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Sommario del 13/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la ricca Europa accolga gli affamati come fratelli

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I popoli europei accolgano gli affamati, i forestieri come fossero fratelli. Papa Francesco prende spunto da un’udienza alla Fondazione Romano Guardini per levare un nuovo appello all’accoglienza dei migranti. Parlando del grande teologo tedesco, il Pontefice sottolinea dunque che nel popolo riconosciamo, come in uno specchio, le forze dell’azione divina. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Non c’è, e non ci può essere, su tutta la terra un peccato che Dio non perdoni a chi non si pente sinceramente”. Nell’udienza alla Fondazione dedicata a Romano Guardini, Francesco riprende un passo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, su cui si sofferma il teologo e filosofo in un suo libro. E’ il passaggio in cui una contadina macilenta va dallo starec, un sacerdote russo per confessarsi, dopo aver ucciso il marito che la maltrattava.

Nella confessione riceviamo nuova speranza
La donna è chiusa in sé stessa, ma – annota Francesco – il sacerdote “mostra una via d’uscita”:

“Nella confessione la donna viene trasformata e riceve di nuovo speranza. Proprio le persone più semplici comprendono di che cosa si tratta qui. Vengono prese dalla grandezza che risplende nella sapienza e nella forza di amore dello starec. Comprendono che cosa significhi santità, cioè un’esistenza vissuta nella fede, capace di vedere che Dio è vicino agli uomini, tiene la loro vita tra le sue mani”.

Il popolo è compendio di ciò che è genuino nell’uomo
Francesco si è così soffermato sulla categoria di popolo così presente nel pensiero di Guardini che lo vede come uno specchio in cui riconoscere “il campo di forze dell’azione divina”:

“Guardini intende il concetto di ‘popolo’ distinguendolo nettamente da un razionalismo illuministico che considera reale soltanto ciò che può essere colto dalla ragione (cfr Il mondo religioso in Dostoevskij, p. 321) e che tende a isolare l’uomo strappandolo dalle relazioni vitali naturali. Il popolo, invece, significa «il compendio di ciò che nell’uomo è genuino, profondo, sostanziale”.

La ricca Europa accolga affamati e forestieri
Di qui, il Papa ha colto l’occasione per un nuovo vibrante appello all’Europa affinché accolga i migranti con generosità:

“Così potremmo forse riconoscere che Dio, nella Sua sapienza, ha inviato a noi, nell’Europa ricca, l’affamato perché gli diamo da mangiare, l’assetato perché gli diamo da bere, il forestiero perché lo accogliamo, e l’ignudo perché lo vestiamo. La storia poi lo dimostrerà: se siamo un popolo, certamente lo accoglieremo come un nostro fratello; se siamo solamente un gruppo di individui più o meno organizzati, saremo tentati di salvare innanzitutto la nostra pelle, ma non avremo continuità”.

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Francesco: Dio è la “grande bellezza”, tutto il resto tramonta

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Ci sono due pericoli che insidiano i credenti: la tentazione di divinizzare le cose della terra e persino di idolatrare le “abitudini”, come se tutto dovesse durare per sempre. Invece, l’unica bellezza eterna a cui guardare è quella di Dio. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“La grande bellezza è Dio”. Lo recita anche il Salmo: “I cieli narrano la bellezza di Dio”. Il problema dell’uomo è che spesso si prosterna davanti a ciò che, di quello splendore, è solo un riflesso – che un giorno comunque si spegnerà – o peggio diventa devoto di piaceri ancor più passeggeri.

Attaccati alle bellezze di qua
Il Papa sviluppa l’omelia mettendo in risalto le due idolatrie nelle quali anche chi ha fede può cadere. La prima Lettura e il Salmo, osserva, parlano “della bellezza della creazione”, ma sottolineano pure “l’errore” di “quella gente che – nota – in queste cose belle non è stata capace di guardare al di là e cioè alla trascendenza”. Un atteggiamento nel quale Francesco ravvisa quella che chiama “l’idolatria dell’immanenza”. Ci si ferma a una bellezza “senza un oltre”:

“Si sono attaccati a questa idolatria; sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia. Non hanno pensato quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati Colui che è principio e autore della bellezza. E’ una idolatria guardare le bellezze – tante – senza pensare che ci sarà un tramonto. Anche il tramonto ha la sua bellezza… E questa idolatria di essere attaccati alle bellezze di qua, senza la trascendenza, noi tutti abbiamo il pericolo di averla. E’ l’idolatria dell’immanenza. Crediamo che le cose come sono, sono quasi dei, non finiranno mai. Dimentichiamo il tramonto”.

Divinizzare le abitudini
L’altra idolatria, sottolinea, “è quella delle abitudini” che rendono sordo il cuore. Francesco la illustra richiamando le parole di Gesù nel Vangelo del giorno, la sua descrizione degli uomini e delle donne ai tempi di Noè o a quelli di Sodoma quando, ricorda, “mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito” senza curarsi di altro, fino al momento del diluvio o della pioggia di fuoco e zolfo, della distruzione assoluta:

“Tutto è abituale. La vita è così: viviamo così, senza pensare al tramonto di questo modo di vivere. Anche questa è una idolatria: essere attaccato alle abitudini, senza pensare che questo finirà. E la Chiesa ci fa guardare al fine di queste cose. Anche le abitudini possono essere pensate come dei. L’idolatria? La vita è così, andiamo così avanti… E così come la bellezza finirà in un’altra bellezza, l’abitudine nostra finirà in un’eternità, in un’altra abitudine. Ma c’è Dio!”.

Guardare alla bellezza che non tramonta
Invece, esorta Francesco, bisogna puntare lo sguardo “sempre oltre”, all’“abitudine finale”, all’unico Dio che sta oltre “la fine delle cose create”, come la Chiesa insegna in questi giorni che concludono l’Anno liturgico, per non ripetere l’errore fatale di guardarsi alle spalle, come accadde alla moglie di Lot, e avendo la certezza che se “la vita è bella, anche il tramonto sarà tanto bello”:

“Noi – i credenti – non siamo gente che torna indietro, che cede, ma gente che va sempre avanti”. Andare sempre avanti in questa vita, guardando le bellezze e con le abitudini che abbiamo tutti noi, ma senza divinizzarle. Finiranno… Siano queste piccole bellezze, che riflettono la grande bellezza, le nostre abitudini per sopravvivere nel canto eterno, nella contemplazione della gloria di Dio”.

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Le lettere dei bambini a Papa Francesco diventano un libro

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“Caro Papa Francesco ti scrivo…”. Ogni giorno, nell’ufficio di corrispondenza del Pontefice, arrivano centinaia di lettere, disegni, messaggi di bambini di tutto il mondo. Ora un’antologia di questa originale e straordinaria corrispondenza viene pubblicata nel libro “Letterine a Papa Francesco” - in uscita il 19 novembre - a cura di Alessandra Buzzetti, vaticanista del Tg5, per la casa editrice Gallucci. Francesco ha dato il suo consenso alla realizzazione di questo libro, il cui ricavato andrà a sostegno dei bambini curati dal Dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano. Il servizio di Alessandro Gisotti

“I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso si bloccano, non siamo più capaci…” Il libro “Letterine a Papa Francesco” inizia con questa citazione del Pontefice. Parole che trovano conferma proprio sfogliando questo piccolo ma prezioso volume. Le storie raccontate dai bambini, le loro speranze e le loro paure, suscitano proprio quel sorriso e quel pianto di cui, come afferma il Papa, spesso gli adulti non sono più capaci. “A volte – scrive il piccolo Matteo da Scampia – la mia mamma la sera non cena dice che sta a dieta ma non è vero, lei mangia quello che resta dei nostri avanzi. La mia mamma – soggiunge – piange sempre e quando gli chiedo perché lei dice che gli bruciano gli occhi”. Su come è nata l’idea di scrivere questo libro, ai nostri microfoni la curatrice del volume, Alessandra Buzzetti:

“L’idea è nata da una richiesta che mi è arrivata dall’editore Gallucci, un editore per bambini. Ci chiedevamo appunto come affrontare il Pontificato di Papa Francesco, pensando di raccontarlo ai bambini. E quindi ci è venuto in mente di chiedere la possibilità di vagliare e di leggere le letterine che i bambini scrivono a Papa Francesco. E ci siamo anche accorti della quantità impressionante di corrispondenza che arriva nell’Ufficio Postale del Papa. Personalmente, leggere tutte queste lettere è stata davvero un’esperienza per me proprio bella e commovente, perché è impressionante come i bambini colgano proprio il cuore del messaggio di Francesco. E infatti la scelta è anche stata tematica: vedere gli aspetti più importanti anche del magistero del Papa visti dai loro occhi”.

