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Sommario del 16/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: pensiero unico vuol farci mettere all'asta identità cristiana

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Il pensiero unico, l’umanismo che prende il posto di Gesù, l'uomo vero, distrugge l’identità cristiana. Non mettiamo all’asta la nostra carta d’identità: è la forte esortazione lanciata da Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

La mondanità porta al pensiero unico e all'apostasia
La prima lettura del giorno, tratta dal primo Libro dei Maccabei, racconta di “una radice perversa” che sorse in quei giorni: il re ellenista Antioco Epìfane impone le usanze pagane in Israele, al “popolo eletto”, cioè alla “Chiesa di quel momento”. Papa Francesco commenta “l’immagine della radice che è sotto terra”. La “fenomenologia della radice” è questa: “Non si vede, sembra non fare male, ma poi cresce e mostra, fa vedere, la propria realtà”. “Era una radice ragionevole” che spingeva alcuni israeliti ad allearsi con le nazioni vicine per essere protetti: “Perché tante differenze? Perché da quando ci siamo separati da loro ci sono capitati molti mali. Andiamo da loro, siamo uguali”. Il Papa spiega questa lettura con tre parole: “Mondanità, apostasia, persecuzione”. La mondanità è fare ciò che fa il mondo. E’ dire: “Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti”. Così, molti israeliti “rinnegarono la fede e si allontanarono dalla Santa Alleanza”. E ciò “che sembrava tanto ragionevole – ‘siamo come tutti, siamo normali’ – diventò la distruzione”:

“Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo - il pensiero unico; la mondanità – e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; anche molti israeliti accettarono il suo culto: sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. L’apostasia. Cioè, la mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome - il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità”.

L'umanismo di oggi distrugge l'identità cristiana
In Israele vennero bruciati i libri della legge “e se qualcuno obbediva alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte”. Ecco “la persecuzione”, iniziata da una “radice velenosa”. “Mi ha sempre colpito – afferma il Papa – che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico”:

“Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione,  e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì”.

Guardarsi dalle radici velenose che crescono e contagiano
“La liturgia, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico” – conclude il Papa - ci esorta a stare attenti alle “radici velenose” che “portano lontano dal Signore”:

“E chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia”.

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Riunione interdicasteriale su migrazioni e rapporti con Islam

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Papa Francesco ha partecipato stamane nella Sala Bologna, in Vaticano, ad una Riunione interdicasteriale. Al centro dell'incontro, in particolare, il fenomeno delle migrazioni e il rapporto con l'Islam. I due argomenti, messi all'ordine del giorno già da diverso tempo, erano stati proposti dai Pontifici Consigli per i Migranti e per il Dialogo interreligioso.

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Nomine episcopali in Italia e Messico

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cremona (Italia), presentata per raggiunti limiti di età da mons. Dante Lafranconi. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Antonio Napolioni, del clero dell’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, finora Parroco della parrocchia di San Severino Vescovo, a San Severino Marche, e Vicario Episcopale della medesima arcidiocesi. Il Rev.do Mons. Antonio Napolioni è nato a Camerino, provincia di Macerata e arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, l’11 dicembre 1957. Dopo la maturità classica e due anni di Giurisprudenza all’Università Statale di Camerino, è entrato nel Seminario Regionale di Fano, dove ha compiuto gli studi ecclesiastici. Ha proseguito la formazione accademica a Roma, presso la Pontificia Università Salesiana, conseguendo il Dottorato in Teologia, con specializzazione in Pastorale Giovanile e Catechetica. È stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1983 per l’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche. È stato Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano dal 1983 al 1993; Assistente Ecclesiastico Regionale AGESCI dal 1986 al 1992; Assistente Nazionale AGESCI dal 1992 al 1998; Vicario Episcopale per la Pastorale dal 1991 ad oggi; Vice-Rettore del Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, ad Ancona, dal 1993 al 1998; Rettore del medesimo Seminario Regionale Marchigiano dal 1998 al 2010; Direttore del Centro Regionale Vocazioni delle Marche dal 2006 al 2010; dal 1993 ad oggi è Docente di Teologia Pastorale e Catechetica nell’Istituto Marchigiano di Ancona; Docente di Teologia Pastorale e Catechetica nel Pontificio Istituto di Pastorale della Pontificia Università Lateranense dal 1993 al 2001; dal 2010 ad oggi è Parroco della parrocchia di San Severino Vescovo in San Severino Marche. Dal 5 gennaio 2005 è Cappellano di Sua Santità.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Pavia (Italia), presentata per raggiunti limiti di età da mons. Giovanni Giudici. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il mons. Corrado Sanguineti, del clero della diocesi di Chiavari, finora Pro-Vicario Generale della medesima diocesi. Il Rev.do Mons. Corrado Sanguineti è nato a Milano il 7 novembre 1964. Nel 1983 è entrato nel Seminario Vescovile seguendo i corsi alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione parallela di Genova, dove ha conseguito il Baccellierato in Teologia. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 30 ottobre 1988 per la diocesi di Chiavari. Da sacerdote ha frequentato il Pontificio Istituto Biblico di Roma, conseguendo la Licenza in Scienze Bibliche e laureandosi in Teologia alla Pontificia Università della Santa Croce, soggiornando nel Collegio Lombardo di Roma. Ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Coadiutore nella Parrocchia di San Giuseppe nei Piani di Ri, nella periferia nord di Chiavari, dal 1989 al 1992; Parroco di San Lorenzo di Levaggi dal 1988 al 1992; Presidente della Consulta Diocesana per la Pastorale Giovanile dal 1999 al 2004; Membro del Centro Diocesano Vocazioni dal 1999 al 2004; Membro del Consiglio Pastorale Diocesano dal 2000 al 2010. Dal 2013 ad oggi è Parroco delle parrocchie di San Colombano in Vignale e di San Martino del Monte in San Colombano Certenoli, e Prevosto della Cattedrale di N.S. dell’Orto; dal 2005 ad oggi è Direttore e Docente dell’Istituto di Scienze Religiose “Mater Ecclesiae” di Chiavari, Pro-Vicario Generale, Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano, del Collegio dei Consultori e del Consiglio Pastorale diocesano. È Cappellano di Sua Santità dal 2011. Inoltre, è Docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Genova; Incaricato diocesano per la formazione del Clero; Presidente della Consulta per la cultura; Referente diocesano del “Progetto Culturale” della CEI e Prefetto degli studi del Seminario diocesano.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Nuevo Laredo (Messico) S.E. Mons. Enrique Sánchez Martínez, finora Vescovo titolare di Tamugadi e Ausiliare di Durango. S.E. Mons. Enrique Sánchez Martínez è nato il 2 dicembre 1960 a Cuencamé, diocesi di Gómez Palacio. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario di Durango. Ha conseguito la Licenza in Sociologia presso la Pontificia Università Gregoriana. E’ stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Durango il 29 giugno 1986. È stato Economo e Docente nel Seminario Maggiore, incaricato della Pastorale Sociale Diocesana e Cappellano delle Suore Figlie del Sacro Cuore. In seguito è stato nominato Parroco e Vicario della Pastorale. Eletto Vescovo titolare di Tamugadi e Ausiliare di Durango il 21 luglio 2008, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 10 ottobre successivo.

