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Sommario del 04/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: perdonare in famiglia rende meno spietata la società

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Se si impara il perdono reciproco in famiglia, a chiedere scusa prima che sia troppo tardi, si rende più “solida” la famiglia stessa e “e meno crudele la società”. Il Papa ha rilanciato questo insegnamento nella catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro. Che il prossimo Giubileo, ha concluso Francesco, insegni sempre più alle famiglie “a costruire strade concrete di riconciliazione”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Società che sono un deserto piuttosto esteso di malanimo, di visioni negative che non salvano nulla e nessuno e che non di rado sfociano in odio più o meno dichiarato, società che Francesco non esita a definire spietate. E in mezzo a tale aridità, l’oasi di quelle famiglie che, insegnando il perdono al loro interno, lo esportano come un antidoto al di fuori, migliorando il vissuto degli altri.

La grande palestra del perdono
Famiglie del genere, spiega il Papa alla folla dell’udienza generale, sono in fondo la traduzione pratica del “rimetti a noi i nostri debiti” del “Padre Nostro”. Sono “una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco, senza il quale – assicura – nessun amore può durare a lungo”:

“Non si può vivere senza perdonarsi, o almeno non si può vivere bene, specialmente in famiglia. Ogni giorno ci facciamo dei torti l’uno con l’altro. Dobbiamo mettere in conto questi sbagli, dovuti alla nostra fragilità e al nostro egoismo. Quello che però ci viene chiesto è di guarire subito le ferite che ci facciamo, di ritessere immediatamente i fili che rompiamo nella famiglia. Se aspettiamo troppo, tutto diventa più difficile”.

Il segreto “semplice”: chiedere subito scusa
Non è difficile invece il “segreto” del sapersi perdonare, dice Francesco, perché si basa su una semplice parola di cinque lettere, che mamme, papà, figli, nonni possono imparare a scambiarsi quando serve, un semplice “scusa”:

“Se impariamo a chiederci subito scusa e a donarci il reciproco perdono, guariscono le ferite, il matrimonio si irrobustisce, e la famiglia diventa una casa sempre più solida, che resiste alle scosse delle nostre piccole e grandi cattiverie. E per questo non è necessario farsi un grande discorso, ma è sufficiente una carezza: una carezza ed è finito tutto e rincomincia. Ma non finire la giornata in guerra! Capito?”.

Il perdono “ovunque”
Il bello e il vantaggio di imparare a chiedersi scusa in famiglia – sottolinea Francesco – è che si è spinti a farlo anche all’esterno, “dovunque ci troviamo”. Il Papa comprende lo scetticismo di chi, “anche tra i cristiani”, ritiene il perdono “un’esagerazione”, “belle parole” impossibili da “metterle in pratica”. “Grazie a Dio non è così”, obietta, perché “è proprio ricevendo il perdono da Dio che, a nostra volta, siamo capaci di perdono verso gli altri”:

“Fa parte della vocazione e della missione della famiglia la capacità di perdonare e di perdonarsi. La pratica del perdono non solo salva le famiglie dalla divisione, ma le rende capaci di aiutare la società ad essere meno cattiva e meno crudele. Sì, ogni gesto di perdono ripara la casa dalle crepe e rinsalda le sue mura”.

Famiglia e Giubileo
La famiglia è tema di quel Sinodo appena terminato, del quale Francesco dice di aver voluto che ne fosse pubblicato il testo “perché tutti fossero partecipi del lavoro” degli ultimi due anni, anche se sulle sue “conclusioni”, soggiunge, “devo io stesso meditare”. Ma è anche tema giubilare e lo sguardo del Papa si spinge all’Anno Santo con un augurio che è anche una preghiera, rivolta a quelle famiglie la cui fede e il cui perdono può aiutare a crescere anche la “grande famiglia della Chiesa”:

“Davvero le famiglie cristiane possono fare molto per la società di oggi, e anche per la Chiesa. Per questo desidero che nel Giubileo della Misericordia le famiglie riscoprano il tesoro del perdono reciproco. Preghiamo perché le famiglie siano sempre più capaci di vivere e di costruire strade concrete di riconciliazione, dove nessuno si senta abbandonato al peso dei suoi debiti”.

Solidarietà con i cristiani sofferenti in Medio Oriente e nel mondo
Da sottolineare, al momento dei saluti ai gruppi di varie parti del mondo, le parole rivolte da Francesco ai fedeli polacchi la cui Chiesa locale celebrerà domenica prossima la “Giornata della Solidarietà con la Chiesa Perseguitata”, promossa dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre e dedicata in particolare ai cristiani in Siria. “La vostra opera di preghiera e di solidarietà – è stato l’auspicio del Papa – porti sollievo e supporto ai fratelli e sorelle sofferenti per Cristo in Medio Oriente e in tutto il mondo”.

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Lombardi: Vaticano prosegue senza incertezze strada buona amministrazione

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Il Vaticano sta procedendo senza incertezze sulla strada della trasparenza e della buona amministrazione: è quanto afferma il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in risposta alla pubblicazione di due libri che, attingendo a documenti riservati, vorrebbero dimostrare il contrario. Pubblichiamo di seguito alcune riflessioni di padre Lombardi seguite da una sua risposta a domande di giornalisti a proposito di indagini in corso in Vaticano:

Pubblicazione libri risultato di attività illecita
La pubblicazione di due libri che hanno per argomento istituzioni ed attività economiche e finanziarie vaticane è oggetto di curiosità e di commenti largamente diffusi. Facciamo alcune osservazioni. Com’è noto, una buona parte di ciò che è stato pubblicato è il risultato di una divulgazione di notizie e documenti di per sé riservati e quindi di un’attività illecita che viene quindi perseguita penalmente con decisione dalle competenti autorità vaticane. Ma non è di questo che vogliamo ora parlare, dato che è già oggetto di molta attenzione.

In buona parte informazioni già note
Ci interessa ora riflettere piuttosto sul contenuto delle divulgazioni. Si può dire che in buona parte si tratta di informazioni già note, anche se spesso con minore ampiezza e dettaglio, ma soprattutto va notato che la documentazione pubblicata è perlopiù relativa a un notevole impegno di raccolta di dati e di informazioni messa in moto dal Santo Padre stesso per svolgere uno studio e una riflessione di riforma e miglioramento della situazione amministrativa del Vaticano e della Santa Sede. 

Gran parte informazioni dall'archivio della COSEA 
La COSEA (Commissione Referente di Studio e Indirizzo sull’Organizzazione delle Strutture Economico-Amministrative della Santa Sede) dal cui archivio proviene buona parte della informazione pubblicata, era stata infatti istituita dal Papa il 18 luglio 2013 a tale scopo e poi sciolta dopo il compimento del suo incarico. Non si tratta quindi di informazioni ottenute in origine contro la volontà del Papa o dei responsabili delle diverse istituzioni, ma generalmente di informazioni ottenute o fornite con la collaborazione di queste stesse istituzioni, per concorrere allo scopo positivo comune.

Letture diverse a partire dagli stessi dati
Naturalmente, una gran quantità di informazioni di tal genere va studiata, compresa e interpretata con cura, equilibrio e attenzione. Spesso sono possibili letture diverse a partire dagli stessi dati.