Nelle lettere anche il dramma dei cristiani perseguitati
Le lettere non arrivano solo dall’Italia e al Papa non scrivono solo bambini cristiani. Colpisce il messaggio del piccolo Aziz, pakistano: “La principale ragione della mia lettera – scrive – è che ho sentito della coppia cristiana arsa viva”, “mi dispiace molto per loro e ti chiedo scusa”, “l’Islam non è questo”, “per favore perdona me e il Pakistan”. Anche il dramma dei cristiani iracheni cacciati dai terroristi dell’Is è presente nel libro. Dal campo profughi di Erbil, scrive Aiden. Esprime il suo affetto al Santo Padre, gli chiede una preghiera e incoraggiamento. Poi, con la semplicità disarmante di un bambino confida a Francesco: “Mi dispiace che ho lasciato la mia bicicletta a Qaraqosh”. C’è chi scrive al Papa per chiedergli di pregare per familiari o amici malati, per un padre che ha perso il lavoro, e chi confida la gioia della Prima Comunione. Ancora chi gli si rivolge come a un nonno molto speciale e chi gli chiede di pregare per la pace.

"Tu e Totti siete i miei miti"
Ovviamente, non mancano poi letterine che sicuramente avranno fatto sorridere Francesco. Da Buenos Aires, scrive Alver 9 anni. “Ti voglio bene Santo Padre”, poi scherza: “Tu sei del San Lorenzo, ma io sono tifoso della squadra più grande che c’è, il Boca”. E Raffaele da Roma, dopo avergli rivolto gli auguri per San Francesco, conclude: “Ricordati che tu e Totti siete i miei miti”. Molti i bambini che sono colpiti dai gesti e dalle parole del Papa. Leonardo, 11 anni, dall’Emilia Romagna gli scrive: “Sei un Papa meraviglioso e sei bravissimo a fare le Messe”. “Ogni volta che dici qualcosa -  confida Mario, da Formia – sono parole sante”. Zena racconta invece al Papa la gioia di poterlo presto vedere in un’udienza generale: “Sono emozionata – scrive – perché non sono mai stata davanti ad un’Eccellenza come te”. E aggiunge: “Spero che dopo averti visto riuscirò a migliorare il mio comportamento ascoltando le tue parole”.

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Papa nomina mons. Gugerotti nunzio apostolico in Ucraina

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’ambasciatore del Principato di Monaco, Claude-Joël Giordan, per la presentazione delle Lettere credenziali, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, l’arcivescovo Ivan Jurkovič, nunzio apostolico in Russia e in Uzbekistan, e il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani, Luis Leonardo Almagro.

Il Pontefice ha nominato nunzio apostolico in Ucraina l’arcivescovo Claudio Gugerotti, finora nunzio apostolico in Bielorussia.

Francesco ha nominato nunzio apostolico nelle Isole Comore, con funzioni di delegato apostolico in La Riunione, l’arcivescovo Paolo Rocco Gualtieri, nunzio apostolico in Madagascar, in Maurizio e nelle Seychelles.

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Mons. Paglia incontra le famiglie cristiane a Damasco

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Mons. Vincenzo Paglia si prepara ad incontrare le famiglie cristiane di Damasco. Il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia è partito alla volta della Siria per una missione di due giorni. Domenica, nella cattedrale melchita, mons. Paglia consegnerà il Vangelo di Luca, in versione araba, che Papa Francesco ha regalato alle famiglie del mondo a Filadelfia. Con esso consegnerà anche i primi frutti della raccolta di fondi avviata nella città statunitense per aiutare le famiglie siriane a pagare le spese di riscaldamento per il prossimo inverno. Ascoltiamo il presule al microfono di Stefano Leszczynski

R. – Già a Filadelfia c’è stata una famiglia siriana che ha ricevuto, dalle mani del Papa, un Vangelo in arabo, perché poi circa 5 mila copie fossero consegnate a 5 mila famiglie di Damasco, come segno di amicizia, di legame, di impegno, perché le famiglie possano aiutare il mondo ad essere diverso e più solidale. Porteremo, tra l’altro, per volontà del Papa, un piccolo aiuto per sostenere queste famiglie, in questi mesi di inverno, nell’acquisto di un po’ di petrolio per il riscaldamento. L’inverno è terribile e si aggiunge al dramma della guerra…

D. – Il dramma della guerra che continua mentre si stanno avvicinando delle date importanti per i cristiani: quella dell’8 dicembre, con l’inizio del Giubileo della Misericordia in tutto il mondo, e ovviamente poi quelle legate alle festività natalizie…

R. – Quello che fa pensare con profondità e con grande trepidazione è che proprio da Damasco che è partita l’evangelizzazione per l’Occidente: lì l’Apostolo Paolo ha trovato la fede e di lì è partito. In qualche modo, noi dobbiamo sentire un debito di gratitudine. E allora ci auguriamo, quindi che l’Anno della Misericordia significhi per questo popolo attraversare la porta della pace, la porta della solidarietà o comunque la porta dell’amicizia stretta tra tutti. Io sono convinto che sia indispensabile immediatamente cercare di umanizzare questo conflitto e persino l’esodo, trovando modi affinché nella fuga non ci sia la morte, non ci sia quella terrificante solitudine… Penso all’idea dei corridoi umanitari proposti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità valdese italiana, che permetterebbero di accompagnare coloro che lasciano le proprie terre, in modo più sicuro e comunque meno amaro. Ma certo quest’Anno della Misericordia non può non esser segnato dalla preoccupazione per questo popolo. La Siria è, in un certo senso, il microcosmo del mondo e, riprendendo l’immagine del Papa sulla “guerra mondiale a capitoli”, direi  che la Siria è forse il primo capitolo di questa terribile guerra. Ed è partendo da qui, io credo che si possa ridare speranza ad un mondo più pacifico.

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Congresso educazione cattolica: identità è proposta non scontro

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Ripensare l’identità cristiana in termini propositivi, di testimonianza credibile, abbandonando l’atteggiamento difensivo. E’ quanto emerso in Sala Stampa vaticana dalla conferenza di presentazione del prossimo Congresso mondiale “Educare oggi e domani. Una passione che si rinnova”,  organizzato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica a Roma dal 18 al 21 novembre in occasione dei 50 anni dalla dichiarazione “Gravissimum Educationis” e a 25 anni dalla Costituzione Apostolica sulle Università Cattoliche “Ex Corde Ecclesiae”. Paolo Ondarza

Tante le sfide per l'educazione cattolica
 
La costante passione educativa propria della Chiesa torna in primo piano nel Congresso mondiale “Educare oggi e domani”, una conferma dell’importanza data all’educazione nella vita dell’uomo e nella società. Molteplici le sfide delineate dalle risposte contenute nei 149 questionari dell’Instrumentum laboris raccolti in 62 Paesi del mondo: l’educazione integrale, la formazione, la fede, la secolarizzazione, il pluralismo e il dialogo, la testimonianza anche in situazioni limite di scarsa libertà religiosa, il coraggio di dire cose scomode e controcorrente, l‘inclusione delle periferie e dei poveri, l’educazione intesa come servizio e l’identità vissuta in senso creativo. Il prof. Italo Fiorin, direttore della Scuola di Alta Formazione “Educare all’incontro e alla solidarietà” della Università Lumsa di  Roma:

 “C’è un buon orientamento verso un’interpretazione dell’identità non in termini difensivi, ma in termini propositivi, di ripensamento”.