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Il Papa con i Luterani: a Parigi Dio usato per chiudere i cuori

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Degli attentati di Parigi si è parlato nel corso della visita di Papa Francesco alla Comunità Luterana di Roma. “Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori” – ha detto il Pontefice nel suo discorso ai presenti. Guardare a Cristo e al comune Battesimo è la via per superare lo scandalo della divisione. Il servizio di Giancarlo La Vella

Compassione per le vittime degli attentati terroristici e i loro familiari. La tragedia che ha colpito Parigi risuona ancora lancinante nelle parole d’accoglienza del pastore luterano, Jens-Martin Kruse. E il Papa, rispondendo ad alcune domande dei presenti, parla della chiusura del cuore come causa dell’egoismo umano, della non accoglienza e anche della violenza. I muri - ha detto - sono un monumento all’esclusione che ci allontana dal Signore:

“E’ una cosa brutta avere il cuore chiuso. Mio fratello pastore ha nominato Parigi: cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori”.

Rispondendo poi ad una luterana sposata con un cattolico e sul desiderio di partecipare insieme alla Cena del Signore, il Papa ha sottolineato che, “se abbiamo lo stesso Battesimo, dobbiamo camminare insieme”. Questo fa parte di un dialogo teologico - ha continuato - che deve essere portato avanti in modo proficuo. “Che cosa ti piace dell’essere Papa?" ha quindi chiesto a Francesco un bambino di nove anni:

“Mi piace fare il Papa con lo stile del parroco: come servizio. Mi sento bene quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono un po’ disperate, tristi. Parlare con i carcerati. Ogni volta che io entro in un carcere, domando a me stesso: perché loro e io no?".

Dopo la lettura del Vangelo di Matteo, nel suo discorso il Papa si chiede: “Quali saranno le domande che ci farà il Signore” il giorno del Giudizio?

“…le domande sono sui poveri, perché la povertà è al centro del Vangelo. Lui non ritiene privilegio di essere come Dio, ma si è annientato, si è umiliato fino alla fine, fino alla morte di Croce: è la scelta del servizio”.

Il servizio, come compassione, condivisione, come vicinanza concreta al fratello nella sua situazione reale. La scelta del servizio fatta da Cristo – fa capire il Papa – è la strada giusta che deve illuminare il dialogo tra luterani e cattolici:

“Ci sono stati tempi brutti fra noi, eh? Pensate alle persecuzioni. Dobbiamo chiederci perdono di questo, dello scandalo della divisione”.

Chiediamo la grazia – ha concluso Papa Francesco – di una diversità riconciliata nel Signore, quel Dio che è venuto da noi per servire e non per essere servito. Infine, l’invito ai luterani ad accompagnare in comunione ecumenica i cattolici nel Giubileo della Misericordia, alla riscoperta del perdono di Dio e della bellezza dell’amore per i fratelli.

Tra i presenti la grande gioia per l’incontro con il Santo Padre si è mescolata al dolore per le vittime dell’attentato a Parigi. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – È la terza visita di un Papa a questa comunità. L’ecumenismo fa parte della vita della nostra Chiesa, perché tutti andiamo verso l’unità – lentamente, sì – ma dobbiamo fare questo sforzo.

D. – È forte l’invito anche a pregare insieme proprio in un momento difficile come questo… Allora, in che modo anche rispondere a questa esortazione che ci viene data?

R. – L'arcivescovo di Parigi ci ha detto che anche in Nigeria, a Beirut e in altri posti ci sono state vittime, e non soltanto a Parigi. Il Santo Padre parla della “Terza guerra mondiale a pezzi”. In un mondo violento è molto, molto importante che i cristiani preghino insieme.

R. – Certamente è un passo molto importante sotto il profilo ecumenico. Però penso che la collaborazione tra le diverse Chiese cristiane potrebbe essere anche un passo in avanti di fronte alla grande sfida del terrorismo che abbiamo di fronte.

R. – Tenendo presente tutti i punti che ci uniscono e non solo quelli che ci dividono.

D. – Come si può trovare un dialogo interreligioso?

R. – La convivenza è importante. Possiamo arrivare ad un’idea in comune visitandoci l’un l’altro, dimostrando che c’è amore e che la pace è possibile.

D. – Cosa vi rimarrà di questo incontro con il Santo Padre?

R. – Un immenso piacere perché facciamo parte delle famiglie miste - mio marito è cattolico - quindi è un momento che noi abbiamo sempre sognato!

R. – Sicuramente è stata una cosa molto toccante: le parole che ha usato, la semplicità, l’unione tra le due Chiese, che poi alla fine effettivamente è un’unica Chiesa, perché nasce dallo stesso Battesimo.

D. – E a te, invece?

R. – La sua saggezza e quello che ha detto…

R. – Il dialogo che c’è stato, soprattutto quando ha risposto alle domande.

R. – Quello che noi desideriamo è l’unità: basta con le divisioni!

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Premio Ratzinger 2015: vincono teologo libanese e brasiliano

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E' stato presentato nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa vaticana l’edizione del 2015 del Premio Ratzinger che sarà conferito dalla Fondazione dedicata al Papa emerito il prossimo 21 novembre. A vincere il premio un teologo libanese, il prof. Nabil e-Khoury, e un teologo brasiliano, padre Mario de França Miranda. All’evento sono intervenuti l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, membro del comitato scientifico della Fondazione, e mons. Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione e il prof. Pietro Luca Azzaro, segretario esecutivo della Fondazione e traduttore dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger. Il servizio di Alessandro Gisotti

Una settimana importante per approfondire e valorizzare il pensiero teologico di Joseph Ratzinger. Oltre al premio dedicato al Papa emerito, i prossimi giorni vedranno anche l’apertura di una Biblioteca dedicata a Benedetto XVI, che troverà spazio nel Collegio teutonico in Vaticano, e al quale il Papa emerito ha donato oltre 200 suoi libri, e un convegno sulla Deus Caritas Est e il legame con l’imminente Giubileo della Misericordia all’Augustinianum, in collaborazione con la Lateranense.

Magistero teologico di Ratzinger ha portata universale
Per quanto riguarda il premio Ratzinger, presentato in Sala Stampa vaticana, i vincitori sono il teologo libanese Nabil el-Khoury, che ha anche tradotto in arabo le opere di Joseph Ratzinger, e il teologo brasiliano Mario de França Miranda, che per dieci anni è stato membro della Commissione teologica internazionale nel periodo in cui era presidente dell’organismo il cardinale Ratzinger. L’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, membro del comitato scientifico della Fondazione, ha sottolineato l’importanza di questa scelta:

“L’America Latina ha dato alla Chiesa il primo Papa non europeo e con questo la Chiesa cattolica ha offerto una nuova e molto eloquente prova della sua cattolicità. L’importanza dell’Oriente per la Chiesa fu ripetutamente sottolineata dal Papa San Giovanni Paolo II, che amava dire che la Chiesa cattolica deve respirare con due polmoni, appunto l’Oriente e l’Occidente”.

