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Sommario del 10/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: sogno una Chiesa italiana vicina alla gente, libera dal potere

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Sogno una Chiesa italiana vicina alla gente, che non sia ossessionata dal potere e che si faccia guidare senza paura dal soffio dello Spirito Santo. È quanto affermato da Papa Francesco nel discorso ai 2500 partecipanti al Convegno Ecclesiale Nazionale, nella Cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore. Il lungo e programmatico intervento del Papa è stato anticipato dal saluto del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e da alcune testimonianze. Da Firenze, il servizio di Alessandro Gisotti: 

Il sogno di una Chiesa libera e vicina alla gente, guidata dallo Spirito Santo, lontana dal potere. Nella cornice spettacolare, per la sua bellezza, della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Francesco parla della sua visione profetica per la Chiesa italiana. Un discorso programmatico, preceduto da testimonianze toccanti. Una catecumena, una coppia con una storia di fallimento matrimoniale alle spalle, un immigrato albanese divenuto sacerdote in Italia. Le testimonianze hanno ricordato quell’immagine del “poliedro” che sta tanto a cuore a Francesco. Ricchezza di esperienze nelle diversità delle storie per una Chiesa che, ha sottolineato nel suo saluto il cardinale Angelo Bagnasco, “desidera uscire, annunciare, abitare la storia, educare, trasfigurare nella fede” per dar vita ad un nuovo umanesimo.

La testimonianza di una famiglia: fidiamoci di una Chiesa che è madre
Particolarmente commoventi sono state le parole dei coniugi Pierluigi e Gabriella Proietti, oggi impegnati nel Centro di formazione e pastorale familiare Betania di Roma, che hanno raccontato la loro storia di sofferenza per due matrimoni falliti, poi dichiarati nulli, vivendo la crisi in solitudine e senza sostegno fino alla decisione di fidarsi di una Chiesa come di una “madre sapiente” per ricostruire la propria vita. E così, hanno confidato, le proprie “ferite sono diventate feritoie di luce”:

“In sintesi, la nostra esperienza è quella di persone che, percosse dalla vita e abbandonate sul ciglio della strada, hanno conosciuto la mano tesa di un 'samaritano', di qualcuno non ripiegato su di sé, ma capace di vedere la necessità dell'altro, di soccorrerlo con amore e sapienza per affidarlo a Cristo che solo può guarire nel profondo”.

A loro, ai delegati al Convegno ecclesiale e, attraverso di essi, a tutta la Chiesa e infondo alla società italiana, Francesco ha indicato l’orizzonte di una comunità cristiana vicina alla gente, libera, che non ha paura di confrontarsi con le sfide del nostro tempo. Il Pontefice prende spunto dall’affresco che nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore raffigura il “Giudizio Universale” e subito evidenzia come Dio non ha mandato suo Figlio per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. E avverte che anche noi siamo chiamati ad abbassarci, “a svuotarci” come il Signore sulla Croce, altrimenti “non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto”.

La Chiesa eviti di rinchiudersi in strutture di falsa protezione
Francesco parla così di una Chiesa che deve guardare a tre dimensioni del vero umanesimo: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine. Il primo sentimento, avverte, deve proteggerci dall’ “ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza”. Quindi, parla del disinteresse, perché “quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio”:

“Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo”.

“Dobbiamo seguire questo impulso – ha ripreso – per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù”. Il cristiano, ha soggiunto, è beato quando “ha in sé la gioia del Vangelo”. Per i grandi Santi, ha ribadito, “la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà”.

La Chiesa non sia ossessionata dal potere, altrimenti diventa triste
Tuttavia, ha ripreso, “anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine”: nella solidarietà, nel sacrificio, nel lavoro “a volte duro e mal pagato”. Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi tre tratti, ha ribadito, “dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità”.

“Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste”.

Francesco ha così indicato due tentazioni che possono ostacolare il cammino del rinnovamento. “Non quindici come alla Curia”, ha aggiunto a braccio con una battuta scherzosa. La prima, ha ammonito, è quella “pelagiana” che “spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene”, ponendo fiducia “nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”:

“Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”.

Chiesa si lasci guidare dallo Spirito Santo
La dottrina cristiana, ha ripreso, “non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo”. Ed ha ribadito che la riforma della Chiesa, “non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture”, ma nel radicarsi in Cristo. La Chiesa italiana, ha esortato, “si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante”, “sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”. Una seconda tentazione da sconfiggere, ha avvertito, è quella dello gnosticismo che confida nel ragionamento, ma perde la tenerezza della carne del fratello. Qui, il Papa cita la semplicità di personaggi come il don Camillo di Guareschi che univa la preghiera alla vicinanza al popolo:

“Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte”.

Ai pastori chiedo di non staccarsi mai dal popolo
Il Papa sottolinea quindi che il “popolo e i pastori” sono chiamati assieme a decidere cosa fare per dare vita a questo nuovo umanesimo. Ai vescovi, ha detto, “chiedo di essere pastori, non di più, pastori: sia questa la vostra gioia: 'Sono pastore'. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi”:

“Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente. Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo”.

Non abbiate paura di dialogare con tutti
“Come pastori – ha ribadito – siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi”. E, con Giovanni Paolo II, ha ribadito l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri. “Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro – ha aggiunto – la povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza”. Quindi, ha raccomandato in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro:

“Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria 'fetta' della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo”, non dobbiamo neppure avere paura "di arrabbiarci insieme", ha aggiunto a braccio.

Cari giovani, impegnatevi per un’Italia migliore
“Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi – ha ripreso – è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”. Ricordatevi inoltre che “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. Quindi, il Papa ha voluto rivolgere un pensiero speciale ai giovani italiani, oggi spesso purtroppo sfiduciati:

“Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni”.

Chiesa italiana sia vicina ai dimenticati e agli imperfetti
“Le situazioni che viviamo oggi – ha detto – pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere”. Ma, ha detto ancora una volta, la Chiesa italiana è chiamata non a costruire “muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”:

“Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

Il Papa ha così invitato le diocesi a cercare di avviare “in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium. Credete “al genio del cristianesimo italiano – ha concluso - che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese”.

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Card. Bassetti: Chiesa in Italia non ha più scuse, c'è agenda precisa

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Sul discorso del Papa al Convegno nazionale della Chiesa italiana ascoltiamo il commento del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, al microfono di Luca Collodi

R. – Il Papa ha fatto una enciclica per la Chiesa italiana e ha rimesso insieme tante cose che ci aveva detto a spezzoni. Adesso noi - senza scuse – abbiamo una agenda; una agenda precisa, perché è partito con una visione subito molto chiara: Ecce Homo, l’umanesimo che rifiuta la spada e che è il Cristo Salvatore. E ha concluso ritornando a quel Cristo e poi alla figura del cristiano impersonato in Maria, che senza parlare dice: “Ecce Ancilla Domini”. Ha ritoccato tutti quanti i temi che praticamente ha sottolineato in questi tre anni di episcopato: ha detto “non sta a me, ma sta a voi”. Come dire: ora io ho parlato e ho parlato con chiarezza.

