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Sommario del 19/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la cultura della prossimità supera quella dello scarto

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La vicinanza all’altro supera ogni barriera di nazionalità, di estrazione sociale e di religione. Lo ha detto il Papa ricevendo questa mattina i circa 550 partecipanti alla 30.ma Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari sul tema “La cultura della salus e dell’accoglienza al servizio dell’uomo e del pianeta”. Da Francesco, la denuncia della società che scarta chi non è efficiente e della cosiddetta “medicina dei desideri”, che ricerca la perfezione a ogni costo. Paolo Ondarza

A vent’anni dalla pubblicazione Papa Francesco ricorda l’Enciclica "Evangelium vitae" di San Giovanni Paolo II e la promozione, in essa contenuta, della cultura della "salus", ovvero del rispetto della vita che, declinata in accoglienza, compassione, comprensione e perdono – constata – “trova attuazione insostituibile nel prendersi cura di chi soffre nel corpo e nello spirito”.

Prossimità supera ogni barriera
In vista del Giubileo, il Santo Padre invita tutti a diventare canali e testimoni della misericordia e indica ai partecipanti alla Conferenza internazionale degli Operatori sanitari Gesù, modello di prossimità verso malati, pubblici peccatori, indemoniati, emarginati, poveri, stranieri:

“E curiosamente questi, nella nostra attuale culturale dello scarto sono respinti, sono lasciati da parte. Non contano! E’ curioso… Questo cosa vuol dire? Che la cultura dello scarto non è di Gesù! Non è cristiana! Questa vicinanza all’altro – vicinanza sul serio e non finta – fino a sentirlo come qualcuno che mi appartiene, anche il nemico mi appartiene come fratello, supera ogni barriera di nazionalità, di estrazione sociale, di religione… come ci insegna il 'buon samaritano' della parabola evangelica”.

No a cultura dello scarto e a medicina dei desideri
Una prossimità che supera anche quella cultura dello scarto dominante nei paesi ricchi, come in quelli poveri, che valuta gli esseri umani secondo criteri utilitaristici, da un punto di vista sociale ed economico. Una mentalità, denuncia il Papa, parente della cosiddetta “medicina dei desideri”:

“Un costume sempre più diffuso nei Paesi ricchi, caratterizzato dalla ricerca ad ogni costo della perfezione fisica, nell’illusione dell’eterna giovinezza; un costume che induce appunto a scartare o ad emarginare chi non è 'efficiente', chi viene visto come un peso, un disturbo o che è brutto semplicemente”.

Stretto legame tra salute e responsabilità verso il Creato
Farsi prossimo – prosegue Francesco – vuol dire anche assumersi responsabilità verso il Creato e la casa comune e rendersi interpreti del grido per la dignità umana che si eleva soprattutto dai più poveri e dagli esclusi. Fattore ambientale e salute infatti ribadisce il Papa, pensando anche ad alcune malattie rare, sono strettamente legati:

“Vi incoraggio, in tale prospettiva, a tenere sempre presente, nei vostri lavori, la realtà di quelle popolazioni che maggiormente subiscono i danni provocati dal degrado ambientale, danni gravi e spesso permanenti alla salute".

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Papa: Gesù piange su un mondo che uccide e non capisce la pace

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“Tutto il mondo” oggi “è in guerra”, per la quale “non c’è giustificazione”. E il rifiuto  della “strada della pace” fa sì che Dio stesso, che Gesù stesso, piangano. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“Gesù ha pianto”. Comincia con queste tre parole una delle più dolenti omelie da Santa Marta. Nel Papa risuona l’eco del Vangelo di Luca appena letto, un brano tanto breve quanto commosso.

Il mondo truccato a festa
Gesù si avvicina a Gerusalemme e – probabilmente da un punto sopraelevato che gliela offre alla vista – la osserva e piange, rivolgendo alla città queste parole: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”. Francesco le ripete una a una e soggiunge:

“Ma anche oggi Gesù piange. Perché noi abbiamo preferito la strada delle guerre, la strada dell’odio, la strada delle inimicizie. Siamo vicini al Natale: ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi … tutto truccato: il mondo continua a fare la guerra, a fare le guerre. Il mondo non ha compreso la strada della pace”.

Guerra per le tasche dei trafficanti
Sono intuibili i sentimenti del Papa, identici a quelli di gran parte del mondo in questi giorni, in queste ore. Francesco ricorda le commemorazioni recenti sulla seconda guerra mondiale, le bombe di Hiroshima e Nagasaki, la sua visita a Redipuglia l’anno scorso per l’anniversario della Grande Guerra. “Stragi inutili”, ripete con le parole di Papa Benedetto. “Dappertutto c’è la guerra, oggi, c’è l’odio”, constata. E poi dà voce a una domanda: “Cosa rimane di una guerra, di questa, che noi stiamo vivendo adesso?”:

“Cosa rimane? Rovine, migliaia di bambini senza educazione, tanti morti innocenti: tanti!, e tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi. Una volta, Gesù ha detto: ‘Non si può servire due padroni: o Dio, o le ricchezze’. La guerra è proprio la scelta per le ricchezze: ‘Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’. C’è una parola brutta del Signore: ‘Maledetti!’. Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti. Una guerra si può giustificare – fra virgolette – con tante, tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, tutto il mondo!: è una guerra mondiale – a pezzi: qui, là, là, dappertutto … - non c’è giustificazione. E Dio piange. Gesù piange”.

Il mondo pianga per i suoi crimini
“E mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro – prosegue Francesco – ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita”. Come fece “un’icona dei nostri tempi, Teresa di Calcutta”. Contro la quale pure, osserva, “con il cinismo dei potenti, si potrebbe dire: ‘Ma cosa ha fatto quella donna? Ha perso la sua vita aiutando la gente a morire?”. Non si capisce la strada della pace…”:

“Ci farà bene anche a noi chiedere la grazia del pianto, per questo mondo che non riconosce la strada della pace. Che vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla. Chiediamo la conversione del cuore. Proprio alla porta di questo Giubileo della Misericordia, che il nostro giubilo, la nostra gioia sia la grazia che il mondo ritrovi la capacità di piangere per i suoi crimini, per quello che fa con le guerre”.

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P. Lombardi: Francesco in Africa come messaggero di pace

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Messaggero di pace e riconciliazione. Con questo spirito Papa Francesco si recherà in Africa la prossima settimana. Stamani, nella Sala Stampa Vaticana si è tenuto il briefing di presentazione del viaggio apostolico in Kenya, Uganda e nella Repubblica Centrafricana. Si tratta dell’11.ma trasferta internazionale di Francesco, la prima in Africa. Tra i temi di questo viaggio, sottolineati da padre Federico Lombardi, la pace, il dialogo interreligioso, la testimonianza dei martiri cristiani. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Quando mercoledì 25 novembre l’aereo papale atterrerà nell’aeroporto di Nairobi, inizierà un nuovo viaggio di Papa Francesco che, ancora una volta, predilige gli ultimi, “le periferie”.

E’ l’ora dell’Africa per Papa Francesco
L’Africa è ora protagonista, come sottolineato da padre Federico Lombardi, che non ha mancato di ricordare i viaggi dei precedenti Pontefici e in particolare di San Giovanni Paolo II che, nel suo Pontificato, ha visitato 42 Stati africani, quasi la totalità del continente:

“Il Papa aveva già detto una volta che si incontrava con noi tornando in aereo dal Brasile che voleva andare in Asia e in Africa: in Asia c’è andato, ha fatto due grandi viaggi a cui abbiamo partecipato e che abbiamo seguito, e adesso è venuta l’ora dell’Africa”.

