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Sommario del 28/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Teresa di Gesù, donna dell'audacia missionaria

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Una “donna eccezionale” e una “maestra di preghiera”, che servì la Chiesa del 16.mo secolo con “audacia missionaria” e che ai religiosi di oggi insegna a essere, sulla sua scia, comunicatori instancabili del Vangelo. È il ritratto che Papa Francesco fa di S. Teresa d’Avila in una lettera al preposito generale dei Carmelitani Scalzi, scritta per celebrare i 500 anni della nascita della grande mistica spagnola. Il servizio di Alessandro De Carolis

Care consorelle, non perdete tempo a trattare con Dio “interessi di poca importanza” mentre “il mondo è in fiamme”. Basterebbe una frase come questa a dare conto della statura umana e del carisma spirituale di Teresa d’Avila. E in effetti, negli anni in cui la monaca carmelitana percorre la Spagna a dorso di mulo per fondare chiostri su chiostri, dopo aver combattuto il lassismo del suo Ordine riformandolo con una nuova regola dall’interno, la Chiesa è lacerata dallo scisma di Lutero, le corone europee si danno battaglia senza fine e l’Impero ottomano allunga la sua ombra sul Vecchio continente.

Preghiera comunque
Teresa, scrive il Papa, non si limita a essere “una spettatrice” della realtà circostante, ma diventa una “comunicatrice instancabile del Vangelo”, nonostante la salute malferma, e una “maestra di preghiera” per tutte. “Quella di Teresa – scrive in proposito Francesco – non è stata una preghiera riservata unicamente ad uno spazio o ad un momento della giornata; sorgeva spontanea nelle occasioni più diverse”. “Convinta del valore della preghiera continua, benché non sempre perfetta”, la Santa, osserva il Papa, “ci chiede di essere perseveranti, fedeli, anche in mezzo all’aridità, alle difficoltà personali o alle necessità pressanti che ci chiamano”.

Umiltà non è timidezza
E maestra, Teresa di Gesù lo fu anche della vita comunitaria, che sentì il bisogno di modificare per ridare slancio al Carmelo. Perciò, nota Francesco, “il fondamento che pose nei suoi monasteri fu la fraternità”, stando “molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna”. L’antidoto la futura Santa lo individua nell'umiltà, considerata in modo tutt’altro che generico. “Non è – afferma il Papa – trascuratezza esteriore né timidezza interiore dell’anima, bensì conoscere ciascuno le proprie possibilità e ciò che Dio può fare in noi”, evitando quel “falso punto d’onore”, come lo chiama, che è “fonte di pettegolezzi, di gelosie e di critiche”. L’umiltà teresiana, sintetizza Francesco, “è fatta di accettazione di sé, di coscienza della propria dignità, di audacia missionaria, di riconoscenza e di abbandono in Dio”.

Appello alla “grande impresa”
A cinque secoli dalla nascita, Teresa di Gesù resta per il Papa una “guida sicura e un modello attraente di donazione totale a Dio”. È una “grazia provvidenziale”, riconosce, che l’anniversario cada nell’Anno della Vita Consacrata. Se l’esempio della Santa è per le “comunità teresiane” uno sprone a essere “case di comunione” e segno della “maternità della Chiesa” nel “mondo lacerato dalle divisioni e dalle guerre”, a tutti Teresa di Gesù, conclude Francesco, “apre nuovi orizzonti”: “Ci convoca per una grande impresa, per guardare il mondo con gli occhi di Cristo, per cercare ciò che Lui cerca e amare ciò che Lui ama”.

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Morte Mar Dinkha IV. Papa: il mondo perde un grande leader

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Con la morte di Sua Santità Mar Dinkha IV, “il mondo cristiano ha perso un importante leader spirituale”. Comincia così il lungo e commosso ricordo che Papa Francesco fa del Patriarca della Chiesa Assira d’Oriente nel telegramma di cordoglio inviato al Metropolita per l’India, Sua Beatitudine Mar Aprem Mooken, attualmente “locum tenens” della Chiesa Assira orientale.

Voce dei cristiani perseguitati
Il Patriarca scomparso, afferma Francesco, è stato “un pastore coraggioso e saggio che servito fedelmente la sua comunità in tempi estremamente difficili” e che ha sofferto “molto a causa della tragica situazione in Medio Oriente, in particolare in Iraq e in Siria”, richiamando “risolutamente l’attenzione – prosegue il Papa – sulla difficile situazione dei nostri fratelli e sorelle cristiani e di altre minoranze religiose che soffrono una persecuzione quotidiana”.

Uomo del dialogo
Ricordando la recente visita del Patriarca assiro a Roma, Francesco conclude il telegramma esprimendo la vicinanza dei cattolici alla Chiesa orientale e rendendo “grazie di cuore a Dio” per “l’impegno duraturo” manifestato da “Sua Santità per il miglioramento delle relazioni tra i cristiani e, in particolare, tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente”.

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Dolore del Papa per le vittime di alluvioni in Cile e Perù

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Da giorni Perù e Cile sono sferzati da una serie di violentissime piogge che hanno causato inondazioni con numerosi morti e dispersi. Per le vittime e per i superstiti Francesco si è raccolto in preghiera, afferma in un telegramma inviato a nome del Papa dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ai nunzi apostolici dei due Paesi latinoamericani.

Dal Papa, prosegue il testo, anche un appello “alle istituzioni e a tutti gli uomini di buona volontà perché, ispirati da sentimenti di fraterna solidarietà e carità cristiana, possano fornire aiuti efficaci in grado di poter superare questi momenti difficili”.

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Via Crucis: le meditazioni di mons. Corti per il Venerdì Santo

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“La croce, vertice luminoso dell’amore di Dio che ci custodisce. Chiamati ad essere anche noi custodi per amore”: è questo il titolo che mons. Renato Corti, ha voluto dare alle meditazioni scritte per la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo il 3 aprile. E’ il vescovo emerito di Novara ad aver ricevuto quest’anno l’incarico di redigere i testi per la tradizionale celebrazione presieduta dal Papa. Fra i temi sviluppati, le persecuzioni religiose o a causa della giustizia, la famiglia, la sofferenza, lo sfruttamento dei minori. Ce ne parla Tiziana Campisi

Una Via Crucis che dà voce ai sentimenti di Gesù
E’ una Via Crucis che dà voce ai sentimenti e ai pensieri di Gesù quella scritta da mons. Renato Corti; sarà come ascoltare Cristo lungo il percorso verso Calvario, e accanto alle sue riflessioni su ciò accade nella scenografia di ogni stazione, ci sono le risonanze che la Passione suscita. A legare le meditazioni è il costante riferimento all’amore di Dio che custodisce gli uomini, amore che è dono, che giunge in particolare da Gesù crocifisso. A fronte di questo amore l’invito ad essere custodi della creazione e di ogni persona.

Perseguitati, abbandonati e minori abusati tra i protagonisti con Cristo delle 14 stazioni
E così in Gesù caricato della Croce si possono scorgere uomini e donne imprigionati, condannati o trucidati, perché credenti o impegnati in favore della giustizia e della pace; nella tristezza e nell’angoscia di Cristo che va incontro alla morte si possono intravedere anime ferite dalla solitudine, dall’abbandono, dall’indifferenza, dalla malattia. E nella sofferenza del Dio fatto uomo c’è quanto, oggi, viene ferito da odio, falsità o cuori di pietra. Toccante l’immagine di Gesù spogliato delle vesti e umiliato raffrontata al traffico di esseri umani, alla condizione dei bambini-soldato, alla schiavitù, ai minori abusati.