Rilevante premio a teologo arabo, mondo che sa ragionare e dialogare
Il magistero teologico di Ratzinger, ha ripreso mons. Ladaria Ferrer, “ha avuto e ha senza dubbio una portata universale”. Guardando anche ai tragici eventi di Parigi, mons. Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione, ha messo l’accento sulla personalità del teologo libanese el-Khoury:

“Pensate cosa vuol dire anche un premio, non solo dato ad un latinoamericano, ma ad un gande ed importante esponente del modo arabo in questo momento; questo vuol dire che il mondo arabo è un mondo che è capace di dialogo, di unire, ha delle università dove si può studiare, discutere, ragionare, approfondire non solo la fede ma entrare in dialogo con altre fedi”.

Mons. Scotti non ha poi mancato di ringraziare il cardinale Camillo Ruini che ha guidato in questi anni la Fondazione ed ha rammentato che ora a presiedere il Comitato scientifico è il cardinale Angelo Amato. Ancora, ha ricordato che in questi anni di attività la Fondazione ha collaborato con oltre 500 università di tutto il mondo, coinvolgendo più di 10 mila tra docenti e studenti.

Pubblicato IV volume dell’Opera Omnia di Ratzinger
Dal canto suo, il segretario esecutivo della Fondazione, il prof. Pierluca Azzaro ha reso noto che è stato appena pubblicato il quarto volume dell’Opera Omnia di Benedetto XVI, dedicato agli scritti di Cristologia del Papa emerito, mentre il prossimo volume sarà dedicato al Concilio Vaticano II in Ratzinger.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La violenza in nome di Dio è una bestemmia: all’Angelus il dolore del Papa per i barbari attacchi terroristici a Parigi.

No a cuori chiusi: il dialogo del Pontefice con la comunità evangelica luterana di Roma.

La visita dell’arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati in Zambia e Malawi.

Non è una semplice crisi: Roberto Volpi illustra gli ultimi dati Istat sul matrimonio.

Senza giudicare né retrocedere: Antonella Lumini sulla strage nel monastero algerino di Tibhirine.

La diversità come valore artistico: dal Cairo, Rossella Fabiani sulla trentasettesima edizione del Festival internazionale. 

La traduttrice di Filone: il direttore ricorda Clara Kraus Reggiani.

Un classico moderno: Gabriele Nicolò su etica e religiosità in Thomas Stearns Eliot.

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Oggi in Primo Piano



Parigi. Individuata "mente" della strage, è membro dell'Is

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È una frenetica attività investigativa quella che sta attraversando la Francia in queste ore. Un’ondata di arresti e oltre 160 perquisizioni per far emergere la rete di complicità che ha permesso agli otto attentatori di eseguire la carneficina di venerdì scorso a Parigi. Su tutto, la probabile individuazione della “mente” degli attacchi: il 29.enne di origine marocchine Abdelhamid Abaaoud, fuggito in Siria nello scorso gennaio per combattere con l’Is. Il servizio di Francesca Pierantozzi

Parigi riprende la vita normale o almeno ci prova. A mezzogiorno il minuto di silenzio in tutto il Paese. Particolarmente commovente vedere il presidente, François Hollande, che ha scelto di raccogliersi davanti alla Sorbona: un omaggio ai tanti studenti che sono tra le vittime degli attentati di venerdì.

Arresti e perquisizioni
E intanto è partita l’offensiva contro gli ambienti radicali, serbatoio del terrorismo. Questa mattina il ministro dell’Interno, Cazeneuve, ha fatto il bilancio di un blitz: 23 le persone fermate tra Lione, Grenoble, Marsiglia, la banlieu di Parigi, 104 sono agli arresti domiciliari. Sequestrati armi ed esplosivi. Ed avanza anche l’inchiesta sui kamikaze e sui loro complici, senz’altro più di uno. Finora sono stati identificati cinque terroristi: quattro sono francesi, uno probabilmente siriano.

Caccia al terrorista in fuga
È caccia anche a Salah Abdeslam che aveva noleggiato le auto servite ai terroristi. Suo fratello si è fatto esplodere su Boulevard Voltaire. Lui è in fuga, forse in Spagna o addirittura in Italia. In mattinata si è diffusa la notizia di un suo arresto a Bruxelles, poi smentita.

Prosegue il riconoscimento delle vittime
E prosegue anche la dolorosa identificazione delle vittime: almeno 20 sono ancora senza nome. Tante anche le famiglie che cercano un loro caro scomparso da venerdì. La speranza ormai è che sia tra i feriti gravi, ricoverati nei diversi ospedali della città.

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Raid francesi su Raqqa: Is ricolloca miliziani. Bozzo: azioni continueranno

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Il sedicente Stato Islamico (Is) starebbe ricollocando i propri miliziani e spostando i civili da Raqqa, considerata la capitale dell'autoproclamato “Califfato”, in seguito ai raid francesi sulla località nel nord della Siria, scattati dopo gli attentati di venerdì a Parigi. A sostenerlo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui i jet francesi, in oltre 30 azioni, avrebbero preso di mira centri di comando, addestramento e reclutamento dei gruppi jihadisti. La coalizione internazionale, fa intanto sapere il Pentagono da Washington, ha distrutto 116 camion cisterna utilizzati dai combattenti al confine con l’Iraq. Ma a cosa punta ora la strategia anti Is? Risponde Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università degli studi di Firenze, intervistato da Giada Aquilino

R . – Il “Daesh”, il sedicente Stato islamico, si è differenziato fino ad oggi e negli anni scorsi rispetto ad altre organizzazioni terroristiche del radicalismo islamico, perché ha voluto stabilire un controllo territoriale: quindi, una cosa molto diversa rispetto - ad esempio - ad al Qaeda, il più diretto predecessore. Avendo dichiarato Raqqa come una sorta di propria capitale, si espone quindi agli attacchi aerei diretti verso quella capitale e verso installazioni militari, centri di comando e di controllo che possono essere insediati in quell’area e altrove. D’altro canto, però, l’Is è anche un gruppo terroristico internazionale che si è costituito e autoproclamato come “Califfato” e considera altri Paesi presenti sulla scena mediorientale o nordafricana come proprie “province” ed “emanazioni”: per questo, ha stabilito la propria presenza anche in quei Paesi; penso soprattutto a un Paese a noi molto vicino, come la Libia. Allora, è logico che colpire Raqqa o conquistare territori, città, villaggi a suo tempo presi dall’Is abbia un significato, in quanto priva l’organizzazione di basi territoriali e anche, ovviamente, delle risorse economiche che possono essere associate a quei territori. D’altro canto, però, possiamo anche notare come quanto avvenuto in Francia sia in qualche maniera una risposta, su un piano totalmente diverso, a questo nuovo attivismo delle forze presenti in Medio Oriente che combattono contro l’Is: una risposta a distanza, colpendo dove per un Paese occidentale, come la Francia, è molto più difficile prendere delle contromisure ed evitare l’attacco.

D. – L’attacco della coalizione di curdi, combattenti sciiti, forze regolari irachene - appoggiate appunto dai raid internazionali - potrebbe portare ad un’eventuale caduta di Raqqa?