In dialogo, senza tradire la propria identità
Ma come la scuola cattolica senza tradire la propria identità può confrontarsi ad esempio con la sfida del gender nei percorsi formativi? Sì alla razionalità positiva, alla testimonianza della carità che abbatte i muri e rende credibili, no all’affermazione di un’identità in senso difensivo che invece porta allo scontro è stata la risposta del card. Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica:

R. – Se non siamo propositivi, non siamo capaci di una criticità razionale, ecco che assumiamo quella posizione cui faceva cenno il prof. Fiorin, cioè quella difensiva: una verità, come il Papa dice, calata dall’alto, distante, che diventa ideologia, almeno è percepita come tale. Quindi, noi vediamo che in molte università e in molte scuole la diversità viene fatta al livello di testimonianza della carità. Se si usa infatti una razionalità astratta, si va ad uno scontro ideologico che non tiene conto dell’essenza dell’annuncio evangelico, che è per le persone, non per le idee. Allora, in questo senso, in molte università, dove ci sono realtà molto diverse, teoricamente molto contrastanti e conflittuali, la presenza di un rettore, di un corpo docente, di studenti cattolici che siano capaci di testimoniare la carità nel dialogo, nel rispetto dell’altro, nel rendere intelligente la fede, non provocante, scioglie le freddezze, abbatte i muri. Quando invece si parte dall’idea di difendere le idee - ci si confronta non sul terreno della testimonianza, ma delle idee - lì si rafforza la conflittualità e non si riesce, da parte nostra, ad essere credibili e, da parte degli altri, a vedere quello che è la finalità dell’annuncio del Vangelo, cioè la salvezza e non lo scontro. E, in questo senso, mi pare che questo Papa stia dando non solo delle idee, ma degli esempi di quello che voglio dire, e si sciolgono le difficoltà. Altrimenti l’identità in senso difensivo porta allo scontro. Se invece l’identità è testimonianza di carità, allora molti possono avere idee diverse. Ma sulla carità non si scherza". 

Dal Concilio in poi quasi duplicate le scuole cattoliche
Dal post-Concilio ad oggi c’è stato un aumento del 95% delle scuole cattoliche. Stesso trend per gli istituti di studi superiori: oggi sono 1860, tra questi 500 le facoltà ecclesiastiche, 1350 le università cattoliche. 10 milioni gli studenti. Qualcuno ha chiesto: chi paga tutto questo? La risposta di mons. Angelo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione dell’Educazione Cattolica:

“È difficile rispondere: abbiamo Paesi avanzatissimi, dove alla scuola non statale non si dà nulla. E quindi è una scuola che deve andare avanti con i propri mezzi. Non ultima l’Italia: in dieci anni hanno chiuso circa 800 istituti cattolici. Altri Paesi, invece, dove lo Stato dà il 100% del sostegno”.

Il 21 novembre l'incontro con il Papa
Il prossimo Congresso che culminerà il 21 novembre in Aula Paolo VI con l’incontro con il Papa - è stato detto - non sarà un punto di arrivo, ma di partenza. Tra le prospettive che seguiranno i lavori, oltre alla creazione di un Direttorio generale per l’educazione cattolica c’è l’istituzione, voluta dal chirografo papale dello scorso 28 ottobre, di una fondazione “Gravissimum educationis” per sostenere ricerche scientifiche e individuare le risposte da dare ad emergenze particolari come ad esempio l’educazione nei campi profughi o altre situazioni di povertà.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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L'Europa ricca accolga i fratelli affamati: il Papa attualizza il pensiero di Romano Guardini.
Piccola e grande bellezza: Messa a Santa Marta.

Il manuale da consultare è la coscienza: la prefazione scritta nel 1948 da Giovanni Battista Montini al libro di Sergio Paronetto "Ascetica dell'uomo d'azione" e una parte dell'introduzione di Michele Dau, curatore del nuovo volume.

Chagall non c'entra: Marcello Filotei su quella visita annullata a una mostra di Firenze.

L'altra Matilde: in un articolo di Giovanni Cerro la granduchessa di Canossa tra storia e leggenda.

La promessa del piccolo Fernand: Silvia Guidi su un libro biografico dell'attore che ha impersonato "Don Camillo".

Gabriele Nicolò sulla parola "misericordia", scelta e firmata da Papa Francesco per la Treccani. 

Chiamati a un nuovo inizio: concluso il convegno ecclesiale italiano.

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Oggi in Primo Piano



Lutto in Libano dopo gli attacchi a Beirut nel quartiere di Hezbollah

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Giornata di lutto in Libano all’indomani del duplice attentato che ha scosso la periferia meridionale di Beirut, controllata da Hezbollah, provocando la morte di 43 persone e il ferimento di altre 240. L’attacco è stato rivendicato su Twitter dai jihadisti sunniti appartenenti al sedicente Stato islamico e dalle brigate "Abdullah Azzam". Unanime la condanna internazionale: dagli Stati Uniti all’Unione Europea fino alla Lega Araba. Ma perché l’Is ha scelto di agire in questo particolare momento? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Matteo Bressan, analista del “Nato defense college foundation”: 

R. – La particolarità di questo momento è che probabilmente la Russia non basta. Questa coalizione, alternativa a quella internazionale, composta da Iran, Hezbollah, esercito di Assad e dalla stessa Russia, evidentemente non è sufficiente né ad arginare le minacce del sedicente Stato islamico in Siria né tantomeno a garantire la protezione degli alleati di Assad. Non ci dimentichiamo che, in concomitanza con le operazioni russe, sono stati eseguiti degli omicidi mirati nei confronti di alti comandanti iraniani operanti in Siria. Quindi, in questa ottica, le doppie esplosioni sono un messaggio in un momento in cui effettivamente c’è un’avanzata – seppur lieve, non molto eclatante – delle forze fedeli ad Assad contro i ribelli, e non tanto contro l’Is ad essere onesti... Questa bomba è un messaggio alla base di Hezbollah e al movimento. Il movimento, come è stato giustamente ricordato, è impegnato militarmente dal 2012 e non era ufficiale. Cioè, già c’era ma non si diceva: Hassan Naṣrallāh lo ha confermato pubblicamente nel 2013 che i suoi miliziani erano in Siria e si parla di un impegno di circa 5-6 mila uomini.

D. – Ma quali sono gli interessi del movimento Hezbollah nel conflitto siriano?

R. – Hezbollah è stato storicamente il principale alleato della Siria di Assad. Inevitabilmente, nel momento in cui l’alleato e il protettore si trovavano, come nel 2012, sull’orlo della sconfitta, Hezbollah, coordinata dai miliziani iraniani, dal comandante Soleimani – il capo delle forze armate iraniane, delle operazioni speciali all’estero dell’Iran – ha coordinato insieme la difesa di Assad. È ovvio che, nel momento in cui la Siria dovesse cambiare totalmente collocazione geopolitica – tanto per essere chiari – e trovarsi in un’altra sfera e non più nell’asse Iran ed Hezbollah, quest’ultima avrebbe al suo confine un nemico. Ma evidentemente questo attentato deve obbligare Hezbollah ad aumentare il suo livello di sicurezza, soprattutto nei suoi quartieri. È un messaggio: cioè il "Partito di Dio" sta pagando un prezzo militare in Siria, e l’Is necessariamente si vendica colpendo la base. Quindi, se si colpisce la popolazione, si vuole indebolire Hezbollah che sta sostenendo una guerra molto, molto dispendiosa in Siria.

D. – Quali sviluppi si possono ipotizzare nell’immediato? Quale potrebbe essere la risposta di Hezbollah?

R. – Nell’immediato, abbiamo il fronte diplomatico che vedrà questi giorni a Ginevra un possibile sviluppo, con la proposta che già circolava la settimana scorsa del piano di pace avanzato dalla Russia. Un piano che è tutto da dimostrare se e come possa essere praticabile, ma che fa intuire che c’è una possibilità di un’uscita di scena di Assad seppure non immediata. Sotto il profilo militare, Hezbollah già presidia intere aree all’interno della Siria ed è impegnata in scontri sporadici con vari gruppi ribelli. Certamente, Hezbollah guarda con molta preoccupazione soprattutto la città di Arsal a ridosso del confine siriano, dove, vuoi per il numero molto elevato di profughi e per il continuo movimento di milizie su quel confine, Hezbollah stima che ci siano elementi collegati all’Is già operanti e vicini in territorio libanese. Sostanzialmente, si tratta di un conflitto militare in Siria e di prevenzione e "intelligence" all’interno del Libano.

D. – A livello interno, il Libano come sta vivendo questa preoccupazione per la presenza dell’Is, la crisi economica, e questa costante instabilità politica?

R. – Siamo ormai quasi a un anno e mezzo di assenza del presidente della Repubblica. Poco prima, c’era stata l’assenza di un governo per dieci mesi. C’è un’emergenza umanitaria nota di circa un milione e mezzo di profughi siriani che stazionano – e quindi sono anche un problema per la precaria economia libanese – c’è la guerra alle porte: ci sono tutte queste minacce. Nonostante ciò, nonostante tutte queste preoccupazioni, il Paese ha ancora gli anticorpi per non ricadere in una drammatica guerra civile che sappiamo tutti che cosa ha rappresentato per il Libano.