D. – Cardinale Bassetti il Papa non ha parlato solo ai cristiani: è sembrato parlasr a tutta la società italiana…

R. – Il Papa ha parlato ai vescovi, ha parlato ai cristiani, ha parlato ai preti,  anche a don Camillo e Peppone e soprattutto si è volto alla società, in questa bellissima interpretazione di un umanesimo completo, in cui la “societas christiana” non è distinta da quella laica: anche se c’è una distinzione – diciamo pure – anche ideologica, i cristiani sono chiamati ad essere il fermento proprio di quella società e a rimboccarsi fino in fondo le maniche. Quindi ha ricomposto anche l’unità dell’umanesimo cristiano fra la società civile e la “civitas christiana”.

D. – C’è anche un forte appello all’impegno del laico nel sociale…

R. - Fortissimo! Anche quando si è rivolto ai giovani in particolare voleva sottolineare questo: il futuro della Chiesa e della società è proprio nei giovani che non stanno a rifugiarsi in casa, ma che hanno il coraggio di rimboccarsi le maniche. Quindi oggi il cristiano è uno che sta in piedi e che – ha detto – non sta sulla terrazza a vedere quello che passa nella piazza; ma è uno che sta in piedi e si coinvolge pienamente, fino a sporcarsi le mani, fino a dire: “preferisco una Chiesa che si è lacerata e si è sporcata, perché è stata in mezzo alla gente, e in fondo si è compromessa fino in fondo, a una Chiesa profondamente malata, perché ha contemplato soltanto se stessa.

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Card. Scola: discorso del Papa, pietra miliare per la Chiesa italiana

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Presente al Convegno nazionale della Chiesa italiana, anche il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola. Alessandro Gisotti ha chiesto al porporato cosa lo abbia colpito del discorso del Papa: 

R. – Mi ha colpito anzitutto il grande amore del Papa per la Chiesa italiana: è evidente che si è piegato in termini personali a riflettere sulla nostra situazione e ci ha dato indicazioni preziosissime e di estrema importanza e interesse. Mi è sembrato un mosaico … Adesso bisogna avere il tempo e la pazienza di assimilare insieme tutte le tessere che lui ha voluto mettere insieme in questo grande disegno centrato sull’“Ecce homo”. Mi è piaciuto molto il modo con cui lui ha risolto l’umanesimo in Cristo, cioè: non è tanto la creazione immediatamente parlando di saperi, di discorsi ma l’immedesimazione con la persona di Gesù, che è la comunicazione stessa di Dio, da cui scaturisce una concezione della Chiesa come popolo di Dio in cui il pastore è anche padre, in cui c’è una grande sintonia tra il pastore e la gente, a partire da chi più fa l’esperienza della semplificazione, come quella della povertà dal cui punto di vista si può vedere meglio il tutto e meglio il centro, fino ad arrivare al grande tema del dialogo ben disegnato all’interno di una società plurale come la nostra, che deve arrivare fino ad accettare il conflitto, tentare di innestare un processo positivo a partire dal conflitto stesso … Insomma, adesso verrebbero in mente tante cose da dire, ma bisogna lavorarci.

D. – Una parola che credo abbia colpito tutti è "il sogno". Francesco ha accarezzato il sogno, questa visione, e l’ha donata alla Chiesa: “E adesso, sognate con me e lavorate per questo sogno” …

R. – Sì, è vero! Cioè, costruite una Chiesa che sia più capace di semplificazione, di essenzialità, di contatto diretto senza nulla perdere della coscienza, della complessità della Chiesa italiana che è immersa in Europa con tutte le problematiche. Questo – ha detto a un certo punto – non è un tempo di cambiamento, ma è un cambiamento di tempo: ecco, in questa frase è concentrato ciò che lo Spirito – il “vento leggero” di cui ha parlato – domanda a tutti noi. Io credo che questo rappresenterà sicuramente una pietra miliare per il cammino della nostra Chiesa.

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Gigi de Palo: momento storico, non si può tornare più indietro

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Cosa significa per la Chiesa italiana il discorso del Papa a Firenze? Alessandro Gisotti lo ha chiesto ad un esponente del laicato cattolico, Gigi de Palo

R. – Che non si potrà mai più tornare indietro, nel senso che è stato un momento storico. La cosa particolare è che finalmente - dopo tanti convegni, in cui si fanno tante analisi – una parola di sintesi, una parola che lancia il cuore oltre l’ostacolo, che dà delle indicazioni e che dice alla fine una cosa: non dobbiamo avere paura. Non c’è niente da difendere, c’è solo da proporre bellezza al mondo, dare concretezza alle cose che facciamo quotidianamente, raccontarle, raccontarle bene, con una chiarezza di fondo, che è Gesù Cristo. Punto! Il resto è astrazione...

D. – Il Papa è stato molto esigente, soprattutto quando ha parlato anche dei mali della Chiesa, ma mettendosi in mezzo alla Chiesa e quindi parlando anche a se stesso. Da dove si può partire per vincere questi ostacoli, che sempre poi si annidano anche nella vita della Chiesa…

R. – Anche questo nella propria fragilità, rendendosi conto che siamo uomini e donne e, così come discutiamo con nostra moglie, avremo delle mancanze dovunque. Però questa è sì una debolezza, ma anche una forza, perché il credente non ha paura di questa debolezza, perché sa che questa debolezza in Gesù Cristo è una grande forza: è quando siamo deboli che siamo forti. Il Papa lo dimostra quotidianamente in quello che fa, noi lo manifestiamo quotidianamente nelle nostre piccolezze quotidiane. E’ inutile che facciamo finta di essere più grandi di quello che siamo fuori da casa, quando poi a casa abbiamo tutte le difficoltà del caso… La verità rende liberi: se uno è vero, non deve temere nulla. A me piace questo: piace non dovermi difendere, piace non dovermi nascondere, piace l’umanità che mi rappresenta con tutte le difficoltà – lo ripeto – ma anche con tutte le grandissime potenzialità, perché è vero che siamo peccatori, ma siamo anche capacità di grande santità.

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Prato, Papa: lavoro degno per tutti, via cancro dello sfruttamento

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È un dovere combattere il “cancro” dello sfruttamento lavorativo e il “veleno” dell’illegalità”. È necessario stabilire “patti di prossimità” con le fasce della società più vulnerabili in maniera diversa: i poveri, gli immigrati, ma anche le famiglie. È il messaggio che Papa Francesco ha lasciato alla città di Prato, prima tappa della sua visita in Toscana. La sintesi del discorso del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis

“Benvenuto”. La parola più ovvia da stampare su uno striscione di saluto al Papa che arriva in visita. Meno ovvio è che in una città che appartiene alla regione culla della lingua italiana quel saluto sia scritto in ideogrammi cinesi.

L’ora dei “patti di prossimità”
Francesco comincia dalla “città-laboratorio” – tessile ma anche di convivenza interetnica tra le maggiori in Italia – la sua marcia, anzi il suo “pellegrinaggio” come tiene a precisare, di avvicinamento a Firenze. E la voce del Papa è un tuono che soffia sui marmi bianco-verdi del Duomo di Santo Stefano, sui 20 mila che si stringono in piazza per non perdere una parola, un mosaico di fattezze e colori diversi – cinesi, certo, tantissimi, ma anche ucraini e polacchi, romeni e pakistani, nigeriani e filippini:

“Vi ringrazio per gli sforzi costanti che la vostra comunità attua per integrare ciascuna persona, contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto. In tempi segnati da incertezze e paure, sono lodevoli le vostre iniziative a sostegno dei più deboli e delle famiglie, che vi impegnate anche ad ‘adottare’. Mentre vi adoperate nella ricerca delle migliori possibilità concrete di inclusione, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà. Non rassegnatevi davanti a quelle che sembrano difficili situazioni di convivenza; siate sempre animati dal desiderio di stabilire dei veri e propri ‘patti di prossimità’”.

