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Sommario del 20/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa non adori "santa tangente", la sua forza sia la parola di Gesù

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La Chiesa non sia attaccata ai soldi e al potere, non adori la “santa tangente”, ma la sua forza e la sua gioia sia la parola di Gesù: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Processo degrado sporca la Chiesa
Partendo dalla prima lettura tratta dal Libro dei Maccabèi, che racconta la gioia del popolo per la riconsacrazione del Tempio profanato dai pagani e dallo spirito mondano, Papa Francesco commenta la vittoria di quanti sono stati perseguitati dal pensiero unico. Il popolo di Dio fa festa, gioisce, perché ritrova “la propria identità”. “La festa - spiega - è una cosa che la mondanità non sa fare, non può fare! Lo spirito mondano ci porta al massimo a fare un po’ di divertimento, un po’ di chiasso, ma la gioia soltanto viene dalla fedeltà all’Alleanza”. Nel Vangelo Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, dicendo: “Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera. Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladri”. Come durante l’epoca dei Maccabei, lo spirito mondano “aveva preso il posto dell’adorazione al Dio Vivente”. Ma ora questo accade “in un’altra maniera”:

“I capi del Tempio, i capi dei sacerdoti – dice il Vangelo – e gli scribi avevano cambiato un po’ le cose. Erano entrati in un processo di degrado e avevano reso ‘sporco’ il Tempio. Avevano sporcato il Tempio! Il Tempio è un’icona della Chiesa. La Chiesa sempre – sempre! – subirà la tentazione della mondanità e la tentazione di un potere che non è il potere che Gesù Cristo vuole per lei! Gesù non dice: ‘No, non si fa questo. Fatelo fuori’. Dice: ‘Voi avete fatto un covo di ladri qui!’. E quando la Chiesa entra in questo processo di degrado la fine è molto brutta. Molto brutta!”.

Attaccamento a soldi e potere che diventa rigidità
E’ il pericolo della corruzione:

“Sempre c’è nella Chiesa la tentazione della corruzione. E’ quando la Chiesa, invece di essere attaccata alla fedeltà al Signore Gesù, al Signore della pace, della gioia, della salvezza, quando invece di fare questo è attaccata ai soldi e al potere. Questo succede qui, in questo Vangelo. Questi capi dei sacerdoti, questi scribi erano attaccati ai soldi, al potere e avevano dimenticato lo spirito. E per giustificarsi e dire che erano giusti, che erano buoni, avevano cambiato lo spirito di libertà del Signore con la rigidità. E Gesù, nel capitolo 23 di Matteo, parla di questa loro rigidità. La gente aveva perso il senso di Dio, anche la capacità di gioia, anche la capacità di lode: non sapevano lodare Dio, perché erano attaccati ai soldi e al potere, ad una forma di mondanità, come l’altro nell’Antico Testamento”.

Non confidare in "santa tangente" ma nella parola di Gesù
Scribi e sacerdoti si arrabbiano contro Gesù:

“Gesù caccia via dal Tempio non i sacerdoti, gli scribi; caccia via questi che facevano affari, gli affaristi del Tempio. Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi erano collegati con loro: c’era la ‘santa tangente’ lì! Ricevevano da questi, erano attaccati ai soldi e veneravano questa santa. Il Vangelo è molto forte.  Dice: ‘I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire a Gesù e così anche i capi del popolo’. Lo stesso che era accaduto al tempo di Giuda Maccabeo. E perché? Per questo motivo: ‘Ma non sapevano che cosa fare perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo’. La forza di Gesù era la sua parola, la sua testimonianza, il suo amore. E dove c’è Gesù, non c’è posto per la mondanità, non c’è posto per la corruzione! E questa è la lotta di ognuno di noi, questa è la lotta quotidiana della Chiesa: sempre Gesù, sempre con Gesù, sempre pendenti dalle sue labbra, per sentire la sua parola; e mai cercare sicurezze dove ci sono cose di un altro padrone. Gesù ci aveva detto che non si può servire due padroni: o Dio o le ricchezze; o Dio o il potere”.

“Ci farà bene – conclude il Papa - pregare per la Chiesa. Pensare ai tanti martiri di oggi che, per non entrare in questo spirito di mondanità, di pensiero unico, di apostasia, soffrono e muoiono. Oggi! Oggi ci sono più martiri nella Chiesa che nei primi tempi. Pensiamo. Ci farà bene pensare a loro. E anche chiedere la grazia mai, mai di entrare in questo processo di degrado verso la mondanità che ci porta all’attaccamento ai soldi e al potere”.

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Papa: un buon prete ama la sua gente, amorevole e mai rigido

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Un sacerdote non è un rigido “professionista della pastorale”, ma un uomo sempre vicino al “popolo”, di cui è padre e fratello, e soprattutto un “apostolo di gioia” del Vangelo. Lo ha ribadito Papa Francesco ricevendo in udienza i partecipanti al Convegno organizzato dalla Congregazione per il Clero e incentrato su due documenti conciliari – l’“Optatam Totius” il e “Presbyterorum ordinis” – a 50 anni dalla loro promulgazione. Il servizio di Alessandro De Carolis

Dal momento che annuncia la “buona notizia”, un prete non può che essere il ritratto della gioia del Vangelo. Pose da funzionario, un po’ altero, che ricerca spazi privati staccato dalla gente, o visi che tradiscono tristezze da persona umanamente irrisolta non possono semplicemente far parte del bagaglio di un ministro di Dio.

Non siete “funghi” spuntati a caso
Papa Francesco ritorna con vigore su un tema a lui caro e lo fa come sempre senza giri di parole. Per capire questa vocazione – afferma davanti ai convegnisti che lo ascoltano nella Sala Regia del Palazzo apostolico – bisogna considerare il fatto che, sostiene, i sacerdoti sono “presi fra gli uomini”, sono “costituiti in favore degli uomini” e sono “presenti in mezzo agli altri uomini”.

“Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono ‘funghi’ che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione (...) Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio, no; incomincia in famiglia con la tradizione della fede e con tutta l’esperienza della famiglia”.

Sereni, non nevrotici
Un “buon prete”, prosegue Francesco, è anzitutto figlio di un contesto comunitario, a partire da quel “fondamentale centro di ‘pastorale vocazionale’ che è la famiglia”. E poi è un “uomo con la sua propria umanità”. È basilare, afferma, che i preti “imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti”:

“Un prete che sia un uomo pacificato, pacificato, saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore. Non è normale invece che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere; non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo (…) Per favore, che i fedeli non paghino la nevrosi dei preti… Non bastonare i fedeli, vicinanza di cuore con loro”.

Ministri che “mordono”
Il Papa insiste molto sulle “radici” familiari e sociali da cui scaturisce, cresce e si fortifica una vocazione sacerdotale. Racconta un aneddoto di tanti anni fa, di un giovane sacerdote gesuita che entra in crisi, vorrebbe mollare, ma a rimetterlo in carreggiata sono gli “schiaffi spirituali” di sua madre, con la quale il futuro Papa gli ha suggerito di confidarsi. “Un prete – ripete – non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo” e al suo servizio:

“Sapere e ricordare di essere ‘costituiti per il popolo’ - popolo santo, popolo di Dio -, aiuta i preti a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari (...) Io vi dico sinceramente, io ho paura a irrigidire, ho paura. Ai preti rigidi… Lontano! Ti mordono! (...) Il ministro senza il Signore diviene rigido e questo è un pericolo per il popolo di Dio”.

