Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 12/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: poveri non possono aspettare, no a carestia della carità

◊  

“Dio è padre e non riesce a non amarci”, la “più grande carestia è quella della carità”. Sono due passaggi del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai Guanelliani, ricevuti in Vaticano in occasione di un pellegrinaggio a Roma per il centenario della morte di San Luigi Guanella. Il Pontefice, nel suo intervento, ha più volte citato il santo, esortando a seguire il suo esempio per i più bisognosi, perché – era solito dire – “la miseria non può aspettare”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Cosa vi direbbe il vostro fondatore, San Luigi Guanella? Papa Francesco ha esordito così il suo discorso alla famiglia dei Guanelliani ed ha osservato che Don Guanella avrebbe sicuramente usato “la sua semplicità schietta e genuina”. Quindi, ha sviluppato il suo intervento intorno a tre verbi concreti: “fidarsi, guardare e affrettarsi”.

Don Guanella ha creduto all’amore senza limiti di Dio
La vita di Don Guanella, ha detto, “ha avuto al centro la certezza che Dio è Padre misericordioso e provvidente”. Questo, ha soggiunto, “era per lui il cuore della fede: sapersi figlio sempre amato, di cui il Padre si prende cura”:

“Dio è padre e non riesce a non amarci. Nemmeno è capace di stare lontano dai suoi figli. Se siamo distanti da Lui, veniamo attesi; quando ci avviciniamo, siamo abbracciati; se cadiamo, ci rialza; se siamo pentiti, ci perdona. E desidera sempre venirci incontro. San Luigi ha tanto creduto in questo amore concreto e provvidente del Padre, da avere spesso il coraggio di superare i limiti della prudenza umana, pur di mettere in pratica il Vangelo”.

Non prendere le distanze da Dio, è Padre non padrone
Per Don Guanella, ha ripreso, la Provvidenza “non era una poesia, ma la realtà. Dio ha cura di noi e vuole che ci fidiamo di Lui”. “Penso – ha detto Francesco – che il Padre celeste sia molto dispiaciuto, quando vede che i suoi figli non si fidano pienamente di Lui: credono forse a un Dio lontano, più che nel Padre misericordioso”. Sorge così il dubbio, in tanti, che “Dio, pur essendo Padre, sia anche padrone”. Ma questo, ha avvertito, “è un grande inganno”:

“E’ l’inganno antico del nemico di Dio e dell’uomo, che camuffa la realtà e traveste il bene da male. È la prima tentazione: prendere le distanze da Dio, intimoriti dal sospetto che la sua paternità non sia davvero provvidente e buona. Dio è invece soltanto amore, puro amore provvidente. Egli ci ama più di quanto amiamo noi stessi e sa qual è il nostro vero bene”.

L’amore del prossimo è il conforto della vita
Il secondo verbo, ha detto, è guardare. Il Padre creatore, ha affermato, “suscita anche la creatività in coloro che vivono come suoi figli”. E così imparano “a guardare il mondo con occhi nuovi, resi più luminosi dall’amore e dalla speranza”. A questo sguardo, ha rilevato, “gli altri non appaiono come ostacoli da superare, ma come fratelli e sorelle da accogliere”. Si scopre così, come disse Don Guanella, che “l’amore del prossimo è il conforto della vita”:

“Nel mondo non mancano mai i problemi e il nostro tempo conosce purtroppo nuove povertà e tante ingiustizie. Ma la più grande carestia è quella della carità: servono soprattutto persone con occhi rinnovati dall’amore e sguardi che infondano speranza. Perché “l’amore farà trovare modi e discorsi per confortare chi è debole”, diceva ancora il vostro fondatore”.

Poveri figli prediletti, la più grande carestia è quella della carità
A volte, ha constatato, “la nostra vista spirituale è miope, perché non riusciamo a guardare al di là del nostro io”. Altre volte, ha proseguito, “siamo presbiti: ci piace aiutare chi è lontano, ma non siamo capaci di chinarci verso chi vive accanto a noi”. Talvolta, invece, “preferiamo chiudere gli occhi, perché siamo stanchi, sopraffatti dal pessimismo”. Don Guanella, invece, "ci invita ad avere lo stesso sguardo del Signore: uno sguardo che infonde speranza e gioia”. Francesco ha infine parlato dell’affrettarsi, parlando in particolare dei poveri:

“I poveri sono i figli prediletti” del Padre, diceva san Luigi, che amava ripetere: “chi dà ai poveri, presta a Dio”. Come il Padre è delicato e concreto nei riguardi dei figli più piccoli e deboli, così anche noi non possiamo far attendere i fratelli e le sorelle in difficoltà, perché – sono sempre parole di Don Guanella – “la miseria non può aspettare. E noi non possiamo fermarci fino a quando ci sono poveri da soccorrere!”

“La Madonna – ha concluso – si affrettò per raggiungere la cugina Elisabetta (cfr Lc 1,39). Anche noi, è stata la sua esortazione, “ascoltiamo l’invito dello Spirito ad andare subito incontro a chi ha bisogno delle nostre cure e del nostro affetto”, perché, come insegnava San Luigi Guanella, “un cuore cristiano che crede e che sente non può passare davanti alle indigenze del povero senza soccorrervi”.

inizio pagina

Papa a vescovi Slovacchia: accogliere migranti rispettando dignità persona

◊  

In un ambiente multiculturale “sempre più esteso” e contrassegnato dalle “opportunità” offerte dalle migrazioni, occorre favorire “reciproco rispetto” e incontro. Così il Papa ai vescovi della Repubblica Slovacca, in visita ad Limina. Ai presuli, guidati dal presidente della locale Conferenza episcopale, mons. Stanislav Zvolensky, arcivescovo di Bratislava, il Pontefice ha inoltre raccomandato un adeguato accompagnamento pastorale delle famiglie, “anche di quelle non complete”. Il servizio di Giada Aquilino

Le opportunità offerte dalle migrazioni
Nelle “difficoltà” del momento attuale, caratterizzato da globalizzazione e rapide trasformazioni “in tanti ambiti della vita umana”, anche le nazioni meno numerose affrontano “minacce” e al tempo stesso “elementi che possono offrire nuove opportunità”, come il fenomeno delle migrazioni, che è poi un “segno dei tempi”, da comprendere e affrontare “con sensibilità e senso di giustizia”. Lo ha evidenziato Papa Francesco, nel discorso consegnato ai vescovi slovacchi, spiegando che la Chiesa è chiamata a “proclamare e testimoniare l’accoglienza del migrante in spirito di carità e di rispetto della dignità della persona umana”, nel contesto di una “necessaria osservanza della legalità”. Proprio di fronte alla prospettiva di un “ambiente multiculturale sempre più esteso”, ha sottolineato, occorre assumere atteggiamenti di “reciproco rispetto” per favorire l’incontro.

Su vita e famiglia, dialogo fruttuoso secondo tradizione cattolica
E il popolo slovacco potrà farlo mantenendo la propria “identità culturale” e il “patrimonio di valori etici e spirituali”, fortemente legato alla sua tradizione cattolica, in modo da “aprirsi senza timori” a un confronto in prospettiva “continentale e mondiale” e a un “sincero e fruttuoso dialogo”, anche su tematiche quali la dignità della vita umana e la famiglia.

Chiesa, scuola di comunione
La Chiesa, d’altra parte, è chiamata ad essere “casa e scuola di comunione”, in cui si sa apprezzare e accogliere quanto c’è di “positivo” nell’altro. E, al tempo stesso, in particolare in Slovacchia, è chiamata a “portare avanti” la pastorale dei Rom, con un’opera di vasta evangelizzazione per queste persone che, “purtroppo”, continuano a vivere in una “certa separazione sociale”.

Linguaggio nuovo dell’evangelizzazione
Urgente, ha proseguito, appare pure l’esigenza di un’evangelizzazione che, “con linguaggio nuovo”, renda più comprensibile il messaggio di Cristo, affinché “tutti i cambiamenti del momento attuale” si trasformino in un rinnovato incontro col Signore. In tal senso, i fedeli laici, attraverso “i fermenti evangelici”, non possono esimersi dall’operare “anche all’interno dei processi politici” volti al bene comune. Il Pontefice a quindi esortato i vescovi a riconoscere il loro “ruolo nella vita delle comunità ecclesiali”.

Accompagnamento a famiglie, anche quelle “non complete”, e giovani
Allargando lo sguardo alla famiglia, oggi sottoposta a “tante insidie” e difficoltà, Francesco ha chiesto una “pastorale familiare integrale” a livello diocesano e nazionale, con un “adeguato accompagnamento” delle famiglie, “anche di quelle non complete, soprattutto se vi sono dei figli”. È necessario inoltre valorizzare i giovani, perché in essi - ha notato il Papa - “pulsa un forte desiderio di servizio al prossimo e di solidarietà”, che richiede - ha aggiunto – “chiare indicazioni dottrinali e morali” e un orientamento e una fiducia dei pastori per trasformarsi in un incontro vivo con Cristo, nella prospettiva della diffusione del Vangelo. Nonostante le “tante lusinghe che invitano all’edonismo, alla mediocrità e al successo immediato”, ha assicurato il Pontefice, i giovani non si lasciano “intimorire facilmente” dalle difficoltà, pronti all’impegno “senza riserve”, quando si presenta loro l’autentico significato della vita.

Vita esemplare dei sacerdoti
L’invito di Francesco ai presuli è stato poi ad avere “grande sollecitudine paterna” verso i sacerdoti, con programmi ben articolati di formazione in teologia, spiritualità, pastorale e dottrina sociale della Chiesa: perché, per gran parte del Popolo di Dio, essi “sono il canale principale attraverso il quale passa il Vangelo” e “l’immagine più immediata” mediante cui incontrano il mistero della Chiesa”. La loro preparazione va dunque sempre unita alla testimonianza di una “vita esemplare”, alla comunione con i vescovi, alla fraternità nel sacerdozio, all’affabilità nel rapportarsi con tutti, oltre che a quel tipo di pace spirituale e di ardore apostolico “che solo il contatto costante con il divino Maestro può dare”. I sacerdoti inoltre vanno ascoltati e trattati “con fiducia, mostrando attenzione per le difficoltà che tante volte li affliggono”, ha aggiunto Francesco.