A Maria l’affidamento del prossimo Sinodo
Non manca il pensiero alle donne, alla loro presenza nella Chiesa, e a Maria, madre protagonista del dramma del Golgota, cui affidare la famiglia contemporanea e il prossimo Sinodo che le è dedicato. E poi ci sono le domande che l’atrocità patita da Cristo fa scaturire: perché ancora la tortura, la pena di morte, la violenza?

Scritti di Bhatti, padri della Chiesa, Giovanni Battista Montini e Carlo Maria Martini nei testi
Ad arricchire i testi delle meditazioni sono il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, gli scritti di alcuni padri della Chiesa, di Giovanni Battista Montini e Carlo Maria Martini. Ma sono le parole di Gesù Cristo che nelle ultime stazioni squarciano il silenzio dello sgomento, della paura di fronte alla morte in croce, parole immaginate ma forti e dirompenti: “Sono bloccato nel corpo, ma libero nel cuore, come liberamente sono andato incontro alla mia passione. Libero perché abitato dall’amore, un amore che vorrebbe includere tutti”.

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Nomina episcopale in Nigeria

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In Nigeria, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Makurdi, presentata da mons. Athanasius Atule Usuh, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Wilfred Chikpa Anagbe, dei Missionari Clarettiani, coadiutore della medesima diocesi.

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Tweet: i cristiani non possono non interessarsi al bene dei più deboli

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “In quanto discepoli di Cristo, non possiamo non interessarci al bene dei più deboli”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Donna eccezionale: lettera di Papa Francesco per il quinto centenario della nascita di Teresa di Gesù e l'omelia di domenica 27 settembre

1970 in cui Paolo VI spiega il riconoscimento della santa come dottore della Chiesa.

Siede sull'asinello riposa sui santi: in prima pagina, Manuel Nin sulla domenica delle Palme secondo Severo di Antiochia.

Non è l'imperatore: Fabrizio Bisconti sulla scena dell'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.

Contro Hitler e Mussolini: l'azione di Pio XII e della sua Chiesa durante la Shoah.

La bellezza nell'Italia profonda: Antonio Paolucci sull'oreficeria sacra del Lazio in mostra al Braccio di Carlo Magno.

Una concreta via alla pace esiste: Marco Bellizi sul dibattito - al Consiglio di sicurezza dell'Onu con il patriarca di Babilonia dei Caldei Sako I - riguardo alla persecuzione dei cristiani.

Questione di fuso orario: intervista di Nicola Gori al primo porporato di Tonga.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria, elezioni. Card. Onaiyekan: voto per cambiare pagina

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Saranno annunciatI entro 48 ore dalla chiusura dei seggi i risultati delle elezioni presidenziali e legislative di oggi in Nigeria. A contendersi la prima carica del Paese sono il capo di Stato uscente, Goodluck Jonathan, 57 anni, originario del sud, del Partito democratico popolare (Pdp), e il generale in pensione, Muhammadu Buhari, 72 anni, espressione del nord, del Congresso progressista (Apc). Oltre 68 milioni gli elettori in un clima d’incertezza soprattutto nel nordest, a causa dei continui attacchi degli estremisti islamici di Boko Haram, contrastati dall’esercito appoggiato da truppe di Ciad, Niger e Camerun. Le violenze hanno causato in sei anni oltre 13 mila vittime e più di un milione tra sfollati e profughi. Almeno due persone sono morte stamani negli attacchi ad altrettante sezioni elettorali nei villaggi di Birin Bolawa et Birin Funali, nello Stato settentrionale di Gombe, già teatro di violenze da parte degli islamisti. Ma quanto è importante questo voto per la Nigeria, anche a fronte delle atrocità dei Boko Haram? Ne parla il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, intervistato da Giada Aquilino

R. – Non soltanto di fronte alla violenza di Boko Haram, ma anche davanti alla situazione abbastanza grave dell’economia nigeriana  – per non parlare poi di tutto l’aspetto politico e sociale in generale che da qualche anno sta peggiorando  – tanti nigeriani hanno la speranza che queste elezioni daranno la possibilità di cambiare pagina, in un modo o nell’altro.

D.  – Soprattutto nel nordest continuano gli attacchi dei Boko Haram. La popolazione ha paura?

R.  – Malgrado le attività serrate delle Forze armate nigeriane e dei Paesi vicini, quella zona non è completamente al sicuro. La gente non può tornare nelle proprie case, molte sono state distrutte, ma oltre a questo non si sente sicura. I terroristi di Boko Haram sono ancora in giro.

D.  – Qual è la strategia degli estremisti?

R.  – Dicono che vogliono un governo islamico basato sulla "sharia", secondo il loro modo di vedere le cose. Perciò hanno cominciato a prendere dei territori, instaurando il loro "califfato" islamico. Grazie a Dio, questo loro scopo non è condiviso dalla grande maggioranza dei musulmani nigeriani, infatti tanti sono stati vittime dei loro atti terroristici. Tutti i nigeriani, musulmani e cristiani, sono coinvolti negli sforzi di rimuoverli dal nostro territorio. Per quanto riguarda la situazione del nordest, posso dire che è veramente drammatica. Due diocesi, quella di Maiduguri e quella di Yola, sono state distrutte per gran parte dai Boko Haram. Molti sono scappati, tanti sono profughi e vanno verso zone più sicure, alcuni sono venuti addirittura ad Abuja. In questa situazione, la Chiesa ha cercato di stare vicino a questa gente. Tante delle nostre chiese e parrocchie sono già state distrutte, persino monasteri, conventi, scuole: tutto distrutto! Allora quando la guerra finirà, speriamo presto, dobbiamo tornare e rifare tutto da capo.

D.  – Sia Goodluck Jonathan, sia Buhari sono stati già al potere. Quali sono le richieste allora della Nigeria al futuro presidente?

R.  – Chiunque vince, deve affrontare problemi gravi del Paese. Il partito dell’opposizione ha adottato il concetto di "cambio" come slogan elettorale, mentre il governo al potere ha privilegiato quello di "continuità nel progresso".

D.  – Quali sono i gravi problemi della Nigeria?

R.  – Prima di tutto quello della sicurezza. La parte meno sicura è il nordest dove ci sono i Boko Haram, ma anche nel resto del Paese ci sono banditi che girano quasi senza controllo. Poi, c’è il grande problema della corruzione, quello dell’integrazione nazionale per quanto riguarda le nostre diversità etniche e religiose. Tutto questo richiede innanzitutto che si sappia governare.

D.  – Il Papa nelle sue preghiere ricorda sempre la Nigeria e sta inviando in queste ore la propria solidarietà per le famiglie nel nord del Paese. Quanto è importante la vicinanza di Francesco?

R.  – La solidarietà pratica, in senso di aiuto economico, che il Santo Padre ci ha inviato per noi è un grande conforto, un grande incoraggiamento. Lo abbiamo fatto sapere ai nostri connazionali per mostrare l’interesse del Papa verso i problemi della nostra gente, perché tutti soffrono, cristiani e musulmani. Poi, l’ultima lettera che ha mandato ai vescovi locali ha portato una grande gioia non solo a noi presuli cattolici, ma anche al resto del Paese, che ha visto questo testo come la dimostrazione dell’interesse del Santo Padre per le questioni nigeriane. È un grande incoraggiamento, per continuare sulla strada della riconciliazione, del dialogo, della pace, rifiutando ed evitando quella facile tentazione di furia e di vendetta.