“Lavoro degno!”
La spinta migratoria è una forza incontenibile in una città come Prato e imparare la convivenza è ineluttabile, imparare a lavorare insieme è una conseguenza. Ma – scandisce il Papa amico degli emarginati – “la sacralità di ogni essere umano richiede per ognuno rispetto, accoglienza e un lavoro degno”. Esattamente l’opposto di quello indegno, inumano, che due anni fa – ricorda – uccise due donne e cinque uomini, cinesi, dentro il capannone-lager della suburra pratese, dove li incatenava la loro condizione di lavoratori schiavi:

“E’ una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita! E questo non è lavoro degno! La vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia!”.

Piantare tende di speranza
Una lotta, insiste Francesco, per una società “più giusta” e “più onesta”, perché viceversa – assicura – “non si può fondare nulla di buono sulle trame della menzogna o sulla mancanza di trasparenza”. Ai giovani arriva l’incoraggiamento del Papa “a non cedere mai al pessimismo e alla rassegnazione” e alla Chiesa locale l’eterno invito a sentirsi “in uscita”, con una “rinnovata passione missionaria” che spinge a “piantare tende di speranza, dove accogliere chi è ferito e non attende più nulla dalla vita”:

“Ci è chiesto di uscire per avvicinarci agli uomini e alle donne del nostro tempo. Uscire, certo, vuol dire rischiare – uscire vuol dire rischiare -  ma non c’è fede senza rischio. Una fede che pensa a sé stessa e sta chiusa in casa non è fedele all’invito del Signore, che chiama i suoi a prendere l’iniziativa e a coinvolgersi, senza paura”.

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A Firenze il Papa incontra i malati e pranza con i poveri

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Anche in occasione della sua visita a Firenze il Papa non ha dimenticato le periferie e gli ultimi. All’Angelus nella Basilica della Santissima Annunziata Francesco ha rivolto il suo saluto agli ammalati, quindi il trasferimento nel piazzale antistante presso la mensa di San Francesco Poverino per il pranzo con i poveri. Il servizio di Paolo Ondarza

L'Angelus con i malati e i disabili
Francesco non ha voluto rinunciare ad incontrare gli ultimi anche a Firenze. Prima l’affettuoso e commovente saluto ai malati e ai disabili della dell'Opera Diocesana Assistenza riuniti presso la Basilica della Santissima Annunziata per la preghiera dell’Angelus, tra loro anche bambini. Il Papa ha pregato davanti all’immagine della Vergine ai piedi della quale ha lasciato una rosa bianca e due biglietti. Tra i 33 malati anche Giuseppe Giangrande, il carabiniere rimasto gravemente ferito nella sparatoria davanti a Palazzo Chigi nel 2013.

Un incontro in continuità con San Giovanni Paolo II
Ai presenti il Papa ha assicurato vicinanza spirituale e come di consueto ha chiesto preghiere. 
29 anni fa fu San Giovanni Paolo II a compiere lo stesso gesto nello stesso luogo. Lo ricorda bene padre Lamberto Crociani dei Servi di Maria, sacrista della Basilica:

“La gioia è stata grande! Abbiamo visto una profonda continuità tra i due papi: la continuità dello Spirito della Chiesa!”.

Il Papa a mensa con i poveri di Firenze
Fuori dalla Basilica per il Papa, accolto da cori e applausi, tante strette di mano e sguardi incrociati nel percorso a piedi che lo ha portato, accompagnato dal cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, alla Mensa di San Francesco Poverino, gestita dalla Caritas. Qui, tesserino alla mano, si è registrato come tutti gli altri ospiti e, seduto alla stessa tavola con 60 poveri, quelli del secondo turno, ha consumato con loro la ribollita toscana con spezzatino di carne come ogni giorno in piatti di plastica.

La mensa di San Francesco Poverino, luogo di carità e inserimento sociale
Luogo simbolo della carità fiorentina dal 1949, la Mensa di San Francesco Poverino punto di riferimento per i tanti che vi si recano per l’unico pasto che si possono permettere. Nel servizio alla mensa si alternano una cinquantina di volontari che sull’esempio del Buon Samaritano solo nel 2014 hanno accolto 1.079 ospiti di 59 nazionalità diverse per un totale di circa 44.000 i pasti distribuiti. Ma la mensa non è solo assistenzialismo spiega sempre padre Crociani:

“La Caritas sta svolgendo un lavoro di assistenza e inserimento di queste realtà extracomunitarie o povere”.

I poveri: il Papa è uno di noi
Hanno visto nel Papa il loro portavoce i tanti poveri presenti all’incontro. Ascoltiamo uno di loro, sempre al microfono di Alessandro Gisotti:

“Dobbiamo essere contenti, fieri di avere un Papa come questo, perché sta dicendo cose che veramente sente! Non le dice tanto per dire!”.

Per una testimonianza sul pranzo del Papa con i poveri, Alessandro Gisotti ha sentito il direttore della Caritas di Firenze, Alessandro Martini

R. – E’ stata una grande emozione, perché il Papa è stato bravissimo a mettere tutti a loro agio. Ha salutato tutti, uno per uno, ha parlato con tutti, ha benedetto tutte le cose che avevano portato e ha pranzato insieme con semplicità. Ha parlato mentre si pranzava, ha gradito molto, anche, questo tipo semplice ma “appassionato” di accoglienza …

D. – Cosa ha colpito in particolare, tra gli ospiti della mensa Caritas, di questo stare con Francesco? C’è qualche parola?

R. – Parole particolari, no. Però, veramente, ha messo tutti a proprio agio e ha ascoltato tutti: è stata veramente una testimonianza di ascolto e di grande affabilità. Ha voluto sapere tante cose: sulla storia della mensa, la Caritas, il cardinale che era accanto gli ha raccontato un po’ tutto … E poi, insomma, ecco: abbiamo fatto festa! Tanti applausi, qualche canto al momento del dolce, poi lui ha lasciato a tutti un Rosario e l’ha benedetto per tutti: ha reso tutti veramente molto commossi. A un certo punto, siccome la nostra responsabile della mensa è una persona carissima, bravissima, appassionata anche, ma anche molto brava nel saper gestire le situazioni, tutti le hanno fatto un applauso … e il Papa ha detto: “Lei è la papessa!” … E’ la papessa: è diventata la papessa, perché sapeva condurre la situazione …

D. – Quindi, un momento di grande gioia, di festa, soprattutto per chi soffre …

R. – Sì, oggi ha avuto un riscatto, per così dire, no? Io l’ho vissuto così: ho ascoltato le parole che il Papa ci ha detto in duomo, il discorso che ha fatto – straordinario, secondo me - ecco, il suo gesto alla mensa è stato come un metterlo subito in pratica: voglio leggerlo così. E le parole che ci ha detto: umiltà, disinteresse, beatitudine. Cioè, era un momento di grande beatitudine per tutti, tutti veramente molto festosi e gioiosi e sereni, in un atteggiamento, in un pranzo che non era uno di quei pranzi che si fanno anche per interesse: no! C’era solo la voglia di stare insieme. E c’era anche tanta umiltà, perché il Papa che pranza con le stoviglie usa-e-getta e che mangia volentieri quello che gli viene messo sul piatto, senza neanche la scelta, perché di tutto il pranzo che abbiamo preparato non c’era neanche il menù, c’era soltanto quello che avevamo fatto … E’ un gesto che sicuramente ci deve spronare a fare altrettanto. Un grande regalo ai tanti volontari che questo l’hanno capito e ogni giorno si spendono per vivere questa esperienza.