Kenya, attesa per il discorso alle Nazioni Unite
In Kenya, ha rammentato il direttore della Sala Stampa, è da segnalare il discorso che il Papa rivolgerà alla sede delle Agenzie Onu per l’Ambiente e l’Habitat. Ci si attende un discorso ampio che riprenda i temi della “Laudato si’”. Quindi, altro momento significativo sarà la visita a “Kangemi”, uno degli “slum” della capitale keniana. Qui, ha detto padre Lombardi, il Papa pronuncerà un discorso in continuità con quello pronunciato ai movimenti popolari in Bolivia. Successivamente, l’incontro con i giovani del Paese:

“Sono giovani che hanno bisogno di essere incoraggiati, di essere entusiasmati per guardare avanti, in una situazione che non è facile nel vivere la loro testimonianza cristiana e cercare le vie di uno sviluppo adeguato”.

Uganda, l’omaggio alla testimonianza dei martiri
Venerdì 27 novembre, il Pontefice si trasferirà in Uganda, dove il momento centrale sarà la Messa per i Martiri del Paese, seguiti da una visita alla Casa di Carità di Nalukolongo, guidata dai Gesuiti. Padre Lombardi ha rammentato che in Uganda sono attive ben 288 istituzioni sanitarie promosse dalla Chiesa Cattolica. Quindi, ha messo l’accento sull’importanza dei martiri – cattolici e anglicani – per questo Paese che fu visitato, per la prima volta da un Papa, dal Beato Paolo VI nel 1969:

“Nella visita in Uganda, la vicenda dei martiri ugandesi è centrale. Sappiamo anche quanta importanza il Papa dia alla tematica dei martiri: lo abbiamo visto in Corea in particolare, qui lo rivedremo in Uganda”.

Francesco in Centrafrica, messaggero di pace e riconciliazione
Domenica 29 sarà infine la volta della Repubblica Centrafricana ferita dalle violenze, a cui Francesco testimonierà la sua vicinanza e darà un forte segno di pace a partire dalla visita in un campo profughi, di una parrocchia cattolica, dove sono accolti oltre 2 mila sfollati:

“Sappiamo lo scopo per cui il Papa viene nella Repubblica Centrafricana è proprio quello di manifestare la sua vicinanza al popolo che soffre per i conflitti e le tensioni, quindi la visita al campo profughi è un primum per il Papa ed è la prima cosa che fa dopo aver incontrato le autorità”.

Anche in Centrafrica, come negli altri due Paesi, Francesco sarà in papamobile scoperta nei suoi spostamenti per avere un contatto diretto con la gente. Particolarmente significativo l’incontro con la comunità musulmana centrafricana, nella moschea centrale di Bangui. Il Pontefice apprezza lo sforzo della “piattaforma interreligiosa” del Paese africano, che vede tra i protagonisti l’arcivescovo di Bangui, Nzapalainga, un pastore evangelico e un imam.

Centrafrica, nessun cambiamento sul programma
Momento centrale della visita a Bangui la Messa alla cattedrale dove il Papa aprirà la Porta Santa del Giubileo della Misericordia. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il direttore della Sala Stampa Vaticana ha affermato che il messaggio di pace e riconciliazione del viaggio in Africa non viene modificato, semmai rafforzato, dopo gli eventi tragici di Parigi. E ha ribadito che nulla cambia per la visita in Centrafrica:

“Non è cambiato niente, rispetto a quello che abbiamo detto 50 volte, per cui io lo ripeto la 51.ma: cioè, che il Papa desidera andare in Centrafrica, che il programma continua a essere di andare in Centrafrica, che noi ci orientiamo tutti in questo senso, che come ogni persona saggia monitoriamo la situazione e si vede quello che succede… Tuttavia, allo stato attuale noi continuiamo a prevedere di andare in Centrafrica”.

In tutto, il Pontefice pronuncerà 19 interventi, 14 in italiano, 2 in inglese, 2 in spagnolo e uno in francese. Padre Lombardi ha quindi reso noto che il cardinale Pietro Parolin sarà al seguito del Papa in Kenya e Uganda, ma non in Centrafrica perché impegnato a rappresentare la Santa Sede alla Conferenza sul clima a Parigi.

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In udienza da Francesco i vescovi tedeschi in visita "ad limina"

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata un folto di presuli della Conferenza episcopale tedesca in visita "ad Limina”.

In Malaysia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Melaka-Johor, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Paul Tan Chee Ing, gesuita. Al suo posto, il Pontefice ha il sacerdote Anthony Bernard Paul, parroco della cattedrale e vicario per la Pastorale della diocesi di Penang. Il neo presule è nato il 6 luglio 1953 a Alor Star, in Diocesi di Penang. È entrato nel Seminario Minore diocesano e, poi, ha lavorato per breve tempo come docente in una scuola locale. Ha svolto gli studi filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Penang. È stato ordinato sacerdote il 21 luglio 1989 per la Diocesi di Penang. Dopo l’ordinazione, ha svolto i seguenti incarichi: 1989-1992: Vicario parrocchiale di S. Francesco Saverio a Melaka; 1992-1995: Parroco di S. Maria a Tapah; 1995-1998: Parroco della Natività della BVM a Butterworth; 1996-1997: Responsabile diocesano per le vocazioni; 1997-2000:  Vicario Generale di Penang; 1998-1999: Amministratore parrocchiale delle parrocchie dell’Immacolata Concezione di Penang e del Sacro Cuore a Kulim, Kedah; 1999-2005:      Parroco della parrocchia del Sacro Cuore a Kulim; 2005-2010: Parroco della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes, a Sibilin, Ipoh; dal 2010: Parroco della Cattedrale dello Spirito Santo, Penang; dal 2012: Vicario per la Pastorale.

La Diocesi di Melaka-Johor  (1985), suffraganea dell'Arcidiocesi di Kuala Jumpur, ha una superficie di 20.364 kmq e una popolazione di 3.696.000 abitanti, di cui 39.537 sono cattolici. Ci sono 58 Parrocchie, servite da 36 sacerdoti  (30 diocesani e 6 Religiosi),  5 fratelli religiosi, 9 Diaconi permanenti, 40 suore e 7 seminaristi.

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Papa, tweet: tutte le persone sono importanti agli occhi di Dio

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Tutte le persone – veramente tutte – sono importanti agli occhi di Dio”.

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Giubileo, ampliata la no-fly zone. Gabrielli: evitare allarmismi

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E' stata ampliata la "no-fly zone”. Lo ha annunciato il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, a margine della presentazione del logo per il Giubileo. Per realizzare le opere per l’Anno della Misericordia, non sono state attivate leggi speciali e quanto fatto rimarrà alla città. Il servizio di Alessandro Guarasci

Dopo gli attentati di Parigi, è stato a messo a punto il dispositivo per la sicurezza in vista del Giubileo. Per il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, “ci sono alcune zone della capitale, praticamente tutta la città, che sono interdette al volo aereo” per tutto l’Anno Santo. In casi estremi, potranno essere anche abbattuti droni o ultraleggeri, basta che non siano in volo su zone abitate. Insomma, massima attenzione, ma non deve vincere la paura, dice il prefetto, Franco Gabrielli:

“Noi abbiamo anche un obbligo, come istituzioni, di dire alla gente che deve continuare a vivere. Rispetto a questa minaccia, non c’è alcun consiglio che possa attenere al comportamento della gente. Non c’è alcun consiglio. Non possiamo consigliare di non frequentare i luoghi affollati, di non andare per strada, di non fermarsi a un caffè a prendere un caffè, di non andare allo stadio a vedere una partita… Quindi, il cittadino deve continuare a vivere la sua vita".