Solidarietà coi più bisognosi
Quindi ha sollecitato a “ristabilire” in Slovacchia buoni contatti tra pastori e persone consacrate, valorizzando “meglio” l’apporto di tutti i religiosi nell’attività pastorale. Un ringraziamento particolare è andato ai sacerdoti e alle comunità religiose maschili e femminili, ai catechisti e agli altri collaboratori nell’opera di evangelizzazione, come pure alle persone e alle istituzioni dedite alla carità e alla solidarietà con i più bisognosi.

inizio pagina

Papa: il "virus gesuitico" è la verità sempre in tensione

◊  

Videomessaggio di Papa Francesco al XVI Congresso latinoamericano delle associazioni degli ex alunni di scuole gestite dai Gesuiti, organizzato a Guayaquil, in Ecuador. Il Papa ha preso lo spunto da un tema degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: la contemplazione del Mistero dell’Incarnazione. Il servizio di Sergio Centofanti:

L'impronta dei Gesuiti: essere sempre in tensione
Papa Francesco tratteggia il profilo di una persona che ha studiato in una scuola dei Gesuiti, cosa gli deve restare come eredità: è una persona - dice - che resta "in tensione, costantemente in tensione. In tensione tra il cielo, la terra e se stesso. Non può nascondere la testa - come fa lo struzzo - dalla realtà del territorio. Non può costruirsi un mondo isolato, con una religiosità ‘light’ di fronte alla realtà di Dio. E non può vendere la propria coscienza alla mondanità". E’ una tensione – afferma il Papa - che viene dal porsi alcune domande: "Come mi trovo davanti a Dio? Come sto di fronte al mondo? Come mi trovo di fronte allo spirito mondano che mi viene sempre proposto? Se si risponde a queste tre domande – osserva - si può valutare fino a che punto la formazione ricevuta dalla Compagnia di Gesù è stata assimilata o fino a che punto è stata conservata in un armadio”.

Osservare la realtà così com'è
“Sant'Ignazio di Loyola – prosegue il Papa - nella meditazione sull'Incarnazione ci pone in tensione in tre cose. In primo luogo, ci fa guardare il cielo: le tre Persone divine. Poi ci fa guardare la terra: le gente, gli uomini, i paesi, le situazioni. E infine ci fa guardare una persona: in questo caso, Maria, la casa di Nazareth”. Dio manda il suo Figlio a salvare gli uomini nella loro realtà. Occorre dunque osservare la realtà così com’è. “Che succede in America Latina? – si chiede il Papa - Quanti ragazzi non stanno andando a scuola? Perché non possono? Quanti bambini non hanno abbastanza da mangiare? Quanti bambini non hanno la salute?”.

Lo scandalo dell'ingiustizia e il "virus gesuitico"
Il Papa invita a pensare a tre cose necessarie: “assistenza sanitaria, cibo, istruzione”. Invita a pensare alle "tragedie umane", ricordando che “ogni persona è tempio della Trinità. Ricorda un’immagine di Buenos Aires che lo ha impressionato: in una strada c'erano 36 ristoranti di fila, costosissimi. Erano solitamente pieni. Vicinissima a questa strada sorgeva una “villa miseria”, una favela. E’ un esempio – afferma il Papa - per “vedere la tragedia che porta oggi la mancanza di giustizia, la mancanza di equità. E tra le persone che mangiavano lì, molti erano cristiani, molti credevano in Gesù Cristo e si professavano cattolici, e forse avevano studiato in scuole cattoliche”. “Se avete in voi  il ‘virus gesuitico’ – dice il Papa - dovete guardare quello che dite a Dio quando vedete questa disuguaglianza, quello che dite a Dio quando vedete lo sfruttamento dei minori sul lavoro, lo sfruttamento della gente, cosa direste a Dio quando vedete che la terra non è custodita” e le deforestazioni che fanno male alla gente; “che direste a Dio quando le aziende minerarie utilizzano il cianuro e l'arsenico per l'estrazione di minerali e questo attenta alla salute di molte persone, di tanti ragazzi, tanti adulti”.

Il "dio spray"
Ricorda quindi quanto dice Sant'Ignazio: "Guardate come Dio guardava la faccia della terra, guardate tutti gli uomini, alcuni nascono, altri muoiono, altri piangono, altri ridono; la realtà ... com’è il tuo rapporto con la realtà? O in altro modo, come trascendete voi stessi? Siete chiusi in voi stessi? Ve la immaginate la Vergine chiudere la porta per non accogliere la chiamata di Dio?”. Ma se sei un cristiano, fai quello che Lei ha fatto. “Come guardi gli uomini? Con che sguardo? Lo sguardo della tua comodità, della tua tranquillità, di chi non vuole problemi, lo sguardo della tua tasca? E come guardi Dio? Faccia a faccia? Da Persona a persona? A chi parli? A un 'dio spray', diffuso ... o parli con il Padre che è tuo Padre, parli al Figlio che è tuo figlio, parli allo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo?

La verità si dà sempre in tensione
Porsi queste domande – ha conclude il Papa – significa restare in tensione “e la verità sempre si dà in tensione, la verità non è quieta, non è cristallizzata, mette in tensione, ti porta ad agire, ti porta a cambiare, ti porta a fare, ti porta ad imitare Dio creatore, redentore, santificatore; Ti porta a essere umano”.

inizio pagina

Papa Francesco: i fedeli laici non sono semplici esecutori di ordini

◊  

I fedeli laici non sono membri di “second’ordine”, al servizio della gerarchia e semplici esecutori di ordini dall’alto, ma come discepoli di Cristo sono chiamati ad animare ogni ambiente secondo lo spirito del Vangelo: è quanto afferma Papa Francesco in un Messaggio in occasione della Giornata di studio organizzata dal Pontificio Consiglio per i Laici, in collaborazione con la Pontificia Università della Santa Croce, sul tema Vocazione e missione dei laici. A cinquant’anni dal Decreto conciliare “Apostolicam actuositatem”. Il servizio di Sergio Centofanti:

Fedeli laici non sono membri di second'ordine
Il Concilio Vaticano II – afferma Papa Francesco – è stato un “evento straordinario di grazia” che “tra i suoi molteplici frutti” ha portato anche “ad un modo nuovo di guardare alla vocazione e alla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo”. I documenti del Concilio considerano, infatti, “i fedeli laici entro una visione d’insieme del Popolo di Dio, a cui essi appartengono assieme ai membri dell’ordine sacro e ai religiosi, e nel quale partecipano, nel modo loro proprio, della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo stesso. Il Concilio, dunque – sottolinea Francesco - non guarda ai laici come se fossero membri di ‘second’ordine’, al servizio della gerarchia e semplici esecutori di ordini dall’alto, ma come discepoli di Cristo che, in forza del loro Battesimo e del loro naturale inserimento ‘nel mondo’, sono chiamati ad animare ogni ambiente, ogni attività, ogni relazione umana secondo lo spirito del Vangelo, portando la luce, la speranza, la carità ricevuta da Cristo in quei luoghi che, altrimenti, resterebbero estranei all’azione di Dio e abbandonati alla miseria della condizione umana. Nessuno meglio di loro può svolgere il compito essenziale di «iscrivere la legge divina nella vita della città terrena» (Gaudium et spes)”.

Annuncio Vangelo non è riservato ad alcuni professionisti della missione
Il Papa si sofferma quindi sul Decreto conciliare Apostolicam actuositatem, che tratta più da vicino della natura e degli ambiti dell’apostolato dei laici. Si tratta di un documento che ricorda “con forza che «la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (n. 2), per cui l’annuncio del Vangelo non è riservato ad alcuni ‘professionisti della missione’, ma dovrebbe essere l’anelito profondo di tutti i fedeli laici, chiamati, in virtù del loro Battesimo, non solo all’animazione cristiana delle realtà temporali, ma anche alle opere di esplicita evangelizzazione, di annuncio e di santificazione degli uomini”.

Doni Spirito vanno sempre di nuovo capiti
“Tutto questo insegnamento conciliare - osserva il Papa - ha fatto crescere nella Chiesa la formazione dei laici, che tanti frutti ha già portato fino ad ora. Ma il Concilio Vaticano II, come ogni Concilio, interpella ogni generazione di pastori e di laici, perché è un dono inestimabile dello Spirito Santo che va accolto con gratitudine e senso di responsabilità: tutto ciò che ci è stato donato dallo Spirito e trasmesso dalla santa Madre Chiesa va sempre di nuovo capito, assimilato e calato nella realtà!”.

Ansia di attuare il Concilio Vaticano II
“Applicare il Concilio, portarlo nella vita quotidiana di ogni comunità cristiana” - afferma Papa Francesco - era “l’ansia pastorale che ha sempre animato san Giovanni Paolo II” che durante il Grande Giubileo del 2000 disse: «Una nuova stagione si apre dinanzi ai nostri occhi: è il tempo dell’approfondimento degli insegnamenti conciliari, il tempo della raccolta di quanto i Padri conciliari seminarono e la generazione di questi anni ha accudito e atteso. Il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato una vera profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena iniziato» (Discorso al Convegno internazionale sull’attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 27 febbraio 2000)”. Papa Francesco conclude il Messaggio pregando il Signore affinché sia i pastori che i fedeli laici abbiano “nel cuore la stessa ansia di vivere e attuare il Concilio e portare al mondo la luce di Cristo”.

inizio pagina

Papa: Eucarestia non è premio per i buoni ma forza per i peccatori

◊  

Si è aperto oggi in India, a Mumbai, il Congresso eucaristico nazionale, presenti oltre 700 delegati da tutto il Paese. Partecipa anche il cardinale Malcom Ranjith, inviato speciale del Papa, che ha rivolto un videomessaggio in apertura dei lavori, incentrati sul tema “Nutriti da Cristo per nutrire gli altri”. Il servizio di Roberta Gisotti:

“Un dono di Dio”, il Congresso eucaristico, “non soltanto per i cristiani dell’India ma per tutta la popolazione di un Paese cosi ricco di diversità culturali e di spiritualità”,  ha sottolineato Francesco, ricordando quanto già Paolo VI ebbe modo di evidenziare, durante il suo viaggio in India nel 1964, nel discorso rivolto ai fedeli delle religioni non cristiane. Osservava Papa Montini: “Cristo è caro a questo Paese”, “ispiratore di amore e sacrificio di se stessi” per “milioni di persone che hanno fatto la sua conoscenza e lo amano”. “Impariamo - ha esortato Francesco - che l’Eucaristia non è un premio per i buoni, ma è la forza per i deboli, per i peccatori. E’ il perdono, è il viatico che ci aiuta ad andare, a camminare”. E, che “la comunione con il Signore” “ci conduce alla solidarietà con gli altri”. “Gli esseri umani di tutto il mondo - ha detto Francesco - hanno bisogno di nutrimento”, non solo “quello che serve a soddisfare la fame fisica”. Da qui il richiamo a tutti quanti sono sfamati e nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo a non restare indifferenti verso i fratelli e sorelle che soffrono la fame, non solo fisica ma anche “d’amore, d'immortalità, di affetto, attenzioni, perdono, misericordia. Questi tipi di fame possono essere soddisfatti solo con il Pane che viene dall’alto”. Poi ancora il richiamo “a portare la gioia del Vangelo a coloro che non lo hanno ancora ricevuto” e “speranza a coloro che vivono nelle tenebre e nella disperazione”. Infine l’auspico di Francesco che questo Congresso sia “foriero di luce per la gente dell’India”, “foriero di grande gioia e felicità”, “un’occasione” per “essere uniti nell’amore”.

inizio pagina

Tweet del Papa: prendersi cura delle famiglie ferite

◊  

"Tutti noi cristiani siamo chiamati a imitare il Buon Pastore e prenderci cura delle famiglie ferite". E il tweet di Papa Francesco pubblicato oggi sull'account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

inizio pagina

Nomina episcopale in Canada

◊  

Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Sault Sainte Marie (Canada), presentata da S.E. Mons. Jean-Louis Plouffe in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Sault Sainte Marie (Canada) S.E. Mons. Marcel Damphousse, trasferendolo dall’ufficio di Vescovo di Alexandria-Cornwall.

