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Sommario del 15/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus sugli attacchi a Parigi: è una bestemmia la violenza in nome di Dio

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All’Angelus Papa Francesco ha espresso il suo “profondo dolore per gli attacchi terroristici che, nella tarda serata di venerdì, hanno insanguinato la Francia”. Il Santo Padre ha anche manifestato il suo cordoglio al presidente della repubblica francese, Francois Hollande, e a tutti i cittadini del Paese transalpino. “Utilizzare il nome di Dio per giustificare la strada della violenza - ha detto il Papa - è una bestemmia”. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Il Papa ha espresso dolore, cordoglio e vicinanza ai feriti e “ai familiari di quanti hanno perso la vita”. E ha condannato i drammatici attacchi terroristici avvenuti a Parigi:

“Tanta barbarie ci lascia sgomenti e ci si chiede come possa il cuore dell’uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti intollerabili, non si può non condannare l’inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia!”.

Il Santo Padre ha esortato poi fedeli e pellegrini a pregare chiedendo a Maria di proteggere la Francia e il mondo intero:

“Vi invito ad unirvi alla mia preghiera: affidiamo alla misericordia di Dio le inermi vittime di questa tragedia. La Vergine Maria, Madre di misericordia, susciti nei cuori di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace. A Lei chiediamo di proteggere e vegliare sulla cara Nazione francese, la prima figlia della Chiesa, sull’Europa e sul mondo intero”.

Riferendosi al Vangelo odierno e al discorso di Gesù incentrato sugli avvenimenti ultimi della storia umana, con elementi apocalittici come guerre, carestie e catastrofi cosmiche, il Santo Padre ha ricordato che “la nostra meta finale è l’incontro con il Signore risorto”:

“Noi non attendiamo un tempo o un luogo, ma andiamo incontro a una persona: Gesù. Pertanto, il problema non è “quando” accadranno i segni premonitori degli ultimi tempi, ma il farsi trovare pronti all'incontro. E non si tratta nemmeno di sapere 'come' avverranno queste cose, ma 'come' dobbiamo comportarci, oggi, nell’attesa di esse. Siamo chiamati a vivere il presente, costruendo il nostro futuro con serenità e fiducia in Dio”.

"La speranza - ha aggiunto - è la più piccola delle virtù, ma la più forte”. La nostra speranza – ha spiegato – ha un volto:

“Il volto del Signore risorto, che viene ‘con grande potenza e gloria’ (v. 26), che cioè manifesta il suo amore crocifisso trasfigurato nella risurrezione. Il trionfo di Gesù alla fine dei tempi sarà il trionfo della Croce, la dimostrazione che il sacrificio di sé stessi per amore del prossimo, ad imitazione di Cristo, è l’unica potenza vittoriosa e l’unico punto fermo in mezzo agli sconvolgimenti e alle tragedie del mondo”.

Gesù - ha detto il Papa - è accanto noi, sempre ci accompagna, ci vuole bene. Il Signore Gesù – ha spiegato il Santo Padre – “è una presenza costante nella nostra vita” e per questo quando parla del futuro “è sempre per ricondurci al presente”:

“Egli si pone contro i falsi profeti, contro i veggenti che prevedono vicina la fine del mondo, e contro il fatalismo. Vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, gli oroscopi, e concentra la nostra attenzione sull’oggi della storia… Ci richiama all’attesa e alla vigilanza, che escludono tanto l’impazienza quanto l’assopimento, tanto le fughe in avanti quanto il rimanere imprigionati nel tempo attuale e nella mondanità”.

Anche ai nostri giorni – ha concluso il Pontefice – “non mancano calamità naturali e morali, e nemmeno avversità e traversie di ogni genere". E' necessario soltanto guardare Gesù e Lui ci cambia il cuore:

“Tutto passa – ci ricorda il Signore –; soltanto la sua Parola rimane come luce che guida e rinfranca i nostri passi e ci perdona sempre perchè è accanto a noi”.

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Francesco dai Luterani. Pastore Kruse: lui parla per tutti i cristiani

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Papa Francesco si reca questa domenica pomeriggio, alle 16.00, presso la Chiesa Evangelica e Luterana di Roma. La Chiesa è già stata visitata da Benedetto XVI il 14 marzo 2010 e da Giovanni Paolo II l’11 dicembre 1983. In un tweet il Santo Padre scrive che "è una gioia pregare oggi con i fratelli Luterani a Roma. Dio benedica tutti coloro che lavorano per il dialogo e l’unità dei cristiani". Su questo evento ascoltiamo, al microfono di Fabio Colagrande, il pastore luterano Jens-Martin Kruse: 

R. – E' tutto pronto: abbiamo preparato tutto e noi siamo pieni di gioia …

D. – Come si svolgerà l'incontro?

R. – L’incontro si svolgerà in due parti. Prima ci sarà un dialogo, in cui i membri della comunità possono rivolgere al Papa le loro domande e lui risponderà a queste domande. Questa è una cosa bellissima, meravigliosa, una novità dell’ecumenismo: il Papa vuole veramente un dialogo, proprio un incontro vero! Siamo molto curiosi per questo aspetto dell’incontro. Dopo ci sarà una preghiera serale, con la lettura del Vangelo della domenica, l’omelia del Papa su questo testo: si tratta del capitolo 25 di Matteo. Quindi, una cosa semplice ma molto bella.

D. – E’ una visita che sicuramente si inserisce nella scia di quelle dei predecessori di Papa Francesco, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI …

R. – Sì, è vero. Si vede che a Roma abbiamo un ecumenismo molto vivace e una bella tradizione e anche un ecumenismo con il Papa: così la nostra Chiesa è diventata una Chiesa dove anche i Papi vengono …

D. – Qual è la storia della Chiesa di Cristo di via Sicilia, che il Papa visiterà?

R. – La nascita della nostra comunità risale al 1817, ma nei primi cento anni la comunità si trovava all’interno delle mura dell’ambasciata di Prussia presso la Santa Sede. Cento anni fa, poi, la comunità ha acquistato un piccolo terreno vicino alle Mura Aureliane: cento anni fa era fuori dal centro, mentre adesso siamo proprio in centro perché la città è cresciuta tanto. Nel 1914 si è conclusa la costruzione della Chiesa e da cento anni celebriamo qui ogni domenica il nostro culto luterano, a Roma.