Gabrielli ha fatto notare che questo è il primo grande avvenimento senza leggi speciali o deroghe. Ci sarà una sala operativa per gestire tutti gli eventi. Tra le opere che saranno entro una ventina di giorni ultimate, la ristrutturazione di 12 pronto soccorso. Ma non solo. Il commissario della capitale, Francesco Paolo Tronca:

“Sono previsti in totale 31 interventi, di cui 28 di riqualificazione viaria e 3 di manutenzione straordinaria del verde pubblico”.

Opere, queste, che rimarranno alla città. I cittadini potranno avere le informazioni grazie a un sito internet e una app.

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Vaticano: inaugurata la nuova Biblioteca Ratzinger

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Inaugurata ieri pomeriggio in Vaticano la Biblioteca interamente dedicata al Papa emerito, Benedetto XVI. La cerimonia ufficiale è stata introdotta dalla lectio magistralis “Dalla Bibbia alla Biblioteca: Benedetto XVI e la cultura della parola”, del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il servizio di Alessandro Filippelli

Sono oltre mille i libri presenti, tradotti in 37 lingue: così gli studenti provenienti da tutto il mondo potranno conoscere il pensiero di Benedetto XVI. Tutto questo è possibile grazie alla donazione dello stesso Papa emerito alla Fondazione Ratzinger e alla Libreria Editrice Vaticana: libri di catechesi e volumi che contengono i suoi insegnamenti. Tra i più preziosi, c’è anche un messale utilizzato da Papa Benedetto in uno dei viaggi apostolici. Mons. Giuseppe Antonio Scotti, presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger:

“Noi, come Fondazione Ratzinger, mettiamo a disposizione il lavoro del professor Azzaro che cura la traduzione dell’opera omnia: quindi potremmo dire che, proprio come Fondazione, ci impegniamo in questo grosso servizio ed impegno economico - ad aiutare gli studenti che vogliano conoscere meglio il pensiero teologico, filosofico, politico e culturale di Ratzinger, per farlo diventare tesoro per il futuro”.

La nuova Biblioteca va ad arricchire quella storica del Pontificio Collegio Teutonico, in Vaticano. Un luogo - racconta mons. Hans Peter Fisher, rettore del Campo Santo Teutonico - al quale Papa Benedetto è particolarmente affezionato, dal momento che da cardinale era solito celebrare lì la Messa ogni giovedì, con i pellegrini di lingua tedesca.

La cerimonia di inaugurazione della Biblioteca e la lectio magistralis del cardinale Gianfranco Ravasi hanno permesso a tutti gli ascoltatori di percorrere un simbolico cammino all’interno di tre “aule ideali”, tutte all’insegna della lettera “B”: Bibbia, Biblioteca, Benedetto XVI. Il cardinale Gianfranco Ravasi:

“Il rilievo è legato soprattutto a tre componenti: la prima, innanzitutto, è il riferimento alla Parola di Dio; in secondo luogo, c’è il tema della Biblioteca, il ritornare ancora al libro, il ritornare ancora alla lettura, una componente che si sta sempre più sgretolando nella società contemporanea. Terzo, poi, la figura stessa di Papa Benedetto, che qui è ricordato sia come teologo per la sua produzione, che è rilevante nel periodo conciliare e anche nel periodo post-conciliare, sia come Pontefice, che ha prodotto un piccolo 'mare' di testi che sono fondamentali, per la teologia ma anche molto per la fede di tutti i credenti”.

Per i presenti all’inaugurazione è stato possibile visitare la Biblioteca Ratzinger, i cui locali sono stati benedetti dall’arcivescovo Georg Gänswein. Il prefetto della Casa Pontificia ha anche portato uno speciale dono del Papa emerito: un piatto in ceramica con il suo stemma da Pontefice.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Oltre ogni barriera: il Papa chiede agli operatori sanitari di prendersi cura degli altri senza tener conto delle differenze sociali e religiose.

Il cammino di un cristiano divenuto Papa: Maurizio Gronchi sugli scritti cristologici di Joseph Ratzinger.

La domatrice di mosche: Tamar Herzig sulla beata Colomba nell’Europa del XV secolo.

Identikit del prete: il cardinale segretario di Stato per i cinquant’anni dell’“Optatam totius” e della “Presbyterorum ordinis”.

Se vogliamo libertà e giustizia: l’arcivescovo di Chicago Blase J. Cupich sugli Stati Uniti di fronte alla questione migratoria.

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Oggi in Primo Piano



Parigi. Hollande: risponderemo a fanatismo con fratellanza

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La Francia non deve perdersi per vincere la guerra, e risponderà all'odio con la fratellanza, al terrore con la forza del diritto, al fanatismo con la speranza. Così il presidente, Francois Hollande, si è espresso sugli attentati di Parigi nel giorno in cui il premier, Manuel Valls, ha evocato il rischio di attentati con "armi chimiche o  batteriologiche". E mentre in Europa sale l’allerta attentati e aumentano i controlli, a Parigi, il giorno dopo il blitz di Saint-Denis, resta la paura. Il servizio da Parigi di Francesca Pierantozzi

L’Assemblée Nationale ha appena votato il prolungamento di tre mesi dello stato di emergenza come chiesto da François Hollande. Fino a domenica, in tutta la regione di Parigi saranno inoltre vietate le manifestazioni. All’indomani del lungo blitz di Saint Denis, l’allerta resta massima a Parigi e in Francia, e continua l’inchiesta sugli attentati del 13 novembre. Non è ancora chiaro se Abdelhaid Abaaoud, considerato la mente degli attacchi, e Salah Sbdesalam, uno dei terroristi in fuga, siano morti nell’assalto delle teste di cuoio. La televisione belga ha detto, citando fonti anonime, che nessuno dei due figurerebbe tra le vittime del blitz in cui sono morti tre terroristi e otto sospetti sono stati arrestati.

Caccia al nono uomo
Prosegue anche la caccia al nono uomo del commando di cui non si conosce l’identità. Intanto il premier Manuel Valls mette in guardia: “Il rischio è altissimo, dobbiamo prepararci a tutto”, ha detto davanti all’Assemblée Nationale. Valls non ha escluso nemmeno possibili attacchi con le armi chimiche e batteriologiche. Il commando smantellato a Saint Denis, secondo il procuratore di Parigi, era pronto a colpire di nuovo, forse alla Défense o all’aeroporto. Perquisizioni continuano a svolgersi in tutta la Francia; per ora sono oltre 60 le persone fermate e moltissime le armi sequestrate.

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Belgio. Il ruolo chiave di Molembeek nel radicalismo salafita

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Dopo la strage di Parigi le forze speciali stanno conducendo ispezioni antiterrorismo a Molenbeek e in altre aree di Bruxelles, luoghi frequentati da Bilal Hadfi, uno dei kamikaze che si è fatto esplodere nei pressi dello Stade de France venerdì scorso. Il Belgio ha il più elevato numero di "foreign fighters" partiti per la Siria e l’Iraq sotto le bandiere del cosiddetto Stato islamico: oltre 350 su undici milioni di abitanti. Il sociologo delle religioni dell’Università degli Studi di Padova ed esperto della realtà islamica belga, Stefano Allievi, ha spiegato ai microfoni di Veronica Di Benedetto Montaccini quali siano le ragioni del dilagante estremismo: 

R. – In Belgio, si sono incapsulate in alcuni quartieri di Bruxelles alcune componenti musulmane poco controllate di tipo tradizionalista, all’interno di questa corrente si è ormai resa molto presente, anche nelle seconde generazioni, una tendenza salafita radicale, rivendicativa, polemica contro l’occidente.

D. – Forse, nel quartiere di Molembeek è fallita l’integrazione ed è diventato un ghetto sociale isolato?

R. – C’è un ruolo fondamentale dei predicatori, di Internet, che certo in una situazione che più disoccupazione, di ampia disponibilità a fare qualcosa – qualunque cosa, ma qualcosa di altro rispetto a quello che fanno – oggi trova una risposta in chiave religiosa. Fossimo negli anni Settanta probabilmente l'avrebbero trovata in chiave politica.