S.E. Mons. Marcel Damphousse è nato il 19 marzo 1963 a Saint-Joseph, Manitoba. Dopo gli studi primari ha frequentato i corsi di psicologia al Collegio Universitario Saint-Boniface. Nel 1988 si è iscritto all’Università S. Paul di Ottawa per i corsi di Teologia. È stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1991 ed incardinato nell’arcidiocesi di Saint-Boniface. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto il ministero pastorale in diverse realtà parrocchiali come Vicario parrocchiale, e dal 1994 al 2000 come Parroco di Notre-Dame-de-la-Nativité a Somerset. Contemporaneamente è stato nominato Presidente della Commissione diocesana per le Vocazioni. Nel 1996 è diventato anche Parroco di Saint-Léon. Dal 2000 al 2002 è stato a Roma dove ha conseguito la Licenza in Teologia Spirituale presso l’Istituto Teresianum. Ritornato in diocesi ha svolto il suo ministero come Parroco e nel quinquennio 2003-2008 è stato nuovamente Direttore diocesano per le Vocazioni e Cappellano del St. Boniface High School. Nel 2008 è stato nominato Rettore della Basilica Cattedrale di Saint-Boniface e membro del Consiglio diocesano degli Affari Economici. Nominato Vescovo di Alexandria-Cornwall il 16 giugno 2012, è stato consacrato il 2 settembre successivo. Attualmente è uno dei due Consiglieri dell’Ufficio direttivo dell’Assembly of Catholic Bishops of Ontario ed è membro della Commissione per l’Educazione. È inoltre Cappellano dei Knights of Columbus nello stato dell’Ontario.

inizio pagina

Indagini in Vaticano: indagati i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi

◊  

La Gendarmeria vaticana – rende noto padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede - nella sua qualità di polizia giudiziaria, aveva segnalato alla Magistratura vaticana l’attività svolta dai due giornalisti Nuzzi e Fittipaldi, a titolo di possibile concorso nel reato di divulgazione di notizie  e documenti riservati previsto dalla Legge n.IX SCV,  del 13 luglio 2013 (art 116 bis c.p.). Nell’attività istruttoria avviata, la Magistratura ha acquisito elementi di evidenza del fatto del concorso in  reato da parte dei due giornalisti, che a questo titolo sono ora indagati. Sono all’esame degli inquirenti anche alcune altre posizioni di persone che per ragioni di ufficio potrebbero aver cooperato all’acquisizione dei documenti riservati in questione.

inizio pagina

Santa Sede all'Onu: più preoccupante quadro profughi palestinesi

◊  

Il quadro “più preoccupante” sulla situazione dei profughi palestinesi. È il rapporto 2014 dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu ad essi dedicata, nelle parole dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. In una dichiarazione alla 70.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, mons. Auza ha sottolineato come dal documento emerga una situazione drammatica di quelle aree del Vicino Oriente che includono territori dove per due millenni i cristiani sono stati parte integrante.

Violenta persecuzione contri i cristiani
Oggi anche quelle popolazioni, “notevolmente” ridotte di numero, a causa di una “violenta persecuzione” e per le dure realtà geopolitiche della regione, hanno dovuto lasciare le loro case, diventando sfollati interni e profughi: sono quindi tra i rifugiati assistiti dall’Unrwa. Come l’agenzia Onu, ha messo in luce il nunzio apostolico, anche varie organizzazioni della Chiesa cattolica forniscono servizi educativi, sanitari e sociali per tali realtà di conflitto, grazie a donazioni da tutto il mondo. Ma le risorse non sono sufficienti per le “molteplici esigenze”.

Quadro politico israelo-palestinese
Il processo di pace israelo-palestinese è in stallo, ha ricordato mons. Auza. Le crescenti tensioni e la violenza in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme est costituiscono una “grave preoccupazione” per la Santa Sede, che rinnova quindi il proprio sostegno per una “soluzione globale, giusta e duratura” per la città di Gerusalemme, “patrimonio spirituale” di ebrei, cristiani e musulmani, garantendo libertà di religione e di coscienza per i suoi abitanti, come pure il libero accesso ai Luoghi Santi da parte dei fedeli di tutte le religioni e nazionalità.

La guerra in Siria
In Siria, inoltre, strutture educative e sanitare per più di mezzo milione di profughi palestinesi sono state prese di mira dalle parti in conflitto, tanto che molti bambini non hanno potuto frequentare a lungo la scuola. Al contempo aumenta il numero dei feriti, ma diminuisce quello delle strutture per assisterli. Alcuni campi profughi palestinesi, come quello di Yarmouk, “sono letteralmente sotto assedio”, con “accesso limitato” per i rifornimenti necessari. Altri campi sono “bersaglio di azioni militari”. I vari rapporti internazionali, evidenzia l’arcivescovo Auza, non danno molte speranze che tali “atti barbarici contro i profughi palestinesi” possano finire presto.

Pace e assistenza a profughi sostituisca flusso armi
Ringraziando Libano e Giordania per la collaborazione con l'Unrwa e per l’accoglienza, assieme alla Turchia e ai Paesi europei, di rifugiati provenienti da Iraq e Siria, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu ha auspicato che la pacificazione sostituisca “l'illogicità futile e controproducente” della violenza e della guerra. E che l’assistenza umanitaria accessibile per profughi e sfollati interni prenda il posto dell'attuale flusso di armi che scorre nella regione da ogni parte del globo. L’invito finale è stato a non rinunciare alla “ricerca insaziabile di pace”.

inizio pagina

Mons. Nykiel: confessionale “porta santa dell’anima"

◊  

E’ in svolgimento a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, il V Simposio annuale organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, dedicato quest’anno al tema "Penitenza e Penitenzieria nel secolo del Concilio di Trento. Prassi e dottrine in un mondo più largo (1517-1614)" . In proposito Fabio Colagrande ha intervistato mons. Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica: 

R. - Il secolo del Concilio di Trento è un’epoca storica fondamentale e di svolta per la Chiesa. Infatti, il periodo indicato nel convegno, come è noto, porta in sé l’esigenza e l’attuazione della riforma della Chiesa, che caratterizzava i vari livelli del tessuto sociale della Christianitas del tardo medioevo. I diversi e qualificati relatori che si avvicendano nel corso del Simposio presentano secondo le proprie competenze e specifiche ricerche, le importanti novità e riforme che dal punto di vista teologico, giuridico, culturale, sacramentale, liturgico e pastorale questo Concilio Ecumenico ha introdotto nella Chiesa Cattolica. Se volessimo tentare di sintetizzare in poche linee i contributi offerti dal concilio, potremmo parlare di una decisa e sistematica volontà di tornare ad educare alla fede della Chiesa e potremmo indicarne il contributo dottrinale nei testi approvati concernenti la giustificazione e i sacramenti, mentre quello disciplinare e pastorale in quelli riguardanti la residenza dei vescovi e i loro doveri pastorali, l’istituzione del seminario per la formazione del clero diocesano e l’istruzione catechistica dei fedeli.

D. - Ci vuole sinteticamente ricordare le disposizioni emanate dal Concilio di Trento sul sacramento della penitenza?

R. - Per quanto concerne il testo in merito alla dottrina del sacramento della penitenza, il Tridentino lo approvò durante il secondo periodo del suo svolgimento, nella Sessione XIV del 25 novembre 1551, ai capitoli da 1 a 9, in modo speciale nel cap. 5 dal titolo De confessione. Di fronte alle contestazioni dei protestanti circa il sacramento della penitenza, il Concilio di Trento insisterà su tre punti: necessità per ogni cristiano di confessare almeno una volta l’anno i peccati gravi; necessità per il penitente di presentare le proprie colpe al ‘giudizio’ del confessore, il quale può concedere o rifiutare l’assoluzione; sforzo teologico per provare che queste esigenze non sono semplici regole fissate dalla Chiesa, ma sono “di diritto divino”, vale a dire vengono da Dio stesso.

D. - Il sottotitolo del Simposio fa riferimento ad “un mondo più largo”. Qual è il senso di questa affermazione?

R. - Il periodo storico del Concilio di Trento è il tempo della missio ad gentes. Alla riforma della Chiesa si associa la missione e la diffusione della fede presso popoli e culture prima sconosciute e che iniziavano a far parte della Chiesa. Josef Glazik ha parlato di una «primavera missionaria all’inizio dell’età moderna». La Chiesa, secondo l’immagine patristica del giardino, veniva arricchita da nuove e tenere pianticelle appartenenti alle terre che, nell’ottica europea, vennero chiamate in vari modi tra cui Indie Orientali e Indie Occidentali, dove i missionari si misurarono con ambienti, culture e tradizioni religiose che imposero loro riflessioni profonde sulle metodologie dell’annuncio evangelico e della nuova convivenza cristiana, nonché l’elaborazione di strumenti utili a tal fine come per esempio i catechismi realizzati nell’America spagnola da vari missionari, o in Asia da Matteo Ricci per la Cina o da Alessandro Valignano per il Giappone. La scoperta di nuovi popoli e territori obbligarono, quindi, la cultura e la scienza europea coeva a rivedere le proprie conoscenze, a lasciarsi mettere in discussione per potersi aprire al nuovo (il Nuevo mundo) e incorporarlo, assimilarlo. Così è avvenuto anche per la Chiesa. Sappiamo, infatti, che l’evangelizzazione del Nuovo Mondo ha significato un grande e generoso sforzo anche da parte della Chiesa, soprattutto iberica, rappresentata dai religiosi (francescani, domenicani, agostiniani, mercedari e dal 1568 anche gesuiti) che hanno offerto la loro vita per il Vangelo e la salvezza degli uomini partendo per le Indie.