D. – Può dirci qualcosa sulla vostra comunità? Come è composta?

R. – Sì, siamo una comunità piccola di circa 500 persone, ma una comunità molto vivace, con tantissimi gruppi: dai bambini agli anziani, con tante attività a sostegno dei poveri, dei senzatetto e anche dei rifugiati; con tanta musica; abbiamo il gemellaggio con la Chiesa luterana a Gerusalemme e per questo ogni anno facciamo una visita in Terra Santa. Mi piace tanto essere pastore di questa comunità!

D. – Che significato assume la figura del Papa, del pastore universale della Chiesa cattolica, per i fedeli luterani?

R. – Papa Francesco ci sta a cuore: ci sentiamo molto vicini a lui; si sente lo spirito del Vangelo nel modo in cui lui vive la sua fede e annuncia il Vangelo. Per questo c’è veramente amicizia e vicinanza con lui. Secondo me lui rende un servizio molto importante a tutti i cristiani, perché tramite lui si sente la voce del Vangelo in tutto il mondo. Abbiamo bisogno, in questi tempi difficili, che uno – e questo può essere solo il Papa – parli per tutti i cristiani, perché così la nostra fede entra anche in tutte le grandi discussioni di questo mondo. In questo modo, lui rende veramente un servizio all’unità.

D. – Come giudica la scelta di Francesco di indire un Giubileo straordinario dedicato alla misericordia, che incomincerà il prossimo 8 dicembre?

R. – Mi piace tanto, perché così il tema della misericordia viene messo al centro dell’attenzione di tutti i cristiani, per un anno intero. E noi cristiani abbiamo bisogno di pensare e anche di vivere di più la misericordia. E’ anche un’occasione di mettere questo tema al centro del mondo: secondo me, non c’è un altro tema così importante come quello della misericordia in questo momento.

D. – Lei crede che l’anniversario dei 500 anni della Riforma, che si celebrerà nel 2017, possa essere un’occasione di dialogo ecumenico?

R. – Sì, senz’altro. Questa è la mia speranza. Secondo me ha un senso ricordare i 500 anni della Riforma se oggi facciamo più ecumenismo e più passi verso l’unità della cristianità.

D. – Cosa si attende dalla visita di domenica di Papa Francesco nella vostra Chiesa?

R. – Un incontro pieno di gioia e di amicizia e un incontro che, come un vento caldo sulle spalle, ci dà la forza per camminare insieme come cristiani: a Roma, ma come cristiani anche in tutto il mondo. E questo incontro, secondo me, è un regalo del cielo.

D. – Chi ci sarà con lei ad accogliere il Papa, domenica?

R. – Insieme a me, ci sarà il Consiglio della nostra comunità e ci sarà anche il cardinale Vallini, insieme ai cardinali Koch e Kasper.

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Oggi in Primo Piano



Parigi: caccia ai complici dei terroristi. Almeno 129 morti

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Si intensificano le ricerche dei complici dei tre commando entrati in azione venerdì sera a Parigi. Nei sobborghi della città, ritrovata la seconda automobile usata per portare a termine il massacro, costato la vita a 129 persone. In manette alcuni parenti di uno dei kamikaze che si è fatto esplodere al Bataclan, identificato grazie alle impronte digitali.  Il servizio è di Eugenio Bonanata: 

Gli arresti costituiscono una normale procedura di accertamento, dicono gli investigatori. Il fatto certo è che uno dei sette kamikaze era un ventinovenne nato a Parigi da famiglia algerina, già noto alle autorità per piccoli precedenti e classificato, nel 2010, come ‘estremista radicalizzato’. Ora bisogna scoprire se si sia recato in Siria per addestrarsi ed unirsi al sedicente stato islamico. Al centro delle indagini c’è anche passaporto siriano ritrovato vicino al corpo di un terrorista che si è fatto saltare in aria allo stadio di Francia. Il documento è falso, secondo l’intelligence americana ma le per autorità di Belgrado, all’inizio di ottobre, l’uomo è passato dalla Grecia e dopo qualche giorno è arrivato in Serbia, dove ha cercato di ottenere asilo. Invece apparterrebbe ad un ferito egiziano il secondo passaporto ritrovato sul posto. A precisarlo è l’ambasciatore del Cairo a in Francia. Intanto è molto probabile che in giro ci siano altri complici dei terroristi riusciti a fuggire. Ipotesi che si rafforza dopo il ritrovamento – avvenuto stamattina in uno dei sobborghi di Parigi – della seconda auto usata dal gruppo che ha condotto gli attacchi ai ristoranti. Una pista che porta in Belgio, a Bruxelles, dove nella giornata di ieri ci sono stati 5 arresti e diverse perquisizioni. In questo quadro prosegue l’identificazione dei corpi delle vittime. Ad ora – ha detto il premier francese Vals - 103 su 129 hanno un nome. Il timore è che il bilancio possa aumentare: tra i 352 feriti, 99 sono in gravissime condizioni.

Per sapere qual è il clima che si respira in queste ore a Parigi, Eugenio Bonanata ha intervistato la nostra corrispondente dalla capitale francese, Francesca Pierantozzi: 

R. – In queste ore a Parigi si vive una situazione difficile e i sentimenti sono tanti. Innanzitutto, c’è il sentimento del lutto ed è molto forte: questo senso che gli attacchi abbiano colpito un po’ tutti e siano entrati nelle case, nell’intimità di ciascuno. Le vittime sono quasi tutti giovani, giovanissimi: giovani che vanno ai concerti, giovani che bevono le birre nei tavolini fuori, anche se fa freddo. L’impressione è che ognuno conoscesse almeno una vittima o un amico della vittima. Quindi c’è veramente un senso di lutto, di sgomento, rispetto agli altri attentati di gennaio. Non sono state colpite delle categorie precise: chi fa caricature che sono considerate blasfeme oppure la comunità ebraica.Hanno colpito nel mucchio, hanno colpito i giovani. Quindi questo è qualcosa che si sente molto forte. Oggi comincia il lutto nazionale e devo dire che Parigi è, nonostante il sole bellissimo, una città molto silenziosa: le strade sono deserte. 