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Vigilia vertice sulla Siria. Forse ucciso il terrorista Is Jihadi John

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La lotta contro il sedicente Stato islamico continua anche nei Paesi vicini al Libano. In Siria, i raid statunitensi su Raqqa potrebbero aver colpito, forse ferendolo, Jihadi John, feroce esecutore di molti video dell’Is, mentre in Iraq le milizie curde hanno ripreso la città di Sinjar. Intanto, continua il lavoro diplomatico. Domani, a Vienna, il secondo vertice dopo quello inaugurale di ottobre per cercare una soluzione alla crisi siriana, dopo quasi cinque anni e centinaia di migliaia di vittime. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Ferito ma non ucciso, questo dicono le ultime notizie non ufficiali del crudele esecutore di molte decapitazioni di ostaggi stranieri in mano al sedicente Stato islamico. Jihadi John, questo il nome di guerra del cittadino britannico di origine kuwaitiana, che sarebbe stato colpito durante un raid statunitense su Raqqa. Il territorio siriano continua infatti a essere martoriato sia dal contrasto ai miliziani jihadisti da parte della coalizioni internazionale sia dalla lotta del regime contro i ribelli, sospinti sempre di più dalla provincia di Aleppo. Lotta all’Is anche in Iraq: forse sono i miliziani islamici gli autori dell’attentato con 18 vittime oggi a Bagdhad. Di certo, i peshmerga curdi hanno sottratto loro la città di Sinjar e ora puntano a Mosul.

Le speranze di una tregua nell’area, a partire dalla transizione in Siria, sono tutte rivolte al vertice di una ventina di Paesi, domani a Vienna: co-presidenza Usa-Russia, presenza incerta ancora dell’Iran. Luci e ombre su questo appuntamento, come spiega Paolo Maggiolini, ricercatore dell’Ispi, l'Istituto studi di politica internazionale: 

R. – E’ difficile prevedere se ci saranno significativi sviluppi, però certamente il fatto che ci sarà un nuovo incontro già è un fatto positivo, perché signica che prosegue l’idea di un accordo su una transizione, quindi l'idea di concentrarsi su una soluzione politica. Inoltre, c’è la questione di volere effettivamente coinvolgere tutti gli attori regionali e internazionali nel dialogo. Però, bisogna ricordare che la scorsa volta il nome di Assad non era mai ufficialmente comparso e anche nella proposta russa oggi non compare direttamente.Quindi, al di fuori della possibilità espressa di discuterne, rimangono forti distanze su cosa si intenda rispetto a un’uscita immediata o a lungo termine o a medio termine di Assad. Quindi, fondamentalmente per il futuro della Siria questo rimane ancora un aspetto problematico.

D.  – Sul tavolo ci sarà questo piano della Russia. Che ruolo avrà?

R. – Io credo che il piano in sé non sarà archiviato, perché recepisce e continua quello che era stato discusso nel 2012, quando poi effettivamente la guerra civile ha preso il suo corso. Il problema centrale però è l’assenza di un riferimento chiaro ad Assad e inoltre rimane la questione su chi le varie parti riconosceranno essere gli interlocutori locali coinvolti nella transizione, a partire da quali siano i gruppi delle opposizioni che anche il fronte russo-iraniano riconosce. Chiaramente, inoltre, in questa fase le parti locali siriane non sono direttamente coinvolte e anche questa è una necessità certamente politica, ma che ci fa capire quanti sono ancora i passi da fare.

D. – La presenza dell’Iran come si delineerà in questo appuntamento?

R. – Importante, chiaramente, è la presenza contestuale dell’Arabia Saudita e dell’Iran, perché l’argomento è la Siria. Ma la possibilità di un riavvicinamento, anche di un dialogo, per quanto duro possa essere tra questi due attori, è fondamentale sia in prospettiva irachena che yemenita. Rimane però il nodo di capire esattamente quale sarà la disponibilità a trattare sulla figura di Assad, soprattutto perché al di fuori di ogni disponibilità al dialogo è sempre stato ribadito per ora che l’Iran si rimette al popolo siriano nella scelta del suo assetto politico futuro. Non è facile prevedere il prossimo round cosa porterà. Verosimilmente, non sarà un round storico, ma servirà per mantenere vivo questo canale di dialogo a patto che tutti saranno presenti.

D. – Iran e Russia spingono perché le decisioni di questo vertice non si sovrappongano a quello che è l’accordo interno alla Siria, non decidano cioè per la Siria dall’esterno... Regime e opposizione, dunque: in tutto questo cosa succede a loro? Se ne dovrà occupare l’Onu?

R. – Se è vero che il dialogo cerca per ora di creare le condizioni regionali – ed è importante perché chiaramente dovrebbe aiutare o permettere un qualche scambio e disgelo tra le varie posizioni – dovrebbe però anche portare alla fine a riconoscere almeno una legittimità di tutti gli attori coinvolti e quali questi siano. Se è molto chiaro infatti che tutti ritengono che il cosiddetto Stato islamico sia il nemico non è così chiaro con altri gruppi che comunque hanno animato l’opposizione e la guerra civile fino ad oggi. Quindi, credo che quella che sarà poi la fase di transizione ancora oggi non è chiara negli intendimenti degli attori del dialogo.

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Hein: aprire canali legali per migranti e aiutare Stati africani

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Si è chiuso ieri il vertice sulle migrazioni di Malta. Le 90 delegazioni di Ue e Africa hanno varato un fondo da 1,9 miliardi di euro per migliorare le condizioni economiche dei Paesi africani di provenienza dei migranti e uno di garanzia da 3 miliardi per sostenere la Turchia nel suo crescente impegno di accoglienza dei profughi siriani. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha comunque chiesto all’Europa maggiore impegno. Da La Valletta, Michele Luppi

Il summit euro-africano sulle migrazioni, che si è chiuso ieri pomeriggio a La Valletta, si è giocato tutto qui, in queste due parole pronunciate dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: “Preferibilmente volontari”. La proposta europea di trovare un accordo per i rimpatri dei migranti cosiddetti economici è stata respinta al mittente, sostituita da una formulazione più blanda che lascia comunque aperta la strada a nuove forme di collaborazione. Due i documenti sottoscritti dai leader: una risoluzione in cui si ribadisce la necessità di lottare contro le cause strutturali delle migrazioni, grazie anche alla creazione di un Fondo di emergenza da 1,9 miliardi di euro, e un Piano d’azione da intraprendere entro la fine del 2016. Tra le iniziative previste, c’è  il raddoppio delle borse di studio per gli studenti africani in Europa, il lancio di un progetto pilota per la lotta ai trafficanti di esseri umani in Niger e – vera novità – la possibilità di coinvolgere personale di polizia dei Paesi africani nelle operazioni di identificazione in Europa. La giornata di ieri è stata però scossa anche da altre due notizie: l’approvazione di un piano da 3 miliardi a favore della Turchia per favorire l’accoglienza dei profughi siriani e le preoccupazioni espresse dal presidente Tusk per la sopravvivenza stessa del Trattato di Schengen.

Per un commento, Massimiliano Menichetti ha parlato con Christopher Hein, portavoce del Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir): 

R. – Adesso, bisogna dire che preparazione della Conferenza di Malta si è parlato anche di una cifra ben più elevata di sostegno agli Stati africani, si è parlato anche eventualmente di arrivare fino a 7 miliardi di euro. Non è questo, comunque, il punto più importante, quanto piuttosto cosa venga fatto con questi fondi e quale sia lo scopo di un gesto da parte dell’Unione Europea verso tutto il continente africano. Devo dire che lì abbiamo un po’ di perplessità. Quando vediamo, anche già nella preparazione, pronunciamenti del Consiglio dell’Unione Europea dove il punto cardine è il contrasto al traffico di persone e all’accettazione di accordi di riammissione, vuol dire quindi accettare con più liberalità che i propri cittadini, e anche i cittadini di altri Paesi, siano riammessi negli Stati africani e che quegli Stati collaborino a un contenimento dei flussi migratori in corso dei rifugiati.

D. – Ma questo ha solo un’accezione negativa?

R. – Di per sé, non c’è niente di male, certamente, se ci fossero le condizioni. Sappiamo molto bene, però, che queste condizioni fin qui, nella maggior parte, incluso anche il Nord Africa, non ci sono. Quindi, è tutto da vedere in che modo questi nuovi fondi veramente andranno a beneficio per l’assistenza degli Stati nella costruzione di sistemi giuridici e anche operativi di accoglienza, di protezione di queste persone, dando quindi veramente una opzione diversa ai rifugiati, ai migranti, rispetto a quella di imbarcarsi verso l’Europa.