D. – Quali sono i motivi di un’estremizzazione dell’islam e cosa c’entra questo con gli attentati di Parigi?

R.  – Chi studia la situazione belga da più tempo si era accorto però che già da una ventina di anni, non da poco, questo clima neosalafita, un po’ oppressivo, un po’ cupo, culturalmente chiuso, diciamo così, era ampiamente diffuso senza tante controindicazioni o controtendenze o contropoteri o controproposte di tipo culturale.

D. – Quali possono essere le azioni di inclusione sociale e anche di contrasto?

R. – Il governo britannico, per esempio, dopo gli attentati del 2005, le bombe nella metropolitana, aveva deciso di investire moltissimo e a ragione sulle politiche inclusive nei quartieri, sulle forme di autoaiuto delle comunità, progetti legati alla vivibilità dei quartieri, all’offerta culturale alternativa, all’offerta dei servizi sociali, e tutto questo è necessario. Non possiamo immaginare che sia una battaglia di breve periodo, durerà a lungo. Quello che dobbiamo capire soprattutto, però, è che si tratta di una battaglia culturale interislamica, all’interno del mondo islamico.

D. – Come ci si riesce ad arruolare tra i "foreign fighters" e quali sono i network utilizzati? In particolare quali sono le strategie di "Sharia4Belgium", il gruppo terroristico che sceglie i suoi adepti direttamente da Molembeek?

R. – E’ diventato molto, molto semplice. Un salto di qualità gigantesco. L’Is non è al Qaeda, in al Qaeda non era facile entrare: chiunque avesse chiesto di entrare in al Qaeda sarebbe stato sottoposto a screening, sarebbe potuto essere considerato un provocatore. Per entrare nel Califfato, basta prendere un aereo per Istanbul e dopo si trovano i canali e si viene inquadrati abbastanza facilmente: ti mettono un kalashnikov in mano e tanto anche se muori ... non devi fare raffinati e complicati attentati alle Torri Gemelle, diventi carne da macello di una guerra in cui ogni morto diventa un martire da rivendicare che produce ulteriore militanza. La maggior parte delle persone è entrata in contatto con queste reti via internet, attraverso facebook e twitter. Poi, ci sono gruppi più organizzati come quello che lei ha citato, in Belgio, "Sharia4Belgium", ma anche altri in giro per l'Europa: persone che si sono radicalizzate in fretta, che spesso sapevano poco dell’islam, che l’hanno scoperto in carcere o su internet e che in pochi mesi si ritrovano con la barba lunga, combattenti in Siria e magari cadaveri.

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Cresce export di armi dall'Italia. Rete Disarmo: governo non trasparente

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In questo clima di allerta dopo i fatti di Parigi cresce la preoccupazione della società civile per l’Export di armi dall’Italia soprattutto verso il Medio Oriente. Molte Ong accusano il governo di scarsa trasparenza sui dati necessari per capire chi sono gli acquirenti del materiale bellico, cosa comprano e qual è il peso di Roma in questo mercato della guerra. Altra denuncia contro il governo è di aver depotenziato e violato la legge 185 del 1990 che vieta espressamente l’esportazione di armamenti verso i Paesi in stato di conflitto. Caso eclatante l’Arabia Saudita, impegnata nella crisi yemenita, a cui l’Italia ha venduto bombe aree. Fermare il traffico delle armi vuol dire anche non foraggiare il terrorismo, afferma Francesco Vignarca della Rete italiana Disarmo. Cecilia Seppia lo ha intervistato: 

R. – Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait sono tra i nostri principali acquirenti, noi vendiamo a Paesi che violano i diritti umani, inoltre tra i primi 15 Paesi a cui vendiamo, 7 sono considerati regimi autoritari e questo ovviamente dal nostro punto di vista non è positivo, perché va a fomentare situazioni già problematiche come quelle dei conflitti in Medio Oriente.

D. – E che cosa vende l’Italia a questi Paesi?

R. – La nostra industria, in particolare, è molto forte per quanto riguarda l’aeronautica militare, compartecipando al progetto europeo del caccia Eurofighter, e anche l’elicotteristica militare, grazie in particolare ad Agusta Westland, che è leader mondiale del settore. Ci sono poi altre aree legate più all’information technology per la difesa e a tutti i sistemi di difesa. C’è poi l’altra partita, quella non coperta da questa legge sull’export militare, che riguarda le armi leggere, di cui l’Italia è uno dei primi tre produttori ed esportatori mondiali. In questo caso riusciamo ancora con più difficoltà a trovare tutti i dati, però sono situazioni problematiche, perché se l’arma leggera costa poco e quindi pesa poco nelle statistiche del commercio, in realtà è quella che fa ovviamente poi il maggior numero di morti, perché è quella più facile da usare: tutti possono prendere in mano un fucile, un mitragliatore, e sparare. Chiaramente, mentre un elicottero o un cacciabombardiere è difficile da rigirare poi nel mercato nero e, comunque, necessita di una serie di infrastrutture per essere utilizzato, un’arma leggera no. Magari viene mandata anche legalmente in un posto, come è successo ad esempio nel 2011 con le 11.500 pistole e fucili che avevamo venduto, con tutti i crismi di legalità, alle forze di sicurezza di Gheddafi, poi quando succede qualcosa quelle armi chissà che fine fanno. Probabilmente quelle 11.500 pistole e fucili oggi in Libia sono in mano delle bande terroristiche, delle bande che infiammano la regione, perché è semplicissimo prenderle, spostarle, utilizzarle da un’altra parte.

D. – Parlando di violazioni, l’Arabia Saudita è un caso eclatante in questo senso, l’Italia le ha venduto bombe aeree e non solo…

R. – Assolutamente. Secondo noi, in questi mesi, in queste settimane e soprattutto in queste ore, perché proprio stanotte c’è stata un’ulteriore fornitura, alcune bombe di produzione anche italiana, sono state mandate direttamente in Arabia Saudita, secondo noi violando due principi base della legge sull’export militare italiano, che dice che non si possono esportare armi in Paesi in conflitto armato e in Paesi che violano i diritti umani. Purtroppo l’Arabia Saudita è un Paese che ha entrambi questi record negativi. Sappiamo benissimo che in quel Paese una donna, se guida, viene posta agli arresti, la stampa non è libera, e tutta una serie di altre cose. Ma soprattutto l’Arabia Saudita, in queste settimane, è coinvolta in un conflitto non regolato da nessuna risoluzione internazionale, e sta pesantemente bombardando lo Yemen, Paese in cui ci sono stati oltre 6mila morti, centinaia dei quali bambini, e oltre l’80% della popolazione non ha accesso a tutti i servizi primari.

D. – Ecco, infatti c’è un comportamento - se vogliamo - ambiguo, incoerente della comunità internazionale, per quanto riguarda l’Arabia Saudita. Ma forse c’è da fare una riflessione più ampia, proprio su come si sta comportando la comunità internazionale di fronte a questa crisi, che ormai non è soltanto mediorientale, ma è mondiale, lo abbiamo visto con gli attacchi di Parigi…

R. – Proprio l’altro ieri è uscito il Global Terrorism Index elaborato dall’Institute for Economics and Peace di Sidney, che dimostra come l’80% di tutte le vittime del terrorismo nel 2014 - vittime che sono cresciute, hanno superato le 30mila unità - l’80% si abbia in 5 Paesi che sono: Nigeria, a causa di Boko Haram, Iraq, Siria, Afghanistan e Pakistan. Anche se giustamente noi siamo colpiti dalle immagini di Parigi, perché sono vicine a noi dal punto di vista geografico e culturale, però il terrorismo non è un problema europeo o occidentale, è un problema in quei Paesi. Quindi se noi continuiamo a fomentare il fuoco della guerra e dei conflitti in quei Paesi, non ne avremo che una conseguenza negativa: in primis per quelle aree e poi di conseguenza anche per noi. E’ chiaro che la situazione del terrorismo e la situazione di quei conflitti non è derivante solamente dalle armi, ma - come anche ha detto e ripetuto più volte Papa Francesco in questi mesi - le armi servono solo a fare la guerra, le armi possono solo complicare la situazione.

