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Sommario del 22/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: in un mondo lacerato, servono gesti di misericordia

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Di fronte ad un mondo lacerato e ferito, rendiamo presente il Regno di Dio “con gesti di comprensione e misericordia”. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, alla presenza di almeno 30 mila fedeli, in una giornata particolarmente soleggiata. Ricordando la solennità di Cristo Re dell’Universo, il Pontefice ha esortato i cristiani a rifiutare la logica mondana e a seguire la logica evangelica che si esprime “nell’umiltà e nella gratuità”. Quindi un pensiero al viaggio apostolico in Africa, che inizierà mercoledì prossimo, e che il Papa ha definito “un segno d’amore”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Nella solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, Papa Francesco lancia un nuovo vibrante appello per la pace e la riconciliazione. Lo fa invocando Maria e chiedendo a tutti gli uomini di buona volontà di non rassegnarsi alla violenza:

“Di fronte alle tante lacerazioni nel mondo e alle troppe ferite nella carne degli uomini, chiediamo alla Vergine Maria di sostenerci nel nostro impegno di imitare Gesù, nostro re, rendendo presente il suo regno con gesti di tenerezza, di comprensione e di misericordia”. 

La logica evangelica vinca la logica mondana
La meditazione del Papa si sofferma su Gesù che a Pilato si presenta come Re, ma non come sovrano di questo mondo. Si tratta, sottolinea, della contrapposizione “tra due logiche”, quella mondana e quella evangelica:

“La logica mondana poggia sull’ambizione e sulla competizione, combatte con le armi della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica del Vangelo, cioè la logica di Gesù, invece si esprime nell’umiltà e nella gratuità, si afferma silenziosamente ma efficacemente con la forza della verità. I regni di questo mondo a volte si reggono su prepotenze, rivalità, oppressioni; il regno di Cristo è un 'regno di giustizia, di amore e di pace'”.

Per il cristiano la vera potenza è l’amore di Gesù
Gesù, prosegue, “si è rivelato re nell’evento della Croce! Chi guarda la Croce di Cristo non può non vedere la sorprendente gratuità dell’amore”. Quello che sembra un fallimento, ha osservato a braccio, è in realtà il fallimento “del peccato”, delle “ambizioni umane”. Questo, ha detto, “è il trionfo della Croce”:

“Parlare di potenza e di forza, per il cristiano, significa fare riferimento alla potenza della Croce e alla forza dell’amore di Gesù: un amore che rimane saldo e integro, anche di fronte al rifiuto, e che appare come il compimento di una vita spesa nella totale offerta di sé in favore dell’umanità”.

Cristo è un re che serve per amore, non un re che domina
Se Gesù fosse sceso dalla croce, evidenzia, “avrebbe ceduto alla tentazione del principe di questo mondo; invece Lui non può salvare sé stesso proprio per poter salvare gli altri”. E a braccio aggiunge:

“Ma dire ‘Gesù ha dato la vita per il mondo’ è vero, ma è più bello dire: ‘Gesù ha dato la sua vita per me!’ E oggi in piazza, ognuno di noi, dica nel suo cuore: ‘Ha dato la sua vita per me’, per poter salvare ognuno di noi dai nostri peccati”.

E questa, riprende, è “la forza del regno di Cristo: è l’amore. Per questo la regalità di Gesù non ci opprime, ma ci libera dalle nostre debolezze e miserie, incoraggiandoci a percorrere le strade del bene, della riconciliazione e del perdono”, come capisce il “Buon Ladrone” sulla croce, accanto a Gesù.

Il viaggio in Africa, segno di amore e di vicinanza
Salutando i pellegrini, ha dunque rivolto il pensiero all’imminente viaggio in Africa che per la prima volta porterà Papa Francesco a visitare il Kenya, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana:

“Chiedo a tutti voi di pregare per questo viaggio, affinché sia per tutti questi cari fratelli, e anche per me, un segno di vicinanza e d’amore. Chiediamo insieme alla Madonna di benedire queste care terre, affinché ci sia lì la pace e la prosperità”.