Il caso del Fondo Pensioni: dal buco alla lettura rassicurante
Un esempio è quello della situazione del Fondo Pensioni, sul quale sono state espresse in successione di tempo valutazioni molto diverse, da quelle che parlano con preoccupazione di un grande “buco”, a quelle che forniscono invece una lettura rassicurante (come risultava nei Comunicati ufficiali autorevolmente pubblicati tramite la Sala Stampa della Santa Sede).

Origine dei beni della Chiesa
Com’è ovvio vi è poi tutto il discorso sulle finalità e gli impieghi dei beni che appartengono alla Santa Sede. Beni che presi nel loro complesso si presentano come ingenti, sono in realtà finalizzati a sostenere nel tempo attività di servizio vastissime gestite dalla Santa Sede o istituzioni connesse, sia a Roma, sia nelle diverse parti del mondo. Le origini delle proprietà di questi beni sono varie, e vi sono a disposizione da tempo anche strumenti adatti per conoscerne la storia e gli sviluppi (ad esempio, è bene informarsi sugli accordi economici fra Italia e Santa Sede nel contesto dei Patti Lateranensi e sulla opera di impostazione di una efficace amministrazione, svolta da Pio XI con l’aiuto di ottimi ed esperti collaboratori, opera comunemente riconosciuta come saggia e lungimirante anche negli aspetti di investimenti all’estero e non solo a Roma o in Italia).

Obolo di San Pietro: finalità varie
Per quanto riguarda l’Obolo di San Pietro è necessario osservare che i suoi impieghi sono vari, anche a seconda delle situazioni, a giudizio del Santo Padre, a cui l’obolo viene dato con fiducia dai fedeli per sostenere il suo ministero. Le opere di carità del Papa per i poveri sono certamente una delle finalità essenziali, ma non è certo intenzione dei fedeli escludere che il Papa possa valutare egli stesso le urgenze e il modo di rispondervi, alla luce del suo servizio per il bene della Chiesa universale. Il servizio del Papa comprende anche la Curia Romana – in quanto strumento del suo servizio -, le sue iniziative fuori della Diocesi di Roma, la comunicazione del suo magistero per i fedeli nelle diverse parti del mondo anche povere e lontane, l’appoggio alle 180 rappresentanze diplomatiche pontificie sparse nel mondo, che servono le Chiese locali e intervengono come gli agenti principali per distribuire la carità del Papa nei diversi paesi, oltre che come rappresentanti del Papa presso i governi locali. La storia dell’Obolo dimostra tutto ciò con chiarezza.

Riconoscere il molto che è del tutto giustificato da illegalità da eliminare
Nel corso del tempo queste tematiche ritornano periodicamente, ma sono sempre occasione di curiosità o di polemiche. Bisognerebbe avere la serietà per approfondire le situazioni e i problemi specifici, in modo da saper riconoscere il molto (assai più di quanto generalmente non si dica, e sistematicamente taciuto dal genere di pubblicazioni di cui stiamo parlando) che è del tutto giustificato e normale e ben amministrato (compreso il pagamento delle tasse dovute) e distinguere dove si trovano inconvenienti da correggere, oscurità da illuminare, vere scorrettezze o illegalità da eliminare.

Lavoro complesso tuttora in corso
Proprio a questo è indirizzato il faticoso e complesso lavoro iniziato per impulso del Papa con la costituzione della COSEA, che ha compiuto da tempo il suo lavoro, e con le decisioni e iniziative che sono tuttora in corso di sviluppo e attuazione (e che almeno in parte sono seguite appunto a raccomandazioni della stessa COSEA alla fine del suo lavoro). La riorganizzazione dei Dicasteri economici, la nomina del Revisore generale, il funzionamento regolare delle istituzioni competenti per il controllo delle attività economiche e finanziarie, ecc., sono una realtà oggettiva e incontrovertibile.

Informazioni legate a fase lavoro ormai superata
Una pubblicazione alla rinfusa di una grande quantità di informazioni differenti, in gran parte legate a una fase del lavoro ormai superata, senza la necessaria possibilità di approfondimento e valutazione obiettiva raggiunge invece il risultato – purtroppo in buona parte voluto – di creare l’impressione contraria, di un regno permanente della confusione, della non trasparenza se non addirittura del perseguimento di interessi particolari o scorretti.

La strada della buona amministrazione procede senza incertezze
Naturalmente ciò non rende in alcun modo ragione al coraggio e all’impegno con cui il Papa e i suoi collaboratori hanno affrontato e continuano ad affrontare la sfida di un miglioramento dell’uso dei beni temporali al servizio di quelli spirituali. Questo invece è ciò che andrebbe maggiormente apprezzato e incoraggiato in un corretto lavoro di informazione per rispondere adeguatamente alle attese del pubblico e alle esigenze della verità. La strada della buona amministrazione, della correttezza e della trasparenza, continua e procede senza incertezze. E’ questa evidentemente la volontà di Papa Francesco e non manca certo in Vaticano chi vi collabora con piena lealtà e con tutte le sue forze.

Risposta di padre Lombardi a domande di giornalisti a proposito di indagini in corso in Vaticano
L’Ufficio del Promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, a seguito di un rapporto dell’Autorità di Informazione Finanziaria, nel mese di febbraio 2015 ha avviato le indagini relative ad operazioni di compravendita di titoli e transazioni riconducibili al Sig. Gianpietro Nattino. Il medesimo Ufficio ha richiesto la collaborazione dell’Autorità giudiziaria italiana e svizzera mediante lettere rogatorie inoltrate per vie diplomatiche il 7 agosto 2015.

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Papa a Firenze: l’attesa dei malati e dei volontari delle misericordie

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Mancano ormai pochi giorni alla visita di Papa Francesco a Prato e Firenze, il prossimo 10 novembre. Momento culminante sarà il discorso che il Pontefice rivolgerà ai partecipanti al Convegno Nazionale Ecclesiale, ma non mancheranno momenti di incontro con la popolazione e in particolare con i più bisognosi. Alessandro Gisotti ha chiesto al provveditore della Misericordia di Firenze, Andrea Ceccherini, di soffermarsi sull’attesa per l’incontro di Francesco con i malati nella Basilica della Santissima Annunziata: 

R. – Sua Santità ha voluto fortemente questo momento con i malati alla Santissima Annunziata. Devo dire che arriva proprio al cuore della sofferenza: quei 30 malati che saranno lì presenti sono veramente persone con gravi patologie. E quindi il fatto di poter pregare, di fronte alla Madonna – il Santo Padre insieme ai malati – la Santissima Annunziata, credo sia un grandissimo messaggio.

D. – Pensate che un gesto come questo possa anche dare coraggio ai malati, da una parte, e incoraggiare invece gli altri magari a dare una mano a chi soffre, a chi è ammalato?