D. – Hai avuto modo di andare in giro e di parlare con qualcuno?

R. – Sì, io sono andata sui luoghi dell’attentato e c’era un’aria da attacco di guerra. Poi sono passata davanti al bar, alla Belle Equipe, che non è tanto lontano da qua. Conoscevo una delle vittime, tra l’altro, ed è stato molto emozionate. C’erano tanti ragazzi lì, che erano presenti e che sono sopravvissuti, che piangevano. Non riescono quasi ad allontanarsi da quel luogo. Sono giorni ancora molto vicini all’attacco e quindi l’emozione è ancora molto forte. Poi, quando si comincia a parlare, c’è questa voglia, assolutamente, di non cedere allo sconforto, alla paura, all’orrore. Questa è una cosa molto forte a Parigi. Penso anche all’identità francese. E’ il messaggio che anche il presidente, Francois Hollande, anche se molto emozionato, ha voluto far passare in ogni suo intervento in tv.

D. – Tu personalmente di cosa hai paura?

R. – E’ difficile, perché il sentimento di paura quando colpisce la tua città, che ti è familiare, non è poi così evidente. Penso che la paura si senta più da fuori, quando uno vede, perché qui alla fine la vita scorre normale: i ragazzi domani saranno a scuola e si va a fare la spesa e si cammina. Quindi in questi giorni c’è una forma di tensione, la tensione normale dell’idea di poter essere colpiti in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. C’è un po’ di tensione, ma devo dire che non ci si pensa.

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Magri: non cedere a contrapposizione Occidente-Islam

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I fatti di Parigi saranno al centro del G20 che si è aperto oggi in Turchia. Per il capo della Casa Bianca, Obama, occorre aumentare la pressione sull'autoproclamato stato islamico in Siria. Il presidente del Consiglio Europeo, Tusk, ha chiesto di affrontare il tema del finanziamento del terrorismo che arriva da molti Paesi. Mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha invocato una riposta ferma sebbene nel rispetto delle leggi. Ma che legami individuare tra gli ultimi attacchi e l’operazione francese in Siria? Giada Aquilino lo ha chiesto a Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): 

R. – La Francia è un bersaglio perché ha una politica estera molto attiva: interviene militarmente in Mali, è uno dei Paesi che interviene militarmente anche in Siria, quindi, chiaramente, è un bersaglio. E’ stata un bersaglio per “Charlie Hebdo” e lo è ora. Ma l’altro elemento che conduce alla Francia è questo: è un Paese che ha delle cellule attive più che altri Stati, è uno dei Paesi in Europa che ha il maggior numero di cosiddetti “foreign fighters”, cioè di francesi che lasciano la Francia per andare a combattere in Siria e in Iraq. Non abbiamo però nessuna evidenza finora, per attentati in Europa, che questi siano stati compiuti da combattenti di rientro: l’ipotesi sempre verificata finora riguarda personaggi che sono nati e cresciuti, magari sono di seconda o terza generazione in Paesi europei e magari si sono radicalizzati e attivati.

D. – Gli esperti di intelligence riferiscono che dietro l’operazione lanciata da Hollande in Siria ci fosse l’obiettivo di neutralizzare un gruppo di combattenti che stava preparando attentati in Francia: sono sospetti o ci sono motivi fondati?

R. – C’è stato anche un intervento inglese in questa direzione: l’unico, perché la Gran Bretagna non sta intervenendo militarmente in Siria. Ma qui si tratta, perché non abbiamo informazioni, di due fenomeni che sono chiaramente collegati ma non magari per l’attentato: il fenomeno della situazione in Siria e in Iraq, dove ci sono atti violenti nei confronti di minoranze, nei confronti della popolazione, e il fenomeno di attentati da noi. Abbiamo temuto per mesi che ci fosse un “travaso” da là a qui, tramite i “foreign fighters” di ritorno: a oggi non abbiamo nessuna evidenza in tal senso, però abbiamo il “travaso”, perché abbiamo attentati sia là sia qua.

D. – Come leggere il fatto che siano stati colpiti bersagli di vita quotidiana e - come ha scritto molta stampa - fortemente simbolici del cosiddetto “stile di vita occidentale”, cioè una sala concerti rock, lo stadio, un McDonald’s…

R. – Sono simboli e bersagli della vita di ogni giorno, perché sono ristoranti, marciapiedi, stadi. Quindi non c’è più, come nei momenti precedenti, un attacco a dei simboli che potevano essere la rivista “Charlie Hebdo” che faceva le vignette o – nel caso del Canada – il Parlamento, dei simboli del potere ma che non toccano la gente comune, che può pensare legittimamente di continuare ad andare per strada e fare la propria vita. La novità, il ‘salto di qualità’ è questo: da un lato, una serie di attacchi sinergici e concomitanti, dall’altro un attacco alla vita normale delle persone che riporta – e non dobbiamo dimenticarlo – a quanto succede ogni giorno in Paesi del Medio Oriente, dove la gente va al mercato e salta in aria al mercato, oppure va a pregare e salta in aria mentre prega.

D. – Cioè il fatto di mirare alla popolazione e non ai cosiddetti obiettivi sensibili, direttamente, per di più alla vigilia di un appuntamento come il Vertice sul clima di Parigi…

R. – Questo, da un lato, ha una spiegazione tecnica, nel senso che dopo quello che è successo nei mesi scorsi gli obiettivi sensibili sono anche molto protetti; dall’altro lato, noi sappiamo già che quando c’è un attentato in Occidente, lo stesso numero di morti in Occidente rispetto a quando avviene in un mercato di Baghdad ha una reazione e una moltiplicazione mediatica non comparabile. In più, se ciò avviene andando a colpire persone in strada, il senso di paura – che è quello che questi vogliono creare: il senso di paura nella popolazione – si accresce, cioè il senso di “non protezione”. E se c’è senso di paura i governi sentono il dovere di intervenire: e qui andiamo al tema del “che fare”. Perché se si interviene con politiche e azioni corrette questo dramma può avere, alla fine, un risultato positivo; se invece perdiamo la freddezza e, presi dalla necessità nei vari Paesi, da parte dei vari governi, di dimostrare che si è forti, che si fa qualcosa, anche per contrastare i partiti xenofobi, rischiamo di produrre più mostri e complicare il quadro.