Infine, il Papa ha rammentato la Beatificazione a Barcellona di Federico da Berga e venticinque compagni martiri, uccisi in Spagna “durante la feroce persecuzione contro la Chiesa nel secolo scorso”. Alla loro intercessione, il Papa ha affidato “i tanti nostri fratelli e sorelle che purtroppo ancora oggi, in diverse parti del mondo, sono perseguitati a causa della fede in Cristo”.

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Papa: attacco a Bamako è violenza cieca, Dio converta i cuori

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Papa Francesco è vicino al popolo maliano dopo l’attacco sferrato da un gruppo di fondamentalisti islamici contro l’hotel Radisson nella capitale Bamako che ha provocato almeno 21 morti e numerosi feriti. In un telegramma - a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin - indirizzato all’arcivescovo di Bamako, mons. Jean Zerbo, il Papa chiede a Dio di dare “conforto e consolazione alle famiglie” delle vittime e delle persone ferite nell’attacco. “Costernato per questa violenza cieca, che condanna fermamente – si legge nel telegramma – il Santo Padre implora da Dio la conversione dei cuori e il dono della pace” e invoca la benedizione divina per tutte le persone “che sono state toccate da questo dramma”.

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Rettore Cattedrale Bangui: Papa in Centrafrica evento di grazia e speranza

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Mercoledì prossimo Papa Francesco inizierà il suo primo viaggio apostolico in Africa. Tre i Paesi visitati: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Domenica 29 novembre, il Pontefice aprirà la Porta Santa della Cattedrale di Bangui, in Centrafrica, una decina di giorni prima dell’inaugurazione ufficiale del Giubileo della Misericordia. Su questo evento, che avviene in un contesto di gravi tensioni e violenze nel Paese, Romilda Ferrauto ha sentito il rettore della Cattedrale di Bangui, don Mathieu Bondobo

R. – È veramente un momento di grazia per tutto il popolo del Centrafrica. Il Giubileo è un anno di misericordia e, come ha detto il Papa, è un Anno santo di Misericordia, di perdono, di questo Dio che viene incontro ad ogni popolo e, in questo caso, viene verso il popolo del Centrafrica: attraverso la Porta Santa, Dio ci viene incontro e ci apre la porta, ci indica la strada che ci porta a Dio e questa strada passa attraverso il perdono, la misericordia. E questo è un gesto eccezionale, è la prima volta che accade nella storia. È ciò che intende il Papa quando parla delle periferie. Ha scelto il Centrafrica, un Paese che sta vivendo un momento difficile della sua storia, al centro dell’Africa. Quindi lì, la Buona notizia, il Vangelo, arriva a questo popolo per aiutarlo ad uscire da questa situazione terribile che sta vivendo per vivere nella pace e andare incontro a Cristo, perché Cristo è anche questa porta attraverso la quale passiamo per entrare nella casa di suo Padre.

D. - Nel contesto attuale del Centrafrica dopo mesi, anni di guerra civile, in un Paese che è stato devastato, questo gesto profondo del Papa ha anche una portata storica, politica, nazionale, vero?

R. - È vero, perché noi centrafricani, da questa crisi che stiamo vivendo da anni, aspettiamo la pace. A volte siamo stanchi; si fanno degli sforzi e a volte ci rendiamo conto che questi non portano a nulla, ma attraverso questo gesto, l’apertura della Porta Santa, una speranza si realizza: non bisogna dire “mai” nella vita - anche se le cose vanno male – perché con la nostra fede e con la nostra preghiera Dio ci ascolta. Noi del Centrafrica per la fine di questa crisi abbiamo pregato tanto, abbiamo alzato la nostra voce al Dio altissimo per dire: ”Vieni in nostro aiuto!”. Crediamo fortemente che attraverso questo viaggio, questa visita del Santo Padre, Dio stesso viene a giudicare il suo popolo. È in questo modo che stiamo preparando i nostri fedeli ad accogliere il messaggio che il Santo Padre verrà a darci.

