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Sommario del 14/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: vicino al dolore della Francia, tutto questo "non è umano"

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La condanna totale della “violenza che non può risolvere nulla” e una preghiera di “conforto” per chi è stato colpito da così “orribili attacchi”, rivolti alla Francia e “alla pace di tutta l’umanità”. Sono alcune delle parole con le quali Papa Francesco ha espresso in un comunicato ufficiale e poi in telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il suo profondo sgomento per la terribile strage che ieri sera ha insanguinato Parigi – sei attacchi armati in simultanea, rivendicati dall’Is, che hanno fatto, bilancio provvisorio, 128 morti e oltre 250 feriti, dei quali un centinaio in gravi condizioni. Il Papa ha voluto commentare quanto accaduto anche in breve colloquio telefonico con il direttore di TV2000, Lucio Brunelli. Il servizio di Alessandro De Carolis

Se fosse possibile personificare il dolore più incredulo, basterebbe ascoltare le parole del Papa e ancor più quello che, tra una parola e l’altra, dicono i suoi silenzi:

“Io sono commosso ed addolorato e non capisco ... ma queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani…”.

“Questo è un pezzo…”
Lo sgomento di Francesco è il sentimento del mondo civile, che ha dovuto assistere alla mattanza di Parigi. Una città trasformata in un arena senza scampo, gente inerme che passa dalla vita alla morte freddamente crivellata come in uno di quei videogame barbari, dove si gode nel fare a pezzi chiunque si pari davanti al mirino. Pezzi come la terza guerra mondiale che da tanto tempo si combatte, quella che il Papa va ricordando a tutti:

“Eh sì, questo è un pezzo. Ma non ci sono giustificazioni per queste cose (...) Questo non è umano...”.

Attacco alla pace dell’umanità
Francesco aveva già esecrato di primo mattino l’orrore scatenato nella capitale francese. Lo aveva fatto attraverso le parole di padre Federico Lombardi. “Siamo sconvolti da questa nuova manifestazione di folle violenza terroristica e di odio che condanniamo nel modo più radicale insieme al Papa e a tutte le persone che amano la pace”, aveva affermato il direttore della Sala Stampa Vaticana. “Preghiamo per le vittime e i feriti e per l'intero popolo francese. Si tratta di un attacco alla pace di tutta l'umanità che richiede una reazione decisa e solidale da parte di tutti noi per contrastare il dilagare dell'odio omicida  in tutte le sue forme”.

“Voglio tanto bene” alla Francia
Nelle parole del telegramma giunto più tardi e indirizzato all’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, c’è ovviamente spazio per l’invocazione a “Dio, Padre di misericordia”, cui Francesco affida le vittime e le loro famiglie, come ripete più volte nella conversazione telefonica:

“Per questo sono commosso e addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro (…) sono vicino a tutti quelli che soffrono e a tutta la Francia, cui voglio tanto bene”.

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Padre Lombardi: non è tempo di rinunciare al Giubileo

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Non è proprio il tempo di rinunciare al Giubileo, di fronte all’odio l’Anno Santo è un messaggio di misericordia contro la paura. E’ quanto afferma ai microfoni della Radio Vaticana il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi

In questi giorni tristi per l’imperversare di una violenza omicida folle e orribile, molti si domandano come reagire. Alcuni si fanno già la domanda su come vivere l’attesa del Giubileo. Attenzione! Questi omicidi posseduti da un odio insensato si chiamano terroristi proprio perché vogliono diffondere il terrore. Se noi ci lasciamo spaventare, hanno già raggiunto un loro primo obiettivo. E’ una ragione di più per resistere con decisione e con coraggio alla tentazione della paura.

Naturalmente bisogna essere prudenti e non irresponsabili, prendere le precauzioni che siano ragionevoli. Ma dobbiamo continuare a vivere costruendo pace e fiducia reciproca. Perciò direi che il Giubileo della misericordia si manifesta ancora più necessario. Un messaggio di misericordia, cioè di amore di Dio che ha come conseguenza anche l’amore reciproco e la riconciliazione. E’ esattamente la risposta che bisogna dare in tempi di tentazione di sfiducia.

Giovanni Paolo II diceva che il messaggio della misericordia era stato la grande risposta di Dio e dei credenti nel tempo oscuro e orribile della seconda guerra mondiale, dei massacri operati dai totalitarismi, della diffusione dell’odio fra i popoli e le persone.

Anche oggi, quando il Papa Francesco parla della terza guerra mondiale a pezzi, è necessario il messaggio della misericordia per renderci capaci di riconciliazione, di costruire ponti nonostante tutto, di avere il coraggio dell’amore.

Non è proprio tempo di rinunciare al Giubileo o di averne paura. Ne abbiamo più bisogno che mai. Dobbiamo viverlo con saggezza, ma anche con coraggio e con slancio spirituale, continuando a guardare in avanti con speranza nonostante gli attacchi dell’odio. Papa Francesco ci guida e ci invita ad avere fiducia nello Spirito del Signore che ci accompagna.

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Papa: in ogni migrante c'è l'inalienabile dignità di figlio di Dio

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Dietro ogni migrante c’è “la sua inalienabile dignità di figlio di Dio”. Così il Papa al Jesuit Refugee Service (Jrs), realtà della Compagnia di Gesù che da 35 anni va incontro ai bisogni “sia umani sia spirituali” dei rifugiati, per “vedere rispettata la loro dignità umana ferita”. Accompagnarli, servirli, e difenderne i diritti, ha ricordato, significa anche occuparsi dell’educazione, perché dare ai bambini un banco di scuola è il “regalo più bello” che si possa loro fare. Il servizio di Giada Aquilino

Dietro ogni statistica sui migranti ci sono persone e dignità
Il fenomeno delle migrazioni forzate è oggi “drammaticamente aumentato”. Papa Francesco muove dai dati dell’Onu, che valutano in quasi 60 milioni i rifugiati oggi in tutto il mondo, e parla al Jesuit Refugee Service di “folle di profughi” che partono da diversi Paesi “del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia” e cercano “rifugio in Europa”: si tratta, nota, della “cifra più alta dalla 2ª Guerra Mondiale”:

“Dietro queste statistiche ci sono persone, ciascuna con un nome, un volto, una storia, e la sua inalienabile dignità di figlio di Dio”.

Padre Arrupe e il Jesuit Refugee Service
Dopo aver ascoltato le testimonianze sull’impegno in tutto il mondo, il Papa ricorda la nascita del Jesuit Refugee Service, voluto 35 anni fa da padre Pedro Arrupe, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù: il Signore - spiega il Pontefice - gli diede “la gioia di congedarsi” parlando proprio in un centro per rifugiati in Asia e quello fu il suo “canto del cigno”. Ma prima volle rispondere alla “sfida” dell’esodo di profughi dell’epoca: i boat people sud-vietnamiti, esposti agli attacchi dei pirati e alle tempeste nel Mar Cinese Meridionale:

“Volle che il Jesuit Refugee Service andasse incontro ai bisogni sia umani sia spirituali dei rifugiati, quindi non soltanto alle loro immediate necessità di cibo e di asilo, ma anche all’esigenza di vedere rispettata la loro dignità umana ferita, e di essere ascoltati e confortati”.