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Papa al neo vescovo De Donatis: omelie brevi e tanta misericordia

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Il Papa ha presieduto ieri pomeriggio in San Giovanni in Laterano, nel giorno della festa della Dedicazione della Basilica cattedrale di Roma, la Messa per l’ordinazione episcopale di mons. Angelo De Donatis. Pugliese, 61 anni, sacerdote dal 1980, il neo presule è stato nominato ausiliare di Roma e ha tenuto gli esercizi spirituali al Papa e alla Curia nella scorsa Quaresima. A lui Francesco ha affidato la formazione del clero a Roma chiedendo in particolare di “essere misericordioso nelle parole e nell’atteggiamento”. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

“Vuoi fratello carissimo adempiere fino alla morte il ministero a noi affidato dagli Apostoli che noi ora trasmettiamo a te mediante l’imposizione delle mani con la grazia dello Spirito Santo?”:

“Sì lo voglio”.

Il presbitero Angelo de Donatis è così ordinato vescovo dal Papa. In un rito sempre suggestivo accetta gli impegni solenni nei confronti della Chiesa e del popolo di Dio, quindi, dopo l’imposizione delle mani e l’unzione con il sacro crisma, con grande commozione riceve il libro del Vangelo insieme ai simboli del suo ministero anello, mitra e pastorale. Infine, il caro abbraccio del Papa e degli altri vescovi.

Omelie siano semplici e brevi, che tutti capiscano
Francesco pronuncia l’Omelia rituale del Pontificale romano, riflettendo sull’”alta responsabilità ecclesiale cui è chiamato il nuovo vescovo”, nel quale continua e sviluppa fino ai nostri tempi “l’opera del Salvatore”. “Episcopato è il nome di un servizio e non di un onore” ricorda il Papa seguendo il testo che poi lascia per delle aggiunte a braccio nelle esortazioni specifiche che rivolge al neo presule, a partire dall’annunzio della Parola:

“Annunzia la Parola in ogni occasione opportuna e alle volte non opportuna; ammonisci, rimprovera, ma sempre con dolcezza; esorta con ogni magnanimità e dottrina. Le tue parole siano semplici, che tutti capiscano, che non siano lunghe omelie. Mi permetto di dirti: ricordati di tuo papà, quando era tanto felice di avere trovato vicino al paese un’altra parrocchia dove si celebrava la Messa senza l’omelia! Le omelie, che siano proprio la trasmissione della grazia di Dio: semplici, che tutti capiscano e tutti abbiano la voglia di diventare migliori”.

Ascolto paziente
Al neo presule a Roma il Papa affida in particolare la formazione del clero, presbiteri, seminaristi e diaconi, da amare, dice “con tutto il cuore” di padre e di fratello. E insieme con loro anche i poveri, gli indifesi e a quanti hanno bisogno di aiuto. "Ascoltali volentieri e con pazienza" sottolinea il Pontefice: "Tante volte ci vuole tanta pazienza, ma per il Regno di Dio si fa così!”.

La misericordia del Padre: tanto necessaria alla Chiesa e al mondo
E proprio nell’impegno nei confronti del clero Francesco avanza, ancora parlando a braccio, una richiesta specifica al nuovo vescovo, alla vigilia del Giubileo della misericordia:

“Ti chiedo – come fratello – di essere misericordioso. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di tanta misericordia. Tu insegni ai presbiteri, ai seminaristi la strada della misericordia. Con parole, sì: ma soprattutto con il tuo atteggiamento. La misericordia del Padre che sempre riceve, sempre c’è posto nel suo cuore, mai caccia via nessuno. Aspetta. Aspetta. Questo ti auguro: tanta misericordia”.

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Padre Lombardi: indagini su cardinali, notizia assolutamente falsa

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“Non ha alcun fondamento quanto riferito in alcuni articoli, secondo cui negli ultimi giorni nel quadro delle indagini in corso in Vaticano sarebbero stati sentiti alcuni cardinali o alti prelati, qualcuno ha fatto addirittura il numero di quattro cardinali. E’ assolutamente falso”: è la secca smentita del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, che così ha risposto alle domande poste da alcuni giornalisti.

“E’ assolutamente falso” – ha detto padre Lombardi – “anche quanto riferito nei giorni scorsi da alcuni articoli circa contatti del cardinale Bertello con autorità italiane connessi con i problemi delle fughe di documenti”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Firenze e a Prato.

In viaggio per incontrare la fede: messaggio del Santo Padre per la ventesima seduta pubblica delle accademie pontificie.

Orrore jihadista: in un video i terroristi dell’Is uccidono a sangue freddo almeno duecento bambini.

Il doping minaccia ancora lo sport: chiesta dalla Wada l’esclusione della Russia dalle competizioni internazionali.

Fabrizio Bisconti sulla misericordia al femminile nelle catacombe romane.

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Oggi in Primo Piano



Myanmar: Suu Kyi vince alle elezioni, ma necessario il dialogo

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Trionfo in Myanmar della Lega nazionale per la Democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi alle elezioni legislative di domenica scorsa. Per i risultati ufficiali ci vorranno ancora alcuni giorni, ma il Premio Nobel per la Pace si spinge a prevedere per il suo partito la conquista del 75% dei seggi in parlamento. Il presidente uscente, Thein Sein, a capo della formazione creata dai militari per guidare la transizione, ha già riconosciuto la sconfitta. Quale ora lo spazio che la Lega potrà avere per portare riforme e democrazia nel Paese? Adriana Masotti lo ha chiesto al segretario generale dell’Associazione "Amicizia Italia-Birmania", Cecilia Brighi, in questi giorni in Myanmar: 

R.  – Comincia un lavoro di lunga lena, ma non è che con delle elezioni, dopo 50 anni, si possa cambiare e arrivare alla democrazia nel giro di pochi mesi. Sarà un lavoro difficile. Il partito dell’Nld ha una forte carica politica, una buona strategia e un buon programma e si trova a doversi confrontare con la realtà di fatto che è caratterizzata da un 25% dei militari in parlamento. Senza il loro consenso, non potrà cambiare una virgola della Costituzione. I militari hanno il potere di nominare il ministro della Difesa, il ministro degli Interni, il ministro degli Affari di confine, che è il ministro che ha la responsabilità dei rapporti con le minoranze etniche. E poi, c’è un terzo incomodo che è il Consiglio nazionale per la sicurezza, che è un organismo militare che può decidere la sospensione del funzionamento del parlamento e del governo in qualsiasi momento. Quindi, Aung San Suu Kyi deve fare i conti con i militari, deve aprire il dialogo con loro, deve mettersi d’accordo sulla gestione delle responsabilità di governo e deve lentamente convincere i militari che possono essere tranquilli, tentando di cambiare anche alcuni elementi importanti che sono il loro ruolo nell’economia. Quindi, è un momento molto bello per il Paese, ma è anche un momento molto difficile perché la gente ha votato in massa l’Nld, ma l’Nld deve cominciare a dare delle prime risposte non appena si insedierà, cioè a marzo.