Amore e vicinanza
E nel vivere la sua missione, il sacerdote – riafferma Francesco – non può comportarsi come “un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata. Si diventa preti per stare in mezzo alla gente”, asserisce, e dunque il criterio base e “la vicinanza”. Vicinanza che intanto con grande cura i vescovi, dice con forza il Papa, sono chiamati a manifestare verso i sacerdoti della loro diocesi:

“Ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti (...) E questo è amore di padre, fratellanza (…) “No, ho una conferenza in tale città e poi devo fare un viaggio in America e poi…”. Ma, senti, il decreto di residenza di Trento ancora è vigente! E se tu non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti, e gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono. Ma se tu sei vescovo di quella diocesi, residenza. Queste due cose, vicinanza residenza”.

Occhio ai seminari
Quindi, Francesco invita ad avere un atteggiamento di grande misericordia durante le confessioni – impartendo comunque almeno una benedizione quando proprio l’assoluzione è impossibile – per poi spostare l’attenzione ai futuri sacerdoti. “Occhi aperti nella formazione dei seminari”, dice, ricordando un episodio del ’72, quando, nei panni di maestro dei novizi, portò a esaminare da una psichiatra i test di valutazione della personalità di alcuni ragazzi. E – riferisce il Papa – la dottoressa fu schietta nell’indicare chi, a suo giudizio, non possedeva le doti per essere un buon sacerdote. Gente psichicamente fragile – disse il medico – che inconsciamente è alla ricerca di sicurezza nelle “istituzioni forti”, come possono essere oltre al clero anche la polizia o l’esercito.

“Viscere di misericordia”
Ma ciò che in definitiva conta, conclude Francesco, sono le tre qualità che un sacerdote deve sempre testimoniare tra la sua gente, “vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole”:

“Un prete non può avere uno spazio privato perché sempre è o col Signore o col popolo. Io penso a quei preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, niente, ma dormivano con il telefono sopra il comodino, e a qualunque ora chiamasse la gente, loro si alzavano a dare l’unzione: non moriva nessuno senza i sacramenti! Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è zelo apostolico”.

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Papa a vescovi tedeschi: Chiesa esca tra la gente, non sia paralizzata

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Il dramma dei profughi che arrivano in Europa e il richiamo ad una Chiesa che sia missionaria e non un sistema chiuso sono stati i temi forti del discorso di Papa Francesco ai vescovi tedeschi ricevuti in visita ad Limina. Dal Pontefice anche l’incoraggiamento a non lasciarsi paralizzare dai “bei tempi andati” girando sempre intorno alle stesse domande e interrogativi. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Accogliere i bisognosi che sfuggono da guerre e persecuzioni. All’inizio del suo intervento, consegnato ai vescovi della Germania, Papa Francesco sottolinea che le “Chiese cristiane e molti singoli cittadini” tedeschi “prestano un enorme aiuto per accogliere queste persone dando loro assistenza e vicinanza umana”. E incoraggia i cristiani a “continuare ad affrontare” questa sfida in un tempo che definisce “eccezionale”.

No ad una Chiesa paralizzata, ferma sui “bei tempi andati”
Francesco rivolge dunque l’attenzione alla situazione della Chiesa cattolica in Germania, con un sguardo che va al di là dei confini del Paese. Il Pontefice rileva che sono sempre meno le persone che ricevono la Cresima o contraggono il matrimonio cattolico e oggi, constata, meno di un fedele su dieci in Germania va a Messa la domenica. Cosa possiamo fare, si chiede il Papa? Innanzitutto, è la sua risposta, “bisogna superare la rassegnazione che paralizza”. Certamente, avverte, “non è possibile ricostruire dai relitti dei bei tempi andati quello che fu ieri”. Possiamo però ispirarci alla vita dei primi cristiani che annunciarono il Vangelo traendo forza dalla Parola di Dio.

Evitare inaugurazione di nuove strutture se poi mancano i fedeli
Il Pontefice segnala il rischio di una “crescente istituzionalizzazione”. E avverte: “Vengono inaugurate strutture sempre nuove, per le quali alla fine mancano i fedeli”. Si tratta, afferma, di “una sorta di nuovo pelagianesimo che ci porta a riporre la fiducia nelle strutture amministrative, nelle organizzazioni perfette”. “Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare – soggiunge – complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria”. La Chiesa, riprende, “non è un sistema chiuso che gira sempre intorno alle stesse domande e interrogativi”. La Chiesa, sottolinea Francesco, “è viva, si presenta agli uomini nella loro realtà, sa inquietare, sa animare” ed ha un “volto non rigido”, ha un corpo: “il corpo di Gesù”.

Chiesa diventi più missionaria, contrastare la mondanità
“L’imperativo attuale – esorta Francesco – è la conversione pastorale, cioè fare in modo che le strutture della Chiesa diventino tutte più missionarie” e ancora una volta chiede che gli “agenti pastorali” vivano un “costante atteggiamento di uscita”. Il Papa ribadisce così la denuncia della mondanità che, dice, “deforma le anime, soffoca la coscienza della realtà”. Una persona mondana, ammonisce, “vive in un mondo artificiale che lei stessa si costruisce. Si circonda come di vetri oscurati per non vedere fuori. E’ difficile raggiungerla”. Per vincere questo rischio, il Papa chiede ai pastori di “stare tra la gente con l’ardore di quelli che hanno accolto il Vangelo per primi”. In questo modo, soggiunge, “si possono aprire nuove vie e forme di catechesi per aiutare i giovani e le famiglie ad una riscoperta autentica”.

Chiesa non si stanchi mai di essere avvocata della vita
Francesco esorta quindi i vescovi ad essere maestri della fede. In particolare si sofferma sulle Facoltà teologiche, rilevando che “la fedeltà alla Chiesa e al magistero non contraddice la libertà accademica, ma esige un umile atteggiamento di servizio ai doni di Dio”. Ancora, si augura che nell’Anno giubilare della Misericordia, la Confessione e l’Eucaristia siano riscoperti da tanti fedeli. Quindi, rivolge un accorato appello affinché la Chiesa non si stanchi mai “di essere l’avvocata della vita” e non faccia mai “passi indietro nell’annuncio che la vita umana sia da proteggere incondizionatamente dal momento del concepimento fino alla morte naturale”. “Quanto grandi – avverte – sono le ferite che la nostra società deve subire per lo scarto dei più deboli e più indifesi”, “tutti noi alla fine ne porteremo le conseguenze dolorose”.

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Papa riceve Poroshenko: pace per l’Ucraina, cercare soluzioni politiche

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Papa Francesco ha ricevuto il presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko. Nel cordiale colloquio, informa una nota della Sala Stampa vaticana, sono stati riaffermati i “buoni rapporti fra la Santa Sede e l’Ucraina” e ci si è dedicati “principalmente alle questioni connesse con la situazione di conflitto nel Paese”. Al riguardo, “si è condiviso l’auspicio che, con l’impegno di tutte le Parti interessate, siano privilegiate soluzioni politiche, a cominciare dalla piena realizzazione degli Accordi di Minsk”.

Al contempo, “si è espressa preoccupazione per le difficoltà nell’affrontare l’emergenza umanitaria, con particolare riferimento all’accesso delle organizzazioni specializzate all’area toccata dalle ostilità, all’assistenza sanitaria, allo scambio di prigionieri, nonché le ripercussioni economiche e sociali del conflitto su tutto il territorio”.

L’incontro, conclude la Sala Stampa, “è stato occasione per rilevare l’importante ruolo delle Chiese nella società, nonché il contributo delle comunità greco-cattoliche e di rito latino alla vita del Paese”.

