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Sommario del 09/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco a Firenze, poveri e malati al centro della visita

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Ultimi preparativi a Prato e Firenze, dove Papa Francesco si recherà domani. Motivo principale della visita è la partecipazione al Convegno ecclesiale nazionale, che riunirà 2.500 delegati, espressione della Chiesa Italiana. Il Pontefice, tuttavia, non ha voluto far mancare le occasioni di incontro con i fedeli e la cittadinanza, in particolare con i più bisognosi. Da Firenze, il nostro inviato Alessandro Gisotti: 

Gli ultimi saranno i primi. Alla Mensa San Francesco Poverino della Caritas si vive con questo sentimento l’attesa per il Papa, che domani pranzerà con i poveri che ogni giorno trovano qui un pasto caldo e calore umano. Francesco è sentito davvero come uno di loro e così, tengono a sottolineare, per lui domani non ci sarà alcun privilegio: anche il Papa dovrà prendere il bigliettino all’entrata e mangerà in un piatto di plastica come tutti gli altri. Francesco si siederà al centro di un unico grande tavolo dove mangeranno circa 60 persone, italiani e non. Parlando con loro ci hanno raccontato della gioia di avere in mezzo a loro il Papa della “Chiesa povera per i poveri”. Molti hanno perso il lavoro, perfino la casa, ma non hanno perso la dignità. Ed in questo si sentono incoraggiati da questa visita di domani.

In un qualche modo, il pranzo con i poveri sarà quasi una chiave di lettura della visita a Prato e Firenze e della sua partecipazione al Convegno ecclesiale nazionale. Nella culla dell’umanesimo – tema anche degli “stati generali” della Chiesa italiana – Francesco testimonierà infatti che per dare nuova linfa all’umanesimo cristiano bisogna partire dagli ultimi, da quelle “periferie esistenziali” che sono al centro del magistero di Jorge Mario Bergoglio.

D’altro canto, nella giornata in Toscana, saranno ribaditi tutti i temi particolarmente a cuore del Pontificato di Francesco. Se nella prima mattinata, infatti, il Papa si rivolgerà al mondo del lavoro a Prato, dopo il discorso ai convegnisti – nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore – pregherà con gli ammalati e i disabili nella Basilica della Santissima Annunziata. Quindi, appunto, il pranzo con i poveri e poi la Messa nello Stadio Franchi, dove sono attese migliaia di persone. Qui, per una volta, i protagonisti non saranno i beniamini della Fiorentina, ma il Vangelo e quel Popolo di Dio che, anche a Firenze, cammina gioioso con il suo Pastore.

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Firenze, il sindaco: Francesco parla anche al cuore dei laici

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La presenza del Papa a Firenze, domani, non ha un valore solo religioso ma anche etico e civile". Lo afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella, che, in preparazione all'arrivo di Francesco, ha organizzato quattro incontri aperti ai cittadini. Luca Collodi lo ha intervistato: 

D. – Sindaco Nardella, Il Papa arriva a Firenze per unire l’intera città…

R. – Sì. Penso che questo fatto storico – perché dopo la visita di Giovanni Paolo II torna un Papa a Firenze – non possa essere letto solo come un evento religioso, ma un evento che interessa tutta la città intesa come grande comunità laica. Per questo sono convinto che il Papa non parli solo ai credenti, ai religiosi, ai cristiani cattolici, bensì a tutti, anche a coloro che non credono o che credono ad altre religioni.

D. – Quindi, per lei, si tratta di una visita religiosa ma anche laica ?

R. – Penso proprio di sì. Del resto, se vediamo le visite che il Papa ha fatto nel mondo, alle città – penso in particolare al suo viaggio negli Stati Uniti – la sua voce è stata ascoltata e ha riscosso interesse da parte di tutta l’opinione pubblica, non solo da parte dei fedeli. Questo Papa, grazie anche alla sua semplicità nella comunicazione e alla capacità di creare empatia con i cittadini, è – a mio avviso – la personalità oggi più ascoltata e riconosciuta al mondo. Anche perché pone dei temi, delle questioni, che sono al centro della vita dell’uomo, non soltanto al centro della religione cristiana cattolica.

D. – Sindaco Nardella, lei ha preparato la città all’incontro con il Papa sottolineando proprio la laicità della comunità fiorentina con una serie di incontri. In che modo ?

R. – Ovviamente, come sindaco, mi devo preoccupare degli aspetti organizzativi, logistici e di collaborare con la Diocesi e il Vaticano per quanto riguarda la sicurezza e le esigenze degli organizzatori. Tuttavia, ho pensato che l’occasione storica dell’incontro tra il Papa e Firenze – una delle città più importanti al mondo – non si possa ridurre solo alle informazioni o ai problemi della viabilità e del traffico, ma debba essere colta per tutta la forza e le potenzialità che ha. Penso quindi al significato, al valore, non solo religioso ma anche etico, civile che potrà avere questo incontro. Pe questo abbiamo organizzato quattro appuntamenti, consistenti in un dialogo tra un cattolico e un laico, su quei temi che sono al centro del titolo che il Convegno ecclesiale ha dato in occasione di questa visita del Papa, ovvero “il nuovo umanesimo”. Cosa significa oggi per un cittadino, per una città come Firenze parlare di nuovo umanesimo, partendo dai problemi concreti come l’ecologia, come l’integrazione culturale, come la pace, come la promozione della cultura e del pluralismo culturale …

D. – L’umanesimo vide il suo centro a Firenze: unì il divino e l’umano. Pensa che sia ancora attuale mettere Firenze al centro di un nuovo percorso umanista?

R. – Lo spero e penso che Firenze possa giocare ancora un ruolo fondamentale. Del resto, come ha detto lei, l’umanesimo è nato sull’onda di una crisi che ha portato a quel felice incontro tra il pensiero classico e la filosofia cristiana. Oggi noi viviamo la sensazione di essere di nuovo in un tunnel senza fondo: la crisi economica, i conflitti interreligiosi, il tema devastante dei migranti, le paure dei cittadini … Ma è proprio in questo momento che può diventare decisivo il dialogo tra la cultura e la religione, tra la cultura e la fede: proprio in questo momento la Chiesa globale può, con tutto il coraggio che è capace di esprimere, rimettere al centro la speranza, la pace e la comunità tra i popoli. Quindi, credo che parlare di “nuovo umanesimo” significa per la mia città, per Firenze, essere protagonisti di un nuovo processo, di un nuovo inizio – potremmo dire – che parta proprio dall’idea di ribaltare il concetto dell’umanesimo classico, secondo il quale l’uomo era al centro del mondo. Oggi è il mondo, la terra, al centro dei pensieri dell’uomo e mi riferisco – ad esempio – alla grande sfida del cambiamento climatico, a quello che Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’” ha chiamato “la scelta dell’ecologia integrale”. Insomma, in questa situazione di grande crisi, io vedo quanto mai grandi opportunità.

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La comunità cinese di Prato: Papa preghi per il nostro Paese

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Favorire una svolta dei processi di integrazione anche in campo pastorale: con questa finalità, da un paio di mesi, è nata a Prato una parrocchia guidata da una comunità mista formata da due frati italiani e uno cinese. L’idea del vescovo Franco Agostinelli è stata realizzata nella parrocchia dell’Ascensione al Pino, dove da 15 anni è già presente una cappellania cattolica cinese. Alessandro Gisotti ha chiesto ad uno dei frati, Fra Roberto Bellato, di raccontare l’attesa della folta comunità cattolica cinese di Prato per la visita di Papa Francesco: 

R. – Sicuramente, è un momento di attesa molto forte. Devo dire che la comunità cinese è in fibrillazione perché vorrebbero non solo poter vedere e ascoltare il Papa ma anche parlargli, dirgli qualcosa. Tanti hanno chiesto: “Possiamo parlare con il Papa, dargli una lettera, qualcosa?”. C’è molta attesa. Ovviamente, io sono anche il parroco di questa parrocchia e quindi devo dire che anche tutta la comunità italiana è in attesa di questa visita.