D. - Lei cosa spera per il futuro del suo Paese? Cosa si aspetta da questa visita?

R. - Io spero la pace per il mio Paese, perché la situazione è terribile. Ci sono persone che muoiono ogni giorno; ci sono persone che hanno perso tutti i loro beni, ci sono persone che hanno visto bruciare le loro case, bambini che non possono andare a scuola, persone ferite, ma di una ferita grave. E quindi la situazione in Centrafrica è terribile! Spero ed auguro la pace al mio Paese. Ci credo davvero. Credo che la visita del Santo Padre sia già un punto di partenza, una nuova pagina che stiamo per scrivere per il Centrafrica. E noi scriviamo questa pagina insieme a Dio, perché questo Anno santo che inizia con l’apertura della Porta Santa a Bangui per la prima volta nella storia, credo sia un messaggio che proviene dall’alto, da Dio, perché Dio ha visitato il suo popolo ed in questo caso il suo popolo in Centrafrica.

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Parolin: contro terrorismo no uso della forza come unica risorsa

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“Guardando ai contenuti della cronaca di queste ore non si può ignorare che la guerra, l’appello alla guerra, rimane purtroppo un fatto concretamente presente nella convivenza mondiale e l’unico modo di renderla meno inumana è la sua regolamentazione” da parte della Comunità internazionale. Così, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, è intervenuto ad un convegno a Villa Nazareth a Roma per ricordare i 40 anni dagli Accordi di Helsinki, passo decisivo per l’introduzione dei diritti umani nella diplomazia internazionale. Il servizio di Michele Raviart: 

Lo spirito europeo appare in questi giorni lacerato e inerme dopo gli attentati di Parigi. Un attacco di estrema barbarie, afferma il cardinale Pietro Parolin, al quale “sembra prevalere come sola risposta la volontà di contrapporsi alla forza delle armi con gli stessi mezzi”. Il pericolo da evitare è quello di una “pace a pezzi”, dovuta ad un unilateralismo che mette da parte principi e regole comuni, in cui ogni Stato è sicuro nel proprio territorio senza la necessaria unità tra le nazioni per un bene superiore. Per questo la risoluzione dell’Onu contro il sedicente Stato Islamico rimane uno sforzo comune da valorizzare:

"Credo davvero che l’importante è che ci sia una sforzo comune. Le Nazione Unite sono l’espressione anche di questa unità della comunità internazionale. Quindi tutto quello che si fa in questa direzione credo sia uno sforzo da valorizzare".

La Santa Sede si dichiara poi pronta ad assicurare ogni possibile contributo perché sia effettivo “il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato”, come ha detto Papa Francesco alle Nazioni Unite, e per evitare che l’immobilismo resti l’unica strategia e le armi la sola risposta. Né è pensabile fronteggiare i conflitti con “tentativi di rialzare barriere per difendere frontiere ormai inservibili a fronte di una forzata mobilità umana”.

Nel segno della pace e del dialogo sarà anche l’imminente apertura da parte di Papa Francesco della Porta Santa a Bangui, in Repubblica Centrafricana:

"E’ un segno di speranza e speriamo che la popolazione accolga questo segnale e idealmente passino tutti, nemici e avversari, attraverso questa Porta Santa"

Il viaggio in Africa comincerà mercoledì prossimo e toccherà anche Kenya e Uganda:

"E’ un viaggio molto importante per il Papa perché si tratta di farsi vicino a una realtà che soffre, una realtà che si trova in difficoltà e quindi il Papa con la sua presenza vuole dare un senso di vicinanza e incoraggiamento. Tutto nel ricordo dei martiri ugandesi, di cui già Paolo VI disse: "Che siano il segno della rinascita dell’Africa”.

Sulla prevista visita del Papa alla moschea di Bangui, è stato affermato, la decisione definitiva sarà presa all’ultimo momento, valutando la sicurezza sul posto.