Al fianco di rifugiati, profughi e sfollati interni
Oggi quella “iniziativa” opera in dieci diverse regioni, con progetti in 45 Paesi, “accompagnando rifugiati e popolazioni nelle migrazioni interne”. Tre i punti fondamentali della missione: “accompagnare, servire, difendere i diritti dei rifugiati”.

“La scelta di essere presenti nei luoghi dove c’è maggiore bisogno, in zone di conflitto e di post-conflitto, vi ha resi internazionalmente conosciuti per essere vicini alla gente, capaci di imparare da essa come meglio servire”.

Educazione mette al riparo da pericoli
I gruppi del Jrs, assieme a religiose, collaboratori laici e rifugiati stessi, molti presenti in Sala Clementina, sono impegnati in Siria, Afghanistan, Repubblica Centrafricana e nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove accolgono – mette in luce Francesco – “persone di fedi diverse” che condividono la medesima missione. Il lavoro del Jesuit Refugee Service offre “speranza e futuro” ai rifugiati, anzitutto mediante il servizio dell’educazione, che “riveste speciale importanza” e mette al riparo “dai pericoli”:

“Offrire educazione è molto più che dispensare nozioni. È un intervento che offre ai rifugiati qualcosa per cui andare oltre la sopravvivenza, mantenere viva la speranza, credere nel futuro e fare dei progetti. Dare ai bambini un banco di scuola è il regalo più bello che possiate fare”.

Nemmeno scuole risparmiate da violenza dei conflitti
Lo scopo di tali programmi è, nelle parole del Pontefice, quello di “aiutare i rifugiati a crescere nella fiducia in sé stessi, a realizzare il massimo del potenziale insito in loro e a metterli in grado di difendere i propri diritti come singoli e come comunità”:

“Per bambini costretti ad emigrare, le scuole sono spazi di libertà. In classe, vengono accuditi dagli insegnanti e sono protetti. Purtroppo, sappiamo che nemmeno le scuole sono risparmiate dagli attacchi di chi semina violenza. Invece le aule scolastiche sono luoghi di condivisione, anche con bambini di culture, etnie e religioni differenti, dove si segue un ritmo regolare, un ordine confortevole, in cui i bambini possono di nuovo sentirsi ‘normali’, e i genitori felici di saperli a scuola”.

Perché l’istruzione, spiega Francesco, “offre ai piccoli rifugiati una via per scoprire la loro autentica vocazione, sviluppandone le potenzialità”:

“Tuttavia, troppi bambini e giovani rifugiati non ricevono un’educazione di qualità. L’accesso all’educazione è limitato, specialmente per le ragazze e per la scuola secondaria”.

Le iniziative durante il Giubileo
Per questo, durante il prossimo Giubileo della Misericordia, ricorda il Papa, il Jesuit Refugee Service – assieme a sostenitori e benefattori e al Gruppo internazionale di sviluppo - si è posto l’obiettivo di aiutare altri 100.000 giovani rifugiati ad andare a scuola, con l’iniziativa di “Educazione Globale” e il motto: “Mettiamo in moto la Misericordia”: la misericordia del Signore, conclude, raggiungerà così “tanti bambini e famiglie nei prossimi anni”, pensando alla Santa Famiglia fuggita in Egitto per scampare alla violenza e “cercare rifugio presso stranieri”.

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Udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

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I membri del 14.mo Consiglio ordinario della Segreteria del Sinodo

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Il 14.mo Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi ha comunicato in una nota l’elenco completo dei suoi componenti. I membri Eletti dai Padri Sinodali

1.        Sua Em.za Rev.ma Card. Christoph SCHÖNBORN, O.P., Arcivescovo di Wien, Presidente della Conferenza Episcopale (Austria).

2.        Sua Em.za Rev.ma Card. Wilfrid Fox NAPIER, O.F.M., Arcivescovo di Durban (Sud Africa).

3.        Sua Em.za Rev.ma Card. Oscar Andrés RODRÍGUEZ MARADIAGA, S.D.B., Arcivescovo di Tegucigalpa, Presidente della Conferenza Episcopale (Honduras)

4.        Sua Em.za Rev.ma Card. Peter Kodwo Appiah TURKSON, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Città del Vaticano)

5.        Sua Em.za Rev.ma Card. George PELL, Prefetto della Segreteria per l'Economia (Città del Vaticano).

6.        Sua Em.za Rev.ma Card. Marc OUELLET, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi (Città del Vaticano)

7.        Sua Em.za Rev.ma Card. Oswald GRACIAS, Arcivescovo di Bombay, Presidente della Conference of Catholic Bishops of India [C.C.B.I.] (India).

8.        Sua Em.za Rev.ma Card. Luis Antonio G. TAGLE, Arcivescovo di Manila (Filippine).

9.        Sua Em.za Rev.ma Card. Vincent Gerard NICHOLS, Arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna), Presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles.

10.    Sua Em.za Rev.ma Card. Robert SARAH, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (Città del Vaticano)

11.    Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Charles Joseph CHAPUT, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Philadelphia (Stati Uniti d'America).

12.    Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Bruno FORTE, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia)

Questi i membri del Consiglio di nomina pontificia:

  1. Sua Beatitudine Rev.ma Louis Raphaël I SAKO, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (Iraq)
  2. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Carlos OSORO SIERRA, Arcivescovo di Madrid (Spagna)
  3. Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Sérgio DA ROCHA, Arcivescovo di Brasília, Presidente della Conferenza Episcopale (Brasile).
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Beatificazione in Brasile di don Francisco de Paula Victor

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“La sua vita fu un Vangelo”: è in questa frase incisa su una lapide nella parrocchia di don Francisco de Paula Victor, sacerdote brasiliano di origine africana, che si riassume la vita del nuovo Beato. A presiedere oggi il rito nello Stato di Minas Gerais, in Brasile, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Benedetta Capelli

E' una storia che inizia con un sogno anche se negli anni a cavallo dell’800-‘900 non a tutti è permesso di farlo, soprattutto nella società brasiliana di quel tempo e se si è figli di una schiava afro-americana. Eppure nel cuore di Francisco de Paula Victor il seme della vocazione è stato gettato e può solo germogliare. Nella comunità cristiana di Campanha, terra di santi e testimoni credibili come la Beata Francisca de Paula, completamente votata ai poveri, per Francisco si prospetta una vita all’insegna del lavoro nei campi, poi la sua madrina di battesimo, Marianna de Santa Barbara Ferreira, lo avvia al mestiere di sarto. Ma neppure questo è il suo cammino, sfidando pregiudizi e ostacoli di ogni genere decide di percorrere la strada del sacerdozio. Il cardinale Angelo Amato:

“Un suo compagno di seminario, lo descrive come un giovane dal cuore d'oro: ‘La sua anima è tanto bianca quanto nera è il colore della sua pelle’”.