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Siria. Mons. Zenari: crisi si risolve solo se il mondo coopera

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In Siria, proseguono i raid di Francia e Russia su Raqqa, la roccaforte dello Stato islamico dalla quale a decine i jihadisti stanno scappando verso Mosul, in Iraq, altra città da tempo nelle loro mani. Per quanto riguarda la guerra civile, c’è attesa a Goutha, nell’area di Damasco, per il cessate-il-fuoco di 15 giorni tra l’esercito di Assad e i ribelli, che dovrebbe essere annunciato nelle prossime ore. Si parla dei conflitti in corso anche nell’assemblea dei vescovi cattolici siriani, che oggi hanno in programma un momento di preghiera con i rappresentanti delle altre chiese cristiane locali. Al microfono di Roberta Barbi, la testimonianza dell'arcivescovo di Damasco, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria: 

R. – La situazione attuale è stata passata in rassegna: si cerca di fare tutto il possibile con le nostre istituzioni assistenziali, caritative, per venire un po’ in aiuto a questo mare di bisogni. Le esigenze sono enormi e quello che possiamo fare – quello che è a nostra disposizione pur con tutti gli aiuti che vengono dall’esterno e dei quali dobbiamo essere molto riconoscenti – è sempre una goccia in questo mare di povertà, di bisogno. Si è cercato di passare in rassegna questo impegno della Chiesa e ci si è resi conto anche dell’enormità dei problemi che stanno davanti a noi, anche ai pastori. E' una situazione veramente molto dolorosa quella che sta vivendo la popolazione, quella che stanno vivendo i cristiani, tutti quanti.

D. – Quale può essere il futuro del Paese? Obama oggi è tornato a escludere uno scenario che continui a prevedere Assad…

R. – È possibile che questa crisi che è intervenuta in un modo così drammatico e doloroso in Europa, i tristi avvenimenti di Parigi possano dare inizio anche a una svolta, non solo per risolvere la situazione che è in quella zona lì, sotto l’Is, ma anche per risolvere questo conflitto che dura ormai da cinque anni. Occorre una cooperazione, un coordinamento a livello internazionale per risolvere questa crisi, a livello anche poi regionale. Non è più un semplice conflitto civile com’era cominciato, ma è divenuta, adagio adagio, una guerra per procura con interessi forti, interessi regionali e anche interessi internazionali. Quindi, si spera che questa crisi causata da questi tragici eventi terroristici a Parigi possa un po’ far unire le forze della comunità internazionale affinché si prendano decisioni per risolvere la crisi alla radice del conflitto che è iniziato cinque anni fa in Siria e che poi è andato sempre di più complicandosi fino ad arrivare a questo focolaio anche in quelle zone del Califfato, questo focolaio di terrorismo.

D. – Si parla anche di una tregua imminente tra Damasco e i ribelli, è vero?

R. – Ne ho avuto notizia, ma non ho ancora potuto verificare. Spero che possa essere vero e che possa venire applicata. Questo era nei piani concordati anche a quella riunione di Vienna di alcuni giorni fa: andare avanti di pari passo con la tregua, il cessate-il-fuoco e con la soluzione del problema politico. Speriamo siano dei buoni segni e che possano continuare.

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Nigeria: doppio attentato di Boko Haram. 49 vittime

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È di almeno 49 vittime e oltre 130 feriti il bilancio complessivo di due distinti attentati compiuti ieri da Boko Haram nel nord della Nigeria nelle città di Kano e Yole, località dove risiedono molti rifugiati in fuga proprio dalle violenze del gruppo islamista. Gli attacchi arrivano nel giorno in cui, rispetto ai dati del 2014, Boko Haram è stato riconosciuto come il gruppo estremista più mortale al mondo anche in confronto con il sedicente Stato Islamico. Ma i nomi delle due sigle continuano a essere associati da molti analisti e dagli stessi vertici del terrorismo internazionale. Marco Guerra ne ha parlato con l’africanista Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare e della rivista "Africa" dei Padri Bianchi: 

R. – Oggi, in quel territorio intorno al lago Ciad, che è praticamente il Califfato africano, il Califfato dichiarato da Abubakar Shekau, che è il leader di Boko Haram, combatte una missione sotto l’egida dell’Unione Africana, composta da 5 eserciti della regione. Il problema è che questi gruppi, come Boko Haram, adottano la “strategia dell’elastico”: quando sono forti, riescono a conquistare il territorio; quando invece perdono sul piano della guerra convenzionale, a quel punto si dedicano di nuovo al terrorismo. Gli attacchi di Boko Haram di questi giorni sono anche questo: in realtà l’esercito nigeriano, con l’aiuto degli eserciti vicini, ha riconquistato parecchio territorio a Boko Haram, ha liberato molti ostaggi, ha arrestato molti combattenti. Non credo che questa sia la fine di Boko Haram. Avverrà lo stesso per l’Is in Siria e in Iraq: oggi i bombardano tutti - la Russia, gli Stati Uniti, la Francia – lo Stato Islamico perderà del territorio e evidentemente concentrerà ed investirà di più nel terrorismo puro. Accade così anche per Boko Haram.

D. – Molti osservatori puntano il dito contro la corruzione che indebolisce le istituzioni nigeriane. Quindi la strategia del nuovo Presidente Buhari non sembra essere efficace. A che punto è?

R. – La strategia del presidente Buhari è più efficace di quella del suo predecessore: il suo predecessore aveva inviato truppe sul posto che poi fuggivano, lasciavano le posizioni. E’ però anche il frutto della corruzione, perché non ci sono soldi, perché i soldi vengono usati in modo da soddisfare delle onnivore classi dirigenti al potere, che ormai risucchiano praticamente tutto. Un esercito debole, malpagato non può certo vincere contro combattenti che sono più motivati, che hanno anche una motivazione religiosa , tanto più che i combattenti che sono nelle file di Boko Haram, in Boko Haram hanno un ruolo e che vengono pescati nel serbatoio del malessere sociale, della miseria, della povertà…

D. – Perché in Africa tanti giovani sono attratti dalle milizie integraliste? E’ solo una questione economica o c’è dell’altro?

R. – E’ semplice: basta pensare ad un ragazzo che abita in un villaggio del nord della Nigeria, in cui non è potuto andare a scuola; che non ha risorse; che non ha mezzi; che non ha prospettive nella vita; che non è stato educato e non è informato, proprio perché vive in una situazione e in una località remota… Questi giovani una chance la vogliono! E di solito con un kalashnikov in mano si ha un ruolo, si riesce a mangiare e magari si riesce anche a dare da mangiare alla propria famiglia, si hanno donne… Quindi è una alternativa miserabile, ma è una alternativa ed è sempre meglio di non averne proprio.

D. – Lo scorso marzo Boko Haram ha giurato fedeltà allo Stato Islamico: quali sono i legami tra le due sigle?

R. – Io non credo che ci siano legami operativi, ma di certo quella regione nel nord della Nigeria fa parte di quell’ipotetico Califfato mondiale che è la cosiddetta Umma, che i radicali islamici dello Stato Islamico perseguono. Di certo l’affiliazione di Boko Haram allo Stato Islamico è una affiliazione ideologica: quando Abubakar Shekau dichiarò questa affiliazione, poco prima aveva dichiarato la nascita del suo Stato Islamico. Lo Stato islamico in genere ha la caratteristica di disintegrare, di non riconoscere le frontiere tracciate dai cosiddetti infedeli e infatti il Califfato africano di Abubakar Shekau era a cavallo o comunque puntava ai territori di Niger, Camerun e Ciad; ugualmente lo Stato Islamico di Al Baghdadi è a cavallo tra due Paesi e cioè l’Iraq e la Siria.