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Fisichella: Chiesa ha trascurato la misericordia per raggiungere l'uomo

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Ora più che mai il mondo ha bisogno di vedere spalancata una porta di misericordia. L’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio della Nuova Evangelizzazione, guarda all’inizio dell’Anno Santo proclamato da Papa Francesco soffermandosi sulla recente tragedia di Parigi. La Chiesa, ribadisce, vuole accogliere tutti, senza paura: “Sull’obelisco di San Pietro non sventolerà la bandiera bianca di resa al terrore”, dice ancora mons. Fisichella. Alessandro De Carolis lo ha intervistato: 

R. – Il mondo ha dimenticato la misericordia, e purtroppo anche noi, spesso, non abbiamo fatto della misericordia la strada maestra per raggiungere gli uomini e le donne del nostro tempo. E quindi, in un momento anche così delicato come quello che stiamo vivendo, c’è anche un cambiamento che è epocale. Questo significa che c’è un cambiamento nei costumi, nel modo di pensare, nei nostri linguaggi, negli stili di vita. Questa dimensione obbliga la Chiesa ad un’attenzione maggiore su come essere capace di annunciare il Vangelo di sempre. Questo mi sembra sia anche uno dei motivi per cui il Papa ha affidato al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione l’organizzazione del Giubileo: perché desidera che l’annuncio della misericordia, oltre ad essere un elemento di conversione per la Chiesa, sia anche uno dei contenuti fondamentali in questa nuova tappa dell’evangelizzazione che la Chiesta sta compiendo.

D. – Papa Francesco ha voluto che, anche fisicamente, l’accostarsi  alla Porta Santa in San Pietro, ma anche altrove, fosse un vero e proprio pellegrinaggio. In che modo si potrà compiere questo itinerario, che non è solo un percorso esteriore?

R. – Il Papa consiglia che il pellegrinaggio venga fatto verso tutte le Porte Sante che sono aperte nel mondo. E quindi il Papa sollecita le varie diocesi a concretizzare l’apertura della Porta Santa, e il passaggio da quest’ultima, anche attraverso un breve pellegrinaggio che dia il senso di un cammino dell’uomo in questo suo incontro con il Signore. E non dimentichiamo che la Porta Santa ha un valore simbolico fortissimo: la Porta indica Gesù stesso. Gesù ha detto: “Io sono la Porta. Chi passa attraverso di me avrà la vita”. Poi qui a Roma sarà invece un aspetto concretamente molto più visibile, perché, da Castel Sant’Angelo, si muoverà il pellegrinaggio per la Porta Santa attraversando tutta via della Conciliazione e piazza San Pietro. Sarà un percorso protetto quello dei pellegrini, ma continuerà anche il traffico locale. Ebbene, questo pellegrinaggio porrà un interrogativo a tutte queste persone: perché lo fanno? E quindi sono domande che possono anche provocare degli interrogativi nel cuore degli uomini del nostro tempo, spesso distratti, che non pensano più al senso della propria vita. Un’esigenza di spiritualità a cui vuole richiamarsi il Giubileo.

D. – È importante ricordare come, sempre per desiderio di Papa Francesco, il Giubileo alle porte avrà una decisa connotazione locale: ci sono iniziative in preparazione in alcune diocesi che l’hanno particolarmente colpita?

R. – Noi stiamo ricevendo ancora adesso tante lettere pastorali dei vescovi che offrono alla propria diocesi, ai propri fedeli, indicazioni concrete. È ricca di iniziative la diocesi di Roma. Alla stessa stregua, nel mondo: penso a tanti vescovi che con entusiasmo stanno identificando nella propria capitale una Porta Santa, una porta della misericordia. E nel corso del Giubileo, il Papa compirà lui stesso dei segni di misericordia, segni che ripercorrono le opere di misericordia corporale e spirituale. E questi diventeranno anche una provocazione per le varie diocesi nel mondo a mettere in atto, a praticare queste indicazioni che saranno date dalla testimonianza di Papa Francesco.

D. – La preparazione di un Anno Santo, di un Giubileo, è anche una questione di strutture, di logistica. Come valuta il lavoro che è stato compiuto finora?