R. – Si calcola che i combattenti del cosiddetto Stato islamico siano in numero di 40-45 mila, forse 50 mila: difficile pensare che il numero sia maggiore. Non si tratta di numeri e di capacità tali da impressionare forze adeguatamente armate, addestrate e soprattutto sostenute dall’aria. Temo però che gli attacchi terroristici in Europa continueranno, anche perché l’Is non è soltanto stanziato territorialmente tra la Siria e l’Iraq, ma ha creato proprie affiliazioni anche altrove.

D. – Nei pressi di Sinjar, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, strappata all’Is nel giorni scorsi, è stata trovata una fossa comune con i corpi di 50 uomini yazidi. C’è il timore che ci possano essere altre scoperte del genere e che le violenze possano ulteriormente intensificarsi in questo momento?

R. – Sappiamo che tipo di organizzazione sia “Daesh” e come si muova. Lo sappiamo sulla base di tutto quello che è successo dall’anno scorso ad oggi: fosse comuni, massacri indiscriminati, popolazioni intere ridotte in schiavitù, stupri… Perciò non credo che queste modalità di azione siano destinate a cambiare o ad attenuarsi, anche perché c’è una forma di comunicazione finalizzata a produrre un certo effetto psicologico, come si è visto anche in passato.

D. – Gli attentati in Turchia e in Libano, l’esplosione del jet russo nel Sinai, poi Parigi: cosa c’è da attendersi?

R. – Credo che sia facile, in qualche maniera, intravedere una strategia di coordinamento delle azioni, di una più generale “grande strategia” di Is, frutto anche dell’aumento e della risposta all’aumento della pressione territoriale posta sul sedicente Stato islamico. Credo che siamo entrati davvero in quella “terza guerra mondiale a pezzi” a cui ha fatto riferimento il Santo Padre e che adesso si manifesta in tutta la suo violenza e virulenza.

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Armi e guerre. Simoncelli: quelle leggere fuori controllo

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Dopo i tragici attentati di Parigi rivendicati dall’Is, riecheggia la parola "guerra" tra tutti i Paesi nel mirino dello Stato islamico. Si discute di strategie militari e di soluzioni politiche alternative per vincere il nemico dichiarato e si riaccende il dibattito sull’opportunità di produrre ed esportare armi, che alimentano infine i conflitti in ogni angolo del pianeta. Roberta Gisotti ha intervistato Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo: 

D. – Dr. Simoncelli, che gran parte del mondo fosse in riarmo si sapeva dagli ultimi rapporti su produzione, export e import di armi. E’ dunque giusto collegare il business delle armi alle conseguenze nefaste delle guerre in Medio Oriente e in Nordafrica, che atterriscono ora anche l’Occidente?

R. – Certamente, è uno dei grossi nodi della nostra epoca contemporanea. Teniamo presente che, rispetto ai primi anni Novanta, con circa 1.200 miliardi di spese militari mondiali, oggi siamo a 1.700 miliardi: abbiamo aumentato di quasi il 50%! E poi, il problema non è soltanto quello del commercio ufficiale tra gli Stati. Il problema è anche quello del commercio clandestino delle armi, di cui è molto più difficile avere informazioni. Ma quello che preoccupa ancora di più, non è tanto la vendita degli elicotteri o delle portaerei che devono essere venduti inevitabilmente alle Forze armate di uno Stato regolare, che poi magari sia più o meno democratico, è un altro elemento da tenere in considerazione. Quello che preoccupa di più, a mio avviso, è la circolazione delle cosiddette "armi piccole e leggere": andiamo dalle pistole ai piccoli mitragliatori, alle bombe, agli esplosivi, alle munizioni che alimentano le guerre infinite che ci sono in giro per il mondo.

D. – A questo proposito, sappiamo che l’Italia – che è all’ottavo posto nella classifica generale tra i Paesi maggiori produttori ed esportatori di armi – è invece al primo posto nell’esportazione di armi leggere e queste sono in aumento in Medio Oriente e in Africa…

R. – Sono dati che ovviamente ci fanno inquietare, perché sono vendite inizialmente legali alle Forze armate regolari ma poi, nel corso degli eventi, di queste armi si perde traccia e vanno finire nel grande mercato illegale. Esempio clamoroso: a Gheddafi sono state vendute nel corso degli anni tantissime armi e nel momento in cui è crollato il suo regime, di queste armi si è persa traccia. Di alcune sono state trovate tracce in Siria, di altre in Mali, di altre nell’area palestinese, nel Sinai e così via… Non dimentichiamo che Osama Bin Laden e al Qaeda furono armati e addestrati, a suo tempo, per combattere contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

D. – Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Francia e Gran Bretagna sono i sei maggiori produttori ed esportatori di armi nel 2014. Quindi, cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che in in realtà, è l’organismo che dovrebbe soprassedere al mantenimento della pace nel mondo…

R. – Sì, questa è una delle contraddizioni storiche, ormai, di questo organismo, perché risale all’epoca della Guerra fredda, ad esclusione della Cina che all’epoca non era uno dei maggiori produttori e commercianti di armi. Ma rimane il problema che le normative attualmente valide a livello internazionale – come il Trattato internazionale sul commercio degli armamenti, che è stato varato dall’Onu due anni fa ed è entrato in vigore un anno fa – non hanno ancora la firma dei maggiori produttori di armi, come Stati Uniti, Russia,  Cina. Questo è un "vulnus"gravissimo al primo tentativo internazionale di mettere sotto controllo questo settore. Finché rimarrà incontrollato, non possiamo certamente meravigliarci delle guerre continue che purtroppo si diffondono sul nostro pianeta.

D. – Bisognerà che questo dibattito sulla produzione e sull’esportazione delle armi prenda luce…

R. – E’ fondamentale che l’opinione pubblica possa essere informata e possa avere dati certi, che possa rendersi cosciente di quello che sta avvenendo. Anche in Italia noi abbiamo una legge dal 1990, la 185, che cerca di porre sotto controllo le esportazioni di armi. Ma nel corso degli anni, la relazione che viene presentata annualmente dalla Presidenza del Consiglio diventa sempre più opaca, sempre più difficile da leggere – aumentano il numero di pagine ma non aumenta la trasparenza. E invece è necessario che si sappia chi vende, cosa viene venduto, a chi viene venduto, il valore di queste armi, e che questo avvenga in sintonia con i principi ispiratori sia della nostra legge italiana, la 185, sia con quelle del Trattato internazionale che dicono che non bisogna vendere armi ai Paesi in guerra, dove c’è rischio che non vengano rispettati i diritti umani, dove ci sono dittature e quant’altro.

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Sant’Egidio: preghiera in memoria delle vittime di Parigi

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In un momento drammatico non solo per la Francia, la Comunità di Sant’Egidio invita tutti ad unirsi questa sera alle ore 20, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, alla “Preghiera per la pace in memoria delle vittime di Parigi”. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – Noi crediamo che nella preghiera ci sia veramente la più grande consolazione per noi che viviamo ancora momenti di paura, di incertezza per quello che sta accadendo e che è accaduto in Francia, ma soprattutto per essere vicini alle vittime. Pregare per chi non c’è più, per i feriti, perché guariscano presto, per i loro familiari e per gli amici, e soprattutto per mostrare attraverso la preghiera la più grande solidarietà in questo momento a tutti quelli che soffrono per questi terribili attentati, perché in un momento di shock, cioè di grande freddo, sentano il calore dell’amicizia, della partecipazione e della solidarietà.