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Yemen, nuovi raid sauditi. Msf: urgenti farmaci e mezzi

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L’operazione militare nello Yemen andrà avanti fino alla resa dei ribelli Houthi. Così, dal vertice della Lega Araba in corso a Sharm el-Sheikh il re Salman dell’Arabia Saudita da giorni impegnata in raid soprattutto sulle città di Aden e Saana. 54 i morti, circa 200 i feriti mentre anche il Pakistan e l’India hanno deciso di rimpatriare i propri connazionali. L’Onu auspica dal vertice di oggi una soluzione pacifica: i negoziati dice il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, sono l'unica "chance" per evitare una guerra lunga. Il servizio di Cecilia Seppia: 

I caccia sauditi non si fermano, al terzo giorno di raid sulla capitale Sana'a hanno colpito numerosi obiettivi, basi e depositi di armi dei ribelli sciiti Houthi con l’intento di fermare la loro avanzata. D’altra parte, a Riad è arrivato pure il sostegno del presidente americano Obama che ha ribadito però anche lo “scopo comune” di trovare una “soluzione politica negoziata” prima possibile. Il regno del Golfo “apre le porte al dialogo tra tutte le parti”, ha detto il re saudita Salman, dal vertice della Lega Araba, dove si discute anche di Siria e Libia, ma ha ammonito che l’operazione denominata “Defensive storm” andrà avanti fino alla resa incondizionata degli Houti e finché che lo Yemen non avrà pienamente recuperato la sua stabilità politica e sicurezza. D’accordo anche il capo di Stato egiziano al Sissi, e l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad, mentre l’Onu continua ad invocare la svolta pacifica. Intanto, mentre India e Pakistan provvedono all’evacuazione dei loro connazionali sul terreno si contano più di 50 morti, circa 200 feriti per gli scontri armati ad Aden. Gli Houthi sono una minaccia per tutto il Medio Oriente e restano “determinati a ottenere il potere attraverso la violenza” ha detto il presidente yemenita, Mansour Hadi, lanciando un appello al suo popolo affinché scenda in piazza contro i ribelli e i loro alleati golpisti e in favore della sua legittimità.

E mentre la Marina saudita con l’Operazione “Tornado” sta provvedendo all’evacuazione da Aden dei diplomatici stranieri, decine di migliaia di civili non sanno come e dove fuggire, gli ospedali sono pieni di feriti e l’Onu ha parlato di rischio di catastrofe umanitaria. Sulla situazione della popolazione yemenita, Cecilia Seppia ha sentito Gabriele Eminente, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia (Msf): 

R. – Noi abbiamo avuto notizie recenti, in particolare dai nostri che stanno lavorando all’ospedale di Aden, che è un ospedale dove Msf da tempo esegue, più o meno, un paio di migliaia di interventi l’anno di chirurgia di emergenza. Ma negli ultimi giorni, questi numeri sono letteralmente esplosi, nel senso che abbiamo ricevuto dalla settimana scorsa circa 250 persone che avevano bisogno di interventi urgenti. Purtroppo, alcuni di questi sono arrivati in condizioni gravissime ed è stato possibile fare poco. Abbiamo soprattutto una situazione di allarme che ci viene dal nostro staff dell’ospedale, perché stanno veramente operando in condizioni estreme.

D. – Immagino che gli ospedali siano al collasso in questi giorni perché arrivano tantissimi feriti, ma la cosa più grave è che cominciano a scarseggiare le risorse per curarli…

R. – Sì, gli aeroporti in particolare sia di Aden che di Sana’a in questo momento sono chiusi e impraticabili e quindi è impossibile per il coordinamento delle missioni di Msf in Yemen, che è per l’appunto a Sana’a, fare arrivare nuovi operatori umanitari, far arrivare farmaci, far arrivare quello che serve per continuare ad operare. Quindi, intravediamo già una condizione di estrema difficoltà se non sarà riaperto l’accesso ai canali per far arrivare nuovi operatori umanitari e per le necessarie attrezzature.

D. – Oltre agli aeroporti chiusi, anche il porto di Aden è sotto attacco in questo momento. Quindi, proprio per questo la gente non può fuggire. L’Onu un paio di giorni fa ha parlato di “rischio di catastrofe umanitaria” nello Yemen. Secondo lei, c’è questa possibilità?

R. – Rischiamo di vedere replicata una situazione che abbiamo visto sempre più spesso negli ultimi mesi. È una situazione, ad esempio, che abbiamo visto recentemente in Ucraina, dove a fronte di un conflitto molto violento, con una linea del fronte che cambia in maniera molto rapida, chi ci rimette di più sono i civili, coloro che restano intrappolati all’interno di questo conflitto. Non riescono a fuggire anche se comunque sono costretti a fuggire, andando così ad alimentare quella che – a nostro avviso e lo stiamo denunciando proprio in questi giorni con la campagna “Milioni di passi” – è la crisi umanitaria globale più pressante, ovvero quella delle popolazioni che sono costrette a lasciare la loro casa, la loro famiglia, perché in fuga da situazioni di guerra e violenza. Si stima che in questo momento siano 51 milioni nel mondo e purtroppo questo numero rischia di crescere ulteriormente a causa di quello che sta succedendo nello Yemen.

D. – Gli Houthi hanno colpito le moschee, gli edifici governativi... C’è stato qualche attacco negli ospedali, nelle strutture mediche?

R. – Evidentemente, è un rischio che corriamo ogni giorno. Abbiamo ricevuto proprio ieri sera una serie di testimonianze da nostri operatori: loro sentono colpi di artiglieria, sentono fischiare le pallottole sopra la loro testa, sono costretti a muoversi con estrema cautela anche nella zona dell’ospedale. Quindi, in questo momento magari non c’è stato ancora un attacco preordinato, ma c’è molta violenza intorno e nulla esclude che si passi rapidamente a situazioni dove gli ospedali vengano presi di mira. Questa è la prima richiesta, il primo appello che abbiamo fatto: ovvero che sia rispettata la neutralità delle strutture mediche in generale, e delle strutture di Msf nello specifico, da tutte quante le parti in conflitto.

D. – Dal punto di vista medico, e quindi anche umanitario, che cosa serve? Noi sappiamo che lo Yemen è il più povero tra i Paesi arabi, quindi immagino che oltre alle medicine servano forse anche beni di prima necessità per la popolazione...

R. – La prima cosa che è necessaria è per l’appunto sbloccare la situazione che impedisce in questo momento le forniture degli ospedali: parliamo di forniture, come ad esempio anestetici, antibiotici tutto quello che serve per poter operare in condizioni minime di sicurezza per il paziente. Detto questo, già ci sono decine, centinaia di migliaia di sfollati all’interno del Paese e questo probabilmente richiederà nel prossimo futuro un’ulteriore attenzione evidentemente con strumenti diversi.

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All'Onu il grido di cristiani e altre minoranze perseguitate

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Il grido dei cristiani e delle altre minoranze in Medio Oriente è risuonato ieri al Consiglio di Sicurezza dell'Onu per la prima volta da quando sono iniziate le violenze dei miliziani del cosidetto Stato Islamico. "Le atrocità commesse contro le minoranze dall'Is - ha detto il segretario generale Ban Ki-moon - richiedono una risposta urgente, occorre porre fine all'impunità”. "La primavera araba – ha detto intervenendo il patriarca caldeo Louis Raphael Sako – ha avuto conseguenze dannose per i cristiani”. Il servizio da New York di Elena Molinari

Un piano d’azione per la prevenzione dell’estremismo violento e la protezione delle minoranze in Medio Oriente. “Lo presenteranno le Nazioni Unite a settembre”, ha detto ieri il segretario generale Ban ki-Moon, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza Onu sulle persecuzioni dei cristiani. All’incontro il patriarca caldeo di Baghdad ha affermato che la primavera araba ha danneggiato i cristiani: “Stiamo vivendo una situazione catastrofica che spinge molte famiglie alla fuga”, ha detto Sako. A testimoniarlo è stata anche Vian Dakhil, la parlamentare irachena che lo scorso agosto raccontò gli orrori dell’attacco subito dalla minoranza yazida da parte dell’Is: “Tremila ragazze sono state vendute a 18 dollari l’una dai jihadisti”, ha denunciato. Il ministro degli Esteri francese Fabius ha sottolineato il rischio che le minoranze religiose scompaiano dal Medio Oriente. E l’ambasciatore italiano Cardi ha assicurato l’impegno dell’Italia nell’assistenza sanitaria e psicologica, nella ricostruzione delle scuole, nel reinserimento educativo e sociale a favore dei cristiani in Iraq.