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Parolin, da Papa in Africa appello a tutte le religioni: insieme per la pace

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C’è grande attesa per il primo viaggio che Papa Francesco compirà in Africa. Tre i Paesi visitati, dal 25 al 30 novembre: Kenya, Uganda e Centrafrica. Su questo importante evento, Alessandro Di Bussolo del Centro Televisivo Vaticano ha intervistato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin

D. - Eminenza, Papa Francesco inizierà il suo viaggio in Africa dal Kenya, dove in aprile 147 studenti furono uccisi da estremisti islamici, come i tantissimi giovani trucidati a Parigi. Rivolgerà un nuovo appello ai credenti di tutte le religioni?

R. - Sì, credo che il Papa non potrà non avere negli occhi e nel cuore queste immagini raccapriccianti di questi 147 studenti uccisi in Kenya e delle persone, e soprattutto dei giovani, trucidati a Parigi. Sarà questa un occasione per rinnovare l’appello che il Papa continuamente fa - il Papa è in prima linea in questo senso - agli appartenenti a tutte le religioni, a non usare il nome di Dio per giustificare la violenza. L’ha detto nel post Angelus di domenica scorsa, che fare questo è bestemmiare. Quindi non è assolutamente rendere lode a Dio ma offendere in maniera gravissima il nome di Dio e il suo amore per noi e Dio stesso. E poi appunto l’appello a fare delle religioni quello che le religioni sono e devono essere, cioè operatrici di bene, fattori di riconciliazione, di pace, di fraternità nel mondo d’oggi, in un mondo già lacerato da tanti conflitti di varia natura. E farlo insieme, questo mi pare un punto importante, farlo insieme. Oggi le religioni devono trovare il modo di lavorare insieme, di collaborare insieme per aiutare l’umanità a diventare sempre più fraterna e solidale. Questo attraverso soprattutto il dialogo interreligioso. Ecco mi pare che saranno questi i punti che il Papa continuerà a sottolineare anche in questa tappa della sua visita.

D. - Papa Francesco visiterà per la prima volta il continente africano, che è ancora considerato periferia del pianeta. Possiamo aspettarci che riprenda i temi dell’Enciclica Laudato si’ e del discorso all’Onu sulla difesa dell’ambiente naturale e la lotta contro l’esclusione sociale ed economica?

R. - Sì certamente. Sappiamo come il Papa ha particolarmente a cuore questi temi e come questi temi, che in fin dei conti sono parte dell’insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa, almeno a partire da Leone XIII e poi applicati alle diverse situazioni che via via si sono presentate, troveranno una particolare risonanza nel continente africano per quelle ragioni che lei diceva e quindi ci sarà un forte messaggio in questo senso. Di lottare contro la povertà, contro l’esclusione. Di assicurare ad ognuno dei suoi componenti una vita degna, una vita che rispetti la dignità di esseri umani e di figli di Dio delle popolazioni dell’Africa. E ci sarà anche l’occasione di farlo, perché a Nairobi ci sono due organizzazioni delle Nazioni unite che si interessano particolarmente di questi problemi e cioè il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, l’Unep, e quello per l’habitat, l’Onu habitat, e poi siamo alla vigilia di due avvenimenti importanti. Prima di tutto la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che inizierà proprio in coincidenza con la fine del viaggio del Papa, e la decima Conferenza ministeriale dell’organizzazione mondiale del commercio, che si terrà a Nairobi nei giorni seguenti la visita del Papa. Quindi anche queste circostanze vanno nel senso di una ricerca di criteri etici per governare l’economia in maniera equa, in modo tale che i benefici di questa economia possano giungere a tutti e a ciascuno.

D. - Nella Repubblica Centrafricana, il Papa aprirà la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia. Un gesto che darà forza al suo messaggio di pace e riconciliazione per il Paese e per tutto il continente?

R. - Ne ha bisogno, la Repubblica Centrafricana, di pace e misericordia, ed è un gesto molto bello, quello che farà il Papa anticipando naturalmente l’apertura della Porta Santa per la Chiesa universale l’8 dicembre nella Basilica di San Pietro. Sarà un gesto, anche questo, per manifestare misericordia, manifestare vicinanza ad una popolazione duramente provata per una situazione endemica di povertà e di precarietà che si è aggravata in ragione del recente conflitto. Di questo conflitto che ancora perdura e di questo clima di violenze e di ostilità che ancora è presente nel Paese. E sarà, oltre che una manifestazione di vicinanza, un incoraggiamento a curare le ferite, un incoraggiamento a superare le divisioni in nome del rispetto e dell’accettazione reciproca, in maniera tale che i gruppi che ora si fronteggiano possano trovare le ragioni per lavorare insieme a beneficio del bene comune del Paese. Questo sarà il grande messaggio, un messaggio ancora una volta di dialogo, di accettazione dell’altro, di comprensione delle sue ragioni, di collaborazione in vista di un bene superiore. E credo che questo messaggio di incoraggiamento il Papa lo rivolgerà anche a tutti coloro che cercano di aiutare il popolo centrafricano a superare questo momento di crisi. Parlo delle organizzazioni non governative, parlo anche dei vari organismi della comunità internazionale. Un incoraggiamento ad andare avanti in questa opera di supporto, di sostegno, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli che possono incontrare.

D. - In Uganda, Papa Francesco onorerà i santi martiri canonizzati 50 anni fa. A più di un secolo dalla morte, la loro testimonianza di fede parla ancora all’Africa e al mondo di oggi?

R. - Certamente, parla ancora e con voce eloquente. Basterebbe pensare a quanto già Paolo VI disse al momento della loro canonizzazione, mettendo proprio in risalto la qualità della loro fede e le conseguenze della loro fede. Parla nel senso che ci dice che per i valori profondi - che poi per noi cristiani sono la persona Gesù Cristo - si è disposti a dare la vita e non soltanto per le cose effimere o per la ricerca di beni passeggeri, il benessere soltanto materiale. Ci sono alcune realtà per le quali si deve essere disposti a dare la vita. E nello stesso tempo ci dicono anche che la fede può diventare veramente il seme, il germe, l’inizio di un umanesimo più pieno e più integrale, e che quindi la fede diventa anche una motivazione in più, e una  spinta in più per costruire una società fraterna, una società pacifica, una società solidale e per cercare davvero il bene di tutti.

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Francesco a Greenaccord: tutti responsabili verso il Creato

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“Questa iniziativa aiuta a riflettere sulla comune responsabilità di custodia della creazione e del disegno di Dio iscritto nella natura”. Si è aperta con un messaggio di Papa Francesco, la seconda giornata del XII Forum internazionale dell'Informazione per la salvaguardia della natura, in corso a Rieti. Tema dell’incontro, promosso dall’Associazione Onlus Greenaccord, è “Clima ultima chiamata”. Il servizio di Marina Tomarro

“Scienziati e giornalisti contribuiscano a sensibilizzare le istituzioni politiche e i cittadini perché si diffondano stili di vita sostenibili sul piano umano ed ecologico e si adoperino affinché il sistema economico promuova la piena realizzazione di ogni persona e l'autentico sviluppo del Creato". Parte dall’appello di Papa Francesco, inviato attraverso un messaggio, il secondo giorno (ieri - ndr) del Forum dell’informazione per la Salvaguardia del creato.