D. – Utilizzare il nome di Dio per giustificare la strada della violenza – ha detto ieri il Papa all’Angelus – è una bestemmia. Gridare "Dio è grande" prima di compiere massacri è una bestemmia, una ingiustificabile offesa al Signore. A Parigi è stato perpetrato un attentato all'umanità e anche al vero islam…

R. – Sì, nel senso che non si può comprendere. E’ qualcosa di totalmente lontano, di totalmente fuori da qualsiasi discorso religioso e umano: uccidere delle persone con l’idea che si possa portare la salvezza attraverso la morte di altri. Questa è la bestemmia. C’è qualcosa, cioè, di totalmente disumano. In questo senso, sono tanti anni che le religioni, su iniziativa di Giovanni Paolo II, hanno intrapreso un cammino di preghiera e di dialogo comune per la pace. Ricordiamoci tutti, nell’’86 – esattamente quasi 30 anni fa – l’iniziativa di Giovanni Paolo II ad Assisi. Su quella strada dobbiamo incamminarci e continuare, anche se tante menti, purtroppo, sono ancora troppo lontane da quell’idea.

D. – Il Papa, visitando ieri la comunità luterana di Roma, ha anche detto che i muri sono un monumento all’esclusione che ci allontana dal Signore. Il nome di Dio – ha aggiunto – viene usato per chiudere i cuori. Il terrorismo estremista fa proprio questo: vuole seminare odio e paura, erigere steccati muri. In questo tempo sono ancora più urgenti le strade dell’integrazione e dell’accoglienza…

R. – Esattamente. La prima grande risposta che noi possiamo trovare a ciò che sta accadendo non è certamente nella guerra, ma nell’idea di dover continuare a costruire una società, una civiltà che si fonda sulla convivenza pacifica, in cui tutte le persone, anche chi viene da lontano, si sentano accolte e non si sentano marginali. C’è una grande domanda che sale dalle periferie delle grandi città europee – è la domanda di tanti che si sentono esclusi, che si sentono marginali – e quindi c’è un grande lavoro da fare perché queste persone, o almeno alcune loro frange, non vengano consegnate alla propaganda islamista, alla propaganda dello Stato islamico, ma che possano realmente trovare nella nostra Europa, nella nostra civiltà una via di integrazione e di futuro.

D. – Cosa può fare oggi ill mondo islamico moderato?

R. – Vedo che il mondo islamico moderato sta condannando in maniera molto chiara e netta gli attentati avvenuti a Parigi. Teniamo conto che questa è una guerra soprattutto intra islamica. Sono ormai 30 anni che i musulmani si stanno combattendo – tra sunniti, sciiti, tra varie fazioni dell’islam – nel Medio Oriente. E questo, naturalmente, ha delle ricadute anche sui musulmani in Europa. Noi come europei, siamo marginali rispetto a questa guerra, ma comunque siamo stati coinvolti. A questo punto, tutti i musulmani che vivono con noi, credo che oltre a condannare debbano diffondere l’idea che il vivere insieme, la civiltà del convivere, sia l’unica strada per avere tutti un futuro e quindi costruirla nel rispetto delle altre religioni, nell’apprezzamento e nella conoscenza. 

D. – Nella Basilica di Santa Maria in Trastevere si accenderanno stasera le “luci della pace” per non far prevalere l’oscurità che ha avvolto in queste ore Parigi e che rischia di diffondersi in tutta Europa…

R. – La preghiera è una luce, una luce di speranza. La Parola di Dio, come dice il Salmo, “è una lampada per i nostri passi”. Noi nella preghiera di questa sera, a Santa Maria in Trastevere, accenderemo ognuno una candela e la porteremo fuori dalla Chiesa per rompere il muro del buio, per rompere il silenzio e per portare una luce di speranza nella nostra società.

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Birmania, dopo le elezioni a febbraio il nuovo presidente

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In Myanmar, con le prime elezioni libere dopo 25 anni, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) guidata dal Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Quando a gennaio verrà scelto il presidente del Paese i problemi da affrontare saranno di natura etnica, ambientale ed economica. Quali saranno le strategie politiche per governare insieme ai militari cui, secondo la Costituzione, spetta di diritto un quarto del parlamento? Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Emanuele Giordana, giornalista e presidente di Lettera22: 

R. – Gli osservatori dell’Unione Europea non hanno riscontrato violazioni o stranezze. Hanno considerato queste elezioni “libere e corrette” e lo stesso ha fatto la Carter Foundation. Questa è una buona notizia ed è una svolta. È chiaro che si possono determinare molte cose, anche una serie di alleanze con gruppi minori e Aung San Suu Kyi potrebbe decidere di dare anche alcuni dicasteri, o comunque alcuni posti importanti dell’amministrazione, almeno ai due partiti di minoranza che hanno vinto 17-18 seggi, quelli degli Shan (Lega nazionale democratica Shan - ndr) e degli Arakan (Lega democratica Arakan - ndr). Quindi potrebbe essere possibile tentare di cambiare la Costituzione, che è quello che impedisce a Aung San Suu Kyi di diventare presidente.

D. – Sono diversi i problemi che si troverà ad affrontare il governo. Forse il più complesso è quello delle minoranze etniche armate: come si può far fronte a questa mancanza di integrazione?

R. – Questo è un problema grosso, perché la metà degli abitanti del Myanmar è composta da minoranze etniche. Mentre il gruppo dominante, i birmani, è quello che domina anche la “Lega Nazionale per la Democrazia”, motivo per il quale c’è sempre stata una certa sfiducia reciproca. Allora, lasciando da parte la questione dei Rohingya e dei musulmani, che non hanno nessun tipo di rappresentanza – è gente che non ha nemmeno potuto votare e questo costituisce un disagio enorme – l’altro problema è quello di negoziare con i partiti della guerra. C’è un cessate-il-fuoco da ottobre, ma adesso bisognerà vedere che cosa succede: non è detto che la Lega riesca, almeno in tempi brevi, a negoziare con tutti.

D. – Un’altra emergenza è quella ambientale. Molti conflitti nascono in ragione dell’estrazione mineraria e della deforestazione. Questi ultimi si riflettono poi anche nell’economia del Myanmar

R. – I Paesi, compresi quelli occidentali, sfruttano le risorse naturali del Myanmar. Il più importante è ovviamente il più vicino, la Cina. E poi c’è anche l’India. Sono questi i Paesi che in realtà impongono di lavorare sul territorio in una maniera che poi lo distrugge.

D. – Come si evolveranno le relazioni e i rapporti bilaterali con la Cina?

R. – I cinesi sono molto pragmatici. Quindi, il fatto che al governo ci siano dei militari di destra o che ci sia un partito democratico e riformista per loro non fa molta differenza, purché i propri interessi siano salvaguardati. Gli interessi economici, prima di tutto, e poi quelli che riguardano le frontiere: la lunga frontiera che la Cina ha con il Myanmar. Naturalmente la Cina deve tenere conto sia della presenza degli Stati Uniti, ma anche di quella dell’India, che è l’altro grande "competitor" su questa strada. Sarà quindi un negoziato diplomatico difficile per fare in modo che la Cina resti il partner importante che è, cosa che per il Myanmar è fondamentale.