D. – Lo chiediamo ancora una volta: quale dovrebbe essere la via concreta?

R. – La via concreta consiste in due meccanismi che devono marciare parallelamente. Uno, aprire canali di arrivo legale per rifugiati, innanzitutto, ma anche per migranti, per studenti, dal continente africano – o quando hanno bisogno di protezione, che lì non possono avere, o per rispondere anche ad esigenze del mercato del lavoro in Europa – parallelamente a un sostegno ai Paesi africani, affinché le condizioni siano migliorate al punto che la spinta, la motivazione profonda per le migrazioni, possa diminuire nel tempo.

D. – Nel frattempo, però, Paesi come la Slovenia continuano a chiudere i propri confini…

R. – Sembra un’epidemia, cominciata in Bulgaria, al confine con la Turchia, poi in Ungheria e negli altri Paesi dell’ex Jugoslavia e dei Balcani occidentali. Vorrei anche ricordare che, comunque, non con il filo spinato ma anche un Paese come la Germania, temporaneamente, ha fatto tornare i controlli alle frontiere con l’Austria e l’Austria con l’Italia.

D. – Sembra un paradosso che, da una parte, si discuta intorno a un tavolo per affrontare la questione e dall’altra ci si chiuda…

R. – Si tratta anche di Stati che fino a non tanto tempo fa hanno prodotto loro stessi dei rifugiati diretti verso l’Europa occidentale. Proprio questi Stati adesso rifiutano di entrare in una visione comune europea. Abbiamo, quindi, queste due tendenze contrastanti. E – ripeto – una via anche per questi Paesi dell’Est è di costruire un sistema per cui anche lì possano arrivare dei rifugiati e migranti in modo regolare e normale, e non solo attraverso questi flussi totalmente incontrollati e pericolosi per le persone stesse.

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Bagnasco: da Firenze una Chiesa "in uscita"

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Non lasceremo cadere l’invito di Papa Francesco a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività: è quanto ha detto il cardinale presidente della Cei  Angelo Bagnasco, concludendo a  Firenze il quinto Convegno Nazionale della Chiesa italiana. “Lo stile sinodale – ha aggiunto - non è certamente una centralizzazione” ma “un convenire nel confronto e nel discernimento per individuare alcuni obiettivi che si ritengono più adatti da raggiungere" a livello nazionale, regionale e diocesano. Per il cardinale Bagnasco, il maggiore pericolo per la Chiesa è la "tiepidezza spirituale". A Firenze, la Chiesa italiana ha scelto di mettersi in gioco, in un impegno di conversione finalizzato a individuare le parole più efficaci, le categorie più consone e i gesti più autentici attraverso i quali portare il Vangelo nel nostro tempo agli uomini di oggi”. Ma non si parte da zero, perché c’è una continuità. Ascoltiamo il cardinale Angelo Bagnasco, al microfono del nostro inviato Luca Collodi: 

R. – C’è una duplice continuità: la prima, il percorso dei Convegni ecclesiali o, se vogliamo, dei decenni dopo il Concilio per cui i vescovi italiani hanno deciso che per ogni decennio si davano una meta pastorale unitaria, scandita poi dai Convegni di metà decennio: questo è un cammino di sinodalità che la Chiesa in Italia, nel camminare insieme, ha avviato dal Concilio in poi. In questo senso c’è una continuità di metodo, di approccio … I contenuti, certo, cambiano di volta in volta. Il Santo Padre, in questo caso, ci ha molto spinto sulla via della missionarietà, che vuol dire “Chiesa in uscita”, della missionarietà, dell’annuncio del Vangelo e dell’attenzione alle molte indigenze o ferite o problematiche di questo nostro tempo che, rispetto a 50 anni fa, veramente ha fatto un veloce percorso, non sempre: a volte in meglio, a volte no … E quindi, sotto questo profilo c’è una continuità. C’è una continuità per cui non cominciamo da zero, perché il nostro popolo – al di là di tutti i cambiamenti, le difficoltà a livello diffuso, a livello mediatico eccetera, però nelle nostre parrocchie, nelle visite pastorali che i vescovi fanno, a contatto  con i nostri parroci, la gente, il nostro popolo semplice, vive una vita sana. Che vuol dire: con grandi difficoltà – spesso purtroppo di carattere economico-lavorativo oppure esistenziale: persone anziane, bambini malati e via discorrendo – però con grande dignità. E di questo, però, non emerge mai nulla! Ma la stragrande maggioranza del popolo italiano vive con questi sentimenti e con questa dignità interiore.

D. – Dal Convegno emerge anche un percorso di sinodalità: che cosa significa, questo, secondo lei? Che la Chiesa italiana potrà andare verso un Sinodo o altro?

R. – Sinodo – ci ha detto il Papa – vuol dire “camminare insieme” e quindi nel dialogo, nella vicinanza reciproca, pastori e popoli di Dio, e da questo stile sinodale che comporta degli atteggiamenti, un metodo, degli obiettivi ma anche delle verifiche, in questo stile sinodale può nascere qualunque cosa.

D. – La presenza della Chiesa italiana nel pubblico, resta invariata?

R. – Dev’essere sempre una presenza secondo le responsabilità di ciascuno. Il che non vuol dire ingerenza in niente, ma neppure ostracismo non appena la Chiesa, la voce dei pastori o dei laici, dice una cosa diversa da quello che l’opinione pubblica ritiene.

D. – Questo è un convegno che non si chiude qua, ma andrà verso il Giubileo?

R. – Certamente: andiamo verso il Giubileo attraverso le nostre diocesi, le nostre comunità che hanno anche un compito a casa che nasce proprio da questo convegno.

D. – Sulla vicenda di Montecassino lei che riflessione fa?

R. - Che la vicenda è tristissima, ma che non deve assolutamente oscurare la luce di tantissimi sacerdoti, pastori, religiosi e religiose che si dedicano per tutta la vita con dignità, con onore, con le loro fatiche personali al bene del popolo di Dio: non deve, questa luce, essere oscurata.

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Martinez: Chiesa italiana chiamata a toccare il cuore della gente

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La Chiesa italiana dopo il Convegno nazionale di Firenze si appresta a vivere una nuova pagina della sua storia. Ma verso quale meta è chiamata a camminare? Ascoltiamo Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo, al microfono del nostro inviato Luca Collodi

R. – Dove il suo Signore Gesù Cristo gli ha sempre chiesto di andare e cioè al cuore della gente, al cuore della storia, e a questo cuore sempre più malato, sempre più solo e sempre più bisognoso di misericordia, guardare non in modo indifferenziato, ma con una parola che sappia farsi “tu”, con una gestualità che sappia assumere i tanti mali di questo nostro tempo. E’ la Chiesa in uscita di cui parla Papa Francesco, perché lascia entrare dentro di sé un nuovo amore per gli uomini del nostro tempo, una Chiesa incarnata, una Chiesa che vive nella storia, in un tempo complesso. La capacità della Chiesa è quella di saper leggere i segni dei tempi ed entrare dentro la complessità. E la ricchezza di cui certamente questo nostro tempo dispone è provvidenziale per la nuova evangelizzazione, che è tutta da reinterpretare, alla luce dei bisogni degli uomini di oggi.

D. – Nel dialogo di questi giorni, all’interno dei delegati, dei pastori, dei vescovi, dei sacerdoti, emerge una divisione tra vecchia Chiesa italiana e nuova Chiesa italiana?

R. – Grazie a Dio, in Gesù Cristo, Antico e Nuovo Testamento si saldano, e così - vorrei dire - siamo dentro una storia. Il Beato Paolo VI pose una grande domanda: quale Chiesa per il terzo millennio? Giovanni Paolo II: quale uomo? E Benedetto XVI: quale fede? E adesso Papa Francesco: quale amore, quale misericordia, quale capacità di dire e di dare ad ogni uomo Gesù Cristo? Ecco, siamo quello che siamo per grazia - vorrei dire con Papa Francesco - ma guardando indietro dobbiamo davvero apprezzare in quanti modi abbiamo salutato l’avvento, l’alba di un nuovo millennio con Pontificati che hanno fortemente segnato la nostra storia. Adesso Papa Francesco ci dice di puntare all’essenziale, ad un umanesimo cristiano che profumi di Spirito Santo, cioè di grazia, di miracolo, di una fede che non si arrende davanti al male. E’ quell’arte di amare che reimpariamo sempre, soprattutto se sappiamo stare in mezzo alla nostra gente.