R. – Sì, certamente. Noi come associazione di volontariato – come Misericordia di Firenze – con oltre 770 anni di attività siamo tutti i giorni a contatto con la sofferenza. Tutti i giorni siamo con queste persone che hanno gravi patologie. Sapere che c’è sia il Santo Padre, ma anche dei semplici volontari e persone vicine ai malati, a portare loro un attimo di sollievo – anche una carezza, un semplice parlare – vuol dire capire il cuore di queste persone, che sanno comunque di poter contare, in questo caso nel Santo Padre, ma anche sui semplici volontari che dedicano un po’ del loro tempo a queste persone. C’è una grande emozione in tutto questo.

D. – Oltre alla Santissima Annunziata ci saranno anche molti malati allo stadio, dove il Papa celebrerà la Messa. Anche qui c’è un grande impegno della Misericordia insieme all’Unitalsi…

R. – Sì, è vero. Questa è una cosa veramente emozionante, ma soprattutto è un grande impegno che non abbiamo mai affrontato. Insieme agli amici dell’Unitalsi saremo in grado di portare allo stadio circa 1.500 disabili – persone che sono in carrozzina e qualcuno anche allettato – e posso dire che abbiamo una partecipazione incredibile di confratelli della Misericordia e di volontari dell’Unitalsi.

D. – Il Giubileo della Misericordia è vicino: il primo pensiero va proprio a chi soffre, come i malati con cui voi avete ogni giorno esperienze di vita…

R. – Questo a noi dà forza: sapere che il Santo Padre indice un Anno straordinario della Misericordia – un Anno Santo così forte – per noi persone, uomini di Misericordia, ci dà veramente un grande sollievo e un entusiasmo per poter continuare ad andare avanti. San Giovanni Paolo II, in un’udienza a tutte le Misericordie in Piazza San Pietro, ci affidò il compito di portare avanti la “civiltà dell’amore” – “siete i destinatari della civiltà dell’amore” – ora Papa Francesco, qui a Firenze, ribadisce questo forte concetto.

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Ospedale Bambino Gesù: Parolin nomina nuovi consiglieri, si volta pagina

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La Fondazione Bambino Gesù volta pagina. Si è riunito questa mattina a Roma per la prima volta il nuovo Consiglio direttivo della Onlus dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede, nominato direttamente dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Nuovi consiglieri, nuovo statuto e nuova mission: "Un obiettivo – dichiara la presidente Mariella Enoc – cui ho lavorato fin dal primo giorno del mio insediamento per garantire trasparenza, solidarietà e innovazione".

Nuovi consiglieri
I nuovi consiglieri sono sette, compresa la presidente Enoc: Pietro Brunetti, Ferruccio De Bortoli, Maria Bianca Farina, Caterina Sansone, Anna Maria Tarantola e Antonio Zanardi Landi.

Mariella Enoc: la Fondazione sarà una casa di vetro
"Ringrazio il cardinale segretario di Stato – dichiara Mariella Enoc - che mi è stato vicino e mi ha sostenuto in questo lungo percorso di riforma, che si inaugura formalmente oggi con la prima riunione del Consiglio direttivo e l'approvazione del nuovo Statuto. Ringrazio le persone che hanno accettato di far parte di questa avventura, che volta decisamente pagina rispetto al passato. La Fondazione sarà una casa di vetro che avrà il compito di raccogliere fondi per l’Ospedale da destinare alla ricerca, all’innovazione, alle iniziative di solidarietà anche in campo internazionale".

Parolin: alto profilo dei consiglieri
Non potendo essere presente di persona alla riunione, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha rivolto ai membri del Consiglio un messaggio di vicinanza e ringraziamento "per aver accettato questo non facile compito, mossi da quel nobile spirito di servizio, umile e disinteressato, che deve contraddistinguere i discepoli di Gesù e, nel nostro caso, quanti lavorano, ai diversi livelli, nell’Ospedale del Papa. Non dubito che questi sentimenti, insieme all’alto profilo morale e professionale che vi contraddistingue, vi saranno di efficace aiuto nello svolgimento della missione che è affidata alla Fondazione e alla quale voi siete chiamati a dare volto e contenuti concreti".

Attività completamente rinnovata
"Oggi" prosegue il cardinale, la Fondazione Bambino Gesù Onlus inizia la sua attività "completamente rinnovata". "Per questo – aggiunge - vi esprimo il mio sostegno e il mio fraterno incoraggiamento. E, soprattutto, vi assicuro la mia preghiera.  Credo che, insieme tra noi e insieme alle migliaia di persone che guardano all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con profonda simpatia e speranza, potremo davvero trasformarlo in quella 'grande opera di carità' che Papa Francesco, sulla scia dei suoi Predecessori, desidera sia e diventi sempre più".

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Mons. Auza: combattere le discriminazioni per un mondo più giusto

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“Razzismo, discriminazione razziale e xenofobia sono un grave affronto alla dignità umana e sono ostacoli imperdonabili alla costruzione di una comunità internazionale impegnata nella promozione dei diritti umani”. Lo ha detto mons. Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York,, parlando ieri alla 70.ma Assemblea Generale dell’Onu.  La dignità umana, ha spiegato, appartiene a ogni essere umano senza distinzione di razza, sesso, origine nazionale o etnica, religione.

Nel mondo, ha ricordato il presule, ci sono attualmente oltre 60 milioni tra rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni, risultato di guerre e persecuzioni. Quindici nuovi conflitti sono scoppiati o si sono riaccesi negli ultimi cinque anni, mentre altri restano irrisolti. Ciò che spaventa di più, ha poi osservato, è che sembra non esserci fine. Pur consapevole delle difficoltà legate alle migrazioni e agli esodi forzati di massa, mons. Auza,  ha però sollecitato a guardare al volto umano della migrazione e a “riconoscere i migranti come fratelli esseri umani, con la stessa dignità e gli stessi diritti di tutti”.

L’osservatore ha quindi chiesto di non etichettare l’altro come “una minaccia al nostro sistema di vita” e di far sì che le crisi possano tramutarsi in opportunità per realizzare un mondo più fraterno e più giusto per tutti. Mons. Auza ha ricordato anche i crimini commessi contro le minoranze religiose ed etniche ed ha lanciato l’appello della Santa Sede alla comunità internazionale affinché “faccia tutto ciò in suo possesso per fermare la violenza di attori non statali che non vogliono altro che violare i diritti umani fondamentali”.

Un invito è stato inoltre rivolto a Stati e governi affinché riconsiderino eventuali leggi nazionali che potrebbero essere all’origine di xenofobia, discriminazione etnica e religiosa, e persino di violenza. E poi agli uomini di religione affinché si rispettino e alimentino dialogo e cooperazione.

“Le discriminazioni razziali, la xenofobia e l’intolleranza – è stata la conclusione di mons. Auza – non  hanno luogo in un mondo impegnato per la pace, un autentico pluralismo e il bene comune di tutta l’umanità”.