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Amazzonia. Card. Hummes: lavorare per una Chiesa indigena

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I contenuti dell’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco saranno il filo conduttore dell’Incontro della Repam, la Rete Pan-Amazzonica, i cui delegati si riuniscono da oggi a mercoledì prossimo a Bogotà, in Colombia. Tra i partecipanti, anche 25 tra cardinali e vescovi, oltre a rappresentanti indigeni di diverse etnie locali. La nostra inviata, Cristiane Murray, ne ha parlato con il cardinale Claudio Hummes, presidente della Repam: 

R. – Quella amazzonica è una realtà molto particolare, che ha una vocazione propria verso ciò che riguarda la Foresta amazzonica e tutto ciò che oggi noi chiamiamo la missione, la vocazione. In questo senso, in Amazzonia c’è tutta una popolazione moderna che si è recata lì. Lì ci sono anche delle grandi città, però questo aspetto di essere “Amazzonia” è sempre presente perché la gente che è nata lì, o che si è trasferita lì dalle città, si identifica con una storia, con una cultura propria dell’Amazzonia.

D. – Perché la Chiesa ha sentito questo bisogno di creare la Repam e di dedicarsi a un’evangelizzazione più specifica?

R. – Una Chiesa deve entrare nella cultura, deve fare un’evangelizzazione propria per questa situazione. Un’evangelizzazione che tenti di far sì che l’Amazzonia non sia perduta come realtà fisica, ecologica, così come non sia perduta la sua storia soprattutto. E come dico sempre, bisogna salvaguardare gli indigeni, che sono gli abitanti fondamentali, originari di quella storia di quella cultura che si chiama Amazzonia. Nondimeno, oggi gli indigeni sono i più poveri dei poveri… Ormai, sono stati privati della loro terra, della loro storia, della loro cultura e della loro religione… Tutto è stato tolto. Sono stati spogliati di tutto. Questo è un debito enorme: dobbiamo restituire loro tutto questo affinché possano essere veramente i protagonisti della loro storia e soprattutto della loro storia religiosa. Noi, come Chiesa, dobbiamo riconoscere il loro diritto di essere soggetti della loro storia religiosa. Dobbiamo fare questo anche per dare un esempio alla società. Questo significa lavorare affinché ci sia una Chiesa indigena, una Chiesa immersa nella storia e nella cultura nella religione degli indigeni, una Chiesa che abbia come guida una clero indigeno. Loro hanno il diritto a questo. Sono l’ultima periferia che abbiamo, la più lontana. Noi, per responsabilità, siamo chiamati ad andare fino da loro.

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Mattarella all'Aquila: futuro dell'Italia parte da qui

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“I ricordi non passano, il dolore non si dimentica. L’Aquila è una sfida nazionale, il futuro dell’Italia parte anche da qui”. Così, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, oggi nel capoluogo abruzzese ha ricordato le 309 vite spezzate dal sisma del 6 aprile 2009.  A scandire la visita del capo di Stato un minuto di silenzio per le vittime di Parigi, la sosta alla Casa dello Studente, l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università e la tappa ad Onna dove ha incontrato tra gli altri Giustino Parisse, giornalista che nel terremoto perse due figli e il padre. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – In questi anni qui a L’Aquila abbiamo avuto a volte l’impressione di essere stati letteralmente dimenticati da tutti, anche dai governi nazionali. Oggi la visita di Mattarella ci restituisce la fiducia nelle istituzioni.

D. - Fino ad oggi è stato fatto poco …

R. -  Sì, parlo per Onna. Per questo paese è stato fatto pochissimo; è stata ricostruita la chiesa parrocchiale grazie ai fondi della Germania, un mese fa sono stati aperti i primi due cantieri, un piccolo segno. Per quanto riguarda L’Aquila è stato fatto di più. Parlo del centro storico. Molti palazzi vincolati, a suon di decine di milioni, sono stati ricostruiti anche molto bene. Quindi qualcosa si è mosso, non siamo all’anno zero. Però c’è tanto da fare.

D. – Personalmente, cosa vuol dire per te incontrare il presidente Mattarella?

R. – Per me è un’emozione. Faccio una piccola confessione: a marzo gli scrissi una lettera chiedendogli di venire qui, nel mio paesello. All’inizio mi fu risposto che non era nei programmi del presidente e che questa cosa non era possibile. Però, poi ho saputo che appena è stata aperta questa finestra sull’Aquila con la possibilità di questa visita, il presidente ha deciso di venire a salutare noi onnesi.

D. - Nella tua, nella vostra dura, difficile battaglia contro la sofferenza, la disperazione, la paura, la rassegnazione, cosa vuol dire assistere a quanto è stato fatto, o forse non è stato fatto, dal 2009 ad oggi?

R. – Ieri qui ad Onna abbiamo inaugurato un monumento alle vittime del sisma del 2009. L’arcivescovo del L’Aquila, mons. Petrocchi, ha celebrato la Messa. Durante l’omelia ha detto una cosa che mi ha colpito molto: 'Voi onnesi che avete sofferto tanto, avete il diritto di soffrire'. Per noi, quella sofferenza, nata la notte del 6 aprile resta. Nessuna ricostruzione potrà riempire quel vuoto che è stato aperto quella notte. Però, per rispondere alla tua domanda, è vero, quella sofferenza e quel dolore si trasformano in rabbia nel vedere una ricostruzione che dopo sette anni si sta appena avviando; c’è rabbia nel vedere persone e personaggi che cercano di speculare su quella tragedia; c’è rabbia nel vedere che tanti giovani hanno perso la speranza di costruirsi un futuro qui. Tutto questo va evitato, ecco perché la presenza di Mattarella oggi ci restituisce una piccola luce.

D. – Mattarella ha chiesto che L’Aquila sia oggi una sfida nazionale da cui far ripartire il futuro dell’Italia …

R. - È fondamentale. Quando accadono tragedie di questo genere lo Stato dovrebbe comportarsi come ci si comporta in famiglia. Se in famiglia c’è una persona malata, questa viene aiutata. L’Aquila è il malato d’Italia. Lo Stato non può dimenticare e dire: “L’Aquila è il malato, lasciamolo morire, tanto prima o poi morirà”. L’immagine dell’Italia nel mondo passa anche attraverso una ricostruzione trasparente, onesta e pulita dell’Aquila.

D. – Come trasformare il dolore e la rabbia che si provano di fronte a tanto immobilismo in speranza?

R. – La sofferenza può avere due sfoghi: uno è quello di chiudersi in sé e lasciarsi morire; l’altro è quello di trarre forza dal dolore e dalla sofferenza, dalla memoria di chi non c’è più – nel mio caso dei miei figli e di mio padre – per osservare la realtà, per denunciare le cose che non vanno, pensando sempre ad un progetto, a qualcosa da fare, ad una comunità che deve restare viva. Noi dobbiamo restituire questi luoghi a chi verrà dopo di noi perché questi luoghi li abbiamo avuti in eredità da coloro che sono stati qui prima di noi. A volte il dolore, la sofferenza e la rabbia ti spingono a fare qualcosa di positivo; a volte hai poca voglia di fare, però poi riparti e questo aiuta. Nel terremoto ho perso il futuro, i miei figli, e il passato, mio padre. Io vivo nel presente e quindi devo cercare di essere utile a me stesso e alla comunità nei limiti del possibile e a volte quel dolore e quella rabbia mi danno la forza per farlo.