R. – Fin dall’inizio c’è stata subito una positiva collaborazione da parte dell’Autorità civile: in questo caso intendo il governo, la Regione e l’amministrazione comunale. Le diverse competenze: dalla mobilità alla viabilità, dalla sanità alla sicurezza, sono state viste con attenzione, con la dovuta cautela. Per cui, manifesto ancora una volta un ringraziamento per la collaborazione che durerà per tutto il Giubileo.

D. – Lei prima ha citato la parola “sicurezza”, e, inevitabilmente, ciò che è accaduto il 13 novembre scorso a Parigi, ha suscitato in molti sentimenti di inquietudine, di paura. Potendo appunto parlare a cuore aperto a queste persone, cosa direbbe loro?

R. – Mi sento di dire due cose. La prima certamente è un pensiero per le vittime della violenza, che non sono soltanto quelle di Parigi, ma sono sparse purtroppo per tutto il mondo. In un anno del Giubileo della Misericordia noi abbiamo pensato anche ad una veglia di preghiera per asciugare le lacrime. Quindi, innanzitutto una parola di consolazione, perché la misericordia significa anche consolazione. Poi c’è un secondo aspetto, ed è quello di tutti coloro che vogliono vivere il Giubileo, e di tutti coloro che vogliono mettersi in cammino – pellegrini – anche per raggiungere la città di Roma. Bene, a questo punto io direi: abbiamo visto le immagini di chi vuole mettere la bandiera nera sull’obelisco di piazza San Pietro. Ebbene, non ci sarà nessuna bandiera nera sull’obelisco di piazza San Pietro, ma non ci sarà neanche una bandiera bianca in segno di arresa. Perché il coraggio, la volontà di esprimere ancora uno stile di vita nel rispetto, nella pace, nella capacità di accoglienza, è ciò che fa della Chiesa una mediatrice privilegiata. E quindi nessuna bandiera bianca per arrendersi alla paura o al terrorismo. E soprattutto a un terrorismo che si richiama a una matrice religiosa, perché contraddice la sua stessa natura.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo: Bruxelles blindata, ricercati dieci uomini dell'Is

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Secondo giorno consecutivo di massima allerta terrorismo per Bruxelles. Restano chiusi la metropolitana e i principali luoghi di assembramento, mentre è caccia all’attentatore di Parigi Salah e ad altri terroristi pronti a colpire. Per le ore 17 è attesa una nuova valutazione dell’anti terrorismo belga. E da domani sarà operativa una portaerei francese nel Mediterraneo orientale per colpire obiettivi del sedicente Stato Islamico, mentre Obama dalla Malaysia garantisce: "Distruggeremo l'Isis sul campo di battaglia”. Il servizio di Marco Guerra

Salah Abdeslam, l'attentatore di Parigi in fuga, si nasconde a Bruxelles o nei dintorni, e ha chiamato suoi amici chiedendo aiuto per scappare in Siria. Lo scrive AbcNews online citando come fonte due suoi amici che hanno chiesto di non essere identificati. L'indiscrezione è stata confermata all'emittente dal fratello di Salah, Mohamed, risultato estraneo ai fatti, che crede "non sia affatto lontano"; a suo parere, inoltre, i due suoi fratelli che hanno partecipato agli attacchi in Francia sono stati manipolati ma non si sono radicalizzati. A preoccupare le autorità del Belgio, tuttavia, non è solo Salah. “Cerchiamo molteplici sospetti - ha detto il ministro degli Interni Jan Jambon - , è per questo che abbiamo messo in campo una simile concentrazione di risorse”. Secondo France Info, sarebbero almeno una decina gli uomini ricercati, in possesso di esplosivi e pronti ad attacchi come a Parigi.