L’Osservatore della Santa Sede, il giorno precedente, 2 novembre, sempre di fronte alla 70ma Assemblea generale, era intervenuto su ‘Sviluppo agricolo, sicurezza alimentare e nutrizione’, sottolineando che: “Nonostante gli sviluppi e i successi che in 25 anni hanno fatto uscire dalla fame 215 milioni di persone , e che hanno permesso al 55% dei 129 Paesi in via di sviluppo di raggiungere l’Obiettivo del millennio di dimezzare la malnutrizione, i progressi attuali per ridurre la fame restano ancora diseguali”. 800 milioni di persone continuano a soffrire la fame cronica, la maggior parte delle quali si trovano nel sud-est asiatico e nei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Riuscire a raggiungere uno degli Obiettivi di Sviluppo sostenibile, quello di sconfiggere la fame entro 2030, sarà possibile solo in società pacificate, sono state la parole di Auza, ne è una prova il mancato raggiungimento degli Obiettivi del millennio da parte di Paesi in conflitto.

“Non possiamo dimenticare che la fame, come tutte le forme di povertà, è esacerbata dalla esclusione”, ha continuato, si potranno quindi eliminare fame e insicurezza alimentare “promuovendo inclusione e solidarietà”. Sconfiggere fame e malnutrizione non è solo una sfida dalle  dimensioni economiche e politiche, ma è soprattutto etica e antropologica. Nel mondo ci sono oltre 500 milioni di aziende a conduzione familiare, la maggior parte delle quali appartenenti a contadini, popolazioni indigene, comunità tradizionali, e altri gruppi rurali. Loro sono una importante parte della soluzione per un mondo libero da povertà e fame. Ed è nella famiglia, è stata quindi la conclusione di mons. Auza, “che si impara a prendersi cura l’uno dell’altro, ad amare l’armonia del creato sostenibile, ed a custodire la nostra casa comune”. (A cura di Francesca Sabatinelli)

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Convegno a 50 anni dal Decreto conciliare su missione dei laici

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Il prossimo 10 novembre si terrà a Roma, presso l’Aula Magna “Giovanni Paolo II” della Pontificia Università della Santa Croce, la Giornata di Studio dal titolo “Vocazione e missione dei laici. A cinquant’anni dal decreto "Apostolicam actuositatem”. Con questo evento il Pontificio Consiglio per i Laici intende celebrare l’anniversario della promulgazione del decreto conciliare (il 18 novembre 1965) che, nel contesto del Concilio Vaticano II, ha rilanciato l’importanza della vocazione e della missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo.

Fu proprio l’autorevole auspicio formulato in tale decreto di vedere costituito “presso la Santa Sede uno speciale segretariato per il servizio e l’impulso dell’apostolato dei laici” che diede vita a quello che è oggi il Pontificio Consiglio per i Laici, che opera al servizio del Santo Padre per la promozione del laicato nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.

Con questa Giornata di studio, il dicastero vuole anche proporre una riflessione sullo stato attuale del pensiero teologico e della prassi pastorale in relazione al laicato, cercando di confrontarsi con le grandi sfide che interpellano i fedeli laici nel contesto sociale e culturale odierno, anche in considerazione delle continue sollecitazioni in tal senso presenti nel Magistero di Papa Francesco ed in particolare nella Esortazione Apostolica Evangelii gaudium.

Parteciperanno, in qualità di relatori, autorevoli esperti provenienti da diversi Paesi del mondo. I lavori si apriranno con la relazione del reverendo prof. Philip Goyret, docente universitario di ecclesiologia, che traccerà un quadro di sfondo sulle novità dell’insegnamento del Concilio Vaticano II sui fedeli laici; seguirà un intervento a due voci in cui il reverendo prof. Arturo Cattaneo della facoltà teologica di Lugano e il prof. Guzmán M. Carriquiry Lecour, segretario incaricato della vice-presidenza della Pontificia Commissione per l’America Latina, analizzeranno aspetti teologici ed ecclesiologici inerenti all’identità e alla missione del laicato nella Chiesa e nel mondo, dal Concilio Vaticano II ad oggi.

Nel pomeriggio, il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, approfondirà il tema del ruolo dei laici di fronte alle sfide antropologiche contemporanee. Seguirà un panel in cui diversi esperti (la dott.ssa Costanza Miriano, giornalista, il prof. Franco Nembrini, docente di letteratura italiana, il sig. Michel Roy, segretario generale di Caritas Internazionalis, la prof.ssa Paola Binetti, psichiatra e deputata al Parlamento italiano) si confronteranno su diverse tematiche di attualità e sfide attinenti alla missione dei fedeli laici oggi: famiglia, educazione, povertà, bene comune. La Giornata si concluderà con la presentazione della sinossi del decreto Apostolicam Actuositatem ad opera di mons. Francisco Gil Hellin, arcivescovo metropolita di Burgos, in Spagna. Atteso per l’occasione anche un messaggio di Papa Francesco.

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Oggi in Primo Piano



Sabato storico incontro tra i presidenti di Cina e Taiwan

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Storico incontro, sabato prossimo, tra Cina e Taiwan. I rispettivi presidenti si vedranno a Singapore. Si tratta del primo faccia a faccia tra i leader dei due Paesi dalla fine della guerra civile nel 1949. Massimiliano Menichetti

Un processo di riavvicinamento in corso da otto anni, ma che sabato diventerà storico. Dopo 66 anni infatti i due presidenti di Taiwan e Cina si troveranno faccia. Ma Ying-jeou  e il cinese Xi Jinping si incontreranno a Singapore per avere uno scambio di vedute sul consolidamento della pace nel tratto di mare che separa Taiwan dalla Cina continentale. Secondo fonti ufficiali, non verranno firmati accordi, né diramati comunicati congiunti. Nel 1949, i nazionalisti del Guomindang, capeggiati da Chiang Kai-shek, sconfitti nella guerra civile dai comunisti guidati da Mao, si rifugiarono sull'isola che dal 1996 ha un sistema politico democratico. Pechino continua a ritenere Taiwan parte integrante del suo territorio e in passato ha più volte minacciato azioni di forza. Dal 2008, però, il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, prosegue sulla via del miglioramento delle relazioni con la Cina, come dimostrano i 23 accordi commerciali, economici e finanziari siglati con Pechino. Rimane comunque la paura dell’ombra economica proiettata dal gigante asiatico e critiche sono venute al presidente dall’opposizione per l’accelerazione dei contatti definiti “non trasparenti”, anche in considerazione del fatto che il capo di Stato lascerà l'incarico l'anno prossimo, al termine del suo secondo e non rinnovabile mandato.

Per un'analisi dell’incontro abbiamo raggiunto telefonicamente a Pechino Giovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e vicepresidente di "Tway", Istituto non-profit per la ricerca e studio in materia di politica globale e sicurezza: 

R. – E’ senz’altro un colpo di scena. Indubbiamente, si tratta di un tentativo estremo da parte della leadership taiwanese di mitigare quella che si prospetta come una sconfitta elettorale di proporzioni molto significative. Le elezioni a Taiwan si tengono il prossimo 16 gennaio e credo che questo incontro vada inquadrato fermamente all’interno del dibattito politico interno. Deve in qualche modo sparigliare, perché il rischio è che il partito attualmente al governo a Taiwan perda bruscamente sia le presidenziali, sia le elezioni parlamentari che si svolgeranno lo stesso giorno.