D.  – Il Papa ha più volte detto che sarebbe suo grande desiderio poter visitare la Cina: in un qualche modo a Prato potrà incontrarne una piccola parte ma particolarmente significativa…

R.  – La comunità cattolica cinese si compone di un centinaio di membri. In Italia credo sia una delle comunità cattoliche più consistenti, che ha come punto di riferimento questa parrocchia perché tutte le domeniche pomeriggio c’è la Messa in lingua cinese celebrata dal cappellano cinese.

D. – La comunità cinese come le altre comunità di origine straniera, ne sono presenti molte a Prato, rappresentano un laboratorio di integrazione, di dialogo...

R. – Sì, infatti l’idea del vescovo di affidare a noi Francescani questa parrocchia è anche proprio questo: creare a cerchi concentrici integrazione, partendo dalla nostra comunità religiosa che già vive al suo interno, con la presenza di due frati italiani e di uno cinese, questo aspetto del dialogo interculturale dell’integrazione, allargandola alla comunità cinese e a quella italiana che frequentano la nostra parrocchia e poi di conseguenza alla società civile in cui i nostri cristiani sono immersi e con cui sono in contatto.

D. – Quali sono le sue aspettative pensando proprio alla sua comunità di fedeli?

R. – Il Papa ha come suo compito quello di confermare nella fede i cristiani e certamente la sua visita sarà di aiuto da questo punto di vista. Servirà a confermarci e a darci entusiasmo. Il mio confratello cinese mi diceva: “Vorrei chiedere innanzitutto al Papa di pregare per la Cina e per i cristiani cinesi".

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Firenze, i giovani: il Papa ci affascina con la sua coerenza

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La gioia è anche il sentimento della realtà giovanile della Chiesa di Firenze che aspetta di far festa con Papa Francesco. Lo testimoniano le parole di Anna Del Bene, presidente femminile della Fuci di Firenze, intervistata dall’inviato, Alessandro Gisotti

R. – Come giovane, attendo con trepidazione e gioia l’incontro con Papa Francesco. Parteciperò alla Messa allo stadio assieme a tanti altri ragazzi del nostro gruppo e insieme stiamo vivendo questo momento con grande attesa. Spero che, come il Papa ha sempre dimostrato, possa dare una parola specifica a noi giovani per continuare il nostro cammino con slancio.

D. – Papa Francesco sarà a Firenze per poche ore, ma in queste poche ore riuscirà a incontrare gli ammalati, a pranzare con i poveri oltre all’incontro con tutta la città, in fondo, allo stadio di Firenze. Quanto è efficace questo messaggio continuato, testimoniato di Francesco, di incontro con i poveri? Vedete che si muove qualcosa a Firenze, rispetto a questo?

R. – Sì, decisamente. L’attenzione di Papa Francesco, in particolare verso i malati e i poveri che incontrerà, esprime questa grande vicinanza a tutte le realtà sociali. Questo è molto importante e secondo me avvicina molto anche le persone non credenti, che vedono nel Papa e nella Chiesa tutta un modo per vivere la propria vita in pienezza, con attenzione a tutti, e apertura.

D. – C’è qualcosa che ti ha colpito in questi giorni di preparazione alla visita, anche parlando con dei coetanei non per forza cattolici? O anche qualche aneddoto nell’attesa del Papa?

R. – Sì, mi è capitato di parlare con alcuni miei coetanei riguardo a questo momento ormai imminente: quello che mi ha colpito è la speranza che hanno tutti, credenti e non credenti, che venendo a Firenze – che è la città per eccellenza culla dell’umanesimo – si possa ripartire veramente dall’uomo, innanzitutto. Quindi, è un messaggio rivolto a tutti: la dimensione antropologica, evidentemente in chiave cristiana, ma condivisibile da chiunque.

Oltre alla visita di Francesco a Firenze, spunti di riflessione per i giovani giungono anche dal Convegno nazionale, come conferma al microfono di Alessandro Gisotti, il presidente della Fuci fiorentina, e delegato al Convegno Cei, Marco Tellini

R. – E’ un segnale forte di vicinanza. In questo Convegno si parlerà di come essere più vicini a chi sperimenta la marginalità e Papa Francesco incarna questa vicinanza con uno stile semplice per noi giovani, accattivante, in senso positivo. E quindi, è un segnale che mostra quanto possa essere bella la vita del Vangelo.

D. – L’attrazione di Papa Francesco per i credenti è direi quasi ovvia, naturale. Tu avrai anche molti amici non credenti: che cosa li colpisce di questa figura?

R. – Colpisce questa coerenza che c’è tra le parole e i fatti. Questo è un elemento di credibilità anche della testimonianza, è affascinante.

D. – Da ultimo, come giovane, come cattolico e come fiorentino, quali sono le tue speranze per questa visita di Francesco?

R. – Spero che il lavoro che facciamo anche come delegati durante questi giorni abbia una ricaduta reale nella pastorale che seguirà a questo evento. Sono sicuro che, se individuiamo alcuni obiettivi realmente possibili, possiamo dare concretezza a questa nuova spinta.

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Mons. Nosiglia: al Convegno nazionale i giovani in prima linea

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Saranno soprattutto i giovani i protagonisti del V Convegno ecclesiale nazionale, che a partire dal tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, affronterà il trapasso culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume delle persone, sradicando a volte principi e valori fondamentali per l’esistenza personale, familiare e sociale. Giovani testimoni del loro tempo, interpellati a Firenze per dire la loro, come spiega, al microfono di Manuela Campanile, l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio del Convegno da lui aperto oggi: 

R. – Desideriamo che i giovani non si sentano solo oggetto di cura e di attenzione – pure necessaria – ma soprattutto protagonisti attivi, che possano prendere la parola, essere ascoltati, quindi valorizzati, e anche nelle loro critiche: perché hanno anche delle critiche sia verso la Chiesa sia verso la società, a volte anche abbastanza acute e direi molto concrete. Quindi, è un po’ una scommessa. Per esempio, i due animatori di tutte le giornate, compresa quella in cui viene il Papa, sono due giovani: un ragazzo e una ragazza, che daranno il “la” a tutti i lavori della giornata, li collegheranno, faranno gli animatori dell’assemblea. E così anche nelle relazioni finali ci saranno dei giovani. Quindi, è un taglio giovanile che speriamo possa veramente contribuire a riavvicinare ai giovani e al Vangelo, in modo particolare.

D. – Mons. Nosiglia, cinque Convegni sul solco del Concilio Vaticano II. In cosa allora il Concilio Vaticano II è stato ispiratore?