D. – Una parola sulle reazioni internazionali. La Cina dice che è pronta a sostenere il nuovo corso. La Casa Bianca è prudente, dice che non è ancora il momento di cambiare la sua politica verso il Myanmar…

R. – Io credo che la Casa Bianca abbia ragione a essere prudente. E’ chiaro che i militari faranno fatica a cedere il loro potere, fino ad adesso assoluto. E’ giusto che gli americani mantengano un’attenzione particolare. Spero che lo faccia anche l’Unione Europea, perché è solo così che si può aiutare la Birmania a cambiare. E’ importante che l’Unione Europea continui a mantenere una forte attenzione sugli sviluppi successivi, perché oggi siamo tutti qui a festeggiare ma da dopodomani mattina, cioè da quando comincerà il dialogo tra l’Nld e l’ex partito di governo e i militari, bisognerà continuare a sostenere il processo di cambiamento e far vedere ai militari che l’attenzione internazionale è ancora qui e che non possono comportarsi come se nulla fosse stato.

D. – Sappiamo che i sostenitori della Lega stanno festeggiando. Qual è il clima lì dove lei si trova?

R. – Io sono ad Rangoon, dietro la sede dell’Nld, e quindi c’è sempre un viavai di giovani ma non solo. Ci sono anche molti anziani e sono tutti veramente gioiosi: per loro è come una bottiglia di champagne che viene aperta e quindi c’è tutta questa energia che fuoriesce all’improvviso. Una vecchia signora intervistata, a cui chiedevano cosa ne pensasse, ha detto in televisione: “Io tutta la vita ho mangiato verdura, verdura, verdura. Finalmente posso mangiare qualche altra cosa e posso scegliere il pollo”. Come dire: adesso è il momento di cambiare e di avere qualcosa di diverso. Io ho parlato con alti funzionari pubblici che hanno votato per l’Nld e questo ha spiazzato il partito di governo, il partito dei militari, cioè il fatto che tra le stesse loro fila la gente chiedeva cambiamenti perché anche gli ex militari forse non ne potevano più di questo sistema corrotto, incapace di far crescere il Paese.

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Russia. Doping di Stato, Mosca rigetta le accuse e si difende

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Scandalo sportivo in Russia. Mosca reagisce duramente alla denuncia dell’Agenzia mondiale antidoping, la Wada, che ha chiesto la sospensione per due anni degli atleti russi da qualsiasi competizione, la squalifica a vita per alcuni di loro, col rischio di perdre 19 medaglie, e ha sospeso il Laboratorio antidoping di Mosca. Il Cremlino non ci sta, rivendica il diritto di difendersi e la Federatletica russa si dice pronta a presentare tutta la documentazione necessaria e i provvedimenti già avviati. Domani, la convocazione a Sochi da parte del presidente Putin dei capi delle Federazioni sportive, in vista delle Olimpiadi di Rio 2016. Per alcuni si tratterebbe di "doping di Stato gestito dai Servizi segreti", per altri di una nuova tappa della guerra fredda in atto tra Washington e Mosca. Al microfono di Gabriella Ceraso, l’analisi di Fulvio Scaglione, esperto dell’area ex sovietica e vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Da quando Putin governa la Russia, i Servizi segreti russi vengono tirati in ballo per ogni cosa, perché Putin è un ex dei Servizi segreti, quindi fa abbastanza comodo dipingere la Russia come l’"impero del male". Inoltre, per drogare e dopare gli atleti, secondo me, basta molto, molto meno. Detto questo, è chiaro che il doping di Stato è sempre esistito finché è esistita l’Urss e certi metodi sono proseguiti anche dopo. Ma non lo dice la Wada, lo dicono per esempio le stesse autorità sportive russe, che negli ultimi tempi hanno comminato squalifiche a loro atleti di primissimo livello.

D. – Questo episodio può far pensare a qualcosa del passato già accaduto per la Cina o la Germania dell’Est, cioè governi centralizzati che anche con lo sport volevano forse dimostrare una certa idea di forza?

R. – Temo ci sia un’operazione di "marketing" politico, per non parlare di propaganda, dietro questa denuncia così improvvisa. Credo che questa cosa sia collegata soprattutto al mancato fallimento delle Olimpiadi invernali di Soči, quando ci fu una forsennata battaglia occidentale per dimostrare che le Olimpiadi di Soči non avrebbero mai funzionato, che erano il regno della corruzione, dell’inefficienza. Non successe nulla, però poco tempo dopo successe quel che successe in Ucraina. Quindi, secondo me, bisogna andarci un poco con i piedi di piombo.

D. – Ha senso mettere questo episodio in relazione con la presenza oggi di Mosca su diversi scenari internazionali?

R. – Io credo sia impossibile non collegarlo, anche perché va detto che questo rapporto della Commissione ha come oggetto solo lo sport russo, null’altro, non ha come oggetto il doping. E’ un’indagine, quindi, molto mirata. Tutto ormai è diventato politica, tutto: le azioni dei russi, ovviamente – per esempio, il doping in qualche modo esasperato degli atleti, per far bella figura nei contesti internazionali – ma anche la reazione a questo. E’ chiaro che tutto si mescola, è chiaro che tutto entra in una partita dove, diciamo così, la pace e la guerra vengono condotte con altri mezzi.

D. – E’ vero, quindi, come dicono alcuni scettici, che questa è un’altra tappa di questa nuova guerra fredda che rimette di fronte Washington-Mosca?

R. – C’è uno scontro globale in atto, non da oggi. In questo momento, in questo periodo storico, l’obiettivo è dipingere la Russia in qualunque modo, come uno "Stato canaglia", uno Stato reietto, da espellere dalla comunità internazionale a prescindere dalle responsabilità e dalle colpe – doping o non doping, politiche o non politiche – che la Russia può naturalmente portarsi sulle spalle.

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Spagna: la Catalogna avvia il processo di indipendenza

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In Spagna, torna in evidenza la questione dell’indipendenza della Catalogna. Il governo locale di Barcellona ha ieri dato il via al processo di secessione da Madrid. Un atto eclatante, al quale il governo centrale ha dato immediata risposta. Ce ne parla Giancarlo La Vella

E’ diventata quasi una battaglia personale quella del presidente catalano uscente, Artur Mas: staccarsi da Madrid e fare della Catalogna uno Stato indipendente e repubblicano. Ma si tratta di una decisione che lo stesso parlamento di Barcellona ha adottato, evidenziando una profonda divisione. Dopo mesi di discussioni, ieri in 72 hanno votato a favore della mozione separatista, ma ben 63 si sono dichiarati contrari. In vista di questo obiettivo, Mas ha chiesto al parlamento di Barcellona di essere rieletto per una fase costituente di 18 mesi, per costruire il futuro Stato catalano. Mas ha anche attaccato il governo del premier di Madrid, Mariano Rajoy, tacciandolo di imperialismo. Lo stesso Rajoy ha avviato le contromisure: mercoledì prossimo Consiglio dei ministri straordinario, con ricorso alla Corte costituzionale. La mozione, per Madrid, è anticostituzionale e non ha alcun valore.

Sulle ripercussioni che quest’iniziativa potrà avere in Spagna e in Europa, Giancarlo La Vella ha intervistato Claudio Venza, docente di Storia della Spagna all’Università di Trieste: 

R. – Qualche effetto, anche abbastanza consistente, lo dovrebbe avere. Ci sono almeno una dozzina di pressioni per ottenere l’indipendenza di diverse regioni che oggi appartengono a Stati nei quali si riconoscono fino a un certo punto. Forse, il caso più simile è la riapertura del processo indipendentista in Scozia. Ma anche nella stessa Spagna, non dobbiamo dimenticare tutta la lunga storia di istanze autonomiste e indipendentiste dei Paesi Baschi e il fatto che negli ultimi decenni si sia sviluppato anche un movimento autonomista abbastanza forte nella Galizia. Anche in Andalusia ci sono forze che spingono per un processo, il cui sbocco sarebbe proprio l’indipendenza.