Il tema ecologico è al centro di tutti i principali testi sacri. Lo ha spiegato Alberto Funaro, rappresentante della Comunità Ebraica di Roma, ricordando che per la religione ebraica il rispetto della natura “come dono fatto all’uomo da Dio, diventa un diritto-dovere”.  La vera sfida diventa quindi proprio quella di lanciare “un'asse tra tutte le fedi religiose per un’alleanza di natura spirituale, che ciascun credo può motivare dall’interno della propria teologia, soprattutto lì dove contengono indicazioni per il rispetto dell’ambiente”.

È il caso anche dell’islam, che rappresenta un quarto della popolazione della terra. “L’Islam può contribuire a questo dibattito”, ha detto Jasser Auda, direttore del Maqasid Institute, sottolineando che un terzo del Corano è dedicato alla natura e che la religione islamica da sempre offre le risposte etiche per evitare comportamenti deleteri contro la natura. Ogni volta che l’uomo ha separato la politica dall’etica - ha concluso Auda - ha perso di vista la lungimiranza nelle scelte per il bene comune e questo avviene anche nella guerra al terrorismo, “che non si combatte con un approccio solo basato sulla sicurezza”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "In mezzo agli altri uomini; a cinquant’anni dal Vaticano II" il Papa ricorda che si diventa preti per servire. E all’episcopato tedesco chiede strutture e metodi che siano più missionari

Sotto, Attacco jihadista nella capitale del Mali; irruzione di un gruppo armato in un albergo

Di spalla, Il Creatore si annienta davanti alla creatura. L’ingresso della Madre di Dio nel tempio, di Manuel Nin

Nella pagina della cultura, La cura. Sfide aperte dall’enciclica «Laudato si’» di Herbert Schambeck e Capolavori rubati al Museo civico di Verona

In ultima pagina, "Lotta quotidiana", dedicato all'omelia di Papa Francesco a Santa Marta; sollecitato dalla liturgia quotidiana, è tornato a parlare della Chiesa e dei rischi che corre quando si fa vincere dalla tentazione della mondanità: invece di essere fedele al Signore, si lascia sedurre dai soldi e dal potere.

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Oggi in Primo Piano



Unione Europea: dopo attentati controlli più rigidi a frontiere

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Dopo gli attentati di Parigi, il Consiglio Europeo ha varato nuove misure di sicurezza concordando la stretta sui controlli sistematici e coordinati alle frontiere esterne dall'Europa anche per i cittadini Ue. Intanto, in Francia e in Belgio prosegue la caccia a Salah Abdeslam, ottavo uomo del commando stragista del 13 novembre scorso. Inoltre, nel covo di St. Denis, dove mercoledì sono stati uccisi il terrorista Abbaoud, mente delle stragi, e la cugina, sono stati rivenuti i resti di un terzo corpo, quello di una donna. L’allerta rimane massima in tutta Europa, anche dopo il rischio, paventato dal premier francese, Valls, di possibili nuovi attentati con armi chimiche e droni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo: 

R. – Io suggerisco sempre di cercare di tenere i piedi per terra. E’ chiaro che uno degli obiettivi principali dell’azione terroristica è quella di far parlare di sé, quindi tutto quello che può servire a creare allarme, a destare il panico, è il "carburante" per la macchina del terrorismo. Io credo che sia importantissimo che le autorità responsabili introducano dei filtri per tenere sotto controllo il panico, senza naturalmente trascurare i sintomi di possibili aggressioni, che devono naturalmente essere prevenute.

D. – E’ possibile lo Stato islamico possa essersi dotato di armi come i droni e le armi chimiche? Sofisticate sì, come le armi chimiche, ma di facile realizzazione…

R. – Io non credo sia possibile che possa gestire le armi chimiche. Non nel senso che l’Is non possa essersi impadronito di armi chimiche – per esempio in depositi degli eserciti in rotta, in Iraq soprattutto e in parte anche in Siria – ma gestire armi chimiche come il "Sarin", che è assolutamente micidiale e non soltanto al momento in cui viene catapultato contro un nemico, ma anche nel suo trasporto, richiede delle cautele, richiede una sofisticazione di mezzi non indifferente. Ora, tutto può accadere naturalmente, ma immaginare che quote adeguate di questi gas e di altre sostanze di questa natura possano essere trasferite per migliaia di chilometri da un teatro all’altro, non mi sembra verosimile. Io sarei per non enfatizzare questo tipo di allarmi, perché altrimenti si presta il fianco esattamente all’obiettivo strategico dei terroristi, che è quello di creare il panico.

D. – Si sono fatte tante analisi sulla provenienza dei terroristi: secondo alcuni, inviati direttamente dall’Is. Secondo altri, prodotto – sia pure collegato col califfato – nato in Francia…

R. – Il punto è che sicuramente la causa è rappresentata da queste situazioni di conflitto che stanno distruggendo il Medio Oriente e in particolare dalla guerra civile in Siria, che dura da oltre tre anni. Però, è altrettanto vero che una possibilità di attaccare le metropoli europee affonda le sue radici in un bagno di cultura che l’Islam radicale ha sicuramente seminato nel corso degli ultimi tempi, creando e facendo vittime addirittura – perché si tratta in fondo anche di vittime – negli ambienti dei giovani, delle generazioni seconda e terza di origine immigrata, che sono frustrati, che sono socialmente emarginati e, quindi, coinvolti da sentimenti di odio e di invidia sociale, che possono portarli all’estremismo e, addirittura, a fiancheggiare il terrorismo. Il terrorismo viene da fuori, ma può attecchire, perché ha comunque delle basi sia logistiche che organizzative, sia anche e soprattutto in ambienti vulnerabili alla sua propaganda. 

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Mali: attacco terrorista all'hotel Radisson di Bamako, 4 morti

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Ore di terrore a Bamako, capitale del Mali, dove stamani un commando di uomini armati ha sferrato un attacco all’Hotel Radisson, solitamente scelto dagli stranieri perché considerato un luogo sicuro. Sarebbero 4 le vittime e oltre 80 gli ostaggi liberati alcuni dei quali rilasciati dopo aver recitato versetti del Corano. Il Presidente francese Hollande, che ieri aveva parlato del pericolo in Mali, ha definito l’azione un atto barbarico. Intanto il blitz dei militari all’interno dell’albergo è ancora in corso. Benedetta Capelli

Cresce la tensione a Bamako. Gli occhi sono tutti puntati sul settimo piano dell’Hotel Radisson dove sono asserragliati tre terroristi, componenti del commando che stamani ha assaltato l’hotel anche con granate al grido di “Allah è grande”. Con loro ci sarebbero degli ostaggi mentre i militari maliani, supportati da truppe francesi e americane, starebbero cercando di avanzare piano per piano per sferrare l’attacco finale. Intanto sul terreno si contano 4 vittime. Delle 170 persone che erano all’interno dell’albergo sono un’ottantina quelle rilasciate – 30 delle quali scappate da sole – alcune sono stati mandate via perché avrebbero recitato versetti del Corano. La Francia, che ha inviato 50 militari dei corpi speciali, “farà il possibile con i suoi mezzi sul campo per ottenere la liberazione degli ostaggi”: ha detto il Presidente Hollande che ha invitato i cittadini francesi residenti in Paesi a rischio a prendere precauzioni. Solo ieri aveva fatto riferimento al Mali sottolineando come il sedicente Stato Islamico consideri la Francia nemica per il suo intervento nel 2013 contro gli estremisti. Intanto il capo della Casa Bianca Obama sta monitorando la situazione e sta rientrando da N'Djamena, il Presidente maliano Boubakar Keita che ha evocato la matrice islamista dell'attacco terroristico. Secondo i servizi segreti del Paese, dietro l’azione ci sarebbe il network jihadista Ansar Din, responsabile di altri azioni sventate proprio dagli 007 maliani. Alcuni testimoni riferiscono di attentatori che tra loro parlavano inglese.

