena coscienza, nella libertà e con il pensiero rivolto al bene comune dei cittadini. Il presidente della Conferenza episcopale boliviana (Ceb), sottolineando questi aspetti in vista delle elezioni di domenica 29 marzo, ha chiesto ai candidati "di cercare di fare del loro meglio". "Devono essere elezioni credibili, libere, di cui i cittadini hanno consapevolezza" ha detto mons. Oscar Aparicio, presidente della Ceb.

Il giorno del voto, le celebrazione delle Palme si terranno regolarmente
Dalla stessa fonte di Fides in Bolivia si apprende che mons. Jesús Juarez, arcivescovo di Sucre, ha chiesto agli elettori di partecipare alle elezioni con calma e senza fanatismi, per vivere una giornata tranquilla e normale, senza liti né frodi da nessuna delle parti. La Conferenza episcopale ha comunicato che le attività religiose previste per la Domenica delle Palme, giorno della consultazione, si svolgeranno regolarmente perché non influiscono in alcun modo con le attività elettorali.

Al voto più di 6 milioni di elettori
​Lo scenario politico delle elezioni regionali del 29 marzo è incerto, anche perché le forze dell'opposizione non si sono raggruppate in un unico fronte, e ciò potrebbe determinare una sostanziale parità dei consensi ai diversi candidati. Molto attivo nei giorni scorsi è stato il partito dell’attuale governo, "Movimiento al Socialismo" (Mas), che ha portato il Presidente Evo Morales nella maggior parte dei dipartimenti del Paese per sostenere i propri candidati. Più di 6 milioni sono gli elettori chiamati a votare per i 9 governatori, 339 sindaci, i membri dell'assemblea, consiglieri e magistrati, che assumeranno gli incarichi per i prossimi cinque anni. (C.E.)

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Chiesa Libano: raccolta fondi per i rifugiati di Siria e Iraq

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In occasione della prossima Pasqua l’Eparchia caldea di Beirut guidata da mons. Michael Kassarji ha diffuso un appello per raccogliere fondi a favore dei rifugiati cristiani iracheni e siriani in Libano. Nell’appello, rilanciato dal sito Baghdadhope e ripreso dall'agenzia Sir, si legge che la situazione in cui versano i rifugiati, stimati in 3mila famiglie, “è deplorevole. Non hanno accesso alle cure sanitarie pubbliche se non in casi eccezionali e di volta in volta autorizzati dal ministero competente, e le strutture private, per quanto garantiscano in alcuni casi il 50% del costo delle cure, non prendono in carico i malati oncologici e quelli bisognosi di interventi chirurgici impegnativi”.

Chiesa ha creato Centri medico-sociali e luoghi di culto
Per aiutarli la Chiesa caldea ha creato già nel 2011 il Centro medico e sociale di Saint Michael nella zona di Sid El Baouchriyeh, a nord di Beirut, dove, a titolo quasi completamente gratuito, sono garantite ai profughi cure, analisi, piccoli interventi di chirurgia e farmaci. Tra i vari interventi è prevista anche la costruzione di un nuovo edificio di culto cui sarà annessa una mensa per i poveri, un ufficio che metta in contatto i profughi con i datori di lavoro, e un centro di prima accoglienza. Purtroppo ciò che si fa non è abbastanza per questo la Chiesa caldea chiede sostegno finanziario. (R.P.)

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Vescovi Irlanda: rispettare libertà religiosa e di coscienza

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Pregare per “un rinnovato impegno globale al rispetto della libertà religiosa e di coscienza”: questo l’appello lanciato, tramite una dichiarazione, dalla Conferenza episcopale irlandese. Nel documento, i presuli scrivono: “In tutto il mondo, il rifiuto della libertà religiosa e di coscienza è strettamente connesso alle violazioni di altri diritti umani. Le conseguenze di tutto ciò portano a conflitti violenti, morte, sfollamento coatto delle popolazioni, rapimento e sfruttamento delle donne e dei bambini”. Si tratta di “una vera crisi globale”, continuano i presuli, che “mette a rischio soprattutto le comunità più povere”. Di qui, l’esortazione alla comunità internazionale che “ha l’obbligo morale di difendere” le popolazioni da tali abusi, in particolare di fronte “ai coraggiosi esempi” di coloro che sacrificano la loro vita in nome della fede.

Libertà religiosa, diritto sancito dall’Onu
Ribadendo, poi, che “la libertà di coscienza e di religione è riconosciuta dalla Dichiarazione dell’Onu sui diritti umani e dalla Dottrina Sociale della Chiesa”, che la definisce “requisito inalienabile della dignità della persona umana”, i vescovi di Dublino affermano: “In Europa, si può contribuire agli sforzi globali per la costruzione della pace facendo sì che le politiche nazionali ed i rapporti internazionali diventino modelli virtuosi di rispetto della libertà di coscienza e di religione”. Ma tutto ciò, notano i presuli, richiede “un approccio che vada oltre la tolleranza ed includa i molti modi in cui la diversità di religioni e di culture arricchisce la società”.

Porre fine alle brutali persecuzioni dei cristiani
Richiamando, inoltre, la parole di Papa Francesco ed il suo appello a porre fine alla “brutale persecuzione” delle minoranze, in nome della religione, la Chiesa cattolica irlandese ricorda “tutti coloro che sono stati presi in ostaggio, o costretti a lasciare le loro case, e tutte le famiglie che hanno perso i loro cari”. “Preghiamo – conclude la nota – per la fine di queste sofferenze e per un rinnovato impegno globale per la libertà di coscienza e di religione”. (I.P.)

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Chiesa francese: armi nucleari, grave minaccia per il mondo

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“Le armi nucleari rappresentano una grave minaccia per il mondo”: è quanto scrive la Commissione Giustizia e pace di Francia, nella newsletter pubblicata per il mese di marzo. Nel documento, l’organismo cattolico, afferente alla Conferenza episcopale d’Oltralpe, ribadisce che l’armamento nucleare “non rappresenta la misura della sicurezza nazionale” e lancia l’allarme sul rischio di una sua proliferazione. Per questo, quindi, Giustizia e pace chiede “iniziative più ambiziose nel settore”, anche in vista della prossima Conferenza internazionale sul Trattato di non proliferazione, attesa tra aprile e maggio.

Impegno netto per un modo senza atomica
In particolare, l’organismo episcopale chiede “un impegno più chiaro per un mondo senza nucleare; un dialogo con la Russia sugli armamenti atomici in Europa, insieme all’adeguamento dell’arsenale francese, dal momento che il Paese non vive più minacce comparabili al periodo della guerra fredda”. Non solo: la Commissione sottolinea anche l’importanza di sostenere “lo sviluppo di zone esenti dalle armi nucleari; il perfezionamento di tecniche di controllo del disarmo e la partecipazione ai lavori internazionali sull’impatto umanitario di simili armamenti”.

Trovare accordo sul nucleare iraniano per garantire finalità pacifiche
Infine, riguardo alla questione del nucleare iraniano, l’organismo della Chiesa francese auspica “un accordo tra l’Iran ed il Consiglio di sicurezza dell’Onu, riguardo all’inquadramento verificato di un programma nucleare che garantisca finalità esclusivamente pacifiche”, poiché in questo modo “la legittimità del regime di non-proliferazione ne uscirebbe rafforzata”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 85

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.