R. – Certamente, è stato ispiratore di una conversione pastorale, missionaria, molto ampia e molto forte, che ha inciso nelle nostre Chiese. Direi che ha inciso gradualmente. Come sempre, la Chiesa non fa dei “salti mortali”: un vantaggio se vogliamo. Però, io credo che il cammino che ha impresso il Concilio sia stato addirittura anche veloce sia sul piano della liturgia che su quello della pastorale e della teologia, come sul piano soprattutto della missionarietà. Questa è la sfida che Papa Francesco in modo specifico ci pone. Nell’Esortazione apostolica ”Evangelii Gaudium” si dice: “Dovete trovare le vie nuove al cammino della Chiesa nei prossimi anni”. E quindi quali sono queste strade nuove? Alla luce, certo, del Concilio – quindi rimanendo ancorati al rinnovamento promosso dal Concilio – ma di fronte alle sfide di 50 anni dopo – e sappiamo che il mondo di oggi va veramente di corsa: 50 anni sono come una volta secoli e secoli – dobbiamo risvegliare un certo dinamismo che nasca dalla fede, dal Vangelo. Perché per noi il Vangelo è – come dicevo, e come ha detto Papa Francesco in Ecuador – “rivoluzionario”. Dove arriva, il Vangelo cambia: cambia la vita non solo delle persone, ma anche delle famiglie, dei popoli e della stessa società. Quindi, il nostro incontro è un momento di riflessione, ma anche di progettazione per una svolta nuova, ci auguriamo, delle nostre Chiese: che, in un modo carico di speranza, anche di fronte al mondo così difficile di oggi, sappiano gestire la loro testimonianza con linguaggi, metodologie, vicinanze e prossimità nuove e non stare chiusi nel nostro circuito pastorale che a volte si muove all’interno di gruppi, movimenti e parrocchie. Questi, seppur dinamici, sono tutti un po’ autoreferenziali.

D. – E quindi, questo aiuta a leggere i segni dei tempi: dopotutto, la Chiesa come carisma ha questo…

R. – Però, deve anche ascoltare, farsi carico di quello che è il grido dell’umanità ferita e cogliere le esigenze fondamentali della gente, con uno sguardo amorevole sulla realtà e sugli uomini del nostro tempo. Perché siamo sempre abituati a vedere le cose che non vanno – e sono molte indubbiamente – ma essere realisti non vuol dire perdere la speranza che nasce proprio dalla fede e dal Vangelo. Ecco, questo sguardo di riconoscenza, in fondo, e di gratitudine, che è scarso di timore e si permette di leggere i segni dei tempi, parlando il linguaggio dell’amore. Come ci ricorda Papa Francesco, che dice che la verità dell’uomo in Cristo non è opprimente, non è qualcosa di pesante che va contro la liberta. Al contrario, è liberante perché è la verità dell’amore e nascendo dall’amore può arrivare al cuore di ogni uomo. Per questo è concretezza di azione, di gesti, che entrano dentro il vissuto della gente e danno corpo alle loro speranze, alle loro attese, che sono sempre per noi riferite al Vangelo. Perché in Cristo possiamo trovare tutte le vie necessarie per dare una scossa salutare anche alla nostra società. Io penso che la speranza cristiana abbia seminato nella storia del nostro popolo un patrimonio di umanità, di santità e di civiltà, che è stato esemplare per il mondo intero e non può non esserlo anche oggi.

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Crisi mondiali e Gmg nell'udienza del Papa al presidente Duda

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Conflitto in Ucraina e Medio Oriente, questioni di solidarietà sociali e, in modo speciale, la visita del Papa il prossimo anno. Sono stati questi gli argomenti che hanno interessato l’incontro tra Papa Francesco e il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ricevuto in udienza in Vaticano.

Nel corso dei “cordiali colloqui”, informa una nota ufficiale, è stato messo in rilievo “il contributo positivo dalla Chiesa cattolica alla società polacca, anche in vista della visita che il Santo Padre compirà a Cracovia l’anno prossimo in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù”. Successivamente, prosegue il comunicato, “ci si è soffermati su alcuni temi di mutuo interesse, quali la promozione della famiglia, il sostegno ai ceti sociali più bisognosi e l’accoglienza dei migranti”. Discusse, infine, “alcune tematiche che concernono la comunità internazionale, quali la pace e la sicurezza, il conflitto in Ucraina e la situazione nel Medio Oriente”.

Dopo l’incontro con il Papa, il presidente polacco si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da Mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati.

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Laterano. Francesco consacra vescovo mons. De Donatis

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Nel giorno della festa liturgica della Dedicazione della Basilica, Papa Francesco sarà oggi pomeriggio in San Giovanni in Laterano per presiedere, alle ore 17, la celebrazione eucaristica per Consacrazione episcopale di mons. Angelo De Donatis, nominato lo scorso 14 settembre vescovo ausiliare di Roma.

Ricordiamo che, durante la Quaresima dello scorso anno, mons. De Donatis aveva tenuto le meditazioni per gli Esercizi spirituali al Papa e alla Curia Romana.

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Nomina episcopale in Francia

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo di Valencia in Spagna, l’arcivescovo Michael A. Blume, nunzio apostolico in Uganda, e mons. José Antonio Eguren Anselmi, Arcivescovo di Piura in Perù.

In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Angoulême presentata per raggiunti limiti di età da mons. Claude Dagens. Al suo posto,il Pontefice ha nominato il sacerdote Hervé Gosselin, finora responsabile del ‘Foyer de Charité’ di Tressaint. Il neo presule è nato il 16 aprile 1956 a Nantes. Si è laureato in medicina e ha esercitato la professione medica per otto anni. Nel 1988 è entrato nel Foyer de Charité di Tressaint. Ha frequentato il Seminario di Rennes e, in seguito, il Seminario des Carmes a Parigi. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso l’Institut Catholique de Paris. È stato ordinato sacerdote il 18 settembre 1994 per l’arcidiocesi di Rennes. Dal 1996 è stato Vicario Parrocchiale presso la parrocchia di Santa Teresa a Rennes. Dal 1997 è stato anche Cappellano del Carcere maschile di Rennes fino al 2003. Nel 1999 è stato nominato professore di Teologia Morale, Direttore spirituale ed Economo del Seminario interdiocesano di Rennes. Infine, dal 2003 è Responsabile del Foyer de Charité di Tressaint, nella diocesi di Saint-Brieuc.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ma la riforma va avanti: all’Angelus il Papa ribadisce che rubare documenti è reato e ringrazia per il sostegno di tutta la Chiesa.

A Firenze con stile sinodale: aperto dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia il quinto convegno ecclesiale italiano.

I nuovi ultimi: un’anticipazione dal libro di Dario Edoardo Viganò “Fedeltà è cambiamento. La svolta di Francesco raccontata da vicino”.

Un articolo di Carlo Maria Polvani dal titolo “Ragione e sensibilità”: le riflessioni sul numero del filosofo Piero Martinetti.

Un gemellaggio nuovo: Timothy Verdon su arte contemporanea e sacro in una mostra a Firenze.

La spina di Paolo: Gabriele Nicolò su sintomi e diagnosi nelle malattie dei santi.

Quando andavo al concilio di nascosto: intervista di Nicola Gori al cardinale Giovanni Coppa che compie novant’anni.

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Oggi in Primo Piano



Myanmar: al partito della Nobel Suu Kyi il 70% dei voti

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In Myanmar  la Lega nazionale per la democrazia, il partito di opposizione guidato dalla premio Nobel Aung San Suu Kyi, annuncia di aver raggiunto il 70% delle preferenze alle elezioni di ieri. Il partito di governo ammette la sconfitta, mentre il Paese attende i risultati definitivi delle prime consultazioni elettorali libere dopo 25 anni. Secondo la costituzione, però, Aung San Suu Kyi non potrà ricoprire il ruolo di Presidente e per lei si profila la nomina a speaker del parlamento. Sull’importanza di questo risultato elettorale, Elvira Ragosta ha intervistato Filippo Fasulo, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): 

R. – E’ un risultato storico perché segna l’avvio di una transizione politica molto attesa per il Paese. Bisogna soltanto attendere l’esito definitivo perché il sistema uninominale maggioritario assegnerà dei seggi e sulla base dei seggi si vedrà quanto effettivamente abbia vinto il suo partito.