D. – Firenze può segnare il rilancio del laicato cattolico nel sociale?

R. – A condizione che facciamo discendere il sociale dallo spirituale. Papa Francesco è molto chiaro: si può stare dalla parte degli ultimi – Gesù nella sinagoga di Nazareth individua l’uomo in quattro grandi categorie: i prigionieri, gli oppressi, i poveri, i ciechi – a condizione che ci lasciamo rigenerare interiormente dallo Spirito Santo. Altrimenti parleremo di moralità, di immoralità, parleremo di crisi sociali, senza ribadire che la più profonda delle crisi è proprio spirituale. Se avremo maggiore fiducia – come ha detto il Papa – nello Spirito Santo e nella creatività dello Spirito Santo, anche il nostro protagonismo ritornerà ancora più incisivo e la grande ricchezza carismatica sarà la migliore lezione di generosità che possiamo offrire a questo nostro mondo disorientato. Si può ripartire da Firenze, si deve ripartire da Firenze, con una maggiore fiducia nella grazia e nella dimensione dello Spirito.

Per una sintesi delle tematiche emerse dai gruppi di lavoro al V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze, ascoltiamo il servizio di Luca Collodi: 

Domanda di spiritualità
Dai giovani del Convegno della Chiesa italiana a Firenze, emerge la proposta di una fede che comprenda esperienze di preghiera, di formazione e accompagnamento spirituale. “C’è una domanda di interiorità, di preghiera, che però non sembra trovare risposte soddisfacenti nelle scelte di educazione alla fede nelle Chiese locali”. Le parrocchie sembrano riservare più attenzione “all’aggregazione e all’animazione, mentre la domanda di spiritualità sembra più forte all’interno delle associazioni e dei movimenti ecclesiali”. 

Mettere al centro l’ascolto del Vangelo
Vari gruppi sottolineano “l’importanza della conoscenza della parola di Dio”. Occorre rimettere al centro della vita della Chiesa “l’ascolto del Vangelo, elemento di unione e di aggregazione”. Ma occorre “saperlo attualizzare” a partire dalla “liturgia” perché esso generi “un profondo processo di conversione personale, comunitaria e pastorale”.

Attenzione a poveri e famiglie ferite
Sul fronte dell’educazione, l’attenzione si è soffermata sulla fragilità della famiglia. La proposta è di formare persone da affiancare a realtà con situazioni educative difficili con volontari in aiuto a famiglie con anziani e disabili. Partendo dall’invito del Papa alla Chiesa italiana di rileggere e applicare l’Evangelii Gaudium, si guarda ad una “Chiesa capace di mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite; ‘periferie’ che, aiutate attraverso percorsi di accoglienza, possano diventare centro, e quindi soggetti e non destinatari di pastorale e testimonianza”. Molti gruppi di lavoro, sottolineano l’esigenza di “allargare” i protagonisti dell’evangelizzazione; in particolare le famiglie “vanno colte come soggetto di annuncio”.

Maggiore coinvolgimento dei laici
Importanti i percorsi di sostegno alla genitorialità, dove comunicare l’emergenza educativa, ma anche la gioia di educare. “Occorre inoltre un sempre maggiore coinvolgimento dei laici nelle varie forme di annuncio del Vangelo”. Si chiede “maggiore comunione tra sacerdoti e laici”, coltivando la fiducia reciproca, senza corporativismi. Si chiede inoltre di avviare all’interno della Chiesa italiana linee di azione per giungere ad “un processo sinodale”. “Strada maestra per crescere nell’identità di Chiesa in uscita, capace di mettersi in movimento creativo, innovando con libertà dentro un orizzonte di comunione e di preghiera”.  

Uscire dalla fortezza
“L’annuncio del Vangelo non deve essere offerto come una summa dottrinale o come un manuale di morale”, ma anzitutto come una testimonianza sulla persona di Cristo, attraverso un volto amichevole di Chiesa tra le case e nelle città. “Si tratta di non limitarsi ad assumere l’atteggiamento delle sentinelle, che rimanendo dentro la fortezza osservano dall’alto ciò che accade attorno, bensì coltivare l’attitudine degli esploratori, che si espongono, si mettono in gioco in prima persona, correndo il rischio di incidentarsi e di sporcarsi le mani”.

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Giubileo, le Fs presentano il piano. Ieri 30 mila iscrizioni sul web

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Per il Giubileo, le Ferrovie dello Stato metteranno a disposizione più di mille treni. L’annuncio è arrivato oggi durante la conferenza stampa di presentazione dell’impegno di Fs per l’Anno della Misericordia. Ieri all'apertura della pagina web per l'iscrizione, solo in un'ora e mezza si sono registrate quasi trentamila iscrizioni. Alessandro Guarasci

Per il Giubileo, le Ferrovie dello Stato aumentano l’offerta di trasporto del 30%. Frecce, intercity e regionali, per raggiungere Roma e i Santuari in tutta Italia come dice l’amministratore delegato di Fs Michele Elia:

“Specialmente nelle ore utili per arrivare a tempo debito nelle località di Roma, nelle varie Basiliche, a San Pietro… In più abbiamo previsto questi servizi verso le grandi località religiose italiane per evitare situazioni di caos e di traffico aggiunto”.

Dall’8 dicembre ci si aspetta un numero di presenze abbastanza alto, visto che ieri in un’ora e mezzo 30 mila persone si sono registrate al sito web del Giubileo. I tempi per i lavori nella città stringono. Si tratta di piccoli cantieri e non pochi saranno finiti a metà 2016. Mons. Rino  Fisichella presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione:

“Nel 2016 Pasqua sarà alla fine di marzo, il che vuol dire che per tanti lavori che dovranno essere realizzati la data di Pasqua sarà piuttosto in alto. Quindi sarebbe importante che anche la città di Roma fosse realmente pronta a questa sfida”.

Il prefetto di Roma Franco Gabrielli è ottimista sul fatto che si arriverà pronti per i grandi eventi:

“I lavori sono lavori abbastanza limitati: sono i famosi 23 cantieri. Ovviamente noi cercheremo di far sì che siano terminati quanto prima, ma stiamo parlando di opere che magari hanno caratterizzato altri eventi”.

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Roma: a Corviale, incendio doloso a centro per giovani disagiati

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A Roma, nel quartiere periferico di Corviale, è stata incendiata nella notte la “Casa della spiritualità” all’interno del complesso “Campo dei Miracoli”, una struttura preziosa per l’intero quartiere. E’ infatti la sede di “Calciosociale”, un’iniziativa che attraverso la passione per lo sport coinvolge ragazzi con varie difficoltà. Il responsabile del "Campo dei Miracoli" a Corviale, Massimo Vallati, parla di attentato al cambiamento. Il servizio di Amedeo Lomonaco

E’ stato un incendio doloso a distruggere la “Casa della spiritualità” all’interno del Campo dei Miracoli, la prima sede di “Calciosociale”, un’iniziativa nata per dare un futuro ai giovani in una delle zone più periferiche della capitale. Il progetto vuole favorire l’integrazione di ragazzi con varie difficoltà attraverso il gioco del calcio e il Campo dei Miracoli a Corviale è diventato, negli anni, un luogo simbolico in cui far crescere l’impegno per la giustizia e contro la malavita. L’incendio è avvenuto alla vigilia dell’avvio dei lavori di ristrutturazione del palazzo, noto con l’appellativo di “Serpentone”, che ospita in condizioni fatiscenti di degrado oltre 1200 appartamenti. In questo territorio, dove si sta affacciando la speranza di una rigenerazione urbana, la “Casa della spiritualità” all’interno del Campo dei Miracoli è stata concepita, in particolare, come un luogo di preghiera per promuovere anche il dialogo interreligioso.

La “Casa della spiritualità” è uno dei simboli della rinascita del quartiere. Aver dato alle fiamme questa struttura è un attentato al cambiamento, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il responsabile del Campo dei Miracoli, Massimo Vallati

R. – E’ un attentato al cambiamento, a chi vuole cambiare questo quartiere e vuole che si costruisca una storia diversa: che non sia più il quartiere dei banditi, del degrado, dell’abbandono, ma che sia il quartiere della bellezza, della legalità, della giustizia. Oggi è un giorno triste. La nostra azione per cambiare Corviale vuole essere stoppata, fermata dai soliti delinquenti che tengono in ostaggio questo quartiere da 30 anni. Ma noi vogliamo dire loro che noi non ci arrendiamo, che domani saremo ancora di più per cercare di vincere questa battaglia di giustizia e di legalità.