A 24 anni l’ordinazione sacerdotale poi il trasferimento nella chiesa madre di Campanha, dove rimase fino al 1852, e lo spostamento a Três Pontas, qui morì nel 1905. Ancora il cardinale Amato:

“Don Victor fu un parroco generoso e dinamico. Era molto attivo nella catechesi e nell'amministrazione dei sacramenti. Introdusse il mese in onore della Madonna e percorreva a cavallo le zone rurali per portare conforto spirituale ai più lontani. Tra il 1852 e il 1905, anno della sua morte, impartì il battesimo a 8790 neonati figli di bianchi e a 383 figli di schiavi”.

Favorì la nascita di una scuola, offriva le offerte ai bisognosi. Un “pastore buono secondo il cuore di Cristo, umile araldo del Vangelo e zelante educatore dei giovani” lo descrive Papa Francesco. Uno straordinario modello di sacerdote e parroco con una dote innata: l’umiltà. Il cardinale Amato:

“Un giorno Padre Victor tornava in treno da Campanha a Três Pontas. Al suo arrivo il popolo lo aspettava con la banda musicale. C'era nel treno anche un generale. Questi, pensando che l'accoglienza fosse per lui, chiese a padre Victor, di portargli la valigia, avendolo scambiato per un facchino. Con semplicità il santo sacerdote portò la valigia del generale. Quando il popolo vide il suo parroco, gli andò incontro festante. Allora il generale chiese chi fosse quell'uomo. Gli fu risposto: ‘è Padre Victor e noi siamo qui per accoglierlo’”.

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Mons. Fisichella: Giubileo apre misericordia di Dio a tutti

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Un viaggio nella storia del Giubileo attraverso le bolle papali di indizione, dal primo Anno Santo del 1300 alla Misericordiae vultus di Papa Francesco. E’ quanto si propone il volume “Gli anni santi nella storia della Chiesa” scritto da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, l'istituzione che si sta occupando dell'organizzazione dell'Anno Santo. Il volume, edito della Lev, è stato presentato ieri in quella che è stata un'occasione per parlare delle specificità del Giubileo della Misericordia. Il servizio di Michele Raviart

Tra meno di un mese, l’8 dicembre, inizierà il Giubileo straordinario della Misericordia, ultimo di una tradizione iniziata nel 1300 con Bonifacio VIII. Nato dall’esigenza di abbreviare le lunghe penitenze comminate per i peccati di omicidio, adulterio ed apostasia, nel corso dei secoli l’Anno Santo è rimasto sostanzialmente immutato. Il Giubileo della Misericordia, indetto l’11 aprile con la bolla Misericordiae vultus presenta tuttavia dei caratteri unici. Ascoltiamo mons. Rino Fisichella:

“La straordinarietà è data anche dal tema della misericordia. Papa Francesco è il Papa della misericordia e imprime all’interno di questo Giubileo quello che è il suo insegnamento pastorale. Questo poi viene esplicitato da tanti altri segni: penso ad esempio all’invio dei 'missionari della misericordia', a cui il Papa darà la facoltà di perdonare quei peccati che sono riservati a lui. Penso al segno di aver voluto estendere a tutti i sacerdoti del mondo la possibilità di assolvere dal peccato di procurato aborto. È insomma un Giubileo che, offrendo a tutte quante le diocesi - a tutto il mondo - la possibilità di aprire la Porta della misericordia, estende in un orizzonte privo di confini la ricchezza propria della misericordia di Dio che va incontro a tutti e non esclude nessuno”.

Come nel Giubileo del 2000, non sarà necessario quindi raggiungere Roma per ottenere l’indulgenza dai peccati e andare in pellegrinaggio nelle quattro Basiliche maggiori. Papa Francesco aprirà infatti una Porta della Misericordia nell’ostello della Caritas di Roma e inaugurerà personalmente la prima Porta Santa in Repubblica Centrafricana il prossimo 29 novembre. Annunciato per la fine del Giubileo un incontro a San Pietro con i detenuti, che, per l’occasione, potranno lasciare il carcere. Ancora mons. Fisichella:

“Stiamo lavorando con l’autorità civile perché, ovviamente, è un Giubileo che deve essere organizzato in maniera coerente, e ci sono procedure, leggi, che devono essere rispettate. Ma ho la consapevolezza che sarà un evento con una sua realizzazione piena”.

Stanziati dalle istituzioni italiane 200 milioni di euro per l’evento che, spiega ancora mons. Fisichella, saranno di aiuto a Roma anche dopo il Giubileo:

“Il governo, e quindi tutto il Paese, segue con molta attenzione l’evento, che rimane un evento spirituale, ma che in ogni caso accoglie in sé anche delle esigenze di cui Roma ha bisogno. Avremo l’opportunità di vivere a Roma un Giubileo che sarà veramente pieno”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non ci sono giustificazioni: in prima pagina, la condanna del Papa per la strage a Parigi con editoriali di Lucetta Scaraffia ("La ferita e il vuoto") e Luca M. Possati ("Di fronte alla sfida del terrore").

La necessità dell'incontro: Muhammad Sammak su musulmani contro la cristianofobia.

La spia di San Sabba: Gaetano Vallini racconta traditori e traditi a Trieste sotto il nazismo.

Scandalo e verità: Cristiana Dobner su fratel Jochanan Elichaj e la purificazione della memoria.

Un articolo di Silvina Pérez dal titolo "Una Chiesa nuova per gli immigrati del Centroamerica": negli ultimi giorni aumentati dell'ottanta per cento gli arrivi alla frontiera del Messico.

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Oggi in Primo Piano



Orrore a Parigi: almeno 128 morti in diversi attacchi. L'Is rivendica

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La Francia è sotto choc. Almeno 128 morti, più di 250 feriti: è il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, di una notte di attacchi terroristi a Parigi rivendicati dall'Is. Gli attentati si sono verificati in più luoghi. Il presidente francese Hollande ha dichiarato lo stato d'emergenza su tutto il territorio. Ripristinati i controlli alle frontiere. La Francia – ha detto il capo dell’Eliseo - deve essere forte. I terroristi vogliono farci paura ma non ci riusciranno. Chiusi oggi scuole e musei. Massimiliano Menichetti: 