D. - La costituzione birmana prevede che un quarto dei seggi sia assegnato all’esercito indipendentemente dall’esito elettorale: come sarà formato dunque il nuovo parlamento?

R.- Il nuovo parlamento sarà formato da questo 25% di membri dell’esercito, un nutrito gruppo di rappresentanti del partito di Aung San Suu Kyi e bisogna vedere quanti dai partiti etnici che sono molto radicati nel territorio. Questo parlamento nel prossimo febbraio dovrà eleggere il Presidente della Birmania in un’elezione di secondo grado.

D. – Perché Aung San Suu Kyi non potrà diventare nuovo Presidente della Birmania?

R. – Aung San Suu Kyi non potrà essere candidata in virtù di una legge presente nella costituzione che vieta a chi ha parenti con passaporto straniero, in questo caso i figli, di candidarsi. Il presidente candidato dovrebbe essere verosimilmente l’attuale speaker del parlamento e Aung San Suu Kyi dovrebbe invece prendere il suo posto come speaker del parlamento.

D. – Perché la legge riserva un quarto dei seggi all’esercito?

R. – Questo deriva dalla costituzione approvata di recente ed è un tentativo dell’esercito di mantenere il suo status quo. Quindi con questa legge il 25% dei membri dell’esercito vengono nominati direttamente dall’esercito. E’ un tentativo deliberato di impedire un cambiamento politico. Se Aung Suu Kyi dovesse avere una fortissima vittoria - ed è questo uno dei motivi del contendere dell’esito dei risultati di oggi, capire quei pochi seggi che fanno la differenza - potrebbe finalmente cambiare la costituzione ed eliminare questo 25% e permettere anche a chi ha parenti stranieri di candidarsi a Presidente.

D. – Quanto è importante questo risultato dal punto di vista geopolitico per la Birmania?

R. – Questo è davvero molto importante anche se gli scenari e le alleanze che ruotano attorno alla Birmania sono piuttosto confuse. Questo è esemplificato soprattutto dal viaggio che ha fatto Aung San Suu Kyi a Pechino lo scorso giugno per rassicurare il governo di Pechino sulla tutela degli interessi cinesi in caso di sua vittoria. L’attuale Presidente Thein Sein che rappresenta i militari, in passato molto avversato dagli americani, in realtà ha portato un avvicinamento agli statunitensi. Il gioco delle alleanze quindi sulla Birmania al momento è piuttosto controverso con l’attuale presidente più vicino agli Stati Uniti che alla Cina e Aung San Suu Kyi che mantiene buone relazioni sia con Xi Jinping che con Obama.

D. – Invece riguardo alle alleanze interne, a queste elezioni ci sono stati circa 6.000 candidati divisi in 93 sigle: quanto questo peserà nella creazione dei nuovi assetti politici?

R. – Peserà soprattutto nel rapporto con i gruppi etnici che ci sono nelle campagne. Sappiamo che è in corso quasi una guerra civile, in alcuni ambiti proprio con scontri a fuoco nelle campagne. Ci sono state di recente, ed è stato uno dei migliori risultati del Presidente Thein Sein, un cessate il fuoco con 8 dei 15 gruppi attualmente in rivolta che stanno combattendo il governo. Bisogna vedere se queste 93 sigle riusciranno a lavorare con il nuovo governo oppure se rimarrà una condizione di instabilità.

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Afghanistan: violenze dei talebani filo-Is. Oltre 50 morti

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È di almeno 50 morti il bilancio dei violenti combattimenti scoppiati nel sud dell'Afghanistan fra opposte fazioni di talebani, una delle quali sarebbe passata sotto le bandiere del sedicente Stato Islamico. Inoltre, le autorità locali attribuiscono a jihadisti affiliati all’Is la decapitazione di sette civili rapiti circa un mese fa. Dunque il Califfato raccoglie consensi e adesioni anche in Afghanistan. Ma quali sono i reali rapporti tra il califfato di al-Baghdadi e alcuni gruppi talebani? Marco Guerra lo ha chiesto ad Andrea Carati ricercatore in Relazioni internazionali alla Statale di Milano: 

R. – Ci sono delle voci, in parte attendibili. Nell’ultimo anno e mezzo due ci sono stati dei gruppi – in realtà, però, molto minoritari - di talebani che si sono avvicinati allo Stato Islamico: in realtà ne hanno - in qualche modo - utilizzato il nome, cavalcando un po’ il successo che lo Stato Islamico ha in Medio Oriente. Si tratta per la gran parte di talebani scontenti o di combattenti marginalizzati o scontenti della strategia dei talebani favorevole al negoziato per una pacificazione in Afghanistan, perché vogliono continuare a combattere contro le truppe internazionali. Allora sotto il nuovo brand dell’Is riescono a raccogliere qualche proselita, qualche combattente. Ma si tratta di gruppi molto minoritari che tendono ad utilizzare il brand dello Stato Islamico a scopo di proselitismo e in parte anche per raccogliere finanziamenti, ma che in realtà ha pochissimi legami con lo Stato Islamico quello vero, in Siria e in Iraq.

D. – Quali conseguenze potrebbe comportare una vera saldatura tra talebani afghani e i jihadisti dello Stato Islamico? Ci potrebbe essere una collaborazione tra queste due realtà?

R. – Nel medio periodo credo di no e questo per due ragioni. La prima è che la leadership storica dei talebani, che ha un rapporto molto dialettico con il Medio Oriente e con gli arabi, è di etnia pashtum; i talebani hanno un rapporto pregresso con gli arabi e il loro rapporto con al-Qaeda ha creato loro più danni che benefici. Quindi c’è una distanza. E poi anche perché la leadership dello Stato Islamico in Siria e in Iraq ha dato dei segnali circa quali siano le loro priorità strategiche e che sono nel medio periodo quelle di consolidare il controllo del territorio che per ora controllano e al limite pensare ad una espansione in Siria, nella zona di Aleppo. La priorità strategica per loro è il consolidamenti del territorio: non hanno in mente un’espansione e se hanno in mente un’espansione di più lungo periodo è principalmente concentrata in Medio Oriente. Quindi credo che l’Afghanistan sarebbe eventualmente un’ultima tappa di un processo  molto, molto lungo.

D. – Quindi è una sorta di affiliazione – mi passi il termine – in franchising come ha fatto Boko Haram: un’aderenza, quindi, più ideologica da parte di qualche gruppo…

R. – Sì, in realtà ancora molto più vacua rispetto a quella di Boko Haram, rispetto ad al-Qaeda e lo Stato Islamico… No, qui non siamo neanche al franchising, siamo alla affiliazione e a volte all’autoproclamazione di una affiliazione da parte di gruppi di talebani che – ripeto – sono però molto, molto minoritari e non rappresentato all’interno dei talebani un universo molto diffuso. A questo aggiungerei anche che lo Stato Islamico, nell’ambito dell’universo jihadista contemporaneo, si è differenziato rispetto ad un movimento come quello di al-Qaeda proprio perché ha in mente un Stato, ha in mente una amministrazione del territorio e quindi è poco propenso ad una affiliazione in franchising molto diffusa, ma in realtà anche molto fragile. E’ interessato, invece, a legami col territorio molto, molto più stretti.