D. - Lei ha parlato di una Chiesa che si apre alle esigenze di un nuovo mondo e di tanti religiosi che donarono la propria vita per il vangelo e la salvezza delle anime. Come non ricordare a tal proposito le tante figure di santi vissuti nel XVI secolo ….

R. - E’ propri così. La riforma della Chiesa e la nuova primavera missionaria hanno anche offerto alla Chiesa e al mondo la testimonianza più trasparente del Vangelo, quella della santità. I santi e le sante che appartengono al secolo di Trento sono numerosi e mostrano i diversi volti di ciò che è stato chiamato lo “spettacolo della santità”; essi sono riformatori e spesso fondatori e fondatrici, sono missionari, sono pastori, sono padri e madri del Popolo di Dio dal quale nascono e che voglio servire. Si pensi a Ignazio di Loyola e alla Compagnia di Gesù, ancora a Teresa d’Avila, riformatrice-fondatrice del Carmelo. Venendo alla penisola italica, Carlo Borromeo, che fu Penitenziere Maggiore e che per secoli è stato indicato come il modello del vescovo tridentino, il pastore per eccellenza. Ma vi fu anche a Filippo Neri, capace di riproporre la fede valorizzando antiche forme di comunione e di pietà caratteristiche della Roma cristiana dando loro forme nuove come la “Visita alle sette chiese”, pellegrinaggio che ancora si svolge qui in Urbe. Si pensi ai missionari oltreoceano e ai primi frutti della santità tra i cristiani nati nelle nuove terre: Francesco Saverio patrono delle missioni della Chiesa; Toribio Alfonso de Mogrovejo, chiamato il Borromeo delle Ande e patrono dell’episcopato latinoamericano; Rosa da Lima, patrona dell’America e delle Filippine.

D. - Il Simposio di quest’anno si svolge in prossimità dell’inizio dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia. Quale contributo può dare per la preparazione dell’ormai imminente Giubileo?

R. - Credo innanzitutto che il Simposio metta bene in evidenza la centralità del Sacramento della Penitenza e la sua importanza per la Chiesa di ieri e di oggi. Il Santo Padre Francesco nella Bolla d’Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia si rivolge a tutti i cristiani del mondo ricordando loro la centralità della confessione, sacramento unico e indispensabile per vivere autenticamente l’anno giubilare: “Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione”, - scrive Papa Francesco -  perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore» (Misericordiae Vultus, n. 17). Non si può oltrepassare la Porta Santa giubilare senza prima aver attraversato il confessionale, “porta santa dell’anima”, sorgente inesauribile di perdono e di pace. Accostandosi al sacramento della riconciliazione, il fedele compie ogni volta come un pellegrinaggio – segno peculiare dell’Anno Santo – dentro il cuore compassionevole del Padre, un cammino di ritorno alla Casa del Padre che ci aspetta sempre senza mai stancarsi, desideroso di venirci incontro, perdonarci e far festa per il ritorno alla vita della grazia, alla vita piena del vangelo (cfr. Lc 15, 21-25).  Così la celebrazione del sacramento diventa anche luogo nel quale si impara e si scopre la grandezza dell’amore di Dio che scuote il nostro cuore dall’orrore e dal peso del peccato, lo rende cosciente e lo indirizza sempre più alla gioia del vangelo. Il sacramento della riconciliazione spinge il penitente a cambiare la propria vita, a riordinarla, a “riformarla secondo il vangelo” così come già auspicato dalla Chiesa, Madre e Maestra di Misericordia, che fin dai tempi del Concilio Tridentino non ha mai cessato di invitare alla conversione, al ritorno a Dio ricco di misericordia, buono e grande nell’amore.

D. - Eccellenza, il Concilio di Trento ha contribuito notevolmente alla riflessione e allo sviluppo della dottrina sull’indulgenza. L’anno Giubilare della Misericordia sarà un’importante occasione per i fedeli di tutto il mondo per riscoprire la ricchezza spirituale delle indulgenze Ci può spiegare brevemente il significato, le condizioni e l’attualità dell’indulgenza?

R. - Come è noto, il Beato Paolo VI nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum Doctrina afferma che l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa e applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.  L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Ogni fedele può lucrare per se stesso le indulgenze sia parziali che plenarie o applicarle ai defunti a modo di suffragio. E’ capace di lucrare indulgenze chi è battezzato, non scomunicato, in stato di grazia almeno al termine delle opere prescritte. Per ottenere l’indulgenza plenaria, oltre l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale, è necessario  eseguire l’opera indulgenziata e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Le tre condizioni possono essere adempite parecchi giorni prima o dopo di aver compiuto l’opera prescritta; tuttavia è conveniente che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice siano fatte nello stesso giorno in cui si compie l’opera. Si adempie pienamente la condizione della preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, recitando, secondo le sue intenzioni, un Padre Nostro ed un’Ave Maria; è lasciata tuttavia libertà ai singoli di recitare qualsiasi altra preghiera secondo la pietà e la devozione di ciascuno. L’indulgenza è la testimonianza concreta di quanto veramente l’amore di Dio è più grande di ogni peccato e che dove arriva la Divina Misericordia tutto rinasce, tutti si rinnova, tutto è risanato. La pienezza della misericordia del Padre, che ha mandato suo figlio Gesù morto e Risorto per noi offre ai credenti la possibilità di sperimentare la gioia del perdono portato fino alle sue estreme conseguenze come segno ultimo dell’amore del Padre nei confronti dei peccatori. In quest’amore nasce e si sviluppa la vita cristiana.

inizio pagina

Oggi come 50 anni fa "una Chiesa povera per i poveri"

◊  

Era il 16 novembre 1965, durante il Concilio Vaticano II, quando 42 vescovi firmarono nella Catacombe di Santa Domitilla, a Roma, il cosiddetto “Patto delle catacombe”, per sancire l’impegno di realizzare una “Chiesa povera per i poveri”. Per ricordare quell’evento, nel cinquantesimo anniversario, si tengono in questi giorni una serie di incontri. Le iniziative sono state presentate stamani in una conferenza stampa presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. Ce ne parla Giancarlo La Vella

“Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Pochi giorni dopo la sua elezione, il 16 marzo 2013, Papa Francesco riproponeva, parlando ai rappresentanti dei media, il tema antico e straordinariamente attuale di una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti, a chi subisce soprusi e ingiustizie. Riconoscendo Cristo in queste persone, 42 presuli vollero firmare, 50 anni fa, un documento, che poi venne sottoscritto anche da altri 500 vescovi, per mettere in evidenza, nella Chiesa che si rinnovava, l’opzione per i poveri e per uno stile di vita sobrio. Tra essi c’era mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea:

“Ci presentarono questo elenco di impegni, perché i vescovi cominciassero a vivere più semplicemente, fossero vicini ai lavoratori, ai poveri, ai sofferenti e non avessero dei conti in banca loro. Avvicinandosi ai 50 anni, il ricordo del Patto delle Catacombe rivive e diventa attuale, soprattutto nell’atmosfera che Papa Francesco sta indicando a tutta la Chiesa”.

Anche oggi la Chiesa, stimolata mirabilmente da Francesco, si rivolge alle sofferenze e alle difficoltà della società, guardando, come il Papa ha più volte esortato, alle “periferie del mondo”. Sentiamo mons. Erwin Kräutler, vescovo in Amazzonia, che ha offerto la sua collaborazione all’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’:

“Papa Francesco ha detto che la Chiesa ha bisogno di andare nelle periferie. Vivo in Amazzonia e il Papa, nella sua Enciclica, Laudato si', ha parlato dell’Amazzonia e anche degli indigeni. Per me è una vittoria della Chiesa, una vittoria del popolo dell’Amazzonia, una vittoria dei vescovi dell’Amazzonia e della Chiesa in Amazzonia”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, in apertura. Con rispetto e giustizia. Ai vescovi slovacchi il Papa ribadisce la necessità di accogliere i migranti. E ai guanelliani ricorda che i poveri non possono attendere. Di spalla, L’orizzonte a Parigi. Kerry esclude trattati vincolanti alla conferenza sul clima.

Nelle pagine dedicate alla cultura. Preferisco nascere. La sentenza della Consulta sugli embrioni di Lucetta Scaraffia. 

Quando l’unico missionario è un libro di Silvia Guidi. La responsabilità del talento Memorie del soprano Virginia Zeani di Marcello Filotei.

Un erudito nella bufera. Duecento anni fa moriva Gaetano Marini di Paolo Vian.

L’alleanza irrevocabile. Michel de Goedt e la teologia cristiana dell’ebraismo di Cristiana Dobner.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Galantino: con il Papa per una Chiesa in dialogo con il mondo

◊  

Si avvia alla conclusione il Convegno nazionale della Chiesa italiana in corso a Firenze. “Dialogo, confronto e discernimento” i temi attorno al quale, sulla spinta delle parole del Papa di martedì scorso, si sviluppa la riflessione dei lavori. Lo spiega il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, al microfono del nostro inviato Luca Collodi:

R. - Si sta certamente operando in termini di dialogo, di confronto, di un convenire cioè intorno a dei temi da parte di persone diverse. C’è, però, anche qualcosa di molto interessante: una sorta  di discernimento che la Chiesa italiana sta facendo qui; un discernimento intanto rispetto al Vangelo, tanto per cominciare; un discernimento soprattutto che viene guidato, che viene accompagnato da quello che Papa Francesco ci sta domandando e ci sta domandando di osare di più in questo confronto tra fede e storia; di osare di più come Chiesa in questo confronto con il mondo moderno. Il Papa ci sta chiedendo più coraggio - come Chiesa - ad incontrare questo nostro mondo, che non è un mondo fatto solo di negatività e che anzi può darci stimoli interessanti, che può aiutarci ad osare di più.