Alla luce dei fatti di Parigi, quello che è accaduto in Mali come può essere letto? Benedetta Capelli ha girato la domanda a Luigi Serra, già preside della facoltà di Studi Arabo-Islamici all’Università Orientale di Napoli ed esperto dell’area: 

R. – Possiamo leggerlo in una sola maniera e in un solo modo possibile oggi, nel senso del concatenamento: non accade nulla né nel Maghreb né nel Sahel né magari nel Centrafrica, senza una connessione forte di rabbia, di avversione, di vendetta e di guerra in atto. Parigi dà il segno della sintomatologia dilagante della guerriglia contro l’Occidente attraverso tutti i canali possibili, ed è la reazione, naturalmente.

D. – Era possibile immaginare atti di questo tipo in Paesi innegabilmente legati alla Francia? Ieri, lo stesso Hollande ha parlato proprio del Mali …

R. – Indubbiamente, sì. E’ possibile, e non solo: addirittura sospettabile che ciò accada, perché ciò che accade in Mali non accade per caso e differentemente da ciò che accade nel Niger; ciò che accade in Rhodesia o in Nigeria non accade per un fenomeno localistico, isolatamente da quello che accade altrove. Quindi, Belgio, Francia, disastrosamente – ove dovesse accadere – la nostra Italia, come la Germania pure in allarme, fanno parte ormai di un quadro negativamente strategico ma indubbiamente belligerante dell’uno contro l’altro – alludo a Occidente-Oriente.

D. – Dunque, quanto accaduto in Mali è da leggere nell’ambito di una più ampia azione jihadista nordafricana?

R. – Indubbiamente sì: indubbiamente sì. Il filo forte, sebbene oscuro, che oramai lega il jihad professato, sostenuto, dichiarato, diffuso – oramai – da parte del sedicente Stato islamico, dà ossigeno ai movimenti locali i quali, se uscissero da questi collegamenti con il polo forte dal punto di vista della realizzazione dello spavento, del terrore non significherebbero più nulla. Si polverizzerebbero in una nebulosa che li priverebbe di una forza di incidenza che vanno cercando affannosamente per tenere una identità locale nella lotta di avversione all’Occidente. Quindi il filo di tessitura di questi gruppi locali con l’Is oggi, con la jihad come area centralizzata di diffusione, spiega la permanenza ancora nelle aree locali – Mali, Niger, Nigeria e quante altre – di questi sommovimenti rivoltosi e tragicamente dannosi per la popolazione locale quanto anche per le relazioni internazionali.

D. – Il Mali ha vissuto una lunga crisi politica e militare a partire dal 2012, poi in estate l’accordo siglato tra i tuareg e il governo. Ma com’è oggi la situazione nel Paese?

R. – La crisi degli anni passati indubbiamente sembrava mitigata o – come dire – pianificabile alla luce dei nuovi accordi con le componenti tuareg. I fatti ultimi sembrano aver compromesso questo fragile, debole filo di speranza che gli accordi lasciavano sperare, proprio. Credo che la situazione sia tutta in movimento, su ogni fronte, nel senso che le situazioni drammatiche consumatesi a Parigi, gli annunci di attentati a Roma come a Londra come altrove, mettono in condizione i recalcitranti alla pace, in ogni ambiente – fondamentalista o para-fondamentalista nelle aree maghrebine, saheliane e vicino-mediorientali – danno poca speranza in una non manipolazione di questi avvenimenti anche per rimettere in discussione gli accordi siglati.

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Coree: confermato il vertice Pyongyang-Seul il 26 novembre

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Segnali di distensione tra la Corea del Nord e quella del Sud. Pyongyang ha proposto a Seul, che ha accettato, un incontro il 26 novembre nel cosiddetto “villaggio della pace” di Panmunjon. Località che si trova sulla linea di armistizio che divide la Penisola dal 1953. Si tratta del primo contatto a livello governativo dal raffreddamento avvenuto in agosto. Sulle prospettive dell'incontro Massimiliano Menichetti ha intervistato Rosella Ideo, docente di Storia politica e diplomatica dell’Asia all’università di Trieste: 

R. – Per entrambe le Coree è importante cercare di riportare il dialogo ed è conveniente anche perché da una parte abbiamo la Corea del Nord, che è sotto il microscopio per gli abusi nel campo dei diritti umani, per i gulag, di cui si è parlato a lungo; e la Corea del Sud ha altrettanto bisogno di ammorbidire la sua opinione pubblica per il tentativo, da parte della Presidente e del partito di governo, di censurare i libri di storia, di cancellare il passato altrettanto oscuro durante gli anni delle dittature.

D. – Ad agosto scorso, le schermaglie militari tra i due Paesi; a settembre, però, di nuovo un’apertura con l’incontro delle famiglie separate dal conflitto e adesso il vertice  della prossima settimana. Cosa emergerà?

R. – In concreto gli obiettivi sono ristabilire un canale di dialogo; in secondo luogo si potrebbero gettare le basi per un nuovo incontro tra le famiglie divise dalla guerra di Corea, non vedo altri sbocchi in relazione a questo tipo di incontri.

D. – Nei prossimi giorni potrebbe esserci anche l’arrivo del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon: lo ricordiamo, la scorsa visita venne annullata addirittura un giorno prima …

R. – Questo avrebbe un’enorme rilevanza, anche perché è da vent’anni che non si verifica un evento del genere. Non penso che comunque la visita di Ban Ki-moon possa portare a quello che dovrebbe essere lo scopo principale: arrivare a un trattato di pace. Anche perché gli Stati Uniti, che sono la potenza che ha in mano più di tutte la situazione, con l’amministrazione Obama ha dimostrato chiaramente che finché la Corea del Nord rimarrà un Paese detentore di armi nucleari, non arriverà mai a un trattato di pace.

D. – Però proprio il punto del nucleare per Pyongyang è imprescindibile: ribadiscono “è un nostro diritto” …

R. – Pyongyang guarda con attenzione, ovviamente, a quello che succede a livello internazionale. Non vuole finire, Kim Jong Un, come Saddam Hussein, come Gheddafi … Cioè, i casi Iraq e Libia sono ben presenti nella strategia che persegue Pyongyang che ha come unica arma di difesa proprio le armi nucleari. Se non si riconosce la Corea del Nord come Stato indipendente e legittimo, è chiaro che non farà mai una mossa del genere.

D. – Secondo lei, dunque, cosa è necessario per arrivare alla riunificazione della Corea?

R. – Senza la volontà politica delle grandi potenze, Stati Uniti in testa, Giappone, Cina e buon’ultima la Russia, non si arriverà mai a una riunificazione della Corea.

D. – Questo, in un contesto complesso di polarizzazione in cui però la Corea del Nord minaccia sovente lanci di missili contro il Giappone legato agli Stati Uniti, o addirittura contro gli Stati Uniti stessi; però, è consapevole della protezione della Cina …

R. – La Cina tiene ad avere come alleato Pyongyang perché teme, in caso di una caduta di questo regime, di avere gli americani sulla porta di casa. Gli Stati Uniti sono presenti massicciamente, con oltre 27 mila soldati, in Corea del Sud e ancora di più in Giappone. Il Giappone, poi, tantomeno vedrebbe con favore un allentamento delle tensioni nella penisola coreana, perché già la Corea del Sud da un punto di vista economico ha superato ampiamente il Giappone come dinamismo economico, come primati economici. Quindi, diciamo che i vicini più importanti remano contro un cambiamento dello status quo.