D. – Dopo la morte del Mullah Omar, quindi, come si compone la galassia talebana?

R. – La galassia talebana è stato sempre molto frammentata ed è divisa in diversi gruppi - 3-4 gruppi più o meno dominanti e tutta una serie di gruppi molto, molto più piccoli e in parte anche meno influenti o che hanno un’influenza molto locale. Il quadro è rimasto, in realtà, frammentato: lo era anche quando il Mullah Omar era vivo… C’è la guida, quella che noi in Occidente in generale riteniamo un po’ la leadership dei talebani, che viene definita dagli esperti Quetta Shura o la Shura, la Commissione di leadership dei talebani storici, che risiede a Quetta, la città del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Questa Quetta Shura cerca di affermare la propria leadership, la propria guida all’interno di un mondo molto frastagliato e molto differenziato al proprio interno e che noi chiamiamo dei talebani, ma che in realtà è – appunto – una galassia, un universo molto frammentario al proprio interno.

D. – Usa e Gran Bretagna hanno rinviato il ritiro delle truppe dall’Afghanistan: la situazione sul terreno, quindi, è tutt’altro che pacificata…

R. – Sì, anzi al contrario: la situazione – a partire dal 2014, dall’inizio del 2014 – è andata progressivamente peggiorando in Afghanistan. Il peggioramento delle condizioni di sicurezza è andato di pari passo con il ritiro internazionale, incominciato in realtà prima - a partire dalla fine del 2011 - e che si è concluso alla fine del 2014. Sono migliorate negli ultimi 3-4 anni in maniera abbastanza relativa nelle aree urbane, però sono andate progressivamente invece peggiorando nelle aree rurali. Questo ha dato vita ad un fenomeno che è quello dell’assedio delle città da parte dei talebani: diversi centri urbani – Kabul compresa – in realtà sono,  se non sotto un vero e proprio assedio, senz’altro circondati da una rete di combattenti talebani che tendono ed aspirano alla riconquista di grandi centri urbani.

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Italia. Nuovi equilibri politici in vista delle amministrative

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"L'Italia non è fatta da chi sa solo urlare, basta con chi vuole bloccare il Paese: noi rimettiamo l'Italia al suo posto nel mondo”. Le affermazioni odierne da Riad del premier Renzi arrivano dopo un intenso fine settimana per la politica. Sabato la nascita di “Sinistra Italiana” dove sono confluiti Sel ed ex Pd, ieri invece a Bologna il lancio del centrodestra a guida leghista con Salvini, Berlusconi e Giorgia Meloni. Su queste nuove formazioni Paolo Ondarza ha sentito il politologo Alberto Lo Presti, docente all’Università Sophia di Loppiano: 

R. – C’è stata una piccola scissione a sinistra e un tentativo di unificazione a destra. Entrambe sono iniziative velleitarie: quella del centrodestra, perché se l’Italicum sarà la legge elettorale con cui andremo a votare, allora siccome il premio di maggioranza andrebbe a chi riesce a presentare una lista unica, pensare che una lista unica possa essere quella messa insieme da Salvini, da Berlusoni e dalla Meloni è – appunto – assai improbabile. Tra l’altro, negli slogan del centrodestra di ieri, a Bologna, non c’era alcun programma di governo: c’erano però un generale orientamento a ritenersi alternativi a Renzi. Per quello che riguarda, invece, la sinistra, siamo di fronte all’ennesima prova di incapacità di essere forza sistemica di un certo modo di intendere la sinistra. Se andiamo a contare tutte le volte che la sinistra arrivata al governo ha prodotto una scissione perché governare significa prendersi la responsabilità di certe politiche, noi osserviamo appunto che i partiti che si sono frazionati sono numerosi. Cos’è che accomuna le due iniziative? L’antieuropeismo e anche una certa incapacità di guardare all’avvenire, al futuro.

D. – Dunque due estremizzazioni delle due parti che corrispondono anche a un reale mutamento nell’elettorato? 

R. – In questo senso, io vedo Salvini come frutto di una politica che in Europa ha in Le Pen il suo simbolo fondamentale e Fassina come un’idea del modello Tsipras, che pure è fallito in Grecia e sta cercando di propagarsi in una corrente comune europea. E questo è già contraddittorio, perché nel momento in cui criticano un’Europa che vedono amministrativa, burocratica, incapace di risolvere i problemi, poi però fanno parte in realtà di prospettive che solo a livello europeo hanno senso e trovano significato.

D. – Si rafforza la posizione centrista di Renzi?

R. – La posizione centrista non è solo di Renzi. Questo vociferato “Partito della Nazione”, che tanti citano e di cui ancora non abbiamo sembianze precise che ci consentano qualche giudizio, è comunque qualcosa in più di un semplice escamotage per attirare l’attenzione. C’è un bisogno di centro; la gran parte dell’elettorato italiano è ancora moderato; la fisionomia che acquisterà sarà tutta da vedere. Una cosa è sicura: comunque si voglia giudicare il governo Renzi, questo sta adottando misure che sono liberali. Bisogna osservare che Renzi non è alternativo né a Berlusoni né a Fassina; ma è post-berlusconiano ed è post-ideologia. Nel bene o nel male, si può essere d’accordo o meno, comunque sta segnando un’iniziativa nuova.

D. – Primo banco di prova saranno le prossime amministrative: si può azzardare da adesso qualche previsione?

R. – Credo che dovremmo leggere quello che è successo ieri a Bologna proprio in ordine alle amministrative. La Meloni dal palco ha richiamato tutti con un appuntamento a Roma per gennaio: dovrebbe essere una sorta di investitura perché tutti i voti del centrodestra – giustamente e legittimamente – lei desidererebbe potessero convergere sulla propria candidatura. Credo che la prossima tornata delle amministrative ci spiegherà molto su come sarà la politica italiana nei prossimi anni.

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Sui treni e nelle stazioni spot contro il gioco d'azzardo

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“Più giochi, più perdi. (E’ matematico)”. E’ questo lo slogan dello spot che, fino al prossimo 15 novembre, verrà trasmesso sui monitor a bordo delle “Frecce" di Trenitalia e su quelli di molte stazioni ferroviarie italiane. L’iniziativa è stata presentata oggi alla Stazione Termini alla presenza, tra gli altri, del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, e del portavoce della campagna “Mettiamoci in gioco”, don Armando Zappolini. C’era per noi Amedeo Lomonaco

“Mettiamoci in gioco”, la campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo, approda sui treni e arriva in molte stazioni ferroviarie. Lo strumento è uno spot veloce ed efficace. La sua finalità è di far comprendere alle persone che giocano, ma anche all’opinione pubblica, che invece i messaggi di promozione del gioco d’azzardo sono illusori e ingannevoli. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, si è soffermato sull’impegno del governo contro questa piaga:

“Il governo continua ad andare verso una direzione di aumento di tassazione e di riduzione del numero delle sale, di protezione degli utenti più deboli, di accreditamento del gioco legale e di lotta a quello illegale. Credo che oggi sia una buona notizia il fatto che in tutte le stazioni ci sia una scelta molto forte da parte dello Stato di promuovere una più matura coscienza civile e una prospettiva di liberazione da tutte le dipendenze. E poiché il gioco d’azzardo, purtroppo, colpisce paradossalmente moltissimo anche le fasce più deboli - quindi i disoccupati, i pensionati, le casalinghe, quelli che pensano a trovare una scorciatoia, giovani che non hanno un lavoro - è chiaro che un’informazione corretta, un’informazione consapevole, un’informazione nei luoghi della vita quotidiana è molto rilevante, molto importante”.