D. – Tra l’altro, le testimonianze dei sopravvissuti riferiscono che questi terroristi che hanno sparato erano “bianchi, giovani e sembravano soldati delle forze speciali”…

R. – Ma poniamo anche che questi giovani, “bianchi o colorati” che fossero, fossero di seconda generazione, delle banlieux, reclutati tra marocchini, tunisini, eccetera, noi sappiamo però che in Francia un cittadino su 10 proviene da questi Paesi. Ci sono sei milioni di persone di seconda e terza generazione. Quindi noi abbiamo visto sette-otto giovani che hanno ucciso 150 francesi; tra questi 150 francesi, se si rispetta la proporzione della popolazione francese, ci sono 15 maghrebini-tunisini-marocchini uccisi.

D. – La rivendicazione dell’Is dice: “Ora tocca a Roma, Londra e Washington”. Cosa significa?

R. – L’Is, in questo momento, mette il cappello – essendo la sigla più forte – su tutto ciò che succede. Non sappiamo se si tratta dell’Is, di cellule di al Qaeda impazzite, di cellule di al Qaeda alleate all’Is, di al Nusra o altro. Che poi l’Is, in queste rivendicazioni, dica: “Ora tocca a Roma, Washington…”, lo dice da mesi, addirittura lo scrive nella sua rivista “Dabiq”. Fa parte di questa logica di creare paura e, creando paura, creare reazioni e auspicare che le reazioni vadano nella direzione di una contrapposizione Occidente-Islam, che è quello che loro vogliono per dimostrare alla popolazione dell’Islam che hanno ragione loro, con le loro tesi, a creare una contrapposizione.

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Arcivescovo di Parigi: non lasciarsi vincere da odio e paura

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Questa domenica, alle 18.30, il cardinale arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois, presiederà la Messa nella Cattedrale di Notre-Dame in memoria delle vittime degli attacchi e in segno di vicinanza ai loro cari e a tutto il Paese. La campana della Cattedrale suonerà alle 18.15. “Di fronte alla violenza degli uomini – afferma  il porporato – possiamo ricevere la grazia di un cuore fermo e senza odio. Chiediamo la grazia di essere artigiani di pace. Non dobbiamo mai disperare della pace, se si costruisce la giustizia”. Sulla reazione agli attentati, ascoltiamo il cardinale Vingt-Trois, al microfono di Hélène Destombes

R. – C’est évidemment une réaction d’horreur, c’est à dire un massacre aveugle, sur des personnes …
Non può essere che una reazione d’orrore: ci troviamo di fronte a un massacro alla cieca, su persone completamente estranee alle questioni politiche. E poi una reazione di pietà per le persone che ne sono rimaste vittime e per le loro famiglie, per tutti coloro che si sono impegnati per soccorrere le vittime, nel tentativo di portare sollievo in questo momento di dolore …

D. – Parigi colpita al cuore. Dopo Beirut, la Nigeria e tanti altri Paesi, ecco, questa è dunque la “guerra a pezzi” di cui parla Papa Francesco …

R. – Oui, c’est ça que nous voyons en tout cas. C’est-à-dire que la violence n’a jamais de justification …Sì, direi che è proprio questo quello a cui stiamo assistendo. Bisogna dire che la violenza non ha giustificazione, mai, in se stessa; la violenza cieca come noi la vediamo in questi attentati è ancora più terribile, se possibile, di quanto si possa dire …

D. – Il fatto che sia stata colpita Parigi suscita grandi emozioni. E’ importante ricordare che in molti Paesi – viene da pensare all’Iraq e alla Siria – le violenze sono quotidiane …

R. –Oui tout à fait, mais la particularité de ce qui se passe à Paris...
Sì, è vero questo. Ma la particolarità di quello che è accaduto a Parigi sta nella volontà di stabilire un legame tra questi attentati e quello che sta succedendo in Siria: peraltro, la rivendicazione del sedicente Stato islamico è piuttosto esplicito in materia. Veramente, dichiara la volontà di portare la guerra nel cuore di tutti quei Paesi che lottano contro l’Is.

D. – Come reagire di fronte all’orrore, di fronte ai sentimenti di paura e di odio che un dramma di questa portata può suscitare?

R. – Précisément, je pense que l’un des objectifs de ce massacre aveugle et sanguinaire est de susciter …
In realtà, io credo che uno degli obiettivi di questo massacro cieco e sanguinario è proprio quello di suscitare l’odio e di seminare il panico nel cuore delle persone. Credo che il modo migliore di reagire sia, in particolare per noi cristiani, di rimetterci nelle mani di Dio, nella fede, pur affermando in maniera chiara e inequivoca, come ha fatto il Papa, che la violenza non è mai una soluzione.

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Dal vertice di Vienna una road map per la pace in Siria

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Una road map per promuovere il dialogo tra governo e opposizione in Siria. E' questa la via per la pace nella martoriata terra siriana tracciata dai ministri degli Esteri di 20 Paesi che hanno partecipato, nella capitale austriaca, al Vertice di Vienna all'indomani dei sanguinosi attacchi a Parigi, rivendicati dal sedicente Stato islamico. Da Vienna Stefano Marchi

L’accordo raggiunto ieri a Vienna per un processo di pace in Siria non ha ancora risolto i dissidi tra le parti sul futuro politico di Al Assad, né quelli sui criteri di definizione dei gruppi terroristici attivi nel Paese. Nella capitale austriaca i Ministri degli Esteri di una ventina di Paesi influenti hanno accantonato per ora le divergenze persistenti tra molti di loro, e si sono accordati su un calendario che prevede entro il primo gennaio l’inizio di negoziati tra il governo siriano di Al Assad e l’opposizione moderata. L’obiettivo delle trattative sarà la formazione entro sei mesi in Siria di un esecutivo di transizione, composto da entrambe le parti. Nel contempo, si cercherà una tregua, che metta fine alla tragica guerra civile siriana in corso da quattro anni e mezzo, e permetta di lottare contro i terroristi dello Stato Islamico e di Jabha An Nusra. Il Segretario di Stato americano, Kerry, ha avvertito che in Siria la priorità sarà sconfiggere il terrorismo. La Giordania proporrà una lista unificata degli altri gruppi armati operanti in Siria che saranno considerati terroristici e verranno esclusi sia dalla tregua che dal Governo transitorio. Questo esecutivo dovrà elaborare entro diciotto mesi una nuova Costituzione siriana. Poi nel Paese si terranno elezioni libere, sia parlamentari che presidenziali, cui parteciperà anche la diaspora. L’accordo di Vienna prevede anche un’intensificazione dell’assistenza umanitaria in Siria.