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Vespri per la pace, card. Vallini: serve conversione dei cuori

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Il cardinale vicario, Agostino Vallini, ha presieduto ieri sera a Roma la recita dei Vespri per commemorare le vittime di Parigi e auspicare la pace in Siria e in Iraq. La cerimonia si è aperta con la testimonianza di padre Firas Lutfi, dei Francescani minori, in partenza per Aleppo, dove la popolazione vive in uno stato di crescente insicurezza ed è sfinita dalla siccità. Alla liturgia hanno preso parte anche i vescovi Matteo Zuppi, Paolo Lojudice ed esponenti delle Chiese orientali presenti a Roma. Il servizio di Eugenio Murrali

Nella cornice di spiritualità del monastero dei Santi Quattro Coronati, a Roma, il cardinale Agostino Vallini ha esortato i fedeli a pregare per la conversione del cuore, l’unica via per una pace duratura:

"Perché il mondo, così evoluto, vive e prospera sul sangue degli innocenti? Purtroppo, oggi tanti cuori sono di pietra. Allora, noi siamo qui per pregare e invocare la pace per la Siria, per l’Iraq, per tutto il Medio Oriente, per il piccolo Burundi, che in questi giorni sta di nuovo sull’orlo di un massacro, per le guerre che fanno notizia, ma anche per le guerre che non fanno notizia".

Grazie alla testimonianza di fra Firas Lutfi, l’incontro di preghiera è stato anche un momento di riflessione sulle condizioni sempre più gravi nelle quali vivono i siriani:

"Quanto è terrificante vedere famiglie intere fare la fila per attingere un po’ di acqua per bere. Non c'è la luce: hanno già fatto saltare per aria più di una volta la centrale elettrica che porta luce a tutta la città. Non si è sicuri né quando si cammina per strada, andando al lavoro, se il lavoro c’è, né stando a casa, perché i missili hanno bombardato i quartieri che generalmente sono abitati da cristiani. Più di 700 famiglie, mi diceva il parroco di Aleppo, sono dovute scappare con i soli vestiti che avevano addosso. Ma scappare verso dove? Andare dove? Se da due anni le ambasciate di tutto l’Occidente hanno chiuso e l’unica via di uscita è quella di intraprendere quella via illegale, quello che Papa Francesco chiama il mare della morte. E per procurarsi questo viaggio vendono tutti i loro averi, anche la casa che hanno guadagnato col sudore della propria fronte, e prendono anche prestiti e spesso e volentieri vengono derubati. Quelle persone non cercano altro che un po’ di sicurezza e un po’ di dignità".

L’iniziativa è stata organizzata dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma. In segno di fratellanza, le monache Agostiniane del monastero e alcuni rappresentanti della comunità orientale hanno animato insieme la liturgia.

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Pubblicati i diari di Pericle Felici, specchio del Concilio

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Uno studio “che permette di approfondire la conoscenza del Concilio Vaticano II” e di “scoprire aspetti e particolari sempre nuovi che ci aiutano ad apprezzare meglio questo grande dono che il Signore ha fatto alla Chiesa”. Così in una lettera privata Papa Francesco si rivolge a mons. Agostino Marchetto, curatore del volume “Il diario conciliare di mons. Pericle Felici”, pubblicato dalla Lev e dedicato alle memorie del segretario del Concilio. Il libro, che recupera uno studio di Vincenzo Carbone, è stato presentato ieri a Roma nei Musei Capitolini. Il servizio di Michele Raviart

Di mons. Pericle Felici, Papa Francesco ricorda nella sua lettera “la storia di un’amicizia con Dio, in Cristo, nello Spirito Santo” e “il suo servizio ecclesiale vissuto con amore, silenziosa dedizione e piena disponibilità”, anche nei momenti difficili. Nato a Segni nel 1911, mons. Felici fu ordinato sacerdote nel 1933 e nel 1959 fu chiamato a far parte della Commissione Antipreparatoria per il Concilio Vaticano II, voluto da Papa Giovanni XXIII. Un evento epocale per la Chiesa e il cui spirito, a 50 anni esatti dalla sua conclusione, non si è ancora esaurito, come spiega il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin:

"Nel periodo del Concilio, si viveva un tempo di grande speranza, il mondo si apriva. Oggi, invece, siamo un po’ tutti chiusi nel timore e nella paura, però come il Concilio rispondeva a quelle istanze, come rispondeva a quelle condizioni, io penso possa rispondere anche alle condizioni di oggi, soprattutto attraverso una riscoperta e un rinnovamento della nostra condizione cristiana e del senso della testimonianza. San Giovanni XXIII diceva che il Concilio doveva essere una primavera e continua a essere vera questa immagine, perché se noi assumiamo davvero il Concilio, come ci invita Papa Francesco, noi possiamo davvero dare una risposta anche alle inquietudini, alle problematiche, alle esigenze del nostro tempo".

Nominato poi segretario generale della Commissione centrale, mons. Felici accoglieva con imbarazzo i discorsi sul suo futuro in Curia e sulla sua probabile nomina cardinalizia. “Questi sono i piani degli uomini”, scriveva sul suo diario, “ma Dio cosa vorrà da me?” La sua eredità - spiega mons. Agostino Marchetto, curatore del volume - è il Concilio stesso:

"E’ stato uno degli uomini chiave del Concilio, per cui quello che è il suo testamento si compendia lì. Lascia adesso il suo diario in cui non solo c’è l’opera, ma c’è anche la spiritualità, il pensiero, per dirci che alla base di grandi opere ci deve essere una realtà spirituale".

La nomina a cardinale avvenne nel 1967, a pochi mesi dal primo Sinodo ordinario, del quale mons. Felici fu presidente delegato. Partecipò poi al Sinodo straordinario del 1969 e a tutte le assemblee ordinarie fino al 1980. Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani:

"Penso che i Sinodi sono un risultato sono un risultato di questo Concilio e il 50.mo anniversario di questo sinodo ha mostrato molto la bellezza di questa istituzione e penso che Papa Francesco voglia cambiare qualcosa anche per approfondire la sinodalità della Chiesa. E questo è molto importante anche per il dialogo con gli ortodossi, perché la grande forza degli ortodossi è la sinodalità e noi possiamo imparare qualcosa".

Protodiacono nei due Conclavi del 1978 pronunciò l’"Habemus Papam" per Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, che celebrò le sue esequie nel 1982.

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Festival di Bratislava: storie di famiglie da tutto il mondo

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Si è da poco concluso il 17.mo Festival Internazionale del Film di Bratislava, in Slovacchia. Una manifestazione giovane con molti film e documentari nelle diverse sezioni, di cui una dedicata al risorto cinema slovacco e una alla famiglia, tema tra i più dibattuti e rilevanti in seno alla società del Paese. Da Bratislava il servizio di Luca Pellegrini

Il cinema "Mladost", nel centro di Bratislava, ha compiuto centodue anni: è la prima e più antica sala della Slovacchia, un luogo storico e denso di memorie. Il Festival del Film vi sia appoggia per molte delle sue proiezioni, frequentato soprattutto da giovani. Il connubio tra passato e presente è la cifra più interessante di questa manifestazione che anche quest’anno ha presentato un centinaio di film, di cui nove in concorso, affiancati da una sezione dedicata ai documentari, ai corti e al "Made in Slovakia", che presenta le più recenti realizzazioni del cinema nazionale e permette agli ospiti stranieri di rendersi conto dell'industria locale.