“Seguiamo la situazione minuto per minuto, c'è una minaccia reale”, ha aggiunto Jambon. Per le 17 è attesa una nuova valutazione dell’antiterrorismo, nel frattempo Bruxelles resta un città blindata: chiusi metrò, cinema, centri commerciali, annullati concerti ed eventi sportivi. Intanto, sul fronte della lotta al sedicente Stato Islamico, Obama promette che saranno azzerate le risorse del califfato e chiede alla Russia di giocare un ruolo importante nella lotta all’Is. Il Sunday Times riferisce che il premier britannico Cameron chiederà alla Camera dei Comuni il via libera ai raid in Siria. E da domani caccia francesi partiranno per nuove azioni contro il califfato da una portaerei schiarata nel Mediterraneo. Solo ieri le nuove minacce a Parigi con un video dell'Is che simula un attacco alla Tour Eiffel.

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Not in my name, musulmani in piazza per dire no al terrorismo

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Not in my name, "Non nel mio nome": è il titolo delle manifestazioni che si sono svolte ieri in piazza a Roma, Milano e Genova. Alcune centinaia di italiani di fede musulmana e cittadini di diversa nazionalità e religione hanno condannato gli atti di terrorismo compiuti dal sedicente Stato Islamico a Parigi e nel resto del mondo. L’appuntamento ha ricevuto il sostegno di molte associazioni e forze politiche. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato un messaggio ai partecipanti e ha invitato gli uomini di fede islamica a sentirsi parte della comune battaglia contro il terrore. Alla manifestazione a Roma c'era per noi Eugenio Murrali

"Pace, pace". Gridavano pace alcune centinaia di musulmani che, nonostante la pioggia, hanno preso parte alla manifestazione Not in my name di Roma. Ecco alcune loro testimonianze:

D. - "Perché siete qui oggi?

R. - Siamo per la pace, per l'amore e siamo contro il terrorismo!

R. - Noi siamo contro ogni spargimento di sangue.

R. - Nessuna religione al mondo dice di uccidere.

R. - Io sono musulmana. Vengo dall'Iraq, da Baghdad, siamo tutti contro questa guerra.

R. - Il nostro saluto è As-Salaam-Alaikum, la pace sia con voi, come dice il Corano: chi uccide un innocente è come se uccidesse l'umanità intera.

R. - Il terrorismo per noi è maledetto, è un grande peccato, il peggiore peccato.

R. - Bisogna muoversi e dire "No, noi siamo qua, siamo musulmani e non siamo quelli che ammazzano nel nome dell'Islam"

Quando ripensano ai fatti di Parigi il sentimento è unanime:

R. - Ho pianto, provato tanto dolore, perché questa gente non c'entra niente; Abbiamo fatto una preghiera speciale contro il terrorismo; Hanno ucciso degli innocenti.

R. - Devo dire, abbiamo provato un senso di vergogna, queste cose non devono accadere. Non c'è un minimo acceno a quello che è il sacro Corano: Il libro sacro dice: Non uccidere".

Chi ha avuto il coraggio di scendere in piazza per dire il suo “no” è convinto che il terrorismo e la guerra non abbiano alcuna religione.

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Argentina alle urne per il ballottaggio presidenziale

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Gli argentini alle urne questa domenica per il ballottaggio presidenziale. Dopo il primo turno del 25 ottobre, gli elettori dovranno scegliere tra il candidato governativo Daniel Scioli, del Fronte per la Vittoria, e il rivale della coalizione della destra liberista Mauricio Macri, di Cambiemos, entrambi di origine italiana. Il nuovo presidente metterà fine a 12 anni di era della famiglia Kirchner. Sulle prospettive e sfide per il nuovo presidente, Massimiliano Menichetti ha intervistato Giuseppe Dentice, esperto di America Latina, dell’Ispi, Istituto Studi Politica Internazionale: 

R. – È una sfida molto importante per l’Argentina. Questa potrebbe risultare decisiva non solo dal punto di vista elettorale, ma segnerebbe un cambio di passo nella strategia politica, di politica economica e sociale: una vittoria di Macri potrebbe infatti portare ad una nuova linea, più liberista e liberale, e quindi ad una strategia un po’ più di destra sud-americana rispetto a quella di Scioli, il candidato del presidente uscente Kirchner. Però nessuno si è espresso semplicemente a favore di una ricetta politica per cercare di risanare l’esanime economia argentina, nessuno ha dato delle formule decisive.