Dell'importanza del dibattito all'Onu e delle prossibile vie di azione, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle Relazioni internazionali all'Università del Salento: 

R. - Molte delle minoranze sono state attaccate o dalle maggioranze o da gruppi radicali, e questo nel totale silenzio del mondo e della comunità internazionale. È una questione sì etnica, ma io sottolineerei che è questione religiosa. Fino a pochi anni fa, nonostante la presenza di regimi estremamente dittatoriali, molte delle minoranze erano relativamente salvaguardate e comunque non attaccate: penso al caso dell’Iraq, penso al caso della Siria, in cui,  pur con tutti i problemi gravi di un sistema totalmente sanguinario, le Chiese non venivano toccate, le sinagoghe non venivano toccate e lo stesso vale per i fedeli delle minoranze religiose. In questo momento di totale squilibrio della situazione internazionale, soprattutto nell’area mediorientale, i primi che ne pagano le conseguenze sono quanti sono facilmente identificabili da qualche luogo di ritrovo, di preghiera, che può essere una sinagoga o una vecchia chiesa. Gli attacchi dell’Is non sono soltanto nei confronti di musei, e quindi della presunta idolatrìa delle religioni antiche, presenti in quei territori, ma - non dimentichiamolo - vengono fatte saltare in arie anche molte, molte chiese.

D. – Che fare? Sicuramente assicurare sostegno umanitario, in particolare ai rifugiati …

R. – È molto complicato trovare una soluzione a questo problema, perché innanzitutto bisognerebbe sapere con chi trattare… Mi spiego: se si potesse trattare con regimi totalmente democratici o in Stati che sono pacificati, si potrebbe trovare una soluzione nel contenere la fuga di queste persone. È comprensibile che le persone fuggano da queste aree, perché o sono perseguitate per ragioni politiche o per ragioni sia etniche che religiose: quindi è estremamente complicato evitare le fughe. Importante è che l’Onu, su iniziativa di una nazione forte come la Francia, abbia cominciato a far sentire la propria voce: questo è sicuramente un segnale positivo.

D. – Qualcosa da cui cominciare è, per esempio, il traffico di armi…

R. – Ecco, questa era una delle prime cose cui pensavo: la creazione di una rete internazionale di protezione dovrebbe partire anche – mi piacerebbe dire – dal divieto di vendita di armi, ma visto che è purtroppo utopistico, in ogni caso si deve tentare da parte dei governi, soprattutto quelli occidentali, una limitazione nella vendita o un controllo sulle armi che vengono vendute: questo potrebbe essere un primissimo passo verso una possibile soluzione.

D. – Il contesto è quello del Medio Oriente, quindi - sappiamo bene - di grandissima tensione e anche confusione: ma perché sono colpite le minoranze?

R. – Ricordiamo che l’insorgere di un gruppo radicale come l’Is è determinato soprattutto da una guerra civile – chiamiamola così – all’interno del mondo musulmano, in cui un gruppo tenta di prevalere su un altro nel rispetto dell’ortodossia. E questo vuol dire anche colpire, far vedere che si è in grado di colpire, quelli che sono da sempre – naturalmente secondo i loro canoni e le loro visioni – i nemici, gli apostati, le persone che non si vogliono convertire: quindi i cosiddetti crociati, gli ebrei, etc. Ciò naturalmente, in questo momento di instabilità, ha esasperato le parti in causa. Io però al Medio Oriente vorrei aggiungere anche un’altra area che purtroppo viene sempre più trascurata ed è l’Africa: ci sono zone dell’Africa in cui i gruppi radicali si stanno radicando sempre di più, stanno avendo sempre più potere, stanno facendo sempre più proseliti, anche con la forza. Il caso di Boko Haram è naturalmente la punta dell’iceberg e anche questo è un argomento che molte volte viene trascurato.

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Tunisi. Chiude il Forum sociale, marcia contro il terrorismo

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Istituzioni italiane in visita in Tunisia: oggi Matteo Renzi e Laura Boldrini ieri con una delegazione di parlamentari italiani, che ha reso omaggio alle vittime del Bardo visitando il Museo. Sempre a Tunisi in queste ore si sta chiudendo la 13.ma edizione del Forum delle Associazioni del mondo, seguito per noi da Silvia Koch. Ecco alcune delle iniziative circolate durante i lavori: 

Si chiama "watergrabbing.net" ed è una delle più vivaci iniziative condivise durante il Forum qui a Tunisi. Si tratta, spiega Luca Ranieri dell'organizzazione Cospe, di una piattaforma online dove è possibile denunciare tutti i casi di accaparramento illegittimo delle risorse idriche ai danni delle comunità limitrofe, che per natura dovrebbero invece aaverne pieno accesso.

Tribunale per migranti deceduti e dispersi
Passando al filone delle migrazioni, l'idea di un Tribunale internazionale dei popoli per le persone decedute, e per i dispersi in rotta verso l'Europa, è la soluzione proposta dalle associazioni di familiari delle vittime per stimolare, attraverso la creazione di una documentazione riguardo i casi di sopruso, un graduale miglioramento del Diritto nazionale ed internazionale in tema di migrazioni. “Bisogna smettere di parlare di numeri e dare un viso a queste vittime, voce alle loro famiglie, e responsabilità agli Stati che non fanno abbastanza per evitare le morti in mare. "Bisogna fare rete”, ci dice Edda Pando dell'Associazione Arci. E l'invito è lo stesso per tutte le aree tematiche.

I temi del Forum
Sport quale strumento di dialogo e fratellanza, bioenergie e cambiamento climatico, necessità di soluzioni politiche e condanna dell'uso delle armi, economie solidali, le donne protagoniste nella vita sociale e politica, i media e la libertà di stampa, le giovani democrazie nate dalle rivoluzioni a sud del Mediterraneo. E' un mondo che cambia e le istanze del Forum con esso, adattandosi di anno in anno alle nuove esigenze, o rinnovate emergenze. Geograficamente parlando, il Forum si è concentrato sul Nordafrica, con focus su Tunisia, Egitto e Libia, sul Medio Oriente, e parliamo soprattutto di Iraq, Siria, Yemen, Palestina e Afghanistan. Il mondo delle "primavere arabe" è il vero protagonista quest'anno: lo era anche nella precedente edizione, tenuta nel 2013 già in Tunisia, ma proprio quel Forum stimolò l'articolazione di una società civile in una serie di associazioni autonome, oggi attori attivi del cosiddetto movimento Altermondista.

La marcia contro il terrorismo
Partecipano al Forum anche alcuni parlamentari europei, in una delegazione delle Sinistre e dei Verdi, che si è impegnata a farsi promotrice presso le istituzioni di alcune specifiche istanze. I vari coordinamenti tematici sono ora al lavoro per elaborare conclusioni e proposizioni, da rivendicare presso coloro che governano la politica e l'economia mondiali. Ma si riuniranno, fra poco, nel cuore di Tunisi, per esprimere solidarietà al popolo palestinese, in occasione della marcia che per tradizione chiude l'evento del Forum.