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In Burundi SOS Villaggi rimane a fianco dei ragazzi

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Il clima in Burundi è sempre più conflittuale e l’Unione Europea ha già ritirato una parte del proprio personale diplomatico. Tra quanti intendono restare nel Paese c'è l’ong SOS Villaggi, che accoglie 80 mila bambini. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Elena Cranchi, responsabile della comunicazione di SOS Villaggi:   

R. - Il Burundi sta attraversando un momento drammatico. Da aprile è teatro di violenti scontri – si parla addirittura di una guerra – e sono 200 le vittime e 200.000 le persone che stanno fuggendo. Fuggono soprattutto dalle aree dove è iniziata l’opposizione al presidente. Noi abbiamo lanciato un appello, dicendo a gran forza: “Giù le mani dai bambini” perché sono, come sempre in ogni zona di conflitto, i più vulnerabili e le prime vittime. Noi continuiamo assolutamente a lavorare. Tra l’altro, siamo in Burundi dal 1976 e abbiamo iniziato con l’assistere la popolazione colpita dall’Aids. Abbiamo ora cinque villaggi Sos, gli asili, delle scuole che continuano a rimanere aperte. Questo significa che da parte nostra non c’è nessun tipo di resa, o arresa, di fronte ad una situazione dove, invece, le persone hanno paura e stanno cercando delle zone più sicure.

D. – Un vostro infermiere è stato ferito da una granata in questi giorni: quanto è pericolosa la capitale del Burundi?

R. – È pericolosa: si è parlato di una vera e propria esecuzione in uno dei bar più frequentati della capitale. Purtroppo abbiamo già pianto una vittima: una giovane ragazza che viveva nel villaggio Sos di Muyinga, uccisa a maggio. Adesso c’è stato il ferimento di un infermiere nel nostro centro medico Sos: è stato colpito da una granata. Le ultime notizie di ieri dicono che è ancora in convalescenza, anche se è fuori pericolo di morte.

D. – Come riuscire a dare stabilità a questi ragazzi in un momento così difficile? 

R. – Quello che noi registriamo sempre, in ogni Paese – ora in Burundi, ma poi anche in Siria e in tutti i Paesi dove ci sono guerre – è il confrontarsi con bambini e ragazzi che ritrovano lo stesso terrore e la stessa paura che hanno sperimentato nella loro vita, combattendo le “loro” guerre personali. Bisogna pensare che le storie dei ragazzi – sono più di 80.000 quelli di cui ci occupiamo e che accogliamo ogni giorni nei nostri villaggi Sos - sono tante. Quello che noi facciamo, e abbiamo sempre fatto, è riuscire a mantenere una serie di quotidianità nei gesti o nelle cose, in modo che per loro sembri che non sia cambiato nulla.

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Aperta a Palermo una casa museo in memoria di don Puglisi

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Un luogo per riflettere sul coraggio di donare la propria vita per gli altri, senza avere paura, fino al sacrificio estremo, ma anche per capire chi era don Pino Puglisi. Vuole essere questo la casa museo, aperta a Palermo nel quartiere Brancaccio, dedicata al sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, e proclamato beato nel 2013.  La casa è gestita dai volontari del centro di Accoglienza Padre Nostro, fondato dallo stesso don Puglisi, nel 1991. Marina Tomarro ha intervistato il responsabile Maurizio Artale

R. – L’idea nasce proprio dal fatto che questa casa era stata abbandonata, e dove era stato ucciso padre Puglisi non c’era niente che lo ricordasse. E allora, questa era sempre stata una nostra idea di creare un luogo dove la gente potesse ricordarlo. E’ stato un lavoro lungo, durato 20 anni, ma finalmente ci siamo riusciti. Abbiamo messo una teca con la statua di padre Puglisi, abbiamo messo un medaglione di bronzo che ricordasse proprio il luogo fisico dove era stato ucciso e abbiamo riacquistato la casa. Ci siamo messi in contatto con i fratelli che nel frattempo sono diventati soci e amministratori del Centro, e ci hanno donato tutte le cose di padre Puglisi. Diciamo che finalmente c’è un luogo anche fisico che riesce ad accogliere quei pellegrini che vogliono riflettere e pregare un poco sulla vita di Puglisi.

D. – Chi viene a visitare questa casa-museo?

R. – Vengono le scolaresche, vengono i seminaristi, vengono i preti, vengono i vescovi con i sacerdoti delle diocesi, viene la gente comune, vengono i singoli turisti che si trovano a Palermo e vogliono venire a visitare la casa. Per tantissimo tempo, la figura di Puglisi è stata legata al “pet” antimafia; e invece, Puglisi è uno che sta in mezzo alla gente. Padre Puglisi è quello che ha chiesto ai mafiosi di dialogare con loro! Il giorno prima che lo ammazzassero, lui durante un’omelia disse: “Io non capisco perché voi l’avete con noi, che vogliamo fare di Brancaccio un luogo abitabile per i vostri figli. Quindi, venite: parliamone, confrontiamoci”. Questo era Puglisi. Allora, il territorio incomincia a poco a poco a prendere coscienza veramente di chi fosse padre Puglisi …

D. – La casa-museo è collegata al Centro di accoglienza “Padre Nostro”, voluto proprio da padre Puglisi. Quali sono le iniziative del Centro?

R. – Il Centro da 22 anni continua ad operare a Brancaccio. La prima attenzione che abbiamo avuto è stata rivolta proprio ai bambini, poi agli adolescenti e poi facciamo il doposcuola, facciamo i campi scuola, li inseriamo in progetti anche con la Comunità europea, quindi organizziamo scambi, gemellaggi … E ancora, il Centro ha tantissime altre attività … Si occupa degli anziani, degli ammalati, dei detenuti in esecuzione penale esterna … Sono tante le attività che svolge il Centro! Quindi, in qualche modo ci ritroviamo nello stesso territorio a cercare di riqualificare – sempre attraverso la figura di padre Puglisi – un quartiere: dare fiducia ai giovani, creare posti di lavoro. Questo è il nostro obiettivo.