D. – Il tuo appello a chi può fare qualcosa?

R. – Potrei fare un elenco infinito … I soldi, il lavoro, tutte cose che sappiamo e che possono essere scontate. Io dico soltanto a chi ci rappresenta in questo momento “Non dimenticateci”. Questo non significa che vogliamo l'elemosina; significa semplicemente “Stateci vicino, dateci gli strumenti per ripartire e noi ce la metteremo tutta”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Parigi: Messa a Notre-Dame per le vittime del terrorismo

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Per 15 lunghissimi minuti le campane della cattedrale Notre-Dame hanno suonato a morte ieri pomeriggio. Nella giornata di lutto nazionale, il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, ha presieduto nella cattedrale di Notre-Dame una Messa per le vittime degli attentati. Alla Messa - riferisce l'agenzia Sir - erano presenti i presidenti del Senato e dell’Assemblea nazionale, il sindaco di Parigi Anne Hidalgo, l’ex Presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing e rappresentanti delle diverse religioni. Il nunzio apostolico Luigi Ventura ha dato lettura del messaggio del Papa inviato alla Francia in seguito agli attentati parigini. 

Card. Vingt-Trois: perchè i nostri francesi hanno scelto la jihad?
“Come è possibile che giovani formati nelle nostre scuole e nelle nostre città possono conoscere un disagio tale che il fantasma del califfato e la sua violenza morale e sociale possano rappresentare un ideale per cui dare la vita”, ha chiesto all'omelia il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi. Una domanda – ha detto l’arcivescovo – “terribile in quanto instilla un clima di sospetto in molte famiglie”. “La risposta sulle difficoltà d’integrazione non è sufficiente a spiegare l’adesione di un certo numero al jihad”. Per cui occorre – ha detto l’arcivescovo – rispondere all’interrogativo su “come sia possibile che questo cammino di barbarie possa diventare un ideale”. L’altra domanda posta dal cardinale riguarda il vivere sociale: “In che cosa il nostro stile di vita ha potuto provocare un’aggressione così barbara. A questa domanda noi rispondiamo spesso con l’affermazione del nostro attaccamento ai valori della Repubblica ma gli avvenimenti ci obbligano a interrogarci e forse a esaminare ciò che realmente mettiamo sotto il titolo ‘valori della Repubblica’”.

Ingenti le misure di sicurezza durante la Messa
​Le misure di sicurezza sono state pesantissime in linea con lo stato di emergenza decretato a Parigi e nell’intero Paese. La cattedrale come anche tutti i musei della città sono chiusi al pubblico. L’entrata in cattedrale per la Messa di ieri è avvenuta da un accesso laterale e i fedeli erano stati invitati a non portare borse per favorire i controlli. Non tutti però sono potuti entrare e sono rimasti fuori. “Sono passate 48 ore – ha detto all’inizio della celebrazione il card. Vingt-Trois -. Parigi ha vissuto uno dei periodi più critici della sua storia, uno degli episodi più drammatici. Uomini e donne sono stati selvaggiamente assassinati”. “Siamo qui – ha aggiunto – per condividere il dolore dei loro familiari, per pregare per chi si trova negli ospedali nelle mani dei medici che cercano di salvare ancora qualcuno, per la nostra città e il nostro Paese”. (R.P.)

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Timori di patriarchi e vescovi del Libano per il Medio Oriente

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L’Assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano (Apecl) ha reso pubblico, in un comunicato, l’esito dei lavori della sessione annuale che si è tenuta dal 9 al 14 novembre scoirsi, e focalizzati sulla “cooperazione pastorale fra le Chiese cattoliche in Libano”. Al di là delle preoccupazioni di più stretta natura ecclesiale - riferisce l'agtenzia AsiaNews - la sessione dell’Apecl sembra essere stata dominata dai rovesciamenti geopolitici in corso e dalla notizia del terribile massacro di Parigi, sopraggiunta all’indomani dell’ecatombe di Bourj el-Brajneh (Beirut); due attentati rivendicati dal sedicente Stato Islamico (Is), che i patriarchi e i vescovi hanno condannato senza mezzi termini. 

La sicurezza regionale è diventata responsabilità internazionale
Relegati all’ultima parte del documento, i timori sulle questioni geopolitiche dell’Apecl si riflettono nel fatto che la sicurezza non è più alla portata degli Stati della regione. Ed è per questo che l’Apecl ritiene che “la sicurezza regionale è diventata ormai responsabilità internazionale”. Condannando le violenze di cui sono oggetto i cristiani e le altre minoranze in Siria e in Iraq, l’Apecl preme sulla comunità internazionale e le grandi potenze mondiali perché mettano fine alla guerra e giungano a “soluzioni pacifiche” ai conflitti, “nel rispetto del diritti internazionale che assicuri i diritti dei popoli e degli Stati e garantire la loro integrità territoriale”. Una chiara allusione al progetto di divisione della Siria, avversato con forza da tutte le Chiese orientali. 

Patriarca Rai condanna attentati a Parigi e Beirut
​Nella sua omelia domenicale il patriarca maronita, card Béchara Raï, ha condannato con fermezza gli attacchi terroristici che hanno colpito Beirut e Parigi, deplorando anche il fatto che certe nazioni sostengano “finanziariamente e moralmente” i gruppi terroristi. Il capo della Chiesa maronita fa anche riferimento alla doppiezza di certi Stati della regione, i cui rapporti con i gruppi estremisti islamici violenti sono quantomeno ambigui. (F.N.)

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Vescovi Terra Santa: combattere il terrorismo senza doppiezze

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Il terrorismo va combattuto senza usare “doppi standard”, affrontando tutti uniti anche i fenomeni che ne rappresentano la radice, come “l'oppressione, l'odio, la cattiva educazione e il fanatismo”. Sono questi i suggerimenti realistici contenuti nella dichiarazione diffusa dall'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici di Terra Santa, per esprimere cordoglio davanti agli “attentati di Beirut e Parigi”, dove vite innocenti sono state ancora una volta falcidiate da una “cultura di morte che si oppone alla legge di Dio e alle leggi degli uomini”.

I fedeli di tutte le religioni contrastino la violenza
​Nella dichiarazione, diffusa dagli organi ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme e ripresa dall'agenzia Fides, i vescovi cattolici di Terra Santa richiamano l'urgenza di unire le forze di tutti i Paesi e dei credenti di tutte le religioni per contrastare la violenza, che si rivolge in maniera indiscriminata contro tutto e tutti. “In caso contrario - si legge nel comunicato - essa prima o poi colpirà anche noi”. I vescovi di Terra Santa concludono il loro messaggio pregando l'Onnipotente “anche per i predicatori del terrore, affinché essi si convertano e si pentano di ciò che hanno fatto”. (G.V.)