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Belletti: in Ddl Cirinnà diritti adulti prevaricano diritti minori

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“Una forzatura ideologica” per trattare realtà diverse come fossero uguali: così il segretario generale della Cei Nunzio Galantino ha definito il Ddl Cirinnà sulle unioni civili, che di fatto le equipara al matrimonio aprendo la strada alle adozioni da parte di persone dello stesso sesso, anche se formalmente limitate ai figli biologici del partner. Il Ddl è stato approvato dalla Commissione giustizia del Senato. Ma come affrontare il tema dei diritti delle persone con tendenze omosessuali? Emanuela Campanile lo ha chiesto a Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari: 

R. – Il tema dei diritti delle persone omosessuali è un tema serio, è un tema che va affrontato bene. Noi assolutamente siamo pronti a sottoscrivere e a sostenere qualunque progetto che difenda i diritti delle persone in queste unioni affettive. Ma da lì a trasformarle in un matrimonio, con responsabilità genitoriali ed assimilarle pienamente all’art. 29 della Costituzione, questo è impensabile! La stessa Corte Costituzionale ha detto che è una posizione troppo squilibrata. Quindi sì ai diritti delle persone in queste relazioni affettive; no assolutamente ad una simulazione del matrimonio. Tra l’altro la proposta Cirinnà è proprio ambigua, intenzionalmente ambigua: non chiama “matrimonio” quello che poi lo diventerà. Le regole che pone il Ddl Cirinnà di fatto già costituiscono un matrimonio tra persone omosessuali. Ma il matrimonio è un’altra cosa: l’istituzione di cui ha bisogno un Paese, il sistema di protezione dell’infanzia esige altre caratteristiche. Bisognerebbe riaprire un dibattito serenamente. Per fortuna il tempo c’è, perché questo passaggio del Disegno di Legge Cirinnà è solo il primo di una lunga serie di dibattiti parlamentari.

D. – Quali sono eventualmente i vostri strumenti per riuscire nelle prossime settimane ad emendare questo testo?

R. - Già nel dibattito parlamentare ci sono alcune proposte di legge che corrispondono a questi criteri, a queste logiche di rispetto della Costituzione. Noi stiamo dialogando con i parlamentari di tutti i partiti, siamo andati in audizione: peccato che la senatrice Cirinnà, quando abbiamo iniziato la nostra audizione, sia palesemente e ostentatamente uscita dall’aula ... A conferma, quindi, di un atteggiamento di totale chiusura all’ascolto con posizioni diverse. Credo che non possiamo lasciare il destino della famiglia a posizioni di questo tipo. Però siamo pronti ad aprire un tavolo di lavoro anche con la senatrice Cirinnà e con tutti coloro che hanno a cuore la questione famiglia e la protezione delle persone che vivono in queste unioni affettive.

D. – Vogliamo spiegare che cosa implica l’apertura alla cosiddetta “adozione interna” alla coppia in questione e che cosa significa?

R. – L’adozione interna o “Stepchild adoption” (adozione del figliastro, ndr) è l’idea che se un bambino è figlio di uno dei due partner di questa unione, l’altro partner può diventarne padre o madre a pieno titolo: quindi viene adottato. Noi, su questo tema, chiediamo che venga costruito un meccanismo che sia più simile all’affidamento o al tutore. Perché altrimenti su questo poi si innesta il fatto che con provvedimenti dei tribunali, con sentenza delle varie corti, si riconosce che la genitorialità può essere tranquillamente affidata a persone delle stesso sesso. Noi crediamo, invece, che – come l’art. 29 della Costituzione e come l’impianto normativo – per educare un bambino servano un maschile e un femminile. La diversità sessuale è decisiva nel garantire al bambino la migliore protezione. E’ anche la logica della legge sull’adozione internazionale: l’adozione internazionale chiede una coppia sposata, una coppia eterosessuale, per dare la migliore condizione possibile a bambini che sono già in difficoltà. Quindi il tema dei figli va custodito, va garantita la continuità delle relazioni educative ed affettive, ma non si può usare questo per introdurre diritti degli adulti sui bambini. Ecco, questo ci preoccupa molto nella logica del Ddl Cirinnà: è come se fosse attento esclusivamente ai diritti assoluti degli adulti. Invece sulla questione bambini, il diritto superiore del minore prevale!

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Teresa d'Avila: una riforma iniziata dalla preghiera

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Santa Teresa d’Avila, di cui si celebra il 500.mo anniversario della nascita, è stata una grande riformatrice all’interno della Chiesa. Ma cosa c’era alla base della sua riforma? Federico Piana lo ha chiesto a padre Jean Joseph Bergara, procuratore generale dei Carmelitani Scalzi: 

R. – La forza della preghiera. La preghiera non tanto come formule che si dicono, ma come un legame innamorato del Signore che ci ama. Per lei, quello che fonda la riforma del Carmelo è ritrovare un legame profondo col Cristo. E tutto inizia da questo legame profondo con Cristo: la relazione con Lui, la relazione con gli altri. Dice: “Pensiamo molto a questo Signore che ci ama tanto”. Per Teresa d’Avila la riforma è soprattutto tornare al centro del nostro cuore, uscendo dalla superficialità e pregando, ma sempre con una finalità apostolica. Non per chiudersi, ma aprendo il Carmelo all’umanità, all’universalità, a tutti quelli che si perdono e che sono lontani da Dio. Anche per le monache di clausura, che vivono in clausura, la loro finalità è l’umanità: è sempre un’apertura per la salvezza di tutti gli uomini. Ma come? Con che mezzi? Quali sono i mezzi? La preghiera, i sacrifici, la comunione con gli altri, con i più piccoli, con quelli che soffrono, offrendo tutta la propria vita per loro. Questo è il metodo, che inizia però con questo legame innamorato con il Signore. Per Teresa d’Avila la preghiera è una relazione innamorata con Gesù.

D. – Il messaggio di Santa Teresa di Gesù è ancora attuale oggi e perché?

R. – Sì, esattamente. Ma perché è attuale? Perché c’è un vuoto dell’umanità, ci sono tanti che cercano un senso alla loro vita. La gente oggi – penso in particolare ai giovani – cerca un amore che dura, che abbia una radicalità e fare un incontro profondo col Signore: un incontro vero col Signore trasforma la vita! Penso che questa radicalità oggi rappresenti giustamente una chiamata. E poi questo dà un senso alla vita: quando uno incontra l’amore della sua vita, la sua vita viene trasformata. In questo senso il Carmelo è una scuola di trasfigurazione, di cambiamento interiore. Teresa d’Avila dice la frase in spagnolo: “Copar con el agua viva”; aver bevuto all’acqua viva, cambia la vita. Quindi penso che tanti abbiano fatto l’esperienza di incontrare veramente Dio in se stessi, sapendo che siamo veramente tempio della Trinità; ma non semplicemente in modo intellettuale, ma con una esperienza vitale, una esperienza di vita, questo trasforma veramente la vita.

D. – In occasione di questo grande anniversario avete lanciato una preghiera mondiale. Ce la vuole raccontare?

R. – E’ un’iniziativa del nostro padre generale, padre Saverio Cannistrà. La missione specifica del Carmelo è quella di pregare per l’umanità. Il nostro padre generale ha proposto a tutto l’Ordine di pregare, anche insieme alle altre religioni – quelli che ovviamente vogliono – e con tutta l’umanità, per la pace, per il dono della pace all’umanità. In tutte le nostre comunità dei padri e delle monache ed anche nell’Ordine secolare nel mondo intero, abbiamo pregato per la pace, proprio in occasione della nascita della santa madre. Ed è stato il Santo Padre Francesco a iniziare la preghiera.