D. – Quali sono le sfide principali che il nuovo presidente dovrà affrontare? E come si dipanano i nodi che in sostanza ha tratteggiato?

R. – Le sfide sono molteplici e non riguardano soltanto l’economia. Riguardano anche la società: c’è la lotta alla corruzione e quella all’inflazione. Vari indicatori socio-economici mostrano che non vi sono segnali di una ripresa favorevole nel Paese. Allo stesso tempo, è necessario favorire un maggiore ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, una maggiore competitività del modello argentino, anche rispetto a quello delle altre economie latino-americane. Quindi le sfide del nuovo presidente sono numerose, ma rischiano di essere vuote se non si darà una nuova linea politica che sia basata su programmi e strategie concerete.

D. – L’Argentina è un Paese dalle grandi potenzialità, ma ha avuto due default: perché non riesce a stabilizzare la propria economia?

R. – Le difficoltà sono dettate non solo dai vincoli imposti dalla comunità internazionale - in questo caso dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) o dalla Banca Mondiale - ma anche da problemi interni, dettati dalla struttura economica argentina. La corruzione, ad esempio, è un problema serio che non permette lo sviluppo di un certo tipo di sistema concorrenziale. Allo stesso tempo, avere un’inflazione così alta non facilita assolutamente una revisione della spesa pubblica. O ancora: anche il dover cedere alle spinte popolari per tentare di placare la rabbia sociale non favorisce un sistema di politica economica efficiente. Quindi, volendo sintetizzare, tutta questa serie di tante e piccole criticità non ha favorito il modello argentino, rendendolo vincente, ma ha creato un modello altamente instabile e suscettibile di cambiamenti a seconda sia del contesto internazionale sia – e soprattutto – di quello interno.

D. – Una sfida dunque è proprio questa: arrivare alla stabilità?

R. – Sì! La cosa importante per arrivare a questo obiettivo consiste nel creare un modello argentino stabile e altamente concorrenziale che possa favorire un vero e proprio sviluppo.

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Ebola torna a far paura in Liberia: tre nuovi contagi

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Tre nuovi casi di Ebola in Liberia, dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) l’aveva dichiarata debellata appena due mesi fa. Il primo a contrarla è stato un ragazzo di 15 anni che l’ha poi attaccata al padre e al fratello. I medici che lavorano sul posto la definiscono “quarta ondata”. Cosa si può fare dunque per contenere questi casi meno gravi ma più contagiosi? Veronica Di Benedetto Montaccini ha sentito Fabrizio Pregliasco, medico virologo e sovraintendente sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano: 

R. – Purtroppo questa malattia, pur essendo diventata meno grave rispetto al passato, riesce a rimanere presente, magari con casi anche non conclamati ed evidenti, colpendo in contesti sociali dove non c’è un grande controllo, con la possibilità di infettare le persone. Quindi è un "fuocherello" che sembrava spento, ma che rinasce dalle braci.

D. – Quali sono i luoghi comuni su Ebola ancora da sfatare?

R. – È una malattia rilevante che non è conosciuta abbastanza, anche se esiste da più di trent'anni. Si trasmette - per fortuna - solo con il contatto del soggetto sintomatico, che ha quindi la malattia clinica evidente. E' stato verificato un rischio contagio con il contatto di sangue, secrezioni e anche via liquido seminale. Non vi sono assolutamente altre modalità di trasmissione. 

D. – Nel Rapporto del 1977 si citano delle Linee guida emerse anche dopo l'ultimo contagio. Oggi, queste linee non sono state rispettate?

R. – Non è facile, proprio perché la malattia, per la sua trasmissibilità e vicinanza, necessita la conoscenza, l’informazione e la consapevolezza da parte delle persone, ma anche un’attività sociale. La paura in quei Paesi ha portato in molti casi ad isolare i malati, a nasconderli, per la paura di perdere la vicinanza della comunità. È il malato sintomatico il principale trasportatore e untore della malattia. Quindi sono necessari l’informazione, la conoscenza e il controllo, ovviamente il più precoce possibile, del soggetto malato.