D. – Cosa è rimasto oggi degli insegnamenti di don Pino?

R. – Quello che è rimasto nei giovani, nei volontari, nei soci del nostro Centro è la sua caparbietà e il credere che le cose si realizzano. Lui diceva sempre: “Se Dio è con me, chi può essere contro di me?”. Abbiamo saputo rilevare da padre Puglisi la sua caparbietà e la sua fede e fiducia nella Provvidenza: ecco, questo è il messaggio che lui ci ha lasciato.

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Mons. Angueli: tutto il mondo si poggia sulla misericordia

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Le diocesi italiane si preparano al Giubileo della Misericordia indetto dal Papa che si aprirà solennemente l’8 dicembre. Diverse le iniziative pensate per consentire ai fedeli di vivere l’Anno Santo con un adeguato accompagnamento spirituale. Mons. Vito Angueli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, in Puglia, ha scritto per la sua diocesi una lettera per spiegare meglio cos’è la misericordia e come sperimentarla a livello personale, nelle comunità e nella vita di ogni giorno. Tiziana Campisi lo ha intervistato: 

R. – La Lettera che ho scritto per il Giubileo, naturalmente, è in continuità con la Bolla emanata da Papa Francesco, ma è una lettera, ovviamente, che si riferisce in maniera particolare alla nostra diocesi. Ho voluto riprendere due immagini. Una da un dipinto di Géricault, “La zattera di Medusa”. E’ una zattera nella quale alcuni superstiti avvistano una nave che viene a soccorrerli e quindi passano dall’angoscia di poter morire in mare ad un atteggiamento di speranza. La zattera io l’ho voluta identificare con la misericordia: la misericordia è la zattera su cui tutto il mondo, a mio parere, poggia e guarda in avanti verso un avvenimento che è davanti a sé e può portare a salvezza. La seconda immagine è quella che ho ripreso dalla Bolla del Papa e cioè la misericordia come architrave che sorregge la vita della Chiesa. Sulla misericordia si poggia non soltanto la vita del mondo, ma si poggia anche tutta la missione della Chiesa e allora ai miei fedeli ho voluto ricordare che questo avvenimento giubilare è un momento per un rinnovamento; sia per le nostre comunità ecclesiali sia anche di un messaggio da dare al mondo per un rinnovamento anche della società civile.

D. – Lei ha anche scelto un grande padre della Chiesa per spiegare ai suoi fedeli cos’è la misericordia…

R. – Sì, effettivamente mi sono rifatto anche a diversi padri della Chiesa; ho citato San Bernardo e Sant’Agostino. Sant’Agostino definisce la misericordia in maniera veramente semplice ma nello stesso tempo stupenda: misericordia significa caricarsi il cuore di un po’ di miseria altrui e cioè non soltanto vivere un atteggiamento di carità, ma viverlo con il cuore, con una partecipazione, con una condivisione. In ultima analisi, la misericordia è Dio che partecipa a noi il suo amore e la stessa cosa dovrebbe essere da parte nostra. Avere misericordia per gli altri significa non soltanto compiere un gesto di carità, ma entrare profondamente nel cuore dell’altro e vivere con il cuore la difficoltà e la miseria di chi ci sta accanto.

D. – Nella sua lettera lei indica come vivere il Giubileo a livello personale, a livello parrocchiale e a livello diocesano…

R. – Si tratta di aiutare i fedeli a riscoprire e a comprendere il valore della misericordia; quindi a livello personale si tratta di entrare più profondamente nel tema della misericordia. A livello parrocchiale significa rimettere al centro il Sacramento della Penitenza ma anche vivere e diventare una comunità di misericordia. Ciò che conta è che l’atteggiamento della misericordia si trasformi poi, dopo, in una realtà che coinvolga l’intera comunità. E sarebbe molto bello se, nei nostri paesi - che non sono molto grandi - la parrocchia si trasformasse e diventasse per tutti un segnale, una luce, dove poter vivere veramente questo sentimento di appartenenza piena al Signore. Un sentimento che poi provoca un atteggiamento di carità e di misericordia. A livello diocesano, abbiamo pensato ad alcune iniziative. In particolare, ovviamente, l’apertura della porta della cattedrale di Ugento e della porta del santuario di Leuca. Poi abbiamo programmato un pellegrinaggio diocesano a Roma. Inoltre tutte le altre iniziative che faremo - per esempio la formazione del clero – le imposteremo tutte al fine della comprensione del valore della misericordia, sia dal punto di vista sacramentale, sia dal punto di vista pastorale, sia dal punto di vista spirituale.

D. – Questo Giubileo contribuirà a quella che è un po’ la pastorale pensata nella sua diocesi?

R. – Io penso di sì. Noi stiamo vivendo nel Salento una molteplicità di problemi, problemi che sono in parte comuni anche a tutta la realtà italiana o alla realtà del sud, ma ci sono anche problemi sociali, realtà che riguardano l’agricoltura, la povertà, l’emigrazione. Io sono convinto che questo momento spirituale, se vissuto intensamente, possa portare rinnovamenti anche dal punto di vista sociale e civile, perché possa esserci un movimento spirituale interiore. Un movimento che poi si riverberi anche all’esterno, negli atteggiamenti, nelle problematiche che vediamo, soprattutto nel riconsegnare, nel rifare il tessuto di una società che è attraversata da molti problemi, che occorre affrontare con coraggio e guardare con fiducia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Il mondo musulmano condanna gli attentati di Parigi

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Molte le condanne degli attentati di Parigi da parte di rappresentanti del mondo islamico, dal Consiglio Francese del Culto Musulmano (CFCM) all’Unione delle Comunità Islamiche d'Italia (UCOI). A puntare il dito contro i “criminali” del sedicente stato islamico è anche il leader degli Hezbollah libanesi, Nasrallah. Una posizione condivisa anche dai vertici dei gruppi palestinesi di Hamas e della Jihad Islamica che parlano di “crimine contro innocenti” e di “atti di aggressione e barbarie”. Vicinanza al popolo francese è stata espressa dal presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen.