Alle 21.20 la prima esplosione, seguita da una seconda ed una terza ad opera di kamikaze, è fuori dallo Stadio di Francia, a Saint Denis a nord della capitale mentre si gioca l’amichevole tra Francia e Germania. Gli spettatori non si accorgono di nulla, il presidente Hollande che assiste alla partita viene immediatamente prelevato, la paura e il panico arrivano alla fine del match quando viene annunciato cosa è successo e dagli spalti tutti si riversano in campo. Fuori Parigi è come Beirut, Tripoli o Bagdad. La Francia è sotto un attacco senza precedenti. I colpi di kalashnikov colpiscono i cosiddetti "soft target", gli obbiettivi facili, non protetti bar o ristoranti come "Le Petit Cambodge" e "La Belle Equipe", al "Bataclan" storica sala da ballo, dove 1.500 persone stanno seguendo un concerto, è una carneficina: quattro terroristi hanno massacrato oltre 80 persone. Dopo l’incursione delle teste di cuoio che uccidono un attentatore, altri tre azionano una cintura esplosiva. La gente fugge grida alcuni vengono travolti, c'è chi trascina i feriti nel tentativo di metterli al sicuro. "E’ un orrore abbiamo mobilitato tutte le forze possibili”, E' stato "un atto di guerra" dice il presidente Hollande in conferenza stampa. Parla di “una Francia determinata, unita che non si lascerà impressionare e che condurrà una battaglia spietata contro i terroristi”. Otto gli attentatori uccisi, 7 sono kamikaze, altri sono tuttora in fuga. I testimoni parlano di uomini addestrati e coordinati che sparavano ovunque, urlavano "Allah Akhbar", "Allah è grande", riferiscono. In Francia lo stato di allerta è “Alfa Rouge” il massimo possibile, i militari sono arrivati in una capitale attonita e in lutto. Intanto su internet i siti di matrice jihadista inneggiano al terrore: "E’ l’11 settembre della Francia” si legge, mentre rilanciano la strategia della paura: “Prossimi obiettivi saranno - scrivono - Roma, Londra e Washington”.

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Attentati Parigi. Commozione e sdegno in tutto il mondo

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Continuano ad arrivare da tutto il mondo parole di condanna per gli attentati di ieri sera a Parigi. Vicinanza e commozione sono state espresse per tutto il popolo francese dai grandi della Terra, mentre la solidarietà dei cittadini vola via Twitter. Ce ne parla Roberta Barbi

“This is an attack not just on Paris, it’s an attack not just on the people of France…
“Un attacco non solo al popolo francese, ma a tutta l’umanità e ai valori che condividiamo”. Queste le parole di condanna del presidente degli Stati Uniti Barack Obama dopo gli attentati di Parigi: “Ancora una volta siamo di fronte a un vergognoso tentativo di terrorizzare civili innocenti”, ha detto, e poi, in un messaggio congiunto con il suo omologo francese Hollande: “Continueremo a lavorare insieme per sconfiggere il flagello del terrorismo”.

Solidarietà con il popolo francese, offerte di aiuto e preghiere per le vittime arrivano dai grandi della Terra via twitter: “Sono scioccato, i nostri pensieri sono con il popolo francese”, scrive il premier britannico David Cameron, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel si stringe a tutti gli abitanti di Parigi. “La mia piena solidarietà e simpatia al popolo e alle autorità francesi”, è il tweet del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, mentre una condanna dura per tali “atti barbarici e vigliacchi” arriva dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui segretario generale Ban Ki-moon ha espresso “fiducia alle autorità francesi che riusciranno a portare i responsabili davanti alla giustizia”.

Vicinanza e preghiere per le vittime arrivano anche dall’India, mentre in un messaggio a Hollande, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella afferma di seguire gli sviluppi “con apprensione e dolore”. Dall’Italia manifestazioni di solidarietà anche dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che oggi, in via eccezionale, presiederà il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Proprio a Roma, prima che a Parigi, sarebbe dovuto arrivare a giorni il presidente iraniano Hassan Rohani che ha annullato il suo viaggio in Europa e ha condannato i terroristi per questo “crimine contro l’umanità”, parlando “in nome del popolo iraniano, che a sua volta è stato vittima di terrorismo”.

Di “assassini disumani” ha parlato il presidente russo Vladimir Putin in un telegramma al suo omologo Hollande in cui esprime anche le sue “profonde condoglianze” e un invito all’intera comunità internazionale perché unisca i propri sforzi contro il terrorismo. Anche dal governo cinese arriva l’offerta di collaborazione alla Francia nella lotta al terrorismo e la ferma condanna del presidente Xi Jinping a quelli che definisce “atti barbarici”.

Dal Medio Oriente giunge la condanna di Hamas e il cordoglio dello Stato di Israele che si dice “sconvolto” per quanto avvenuto: “Combatteremo il terrorismo al fianco della Francia”, ha aggiunto il premier Netanjahu.

E anche la solidarietà della gente comune corre sui social: dopo l’hashtag Porte Ouverte con cui molti cittadini hanno offerto ospitalità per la notte a chiunque ne avesse bisogno, l’hashtag Recherche raccoglie le ricerche dei parenti che ancora non hanno avuto una risposta; facebook, invece, ha attivato il pulsante di emergenza “Sono sicuro” per dare notizie sulla propria sicurezza.

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Attacchi di Parigi: le testimonianze di due giovani italiani

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Choc, angoscia e dolore. Sono questi i sentimenti con cui oggi la popolazione francese, e non solo, ripercorre i drammatici momenti degli attacchi a Parigi. Amedeo Lomonaco ha raccolto la testimonianza di una ragazza italiana, Chiara Capone, che si è trasferita nella capitale francese per motivi di studio: 

R. – Proprio come qualsiasi altro italiano che è venuto qui, effettivamente ci si rende conto della paura che hanno queste persone solamente a uscire di casa, di prendere una metropolitana, andare al cinema, entrare in un bar per prendere qualcosa da bere con gli amici. I giornali francesi parlano di “absence d’étonnement” che in italiano significa “assenza di stupore”. E’ come se il popolo francese fosse rassegnato, come se questa fosse la sconfitta più grande che si possa avere. È come se non ci si stupisse più che qualcosa possa accadere all’improvviso, che si possa perdere qualcuno di caro all’improvviso. E io, che sono venuta a studiare qui – e avrei voluto vivere un’esperienza un po’ più serena – non mi aspettavo un clima così pesante.

D. – Guardando oggi le strade del quartiere in cui vivi, che situazione puoi percepire anche semplicemente aprendo la finestra?

R. – C’è un silenzio tombale. Non si è mai sentita una Parigi così silenziosa… E’ una cosa incredibile! Ogni sabato mattina, qui c’è sempre tanto movimento. I bambini non vanno a scuola e sono accompagnati dai genitori nei parchi: proprio vicino casa mia ce n’è uno, il parco di Montmartre. Non si sente assolutamente niente: sono tutti barricati in casa e tutti hanno paura e terrore soltanto di uscire.

D. – Stando a Parigi, hai percepito una sorta di distacco da parte dei parigini nei confronti della comunità islamica, che poi è molto presente in Francia, oppure c’è un’integrazione  molto forte?