D. – A Taiwan sono scesi in piazza studenti e sostenitori dell’opposizione di fatto al presidente…

R. – Tra qui e sabato, c’è la possibilità che la protesta si faccia più vivace. Il rischio, dal punto di vista dei partiti di opposizione, candidati a vincere le elezioni, è che un eccesso di contestazione di questo incontro possa dare il destro all’attuale amministrazione per dire: attenzione, se scegliete il partito all’opposizione, scegliete un partito che rischia di compromettere le relazioni anche economiche, quindi in definitiva la crescita. E quindi, naturalmente, il gioco sarà tra chi riuscirà a convincere l’elettorato di essere un partito in grado di interpretare non solo una posizione di fermezza nei confronti della Cina, ma anche non disperdere il valore economico della relazione con Pechino.

D.  – Il presidente Ma ha lavorato alacremente ad accordi commerciali, economici, finanziari con Pechino, tentando di alleggerire quella che è la pressione della Cina sull’isola, anche se rimane forte l’ombra economica del gigante asiatico…

R. – La sua presidenza ha visto quasi un raddoppio nelle relazioni commerciali. Teniamo conto che se inquadriamo una dinamica di crescita delle relazioni commerciali tra Taiwan e la Cina continentale nel contesto storico in cui siamo – in cui invece il mondo ha sofferto di un’anemia in termini di crescita economica molto forte – secondo me è abbastanza evidente che la Cina continentale abbia avuto un effetto di trascinamento positivo sull’isola. Credo che uno dei temi, uno degli aspetti che verranno rimarcati da ambo le parti, quando terranno separatamente le conferenze stampa conclusive, sarà esattamente questo. E’ chiaro che questo avvicinamento economico mostra anche l’aspettativa da parte di Pechino di una vicinanza maggiore anche in ambito politico e questo incontro indubbiamente, in questo senso, rappresenta un passaggio. E questo a Taiwan è registrato anche in senso fortemente critico.

D. – Pechino nel tempo ha continuato a ritenere Taiwan comunque come parte integrante del proprio territorio. E’ possibile pensare che un incontro di questo tipo invece vada nella direzione opposta, cioè di dare a Taiwan un’indipendenza piena?

R. – No, l’attuale assetto, molto ambivalente ma molto efficace, prevede che entrambe le parti, Cina e Taiwan, considerino la Cina unica e unita, ma ciascuna in qualche misura rivendichi se stessa come espressione di questa Cina unica. L’unico scenario in cui riesco a immaginare che il Kuomintang, cioè il partito al potere del presidente Ma, possa avere un vantaggio diretto sulle elezioni di gennaio, a partire dall’incontro di sabato, è se Xi JinPing si spingesse a indicare che Pechino tollererà una maggiore presenza di emissari diplomatici taiwanesi nel mondo, in varie istituzioni internazionali. Tradizionalmente, invece, Pechino evita accuratamente che Taiwan abbia una sua autonoma rappresentanza. Agli occhi di Pechino, Taiwan è e resta una provincia ribelle, pertanto non è investita di sovranità e pertanto non deve poter avere una rappresentanza nelle istituzioni che hanno la statualità come criterio di partecipazione.

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Sud Sudan: cade aereo, 40 vittime. Cuamm: è emergenza a Lui

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Un aereo cargo di fabbricazione russa, ma forse di proprietà di una compagnia armena, è precipitato poco dopo il decollo dall'aeroporto di Juba, capitale del Sud Sudan. Almeno una quarantina le vittime, tra quanti erano a bordo e persone a terra, rimaste coinvolte nello schianto avvenuto su un'isoletta sul Nilo Bianco. Sopravvissuti un membro dell'equipaggio e un bambino che era tra i passeggeri. La sciagura giunge in un momento particolarmente critico per il giovane Stato africano, dove proseguono le violenze scoppiate a dicembre 2013. Nonostante varie intese di pace, di fatto va avanti la violenza che vede opporsi le truppe del presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, e quelle del suo ex vicepresidente, Riech Machar, di etnia Nuer. La guerra civile ha già provocato decine di migliaia di morti e oltre due milioni di sfollati. In questa emergenza, la tragedia di oggi a Juba. Ce ne parla Giovanni Putoto, epidemiologo e responsabile programmazione di "Medici con l’Africa Cuamm", appena rientrato dal Sud Sudan. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – In questo momento, per quello che sappiamo, ci sono delle squadre di emergenza che si sono precipitate sul posto dello schianto. I sopravvissuti sembrano essere pochissimi – solo due persone – e li stanno assistendo, come stanno assistendo anche la popolazione che è stata colpita. L’aereo, infatti, sembra sia andato a schiantarsi su persone che stavano lavorando, su dei pescatori. Le ambulanze stanno trasportando i feriti agli ospedali di Juba, in particolare all’ospedale centrale governativo, per fornire assistenza diretta. A Juba non mancano gli aiuti, perché essendo la capitale l’assistenza è abbastanza disponibile.

D. – Anche in questo caso, c’è chi non esclude una pista terroristica. In generale, c’è il rischio di infiltrazioni in Sud Sudan?

R. – Il Sud Sudan è uno Stato fragile, perché sono fragili le istituzioni, i servizi sociali. Complessivamente, è fragile la vita delle persone perché non possono adempiere ai bisogni ordinari di vita: lavorare, partorire, andare a scuola e così via. In questi contesti, non si può escludere che ci siano anche componenti di destabilizzazione ulteriori, che vanno a sommarsi a quelle già presenti nel Paese, che fanno riferimento alle lotte intestine che esistono tra le varie fazioni governative e antigovernative.

D. – Proprio in questo quadro di emergenza, una situazione particolare è quella che riguarda l’ospedale di Lui, nell’Equatoria occidentale, dove sono presenti gli operatori di "Medici con l’Africa Cuamm". Cosa è successo?

R. – La situazione è di grande tensione. Ci sono stati combattimenti e scontri piuttosto intensi tra l’esercito e la milizia locale e questi scontri hanno interessato anche l’ospedale. Delle persone armate sono entrate all’interno del recinto ospedaliero e hanno minacciato gli studenti della scuola di ostetricia, che è annessa alla struttura, e il personale ospedaliero. Ci sono quindi molte difficoltà a garantire i servizi minimi essenziali cui il nostro personale sta provvedendo. Sono servizi che vanno dall’assistenza al parto, ai bambini ammalati di malaria, di polmonite, di malnutrizione. Sono le patologie più frequenti, ordinarie, che sono anche indice della povertà molto grave in cui si trova il Paese. Oltre a questo, c’è un problema altrettanto grave: quello della popolazione sfollata. Questa popolazione è in fuga da anni. Non appena ci sono incidenti del genere, scappa nel bosco per cercare salvezza. Solo che in mezzo alla boscaglia non ci sono le condizioni per una vita dignitosa: non c’è il cibo, perché si è abbandonata la casa, e non ci sono i servizi sanitari.

D. – Lei ha fatto riferimento alla guerra civile, che di fatto si protrae dal 2013. Ci sono state anche varie intese per porre fine al conflitto, che vede opporsi le truppe del presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, a quelle del suo ex vice, Riek Machar, di etnia Nuer. A cosa sono servite tali intese? L’ultima è di queste ore…

R. – C’è una forte pressione internazionale, perché queste intese si traducano poi sul campo in azioni di riappacificazione effettiva. Il problema è che sembra, come nel caso degli scontri nel Western Equatoria, che ci sia anche all’interno della compagine governativa un quadro di tensioni e di contrasti. Quindi, la situazione è veramente molto difficile da capire. Da un lato, ci sono le contese tra il presidente e Machar e, dall’altro, ci sono questi segnali di divisione all’interno della compagine governativa.