D. – A proposito di questa battaglia, cos’è il Campo dei Miracoli? Quali sono state le iniziative promosse attraverso questa struttura?

R. – Il Campo dei Miracoli è la sede italiana del "calcio sociale", questo nuovo modello di inclusione sociale. Un nuovo calcio nel quale si accolgono tutti: ragazzi con difficoltà economica, sociale, ma anche fisica, mentale, con handicap, ragazzi border-line. Si fanno percorsi insieme per cercare di superare insieme tutte le difficoltà. E a Corviale ha il suo cuore, la sua sede nazionale. E quindi da qui, al Corviale, abbiamo sempre cercato di costruire occasioni di percorsi di legalità, percorsi contro il gioco d’azzardo, battaglie civiche sull’accoglienza anche di persone di culture diverse … E' quindi, veramente, un luogo dell’accoglienza, un luogo della pace, della serenità. E oggi hanno colpito proprio la casa della spiritualità interreligiosa, dove ci sono i simboli di tutte le religioni, che era una vecchia casa abbandonata che noi abbiamo trovato qui, quando abbiamo preso il Centro nel 2009. Era un posto abbandonato, simbolo del degrado, che abbiamo ricostruito a luogo di dialogo, a luogo di pace. Colpire quel posto è proprio colpire questa cultura che vuole costruire, una cultura che vuole fare oasi di pace e di accoglienza; invece qui c’è la cultura della distruzione, del bruciare, del distruggere contro la cultura del costruire.

D. – In questa partita tra chi distrugge e chi vuole costruire, però alla fine questa forza di cambiamento attraverso il “Campo dei Miracoli” e il calcio sociale, continuerà ad agire al Corviale, e non solo …

R. – Deve continuare e continuerà. Ma noi rivolgiamo un appello agli uomini e alle donne di buona volontà di questa città, alle istituzioni: che lo Stato veramente prenda un mano questa partita e la vinca, perché da soli noi non ce la facciamo. Lo Stato deve dare una risposta chiara e netta a questi quattro balordi impauriti perché se fanno questa cose è perché non hanno nulla da dire e nulla da insegnare, ma hanno soltanto una grande paura di perdere quei piccoli traffici illeciti che li sostengono da anni e anni. Noi dobbiamo costruire un mondo diverso, ma soltanto attraverso l’azione dello Stato: se lo Stato non si muove, noi non ce la faremo.

D. – Quindi, quello che dà fastidio del “Campo dei Miracoli” è questa sua forza attrattiva capace di costruire una società diversa, una società che alcuni non vogliono assolutamente...

R. – Noi siamo contro il racket degli appartamenti occupati a Corviale. Siamo contro lo spaccio di droga, contro l’occupazione abusiva di posti che sono stati sottratti al bene pubblico per affari privati. Siamo contro tutto quello che noi vediamo che non ci va bene e lo denunciamo. Non abbiamo paura di nessuno. Abbiamo visto purtroppo che tante persone non hanno denunciato questi accadimenti a Corviale e ce ne dispiace. Ma ora è il momento di voltare pagina, anche alla vigilia dei lavori sul palazzo del Corviale.

D. – Quali sono le principali paure ma anche le potenzialità legate proprio alla ricostruzione di questo palazzo che è un simbolo di degrado, ma anche di speranza?

R. – Le paure sono queste: quando porti la luce ovunque, non puoi più spacciare perché ti vedono; quando ti dicono che quel posto è occupato abusivamente e devi andare via, tu perdi un posto, perdi territorio e quindi perdi potere. Hanno paura di perdere il potere. Un potere che l’assenza dello Stato ha loro concesso. Oggi lo Stato deve tornare e deve riprendersi quello spazio e deve restituire dignità a tutte quelle famiglie che sono ostaggio di quattro delinquenti da 30 anni. Questi lavori sono veramente lo spartiacque per vincere questa partita o per perderla. Se perdiamo questa occasione sarà la fine; se invece la cogliamo e sfruttiamo questi lavori per cambiare anche architettonicamente il palazzo di Corviale e fare pulizia, c’è una speranza per tutti questi ragazzi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: gambizzato attivista cristiano

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L’attivista cristiano Aslam Masih, volontario e collaboratore dell’Ong “Legal Evangelical Association Development” (LEAD), impegnata per l’assistenza legale gratuita ai cristiani pakistani più poveri, spesso in casi di imputazioni palesemente false, è stato gambizzato a Lahore. L’episodio, riferisce all’Agenzia Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, direttore di LEAD, “è un chiaro segno di intimidazione verso il nostro lavoro”.

L’attacco è avvenuto il 28 ottobre, ma solo ora se ne è data notizia, per motivi di sicurezza. Aslam è stato affiancato da una jeep in pieno giorno e raggiunto da colpi di arma da fuoco sparati da un gruppo di quattro musulmani. L’uomo è stato ricoverato al General Hospital di Lahore. Prima di sparare, i criminali gli hanno chiesto di ritirare una denuncia che aveva registrato alla polizia, in uno dei casi che seguiva. Al suo rifiuto hanno aperto il fuoco.

Aslam Masih ha raccolto prove in diversi episodi che riguardano abusi dei diritti dei cristiani e in passato già aveva ricevuto minacce. Si tratta del secondo caso del genere nel 2015. Un altro volontario di LEAD è stato ferito mesi fa con un proiettile alla schiena. “LEAD sta proseguendo una campagna di sensibilizzazione contro l'abuso delle leggi sulla blasfemia: questa è una cosa pericolosa in Pakistan”, conclude Gill.

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Indonesia. Vescovi: sostenere migranti, no a pena di morte

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La Chiesa cattolica indonesiana deve essere una comunità fondata sulla “speranza”, che non è il generico “ottimismo” spacciato dalla politica e dalla società quanto piuttosto un modello fondato “sulla fede in Dio”. È quanto ha affermato l’arcivescovo di Jakarta e presidente della Conferenza episcopale (Kwi) mons. Ignatius Suharyo, durante la conferenza stampa tenuta ieri nella capitale per illustrare i lavori al centro della recente Conferenza nazionale (Sagki 2015), da poco conclusa. Lo riferisce AsiaNews.

“L’ottimismo si fonda in modo generico sulla base di calcoli intellettuali e ‘fisici’ - ha detto il prelato, al termine di una intensa tre giorni di lavori - ma una comunità basata sulla fede trova le sue fondamenta nel legame con Dio”. E anche in caso di insuccesso, di raggiungimento parziale dell’obiettivo, aggiunge, chi crede sa che “un giorno Dio completerà l’opera”.

Ad accompagnare l’arcivescovo di Jakarta nel suo intervento vi era il vescovo di Bandung, mons. Antonius Subianto Bunjamin, in qualità di segretario generale della Kwi dopo aver sostituito il compianto arcivescovo di Semarang, mons. Johannes Pujasumarta, scomparso da poco. Ai cronisti presenti, il presidente dei vescovi ha illustrato alcune delle molte iniziative in programma per il futuro in tema di pastorale.

Mons. Suharyo lancia quindi una prima “sfida” ai vescovi e alla comunità dei fedeli: la cura dei lavoratori migranti che lasciano le terre di origine della provincia di East Nusa Tenggara Province (NTT), in cerca di maggiore fortuna nella vicina Malaysia orientale o in altri Paesi. Queste persone viaggiano attraverso canali legali e anche illegali, spesso finendo per essere prede dello sfruttamento. Il prelato auspica maggiore collaborazione a livello di vescovi, per coordinare le iniziative a sostegno dei migranti stessi e offrire loro un valido aiuto. Per questo sono allo studio nuovi “metodi” e “approcci”, che sono stati oggetto di approfondimento e discussione della recente Conferenza nazionale della Chiesa cattolica indonesiana.

Inoltre, il presidente dei vescovi ha ricordato che sacerdoti, suore, religiosi non devono farsi coinvolgere in prima persona nell’attività politica, quanto piuttosto indicare a politici, uomini d’affari e professionisti l’etica e le modalità attraverso le quali espletare il proprio lavoro. Una missione che ha l’obiettivo di diffondere “l’etica cattolica” nella società e nel lavoro.

Sollecitato da una domanda sulla vicenda della filippina Mary Jane Veloso, che ha tenuto banco per diverse settimane, l’arcivescovo di Jakarta ha infine riservato una nota sulla pena capitale, tuttora applicata in Indonesia per molti reati fra cui il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. La Chiesa cattolica è contraria, avverte, e questa “non è una posizione morale” dei vescovi indonesiani ma è l’assunto di tutti i cattolici nel mondo.