D. – C’è un rischio di escalation di tensione tra Madrid e Barcellona?

R. – Al momento attuale, il governo Rajoy si oppone in una forma decisa: ha anche raggiunto, tra l’altro, un sostanziale l’accordo con il Partito socialista, contrario all'indipendenza catalana. Però, non ha raggiunto alcun accordo con “Podemos”, il nuovo movimento che guarda invece piuttosto con favore a un processo indipendentista della regione di Barcellona. Il governo Rajoy però ha diversi strumenti da utilizzare e i mezzi di pressione non gli mancano.

D. – La Costituzione spagnola consente l’avvio di un processo autonomo di secessione: ad esempio, in un possibile referendum consultivo non dovrebbe pronunciarsi tutta la popolazione spagnola?

R. – Su questo punto va considerata la Costituzione spagnola, che è quella del 1978, quindi dopo la fine del franchismo: nel giro di una decina o di una quindicina di anni si sono create una ventina di regioni abbastanza autonome, delle quali alcune - come la Catalogna - più autonoma delle altre. Questo è previsto dalla Costituzione, cioè questa autonomia regionale più o meno ampia, ma certamente un processo di secessione non è coerente con la Costituzione spagnola, che non si chiama spagnola a caso. Essa riguarda tutta la Spagna, che dovrebbe restare unita anche se con l’accettazione di alcune differenziazioni locali.

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La Fao lancia l'Anno dei legumi, strategici per lotta alla fame

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E’ stato lanciato oggi, nella sede della Fao a Roma, l’Anno internazionale dei legumi, “semi nutrienti per uno sviluppo sostenibile”. “Una grande opportunità – si legge nel messaggio del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon – per accrescere la consapevolezza dei benefici” di questi alimenti, “quando il mondo intraprende gli sforzi per centrare i nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile”, da qui al 2030. Roberta Gisotti ha intervistato Marcella Villarreal, direttrice dell’Ufficio partenariati, attività di promozione istituzionale e sviluppo delle capacità della Fao: 

R. – I legumi sono fondamentali per una dieta sana: è un fatto che non si conosce o non si conosce abbastanza in tanti Paesi. Per questo, giustamente, lanciamo un Anno internazionale per far conoscere tutte le qualità positive che hanno questi legumi nella dieta. Tra le qualità fondamentali, è il contenuto di proteine, molto più alto di quello dei cereali, e quando si abbinano con i cereali siamo a un livello di proteine che è molto simile alla proteina di origine animale, che è molto più costosa. Quindi, soprattutto per le popolazioni più povere i legumi sono fondamentali: costano molto meno della proteina animale e hanno una quantità di altri benefici per la salute. Ad esempio, sono ricchi di minerali ma anche di fibra solubile, che è fondamentale per la gestione del colesterolo. Anche, contribuiscono alla gestione degli zuccheri, fatto per il quale sono indicati per le persone che soffrono di diabete. Sono inoltre importanti per la salute del suolo, perché hanno la caratteristica di fissare l’azoto che si trova nell’atmosfera. Quindi, contribuiscono non solo alla gestione sostenibile dei suoli, ma anche producono effetti benefici sull’equilibrio climatico. Vediamo quindi che in questi piccoli semi abbiamo risposte per la nutrizione e la salute umana, ma anche effetti molto benefici per il medio ambiente.

D. – Ecco, a proposito della salute, è vero – come si sente dire – che i legumi siano consigliabili anche per la prevenzione del cancro?

R. – Non è che mangiando legumi non viene il cancro, chiaramente. Però, le loro qualità benefiche per la salute sono anche positive per la prevenzione del cancro.

D. – La Fao, lanciando l’Anno internazionale dei legumi, pensa anche a ridurre la fame nel mondo, questo problema enorme del pianeta?

R. – Oggi come oggi, anche se il livello della fame è sceso in modo significativo – negli anni Novanta c’erano più un miliardo di persone affamate, oggi siamo più o meno sugli 800 milioni, il che ovviamente è comunque inaccettabile in un mondo che produce abbastanza cibo per tutti. A questo punto, i legumi possono contribuire a ridurre i livelli di fame, perché pur dando una buona nutrizione costano molto di meno, si possono acquisire in modo più facile e sono coltivabili anche da piccoli produttori, in tutto il mondo. Per questo, sono fondamentali in qualsiasi strategia per eradicare la fame.

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Centenario Grande Guerra: a Roma un convegno di respiro europeo

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Nell’ambito delle manifestazioni per Centenario della Prima Guerra mondiale, l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano ospita a Roma il Convegno internazionale "La Grande guerra: un impegno europeo di ricerca e di riflessione". L'evento, che è articolato in tre giornate e si concluderà domani, prevede gli interventi di molti studiosi di università e centri di ricerca europei e non solo. Il servizio di Eugenio Murrali

Approfondire, dissipare miti e menzogne, restituire una memoria corretta della Grande Guerra. Questi alcuni degli obiettivi del Convegno internazionale ospitato negli spazi del Vittoriano. Due i momenti principali dell’evento: una rassegna di interventi riguardanti le storiografie nazionali sulla Prima Guerra mondiale e uno sguardo europeo sul coinvolgimento dell’Italia nel conflitto. Spiega uno degli organizzatori, Andrea Ciampani, docente di Storia contemporanea alla Lumsa di Roma:

“La forza di questo Convegno consiste innanzitutto in una rete tra università europee, che si è aggregata intorno ai gruppi esteri dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano. Forse, è giunto il momento per una riflessione comune in una prospettiva europea. Crediamo che oggi sia possibile avvicinare, riaccostare la memoria alla storiografia”.

Importante il ruolo di questo Convegno e delle altre manifestazioni del centenario che permettono ai cittadini di riappropriarsi della memoria collettiva della Grande Guerra. Osserva Romano Ugolini, presidente dell’Istituto europeo per la storia del Risorgimento italiano:

“La Grande Guerra molto spesso nelle scuole viene scartata come elemento di discussione e anche di informazione, per cui molti insegnanti si trovano nella condizione di richiedere di essere aggiornati su questa situazione. L’altro elemento che vorrei porre in luce è il carattere internazionale che l’Istituto dà alle proprie iniziative. Il problema della nostra realtà nazionale si deve confrontare sempre con la realtà degli altri Paesi”.

Al Convegno, è intervenuto anche Franco Marini, presidente del Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale:

“Noi abbiamo uno slogan come Comitato: "Conoscere la guerra per amare la pace". L’Europa oggi non sta giocando il suo ruolo nella competizione mondiale, nei rischi che il mondo attraversa. Se mi avessero detto 20 o 30 anni fa: “Ci può essere una terza guerra mondiale” , io mi sarei messo a ridere. Non ci avrei creduto, non era possibile. Adesso, ti guardi attorno e vedi quello che sta accadendo. L’Europa è assente e questa cosa non la può fare, dopo le tragedie che ha vissuto”.

Molte le realtà coinvolte, dall’Accademia di Ungheria a quella polacca, dalla British School all’Ecole Française ad altre importanti istituzioni culturali europee.