R. – Sì, io mi sto rendendo conto sempre di più che purtroppo Parigi ha i suoi lati oscuri e soprattutto ha una popolazione con talmente tante etnie che purtroppo queste non si integrano facilmente tra di loro. Ed è visibile. Per chi vive a Parigi, ogni giorno questo è visibile. Un turista che viene per cinque sei giorni vede solo il lato bello di Parigi. Ma purtroppo non è così: ci sono piccoli episodi quotidiani di cui solo chi vive qui si può rendere conto. Forse, questo spiega anche l’assenza di stupore da parte del popolo francese, anche perché queste non sono persone straniere, ma hanno la nazionalità francese. I sopravvissuti del Bataclan hanno detto che loro non hanno sentito differenza di accento. E questo vuol dire che queste persone sono nate in Francia, che sono francesi. Quindi, è come se il male fosse “all’interno”… Si è deciso di bloccare le frontiere, ma il problema è all’interno: si tratta di ragazzi che sono entrati lì come qualsiasi altro giovane italiano o francese, con la differenza che avevano un kalashnikov in mano. Come si può prevedere una cosa del genere? Come si fa ad avere un controllo assiduo, quotidiano, se questa gente fa parte della popolazione francese?

D. – Io sento anche la tua voce molto commossa: come pensi che sarà adesso il tuo futuro a Parigi?

R. – Probabilmente, a differenza di due mesi fa, sto avendo una visione più realista delle cose. Ho la consapevolezza che sto vivendo in una città che, purtroppo, non offre soltanto meraviglie, ma anche questo. Probabilmente, c’è una presa di coscienza che Parigi, oggi, è una città pericolosa.

La Francia sta dunque vivendo con angoscia queste drammatiche ore. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, un giovane italiano, Paolo Gandolfi, che vive in una cittadina a nord di Parigi: 

R. – Lo choc purtroppo è fortissimo per tutti noi che viviamo questa situazione terribile. E l’angoscia è quella di vedere le nostre vite costantemente in pericolo dopo questa barbarie. Qui, c’è pochissima gente in giro e c’è veramente un misto di paura e di profonda angoscia… Io vivo a Parigi da un po’ di anni, ho tanti amici che ieri erano in centro e si sono trovati in una situazione di angoscia, nella situazione di dover tornare a casa dopo questi terribili attentati. E quindi, si respira veramente un’ansia palpabile da parte di tutta la cittadinanza. Le preoccupazioni ci sono sempre state, soprattutto dopo quello che era già successo a gennaio, con l’altro terribile attentato a Charlie Hebdo che aveva colpito i giornalisti e altri cittadini. Sappiamo, per esempio, che il presidente Hollande aveva detto che erano riusciti a evitare altri attentati nei mesi scorsi. E quindi si vive – si convive – sempre con l’angoscia terribile che possa succedere qualcosa di grave, come purtroppo quello che è avvenuto ieri. Parigi adesso è veramente una città deserta, silenziosa, e anche attonita dopo quello che è successo.

D. – Dopo quello che è successo può cambiare, e come cambierà eventualmente, il rapporto della popolazione francese con la forte e numerosa comunità islamica presente nel Paese?

R. – Noi viviamo ogni giorno vicino a popolazione di qualunque tipo: islamici; cristiani, cattolici, e di qualunque altra religione, o anche con non credenti. Quindi, il fatto è che non bisogna lasciarsi prendere dal panico e bisogna convivere in pace quotidianamente, cercando sempre il dialogo tra le religioni e tra tutti. Qui, la presenza islamica è molto forte, ma per lo più si tratta di persone integrate, che vivono qui in maniera civile. Purtroppo, gli estremisti ci sono e vanno fermati in ogni modo.

D. – Può questo episodio così drammatico cambiare anche la percezione francese sulla politica estera del Paese?

R. – Certamente, il fatto che la Francia sia in prima linea, sempre in conflitti molto pericolosi e molto gravi, amplifica e complica le cose. La Francia è in prima linea in conflitti e in terre come in Siria in cui interviene militarmente: questo può avere delle conseguenze. La politica estera è questa e quindi penso che abbia un peso rilevante. Bisognerebbe cercare di porre fine alle armi e cercare di far vincere la convivenza civile.

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Silvestri: strategia terrore è colpire la gente, difficile prevenire

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La strategia del terrore prende di mira ogni obiettivo, ora maggiormente quelli non protetti. E' quanto afferma Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, dopo gli attacchi a Parigi. Ascoltiamo la sua riflessione al microfono di Giancarlo La Vella: 

R. – Direi che il tentativo sia quello di una esportazione massiccia del terrore, quasi una strategia della tensione, attraverso queste cellule molteplici, che sono presenti nella società, e che attaccano indiscriminatamente. La caratteristica di questa nuova serie di attacchi di terrore è proprio questa: l’attacco indiscriminato per fare molti morti, ma non contro obiettivi politicamente o ideologicamente significativi: contro la società. Questa è una sorta di dichiarazione di guerra. Bisognerà vedere adesso come combattere questa guerra. Ci saranno molti modi, ma credo che tutto dovrà passare anche attraverso formule di solidarietà degli europei nei confronti delle vittime di tutto ciò.

D. – Dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e quelli che sono seguiti nei giorni successivi, i terroristi riescono nuovamente a colpire il centro di una capitale importante europea come Parigi. Cos’è mancato nel controllo, nella sicurezza?

R. – Questi sono attacchi molto difficili da bloccare, perché non mirano obiettivi sensibili, ma soltanto la popolazione normale, civile, dappertutto. Praticamente bisognerebbe sorvegliare ogni portone, ogni palazzo e diventa impossibile. Diciamo che l’unica speranza di bloccare queste cose sta nel prevenirle, riuscendo cioè ad individuare la cellula, quello che fornisce le armi e così via, prima che l’evento accada. In questo caso evidentemente non ci si è riusciti, vista questa operazione. In altri casi, fortunatamente sì. Purtroppo, questo è un tipo di attacco molto difficile da bloccare.

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Card. Sandri: violenza non ha mai giustificazione religiosa

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“Ho considerato la mia prigionia una sorta di ritiro spirituale, la preghiera mi ha dato conforto nei momenti più difficili. Ho avuto paura, ma sarei stato felice di offrire la mia vita in nome del Signore”. Così ha parlato questa mattina a Roma, nel palazzo lateranense, padre Jacques Mourad, che ha preso parte all’incontro dal titolo “I cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dal Centro pastorale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese. Padre Mourad ha raccontato la sua prigionia in Siria nelle mani dell’Is, durata circa cinque mesi e terminata lo scorso settembre. Tra i relatori, anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. che al microfono di Marina Tomarro ribadisce le ragioni per cui una presenza cristiana in Medio Oriente è imprescindibile: 

R. – Perché si perderebbe proprio la catena che ci collega con tutta la storia della fede cristiana, dai Patriarchi in poi. E quindi loro, lì, sono la presenza vivente di questa fede. Quindi, sì, possiamo sempre avere delle notizie, conoscere, ma se non abbiamo i cristiani… Per questo il Papa dice: un Medio Oriente senza cristiani non è più il Medio Oriente, è un’altra cosa.