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Iraq: fossa comune a Sinjar appena liberata dai curdi

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Orrore in Iraq per il ritrovamento di una fossa comune con all’interno i corpi di 80 ragazze. È avvenuto ad opera dei peshmerga curdi in un villaggio poco distante dalla città di Sinjar, appena liberata dai miliziani del sedicente Stato Islamico che l’avevano conquistata l’anno scorso. Con tutta probabilità, le vittime fanno parte della comunità dei Yazidi. Una minoranza fortemente perseguitata dai seguaci al Baghdadi a causa della loro antica religione di influenza persiana precedente alla nascita dell'Islam. In quanto città a maggioranza yazida, Sinjar è stata teatro di massacri e deportazioni di massa con donne e bambine ridotte in schiavitù.

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Congo: campagna per la pace lanciata dalla Chiesa

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“Investissons dans la paix” (Investiamo nella pace) è il motto della campagna lanciata dalla Chiesa nella Repubblica Democratica del Congo insieme a numerose altre confessioni religiose. “Se i fedeli non si parleranno, se non avranno un progetto comune — spiega al Sir padre Leonard Santedi, segretario generale della Conferenza episcopale— allora finiranno con l’odiarsi, con l’alimentare i semi della guerra”.

Da 20 anni le regioni dell’est insanguinate dalla guerra
Da un ventennio le regioni dell’est del Paese sono attraversate da una moltitudine di gruppi armati, con scontri e violenze, che hanno avuto il loro picco nella cosiddetta “Grande guerra africana”. “Come testimoni del grido del popolo che arriva dai campi dei rifugiati e dalle famiglie sfollate a causa del conflitto — continua Santedi — abbiamo deciso di lanciare questa campagna”. In uno scenario dove le questioni di politica internazionale hanno bloccato gli sforzi per arrivare alla fine delle ostilità, “investire nella pace” significa provare a partire da un altro livello. Quello delle comunità locali, dove verranno inviati mediatori, che aiutino a risolvere le dispute attraverso un’azione di prevenzione e l’indicazione di alternative pacifiche.

Educazione e sul dialogo per uscire dalla spirale della violenza
“L’approccio fondato sull’educazione e sul dialogo — spiega padre Leonard Santedi — è un laboratorio che ci permette di avanzare sulla strada giusta, perché la pace deriva da questo: andare oltre il conflitto, non rispondere a esso con le armi”. Placare i contrasti a livello locale, per evitare che degenerino in una guerra in cui si muovono forze ben più grandi e pericolose è un compito essenziale. “Le popolazioni locali — aggiunge — sono già coinvolte in quel che accade e soprattutto i giovani vengono arruolati dai gruppi armati che li portano a commettere abusi: ecco che nasce il risentimento e la spinta a identificare le milizie con l’una o l’altra comunità”. Una volta che questo accade, l’identità etnica diventa un’ulteriore arma da usare contro il nemico. “Si sa per sommi capi a quale comunità appartengono i componenti di una certa forza, o chi sfrutta le risorse naturali — conclude Santedi — e allora facilmente tutte le persone di quella comunità, anche quelle pacifiche, sono considerate responsabili, ed escluse o respinte. Così, si smette di parlare e di lavorare assieme e si creano quei germi che forse, domani, dei politici o dei gruppi armati sfrutteranno, accendendo il fuoco del conflitto”.

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Angola: appello dei vescovi al dialogo

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Un appello a garantire e ad ampliare il rispetto dei diritti umani in Angola — in particolare quelli a essere informati, a esprimersi e a riunirsi liberamente — è stato lanciato dall’episcopato in occasione del quarantesimo anniversario dell’indipendenza del Paese dal Portogallo, celebrato mercoledì. L’esortazione è stata diffusa al termine della plenaria autunnale della Conferenza episcopale di Angola e São Tomé, nel corso della quale i presuli hanno anche proceduto al rinnovo delle cariche elettive, scegliendo come presidente l’arcivescovo di Luanda, Filomeno do Nascimento Vieira Dias.

La denuncia delle perduranti restrizioni imposte all’emittente Radio Ecclesia
Nel loro messaggio, i vescovi fanno specifico riferimento alle restrizioni imposte all’emittente Radio Ecclesia, autorizzata a trasmettere solo nella regione della capitale. Nonostante siano passati già quattordici anni dalla presentazione della richiesta, come ha ricordato mons. Zeferino Zeca Martins, vescovo ausiliare di Luanda, la licenza a poter trasmettere su tutto il territorio del Paese non è stata ancora concessa. Ma — come riferisce l’agenzia Misna — la preoccupazione dei presuli è anche per i diversi casi di attivisti dei diritti umani arrestati negli ultimi mesi con l’accusa di “attentato alla sicurezza dello Stato”.

Mettere gli interessi della nazione al di sopra di quelli di parte
I vescovi sottolineano perciò come le celebrazioni dell’indipendenza costituiscano “un’occasione unica per una profonda riflessione su cosa si possa fare per dare dignità e onore a questa grande conquista del popolo angolano e per offrire i vantaggi dell’indipendenza a tutti i cittadini”. Di qui l’incoraggiamento, rivolto a tutti gli angolani, affinché i comportamenti siano sempre indirizzati “alla costruzione della pace, all’unità e alla riconciliazione nazionale”. Parallelamente, i governanti sono invitati a guidare il Paese con il “consenso” e per il “bene di tutti”, mettendo gli interessi della nazione al di sopra di quelli di parte. Tanto più, aggiungono i vescovi, in un momento, come l’attuale, segnato da tensioni sociali esacerbate dalla crisi finanziaria e che necessita di “tenere aperte le porte del dialogo”.

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Paraguay: presidente contro la depenalizzazione dell'aborto

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La Conferenza episcopale del Paraguay ha espresso soddisfazione per la posizione assunta dal presidente della Repubblica, Horacío Cartes, contro la depenalizzazione dell’aborto. I presuli – riferisce L’Osservatore Romano - hanno incontrato giovedì il capo dello Stato per analizzare diversi temi legati alla situazione sociale del Paese. Riguardo alle norme relative all’interruzione di gravidanza, il segretario generale, il vescovo di Carapeguá Joaquín Hermes Robledo Romero, ha spiegato che i vescovi “sono contenti per tutto quello che sta facendo il presidente in favore della vita e della famiglia. Questo è molto importante”.