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Bari, al Festival lezione di cinema della regista von Trotta

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Lezione di cinema al Bari Film Festival della regista tedesca, Margarethe von Trotta, che ha anche presentato ieri in anteprima italiana il suo ultimo film “The Misplaced World - Il mondo smarrito”: il coraggio e la forza di una cineasta che ha perseguito in tutta la sua carriera un cinema capace di libertà e di vigore morale e civile. Il servizio da Bari di Luca Pellegrini

Proprio a Düsseldorf, città segnata in questi giorni dalla tragedia del volo schiantatosi contro le Alpi francesi, Margarethe von Trotta a sedici anni entrò in una sala di cinema per il primo film della sua vita: “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica. Vedendolo, quella che poi sarebbe divenuta una delle più affermate registe tedesche - ma lei preferisce dirsi europea - colse “l'importanza della verità e di ciò che diciamo e facciamo con i giovani”. Responsabilità di cui è sempre stata cosciente in tutto il suo cinema, fatto di dolore e coraggio, di contrasti familiari e di impegno politico e civile. Ieri sera, al Festival ha presentato il suo ultimo film, “The Misplaced World”, una storia forte e delicata sulle difficili e dolorose scoperte in una famiglia ove due sorelle, che non sapevano l'una dell'altra, si ritrovano. La regista è stata segnata dalla situazione tedesca del dopo guerra. La sua infanzia si protende in una Germania che lentamente prende coscienza della sua storia, emergendo dalle macerie del nazismo. A Radio Vaticana però replica:

R. - Ma non prende coscienza, è questo il dramma. Nel Dopoguerra, tutti hanno provato a dimenticare. Sì, hanno visto cosa avevano fatto: la distruzione totale, la fame, tutto questo... Ma anche i film che sono stati fatti: c'è un solo film che ha parlato della colpa dei tedeschi, di tutto questo disastro. Perché ci si può lamentare di avere fame e di avere delle case distrutte, ma lo abbiamo fatto noi. Il popolo tedesco ha cominciato la guerra. Dunque, era come una punizione giusta, anche se come bambino tu non sai niente, sei solo la vittima, capisci solo molto dopo che sei parte di un popolo che ha fatto tutti questi crimini.

D. - Nel 2009, lei ha girato un film su una grande mistica cristiana del Medioevo, Hildegarde di Bingen, che Papa Benedetto XVI ha proclamato dottore della Chiesa nel 2012...

R. - Era veramente il tempo di farlo. Io spero che il mio film abbia dato una spinta. Perché lui nella sua giovinezza aveva scritto un lavoro su Hildegard von Bingen. Lei ha dovuto aspettare mille anni... Cosa mi ha affascinato? Che una donna così credente come tutti - nel Medioevo non era pensabile che non si credesse in Dio, che non si credesse nell'Inferno, a Satana - lei ha capito quello che fa bene a lei come donna, ha trovato la sua strada per realizzarlo, sempre pensando che fosse la voce di Dio a ordinarle di fare le cose e invece, era anche la sua voce interiore, del suo inconscio, cioè come si può mescolare la voce di Dio con i tuoi propri desideri. E' questo che mi ha affascinato.

D. - Altri ritratti femminili, importanti, per la cultura e la storia civile, sono stati quelli dedicati a Rosa Luxemburg, Hannah Arendt e altre protagoniste...

R. - Sono dei personaggi straordinari che hanno guardato il mondo con degli occhi sofferenti, da una parte, come Rosa Luxemburg che ha sofferto molto del mondo, ma dall'altra parte non si è ritirata come tanti che soffrono, ma è andata avanti a voler cambiare il mondo. Io sono abbastanza disperata della realtà di oggi, ma non mi ritiro. Non vorrei citare Lutero, ma lui ha detto: “Anche se muoio domani, oggi pianto ancora un albero”. Dunque, per me è questa la mia vita.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella domenica delle Palme, la liturgia ci propone il racconto della Passione tratto dal Vangelo secondo Marco. Gesù dice ai discepoli:

«Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».

Sul significato di questa domenica ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Fin dall’antichità la Chiesa commemora oggi, con la processione delle palme, l’ingresso trionfale del Signore a Gerusalemme, prima della sua passione. E la palma, o il ramo di ulivo, che la tradizione vuole poi presente nelle nostre case durante tutto l’anno, è segno tangibile della passione e morte del Signore e della sua gloriosa risurrezione. Non può essere un gesto banale o solo devozionale, specialmente in questi nostri tempi così significativi per noi cristiani e per la nostra fede. Noi non seguiamo un vincitore, un trionfatore umano, ma neppure un vinto. Seguiamo uno che è risorto dalla morte, perché si è consegnato volontariamente alla morte. Il grido: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”, risuona ancora oggi, come forse mai prima nella storia della Chiesa, contro tanti cristiani, spesso anche dimenticati! Per ben due volte la liturgia ci proporrà in questi giorni la passione del Signore. È l’ora delle tenebre, l’ora della vittoria del male, l’ora in cui Dio stesso sembra aver dimenticato la sua creatura, l’ora che sembra senza speranza alcuna. Ma Dio c’è. Quell’uomo che muore su quei due pezzi di legno è Dio. Dio è lì, sulla croce stessa. Grida all’uomo che non crede, a me ed a te: “Ecco come ama Dio!”. “Ecco fino a che punto ama Dio!”. Facciamo nostra la preghiera di Benedetto XVI alla Vergine della speranza, perché ci aiuti a ritrovare i segni di questa presenza di Dio: “Madre della speranza, che nel buio del sabato santo andasti con incrollabile fiducia incontro al mattino di Pasqua, dona ai tuoi figli la capacità di discernere in  ogni situazione, fosse pure la più buia, i segni della presenza amorosa di Dio” (Benedetto XVI, Preghiera a Nostra Signora di Sheshan – Cina). E faremo Pasqua con il Signore!

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa. Denuncia dei vescovi: perchè imprigionare famiglie immigrate?

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"Dopo questa visita, la mia domanda principale è: perché? Perché mettere in stato di detenzione a queste persone vulnerabili, madri giovani e traumatizzate che, con i loro figli, sono fuggite dalla persecuzione nei loro Paesi di origine?". Lo ha detto mons. Garcia-Siller, vescovo di San Antonio (Texas), dopo che ieri un gruppo di vescovi cattolici e di altri leader religiosi (evangelici e luterani) ha visitato il Centro di detenzione Dilley, nella città dello stesso nome nel Texas. Lo riferisce l'agenzia Fides.

Carattere morale di una società si giudica da come tratta i più vulnerabili
"Una grande nazione come la nostra non ha bisogno di imprigionare i più vulnerabili come forma di deterrenza. Il carattere morale di una società si giudica da come tratta i più vulnerabili. La nostra politica di detenzione delle famiglie è vergognosa e prego le istituzioni di porre fine a questa pratica", ha aggiunto.

La detenzione di famiglie di immigrati, dannosa per i bambini
Mons. Elizondo, presidente della commissione per le migrazioni della Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti (Usccb), ha detto dopo la visita: "La detenzione delle famiglie non ha senso e indebolisce. Risulta particolarmente dannosa per i bambini, che subiscono danni emotivi e psicologici dopo l'arresto. Questa politica è una macchia nella storia dell'amministrazione americana sull'immigrazione". Secondo mons. James Tamayo, vescovo di Laredo, in Texas, esistono alternative alla detenzione: azioni umanitarie che possono essere utilizzate in favore delle persone coinvolte.

Arrestate centinaia di famiglie in fuga dall'America centrale
Dalla scorsa estate, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale (Dhs) ha arrestato centinaia di famiglie, conducendole nei Centri di detenzione in New Mexico, Texas e Pennsylvania, come conseguenza delle nuova politica di detenzione rivolta a quanti fuggono dall'America centrale e attraversano illegalmente la frontiera con gli Stati Uniti. (C.E.)