In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio 2013.

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Vescovi Bolivia: vogliamo cambiamento, ideologia non vede i poveri

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"Dobbiamo dire senza paura che abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento. Non ci dobbiamo lasciare rubare la speranza di un cambiamento reale" si legge nel testo conclusivo dell'Assemblea plenaria dei vescovi della Bolivia, svoltasi dal 5 al 10 novembre a Cochabamba. I presuli – riferisce l’Agenzia Fides - riprendono l’esortazione di Papa Francesco ai movimenti popolari, pronunciata durante il suo viaggio in Bolivia del luglio scorso, per incoraggiare la comunità boliviana nei prossimi impegni ecclesiali, non tralasciando di segnalare al governo boliviano la situazione di tensione che vivono diverse istituzioni in seguito alle normative imposte e alla crisi che attraversa la società.

Ideologia dominante non sente la voce dei poveri
"Viviamo in un tempo caratterizzato dalla esaltazione delle ideologie che non vedono la realtà dei bisognosi o non sentono la loro voce – scrivono i vescovi - e molti hanno paura di esprimere un'opinione diversa dal pensiero ideologico dominante che si vuole imporre a tutti i costi, intimidendo e screditando chi la pensa diversamente. Inoltre vengono imposte spese su opere non essenziali, trascurando la salute e l'istruzione, e ignorando le richieste di adottare politiche di austerità”.

Crescono violenze nel Paese
Nel testo si legge ancora che “la violenza, derivante dalla mancanza di valori, genera insicurezza e cresce nelle nostre città, impaurendo la nostra gente e danneggiando le persone più vulnerabili. Il traffico di droga e la tossicodipendenza, stanno guadagnando terreno nel Paese, mentre le persone ne subiscono le conseguenze. La corruzione priva coloro che rimangono emarginati dall'occasione di una ripresa; l'impunità politica e giudiziaria protegge e sostiene questa situazione. ‘Quindi, se noi riconosciamo questo, diciamo senza paura: abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento’ (dal discorso di Papa Francesco ai movimenti popolari)."

Opere sociali della Chiesa in grave difficoltà
Molte istituzioni e opere sociali della Chiesa in Bolivia si trovano in una situazione economica molto grave perché, oltre alla crisi che sta vivendo tutto il Paese, c’è anche la disposizione del governo di pagare la tredicesima a tutti, cosa che ha obbligato molte istituzioni a licenziare i dipendenti o a limitare i servizi. La settimana scorsa i rappresentanti della Chiesa avevano chiesto al governo di essere esonerati da questo obbligo ma la risposta è stata negativa. Per questo nel testo dei vescovi si legge: "E’ difficile realizzare opere di promozione umana e di assistenza sociale nel Paese, perché vengono trattati allo stesso modo, vale a dire con gli stessi requisiti fiscali, sia i progetti di servizio sociale religiosi e non-profit che le aziende che generano profitti".

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Giubileo: attivo modulo per la registrazione dei pellegrini on line

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E’ attivo sul sito del Giubileo della Misericordia www.im.va il modulo per la registrazione dei pellegrini per partecipare ai "Grandi eventi" dell’Anno Santo e prenotare il pellegrinaggio alla Porta Santa. Ci si può registrare come singoli pellegrini oppure come responsabile di un gruppo. I biglietti per tutti gli eventi sono gratuiti. Per i pellegrini diretti alla Porta Santa è previsto un tragitto pedonale riservato da Castel Sant’Angelo, percorrendo Via della Conciliazione e attraversando Piazza Pio XII e Piazza San Pietro.

Registrazione dei pellegrini
Per registrarsi – si ricorda sul sito del Giubileo della Misericordia - è necessario compilare un modulo suddiviso in 4 sezioni. La prima è dedicata alla raccolta dei dati generali del gruppo o del singolo pellegrino. Il passaggio successivo prevede poi l’inserimento de dati anagrafici e di contatto del responsabile del gruppo (o del singolo pellegrino). Il responsabile si farà garante del gruppo e riceverà le informazioni tramite e-mail. La terza sezione è facoltativa e serve per indicare un eventuale vice-responsabile. Si raccomanda di fornire questa informazione, soprattutto per i gruppi numerosi. Nella quarta sezione del modulo si richiedono l’accettazione delle norme e l’inserimento del codice di sicurezza. Terminata la registrazione, si riceverà una e-mail contenente un link. Si verrà quindi indirizzati ad una pagina web dove verrà richiesto di creare la propria password. Utilizzando il proprio indirizzo e-mail (indicato precedentemente) e la password scelta, si potrà entrare nell’area riservata. In questa area sarà possibile modificare la propria scheda di registrazione, iscriversi ai "Grandi eventi" del Giubileo e prenotare il passaggio della Porta Santa di San Pietro.

Iscrizione ai "Grandi eventi" del Giubileo
I "Grandi eventi" del Giubileo sono quelli per cui si prevede la massima affluenza di persone. Una volta completata la registrazione, si può accedere all’area riservata ed iscriversi a questi "Grandi eventi": Giubileo degli Operatori dei Pellegrinaggi; Giubileo della Spiritualità della Divina Misericordia; Giubileo dei Diaconi; Giubileo dei Sacerdoti; Giubileo degli Ammalati e delle persone Disabili; Giubileo degli Operatori e dei Volontari della Misericordia; Giubileo dei Catechisti; Giubileo Mariano. Per completare l’iscrizione bisogna compilare 3 schede relative alla composizione del gruppo e ai dati del viaggio. Dopo qualche giorno dall’iscrizione ad un evento, sarà possibile scaricare un documento in formato PDF contenente il codice di registrazione ed altre informazioni riguardanti il gruppo. Una volta giunti a Roma, questo documento dovrà essere presentato al Centro di Accoglienza Pellegrini (in Via della Conciliazione, 7) per ritirare il materiale riguardante l’evento. Sarà sufficiente che il responsabile del gruppo o un suo delegato ritiri il materiale per tutti i membri.

Prenotazione del pellegrinaggio alla Porta Santa
Per consentire a tutti i pellegrini di vivere con serenità ed in clima di preghiera il pellegrinaggio verso la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, è richiesta la prenotazione del proprio pellegrinaggio. Attraverso la stessa procedura di registrazione pellegrini sopra descritta, è possibile prenotare il pellegrinaggio scegliendo il giorno desiderato e specificando la preferenza tra mattina (7.00 – 13.00) oppure pomeriggio (13.30 – 17.00). Prima di procedere alla prenotazione, sarà necessario verificare la disponibilità della data prescelta. Nei giorni in cui si svolgeranno le Udienze generali del mercoledì, le Udienze giubilari del sabato (una al mese), i Grandi Eventi e altre celebrazioni con la presenza del Santo Padre, non sarà possibile prenotare il  pellegrinaggio attraverso la Porta Santa. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Focolari. Congresso su ambiente, persona e diritti

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Un Congresso internazionale per riflettere e dibattere sul rapporto tra ambiente, persona e diritti, partendo dalle legislazioni vigenti nelle diverse aree geografiche e prospettando nuove aperture giuridiche di partecipazione. È quello organizzato dal Movimento dei Focolari e ospitato, da oggi a domenica prossima, al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. Esperti, docenti, giuristi assieme a studenti di 21 Paesi e quattro continenti si confrontano su temi portati alla ribalta non solo dalle cronache, ma anche dalla visione proposta di recente da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’”. Inchieste sui danni all’ambiente di origine illecita, coinvolgimento delle popolazioni in proposte legislative, fermezza davanti ai “poteri forti” presenti nell’apparato degli Stati, la scelta della legalità contro la corruzione dilagante in molti ambiti istituzionali: un tavolo di dibattito ricco di spunti e interventi di professionisti che aderiscono all’iniziativa proposta dalla rete di “Comunione e Diritto”, piattaforma creata nel 2011 come emanazione culturale del Movimento dei Focolari per condividere difficoltà e prospettive giuridiche, anche in campo ambientale, e dare voce a Paesi diversi e distanti tra di loro, alcuni spesso dimenticati. Un contributo ai lavori sarà offerto, domenica 15 novembre, anche da Maria Voce, presidente dei Focolari, nonché primo avvocato donna iscritta nel foro di Cosenza (Italia). Tra gli ospiti del Congresso, il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e Maurizio D’Errico, presidente del Consiglio Nazionale di Notariato. (A.D.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 317

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.