D. – I tragici fatti di Parigi testimoniano che la guerra non è poi così lontana, purtroppo. Allora, che cosa fare?

R. – Di fronte a questi abominevoli fatti, come quello di Parigi, a questa violenza insensata, inumana, oltre al ripudio di tutta la società internazionale, si dovrebbero anche studiare le misure per poter evitare queste cose. Da parte nostra, da parte dei cristiani, diciamo sempre: la violenza non può essere giustificata da nessun argomento e meno ancora da un’argomentazione religiosa.

D. – C’è un modo, secondo lei, attraverso il dialogo, per arrivare alla pace?

R. – Io credo che si stia facendo e che dobbiamo anche rendere grazie che molti dei loro dirigenti abbiano iniziato un lavoro di educazione e di annuncio della vera interpretazione della religione musulmana, secondo i dettami della fraternità, della convivenza e della pace nel mondo.

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Betori: sinodalità e Chiesa in uscita per i cattolici italiani

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Una Chiesa motivata ad essere sempre più in uscita, un metodo sinodale per affrontare le questioni più urgenti e la spinta ad essere punto di riferimento per gli uomini in cammino. Sono questi i punti che il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, sottolinea al microfono di Luca Collodi, a conclusione del quinto Convegno Nazionale della Chiesa italiana: 

R. – Direi che ci hanno fatto un grande dono scegliendo questa città come luogo del Convegno e quindi portandoci anche il Santo Padre in questa visita che segna davvero la storia di questa città che si è raccolta intorno alla figura del Papa, alla persona del Papa con un affetto espresso in modo indescrivibile. Questo aprire il cuore di Firenze credo che sia il più bel dono che il Papa ci abbia fatto e che i vescovi italiani ci fanno con lui. Adesso si tratta di far crescere un’esperienza che è stata anche un’esperienza di impegno, perché non nascondo che l’accoglienza è stata anche una realtà molto impegnativa che però ha permesso di vedere la unità che c’è tra le istituzioni, qui; e questo è stato un aiuto fondamentale per il buon successo dell’evento, e dall’altra parte la generosità delle persone, perché senza il volontariato tutto questo non sarebbe stato fatto.

D. – Guardando al Convegno nazionale della Chiesa italiana, sembra che la Cei vada verso un percorso sinodale: che cosa significa questo, poi, nella realtà delle Chiese locali?

R. – Il Papa ci ha chiesto di continuare questa dimensione sinodale a tutti i livelli, ossia che occorra ascoltarsi di più, pensare di più insieme. Non che siano mancati momenti di riflessione, nella Chiesa italiana, ma forse un coinvolgimento ecclesiale in senso pieno, questo ci è mancato. Non voglio però sminuire gli appuntamenti precedenti: in fondo, tutto è nato dall’intuizione di Paolo VI e di un fiorentino, mons. Enrico Bartoletti – allora segretario generale della Cei – che vollero dare una continuità, appunto, di comunione ecclesiale al Concilio in Italia, senza cadere in forme di carattere troppo democraticista – chiamiamolo così – che fecero del male, invece, ad altre Chiese d’Europa. Sull’insegnamento di queste difficoltà che si erano manifestate in quelle Chiese, nacquero i Convegni ecclesiali in cui – io sono solito dire – l’aggettivo è più importante del sostantivo. Però, credo che questo momento in cui il Papa ci chiede, appunto, di dare anche un processo concreto alla sinodalità a tutti i livelli sia un passo avanti che però deve avere un suo contenuto, e il Papa questo contenuto ce l’ha dato con il riferimento cristologico di fondo, e i sentimenti di Cristo ci devono guidare in questa proiezione in uscita in cui sono gli altri il luogo in cui Cristo si rivela a noi e a loro. E noi dobbiamo essere soltanto delle persone che aiutano a scoprire Cristo e il suo Spirito già presenti nella Storia del mondo.

D. – Nel lavoro di questi giorni, qual è un elemento che come uomo e come pastore l’ha colpita, da riportare poi nella vita pastorale e sociale della Chiesa italiana?

R. – Questa dimensione relazionale interpersonale che si è riusciti a vivere in questo Convegno in cui l’articolazione dei lavori, in piccoli gruppi di 10 persone – che poteva sembrare, all’inizio, una modalità pesante – invece si è rivelata una modalità che ha permesso a tutti di esprimersi attraverso l’entrare in relazione da persona a persona.

D. – La sensazione, per concludere, è che sia un Convegno che non si chiude qua, a Firenze …

R. – No, no: il Convegno incomincia. Incomincia da qui e incomincia nel dar corpo con scelte concrete, e per esser concrete devono essere luogo per luogo. Non possiamo fare le scelte concrete “della Chiesa italiana”: sono le scelte concrete delle singole comunità. Lì arriva la concretezza vera. Quindi, c’è ancora tutto da “concretizzare”.

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Giornata mondiale del diabete: attenzione allo stile di vita

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Oggi si celebra la Giornata  Mondiale del Diabete, istituita nel 1991 dall’International Diabetes Federation e dall’Organizzazione della Sanità, il cui obiettivo è promuovere la conoscenza e la prevenzione di questa malattia che colpisce circa tre milioni e 700mila italiani. Lo slogan della giornata 2015 è: “Muovi i fili del diabete” e in centinaia di città italiane si svolgeranno eventi organizzati da Associazioni di persone con diabete, medici, infermieri, professionisti sanitari e organizzazioni come la Croce Rossa. Fra questi, il Policlinico Gemelli con una postazione alla Galleria Sordi. Di che tipo di patologia stiamo parlando e come prevenirla? Eliana Astorri lo ha chiesto al prof. Andrea Giàccari, associato di endocrinologia presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma: 

R. – Ci sono due forme di diabete: una forma cosiddetta di tipo 1, che appare in età più giovanile, dove il pancreas non è più in grado di produrre insulina e dove quindi, chi è affetto da questa malattia, per combattere la conseguente iperglicemia deve necessariamente utilizzare l’insulina; e una natura più comune, il diabete cosiddetto di tipo 2, che un tempo appariva con l’età avanzata – intorno ai 60, 70 anni – e sembrava un qualcosa di modesto: un po’ di glicemia, un po’ di diabete. Attualmente questa forma di diabete – il diabete di tipo 2 – sta assumendo dei termini di prevalenza simile ad una vera e propria epidemia, che deve quindi essere combattuta come una vera epidemia, come se fosse quasi una malattia infettiva, perché sta sostanzialmente diventando una pandemia. Questa giornata nasce proprio per approfondire, per migliorare la conoscenza del diabete e far sì che si possa combattere fin da subito.

D. – Quali sono i sintomi del diabete, come ci si può rendere conto da soli se qualcosa non va in questo senso?

R. – Questo è il principale problema del diabete. Nel diabete di tipo 2 non ci sono sintomi, se non nel momento in cui la malattia è già in stato grave e avanzato. Quindi il grosso problema è che noi abbiamo almeno il 25 per cento degli italiani che ha il diabete e non lo sa, semplicemente perché non ha fatto alcune analisi, anche banali. Talvolta, però, basta poco: uno screening, riempire semplicemente un questionario, sapere pochi dati come il peso, l’altezza, la circonferenza vita, la propria famigliarità, avere traccia nelle proprie analisi di un modesto rialzo della glicemia, le proprie abitudini alimentari. Pochi dati anamnestici permettono di calcolare con estrema semplicità se si ha il rischio di avere il diabete.