D. – Lei è appena rientrato dal Sud Sudan: cosa le ha detto la gente? Di cosa c’è bisogno ora in Sud Sudan?

R. – Sono andato a trovare degli sfollati, un gruppo di quasi 1.500 persone a quattro km dall’ospedale. Una donna anziana, che mi mostrava il cibo – dei tuberi – che era costretta a mangiare, mi ha detto: “Sono stufa di scappare, è tutta una vita che lo faccio. Ho partorito in condizioni difficili e stanno partorendo in condizioni difficili anche le mie figlie. Spero che le mie nipoti non siano costrette anche loro a ripetere le fatiche e le sofferenze che ho vissuto finora”.

D. – Qual è quindi la speranza di "Medici con l’Africa Cuamm"?

R. – La speranza intanto è di stare con loro. Vogliamo fare dell’ospedale – insieme alle istituzioni, alla popolazione locale – un luogo dove le persone si sentano curate, assistite e protette.

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Romania, le dimissioni del governo dopo il rogo in discoteca

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In Romania, con il premier socialdemocratico Victor Ponta si dimette l'intero governo.  Accade in conseguenza delle proteste per il rogo alla discoteca di Bucarest, costato la vita a 32 persone. Nelle ultime ore, in  20 mila hanno manifestato a Bucarest contro l'esecutivo. Si è dimesso anche il sindaco del municipio di appartenenza della discoteca, Cristian Popescu Piedone, che ha parlato di “responsabilità morale". Della situazione sociale e del contesto politico in Romania, Fausta Speranza ha parlato con Aldo Ferrari, docente di Russia e Europa Orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia: 

R. – La Romania, come la maggior parte dei Paesi post-comunisti, si trova in una situazione che, vista da un punto di vista occidentale, è problematica e non è brillante. Però, non è una situazione disperata o difficilissima: una parte consistente della popolazione è emigrata in cerca di lavoro, e con le sue rimesse sostiene l’economia del Paese. Ci sono molte contraddizioni e molte disuguaglianze sociali. Ma diciamo che è una situazione abbastanza simile a quella di altri Paesi post-comunisti e, sicuramente, una parte della popolazione non è soddisfatta. Di qui anche i frequenti cambi di governo tra destra e sinistra. È un Paese che segue per buona parte le dinamiche post-comuniste di altri Paesi dell’Europa orientale, e che deve risolvere ancora molti problemi.

D. – Che dire del momento politico e che dire del ruolo del Partito socialdemocratico del governo dimissionario?

R. – Il governo socialdemocratico, come spesso avviene dopo le elezioni, aveva basato molte speranze soprattutto nella lotta alla corruzione, alla disuguaglianza economica e sociale. E questa speranza è stata ampiamente disattesa: non bisogna dimenticare che il primo ministro dimissionario è sotto accusa per corruzione e per frode, quindi è uno smacco di immagine molto molto grande. Da questo punto di vista, è evidente che la società rumena era già nettamente insoddisfatta, era molto delusa dell’attuale governo dimissionario, prima di questo episodio.

D. – Quali dinamiche politiche si possono immaginare adesso, dopo le dimissioni?

R. – Questa è chiaramente una svolta notevole. Il governo è dimissionario per una ragione poi sulla quale il governo può avere delle responsabilità indirettamente. La situazione è evidentemente di profondo cambiamento. Si può pensare che si dovrà tornare ad elezioni, a meno che non si riesca a formare un governo, sempre socialdemocratico, ma con un leader differente. Ma sicuramente non facilita da parte del Paese la soluzione dei molti problemi politici ed economici che ha di fronte.

D. – Che dire della Romania nel contesto dei Paesi dell’Est europeo?

R. – E un Paese che ha risorse, superficie, popolazione, e che probabilmente ha delle potenzialità che avrebbe sicuramente potuto, e che potrebbe, sfruttare meglio. Come altri Paesi ex-comunisti, non si è ancora completamente liberato dal peso negativo del passato, ma è su un percorso positivo. Si tratta di pazientare anche da parte della popolazione rumena, evidentemente. Ma è difficile immaginare che un cambiamento di governo possa completamente modificare la situazione. È un Paese che ha dei problemi, occorrono molta pazienza, capacità e onestà da parte dei vari governi, e finora in Romania, a quanto pare, non non se ne sono viste. 

D. – Diciamo una parola sulla situazione creatasi con l’emergenza immigrazione sulla rotta balcanica…

R. – Anche in Romania è stata avvertita, ma in misura decisamente minore rispetto ad altri Paesi. La Romania, per la sua posizione geografica, è abbastanza esclusa dalla rotta prevalente che è indirizzata verso i Paesi dell’Europa settentrionale, e che quindi passa più a Occidente. Quindi, viene sentita in maniera minore se pensiamo all’Ungheria o alla Serbia. Sicuramente il problema c'è, ma in maniera meno grave. Un Paese come la Romania, purtroppo, per la sua grandissima comunità di emigrati, ha una sensibilità diversa, più aperta,  rispetto a quella di Paesi che sentono meno queste dinamiche, come quella che l’Ungheria ha dimostrato di avere.

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Le Caritas contro le povertà. Per Zancan serve una vera riforma

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Il prossimo 7 novembre, le diciassette Caritas di Piemonte e Valle d'Aosta scenderanno in piazza per sensibilizzare sul tema “sempre più urgente della povertà” in Italia. Ieri, l’Istat ha ribadito che nel Paese ci sono più di un milione di bambini indigenti. Il governo nella Legge di stabilità sta mettendo a punto una serie di interventi per contrastare questo fenomeno. Il servizio di Alessandro Guarasci

La ripresa c’è, ma ancora non ha toccato le fasce più povere. Per l’Istat, il 10% dei minori residenti in Italia vive in povertà assoluta, il che fa quasi 600 mila famiglie per oltre un milione di bambini, cifra raddoppiata rispetto alla stima 2011. Per la fondazione Emanuela Zancan, che si occupa di ricerca sociale, scontiamo gli errori del passato. Il direttore Tiziano Vecchiato:

“Noi abbiamo dato – perché la legislazione così è stata impostata negli ultimi decenni – molto di più all’ultima fase della vita, quindi agli anziani, e abbiamo dato invece molto meno alle famiglie con figli e alla prima fase della vita. E c’è stato, infatti, un tasso di impoverimento per quanto riguarda i bambini, i ragazzi, di un 10%, cioè più del doppio dell’impoverimento degli anziani”.