Il tema della famiglia
La famiglia è il tema che ha contraddistinto molte delle scelte compiute dal giovanissimo e tenace direttore, Pavel Smejkal. E’ stato un argomento particolarmente dibattuto quest'anno in Slovacchia, dopo che era stato indetto un referendum per proteggere i valori tradizionali. Il dibattito, ci ha raccontato il direttore, non è stato molto fortunato, i toni sono stati molto aggressivi e il referendum accolto male. Per questo il Festival ha inserito nel suo programma film che diano una visione globale della famiglia e delle problematiche sociali e politiche che innesca.

Il successo dell'Iran
Due film iraniani, due asciutte e dolorose storie femminili, hanno ottenuto ben tre premi su quattro: migliore regia a Ida Panahandeh per “Nahid” - una madre che affronta una realtà difficile per proteggere i figli da un padre sbandato - che ha vinto come miglior protagonista maschile, mentre alle due strepitose attrici di “Wednesday, May 9” di Vahid Jalilvand, ossia Niki Karimi e Sahar Ahmadpour - due giovani donne che combattono contro pregiudizi, burocrazia e leggi arcaiche - è andato ex aequo il premio per la migliore interpretazione femminile.

Un mondo disumano
Lo splendido “Un mondo fragile” del colombiano César Augusto Acevedo, nel quale una famiglia di “corteros” circondata dai campi di canna da zucchero che bruciano incessantemente, sottoposta a disumano sfruttamento e assediata dalla perdita, ha vinto meritatamente il Premio per il miglior film, assegnato sia dalla Giuria ufficiale che da quella Fipresci dei critici. Il Festival ha attinto anche ad alcune diverse declinazioni familiari in cui sono le generazioni di adolescenti a cercare un luogo per amare ed essere amati: quello iperprotettivo e claustrofobico, al limite della violenza, del franco-turco Mustang, con cinque ragazze e la loro resistenza a una vera e propria schiavitù che le segrega dal mondo e dalla via; quello nel ceco “Family Film” di Olmo Omerzu, ambientato in un quadro borghese e rarefatto, in cui l'assenza dei genitori e il tradimento aprono tuttavia ad una ricomposizione e al perdono.

Islanda e Cina
Si staglia, invece, su grandiosi scenari naturali, che racchiudono solitudini e crescite difficili, “Sparrows” dell'islandese Rùnar Rùnarson, già vincitore a San Sebastían. Mentre scompaiono nel sottosuolo, inghiottite dal capitalismo, dal progresso e dalle disuguaglianze di classe, le famiglie cinesi di “Uderground Fragrance”, bella opera prima di Penfei, travolte o rigenerate da una inondazione improvvisa. Dalla quale ci si salva aggrappandosi al filo degli affetti. Non certo alle illusioni offerte da una società vorace.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Gallagher: Comunità internazionale unita contro terrorismo

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“La Comunità internazionale deve unirsi, mobilitare tutti i mezzi di sicurezza, per opporsi al terrorismo”. È quanto afferma mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, commentando quanto sta avvenendo nel mondo dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi. “Lo Stato, all’interno delle frontiere nazionali – osserva il vescovo -, ha l’obbligo di proteggere i suoi cittadini dagli attacchi e dalla presenza terroristica. L’intervento all’estero, invece, deve cercare la legittimità attraverso il consenso della Comunità internazionale a norma del diritto internazionale. Tuttavia, si è visto con chiarezza che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. In questo momento la Comunità internazionale deve unirsi, mobilitare tutti i mezzi di sicurezza, per opporsi al terrorismo. Senza un’unità d’intenti di tutti gli attori politici e religiosi, questa lotta non sarà possibile”. 

Come dialogare con chi non è sensibile al dialogo?
​Circa un dialogo con il sedicente Stato Islamico - riferisce l'agenzia Sir - la posizione di Gallagher è netta: “In questo caso, ci possiamo domandare: come è possibile dialogare con chi non è sensibile al dialogo e rifiuta di conoscere l’umanità dell’altro? Com’è possibile dialogare quando ci sono posizioni fondamentaliste? In questo momento particolare vedo il dialogo molto difficile perché per dialogare si deve entrare in relazione con l’altro, si deve rispettare, anche minimamente, l’altro”.

“Atrocità intollerabili e mai giustificate” 
Mons. Paul Richard Gallagher commentando gli attentati del 13 novembre a Parigi afferma: “Siamo rimasti commossi e sgomenti, come ha detto anche il Santo Padre Francesco. In queste ore – afferma il vescovo – siamo vicini ai familiari delle vittime, ai feriti, alla Francia e anche a tutte le persone che in altri atti terroristici hanno perso i loro cari. Di fronte a queste atrocità, sempre intollerabili e mai giustificate, il mondo intero deve unirsi per salvaguardare la dignità della persona umana”. 

“Terza guerra mondiale a pezzi”
Mons. Gallagher si sofferma anche su quanto affermato da Papa Francesco a Tv2000, all’indomani degli attentati: quanto avvenuto è un pezzo della “terza guerra mondiale a pezzi”… “Il Santo Padre – spiega mons. Gallagher – ha usato quest’espressione per descrivere, giustamente, il dramma che vive l’umanità in questi ultimi anni. Sono tante le parti coinvolte nei conflitti, sono tante le aree geografiche che soffrono le conseguenze della guerra, sono tante le culture e i Paesi che piangono i loro figli. Non dobbiamo dimenticare un’altra caratteristica di questa cosiddetta ‘terza guerra mondiale a pezzi’: il suo campo di battaglia è un mondo globalizzato, dove perfino i conflitti locali e regionali hanno la capacità di estendersi con più forza e rapidità, provocando danni enormi a tutta la comunità mondiale”. (R.P.)

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Vescovo Saint-Denis: la gente vuole vivere in pace e fraternità

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Un messaggio alla popolazione di Saint-Denis-en-France, la cittadina nella banlieue nord di Parigi  dove ieri si è consumato il blitz delle forze dell’ordine nel covo dei terroristi. A scriverlo è il vescovo della città, mons. Pascal Delannoy. “Penso agli abitanti e in modo particolare alle famiglie e ai bambini che hanno vissuto ore di angoscia. Sappiamo bene quanto sia spaventoso sentire vicino casa il rumore degli spari e delle esplosioni, avendo pochissime informazioni sulle operazioni in corso. Mi auguro che nei prossimi giorni tutti troveranno la forza di esprimere ciò che ha vissuto e di ritrovare la serenità. Penso anche delle forze di sicurezza intervenute in condizioni molto difficili, pesando alla densità di edifici che si trovano nel centro della città; il loro coraggio non ha risparmiato i molti che si sono feriti”. 

Il vescovo invita a denunciare chi semina divisione, violenza e morte
Saint-Denis - riporta l'agenzia Sir - è una delle zone nell’Ile-de-France più multietniche: qui vivono musulmani e musulmane velate, ma anche ebrei con la kippah, cristiani e protestanti. Il vescovo oggi vuole dare testimonianza dell’ “altro” volto della città. “La popolazione di Saint-Denis – che frequento regolarmente  – nella sua grande diversità culturale e religiosa, desidera vivere in pace e fraternità . Come ho detto sabato, dopo gli attentati di Parigi e allo Stade de France, sono molti gli uomini e le donne che operano in questa direzione ogni giorno. Non devono essere scoraggiati! Insieme e con perseveranza vogliamo proseguire su questa strada”. Il vescovo nel messaggio lancia anche un invito alla cittadinanza: l’invito a denunciare “con chiarezza e fermezza coloro che  con le loro parole e le loro azioni, seminano divisione, violenza e morte”. Domani alle 20 nella basilica cattedrale di Saint-Denis si svolgerà un momento di raccoglimento e preghiera. (R.P.)