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Pakistan. Leader cristiani: Commissione d'inchiesta su strage alle chiese

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Leader politici e religiosi chiedono al governo del Punjab di istituire una apposita Commissione di inchiesta sulla strage di Youhanabad, che si occupi sia dell’attentato terroristico del 15 marzo alle due chiese cristiane (18 morti e 91 feriti), sia di individuare i responsabili del linciaggio seguito al massacro, quando una folla di cristiani ha ucciso due sospetti terroristi.

Rabbia e sfrustrazione per violenze impunite contro i cristiani
Come riferisce l'agenzia Fides, un gruppo di leader cristiani rimarca la negligenza nel prevenire la violenza terrorista e i tumulti seguiti. Rabbia e frustrazione sono cresciute a causa dell’impunità che si registra in numerosi casi di violenze sui cristiani, hanno notato. Nei giorni scorsi la polizia ha arrestato oltre 150 sospettati per il linciaggio, molti dei quali “accusati ingiustamente”.

Chiesto al governo più attenzione per cristiani e minoranze religiose
I leader cristiani hanno criticato il Primo Ministro del Punjab Shahbaz Sharif per non aver visitato le famiglie cristiane dopo l'attacco. Nei giorni seguenti, molti residenti cristiani avevano abbandonato le loro case a Youhanabad per paura di rappresaglie, istigate dalle vicine moschee per vendicarsi per il linciaggio. “Il governo deve occuparsi di più dei cristiani e delle minoranze religiose”, hanno detto. “La gente sta gradualmente tornando a Youhanabad”, dice a Fides Joseph Nadeem, cristiano residente nel sobborgo, a capo della “Renaissance Education Foundation” che si occupa dell’istruzione di famiglie povere. “La polizia sta rilasciando molti arrestati. La situazione ora è tranquilla. Speriamo di vivere una Pasqua serena e pacifica”. (P.A.)

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Caritas Nigeria: speranze per il rientro dei rifugiati

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“È stata un’emozione vedere la felicità con la quale i rifugiati hanno accolto i loro vescovi che venivano a visitarli” dice all’agenzia Fides padre Evaristus Bassey, direttore esecutivo di Caritas Nigeria, parlando del dramma del milione di rifugiati e sfollati nigeriani causati dalle violenze di Boko Haram. Padre Evaristus ha fatto parte della delegazione di vescovi nigeriani che ai primi di marzo ha fatto visita ai circa 40.000 rifugiati accolti nel campo di Maroua e in altre parti nel nord del Camerun.

A Yola i profughi ospitati da chiese e famiglie
“Siamo stati accolti da canti e danze di gioia - racconta il sacerdote -. Le stesse scene di gioia le abbiamo vissute quando abbiamo visitato gli sfollati accolti a Yola, ad Abuja e in altre parti della Nigeria”. “Molti dei rifugiati e degli sfollati sono ospitati in strutture della Chiesa - sottolinea padre Evaristus -. Ad esempio, la cattedrale di Santa Teresa a Yola (capitale dello Stato di Adamawa) accoglie circa 270 persone, nella casa del vescovo, nell’oratorio e nella scuola. In altre aree gli sfollati sono ospitati da chiese e da famiglie che hanno aperto le loro case, nonostante il forte fardello economico che questo comporta”.

Tra i rifugiati 40% sono cristiani e 20% musulmani
“Boko Haram è una setta che combatte tutti coloro, anche musulmani, che non aderiscono alla sua ideologia” spiega il sacerdote notando che “tra i rifugiati, il 20% circa sono musulmani, più del 40% cristiani e il resto appartiene alla religione tradizionale africana”. “Per evitare tensioni, e soprattutto per paura della presenza di infiltrati di Boko Haram, i responsabili dei campi di accoglienza non permettono di tenere iniziative a carattere religioso all’interno di queste strutture”.

I rifugiati possono rientrare ma le distruzioni sono enormi
​Il responsabile di Caritas Nigeria racconta di “aver raccolto testimonianze sconvolgenti sulle violenze di Boko Haram, come quella di una donna che ha visto brutalmente uccidere suo marito, rimanendo traumatizzata, o di coloro che hanno visto tagliare la testa al proprio fratello o di persone costrette a camminare per diversi chilometri per trovare rifugio in Camerun. C’è poi il dramma dei bambini separati dai genitori nel corso di fughe caotiche. Abbiamo raccolto testimonianze di reclutamenti forzati nelle file di Boko Haram, a volta facendo uso di droghe per indebolire la volontà dei giovani cristiani da reclutare. Molti di questi però, alla prima occasione, cercano di scappare”. “Ora che l’esercito nigeriano sta liberando le aree occupate da Boko Haram c’è la speranza di far ritornare gli sfollati nelle loro case, ma ci vorrà del tempo, perché le distruzioni sono enormi” conclude padre Evaristus. (L.M.)

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Filippine: anche la Chiesa esaminerà accordi per Mindanao

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Il Presidente Benigno Aquino ha chiamato i cardinali Luis Antonio Tagle e Orlando Quevedo e il presidente della Conferenza episcopale filippina, mons., Socrates Villegas, a fare parte della speciale commissione incaricata di esaminare il Bangsamoro Basic Law (Bbl), l’accordo di pace siglato un anno fa tra il Governo filippino e il gruppo ribelle “Moro Islamic Liberation Front” (Milf) che attende ancora di essere ratificato. Lo ha annunciato ieri lo stesso Capo dello Stato in un discorso alla nazione, in cui ha indicato anche i nomi degli altri membri della commissione.

Processo di pace messo in forse dalle recente ripresa delle violenze
Si tratta di personalità autorevoli e indipendenti che dovranno valutare i termini dell’intesa raggiunta nel 2014 per porre fine all’annoso conflitto armato tra il Governo centrale di Manila e gli indipendentisti musulmani e promuovere pace e stabilità a Mindanao, teatro anche nelle scorse settimane di nuovi scontri. Proprio la ripresa delle violenze ha rimesso in forse il processo di pace nelle Filippine del sud. Dopo l’uccisione il 25 gennaio di 43 poliziotti caduti in uno scontro a fuoco con le milizie del Milf e del Biff (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters) a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, è infatti cresciuta nell’opinione pubblica l’ostilità al processo di pace che continua invece ad essere sostenuto con convinzione dalla Chiesa locale.

L’appello dei leader cristiani e musulmani di Mindanao
Un appello a rilanciare l’impegno per la pace e a restituire un “clima di riconciliazione” nel sud del Filippine è venuto in questi giorni dai leader del Consiglio interreligioso (Ifcl) che fa capo al Silsilah, il movimento fondato nel 1984 dal missionario Pime padre Sebastiano d’Ambra per promuovere il dialogo islamo-cristiano. I leader cristiani e musulmani di Mindanao hanno sottolineato che le parti in causa devono mostrare più aperture al compromesso e hanno esortato le varie anime che compongono la galassia ribelle filo-islamica delle Filippine a trovare un punto comune e collaborare, parlando a una sola voce, per favorire i negoziati e costruire una società “pluralista” a Mindanao. (L.Z.)

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Cile. Card. Ezzati: preghiera e aiuto per vittime alluvione

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“Morti, decine di dispersi, centinaia di persone danneggiate, migliaia di rifugiati. Il desolante panorama degli ultimi giorni nel nord del nostro Paese, non può lasciarci indifferenti. In questi giorni, noi cristiani ci prepariamo a vivere la Settimana Santa”. Lo ha scritto in una lettera l’arcivescovo di Santiago del Cile, il card. Ricardo Ezzati Andrello, dopo l’alluvione che ha colpito il nord del Paese. Il porporato invita a “guardare l’esempio di consegna di Gesù” per “offrire solidarietà ai fratelli che soffrono”. 