Lo Stato però, attraverso le entrate fiscali, guadagna con il gioco d’azzardo. E non vieta campagne pubblicitarie che lo promuovono. Don Armando Zappolini, portavoce di "Mettiamoci in gioco", la campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo:

“Ci sono segnali che fanno capire che forse c’è un cambiamento di rotta. Io penso che il governo debba recuperare su questo tema una credibilità che, a oggi, non ha. E con la credibilità recuperata può davvero facilitare un percorso per arrivare a una legge quadro che tenga insieme tutti gli aspetti del problema. La battaglia è sicuramente culturale, educativa, perché in Italia giocano 20 milioni di persone. Quindi, c’è un problema a monte. Bisogna ora tamponare gli effetti sulle categorie più deboli. Si deve limitare assolutamente ogni forma di pubblicità, come è stato fatto anni fa sulla pubblicità del fumo. E poi, si deve costruire un sistema che ne regolamenti l’utilizzo riducendo molto l’offerta e cercando di accompagnare questo impegno con un processo educativo. Un processo che faccia capire che non è il modo migliore per vivere cercare la fortuna in un grattino o in un bottone come un imbecille su una macchinetta. C’è un altro modo di vedere la vita. Quello che avviene è il deterioramento di un modello di società costruito solo sul guadagno”.

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Rapporto Antigone, diminuiscono i minori nelle carceri italiane

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Diminuisce il numero dei minori negli Istituti di pena italiani. E’ quanto emerge dal terzo Rapporto sugli Istituto di pena per minorenni realizzato da “Antigone” in collaborazione con l’Isfol, l'Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, e presentato questa mattina a Roma. Il servizio di Davide Dionisi

Si intitola “Ragazzi fuori” e rivela che le carceri minorili hanno ormai un uso davvero residuale all’interno del sistema giudiziario italiano. Il terzo rapporto sugli Istituti di pena per minorenni (Ipm), realizzato da “Antigone” e presentato questa mattina a Roma, scatta un’istantanea piuttosto confortante, anche se c’è ancora molta strada da percorrere perché gli Istituti di pena per minori diventino sempre meno simili a una prigione e anche se è giunto il momento per pensare ad ogni modalità affinché i ragazzi rimangano al di quà delle sbarre. La situazione italiana nella testimonianza di Alessio Scandurra, responsabile per Antigone dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione:

R. – La situazione è quella di numeri piuttosto limitati: i minori in carcere in Italia sono pochi. Da tempo viaggiano attorno ai 400. Nell’ultimo anno sono leggermente cresciuti, perché è leggermente cresciuta la platea, è cambiata la legge: un ragazzo che aveva commesso un reato da minorenne fino a ieri poteva scontare la propria pena in Ipm fino ai 21, oggi può scontare la propria pena fino ai 25 anni. Questo è il motivo per cui i numeri sono leggermente cresciuti, ma è un fatto indubbiamente positivo perché significa che i giovani-adulti fino a un età anche un pochino più avanti possono scontare la propria pena in un contesto meno caratterizzato dalla dimensione contenitiva, repressiva, e più caratterizzato da una dimensione invece educativa, trattamentale, tesa al reinserimento della persona..

D. – Coltivare la dimensione religiosa può avere un valore educativo per i minori ristretti?

R. – L’esperienza religiosa può certamente essere uno degli ingredienti che diano una prospettiva diversa, utile e nuova a questo periodo della propria vita che i ragazzi si trovano a trascorrere in una struttura detentiva.

D. – Quali sono gli elementi di novità di questo vostro Terzo Rapporto?

R. – Un generale miglioramento degli indicatori quantitativi, nel senso che continuano a entrare meno persone nei centri di prima accoglienza, continuano a entrare meno persone che in passato negli Ipm e anche alcune disparità problematiche che vedevamo – cioè il fatto che per esempio gli stranieri sono una percentuale molto alta dei ragazzi detenuti in Ipm – anche questi indicatori oggi sono un po’ meno allarmanti di ieri, sembrano in parte rientrati. L’altra cosa che si registra con una certa soddisfazione è che le opportunità trattamentali, cioè l’apertura verso l’esterno degli Istituti – che rimane limitata, rimane un percorso da percorrere fino in fondo – in ciò tuttavia dei passi avanti noi in questi ultimi anni li abbiamo visti.

D. – Quali sono i problemi principali che si incontrano nell’affrontare un approccio rieducativo con i ragazzi e le ragazze che vivono in carcere?

R. – I problemi principali sono in parte legati ai limiti imposti dalle strutture. Questi Ipm in genere non sono strutture moderne, non sono strutture nate nell’ottica di riforma o di trasformazione che oggi vogliamo in qualche modo valorizzare. Quindi, hanno una serie di limiti strutturali, hanno pochi spazi per l’attività, spesso sono lontani dal centro delle città, sono lontani poi dal cuore delle attività sociali e culturali delle città e questo rappresenta certamente un ostacolo materiale. Indubbiamente, c’è un impegno dei servizi sociali, del terzo settore verso le persone detenute in Imp, ma è un impegno spesso disorganico. In qualche modo, sembra che l’impegno degli Ipm sia quello di fare spazio a questi interventi del territorio, ma quasi mai c’è invece una concertazione, una regia comune dall’inizio di questi interventi: è come se l’Ipm fosse un luogo “altro” dove si cerca di fare arrivare il meglio della vitalità sociale, culturale che c’è sul territorio, ma non è un pezzo integrato di questo territorio e quindi le politiche culturali, le politiche educative, le politiche sociali del territorio non hanno il carcere come loro luogo anche naturale, fisiologico.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa in Iraq: protesta per legge su islamizzazione dei minori

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Si svolgerà domani, martedì 10 novembre, nello slargo antistante la chiesa caldea di San Giorgio, la manifestazione convocata dal patriarca caldeo Louis Raphael I Sako per protestare contro la legge che dispone il passaggio automatico alla religione islamica dei minori quando anche uno solo dei due genitori si converte all'islam. La mobilitazione - riferisce l'agenzia  oltre a contare sulla presenza di cristiani di diverse confessioni, vedrà la partecipazione di militanti di varie sigle politiche, rappresentanti di organizzazioni della società civile e gruppi di appartenenti alle comunità religiose dei yazidi, dei mandei e dei sabei.

Costituzione irachena dovrebbe proteggere i cittadini da ogni discriminazione
In una dichiarazione, diffusa dai canali ufficiali del Patriarcato caldeo, il patriarca Louis Raphael I ribadisce che la legge sull'islamizzazione dei minori rappresenta un vulnus per l'unità tra le diverse componenti del popolo iracheno. Nel pronunciamento, pervenuto a Fides, il primate della Chiesa caldea fa notare che tale disposizione giuridica viola gli articoli della Costituzione irachena che proteggono i cittadini da ogni discriminazione, e contraddice anche gli insegnamenti del Corano, in cui viene proclamato che nella religione non può esserci costrizione. Il patriarca fa appello anche al Presidente iracheno Fuad Masum, affinché la legge sia modificata in Parlamento e si emendino i passaggi che la rendono discriminatoria. In caso contrario – avverte il patriarca caldeo – è già pronto un ricorso ai tribunali e alle istanze internazionali che tutelano i diritti umani.

La modifica alla legge avanzata dai cristiani, bocciata dal Parlamento
Lo scorso 27 ottobre il Parlamento iracheno ha già respinto a larga maggioranza la proposta di modifica della legge avanzata dai rappresentanti cristiani, ma sostenuta da parlamentari appartenenti a schieramenti diversi. In tale proposta, si chiedeva di aggiungere al paragrafo riguardante i minori della legge controversa una frase, allo scopo di affermare che nel caso di conversione all'islam di un genitore i minori rimangono nella religione originaria di appartenenza fino ai diciotto anni, per poi scegliere la religione a cui appartenere in piena libertà di coscienza. (G.V.)