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Bangladesh: fuori pericolo il missionario ferito. Arrestato un politico

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Padre Piero Parolari, missionario Pime, ferito ieri in un agguato a Dinajpur, è fuori pericolo. Il missionario, 64 anni, condotto in ospedale a Dacca, è tuttora ricoverato ma è uscito dal reparto di terapia intensiva. Lo conferma all’agenzia Fides padre Carlo Dotti, rettore della casa del Pime a Dacca. “Siamo sollevati. La grazia di Dio lo ha protetto, perché l’attentatore voleva ucciderlo”. Il missionario ha delle costole rotte e una contusione alla testa, e resta sotto osservazione. Intanto nel Paese “la situazione è tuttora tesa e le case dei missionari e degli stranierei sono controllate e protette dalla polizia”, informa padre Dotti. “Ma la nostra missione va avanti”, dice. 

Arrestato un politico locale del partito “Jamaat-e-Islami”
Nelle indagini sul tentato omicidio di Parolari, la polizia bengalese ha arrestato un politico locale del partito “Jamaat-e-Islami” e fermato alcuni militanti del gruppo radicale. Secondo gli inquirenti, il commando di tre militanti che hanno sparato a Parolari “potrebbe essere lo stesso che ha ucciso altri due stranieri”, ovvero il cooperante italiano Cesare Tavella, freddato a settembre a Dacca, e il cittadino giapponese ucciso pochi giorni dopo a Rangpur. (P.A.)

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El Salvador: l'archivio del gesuita Ellacurìa patrimonio Unesco

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“Patrimonio Documentale” dell’America Latina: così l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) ha dichiarato l’archivio del gesuita Ignacio Ellacuría, assassinato in Salvador nel 1989: lo ha riferito il Museo de la Palabra y la Imagen (Mupi). Il documento che certifica la dichiarazione è stato consegnato dal delegato del comitato regionale per l’America Latina e i Caraibi del programma “Memoria del Mondo” dell’Unesco e direttore del Mupi, Carlos Henríquez Consalvi, al rettore della Universidad Centroamericana (Uca), padre Andreu Oliva, di cui Ellacuría fu predecessore.

Nell'archivio fonti primarie per studiare il pensiero del padre Ellacuría 
Ellacuría  - ha detto Consalvi – “è riconosciuto internazionalmente per i suoi contributi alla teologia e alla filosofia e per il ruolo rivestito nella ricerca di una via d’uscita negoziata alla guerra civile salvadoregna” (1980-1992), costata almeno 75.000 morti e preceduta dall’uccisione del Beato mons. Oscar Arnulfo Romero, omicidio considerato la scintilla che innescò il conflitto. L’archivio contiene “documenti unici e insostituibili di fonti primarie per studiare il pensiero di Ignacio Ellacuría e la sua applicazione per la risoluzione dei gravi problemi che affrontiamo in Salvador” ha detto ancora Consalvi, commemorando l’anniversario dell’assassinio del rettore della Uca e di altri suoi cinque confratelli.

Il gesuita assassinato nella strage all'Uca del 1989
​Il 16 novembre 1989, in piena guerra civile (1980-1992), i soldati del battaglione anti-guerriglia Atlácatl addestrato negli Stati Uniti, fecero irruzione all'Uca assassinando il rettore, i confratelli spagnoli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno e il salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Inizialmente il governo tentò di attribuire la responsabilità dell’eccidio alla guerriglia del ‘Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional’ (Fmln), oggi partito al potere. (F.B.)

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Burundi: timidi segnali di speranze di pace

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Sembra essere tornata la calma a Bujumbura dopo i combattimenti di ieri in diversi quartieri della capitale del Burundi. Lo riferiscono all’agenzia Fides fonti locali che esprimono la speranza di una svolta negoziale. “Per la prima volta la Cina, insieme al Kenya e all’Angola, anche parlato della necessità di un dialogo inclusivo, che includa tutti gli attori della crisi burundese, compresa l’opposizione armata che era stata finora escluso dal dialogo intrapreso dal Presidente Pierre Nkurunziza” dicono le nostre fonti. “A questo si unisce il fatto che uno degli oppositori che si era unito al governo di Nkurunziza, Aghaton Rwasa, ha espresso la sua preoccupazione per le uccisioni e le violenze che scuotono il Paese.”

"La settimana del combattente" rischia di compromettere il dialogo di pace
“Non mancano però i dubbi sulla riuscita di un vero dialogo inclusivo” continuano le fonti di Fides che fanno notare come il partito al potere, Conseil National pour la Défense de la Démocratie-Forces de Défense de la Démocratie (Cndd-Fdd) ha indetto “la settimana del combattente”. “Queste celebrazioni rischiano di alimentare l’odio perché vengono celebrati solo gli ex guerriglieri delle Cndd-Fdd che da oppositori hanno poi preso il potere con le elezioni del 2005, dopo aver aderito, nel 2003, agli accordi di pace firmati dalle altre parti nel 2000 ad Arusha, in Tanzania”.

La Chiesa ha indetto una Novena per la pace e la riconciliazione
​Mentre il partito al potere celebra la “sua giornata del combattente” la Chiesa cattolica ha indetto una Novena per la pace e la riconciliazione in Burundi. “Non si vuole solo chiedere l’intercessione di Maria per la pace nel Paese ma si vuole anche creare una coscienza sul rispetto della dignità umana e della giustizia” concludono le fonti. (L.M.)

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Congo: colloquio su missione in Africa nel 50.ma del decreto "Ad gentes"

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“Siamo fieri e felici della Buona Novella che abbiamo ricevuto grazie all’azione dei missionari. È necessario per noi soffermarci sul decreto sulla missione universale a 50 dalla sua pubblicazione” ha detto mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, ricordando i 50 anni del decreto apostolico “Ad gentes” sull’attività missionaria della Chiesa, nella sua omelia alla Messa d’apertura del colloquio internazionale sulla “Missione evangelizzatrice nell’Africa oggi. Sfide e prospettive” che si è aperto martedì scorso a Kinshasa.

L'evangelizzare presuppone un lavoro di inculturazione della fede
Nel suo discorso di apertura il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, ha sottolineato che evangelizzare presuppone un lavoro di inculturazione della fede. Una necessità ribadita da tutti gli ultimi Pontefici. La stessa visita di Papa Francesco a Nairobi, Kampala e Bangui, hanno notato i partecipanti, si iscrive nella dinamica di una Chiesa che vuole essere missionaria. (L.M.)

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Egitto. Patriarca Tawadros: votate candidati onesti e competenti

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I vescovi e gli operatori pastorali devono incoraggiare “tutti i cittadini, e in particolare i giovani, a partecipare alla seconda fase del processo elettorale”. Mentre gli elettori copti devono scegliere i candidati da appoggiare privilegiando come criteri quelli della competenza, dell'onestà e dello spirito di servizio nei confronti del popolo e della nazione, e non quelli dell'affiliazione religiosa. Sono queste alcune indicazioni espresse dal patriarca copto ortodosso Tawadros II nell'incontro con un gruppo di vescovi e sacerdoti che ieri gli hanno fatto visita, in occasione del terzo anniversario dell'inizio del suo ministero patriarcale. Lo riferiscono fonti copte all'agenzia Fides 

Smentito l'appoggio ad alcuni candidati
​Nei giorni scorsi, il vescovo copto ortodosso Angelos, a capo della diocesi di Shoubra nord, aveva dovuto diffondere un comunicato per smentire le notizie di un suo appoggio diretto a alcuni candidati. Il sistema elettorale impone la presenza di candidati copti anche nelle liste del Partito islamista salafita al-Nur. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 323

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.