Il governo ha previsto nella Legge di stabilità un fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, con uno stanziamento da 600 milioni di euro per il 2016 e un miliardo per il 2017. Può essere un punto di partenza, visto che la spesa assistenziale vale 50 miliardi, dice Vecchiato:

“Se il governo, prima di trasferire questi fondi aggiuntivi, o in parallelo con questo nuovo aiuto, rivedesse il sistema dei trasferimenti assistenziali, sarebbe in qualche modo l’inizio di una rivoluzione, sarebbe l’inizio di una vera lotta strutturale alla povertà. Perché se ragioniamo a milioni, non si fa niente. La spesa complessiva è molto più grande, sui 50 miliardi, ed è su questa massa critica che possiamo agire per lottare efficacemente”.

Ora, dovrà essere il Ministero a capire come impiegare al meglio i fondi previsti nella Legge di stabilità.

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Padre Stabile: Bagheria vive una crescita civile e morale

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In Sicilia, la denuncia di 36 commercianti di Bagheria, per decenni taglieggiati dalla mafia, è il frutto di una crescita sociale. Su questa lettura di un atto di ribellione, che ha fatto scattare 22 provvedimenti cautelari per boss e capimafia, sono tutti d’accordo: dagli inquirenti, agli investigatori antimafia, agli uomini di Chiesa, come padre Francesco Michele Stabile, parroco di San Giovanni Bosco a Bagheria, e anche stimato storico della Chiesa. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Secondo me è il frutto di una maturazione, di un impegno che qui abbiamo portato avanti già a partire dagli anni ’70, perché c’è stata una società civile molto attiva e molto impegnata. Il fatto nuovo è la denuncia: questo è quello che noi come Chiesa vogliamo sottolineare. Domenica prossima leggeremo un documento delle comunità ecclesiali in tutte le chiese, in cui diremo che questa denuncia è una crescita di coscienza civile, ma è anche una crescita morale. Per noi, impegnarsi per la liberazione dalla mafia non è una supplenza alle carenze dell’organizzazione dello Stato. Per noi è un dovere, perché la mafia è l’anti-Vangelo, è contro il Vangelo! Quello che noi vorremmo far risaltare in questo documento è il coraggio di queste persone, che ormai erano veramente sfinite. Con una crisi economica in cui gli esercizi commerciali chiudono e le imprese hanno grandi problemi, è diventato un peso terribile pagare il pizzo!

D. – Lei sottolinea una crescita morale, una crescita civile della società. Ma questa assunzione di coraggio quanto anche ha a che fare con un atteggiamento mafioso mutato? Noi abbiamo consegnato al passato la mafia stragista, e abbiamo visto un’evoluzione diversa del fenomeno mafioso: secondo lei è per questo che c’è anche questa ribellione? La mafia, fa forse meno paura?

R. – Fa meno paura, certamente, fa meno paura. Continua ad esserci, non possiamo negarlo, però ora fa meno paura. Noi abbiamo vissuto la guerra di mafia nei primi anni ’80, ed è stato terrificante: c’erano situazioni di sangue per le strade! Oggi siamo in pace, forse siamo la zona d’Italia dove avvengono meno omicidi. E questi invece cosa fanno? Minacciano, bruciano le macchine! A Bagheria hanno bruciato decine di macchine nel giro di pochi mesi: è la forma dell’intimidazione. L’impegno, anche da parte della polizia e della magistratura, è aumentato ancora di più dopo che è scomparso (arrestato ndr) pure Provenzano. Gli stragisti sono in qualche modo tutti in carcere, e questo è un segno importante da parte dello Stato.

D. – Le istituzioni, dai tempi di Libero Grassi, che fu poi assassinato dalla  mafia, hanno sempre invitato le persone colpite dal racket a denunciare. Ma molte persone taglieggiate, però, che all’inizio hanno immediatamente reagito denunciando i loro estorsori, dopo poco tempo hanno denunciato anche l’abbandono da parte delle stesse istituzioni…

R. – Questo è pure vero, perciò non bisogna lasciarli soli: non possono rimanere da soli! E io credo che la spinta che dobbiamo dare, anche noi come Chiesa, è quella di creare un’opinione pubblica di sostegno, favorevole. Quando facciamo delle manifestazioni, devono esserci, noi ci siamo e noi siamo la società civile. Quindi queste persone (che denunciano ndr) non possono essere lasciate a loro stesse. Stanno mostrando coraggio, perché qui siamo in una zona di grande crisi economica, non c’è sviluppo, e quel poco che si riesce a guadagnare se ne va per il pagamento del pizzo, e questo non è possibile! Dobbiamo sostenere coloro che, in qualche modo, alzano la testa. E la strada è buona. Io mi auguro che il contagio passi anche ad altri, non possono ammazzarci tutti!

D. – Dopo che c’è stata questa denuncia di tutti questi commercianti ed imprenditori, lei che parole ha sentito a Bagheria? Che cosa si è detto nelle strade della cittadina?

R. – La gente nell’insieme è molto favorevole, perché non se ne può più insomma! C’è un livello di rifiuto, la gente vuole lavorare in pace. Io non sono neanche riuscito a comprare il giornale, perché erano già tutti esauriti. La gente è piuttosto favorevole. Poi magari ha paura, si ritira, non si vuole compromettere e noi dobbiamo spingerla a compromettersi, dobbiamo creare fiducia nel fatto che chi rappresenta lo Stato sia persona pulita e trasparente. Dobbiamo essere vigilanti. Come Chiesa non ci possiamo tirare indietro, ma non da soli, perché non credo che la Chiesa da sola possa affrontare questi problemi. Abbiamo bisogno di farlo insieme a una rete della società civile, e in questo c’è una buona collaborazione. Concluderemo questo nostro intervento domenica con l’invito all’Anno della Misericordia, e cioè che queste persone si convertano perché è l’Anno della Misericordia!

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Puljic: la dimensione religiosa del dialogo interculturale

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“La costruzione di società inclusive esige come sua condizione una comprensione inclusiva della persona umana”: da qui si è mossa la riflessione del card. Vinko Pulijc, arcivescovo di Sarajevo, all’incontro del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale, che si è concluso ieri nella capitale bosniaca. 

La cittadinanza democratica dove ciascuno è valorizzato per quello che è
​“Una persona può sentirsi veramente accolta nel contesto sociale in cui vive solo quando essa è riconosciuta e accettata in tutte le dimensioni che costituiscono la sua identità, compresa la dimensione religiosa”, ha spiegato il cardinale intervenendo sul tema dell’incontro “Costruire insieme società inclusive: il ruolo delle religioni e delle convinzioni non religiose nella prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento”. Un’integrazione che “metta tra parentesi” alcuni aspetti dell’identità personale è “fragile” e porta a un “senso di esclusione e di frustrazione”, ha argomentato il cardinale. Neppure la “cittadinanza democratica” si costruisce convergendo “su principi astratti, dimenticando le reciproche identità”, bensì attraverso “relazioni in cui ciascuno è valorizzato per quello che è”. 

La libertà religiosa è garanzia di vero dialogo interculturale
Secondo Pulijc, il pieno rispetto della “libertà religiosa” anche in un contesto secolarizzato e “multipolare” è garanzia “di un vero dialogo interculturale”. Per contro, le religioni possono “offrire un contributo specifico al progresso della cultura dei diritti umani”. (R.P.)