D. – La sfida è alta perché nella vita sociale la sensazione è che ci sia un umanesimo non positivo…

R. – Sì, io direi ancora di più: la sensazione è che ci sia un anti-umanesimo e la parabola antiumanistica non è soltanto un fatto culturale, è un fatto anche di gesti. Non dimentichiamo che ci troviamo di fronte a situazioni nelle quali l’umanesimo, inteso anche come rispetto della dignità delle persone, è messo sotto i piedi a diversi livelli. Quindi da questo punto di vista la Chiesa è chiamata a recuperare la sua funzione di madre e di maestra.

D. – Guardiamo ai prossimi anni della vita della Chiesa italiana: che germogli sono stati coltivati qui a Firenze?

R. – Io ho l’impressione che siano stati coltivati gli stessi germogli che la Chiesa da sempre coltiva. Più che germogli nuovi, sono emersi sicuramente desideri rinnovati, speranze rinnovate, voglia di esserci e di esserci come credenti, di esserci come uomini e donne capaci di dire all’uomo di oggi che il Vangelo è vero e che il Vangelo è possibile.

D. – Il laicato cattolico sembra ultimamente un po’ addormentato. Firenze può essere un’occasione di rilancio?

R. – Io me lo auguro! Non lo so se è addormentato o se lo abbiamo addormentato o se si è addormentato da solo… Di sicuro non si sente forte la presenza della esperienza cristiana in questo nostro mondo. Da una parta non la si sente, ma dall’altra, dove c’è, si fa di tutto da parte di alcuni per metterle o il silenziatore o addirittura il mordacchio. Allora veniamo chiamati in questo momento, come cristiani, come cattolici, qui in Italia, anzitutto a prendere le distanze da qualsiasi atteggiamento vittimistico, perché il vittimismo non porta da nessuna parte; ma ad essere gente, invece, che coltiva la consapevolezza della novità del Vangelo, dell’attualità del Vangelo: una novità e una attualità che possano diventare vita soltanto se camminano sulle gambe di persone coerenti, persone che riconoscono i propri limiti, il proprio peccato, ma non si fanno affossare dal limite del peccato, trovano anzi occasione di partire, di ripartire – come dice Mario Luzi, poeta fiorentino – da questa mancanza per potersi lanciare in avanti con l’aiuto del Signore.

D. – Dopo Firenze si può pensare a un Sinodo della Chiesa italiana?

R. – Non penso proprio! Di sicuro, però, veniamo stimolati dal Papa e anche dall’esercizio bello, perché è veramente bello , che abbiamo fatto e che stiamo facendo in questi giorni: veniamo richiamati a coltivare uno stile di sinodalità, che significa uno stile di ascolto, di dialogo, di attenzione, di accoglienza anche dell’altro. Questo però lo può fare soltanto chi è libero interiormente. A me è piaciuto molto quando il Papa ha parlato di una Chiesa libera da questo desiderio di potere. Attenti, però, perché non c’è soltanto il potere da condividere con il governo o con qualsiasi altra realtà. No! C’è anche il potere di chi pensa di avere la verità in tasca e che questa verità che ha in tasca non abbia bisogno di alcun confronto, di alcuna verifica. Dobbiamo liberarci da questo, che – ripeto – non vuol dire non credere che Gesù Cristo è veramente l’uomo nuovo, ma credere che il Gesù Cristo che io ho percepito, che io vivo, sia quello l’uomo nuovo: bisogna anche come Chiesa sottoporre continuamente a discernimento - e questo il Papa ce lo ha chiesto – il modo in cui noi viviamo la nostra esperienza religiosa, se sempre risponde ai criteri del Vangelo, se sempre risponde anche ai criteri anche di una Chiesa che è chiamata ad essere - come Cristo -  umile, accogliente e gioiosa.

inizio pagina

Scontro Israele-Ue su etichette prodotti dei Territori

◊  

Israele ha annunciato la sospensione delle riunioni con l'Unione Europea, dopo la decisione di Bruxelles di contrassegnare in modo specifico i prodotti che provengono dalle colonie ebraiche nei Territori occupati palestinesi. Secondo le autorità di Israele si tratta infatti di una decisione politica discriminatoria. La Commissione Ue ritiene invece che la dicitura "made in Israel" per i prodotti provenienti dagli insediamenti è semplicemente fuorviante per il consumatore. Marco Guerra ne ha parlato con Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo): 

R. – Qui si tratta di applicare le regole della Comunità Europea. Le regole della Comunità Europea dicono che possono usufruire dell’etichetta “Made…” in un Paese i prodotti che sono prodotti in quel Paese e non all’estero o in territori occupati ovviamente. Se si accettasse che i prodotti fatti negli insediamenti all’interno dei Territori Occupati venissero considerati prodotti di Israele, questo significherebbe che l’Unione Europea accetterebbe il concetto che queste terre sono parte di Israele: il che contrasta con la politica complessiva non solo della Comunità Europea e dell’Unione Europea, ma anche di tutta la Comunità internazionale che ritengono quelli territori occupati e non territori parte di Israele. Quindi non si tratta di una regola ad hoc, applicata per quei prodotti: si tratta di una regola generale che viene applicata anche a quei prodotti. Ovviamente la cosa ha dei risvolti politici e questo è il motivo per cui tanti anni si è trascinata questa procedura, che finalmente adesso è arrivata al dunque e si applica, così come si applica a tutte le altre cose di questo tipo. Quindi è chiaro che il fatto che l’Unione Europea abbia deciso di applicare questo regolamento, che già preesisteva, ai prodotti dei Territori Palestinesi è un fatto politico. Era già un iter avviato, poi il segretario di Stato americano Kerry ha chiesto di sospendere la procedura per non intralciare il negoziato in corso; caduto il negoziato in corso e fallito quel tentativo di Kerry, era naturale che questo riprendesse il suo cammino. E così è stato.

D. – La Commissione europea ha dato il via libera ad una nota interpretativa su questa indicazione dei prodotti alimentari. Che significa?

R. – Significa che questo è un concetto generale, che va poi raccomandato ai singoli Stati di applicarlo secondo il proprio regolamento interno. Evidentemente questo va incontro ad alcune titubanze di alcuni Paesi membri che su questa questione hanno dimostrato maggiore riluttanza.

D. – Secondo Israele sono molti i palestinesi che lavorano presso queste aziende nei Territori Occupati. Che ripercussioni possono esserci?

R. – Ripercussioni possono esserci, indubbiamente. Questi lavorano presso aziende che sono situate nei Territori Occupati e non ci può essere la pretesa che queste aziende vengano scambiate come aziende israeliane. Il che non è! Non è dal punto vista giuridico: sono aziende realizzate su Territori Occupati e che debbono essere liberati…

D. – Secondo il ministero dell’Economia israeliano, l’impatto sarà di circa 50 milioni di dollari. Poca roba rispetto ai 30 miliardi di dollari scambiati tra Israele e Ue. Che tipo di rapporto commerciale c’è tra l’Unione Europea e lo Stato Ebraico?

R. – L’Unione Europea è il primo partner commerciale di Israele. E non solo: Israele partecipa anche ai programmi di ricerca e sviluppo del Programma “Horizon 2020”, che è un programma di estrema importanza e che porterà anche molti soldi ad Israele. Già un anno e mezzo fa Israele aveva, tuttavia, dovuto accettare una clausola per cui qualsiasi finanziamento effettuato ad aziende o a istituzioni israeliane non dovesse essere utilizzato nei Territori Occupati. Anche quella clausola sollevò forti obiezioni ma alla fine fu accettata.

D. – Certo, poi, nulla vieta che i prodotti dei Territori possano arrivare in Europa, ma saranno meno agevolati rispetto a quelli prodotti in Israele?

R. – Non c’è il blocco dei prodotti. E’ solo il fatto che viene posta una etichetta che dice che questi prodotti non sono israeliani, ma sono prodotti nei Territori Occupati. Il che mi pare sia anche un diritto del consumatore di sapere che cosa acquista e dove sia prodotta questa cosa qui… E’ una misura certamente dura, è – nell’ambito della “politica di bastone e carota” che viene applicata per spingere Israele a riprendere la vita del negoziato – un "momento di bastone". Tuttavia, di fronte al totale impasse del processo diplomatico e anche di fronte all’esplodere di nuove violenze, io credo che sia necessario che venga fatta pressione per rimuovere questa situazione e riavviarsi verso un processo negoziale che porti alla creazione di due Stati.

inizio pagina

Convegno alla Gregoriana sulla storia della Chiesa coreana

◊  

Si è svolto ieri, presso la Pontificia Università Gregoriana, il Convegno sulla storia della Chiesa cattolica coreana promosso dall’ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede. Un’occasione per ricordare la visita di Papa Francesco dello scorso anno e per confrontarsi sulle nuove sfide pastorali della chiesa locale. Il servizio di Davide Dionisi: 

“Tutti noi coreani siamo stati felici per i 5 giorni in cui Papa Francesco è stato in Corea”. Ha esordito così l’ambasciatore di Corea presso la Santa Sede, Francesco Kyung-surk Kim, aprendo i lavori del forum su “Ricordo e speranza”, il convegno sulla storia della Chiesa cattolica coreana, tenutosi ieri sera alla Gregoriana. Ad un anno dalla visita del Santo Padre sono state ripercorse le tappe più importanti dei 230 anni della storia della Chiesa locale, una giovane Chiesa fondata dai laici che conta oltre 10 mila martiri. E proprio del martirio ha parlato mons. Lazzaro Heung-Sik You, vescovo di Daejeon, offrendo una lettura diversa. Un martirio che non consiste nella morte, ma nella vita e negli atti che mettono in pratica l’insegnamento dell’amore di Cristo:

“Mi domando se la Chiesa non sia diventata un comodo salone per ricchi, perdendo il suo ruolo di profezia. La Chiesa fa il suo mea culpa, battendosi il petto. Dunque, vorrei correggere la base della teologia del martirio, mettendo in rilievo la vita al posto della morte e mettendo in comune il frutto con la Chiesa universale. Cercheremo di far risplendere la luce del martirio pratico, condividendo lo spirito del martirio con i fedeli”.