D. – E qual è il valore della glicemia da non superare e se è diverso per genere, età o peso…

R. – Per fortuna non è differente per genere, età e peso. Nonostante quello che viene riportato da molti laboratori, il valore massimo è 99. Già da 100 a 125 di glicemia appare una condizione di dfg, che sta per “diabetic fasting glucose”, una convenzione internazionale, che significa semplicemente prediabete; mentre da 126 in poi si fa una vera e propria diagnosi di diabete. Per le persone a rischio sarebbe indispensabile fare queste analisi almeno ogni due anni, arricchire la propria dieta con verdure e fibra; aumentare l’attività fisica e cercare magari di essere un po’ più in forma. Certo non si può ringiovanire o cambiare i propri genitori, ma il proprio stile di vita è sicuramente modificabile. E attraverso questo si può rimandare l’insorgenza del diabete anche di 10 o di 15 anni o magari per sempre. L’importante è agire fin dall’inizio.

D. – Il Gemelli ha organizzato qualche evento?

R. – Il Gemelli partecipa con più eventi. In realtà sono davvero decine, se non centinaia, gli eventi che si svolgono in giro per l’Italia. In particolare, tengo a citare quello che facciamo noi, non come medici, ma noi come studenti di medicina e studenti in dietistica. Sono, infatti, gli stessi studenti che con l’aiuto della Croce Rossa Italiana saranno presenti in Galleria Alberto Sordi. Misuriamo anche la glicemia. Facciamo screening, facciamo informazione e misuriamo la glicemia a chi volesse richiederlo o a chi dovesse averne bisogno, perché effettivamente a rischio.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 33.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù annuncia ai discepoli che un giorno “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. E aggiunge:

“Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”.

Su questa solennità ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Dopo la grande tribolazione di Gerusalemme, segno ed anticipo della tribolazione finale, annunciata e raccontata alcuni versetti prima nel Vangelo di Marco: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti” (Mc 13,22), il Signore ci invita a non avere paura, ma ad essere attenti: “Io vi ho predetto tutto” (Mc 13,23). E il Vangelo di oggi, a continuazione, ci annuncia alcuni di questi segni: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo…”. Entrare in questo linguaggio escatologico non è facile, anzi porta con sé due rischi da evitare; quello di cadere in un messianismo di paura e quello di non prenderlo sul serio, perché – caso mai – è una cosa tanto lontana che non ci tocca. L’annuncio della Chiesa è molto chiaro e coraggioso: il Signore è venuto nell’umiltà della carne ed ha inaugurato il Regno di Dio nel quale siamo chiamati ad entrare già ora, accogliendo la buona notizia del Vangelo. Sappiamo con certezza che il Signore tornerà glorioso alla fine dei tempi. Il cristiano, adulto nella fede, vive nell’attesa di questi tempi ultimi: non ne ha paura, non ha paura della morte, perché vive nell’attesa del suo Signore. Oggi abbiamo l’occasione di scoprire quelle parole che proclamiamo ogni giorno nella messa ed a cui forse non diamo alcuna attenzione: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta. Torni a risuonare tra noi il grido dei primi cristiani: “Vieni, Signore Gesù: Maranatha!”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Attentati Parigi. Dolore e vicinanza dei leader religiosi

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Unanime, nel mondo, la condanna delle autorità delle diverse religioni agli attentati di Parigi di ieri sera, che hanno gettato nello sconforto un’intera nazione. Molte le manifestazioni di vicinanza e di solidarietà alla Francia e la preghiera per le vittime e le loro famiglie straziate dal dolore.

Il Consiglio francese di culto musulmano (Cfcm): una preghiera per la nazione
La Francia è stata appena colpita ancora una volta da un’ondata di attentati di una gravità senza precedenti. Questi atti terroristici che hanno preso di mira Parigi e la regione parigina hanno causato diverse decine di morti e numerosi feriti. Di fronte all’orrore l’insieme delle organizzazioni musulmane condannano con la massima forza questi attacchi odiosi e abietti. Il Cfcm esprime la sua profonda compassione ai familiari delle numerose vittime e auspica una rapida guarigione dei feriti di cui molti sono in uno stato grave. Di fronte alla gravità della situazione, rivolge un appello a tutta la nazione all’unità e alla solidarietà, esortando inoltre i musulmani di Francia a pregare perché la Francia possa affrontare questa terribile prova nella calma e nella dignità.

Il Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif): combattere il terrorismo senza pietà
“Nessuna parola può descrivere l’orrore che si è abbattuto sulla Francia: il nostro Paese è coperto dal sangue di tutte queste vite innocenti falciate dalle pallottole di questi nuovi barbari. La guerra mondiale contro la mostruosità del fanatismo jihadista deve diventare una priorità assoluta delle nazioni democratiche. Bisogna combatterlo senza pietà, senza tregua per stroncarlo. Il Crif condivide con tutta la nazione questo lutto nazionale e presenta a tutte le famiglie delle vittime le sue più addolorate condoglianze”.

Il vicario di Aleppo: fermare chi finanzia il terrorismo
Condoglianze e vicinanza alla popolazione parigina, anche dal vicario apostolico di Aleppo per i Latini, mons. Georges Abou Khazen. “Il terrorismo – ha detto – è un’ideologia che non risparmia nessuno. Il popolo siriano comprende molto bene la situazione di angoscia in cui oggi si trovano i cittadini europei. Qui viviamo da anni nel terrore e subiamo stragi”. Il presule ha invitato quindi i popoli a ritrovare l’unità e a smettere di finanziare con le armi i gruppi terroristici, che ormai sono presenti anche nel Vecchio continente. 

Imam del Cairo: crimine odioso
Il Grande Imam della moschea Al-Azhar del Cairo, Ahmed Al-Tayeb, prestigiosa istituzione dell’Islam sunnita, si unisce alla ferma condanna degli attentati di Parigi. Aprendo una conferenza al Cairo – riferisce l’agenzia Afp – il leader religioso sunnita parla di “un crimine odioso”, sottolineando che “è giunto il momento che tutto il mondo si unisca per contrastare questo mostro”.

India, il cardinale Gracias prega per le vittime
Questa mattina, nella terza giornata del Congresso eucaristico nazionale, l’arcivescovo di Bombay, il cardinale Oswal Gracias, ha dedicato un momento di silenzio e preghiera per le vittime degli attentati. Il porporato ha invitato i delegati a pregare per le vittime, i loro familiari e cari, chiedendo al Signore di dare loro forza e coraggio in questo difficile momento.