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Renzi a nuovo Pronto Soccorso S. Spirito: paura non ci fermerà

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No all’isteria e alla paura, i terroristi non vinceranno. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi è intervenuto così all’inaugurazione del nuovo Pronto Soccorso dell’Ospedale Santo Spirito di Roma, a pochi passi dal Vaticano. Una struttura ripensata e ampliata per accogliere i pellegrini del Giubileo. Alessandro Guarasci: 

Ci sono voluti solo 158 giorni per ristrutturare il Pronto Soccorso del Santo Spirito. Per Matteo Renzi questo è un esempio di come il Paese possa reagire quando deve dare una grande prova. Il premier poi dice che "senza sottovalutazioni e senza isterie, ma con grande orgoglio e dignità vinceremo la sfida" del Giubileo. E bisogna arginare il clima di paura che attanaglia in molti dopo gli attentati di Parigi:

“Naturalmente noi abbiamo bisogno di fare di tutto per controllare tutti i tipi di minacce che arrivano, stare attenti a tutto ciò che può arrivare dalle varie fonti di intelligence. Ma dobbiamo anche avere consapevolezza che chi vuole rinchiuderci in casa, e costringerci a cambiare vita, non può avere la meglio!”.

Renzi chiede anche di individuare gli autori di un falso messaggio che sta girando su whatsapp e che dice di non uscire di casa. Il Giubileo invece ci invita ad avere fiducia nel futuro. Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti:

“Provare a uscire da una fobia distruttiva di tutto quello che dovrebbe accadere nel nostro Paese ed essere parte di coloro che si schierano per una capacità costruttiva delle cose. E abbiamo visto che quando lo Stato si unisce ed entra in sintonia con le aspirazioni di tanti e dei lavoratori in primo luogo, beh ci riusciamo!”.

La ristrutturazione è costata un milione e mezzo di euro. Durante l’Anno giubilare è previsto che gli accessi, già ora 35 mila, aumentino del 20%.

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Il presidente Grasso: un dovere accogliere minori migranti

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Accogliere i minori migranti è un dovere per un Paese civile: è quanto ha affermato il presidente del Senato Pietro Grasso intervenendo ad un Convegno su bambini e adolescenti immigrati, tenutosi a Roma nella Sala Polifunzionale della presidenza del Consiglio dei ministri. C’era per noi Amedeo Lomonaco

Chiudere le porte a bambini e adolescenti migranti – ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso - contraddice i principi democratici e i valori religiosi che vogliamo difendere.  Questi minori sono stati derubati dell’infanzia e in diversi casi – ha aggiunto Grasso - sono stati anche vittime di organizzazioni criminali:

“Un sistema criminale che si serviva anche dei minori non accompagnati. E questo è veramente tragico, doppiamente tragico!”

Tutti i minori non accompagnati, profughi o rifugiati, sono in pericolo. Fuggono da guerre e da violenze. Arrivano in Italia con un numero di telefono in tasca e spesso, nella traversata, hanno perso genitori o parenti. Secondo dati del Viminale, riferiti ai primi mesi del 2015, sono oltre 10 mila. Quelli irreperibili, dallo scorso primo gennaio, sono almeno 5 mila. Il presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, Michela Vittoria Brambilla:

“Sono ancora troppi gli irreperibili: migliaia di ragazzi e di bambini che arrivano nel nostro Paese senza le loro famiglie e verso i quali noi abbiamo un dovere morale, oltreché giuridico di soccorso, e che spariscono, diventando possibilmente anche prede di criminalità organizzata, sfruttamento, abuso e di tutte le peggiori cose che possiamo immaginare. Io credo che verso i bambini e i ragazzi l’Italia debba rispondere con una solidarietà senza esitazioni quando arrivano con il fenomeno della migrazione. Perciò, non possiamo farci imporre la chiusura delle frontiere con il terrore: questa penalizzerebbe i più deboli e coloro che arrivano nel nostro Paese perché in fuga dal terrore e dalla guerre”.

Per favorire una vera integrazione, le risposte da dare ai minori migranti devono seguire molteplici direttici. E’ quanto ha ricordato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti:

“Noi stiamo lavorando su molti versanti perché la risposta non è una sola. Dobbiamo fare un’opera di costruzione di un sistema che parta dalla scuola, da tutte quelle condizioni che possono diventare elemento di discriminazione se non vengono costruite con grande sensibilità e attenzione a queste situazioni. Ad esempio, cito una cosa molto bella che abbiamo fatto con il Coni sullo sport – sulla cittadinanza sportiva – perché abbiamo visto che, ad esempio, naturalmente i bambini nel gioco e nello sport trovano un’automatica e diretta condizione di integrazione. Io credo che questo sia il modo giusto: non ragionare per emergenze, ma ragionare con una logica che ci dice che questi fenomeni sono strutturali, sono una componente essenziale della nostra società e bisogna gestirli come tali”.

Nel giorno in cui si celebra la Giornata nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la parlamentare Michela Vittoria Brambilla si è soffermata infine sulla situazione dei minori in Italia:

“Abbiamo quasi due milioni di bambini che vivono in una condizione di povertà. Sono 91.000 i minori che sono stati oggetto di maltrattamenti. Sono tanti gli abusi in famiglia. Abbiamo ancora tanta povertà, materiale ed educativa, che dobbiamo combattere. Quindi dobbiamo unire tutte le forze perché questa diventi finalmente una priorità in un’agenda di politica di governo che ancora non la vede al primo posto”.

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Ilva. Mons. Santoro: qui si continua morire, servono fatti

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Una settimana fa, terminava a Firenze il quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana sul tema: "In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo". Tra i temi all’attenzione di vescovi e delegati quello ambientale, a partire dall'Enciclica “Laudato sì'” di Papa Francesco. Argomento, quello della tutela del creato, che in alcune zone industriali dell’Italia assume importanza anche sul fronte dell’occupazione e della salute dei cittadini, come l’Ilva a Taranto. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Filippo Santoro, arcivescovo della città pugliese: 

R. – Al Convegno della Cei di Firenze sicuramente si è parlato di ambiente. Però, se ho un’osservazione da fare, è il fatto che nelle relazioni il tema della custodia del creato e dell’ambiente non è mai stato citato. È proprio una mancanza che nelle indicazioni del Convegno non ci sia una parola sulla custodia del creato. Come dice Papa Francesco: l’attenzione al creato, la cura dell’ambiente e l’ecologia integrale non devono essere un aspetto opzionale, ma un terreno, un campo avanzato del dialogo con tutti, anche con coloro che sono di altre fedi, di altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà.

D. – Mons. Santoro, a dire la verità a proposito di ambiente, oggi sull’Ilva di Taranto sembra caduto il silenzio...

R. – Siamo in una fase in cui bisogna passare dalle promesse ai fatti. La gente a Taranto attende dei segni chiari, delle risposte precise da parte del governo. Visto che nella Legge di stabilità del presidente Renzi sono stati stanziati 800 milioni a favore dell’Ilva, attendiamo che ora seguano i fatti. Noi però, come fatti, notiamo tristemente un lutto accaduto di recente: quello di Cosimo Martucci, un 49.enne di Massafra, di una ditta esterna all’Ilva ma sempre a questa collegata, che ha perso la vita. Ci troviamo di fronte a lutti che si susseguono… Ed è ancora più grave, perché non se ne parla a livello nazionale e, a livello locale, aspettiamo proprio una svolta, altrimenti sarà troppo tardi… Quando c’è una malattia, un cancro – qualcosa – o si taglia o si cura. Abbiamo visto che il governo ha intenzione di curarlo, ma se i provvedimenti non vengono messi in atto con urgenza, non so fino a quando la pazienza del popolo potrà durare.