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"La bellezza disarmata", l'ultimo libro di don Julián Carrón

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Si intitola  “La bellezza disarmata”, il nuovo libro di don Julián Carrón, responsabile del Movimento “Comunione e liberazione”. Il volume, edito da Rizzoli lo scorso settembre e già giunto alla sua terza edizione, parla della crisi della cultura occidentale toccando temi di stringente attualità, dall’immigrazione alla famiglia, dal terrorismo alla politica. Su questi argomenti, in occasione della recente presentazione del libro a Roma, hanno dialogato con l’autore il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati. Il servizio di Elvira Ragosta

La bellezza disarmata della fede come possibile risposta alle sfide del presente. Il volume raccoglie gli elementi essenziali della riflessione di don Juliàn Carròn a partire dal 2005, anno in cui fu eletto presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, dopo che lo stesso don Giussani, l’anno prima, lo aveva chiamato dalla Spagna a condividere con lui la responsabilità di guida del movimento. Attraverso un percorso durato dieci anni, l’autore rimette al centro l’uomo, le sue domande e le sue esigenze di verità e libertà. Abbiamo intervistato don Julián Carrón, partendo col chiedergli il perché di questo titolo “La bellezza disarmata”:

R. – Perché non c’è un’altra modalità oggi di vivere la fede se noi non siamo convinti che la fede sia di una bellezza tale che non ha bisogno di altro tipo di aiuto che la bellezza stessa dell’esperienza di fede.

D. – A quali domande risponde questo libro?

R. – Il libro risponde a tutta una serie di questioni aperte davanti a tutti: dall’emergenza educativa al crollo, davanti ai nostri occhi, di certi valori, alla disaffezione, alla stanchezza di cui sentiamo parlare da tanti autori rilevanti e a tutte le sfide che tutti stiamo vivendo oggi.

D. – Quanto è forte la proposta cristiana nel solco dell’insegnamento di don Giussani di fronte agli eventi di questo periodo?

R. – A me sembra sia una proposta potentissima. Il nostro tentativo è stato proprio quello di verificarla in tutti questi anni e nel futuro, perché così potremo capirla sempre di più e non solo ripeterla.

D. – Nel volume lei propone gli elementi essenziali delle sue riflessioni dal 2005 a oggi e si sofferma sul concetto di verità e di libertà. Come si possono leggere questi due concetti oggi? Come possono convivere e come si incontrano tra di loro?

R. – Nel libro ho dedicato un capitolo a questo, perché mi sembra un punto rilevante, uno dei nodi cui il Concilio ha dato una luce, per tutti noi. Ci ha mostrato che non c’è un altro rapporto con la verità che non sia la libertà. E questo a me sembra fondamentale, perché in un mondo come il nostro, che ama così tanto la libertà, non si accetterebbe un’altra proposta della verità che non fosse rivolta alla libertà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa del Myanmar: dopo il voto un futuro di unità del Paese

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"Nutriamo grandi speranze. Si apre una nuova era per il nostro Paese, che auspichiamo sarà segnata dall’unità. La popolazione è felice e non sembra che ci siano rischi di un colpo di mano militare": è quanto dice all'agenzia Fides mons. John Hsane Hgyi, vescovo di Pathein, una delle diocesi più grandi e più antiche del Myanmar, all'indomani delle elezioni democratiche. 

Il Presidente Thein Sein ammette la sconfitta
Nel voto dell'8 novembre ha trionfato il partito Lega Nazionale per la Democrazia (Lnd) del premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi. Dal canto suo il “Partito di unione, solidarietà e sviluppo”, guidato dall'ex Presidente ed ex generale Thein Sein, ha ammesso la sconfitta, affermando che intende cooperare per il bene della nazione.

Del nuovo vento di libertà potrà beneficiare anche la Chiesa cattolica
​Il vescovo di Pathein afferma a Fides che “le elezioni sono state fondamentalmente pacifiche e il popolo ha potuto esprimere le sue preferenze. La nuova era democratica porta il cambiamento e la libertà, di cui potrà beneficiare anche la Chiesa cattolica e la sua missione di annuncio del Vangelo. I fedeli cattolici sono felici come tutti gli altri cittadini. Siamo fiduciosi in un futuro fatto di unità, riconciliazione e armonia: sono queste le sfide per il futuro del Paese, che potremo affrontare con rinnovato coraggio e rinvigorita fiducia, con il contributo di tutte le componenti della società". (P.A.)

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Siria: a Sadad migliaia di cristiani in fuga dall’Is

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Migliaia di cristiani in fuga dalla violenza dello Stato Islamico. È il drammatico quadro descritto ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) dall’arcivescovo siro-ortodosso di Homs, Selwanos Boutros Alnemeh. Dal 31 ottobre - riporta l'agenzia Sir - la cittadina cristiana di Sadad è sotto attacco da parte del sedicente Stato Islamico, mentre il vicino villaggio di Maheen è già caduto in mano ai jihadisti. Per paura dell’avanzata di al-Baghdadi oltre 15mila persone sono fuggite per cercare rifugio ad Homs, Zaidal e Fairouzeh. “Nonostante la presenza dell’esercito siriano, Sadad è in pericolo e temiamo che Isis possa riuscire a conquistare la città. Se così fosse, la Siria perderebbe uno dei suoi centri cristiani più importanti”. 

Sadad è un centro cristiano dove si parla ancora l’aramaico
​L’arcivescovo ricorda come già nell’ottobre 2013 Sadad fu teatro di un attacco jihadista con 45 cristiani uccisi e gettati in fosse comuni. Padre Luka Awad, referente per le emergenze umanitarie della diocesi siro-cattolica di Homs, riferisce che la maggior parte delle persone fuggite da Sadad non ha avuto il tempo di portar nulla con sé e che si sta facendo il possibile per aiutarli. Sadad è un centro cristiano dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Infine l’appello: “La comunità internazionale metta fine al conflitto e difenda la comunità cristiana. Cento anni fa, nel 1915, abbiamo già subito un genocidio. Oggi, nel XXI secolo, non ce ne serve un altro”. (R.P.)

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Colombia. Chiesa contro l'adozione di minori alle coppie gay

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La Chiesa cattolica colombiana condanna la decisione della Corte costituzionale che ha autorizzato l'adozione di minori a coppie dello stesso sesso. In un comunicato della Conferenza episcopale, i vescovi affermano che tale decisione viola i diritti fondamentali dei minori mettendo al primo posto i diritti degli “adottanti”. “Riaffermiamo - si legge nella nota - la ferma convinzione che la famiglia composta da uomo e donna è il luogo privilegiato per offrire ai bambini le massime garanzie per una sana crescita e sviluppo, non solo nell'ambito materiale, ma anche sul piano psicologico, affettivo, etico e morale”.

I diritti dei bambini, al di sopra di tutto
Il presidente della Conferenza episcopale di Colombia, mons. Luis Augusto Castro si è detto contrario a questa nuova legislazione. “Vogliamo mettere in evidenza che i bambini hanno dei diritti fondamentali, e uno di questi è avere una figura materna e una paterna, un particolare che è stato dimenticato al momento di prendere la decisione, o meglio dire, è stato sacrificato per soddisfare la pretesa degli adulti”. Mons. Castro ha ricordato che la Costituzione stabilisce che i diritti dei bambini sono al di sopra di tutto. “La Chiesa non entrerà in conflitto con la Corte Costituzionale e con nessuno”, ha detto il presule e ha ribadito che non si tratta di morale o di religione ma del bene dei minori. Infine, il presidente dell’episcopato ha chiamato le famiglie ad aprire le loro case a bambini abbandonati e soli, specialmente quelli considerati di difficile adozione”.