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Siria: l'Is rilascia altri 37 ostaggi assiri della valle del Khabur

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Sono almeno 37 i cristiani assiri liberati sabato scorso dai miliziani del sedicente Stato Islamico, dopo essere stati tenuti in ostaggio dallo scorso 23 febbraio, quando i jihadisti li avevano catturati nel corso dell'offensiva da loro lanciata sui 35 villaggi assiri sparsi lungo la valle dei fiume Khabur, nella provincia siriana nord-orientale di Hassakè. Secondo quanto riportato dall'Assyrian Information News Agency, le persone rilasciate - 27 donne e 10 uomini – hanno raggiunto la città di Tel Tamar.

Nelle mani dei jihadisti ancora 168 ostaggi
I cristiani assiri della valle del Khabur presi in ostaggio dai jihadisti a febbraio erano più di 250. Da allora, si sono succeduti diversi rilasci di gruppi di prigionieri. Al momento, gli ostaggi di quel gruppo che rimangono ancora nelle mani dei jihadisti dello Stato Islamico sono almeno 168. All'inizio di ottobre, sui siti jihadisti era stato diffuso il video dell'esecuzione di tre cristiani assiri della valle del Khabur. Il filmato, girato secondo i macabri rituali scenici seguiti anche in altri casi analoghi dalla propaganda jihadista, avvertiva che le esecuzioni degli altri ostaggi sarebbero continuate fino a quando non fosse stata versata la somma richiesta come riscatto per la loro liberazione. (G.V.)

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Clima: emissioni gas provocheranno 100 milioni di nuovi poveri

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Sono 100 milioni le persone che rischiano di cadere nella povertà assoluta entro il 2030 a causa dei cambiamenti climatici. Il dato, fornito dalla Banca Mondiale nel suo ultimo rapporto riguarda tutte le comunità più vulnerabili del pianeta che, senza un accordo internazionale sull’emissione dei gas nocivi, non riusciranno a sopportare gli effetti dei danni ambientali.

La pressione sui leader mondiali
La Banca Mondiale - riferisce l'agenzia Misna - ha lanciato l’allarme in vista della Cop21 a Parigi, la ventunesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà dal 30 novembre all’11 dicembre. Riuscire a raggiungere un patto vincolante e universale per il mantenimento del riscaldamento globale sotto i 2° C rispetto alle temperature del 1850 è l’obiettivo dell’incontro nella capitale francese. Si tratterebbe, nel caso andasse a buon fine, del protocollo da sostituire a quello di Kyoto, risalente al 1997 e mai firmato dagli Stati Uniti e dalla Cina, che invece saranno protagoniste per Cop21.

I costi umani del cambiamento climatico
Spesso gli effetti dei gas serra vengono quantificati in termini di Pil, senza considerare i rischi sociali e umani. Le previsioni del rapporto disegnano scenari in cui l’aumento delle temperature potrebbe far salire del 5% gli abitanti esposti alla malaria. Le ricerche sono state compiute su famiglie di 90 diversi Paesi che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, ovvero la soglia definita di povertà estrema. “In particolare - afferma la Banca Mondiale - la situazione è molto grave per l’Africa perché i prezzi dei generi alimentari potrebbero aumentare fino a diventare insostenibili per la popolazione. Le conseguenze sarebbero negative anche per il sud-est asiatico: nella sola India sono 45 milioni le persone che cadrebbero nella povertà totale”.

Possibili soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici
Per evitare che i cambiamenti climatici rendano inutili le politiche per la riduzione della povertà il rapporto della Banca Mondiale raccomanda ai Paesi che faranno parte della Conferenza di Parigi di investire in infrastrutture elastiche, reti di sicurezza sociale e misure di adattamento. Non tutto dipende però da aiuti stranieri, lo studio stima che il 70% dei poveri del mondo vive in Paesi che sarebbero in grado di implementare politiche migliorative con risorse interne. Inoltre, secondo la pubblicazione, i piani per ridurre le emissioni dei gas serra non dovrebbero in nessun modo penalizzare i più poveri: il taglio dei sussidi ai combustibili fossili potrebbe essere bilanciato, per esempio, con investimenti  nel settore sanitario.

L’impegno della Chiesa per il clima
Vescovi da tutto il mondo e movimenti cattolici stanno promuovendo, in occasione di Cop21, una forte mobilitazione per riconoscere il clima e l’atmosfera beni comuni globali da rispettare. I vescovi cattolici schierano dieci proposte concrete, che chiedono un accordo comune sull’ambiente. Per valutare oltre che le dimensioni tecnico-scientifiche, anche quelle etiche e morali dei cambiamenti climatici, con un’attenzione particolare per le comunità più povere che risentono degli effetti dei disastri ambientali. Il Movimento mondiale cattolico per il clima lancia invece un mese dedicato alla tutela dell’ambiente, iniziato il primo, durerà fino al 29 novembre. (V.D.D.M.)

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Chiesa Burundi: situazione sembra sfuggita di mano a tutti

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“L’ultimatum è scaduto sabato, ma non si sa bene quali conseguenze possa avere. Sembra che anche il governo abbia paura” dicono all’agenzia Fides fonti della Chiesa da Bujumbura, capitale del Burundi, dove sabato 7 novembre è scaduto l’ultimatum lanciato dal governo del Presidente Pierre Nkurunziza all’opposizione armata perché deponga le armi.“La sensazione è che la situazione stia sfuggendo di mano a tutti”. Le forze di sicurezza hanno comunque avviato controlli e perquisizioni nei quartieri della capitale considerati bastioni della ribellione.

Continua l'esodo degli abitanti dei quartieri dell'opposizione a Bujumbura
“Una decina di persone sono state uccise il 7 novembre, la scoperta di nuovi cadaveri uccisi durante le ore notturne è ormai da tempo un fatto quotidiano. Questa mattina si è sparato in un altro quartiere di Bujumbura, dove sono stati inviati rinforzi di polizia, mentre gli abitanti dei quartieri dell’opposizione stanno lasciando le loro case per rifugiarsi in aree considerate un po’ più sicure” riferiscono le fonti di Fides.

Sono più di  200 le  persone  morte dall'inizio delle violenze
La crisi burundese scoppiata in seguito al conferimento del terzo mandato a Nkurunziza, in violazione della Costituzione e degli accordi di pace di Arusha, suscita forte preoccupazione nell’area dei Grandi Laghi e nella comunità internazionale. Questa mattina si radunerà il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, su richiesta della Francia, per esaminare la situazione nel Paese. La Chiesa ha indetto una novena per la pace dal 13 al 22 novembre. (L.M.)

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Argentina: inaugurata la 110.ma Assemblea dei vescovi

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È stata celebrata ieri nella Basilica della Madonna di Luján la Messa inaugurale della 110.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale argentina. L’omelia, pronunciata dal presidente dell’episcopato e arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, mons. Jose María Arancedo, è stata dedicata ai religiosi e alle religiose della Chiesa locale, in occasione dell’Anno della vita consacrata che si conclude il 2 febbraio. La ricchezza del loro carisma e il valore dell’opera dei missionari, sia nell’ambito della carità che dell’educazione - riferisce l'agenzia Sir - sono state evidenziate dal presule. 