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Pakistan: cristiani e musulmani condannano la strage a Parigi

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Cristiani e musulmani in Pakistan condannano con forza la strage di Parigi del 13 novembre scorso. Gli attivisti della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp) - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno diffuso un comunicato congiunto a firma di padre Emmanuel Yousaf Mani e del direttore esecutivo Cecil Shane Chaudhry, in cui definiscono “inaccettabile” la morte di persone innocenti per motivi di fede.  

Appello al Pakistan perchè mostri solidarietà alla Francia
I due leader cattolici rivolgono un appello al governo del Pakistan, perché si mostri solidale con la Francia e il suo popolo in questo momento di bisogno e auspica che siano consegnati alla giustizia gli attentatori tuttora in fuga. A fronte dell’incertezza che caratterizza le nostre vite, avvertono i vertici di Ncjp, ai familiari delle vittime resta “la preghiera e l’affidarsi a Cristo” per trovare la pace e la forza necessarie “per superare questa perdita irreparabile”. E augurano una pronta guarigione a chi è rimasto ferito in questo “orribile attacco”. 

L'uso della forza non rappresenta la soluzione dei problemi
Interpellato da AsiaNews padre Bonnie Mendes, una delle personalità più autorevoli della Chiesa pakistana, oggi nelle Filippine in qualità di coordinatore di Caritas Asia, condanna senza mezzi termini la strage. Egli rilancia la difesa della vita, da sempre al centro dell’opera dei vescovi asiatici, e avverte: “Gli attacchi terroristici devono finire” e tutta l’umanità “deve unirsi per combattere il terrorismo”. Le guerre lanciate in Iraq (e in Siria) hanno innescato questa spirale di violenza e terrore, avverte il sacerdote, il quale aggiunge che oggi più che mai “l’uso della forza non rappresenta la soluzione dei problemi”. “Servono soluzioni politiche” conclude, unite “alla sorveglianza delle attività terroristiche” e alla difesa dei valori della “libertà, fraternità e uguaglianza” alla base della Repubblica francese. 

A Lahore Messa per le vittime di Parigi
​“Siamo tremendamente scioccati. La strage di Parigi ha scosso tutti i pakistani. Condanniamo ogni forma di violenza. Il Pakistan è uno Stato che da anni combatte contro il terrorismo che ha colpito strade, piazze, scuole, chiese. Ieri nella cattedrale di Lahore, come in molte altre chiese del Pakistan, abbiamo celebrato una Messa in suffragio per le vittime e oggi esprimiamo profonda solidarietà con i cittadini francesi ed europei”: è quanto dice all’agenzia Fides mons. Francis Shaw, arcivescovo di Lahore. “Ieri ho avuto un incontro con tutti i preti della diocesi e, come cristiani pakistani, ci uniamo nel porgere le condoglianze alle famiglie e nel pregare per le vittime. Anche molti leader musulmani pakistani hanno espresso la loro condanna, ricordando che il terrorismo violenta il nome di Dio e l’islam”, osserva l’arcivescovo. “Continueremo a pregare incessantemente per invocare da Dio il dono della pace e la forza per superare momenti difficili come questo” aggiunge.

Questi attentati sono una minaccia per le minoranze che vivono in Europa
​Una ferma condanna dell’attentato di Parigi viene anche da personalità e intellettuali musulmani pakistani. Il prof. Musadeq Hussain, decano della Facoltà di legge dell’università internazionale Riphah a Faisalabad (Punjab) afferma che “questi gesti peggioreranno la situazione in tutto il mondo” e “saranno fonte di minaccia per le minoranze che vivono in Europa”. Il sostegno della Francia alle popolazioni di Asia e Africa ne uscirà “indebolito”, mentre saranno rafforzare le politiche “militari e imperialiste”. (S.K.)

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Vescovi Congo: dialogo nazionale rispetti la Costituzione

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Il dialogo nazionale proposto dal Presidente Joseph Kabila deve essere rispettoso della Costituzione e non deve dar vita a forme di transizione o a istituzioni straordinarie. È quanto affermano i vescovi della Repubblica Democratica del Congo in una dichiarazione giunta all’agenzia Fides, firmata da mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco). I vescovi ribadiscono il loro no a eventuali modifiche costituzionali che potrebbero aprire la strada ad un terzo mandato per il Presidente Kabila, il cui incarico scade nel 2016. La Costituzione congolese prevede infatti solo due mandati presidenziali.

Il dialogo strada regale e pacifica per uscire dalla crisi
Nel messaggio si ricorda che “il dialogo è la strada regale e pacifica per uscire dalla crisi. È un elemento costitutivo di ogni sistema democratico”. “Abbiamo la necessità di sottolineare che il dialogo deve svolgersi nel rispetto assoluto del quadro costituzionale e istituzionale vigente. Procedere altrimenti comporterebbe il pericolo, dalle conseguenze incalcolabili per la nazione, di riaprire il dibattito sulla revisione o il cambiamento della Costituzione nei suoi articoli bloccati o, in ogni caso, di prenderne in considerazione la possibilità”.

I vescovi propongono di posporre le elezioni locali al 2017
Per quanto concerne le elezioni, che dovranno tenersi nel 2016, la Cenco aveva proposto un calendario elettorale così scadenzato: elezioni provinciali, legislative e presidenziali. Ma visti i problemi organizzativi e finanziari, la Cenco propone di posporre le elezioni locali al 2017 per dare precedenza a quelle legislative e presidenziali. Il dialogo nazionale proposto dal Presidente Kabila mira a coinvolgere le forze politiche e sociali congolesi per trovare una soluzione condivisa all’impasse causato dal rinvio delle elezioni locali.(L.M.)

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Vescovi Paesi nordici: lettera pastorale per la vita consacrata

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Una lettera pastorale, pubblicata nelle diocesi dei Paesi nordici, per riflettere “sul ruolo e la funzione della vita consacrata” e per “renderla più vicina ai nostri credenti” in un momento in cui “sembra si sia indebolita tra i cattolici la presenza, la comprensione e l’interesse verso la vita consacrata”. Dimostrazione ne è che molti ordini religiosi non sono più presenti e chiudono le loro Case. La lettera, diffusa ieri in tedesco, danese, svedese, islandese e finlandese, esprime ripetutamente la “profonda riconoscenza” dei vescovi per tutto ciò che gli ordini religiosi fanno, ma soprattutto per il loro essere testimonianza di una vita consacrata a Dio, “specchio della vita eterna”. 

L'invito a tutti a pregare per le vocazioni
​Ripercorsi i fondamenti scritturistici e storici, i vescovi spiegano come il “rinnovamento della vita consacrata” e “il rinnovamento della fede dei battezzati” si alimentino reciprocamente. E poi offrono alcuni suggerimenti in relazione al difficile contesto attuale: “state attenti ai segni dei tempi”; “tornate sempre al vostro primo amore” poiché “solo in una profonda relazione con Gesù troverete forza e orientamento per il vostro cammino oggi”; e poi ancora: “vivete la vostra missione con gioia e autenticità”. Ai sacerdoti, oltre che ai religiosi, è chiesto di rendersi disponibili per cammini di accompagnamento spirituale sia verso i giovani in ricerca, sia verso i non cattolici che vogliono crescere nella fede. A tutti l’invito a pregare per le vocazioni. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 320

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.