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Terra Santa: a Gerusalemme Plenaria delle Chiese cattoliche

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Da ieri e fino al 5 novembre, i capi delle Chiese cattoliche di Terra Santa sono riuniti in Assemblea plenaria presso il Patriarcato latino di Gerusalemme. All’ordine del giorno figurano molti argomenti: il recente Sinodo sulla famiglia, le scuole cristiane in Israele e Palestina, la situazione attuale in Terra Santa. In agenda anche il ricordo della canonizzazione delle prime sante palestinesi, santa Mariam Bawardi e santa Maria-Alfonsina Ghattas e, una disamina della riunione del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) in Terra Santa. 

Presente il nuovo nunzio in Giordania
Ai lavori - riferisce l'agenzia Sir - prende parte anche mons. Alberto Ortega, nuovo nunzio apostolico in Giordania e in Irak. Spagnolo, originario di Madrid, sacerdote da 25 anni. Egli ha prestato servizio, tra l’altro, presso la nunziatura in Libano e presso la Segreteria di Stato della Santa Sede, dove era incaricato dei dossier riguardanti la Terra Santa. L’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) è presieduta dal patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, e riunisce tutti i vescovi delle differenti comunità cattoliche con giurisdizione in Terra Santa. (R.P.)

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Pakistan: studenti musulmani in difesa delle minoranze religiose

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Porre fine a discriminazioni e pregiudizi contro le minoranze religiose in Pakistan: con questo spirito oltre 500 giovani musulmani si sono riuniti nei giorni scorsi a Lahore per iniziativa di “Bargad”, la più grande Ong pakistana dedicata allo sviluppo e all’educazione dei giovani, diffusa in tutto il Paese. Come riferisce l'agenzia Fides, i giovani si sono impegnati a smettere di definire i cristiani pakistani con l’appellativo di "Isai", termine urdu utilizzato in epoca coloniale con accezione dispregiativa. Quel termine, di tradizione castale, si usa per definire le persone destinate a lavori umilianti e “impuri”, appannaggio delle caste più basse, ed esprime la mentalità che considera i cristiani “cittadini di seconda classe” nella società.

L'Ong in sostegno delle vittime della persecuzione religiosa
L’Ong ha promosso la campagna “Green per White”, con un richiamo alla bandiera pakistana, dove il verde indica i musulmani e il bianco le minoranze religiose. L’Ong intende sensibilizzare i giovani musulmani in Pakistan a sostenere le vittime della persecuzione religiosa, restituendo dignità a tutti quei cittadini di religione non islamica. A tal fine i cristiani saranno chiamati con il termine “Masih” che in urdu sta per “popolo del Messia”, dando loro una connotazione e identità positiva.

Un messaggio da trasmettere a più persone
Ogni studente ha promesso di trasmettere questo messaggio ad almeno altre 100 persone, ampliando così l’effetto moltiplicatore. “E’ importante operare a livello di cambiamento dei comportamenti sociali e della mentalità nei confronti delle minoranze, in modo che siano debitamente rispettate e protette”, ha detto Kamran Michael, unico senatore cristiano del Pakistan, presente alla convention di "Bargad".

Un seme gettato per l'armonia sociale e il cambiamento
Il direttore esecutivo di Bargad, Sabiha Shaheen, ha aggiunto: “Oggi stiamo gettando un seme per l'armonia sociale e il cambiamento: gli studenti hanno fatto un giuramento e si sono impegnati a farsi messaggeri di questo cambiamento”. (P.A.)

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Congo. Missionari nel Nord Kivu: la piaga dei sequestri

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Sono stati liberati i 14 membri di una Ong congolese rapiti nel Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo. L’episodio, sottolineano all’agenzia Fides fonti missionarie, è solo l’ultimo di una recrudescenza di sequestri di persona che avvengono nell’area e soprattutto lungo la strada che unisce il capoluogo, Gomba, a Butembo.

I sequestri mezzo di arricchimento dei gruppi armati
Da diversi mesi, il sequestro è diventato "di moda", affermano i missionari della “Rete Pace per il Congo” in una nota inviata a Fides. Omar Kavota, direttore esecutivo del Centro di Studi per la promozione della pace, della democrazia e dei diritti umani, sostiene di aver individuato circa 600 casi di sequestri, commessi su questa strada a partire dall’inizio del 2015. Questa situazione preoccupa i commercianti locali che utilizzano questa strada per raggiungere il nord della provincia. Il vice presidente della società civile di Vitshumbi, Kambale Sikuli Simwa, ha chiesto alle autorità militari di trovare una soluzione a questo fenomeno dei sequestri che è diventato un altro mezzo di arricchimento per i gruppi armati della regione: forse le Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (Fdlr), le Forze Democratiche Alleate (Adf), i Mai-Mai oppure semplici banditi armati.

La piaga dei sequestri si aggiunge ai massacri contro i civili
​Il 1° ottobre, in occasione della commemorazione del primo anniversario del massacro di civili perpetrato a Beni il 2 ottobre 2014, il coordinamento della società civile locale ha ricordato che, nel territorio di Beni nel Nord Kivu e in un solo anno, più di 500 persone sono state uccise con machete, asce e martelli. Il presidente della società civile di Beni, Teddy Kataliko, ha ricordato che questi fatti sono stati commessi nelle seguenti città: Mukoko, Linzo Sisene, Apetinasana, Mayimoya, Kisiki, Eringeti, Kainama, Malehe, Kokola, Oicha, Ngite, Masulukwede, Vemba, Kadou, Ngadi, Munzambay, Kibidiwe, Matembo, Mavivi e Matiba. A proposito di questi massacri, il coordinamento della società civile li qualifica di crimini contro l'umanità e chiede l’apertura di un’inchiesta internazionale per identificare e perseguire i veri colpevoli responsabili di questi atti. (L.M.)

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Chiesa del Paraguay: il narcotraffico influenza la giustizia

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Il traffico di droga è uno dei mali che influenzano la giustizia del Paraguay. Lo ha affermato mons. Catalino Claudio Jiménez Medina, vescovo di Caacupé (Paraguay) e presidente della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep), nella sua omelia durante la Messa di domenica scorsa. Il presule - riferisce l'agenzia Fides - ha sottolineato che questo fatto è di pubblico dominio, visto che il narcotraffico è riuscito ad infiltrarsi in quasi tutti i settori della nostra società; per questo la gente ha fame e sete di giustizia.

Il ricordo del giornalista Pablo Medina che ha denunciato il narcotraffico
Mons. Jiménez Medina ha espresso il suo pensiero subito dopo il primo anniversario della morte violenta del giornalista Pablo Medina, ucciso da sicari presumibilmente assunti da Vilmar "Neneco" Acosta, i cui legami con il traffico di droga sono di pubblico dominio. Medina è stato ucciso per aver denunciato le azioni dei narcotrafficanti nella zona di Canindeyú.

La condanna della corruzione
Mons. Jimenez ha anche sottolineato che diversi politici usano la loro influenza per sottrarsi alla giustizia o ottenere sanzioni più lievi e che le difficoltà che sta attraversando il Paese derivano in gran parte dai molteplici casi di grave corruzione, "Quindi non possiamo stare a guardare dinanzi le malattie e mali che ci riguardano" ha concluso esortando i fedeli a non arrendersi. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 308

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.