Preghiera e carità sono espressioni di un’autentica vita di fede
“Viviamo quest’anno giubilare quale momento di riconoscimento, di gratitudine e di viva comunione ecclesiale. La parola del Signore che abbiamo ascoltato c’introduce nella saggezza sempre nuova del Vangelo dell’amore, della generosità e del condividere. Ci scopre nella nostra condizione di figli di Dio e nella necessaria conseguenza che rappresentano la dedizione per gli altri e il servizio. Preghiera e carità sono espressioni di un’autentica vita di fede”, ha affermato mons. Arancedo. Il presidente dell’episcopato argentino ha anche ricordato il valore degli orientamenti pastorali per il triennio 2015-2017 e – in vista del Congresso eucaristico nazionale – ha chiesto al “popolo di Dio” d’“impegnarsi di fronte a un evento che, oltre ad essere legato alla fede in Gesù Eucaristia, riguarda un momento speciale nella vita e nel futuro del Paese”. 

La riconciliazione tra i diversi settori della società argentina
​“L’Argentina – ha affermato Arancedo – ha bisogno dell’incontro dei suoi figli. Non dobbiamo dimenticare – ha aggiunto – uno degli obiettivi che abbiamo proposto alla luce della celebrazione del Bicentenario (1816-2016): ‘Avanzare nella riconciliazione tra i diversi settori e nella capacità di dialogo. Una fratellanza sociale che possa includere tutti è il punto di partenza per poterci proiettare come comunità, una sfida che non abbiamo ancora raggiunto nel percorso della nostra vita nazionale”. (R.P.)

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Vescovi Paraguay: trasparenza per il voto alle comunali

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Ad una settimana dalle elezioni municipali, fissate per domenica 15 novembre, la Conferenza episcopale del Paraguay riunita nella 207.ma Assemblea plenaria, ha invitato la comunità civile a esercitare il diritto al voto in modo libero e responsabile. "Le elezioni costituiscono la migliore opportunità per premiare chi, con il suo comportamento, ha onorato l'ufficio politico e ‘punire’ con il voto coloro che sono indegni perché hanno tradito la fiducia dei cittadini" si legge nella dichiarazione ripresa dall'agenzia Fides.

I vescovi contro la corruzione
​"In tempi recenti sono stati pubblicati fatti di presunta corruzione con i fondi destinati alla pubblica istruzione che amministrano i Comuni. ‘La corruzione è cancrena, è la falena dei popoli’ ci ha detto il Santo Padre Francesco durante l'incontro con la società civile a León Condou". Il messaggio si conclude con queste parole: "I cittadini organizzati, con atteggiamenti generosi e altruisti come quelli dei giovani, possono guidare la trasformazione delle nostre istituzioni politiche, sociali ed economiche per il bene comune della società, favorendo in particolare i più vulnerabili. Come Pastori, promettiamo di essere con e tra la nostra gente, accompagnando le loro giuste aspirazioni per una vita più degna, più felice e dignitosa, guidati dalle linee guida di Papa Francesco!”

La visita del Presidente della Repubblica Horacio Cartes
Durante l'Assemblea plenaria, che si è conclusa sabato scorso, i vescovi hanno ricevuto in visita il Presidente della Repubblica, Horacio Cartes, e dei suoi ministri, per un colloquio durante il quale sono stati trattati i rapporti Chiesa-Stato e le azioni sociali da intraprendere insieme in modo coordinato. Questa Assemblea ha visto anche il rinnovo delle massime autorità dell’organismo: mons. Edmundo Valenzuela Mellid, arcivescovo di Asunción, è stato eletto presidente; mons. Ricardo Valenzuela Ríos, vescovo di Villarrica, vice-presidente; mons. Joaquín Robledo Romero, vescovo di San Lorenzo, segretario generale. (C.E.)

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50.mo Patto delle catacombe: a Roma 3 iniziative per rilanciarlo

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Una lunga “convention” per commemorare i 50 anni del “Patto delle catacombe” si svolgerà dall’11 al 17 novembre a Roma, per iniziativa dell’Istituto di teologia e politica di Monaco (Germania), in collaborazione con il gruppo “Pro Konzil“. 250 persone da tutto il mondo, appartenenti a diverse congregazioni, università, movimenti e associazioni, si riuniranno nella Casa La Salle per ricordare la firma del “Patto” segreto, il 16 novembre 1965, tre settimane prima della fine del Concilio: 42 vescovi, poi diventati 500 nel tempo, si riunirono nelle catacombe di Domitilla impegnandosi a fare vita una vita sobria, rinunciando a lussi, segni del potere e privilegi, e dedicandosi ad una Chiesa povera e per i poveri. 

Vari eventi per commemorare l'anniversario
Tra i firmatari, che saranno presenti a Roma, mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e il vescovo Erwin Kräutler (Brasile). All’evento interverrà il teologo Jon Sobrino (El Salvador) e il teologo musulmano Kacem Gharbi (Tunisia). Tra le iniziative in programma, l’incontro della Commissione Giustizia e Pace il 14 novembre e il convegno del movimento per la riforma della Chiesa dal 20 al 22 novembre. Una celebrazione liturgica nelle catacombe di Domitilla si terrà il 16 novembre. (R.P.)

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Hong Kong. Card. Tong: nozze gay usate per colpire la famiglia

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“Sotto la maschera dell’uguaglianza e la lotta alla discriminazione”, si sta introducendo nel territorio di Hong Kong una legislazione che riconosca i matrimoni fra persone dello stesso sesso, che minano la società fin nel suo fondamento. Da questa preoccupazione, con un annuncio fatto girare lo scorso 5 novembre in tutte le chiese e associazioni cattoliche - riferisce l'agenzia AsiaNews -  il card. Tong chiede ai fedeli di testimoniare “il costante insegnamento della Chiesa su matrimonio e famiglia”, confermato col Sinodo dello scorso ottobre.

Insegnamento della Chiesa su matrimonio e famiglia
"Fin dal Concilio Vaticano II - scrive il cardinale - in modo persistente la Chiesa ha dato importanza alla divina istituzione del matrimonio e della famiglia come fondamento della società. La mia lettera pastorale, dal titolo Ecologia e la famiglia, resa pubblica alla fine di settembre di quest’anno, come pure al 14ma Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi appena concluso - sottolinea il porporato - hanno entrambi riconfermato il perenne insegnamento della Chiesa su matrimonio e famiglia".

I matrimoni fra persone dello stesso sesso minano la società
"Purtroppo - osserva il card. Tong - in questi anni, tendenze sociali e movimenti politici, come atteggiamenti di estremo libertarismo, individualismo e il “movimento per la liberazione sessuale” e il “movimento gay”, sotto la maschera dell’uguaglianza e la lotta contro la discriminazione, hanno di continuo richiesto l’attuazione ad Hong Kong di una ordinanza contro la discriminazione dell’orientamento sessuale e il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. In tal modo, i valori base e i concetti chiave del matrimonio e della famiglia sono di continuo sfidati e mal interpretati, minando la società fino al suo vero fondamento.

Gli esempi degli Usa e di una università di Hong Kong
Un esempio di tali tendenze è la decisione della Corte suprema Usa che impone il riconoscimento dei matrimoni con persone dello stesso sesso a tutti i 50 Stati di quella nazione, compresi quegli Stati che in precedenza, attraverso un metodo democratico, hanno votato contro tale riconoscimento. Un altro esempio è il cosiddetto “seminario sulle tecniche per fare l’amore”, tenuto da una sedicente organizzazione studentesca cristiana in una delle nostre università locali, il cui programma comprendeva dimostrazioni da parte di “impiegati del sesso” dell’uso di giocattoli sessuali e massaggi erotici.

Alle prossime elezioni locali verificare la posizione dei candidati sul matrimonio
​Preso di mira lo scorso 7 novembre dal Gay Pride a Hong Kong, il porporato domanda a tutti i fedeli di scegliere bene i dei candidati alle prossime elezioni dei District Council del 22 novembre prossimo, verificando la loro posizione sulla questione matrimoni gay. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 313

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.