Il porporato chiede di guardare al dolore dei fratelli colpiti dall'alluvione
Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ricorda che “la nostra vicaria di pastorale sociale e dei lavoratori sta dando impulso a uno sforzo per raccogliere contributi che si aggiungeranno alla rete di solidarietà nazionale che coordina Caritas Cile, per aiutare coloro che hanno subito danni. Invito, pertanto, tutte le comunità di Santiago ad unirsi a questo sforzo”. “Gesù, che ha dato la sua vita in modo che tutti l’abbiano in abbondanza, ci spinge oggi a guardare il dolore dei nostri fratelli aprendo per loro i nostri cuori e le nostre mani: sono i nostri fratelli, lo stesso Cristo che vive in loro”, aggiunge. Infine, l’invito a pregare “per i defunti, le loro famiglie e chi continua a soffrire” e anche “per chi guida le operazioni di soccorso, le autorità e i volontari: ‘In tempi cattivi, un cuore solidale’”. (R.P.)

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Nord Irlanda: leader delle Chiese sostengono processo di pace

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“Come cristiani abbiamo una responsabilità particolare di essere agenti di riconciliazione nelle nostre comunità, diffondere messaggi di speranza e portare guarigione a coloro che soffrono”. E’ l’impegno scaturito dalla conferenza ecumenica “Costruire la pace con la fede”, conclusasi ieri a Belfast e organizzata dal Progetto di pace delle Chiese irlandesi (Icpp), un organismo nato nel 2013 che riunisce le principali Chiese cristiane dell’Irlanda del Nord (cattolica, presbiteriana, anglicana e metodista) per promuovere la riconciliazione tra le diverse comunità religiose della provincia, dopo quasi tre decenni di violenze.

L’impegno delle Chiese a facilitare a vari livelli un dialogo inclusivo
A 17 anni dalla firma dello storico Accordo del Venerdì Santo che nel 1998 ha avviato il lungo processo di pace – rileva una dichiarazione congiunta diffusa oggi - l’Irlanda del Nord deve ancora confrontarsi oggi con una “continua instabilità politica”. Consapevoli “dell’impatto che la perdurante divisione nella nostra società” ha su tale processo di pace e che oggi “si manifesta in molteplici forme di esclusione” e delle “diseguaglianze socio-economiche” che possono minare la coesione sociale, i leader cristiani nord-irlandesi ribadiscono quindi il loro impegno “a costruire nuove relazioni” e a facilitare a vari livelli “un dialogo veramente inclusivo per il tipo di futuro che vogliamo per le nostre comunità locali”. In questo essi si dicono “incoraggiati dall’entusiasmo e dall’apertura mostrata dalle Chiese locali al progetto”, reso possibile dalla collaborazione della società civile, delle le comunità locali e dei leader politici. Particolare gratitudine viene espressa ai volontari che hanno dedicato all’iniziativa tempo ed energie.

Tre sessioni
L’incontro di Belfast, è stato articolato in tre sessioni principali. La prima, giovedì, è stata dedicata al “Percorso personale e collettivo verso la riconciliazione”, con l’ascolto di testimonianze dal Rwanda, mentre ieri mattina si è riflettuto sul “Ruolo delle Chiese nel sanare divisioni storiche” e ha dato spazio alle esperienze della Conferenza episcopale tedesca. Al centro della sessione pomeridiana di ieri “La riconciliazione: una sfida alle e per le Chiese”, con la partecipazione Terry Waite, negoziatore per il rilascio di ostaggi in alcune aree critiche come l’Iran e la Libia e protagonista negli anni ’80 di un lungo rapimento in Libano. (A cura di Lisa Zengarini)

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Svizzera: vescovi contro espulsione cristiani dal Medio Oriente

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“Un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà” affinché i cristiani del Medio Oriente non siano costretti a lasciare “la loro patria”: è quanto scrivono, in una nota, i vescovi e gli abati territoriali della Chiesa svizzera, in occasione della Settimana Santa. “È con il cuore gonfio di tristezza – si legge nella nota - che guardiamo al Medio Oriente. Non possiamo non vedere l’emergenza degli sfollati, le violenze e le sofferenze di un numero troppo grande di persone. Ed è con grande preoccupazione che assistiamo al protrarsi dei conflitti; siamo profondamente delusi dal fatto che la disponibilità a trovare una soluzione dipenda fortemente dagli interessi di parte e da fattori politico economici”.

Rispettare libertà, giustizia ed umanità del prossimo
“Il senso di umanità, di responsabilità per la collettività, l’amore del prossimo, la libertà e la giustizia – sottolineano i presuli - sono valori da rispettare anche e soprattutto in Medio Oriente, culla della nostra fede”. Di qui, il richiamo all’importanza di sostenere le istituzioni ecclesiali che spesso rappresentano “un barlume di speranza anche nei momenti bui”. Per questo, i vescovi elvetici ricordano la Colletta della Settimana Santa, sostenuta da molti anni dall’Associazione svizzera di Terra Santa e dalla Custodia francescana, ed esortano i fedeli ad essere “solidali e profondamente uniti ai fratelli e alle sorelle dei Paesi in cui è nato il Cristianesimo” ed a mostrarsi “generosi nei confronti dei cristiani del Medio Oriente”, con “offerte e preghiere”.

Andare incontro ai fratelli del Medio Oriente
“Anche se in questo momento non è possibile recarsi in alcuni di quei Paesi e quindi visitare certi luoghi santi – continua la nota - vorremmo incoraggiarvi ad andare con gruppi e parrocchiani ad ammirare i preziosi tesori delle Chiese orientali che sono anche qui da noi e incontrare questi fratelli e queste sorelle in Cristo, così da conoscere le loro tradizioni e saperne di più sui loro luoghi d’origine. “Possa – è l’auspicio finale dei presuli svizzeri - su questa regione martoriata, scendere la benedizione di Dio e portare la tanto sospirata riconciliazione”. (I.P.)

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Belgio: Marcia per la vita a Bruxelles

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Si tiene domani a Bruxelles la Marcia per la vita per sensibilizzare, anche con una campagna d’informazione, l’opinione pubblica al tema del rispetto per la vita “dal suo concepimento alla morte naturale”. I promotori dell’iniziativa - riferisce l'agenzia Sir - spiegano che la Marcia è promossa ogni anno e riunisce tutti coloro che “a prescindere dalla loro opinione religiosa”, vogliono “esprimere la loro opposizione all’aborto e all’eutanasia”. 

Marcia contro l'aborto: nel 96% dei casi sono bambini Down
La legislazione belga autorizza l’aborto fino alla 12ma settimana mentre nei Paesi Bassi questo periodo della gestazione arriva a 22 settimane, ragione per la quale un migliaio di donne belghe ogni anno si recano nel Paese confinante per abortire. “In Belgio ci sono 116 aborti ogni giorno lavorativo” e, ancora, “il 96% dei casi sono bambini con sindrome di Down”: sono alcuni degli slogan utilizzati per la campagna di sensibilizzazione che gli organizzatori della Marcia utilizzeranno per coscientizzare l’opinione pubblica sulla realtà dell’aborto” e far reagire i politici ai quali si chiedono anche “politiche di aiuto” alle persone in difficoltà. L’appuntamento di domani è alle 14 a Mont des Arts, Bruxelles. (R.P.)

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Domani torna l'ora legale

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Alle ore 2.00 di questa notte entrerà in vigore l’ora estiva europea, con conseguente spostamento di un’ora in avanti delle lancette degli orologi.  L’ora legale resterà in vigore fino alla notte tra il 24 e il 25 ottobre. Non vi saranno cambiamenti di rilievo per il nostro Radiogiornale, che andrà in onda alle stesse ore.

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 87

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.