Con la decisione della Corte perde tutta la società
Durante la presentazione del comunicato, il segretario generale della Conferenza episcopale colombiana, mons. Josè Daniel Falla, a nome dei vescovi colombiani, ha manifestato il rifiuto della Chiesa alla decisione della Corte perché è una “sconfitta” per tutta la società. “Crediamo fermamente - ha detto - che la decisione della Corte Costituzionale viola i diritti dei minorenni, tenendo conto che l'adozione, sia nel diritto internazionale sia nella nostra legislazione, è innanzitutto una misura di protezione del minore e mai deve essere considerata un diritto di chi adotta”. Mons. Falla ha chiamato i colombiani a mobilitarsi contro questa decisione arbitraria e a continuare a difendere e salvaguardare l’autentica natura della famiglia e i diritti dei bambini.

Modernizzazione o autodistruzione?
L’arcivescovo di Barranquilla, mons. Jairo Jaramillo ha sottolineato che non si tratta di una situazione esclusiva della Colombia ma una tendenza mondiale. “In fondo - ha affermato - non è colpa dei singoli giudici della Corte trincerarsi dietro una presunta voglia di modernizzazione, ma una grande problematica dello Stato”. “Ci dispiace che la Colombia voglia modernizzarsi in questo modo, con l'autodistruzione dell'essere umano”  ha aggiunto  mons. Jaramillo. Secondo il presule colombiano la strada della Chiesa non è uscire a protestare contro la Corte o contro lo Stato, ma approfondire la missione che la famiglia deve esercitare, con genitori che diano veramente una formazione ai figli e dove ci sia giustizia e amore fraterno”.

Legislazione: sì alle adozioni e no al matrimonio omossessuale
La Corte Costituzionale della Colombia ha dato il via libera all’adozione da parte di coppie dello stesso sesso con 6 voti a favore e 2 contro. La plenaria della Corte ha deciso, giovedì scorso, che le coppie omosessuali come le coppie eterosessuali sono ugualmente idonee per la crescita di un figlio. “L’orientamento sessuale di una persona o il suo sesso non sono in sé indicatori di una mancanza d’idoneità morale, fisica o mentale per l’adozione. A differenza di Argentina e Uruguay dove la legislazione permette anche l'adozione a coppie omossessuali, in Colombia le coppie dello stesso sesso possono formalizzare la propria unione ma non esiste il matrimonio omossessuale. (A cura di Alina Tufani)

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Card. Filoni sul 50° di “Perfectae caritatis” e “Ad Gentes”

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“L’impegno costante della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, insieme alle Conferenze Episcopali e ai singoli Ordinari, è di portare le Chiese locali nei territori di missione a dotarsi di tutte quelle strutture e personale giuridico che permettano, unitamente alla vita pastorale, di amministrare la giustizia, fonte di pacifica convivenza”. Lo ha ribadito oggi il Card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel suo intervento pronunciato all’Universidad San Damaso di Madrid, alla giornata accademica promossa dalla facoltà di diritto canonico, per celebrare il 50° anniversario dei Decreti conciliari “Perfectae caritatis” e “Ad Gentes”.

Ampio panorama storico dell'attività missionaria
Illustrando il tema “La ricezione del Codice nei territori di missione e le facoltà speciali concesse alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli”, il card. Filoni ha tracciato un ampio panorama storico, partendo dall'inizio dell'attività missionaria, nel XII secolo, quando “i missionari godevano di ampie facoltà e di privilegi perché nelle missioni le circostanze erano straordinarie e il diritto comune non poteva essere sempre osservato nella sua totalità”, per arrivare ai nostri giorni.

La realtà della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli
Oggi il Dicastero Missionario ha sotto la sua giurisdizione 186 arcidiocesi, 785 diocesi, 82 vicariati apostolici, 39 prefetture apostoliche, 4 amministrazioni apostoliche, 6 missiones sui iuris, 1 abbazia territoriale e 6 ordinariati militari. “Questa varietà amministrativa – ha commentato il cardinale - indica da sola l'inadeguatezza e, si potrebbe anche dire, in certi contesti, l’estrema difficoltà per applicare il diritto comune. Questo significa che mentre lo jus commune si applica dove è possibile, in altri casi servono ancora le facoltà speciali”.

La Congregazione rende più agevole la vita della Chiesa nei territori missionari
​neDopo essersi soffermato sulle attuali facoltà speciali della Congregazione riguardanti diversi ambiti di intervento, riconfermate da Papa Benedetto XVI il 30 aprile 2005, il prefetto del Dicastero Missionario ha concluso ribadendo che “le facoltà concesse alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli hanno il fine di rendere più agevole, nella vita della società ecclesiastica dei territori di missione, l’organico sviluppo di esse, in ordine al primato dell’amore, della grazia e dell’annuncio del Vangelo”. (S.L.)

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Tensioni tra Burundi e Ruanda, rischio di un nuovo genocidio

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In Burundi, dopo le operazioni di polizia ed esercito che hanno causato in pochi mesi più di 200 morti, è cominciato un esodo di massa: decine di migliaia di persone scappano a causa della violenza nel Paese. Oltre alla tensione interna, sale anche quella con il vicino Ruanda, il Presidente Paul Kagame ha criticato la politica del governo del Burundi.

Sangue nella capitale Bujumbura
L’ultimo episodio di aggressioni - riferisce l’agenzia Fides - è avvenuto sabato 7 novembre, quando otto persone, tra cui anche il figlio di un attivista per i diritti umani,  sono state uccise da uomini che indossavano uniformi della polizia in un quartiere della capitale noto come roccaforte dell’opposizione. Proprio per sabato il Presidente Pierre Nkurunziza aveva posto un ultimatum agli oppositori della minoranza tutsi a deporre le armi e arrendersi. Da quando in aprile Nkurunziza si è candidato per un terzo mandato, i civili uccisi sono stati 198, un numero che fa ripensare anche alla guerra civile che il Burundi ha alle spalle e che tra il 1997 e il 2006 ha provocato la morte di 300 mila persone.

La reazione della comunità internazionale
Ban Ki-moon ha condannato l’attacco del 7 novembre, chiedendo “la fine immediata della violenza ricorrente e delle uccisioni” e a causa della grave situazione di violazione di diritti umani è stato convocato un Consiglio di Sicurezza a New York. Inoltre, in occasione dell’ultimo Consiglio Affari esterI, che si è tenuto lo scorso 26 ottobre a Lussemburgo, è stata approvata la bozza della lettera in cui si invita il Burundi a conformarsi agli impegni dell’accordo di partenariato fra i Paesi dell’Africa, Caraibi, Pacifico (Acp) e l’Ue. Se il Burundi non rispetterà gli elementi essenziali dell’accordo in tema di diritti umani, occorreranno delle “consultazioni e una soluzione democratica accettata dalle parti”.

L’appello del Ruanda
Il Ruanda ha lanciato un appello perché si evitino violenze etniche simili a quelle che nel 1994 sfociarono in genocidio. Il discorso di Kagame è rimbalzato sui social media, mentre a livello regionale e globale cresce la preoccupazione che in Burundi prendano il via una guerra civile o violenze su larga scala. (V.D.B.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 314

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.