In merito alla riconciliazione tra le due Coree, il vescovo di Daejeon ha sottolineato il ruolo della Chiesa:

“Cercheremo di fare tutto perché il popolo coreano arrivi alla riconciliazione, superando la separazione e il conflitto, e alla fine giunga all’unità piena. Ci prepareremo al recupero dell’unità nazionale non per calcolo politico, ma per amore dell’uomo e della fraternità. Prenderemo un ruolo centrale nella missione in Asia e faremo il punto di svolta nell’evangelizzazione universale”.

Sull’importanza della pace, dell’unità e del dono della riconciliazione ha parlato anche mons. Savio Hon Tai-Fai, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

“Innanzitutto, la divisione è un fatto politico. Entrano, quindi, in gioco interessi e potere. La Chiesa in Nord Corea non è molto presente. Invece la Chiesa coreana ha cercato di fare qualcosa, ma vedo che ancora il processo è molto lento. Dal mio punto di vista, la storia ha i suoi alti e bassi. Quando, dunque, la gente ha questo desiderio di bene, di felicità, quel desiderio sboccia. Anche la Chiesa porta la felicità tramite il Vangelo, tramite la testimonianza. Io ho molta fiducia, anzi ho visto già non pochi sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose che hanno questa voglia di prepararsi per andare un giorno in Nord Corea. E’ quindi già una cosa molto buona”.  

Una delle grandi speranze della Chiesa in Asia è l’incremento dei laici formati, più coscienti della propria vocazione all’interno della comunità ecclesiale. La Chiesa coreana, in questo senso, è un modello da imitare secondo il cardinale Francesco Monterisi, arciprete emerito della Basilica di San Paolo fuori le Mura, già nunzio apostolico in Corea dal 1983 al 1987:

“Sottolineando di più questi aspetti, che sono caratteristici della Chiesa coreana, cioè la partecipazione del laicato in modo molto più intenso di quello che noi vediamo nelle Chiese dell’Occidente. I laici in Corea hanno una capacità di intervenire nei problemi della Chiesa con molta più presenza, molto più impegno e, seconda cosa, il senso del martirio. Il Santo Padre, in un recente discorso, ha parlato dello spirito del martirio, che deve animare la Chiesa di oggi. Penso che questo senso del martirio, ispirato dalla storia della Corea, che ha visto almeno cento anni di persecuzione, darà forza e vigore alla fede dei cattolici in tutto il mondo, al giorno d’oggi”.

inizio pagina

Consulta su Legge 40: via libera a selezione embrioni

◊  

In Italia, nuova sentenza della Corte Costituzionale in materia di procreazione assistita, regolata dalla Legge 40. Cade il divieto di selezionare gli embrioni sani rispetto a quelli malati, per evitare l’impianto di quelli affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili, già indicate nella Legge 194 sull’aborto. Resta il divieto di distruggere quelli scartati, non impiantati. Reazioni negative hanno espresso l’Associazione Scienza & Vita, il Movimento per la Vita Italiano e il Movimento PER, sottolineando che tale sentenza segna un altro passo avanti nella cultura dello scarto, inserendo i principi dell’eugenetica nell’ordinamento italiano, distinguendo tra esseri umani di serie A e B. Roberta Gisotti ha intervistato la prof.ssa Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del Diritto all'Università Lumsa di Roma: 

R. – Questa sentenza riprende una precedente sentenza, sempre di quest’anno, che ha ammesso alla procreazione assistita anche coppie fertili che abbiano probabilità di trasmettere malattie genetiche. La legge vietava questo, perché riteneva che potessero accedere alla procreazione medicalmente assistita solamente coppie infertili. Questa sentenza ha abolito il reato di selezione eugenetica.

D . – Per assurdo qualcuno potrebbe obiettare che questa selezione è permessa solo alle coppie affette da patologie genetiche e non a tutte le coppie…

R. – Sì. E’ una domanda molto interessante questa, perché effettivamente in tutte queste sentenze progressive della Corte Costituzionale sulla Legge 40 ci si appella al principio di non discriminazione. E anche questa, in qualche modo, sarebbe una discriminazione: far sì che solo le coppie che hanno il rischio di trasmissione malattia genetica possano selezionare gli embrioni e non, invece, le altre coppie. Il grande rischio, di fronte al quale oggi ci troviamo, è che ci possa essere quel famoso “pendio scivoloso” di cui spesso parlano i bioeticisti e cioè che noi cominciano ora a selezionare embrioni malati, di malattie gravi, con trasmissione genetica e poi, forse, possiamo aprire anche alla possibilità che tutti possano accedere alla procreazione assistita, facendo una selezione sulla base delle caratteristiche genetiche. C’è un filosofo - Habermas - che è intervenuto su questo tema, dicendo che è facile poter scivolare da un’eugenica negativa, che seleziona cioè embrioni malati, ad una eugenetica positiva, che seleziona cioè gli embrioni sulla base delle caratteristiche genetiche desiderate. Ecco, la Legge 40 originariamente tutelava e proteggeva l’embrione umano: ora sta andando verso il cosiddetto diritto ad avere un figlio sano, ad accedere cioè alla procreazione assistita per selezionare solamente i bambini sani, perché non si accettano più i bambini malati.

D. - Possiamo dire che questa Legge 40, che risale al 2004 - sappiamo confermata da un referendum del 2005 - sta comunque mutando a colpi di sentenze?

R. – Sì, questo è vero. Nel 2009 c’è stata una sentenza, sempre della Corte Costituzionale, che aboliva il limite alla produzione del numero di embrioni: la legge originariamente diceva che si possono produrre non più di 3 embrioni. La sentenza della Corte Costituzionale aveva aperto e lasciato la possibilità – a discrezione del medico – della determinazione del numero di embrioni da produrre. Poi nel 2014 è caduto anche il divieto della fecondazione eterologa: quindi ammette ora la possibilità anche della donazione di gameti esterni alla coppia che chiede l’accesso alla procreazione assistita. Quindi molti dei divieti della Legge 40-2004 sono stati aboliti dalla Corte Costituzionale, che piano piano sta modificando la struttura della legge. Ripeto: la legge nasceva con l’idea della protezione dell’embrione umano e quindi del considerare il concepito – l’embrione umano – un soggetto di diritti. Ora, con queste progressive modifiche, certamente non si può più dire che l’embrione umano è soggetto di diritti. Ci sono ancora delle tutele, ma le tutele stanno sempre più indebolendosi a favore, invece, del diritto delle persone adulte - che chiedono accesso alla procreazione assistita - di accedere,  di poter avere la donazione di gameti esterni e di poter anche selezionare degli embrioni umani.

D. – Ma non sarebbe più corretto riportare il dibattito all’interno del Parlamento, piuttosto che proseguire nelle aule di tribunale?

R. – Io sono assolutamente d’accordo con lei su questo, perché il vero problema è che ora non è facile capire che cosa è permesso e che cosa è proibito. Le faccio un esempio: l’abolizione del divieto alla procreazione eterologa non significa che oggi sia ammessa la procreazione eterologa o perlomeno non si capisce bene com’è regolata la procreazione eterologa. Le faccio un esempio ancora più specifico: esiste in Italia la selezione del donatore, la coppia può selezionare il donatore? Non si sa! Quali sono i criteri di selezione del donatore? Non si sa! Quali sono le modalità di conservazione di dati del donatore? Esiste il diritto del bambino che nascerà dall’eterologa a conoscere le sue origini genetiche oppure il donatore rimarrà anonimo? Non si sa! Quindi significa che si è aperto alla procreazione eterologa, ma non c’è una regolazione chiara della procreazione eterologa. Il ministro della Salute aveva nominato un gruppo di lavoro su questo tema; al Comitato nazionale per la Bioetica è stato emanato un parere su questo tema, però ad oggi non c’è una regolazione chiara. Per cui ci sono dei centri che praticano già la procreazione eterologa oggi, ma non c’è una regolazione chiara dell’eterologa. Ecco allora che sarebbe veramente opportuno che questa tematica andasse ri-affrontata in modo organico in Parlamento per emanare un nuova legge – a questo punto – sulla procreazione assistita che tenga in considerazione tutti questi cambiamenti, ma in modo più equilibrato.

inizio pagina

A Napoli primo Simposio sulla Sla, nuovi approcci terapeutici

◊  

Nella "Città della Scienza" di Napoli è in corso il primo Simposio nazionale sulla Sla (Sclerosi Laterale Amiotrofica), un incontro organizzato da esperti italiani e internazionali per confrontarsi sulle nuove frontiere della ricerca nel contrasto alla malattia neurodegenerativa ancora incurabile. Quali sono le possibili soluzioni per rallentare e combattere la Sla? Veronica Di Benedetto Montaccini lo ha domandato a Mario Melazzini, testimone della malattia in tre duplici vesti: quella di paziente affetto di Sla, quella di medico specializzato e quella di presidente di AriSLA, la Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica: 

D. Lei si batte da anni per contrastare la Sla, quali sono i miglioramenti che ha potuto vedere in questi ultimi anni di ricerca?

R. – Un approccio a 360 gradi, finalizzato al miglioramento della qualità della vita del paziente e della famiglia: questo, dal punto di vista clinico-assistenziale. Però, tutto ciò che noi malati, ovvero i pazienti, desideriamo è la terapia che, grazie all’evoluzione e ai progressi che la ricerca sta facendo, apre potenzialmente a scenari che ci fanno ben sperare.

D. – Quali sono le nuove tecnologie utilizzabili? E in Italia, a quanti casi di contrasto efficace hanno portato?

R. – Dal punto di vista pratico, molto sta uscendo sulla neuro-infiammazione, molto sta uscendo sui bio-marcatori che diventano fondamentali per una diagnosi precoce e un monitoraggio della malattia stessa. Con le nuove tecnologie, sia dal punto di vista di supporto ventilato, sia per quanto riguarda la possibilità di facilitare la comunicazione, permette e ci permette una comunicazione sempre più attiva della persona con la malattia e con tutto l’ambiente circostante. Le staminali adulte potranno essere strumento di veicolo per fermare l’evoluzione della malattia, anche se non sono la panacea, perché i trials con le staminali adulte sono in corso, in fase sperimentale.

D. – E’ interessante anche l’aspetto sociale ed esistenziale che trattate al Simposio Sla: come migliorare l’assistenza a domicilio e come vivere la malattia in modo migliore?