Necessario anche un ulteriore sforzo per migliorare la situazione economica
Al capo dello Stato i presuli hanno anche chiesto un ulteriore sforzo per migliorare la situazione economica generale e risolvere alcuni problemi che stanno rallentando la crescita del Paese. Durante l’incontro, sono stati trattati i rapporti fra Chiesa e Stato e si sono analizzate le azioni da intraprendere insieme in modo coordinato. I presuli hanno chiesto misure più efficaci nel settore delle infrastrutture, incentivi alle politiche agricole, aiuti alle famiglie e sostegno agli immigrati. Nel campo dell’istruzione, hanno poi chiesto un intervento del governo a favore delle comunità indigene e hanno sollevato il problema del sovraffollamento delle carceri e della mancanza di forniture negli ospedali del Paese.

Soddisfazione per l’esito dell’incontro
Il segretario generale della Conferenza episcopale ha espresso soddisfazione anche per il risultato generale dell’incontro e ha spiegato che è stata "avviata e stabilita con le autorità governative una metodologia di lavoro". "Ogni sei mesi ci incontreremo con il presidente Cartes", ha detto il segretario generale, "per fare il punto della situazione e individuare le criticità che interessano il Paraguay". Domenica prossima nel Paese sudamericano si terranno le elezioni per il rinnovo delle cariche municipali.

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Conferenza di Parigi: appello degli evangelici luterani

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Un appello alle istituzioni della Repubblica affinché l’Italia reciti un ruolo attivo e deciso a Parigi nell’ambito della prossima Conferenza delle Parti (Cop21) sui cambiamenti climatici. A diffonderlo è stata la Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi).

È giunto il momento di concludere un accordo ambizioso ed equo
L’Italia, secondo la comunità protestante, ha la possibilità di diventare leader morale nel difendere l’ambiente in modo che possa essere una risorsa per tutti. E ha il dovere di farlo, si legge in un comunicato ripreso dall’Osservatore Romano, “sia agendo all’interno del nostro Paese sia spingendo affinché vengano assunti impegni audaci nel corso di un evento mondiale in cui le delibere e le misure prese dagli Stati partecipanti saranno decisive per l’esistenza delle generazioni attuali e future”.

Come evidenziato in un passaggio della lettera citato dall’Osservatore Romano, “siccità disastrose, inondazioni massive e forti tempeste distruggono sempre più spesso vite, proprietà e mezzi di sussistenza. Gruppi già svantaggiati come donne, bambini e popolazioni indigene sono quelli più colpiti. È giunto il momento di concludere un accordo ambizioso ed equo”.

La mobilitazione dei luterani per sensibilizzare le autorità nazionali
L’appello della Chiesa evangelica luterana in Italia nasce in risposta all’invito della Federazione luterana mondiale (Flm) di sensibilizzare le autorità nazionali sull’urgenza di un accordo globale ed equilibrato sul clima in grado di superare gli interessi dei singoli Stati. In particolare, la Chiesa evangelica luterana in Italia — già impegnata, come le altre Chiese luterane nel mondo, ad attuare concretamente la transizione verso uno stile di vita sempre più rispettoso dell’ambiente — invita il Governo italiano a considerare, nel corso delle negoziazioni di Parigi, la necessità di determinare un quadro di iniziative che siano in grado di contenere, dopo il 2020, l’incremento medio del riscaldamento della superficie terrestre ben al di sotto di 2° centigradi; di agire, da oggi e fino al 2020, per mitigare i rischi climatici con la contestuale assunzione — da parte dell’Italia e degli altri Paesi sviluppati — di un visibile ruolo guida in conformità a quanto stabilito nel corso di Cop17 (Durban 2011); focalizzarsi fortemente sulle politiche di adattamento e resilienza ai mutamenti climatici, con speciale riguardo alla tutela delle popolazioni povere e vulnerabili; includere, in un accordo per il periodo successivo al 2020, forme di tutela per le perdite e i danni derivanti dai cambiamenti climatici; pianificare in modo trasparente, sia a breve sia a medio-lungo termine, le misure (anche finanziarie) necessarie alla realizzazione degli interventi climatici urgenti nei Paesi in via di sviluppo. Pertanto, la Chiesa evangelica luterana in Italia, le sue comunità e tutti i suoi membri pregano affinché Cop21 “possa davvero condurre all’accordo di cui il mondo ha bisogno”.

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Cambiamento climatico: 15 proposte dai vescovi filippini

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Piantare un albero, spegnere la luce quando non serve, dire addio alle buste di plastica. Sono alcuni dei 15 gesti “concreti”  alla portata di tutti proposti nel documento “Sul cambiamento climatico: comprendere , pregare agire” pubblicato dalla Conferenza episcopale filippina (Cbcp) in vista del prossimo summit di Parigi.

Sostenere “ogni iniziativa utile” volta a ridurre le emissioni di gas serra
Nel documento, che vuole essere una risposta all’appello rivolto da Papa Francesco alle Chiese di tutto il mondo a un impegno fattivo a favore dell’ambiente, il presidente della Cbcp, mons. Socrates Villegas,  chiede ai fedeli, alle parrocchie e alle scuole cattoliche di sostenere “ogni iniziativa utile” volta a ridurre le emissioni di gas serra del Paese del 70% entro il 2030.

Il riscaldamento globale non è più discutibile
Un obiettivo - sottolinea - al quale “può contribuire ogni persona di buona volontà”. Di qui le 15 proposte dei vescovi: piantare un albero; spegnere la luce; dire addio alle buste di plastica; differenziare i rifiuti; ridurre, riusare, riciclare; non bruciare immondizia; promuovere l’energia rinnovabile; portarsi dietro il proprio bicchiere; usare device elettronici efficienti; camminare o condividere i viaggi in macchina; riciclare gli oggetti elettronici e le batterie; essere più consapevoli dell’ambiente e dello spreco energetico; risparmiare l’acqua; pensarci prima di stampare; sostenere prodotti ecologici”. “L’urgenza - afferma mons. Villegas - è oramai chiara:  il riscaldamento globale causato dal modo in cui gli esseri umani usano il pianeta è ormai indiscutibile”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 319

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.