D. – A oggi, qual è la situazione dei lavoratori Ilva?

R. – La situazione dell’Ilva è che la difesa del lavoro, con i vari ammortizzatori sociali, sta funzionando. L’occupazione continua, grazie a tutte queste varie forme di sostegno al lavoro. Però, per il futuro, di fatto, c’è una calo della produzione. Quello che ci aspettiamo, e che anch’io varie volte ho chiesto al governo, è che l’adeguamento degli impianti sia fatto quanto prima. L’altro punto importantissimo riguarda la copertura dei parchi minerali. E poi, ancora, ci aspettiamo che si dia continuità alle bonifiche. Sono dei segni che devono essere attesi e quindi delle risposte che devono essere date.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Kurdistan: giornata della tolleranza per cristiani e musulmani

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Una “Giornata della tolleranza” è stata celebrata ieri a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, su iniziativa di organismi locali e internazionali, a partire dalla missione Onu in Iraq. Il meeting, svoltosi nella sala conferenze Abdullah, è stato scandito da interventi e relazioni incentrati sulla promozione del rispetto e del dialogo tra fedi religiose e culture differenti, come antidoto alla convulsioni e ai conflitti settari che stanno dilaniando il Medio Oriente. Tra gli altri, hanno partecipato all'incontro anche mons. Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, e Nechirvan Barzani, Primo Ministro della regione autonoma del Kurdistan iracheno , insieme a un folto gruppo di parlamentari e di leader delle comunità cristiane e islamiche della regione.

Tutelare e garantire la convivenza civile tra gruppi etnici e religiosi
La conferenza è servita a ribadire la necessità di tutelare e garantire, con appropriati strumenti legislativi, la convivenza civile tra gruppi etnici e religiosi e la piena uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, combattendo nel contempo le derive settarie attraverso la cura dell'educazione impartita nelle scuole alle giovani generazioni. (G.V.)

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Global Index: dove uccide il terrorismo

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Il terrorismo uccide sempre di più, ma solo in minima parte in Europa o in Nord America. E l’organizzazione più devastante in assoluto non è il sedicente Stato Islamico ma Boko Haram, gruppo nigeriano che sarebbe affiliato al “califfo” Abu Bakr al Baghdadi ma che opera in autonomia sin dalla nascita nel 2002. Lo rivela il Global Terrorism Index 2015, pubblicato dall’Institute for Economic and Peace dopo gli attentati di Parigi a partire dalla classificazione di oltre 140.000 episodi.

Nel 2014 le vittime del terrorismo sono state 32.658, l’80% in più rispetto al 2013
Nel 78% dei casi le uccisioni sono avvenute in Iraq, Afghanistan, Nigeria, Pakistan e Siria, anche se il numero dei Paesi dove i morti sono stati più di 500 è aumentato da 5 a 11 (con l’aggiunta di Somalia, Ucraina, Yemen, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Camerun). La situazione in assoluto in più rapido deterioramento - riporta l'agenzia Misna - riguarda la Nigeria, dove il numero dei morti causati dal terrorismo (7.512) è cresciuto in un anno addirittura del 317%, in gran parte a causa degli attentati di Boko Haram. Questa organizzazione si è resa responsabile della morte di 6.644 persone, superando perfino gli alleati di Al Baghdadi, ai quali nel rapporto sono attribuite 6.073 vittime.

Paesi più colpiti in Africa e Medio Oriente
Gli esperti dell’Institute for Economic and Peace, un Centro di ricerca fondato dall’Università statunitense del Maryland, evidenziano che i Paesi più colpiti sono in stragrande maggioranza africani e mediorientali. Nel territorio dell’Unione Europea e in Nord America, dal 2000, attentati dell’11 settembre compresi, le vittime sono state “solo” il 2,6% del totale. Infine, uno spunto sul nesso tra terrorismo e rifugiati: 10 degli 11 Paesi dove nel 2014 i morti sono stati oltre 500 sono anche quelli all’origine del maggior numero di profughi. (V.G.)

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Chiesa Bolivia: no a uso dell'immagine del Papa a fini politici

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La Chiesa cattolica condanna energicamente l'uso della immagine di Papa Francesco per attività politiche. La Conferenza Episcopale Boliviana (Ceb) ha emesso un comunicato, pervenuto a Fides, in cui "deplora e condanna ogni forma di manipolazione o uso interessato dei messaggi e delle immagini della Chiesa cattolica e, in particolare, del suo Capo e Pastore, che è il Papa Francesco". Il testo aggiunge "chiediamo maggiore rispetto per la figura del Santo Padre, da parte delle autorità e dei dirigenti della pubblica amministrazione. I messaggi devono essere letti nella sua interezza, nel contesto in cui sono stati consegnati, evitando letture parziali e di interesse privato".

A 4 mesi dalla visita papale il confronto politico si fa sempre più duro
Nei giorni scorsi, Samuel Doria Medina, leader politico dell'opposizione, ha pubblicato una fotografia del Santo Padre con la parola “No” verniciata sulla sua mano destra, riferendosi alla rielezione del Presidente Morales e ad una frase del Papa: "mantenere a lungo la leadership conduce alla tirannia". A 4 mesi dalla visita del Papa in questo Paese, durante la quale aveva parlato a favore del cambiamento politico e del dialogo come elementi principali nella vita di un Paese, la situazione è diventata ancora una volta pesante a causa della campagna politica a favore del “si” o del “no” al referendum costituzionale del 21 febbraio 2016, che intende proporre la ripresentazione per un quarto mandato, non previsto dalla Costituzione, di Evo Morales e Alvaro Garcia, Presidente e vice-Presidente della Bolivia attualmente in carica.

Anche il Presidente Morales ha sfruttato le parole del Papa
​Secondo informazioni riprese dall'agenzia Fides, la stessa opposizione ha criticato l’uso dell'immagine del Papa da parte di Doria Medina, come mancanza di rispetto per la comunità cattolica boliviana, ma ha criticato anche il Presidente Morales per aver fatto affiggere manifesti in diversi luoghi del Paese con delle frasi del Papa a suo favore, insieme alla foto del suo incontro con il Papa durante la visita in Bolivia. (C.E.)

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Servizi igienici: nel mondo mancano a 1 persona su 3

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È una discriminazione silenziosa che riguarda un terzo dell’umanità: la mancanza di servizi igienici, secondo le Nazioni Unite, fa sentire le sue conseguenze su 2,4 miliardi di persone. E quello di fornire servizi igienici adeguati a tutta la popolazione è “il meno rispettato degli Obiettivi del Millennio”: lo ha ricordato lo stesso Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo messaggio in per il World Toilet Day, la Giornata mondiale dedicata a questo tema, che ricorreva ieri.

Condizioni più critiche nell'Africa subsahariana e Oceania
Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità e dell’Unicef - riporta l'agenzia Misna - la questione riguarda soprattutto l’Africa subsahariana (dove la disponibilità di servizi si ferma al 30%), l’Oceania (35%) e l’Asia meridionale (47%). Ma anche nel Nord del mondo esistono situazioni limite, come quella delle ‘jungle’, gli accampamenti di migranti intorno alla città francese di Calais, dove il numero delle latrine - secondo Medici senza frontiere - è inferiore anche agli standard normalmente previsti per i campi di rifugiati. In Europa, sono in tutto 20 milioni le persone che non hanno accesso a una toilette.