R. – E’ fondamentale non far sentire sola la persona malata e la famiglia. Perché quella sensazione di abbandono che può a volte identificarsi ed evidenziarsi in alcune realtà, può portare la persona e la propria famiglia a decisioni rinunciatarie. Ma non deve essere così, perché nel pieno rispetto delle decisioni del singolo, la vita è talmente bella! Anche con la malattia, soprattutto se correttamente presa in carico.

inizio pagina

Sei Dvd per scoprire la bellezza dei Musei Vaticani

◊  

Sei Dvd per andare alla scoperta dei Musei Vaticani guidati da Alberto Angela. La serie è stata realizzata in sinergia con il Centro Televisivo Vaticano, Officina della Comunicazione e con la collaborazione di Rai Com e del Gruppo Editoriale L’Espresso. Oggi la presentazione in Vaticano. C’era per noi, Paolo Ondarza

L’immenso patrimonio dei Musei Vaticani, per contemplare il quale turisti da ogni parte del mondo sono disponibili a lunghissime code anche sotto la pioggia o il sole di agosto, da oggi fa il suo ingresso nelle nostre case attraverso 6 Dvd in edicola con L’Espresso e La Repubblica e grazie all’appassionante capacità divulgativa di Alberto Angela:

R.- E’ stato un po’ come esplorare un continente. Abbiamo lavorato tanto: 40 giorni! Questi Dvd vi consentono di stare a casa, in camera da letto, aprire il televisore, vedere questo Dvd e di colpo voi siete dentro i Musei, o meglio: sono i Musei che vengono da voi, e senza il caos delle persone che solitamente li affollano. Diciamo che è come una visita personalizzata dentro i Musei Vaticani.

D. - Quale la sfida di questo progetto?

R. - Diciamo che l’anno scorso c’è già stata una prima sfida vinta, quella dei Dvd-visita nello Stato della Città del Vaticano. E sulla base del successo che ha avuto questa serie di 6 dvd, ne abbiamo fatto un altro, questa volta sui Musei Vaticani, che raccontano la storia del senso del bello”.

Una sfida raccontare i Musei vaticani, anche secondo il direttore Antonio Paolucci:

R. – Abbiamo affidato al Centro Televisivo Vaticano la conduzione dell’operazione, e a un volto e a una voce assai noti, come quelli di Alberto Angela, il compito di offrire al pubblico questo nostro prodotto. Credo che il risultato sia molto buono.

D. – Può trattarsi di uno strumento propedeutico alla visita ai Musei Vaticani?

R. – Io lo spero e me lo auguro. La sua utilità dovrebbe essere proprio questa: abituare e preparare quelli che vogliono entrare nei Musei Vaticani. Sarebbe un aiuto anche per la corretta conservazione del patrimonio, perché la gente che è consapevole di quello che va a vedere è anche più rispettosa.

I Dvd saranno in edicola ogni settimana a partire da sabato 14 novembre al prezzo di 9,90 euro per ogni singola uscita.

inizio pagina

Siria: quando il cinema racconta la guerra

◊  

Si conclude domani il 21.mo Medfilm Festival, uno sguardo sui Paesi che si affacciano nel Mediterraneo colti attraverso il loro cinema. Sono storie di immigrazione, emarginazione, dolore e coraggio, quello di tanti giovani cineasti impegnati nella denuncia e nella ricerca di pace. Nel pomeriggio di oggi è stato organizzato al Museo Macro di Roma un importante Focus sul tema: "Siria - Il cinema tra le macerie del presente”. Il servizio di Luca Pellegrini

Il Mediterraneo, culla della civiltà, il mare dei grandi imperi, dei commerci, dell’arte e della cultura, oggi è tormentato da tempeste irrefrenabili, nelle sue acque sono sepolti innocenti, scorre il sangue di molti Paesi investiti dal terrorismo, dalla guerra, dall’intolleranza. Il Medfilm Festival, come e più degli altri anni, racconta con i settantotto film nel suo ricco programma il dramma degli emarginati e degli esclusi, il mondo dei clandestini e le difficoltà dell’integrazione, i conflitti e il grido degli innocenti. Traccia una mappa assai inquieta, ma proprio per questo ricca di vicende storiche e personali che ci dicono tanto sui destini attuali di Paesi e regioni oggi sotto la lente d’ingrandimento della storia. Uno di questi è certamente la Siria, alla quale il Festival dedica un Focus. Ginella Vocca, direttore artistico del Festival, ne spiega le ragioni:

R. – La scelta del focus sulla Siria è stata dettata soprattutto dall’urgenza e dalla necessità di riflettere su uno dei conflitti più controversi, dolorosi e significativi del nostro tempo. Parlare della Siria vuol dire affrontare tante questioni, tutte di primaria importanza. L’esodo dei migranti con cui l’Europa e il Medio Oriente si stanno misurando in questi mesi con molte difficoltà; poi la nascita del sedicente Stato Islamico, che ha trovato in Siria non solo la sua capitale – a Raqqa – ma anche un bacino consistente di combattenti, che all’inizio erano insieme per rovesciare il regime di Bashar al-Assad. E per quel che riguarda noi, il ruolo che ha svolto e che continua a svolgere il cinema, è il fatto che comunque è capace di contrapporre alla crudeltà della guerra, la bellezza e la grazia dell’arte. Un altro aspetto che riguarda molto più da vicino il nostro mondo – e il nostro modo di guardarlo – è l’utilizzo dei nuovi supporti di ripresa, che ha fatto sì che ci fosse una cronaca in tempo reale della guerra, raccontata direttamente dalla gente: quindi senza mediazioni dei registi o di giornalisti. La maggior parte – anzi tutti – i film che presentiamo in questa rassegna sono stati realizzati in maniera indipendente e spesso in condizioni di assoluta pericolosità. Gran parte degli autori infatti oggi è esule in Francia, in Germania, molti in Libano.

D. – Quale sguardo hanno i registi siriani che avete invitato al Festival nei confronti del loro Paese, attraverso il loro cinema?

R. – È uno sguardo caldo, e al tempo stesso gelido – gelato – come in una sorpresa che non finisce mai: una incredulità rispetto alla forza della realtà. Ma la caratteristica di questi Paesi e di queste cinematografie è comunque la resistenza e una volontà straordinaria di rappresentarsi. C’è un rapporto con lo strumento cinema, con lo strumento del racconto per immagini, molto forte – proprio urgente – e parlo proprio artisticamente, al di là delle indicibili sofferenze. Perché, per quanto se ne parli, non si può veramente capire! Arrivano delle immagini in “Silvered Water-Syria Self-Portrait”, in cui c’è un bambino che ha in mano un giocattolo e un fiore trovati in mezzo alle macerie. Nel momento in cui riesci davvero a concentrarti su quella cosa, eh no… non ci sono parole per raccontare, non ci sono parole!

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: offensiva dei curdi per riconquistare Sinjar

◊  

Questa mattina le milizie curde irakene hanno lanciato una imponente offensiva contro i combattenti del sedicente Stato islamico (Is) nella città di Sinjar, situata su una delle principali vie di comunicazione usate dai jihadisti per i rifornimenti. Ezzeddine Saadun, generale di brigata, conferma che “l’attacco è iniziato alle 7 del mattino, e le forze peshmerga (curde) sono avanzate in più direzioni per liberare il centro del distretto di Sinjar”. Testimoni locali parlano di colonne di fumo che si alzano dalla città, provocate dai raid aerei dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e dai colpi di mortaio dei curdi. 

La vittoria dei curdi limiterebbe i movimenti dell'Is tra Iraq e Siria
La città di Sinjar, nella provincia di Ninive, si trova lungo una delle principali vie usate dai jihadisti per il rifornimento di armi, scorte e materiali da guerra; la strada collega Mosul, roccaforte dell'Is in Iraq, con la Siria dove i miliziani controllano ampie porzioni di territorio. Spezzare questo legame rappresenterebbe un duro colpo per Daesh (acronimo arabo dell'Is), che vedrebbe molto limitata la possibilità di muovere guerriglieri e mezzi da un Paese all’altro. 

All'offensiva dei curdi partecipano anche gli yazidi
Secondo quanto riferiscono i vertici del Consiglio di sicurezza della regione curda, all’offensiva sferrata oggi contro i jihadisti partecipano almeno 7.500 peshemrga, con l’obiettivo dichiarato di riconquistare Sinjar “e creare un cuscinetto che garantisca protezione e sicurezza agli abitanti”. Lo Stato Islamico ha assunto il controllo della zona nell’agosto 2014. Di recente i vertici del “Califfato” avrebbero inviato almeno 600 unità a rinforzare la difesa della città, in vista di un possibile attacco dei curdi sostenuti dalla coalizione a guida Usa. Questo intervento militare era atteso da settimane, ma più volte rimandato dal maltempo e da contrasti fra i vari gruppi curdi e yazidi presenti nella zona. L’offensiva è seguita con attenzione dal Presidente del Kurdistan irakeno Massoud Barzani e partecipano anche combattenti yazidi, desiderosi di vendicare le violenze subite e cacciare i jihadisti. 

Migliaia di yazidi si sono rifugiati nel Kurdistan iracheno
Fin dai primi giorni i terroristi islamici hanno iniziato a uccidere e abusare dei membri della minoranza religiosa presente nella zona. Gli yazidi sono un gruppo monoteista che racchiude diversi elementi presenti in altre fedi; per questo sono considerati eretici dallo Stato Islamico e i suoi seguaci degli infedeli. In migliaia hanno abbandonato le loro case e i territori, cercando rifugio nel Kurdistan iracheno.

Le violenze contro gli yazidi definite dall'Onu genocidio
Le violenze compiute dai jihadisti contro gli yazidi sono state definite dalle Nazioni Unite alla stregua di un genocidio. Fra gli episodi più drammatici di questa guerra, il lungo assedio dei fondamentalisti islamici contro migliaia di uomini, donne, anziani e bambini intrappolati sull’omonimo monte che domina la città; liberare gli yazidi dall’assedio è una delle ragioni che ha spinto Washington lo scorso anno a lanciare attacchi aerei contro l'Is in Iraq. (R.P.)

inizio pagina

Medio Oriente: apertura Porta Santa nella parrocchia di Gaza

◊  

Una Porta Santa aperta nella prigione a cielo aperto più grande del mondo. Ma a varcarla saranno in poco meno di 200, tanti sono i fedeli della piccola comunità cattolica della Striscia di Gaza, tutti raccolti nella parrocchia della Sacra Famiglia, nella zona di al-Zeitun, il quartiere orientale. “Un piccolo gregge” guidato dal  parroco, padre Mario da Silva, religioso brasiliano dell’Istituto del Verbo Incarnato, che ha preso il posto del confratello argentino padre Jorge Hernandez. Con il resto della popolazione palestinese della Striscia, oltre 1,5 milioni di abitanti tutti di fede musulmana, le poche famiglie della parrocchia condividono le drammatiche condizioni di vita.