La solidarietà della Conferenza episcopale italiana (Cei)
“La Chiesa italiana, profondamente colpita dagli attacchi terroristici che hanno insanguinato Parigi, si stringe solidale alla Chiesa che è in Francia e a tutto il suo popolo, assicurando che in tutte le comunità cristiane domani la preghiera si eleverà unanime in suffragio delle vittime e in segno di vicinanza fraterna ai feriti e alle loro famiglie, come a tutti i soccorritori”. Così la Cei in un comunicato stampa. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, rilancia l’impegno di tutta la comunità ecclesiale a contribuire fattivamente alla convivenza sociale, alla riconciliazione e alla pace. (A cura di Roberta Barbi)

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Migranti. L’indagine: violenze contro i profughi in Bulgaria

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Si chiama “Safe passage” l’indagine condotta dal Centro per i diritti umani di Belgrado e dall’Oxfam su oltre cento profughi che hanno attraversato il confine bulgaro con Serbia e Turchia e sarebbero stati oggetto di soprusi e violenze da parte della polizia bulgara. Le testimonianze raccolte da afghani, siriani e iracheni raccontano di estorsioni, rapine e pestaggi con le pistole da parte degli agenti, perpetrate anche all’interno dei centri di prima accoglienza sul territorio.

“L’Ue dovrebbe intervenire, violenze inaccettabili”
Le interviste sono state effettuate a Dimitrovgrad, alla frontiera tra Serbia e Bulgaria, dove ogni giorno passano fino a 200 persone. “Con questo rapporto, vogliamo far sapere a tutto il mondo cosa presumibilmente accade in Bulgaria su base quotidiana – ha detto Nikolina Milic, del Centro per i diritti umani di Belgrado – queste violenze sono inaccettabili per l’Unione Europea”. Le fa eco Stefano Baldini, direttore di Oxfam per l’Europa sudorientale, dove l’organizzazione si sta occupando dell’installazione di servizi igienici e della distribuzione di acqua e materiale sanitario a circa 100 mila persone tra Serbia e Montenegro: “L’Ue deve intervenire e agire per garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali all’interno dei suoi confini”. (R.B.)

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Malawi in crisi, sospesi aiuti internazionali per Cashgate

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Lo Stato africano del Malawi è in grosse difficoltà a causa della sospensione degli aiuti internazionali al Paese derivata dal cosiddetto “Cashgate”, cioè l’appropriazione da parte di politici e funzionari corrotti di fondi donati dall’estero e destinati a integrare il bilancio statale del Malawi. Ad annunciarlo è proprio il presidente, Arthur Peter Muthatika, che ha aperto la seduta parlamentare con un discorso durato 25 minuti, come riferito alla Fides da padre Piergiorgio Gamba, missionario monfortano da decenni nel Paese africano. Il presidente avrebbe citato anche la riduzione del 50% dell’erogazione dell’energia elettrica e la ricomparsa, nel Paese, della lebbra.

Il sostegno della Chiesa cattolica al Paese
“Dobbiamo costruire lo sviluppo dall’interno”, sono state le parole del presidente per mobilitare il Paese, riportate da padre Gamba, che commenta: “Di fatto la popolazione è abbandonata a se stessa”. Di recente, in Malawi si è recato il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher, al quale il presidente Muthatika ha espresso il proprio riconoscimento per il grande sostegno offerto al Paese dalla Chiesa cattolica, a partire dal processo di transizione verso la democrazia fino alla promozione della pace e all’impegno nei settori dell’educazione e della salute.

L’attesa per l’approvazione di leggi giuste
Il presidente Muthatika ha inoltre promesso che verranno approvate nuove leggi attese da tempo, tra cui quella per la liberalizzazione dell’informazione – promessa da 20 anni e sempre disattesa – e quella sulla proprietà terriera, che dovrebbe porre fine alla situazione attuale per cui le grandi estensioni di terreno agricolo sono nelle mani di pochi ricchi, oltre a quella sulla giustizia. (R.B.)

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El Salvador: 6 famiglie su 10 vivono in povertà

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Il 62.4% delle famiglie dello Stato centroamericano di El Salvador vive in condizioni di povertà. A dirlo è uno studio recentemente commissionato dalla Fondazione salvadoregna per lo sviluppo economico e sociale riportato da Fides, dal quale emerge anche che 8 famiglie su 10 tra Guatemala e Nicaragua – tra i Paesi più poveri dell’area – risultano indigenti. Migliore, invece, la situazione in Costa Rica e Panama. In generale, su 44 milioni di centroamericani, la metà è priva dei beni di prima necessità.

Le emergenze più pressanti
Da quanto emerge dall’indagine, la principale preoccupazione dei centroamericani – salvadoregni in testa – è la casa: il 18% delle famiglie lamenta materiali scadenti per la costruzione e il 13.7% è totalmente priva di servizi idrogeologici adeguati. Anche in questo caso, le aree urbane di El Salvador e del Nicaragua risultano le più precarie. Tra le altre emergenze pressanti, l’accesso ai servizi sanitari, all’acqua e all’energia elettrica, oltre a una bassa qualità delle abitazioni, all’istruzione precaria e alla questione dell’unico reddito per famiglie anche numerose. (R.B.) 

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Presentata a Roma “Un’Italia che aiuta” a cura della Cri

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Si è svolta ieri sera presso il cinema Adriano, a Roma, la serata di presentazione della campagna istituzionale di Croce Rossa italiana (Cri) “Un’Italia che aiuta”. L’evento, cui ha partecipato, tra gli altri, il vicepresidente nazionale della Cri, Annamaria Colombani, si è aperto con la diffusione in rete di due video lanciati da un tweet al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, alla quale è seguita la proiezione di un estratto della fiction “Lampedusa” con Claudio Amendola e Carolina Crescentini per la regia di Marco Pontecorvo, che sarà trasmessa dalla rai nel 2016.

Due video in rete per promuovere la campagna
La forma più orizzontale dell’aiuto, quella che sta alla base dell’operato di Cri e che si basa su sentimenti di mutuo soccorso e da azioni di aiuto reciproco, è il fondamento della campagna “Un’Italia che aiuta”. A fare da spot i due video lanciati in rete, “Aiuto” e “Cristina”. Il primo vuole simbolicamente rappresentare il disagio di chi vive forti difficoltà e si sente emarginato. Il secondo, pensato per un pubblico giovane, ha come protagonista una ragazza che incarna un modello di valori umanitari positivi, proprio come “L’Italia che aiuta”, esempio di carità e responsabilità verso il prossimo.

La Croce Rossa italiana in cifre
La Croce Rossa italiana dall’inizio dell’anno ha accolto allo sbarco 140 mila migranti, di cui circa 90 mila solo in Sicilia, seguita dalle emergenze in Calabria, Puglia e Sardegna. La Cri, inoltre, gestisce oltre 70 strutture sul territorio nazionale che ospitano un totale di 3.500 migranti. La rete di Cri, infine, può contare su 123 mila volontari e 10 mila mezzi e lo scorso anno ha risposto a circa quattro milioni di richieste di aiuto in tutto il Paese. (R.B.)    

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 318

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.