Circolo vizioso tra scarsi servizi igienici e malnutrizione
Il problema colpisce in maniera ancora maggiore le donne (per cui in assenza di servizi igienici cresce anche il rischio di subire violenza) e i bambini: 800.000 bambini ogni anno perdono la vita solo a causa della dissenteria, che condizioni igieniche migliori aiuterebbero a prevenire. Proprio sul nesso tra servizi e salute pongono quest’anno l’attenzione le Nazioni Unite. Esiste, denuncia ancora Ban Ki-moon “un circolo vizioso tra scarsi servizi igienici e malnutrizione”, che a sua volta è responsabile del 50% delle morti di bambini sotto i cinque anni e del 20% della mortalità materna.

Garantire l'accesso di tutti ai servizi igienici entro il 2030
​La questione, secondo il Segretario generale, va affrontata anche su un altro piano: “Dobbiamo continuare - scrive nel suo messaggio - a educare e proteggere le comunità a rischio e a cambiare percezioni culturali e pratiche datate che ostacolano la ricerca di dignità”. L’obiettivo resta quello di garantire l’accesso di tutti ai servizi igienici entro il 2030. (D.M.)

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India. Card. Gracias: come vivere il Giubileo della Misericordia

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Compiere in India una “rivoluzione di misericordia”, grazie alle opere quotidiane dei credenti, grazie a speciali “agenti di riconciliazione”, grazie all’abbraccio di compassione dispensato alle persone “ferite dalla vita”, ai poveri e sofferenti: con questo spirito, spiega il card. Oswald Gracias, la Chiesa indiana si prepara a vivere lo speciale Anno della Misericordia, indetto da Papa Francesco.

Giubileo: appello alla Chiesa per rimodellare se stessa
In una lettera diffusa a tutte le diocesi, il cardinale afferma: “Desideriamo vivere questo Anno giubilare, alla luce delle parole del Signore: Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. L'Anno Santo della Misericordia è un appello alla Chiesa per rimodellare se stessa come un corpo non di giudizio o di condanna, ma di perdono e di amore misericordioso”, nota il cardinale che è presidente della Conferenza episcopale dell’India. Indicando le linee guida che la comunità cattolica in India seguirà per celebrare e vivere questo “tempo speciale” - riferisce l'agenzia Fides - il card. Gracias, ricordando le opere di misericordia corporali e spirituali, invita tutti i credenti a “compiere un piccolo atto di misericordia giornaliero” che porterà “una rivoluzione misericordia in India”. 

Un sito web per diffondere "il messaggio della misericordia"
​La Chiesa propone di vivere con maggiore intensità la preghiera e i pellegrinaggi e parla di “speciali agenti di riconciliazione”, che possano curare le ferite di persone che sono all’interno e al di fuori della comunità cristiana. Tutti i suoi membri, vescovi, preti, religiosi, suore, catechisti, laici, sappiano farsi “missionari della misericordia”, auspica la nota. Durante questo anno i fedeli indiani cercheranno, infatti, di diffondere il più possibile “il messaggio della misericordia”, anche attraverso uno specifico sito web in cui condividere eventi, risorse, informazioni, collegamenti, documentari, programmi e iniziative delle diocesi e delle comunità locali. (P.A.)

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India: decine di morti a Chennai dopo una settimana di piogge

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Le violente piogge che da una settimana cadono sul sud dell’India hanno messo in ginocchio la popolazione, causando quasi 100 morti. La perturbazione ha colpito alcune parti dello stato meridionale del Tamil Nadu e le regioni settentrionali dello Sri Lanka. Una delle città più colpite - riferisce l'agenzia AsiaNews - è Chennai, capitale del Tamil Nadu, dove le strade sono trasformate in torrenti e vasti quartieri sono sommersi. Un sacerdote del Pime che opera nel Tamil Nadu dice: “La situazione è ancora tragica, alcune zone stanno migliorando ma gran parte degli slum sono congestionati. La densità della popolazione è altissima e tutta questa pioggia sta creando gravi danni. Le scuole saranno chiuse ancora per due giorni almeno”.

Forti precipitazioni dopo settimane di caldo e umidità
Non si conosce con precisione il numero delle vittime. Il quotidiano nazionale NewKerala parla di 95 morti, mentre per la Bbc sono “almeno 71”. Le piogge sono iniziate il 14 novembre e sono state accolte come un sollievo dalla popolazione, dopo settimane di clima umido e caldissimo. Dopo due giorni di precipitazioni ininterrotte, però, le autorità di Chennai hanno aperto gli acquedotti per evitare esondazioni. La città ha iniziato a riempirsi d’acqua. Un problema ulteriore è stata l’apertura delle acque del vicino lago di Chembarambakkam, defluite nel fiume inquinato di Aydar (che scorre attraverso la città) fino a farlo esondare.

Sospesa la corrente elettrica per evitare incidenti
In molte zone di Chennai, la corrente elettrica è stata sospesa per evitare incidenti di elettrocuzione. L’esercito, la marina, l’aeronautica e i pompieri stanno soccorrendo i cittadini a bordo di gommoni ed elicotteri. Un’applicazione smartphone per taxi ha lanciato un servizio gratuito per aiutare i soccorsi via gommone. Una donna residente del distretto di Velachery parla di “orrore senza precedenti”. “Viviamo in una casa a due piani e quello inferiore è immerso nell’acqua – racconta alla Bbc –, tutti i mobili stanno galleggiando. Non abbiamo mai visto una cosa simile prima d’ora”. 

L'opposizione condanna l'operato del governo
​L’opposizione politica del Tamil Nadu accusa il primo ministro Jayalatha di aver fallito nell’emergenza. Le televisioni dei partiti avversi al governo, mandano a giro continuo, le immagini dei disastri urbani, affermando che Chennai è sull’orlo del collasso e dell’anarchia. (R.P.)

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Oslo: dialogo cattolico-luterano a 500 anni dalla Riforma

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Verrà presentata giovedì 26 novembre, a Oslo, la traduzione in norvegese del documento “Dal conflitto alla comunione – Commemorazione luterano-cattolico della Riforma nel 2017”. Si tratta del documento pubblicato nel giugno 2013 dalla Commissione cattolico-luterana romana sull’unità in cui viene proposta una “descrizione comune della storia della Riforma”. 

Il punto sul dialogo cattolico-luterano in Norvegia
La presentazione del documento avverrà nel corso di un incontro pubblico in cui si farà il punto della situazione norvegese del dialogo cattolico-luterano nella prospettiva del 500° anniversario della Riforma nel 2017. Sarà la suora domenicana Else-Britt Nilsen, membro della Commissione ecumenica norvegese e responsabile delle suore domenicane in Europa, a introdurre i lavori con una relazione sullo “stato della comunione” 500 anni dopo la riforma e a 50 anni di dialogo ufficiale tra cattolici e luterani. Seguirà un confronto tra i due vescovi di Oslo, il luterano Ole Christian Kvarme e il cattolico Bernt Eidsvig. 

I cattolici in Norvegia sono circa 150mila, il 3% della popolazione
“In Norvegia, il dialogo si è svolto per quasi tutto questo periodo”, spiega Ingrid Rosendorf Joys, della diocesi di Oslo, ma alla viglia del 2017 è tempo di domandarsi “come sta la comunione tra le nostre due Chiese oggi”. I cattolici registrati in Norvegia sono circa 150mila, pari al 3% della popolazione, mentre risulta battezzato nella Chiesa luterana di Norvegia il 75% degli abitanti (vale a dire 3 milioni e 750mila persone). (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 324

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.