A Gaza si vive prigionieri nella propria terra
Le guerre, ben tre in nove anni (2006, 2008-2009 e 2012), scoppiate tra Hamas, che governa la Striscia, e Israele, dopo il ritiro di quest’ultimo nel 2005, hanno lasciato tante vittime, macerie e un popolo in ginocchio, privato di acqua, luce, carburante, materiali per la ricostruzione e generi di prima necessità. Asfissiati dal blocco israeliano in atto dal 2007, che limita fortemente ogni accesso sia di merci che di uomini, i gazawi vivono prigionieri nella loro stessa terra.

L'aiuto della comunità cristiana
“Qui c’è tanto da fare – spiega padre Mario – nelle zone più colpite di Beit Lahiyah, Beit Hanoun, Shujaya, Khan Younis e Rafah la ricostruzione, dopo i bombardamenti dell’ultimo conflitto, procede con lentezza. La disoccupazione è drammatica. Quella giovanile si attesta al 40%. Non ci sono soldi per vivere. E i giovani non possono emigrare perché non viene loro permesso. Possiamo contare solo sugli aiuti umanitari esterni, quando viene concesso di entrare nella Striscia”. Sostegno alla società gazawa giunge anche dalla comunità cristiana locale grazie “alle cinque scuole che gestisce, a un ospedale, a una casa di accoglienza e ad altri segni visibili come la clinica mobile di Caritas Gerusalemme”. Si tratta di gesti concreti, aggiunge padre Mario, “resi possibili solo grazie a tante Chiese del mondo". 

L’odio cresce tra le macerie 
"Vivere in questa grande prigione a cielo aperto non fa che alimentare nella popolazione risentimento, rancore e senso di impotenza”. E racconta di tre ragazze palestinesi di fede cristiana che vogliono sposarsi in una località venti km fuori dalla Striscia. “Sto cercando di ottenere per loro un visto per uscire. Il rifiuto israeliano di concederlo acuisce sentimenti di rancore e di odio dovuti alla mancanza di libertà”. E “l’odio che si percepisce a Gaza è davvero grande” riconosce senza troppi giri di parole il parroco. 

La Chiesa cerca di spargere semi di perdono e di riconciliazione
“Nel nostro piccolo cerchiamo di spargere semi di perdono e di riconciliazione, innanzitutto fra di noi. Tra i cristiani possiamo predicare il Vangelo ma non tra i musulmani con i quali cerchiamo di tessere relazioni di rispetto e conoscenza anche attraverso la solidarietà. Muoversi in questo clima di odio è difficile, e sono convinto che più di tante parole valga l’esempio. Vivere in armonia ci fa stare meglio soprattutto se intorno a noi trionfano abusi e ingiustizie”.

Giubileo, tempo di grazia
L’apertura del Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco, dice padre Mario è, per i cristiani di Gaza, “come un bicchiere di acqua fresca per l’assetato, un tempo di verifica e di impegno per proseguire con coraggio sulla strada tracciata dal Vangelo”. “E pensare – rivela sorridendo – che all’inizio erano due le Porte Sante previste nella diocesi: una a Nazareth e l’altra nella basilica del Getsemani, presso l’Orto degli Ulivi, a Gerusalemme. Abbiamo detto al patriarca Fouad Twal che sarebbe stato impossibile, per noi, uscire dalla Striscia per venire a celebrare il Giubileo. Così ha voluto che nella nostra parrocchia fosse aggiunta una terza Porta Santa. Sarà lo stesso patriarca ad aprirla il 20 dicembre in occasione della tradizionale celebrazione natalizia”.

Davanti al piccolo gregge di Gaza c’è un Anno Santo tutto da vivere
“Ma come si può parlare di perdono a un popolo arrabbiato? Seguendo l’esempio di Gesù – è la risposta secca di padre Mario – anche lui viveva in un tempo di dominazione e di ingiustizia. Gettiamo semi di misericordia, sperando che un giorno possano germogliare. Innaffiamo questi semi con la preghiera e l’esempio personale e comunitario”.

I timori per un rinascente integralismo islamico
​. A Gaza ci sono anche i lupi e il “piccolo gregge” di padre Mario lo sa bene. “Inutile nasconderlo, abbiamo paura, anche se le autorità locali non ci abbandonano” afferma il parroco. Chiaro il riferimento ad un rinascente integralismo islamico, a episodi di danneggiamento della chiesa, di sassaiole opera di giovani e a notizie su possibili infiltrazioni dello Stato Islamico nella Striscia. “La persecuzione esiste – conclude – ma noi siamo chiamati a rimanere fedeli e a predicare misericordia e perdono. Quello che ci aspetta è un tempo di grazia per tutti”. (Da Gaza Daniele Rocchi dell'agenzia Sir)

inizio pagina

Nigeria: appello della Chiesa per sfollati colpiti da Boko Haram

◊  

“La sicurezza è migliorata grazie all’impegno dei militari qui presenti e gli attacchi di Boko Haram sono diminuiti” dice all’agenzia Fides mons. Oliver Dash Doeme, vescovo di Maiduguri, la diocesi nel nord-est della Nigeria più colpita dalle violenza della setta jihadista Boko Haram. Circa 60.000 fedeli della diocesi (dei 125.000 totali) sono stati costretti ad abbandonare le proprie case; 50 chiese sono state distrutte nella diocesi; 150.000 persone uccise negli ultimi sei anni.

C'è necessità di sostegno materiale e finanziario 
“Il problema principale sono i numerosi sfollati e rifugiati interni (circa 60.000) ancora presenti nella nostra diocesi, sia qui a Maiduguri sia in alcuni villaggi – sottolinea il vescovo -. Abbiamo bisogno di sostegno materiale e finanziario per aiutare queste persone. Abbiamo due categorie di persone da aiutare coloro che sono ancora sfollati e quelli che sono tornati nei villaggi di origine ma che non hanno niente perché tutto è stato distrutto dalla furia devastatrice di Boko Haram; non hanno cibo né lavoro”.

Mancano beni di prima necessità, come acqua potabile, cibo e medicinali
​“C’è bisogno di aiuto concreto da parte della comunità internazionale, perché la gioventù nigeriana non cresca nell'ignoranza e nell'analfabetismo. Mancano beni di prima necessità, come acqua potabile, cibo e medicinali” evidenzia mons. Doeme, che ha promosso una raccolta di firme da indirizzare ai rappresentanti dell'Unione Africana, dell'Unione Europea e dell'Onu perché intervengano in aiuto alle popolazioni colpite. (L.M.)

inizio pagina

Usa: al via a Chicago meeting dei vescovi sull'immigrazione

◊  

Al via oggi a Chicago la conferenza sull’immigrazione coordinata dalla Conferenza episcopale americana. Oltre 300 i partecipanti provenienti da 64 diocesi e arcidiocesi. La conferenza, dal titolo “Guardando avanti, l’immigrazione nel 2016 e oltre”, si focalizza sulle opportunità e le problematicità delle migrazioni, un tema rilevante per la Chiesa e per gli Stati Uniti. La conferenza è animata da un ventaglio di seminari su argomenti che vanno dalle strategie per incoraggiare il Congresso Usa a stilare nel 2016 “un’equa e solida legge sull’immigrazione” fino ai passi politici “necessari per arginare la migrazione di bambini e famiglie” del Centro America verso il Nord, famiglie “spesso minacciate da violenze e sopraffazioni” di gang e gruppi criminali. 

Il discorso di apertura è affidato all’arcivescovo di Chicago
Nel meeting vengono anche discusse politiche di integrazione e la riforma del sistema di detenzione degli immigrati negli Stati Uniti. Ad aggiungere valore al dibattito ci sono esperti provenienti da tutta una serie di organizzazioni, tra cui l’arcidiocesi di Chicago, il Catholic Legal Immigration Network, Inc. (Clinic), le Catholic Charities e i Catholic Relief Services. Il discorso di apertura è affidato all’arcivescovo di Chicago, mons. Blase J. Cupich. La relazione principale è affidata a Donna M. Carroll, presidente della Dominican University di River Forest in Illinois. (R.P.)

inizio pagina

Filippine: card. Tagle incontra i manifestanti lumad di Mindanao

◊  

Un pressante appello a ritirare l’esercito dai territori di Mindanao abitati dai lumad, le popolazioni tribali, è stato rivolto al governo di Manila dal card. Luis Antonio Tagle. Dal 26 ottobre 700 indigeni sono accampati nel centro della capitale filippina per protestare contro le violenze  e gli omicidi extragiudiziali di cui sono vittime e contro la militarizzazione dei loro territori, teatro di sanguinosi scontri tra le forze governative e le formazioni della guerriglia. Dal 2010 decine di lumad sono stati uccisi, mentre l’occupazione dei territori indigeni da parte delle forze armate ha costretto almeno 3mila persone ad abbandonare le proprie terre. Le uccisioni si sono intensificate nel 2015.

Disarmare i gruppi paramilitari
Il card. Tagle ha incontrato oggi i manifestanti per esprimere la sua solidarietà e si è rivolto al governo perché si impegni a disarmare i gruppi paramilitari e ad assicurare alla giustizia i responsabili degli omicidi. “Quanto accaduto ai nostri fratelli e sorelle a Mindanao è triste e inquietante”, ha dichiarato, chiedendo aiuti per gli sfollati. Come gesto simbolico di solidarietà ha poi donato 10mila pesos ai manifestanti.

I lumad vittime dell’accaparramento delle loro terre
La Chiesa filippina ha già condannato in più di un’occasione le gravi violazioni dei diritti umani dei lumad a Mindanao, criticando la risposta del governo. Lo scorso settembre il vescovo ausiliare di Manila, mons. Broderick Pabillo, a capo del Comitato permanente per gli affari pubblici della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), aveva ribadito la solidarietà dei vescovi. Secondo il gruppo dei “Missionari rurali delle Filippine” (Rmp), i lumad sono sotto attacco perché difendono le loro terre ancestrali. I popoli tribali continuano , infatti, ad essere vittime dell’accaparramento delle loro terre perpetrato dalle industrie minerarie e delle multinazionali dell’industria agroalimentare, appoggiati dalle autorità e dai gruppi paramilitari al servizio dell’esercito. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 316

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.