D. – Quali sono gli ultimi risultati della battaglia contro Ebola?

R. – Per quanto riguarda il trattamento dell’epidemia, c’è l’esigenza ma si riscontra ancora la difficoltà di trovare specifici anticorpi o comunque farmaci antivirali. Sul versante della vaccinazione, si sono visti interessanti risultati negli studi in vitro e sul modello animale che possono essere efficaci. Il problema della vaccinazione, però, non è solo il tecnicismo e l’individuazione dell’antigene specifico da utilizzare, ma è la tempistica con cui vengono fatti e soprattutto la sicurezza della vaccinazione. Questo vaccino, per poter essere utile, deve essere impiegato su larga scala. Quindi è fondamentale arrivare alla fine di studi che confermino l’applicabilità a livello di popolazione e non solo di pochi esperimenti.

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In Italia, la Giornata per il sostentamento del clero

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Oggi, nella Solennità di Cristo Re, la Chiesa italiana celebra la giornata di sensibilizzazione per il sostentamento del clero. Le donazioni, che verranno raccolte in tutte le parrocchie, saranno destinate ai 36 mila sacerdoti diocesani che dedicano la propria vita all’annuncio del Vangelo e al servizio del prossimo. Ma perché è di vitale importanza sostenere economicamente i nostri parroci? Federico Piana lo ha chiesto a Matteo Calabresi, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica: 

R. – Sicuramene, la prima ragione è perché loro annunciano il Vangelo “full time”, a tempo pieno, quindi c’è bisogno che siano i fedeli a sostenerli; la seconda ragione è perché secondo me loro sono i veri e propri ammortizzatori sociali, in questo periodo. I sacerdoti sono sempre al centro di tutte quelle opere che vengono sostenute sia con i fondi dell’8 per mille sia con le risorse altre della Chiesa cattolica, e sono proprio loro, appunto, i motori di queste opere, che cercano di stare il più vicino possibile ai bisogni della gente.

D. – Quali sono i dati?

R. – In questi ultimi anni c’è stato un calo abbastanza costante, anche se l’anno scorso c’è stata una piccola ripresa; noi raccogliamo circa 11 milioni di euro, che comunque è una delle maggiori raccolte “no profit” in Italia; però, pensando alla popolazione cattolica presente in Italia, sono abbastanza pochini: abbiamo circa 120-130 mila donatori che offrono per il sostentamento del clero. Perché? Penso che una delle ragioni principali sia perché si tratta di un’offerta – tutto sommato – “fredda”, perché non è un’offerta che viene fatta brevi manu al proprio parroco. Quella certamente aiuta proprio il sacerdote, ma non va ad aiutare tutti i sacerdoti in maniera perequata. Queste sono le ragioni per le quali era nato questo sistema di sostentamento del clero: perché potesse aiutare tutti i sacerdoti in maniera perequata.

D. – Vorrei chiedere se gli scandali ultimi hanno creato delle difficoltà nella raccolta delle donazioni …

R. – Devo dire di no, perché i nostri donatori sono donatori molto fedeli; i nostri donatori sono persone che conoscono consapevolmente la situazione e l’operato dei sacerdoti, quindi non si fanno spostare l’opinione a seconda di un fatto o di un altro: riescono a capire il vero valore dei sacerdoti e probabilmente hanno anche capito che alcuni sacerdoti, essendo uomini, avranno sbagliato. Quindi devo dire che non è cambiato molto nel trend delle nostre offerte, a seconda delle varie notizie che escono.

D. – Secondo lei, come si può fare per incrementare un po’ queste donazioni?

R. – Secondo me, la chiave di volta è l’intervento stesso dei sacerdoti che spesso hanno pudore: a loro non piace chiedere per se stessi. Eppure, questo noi riteniamo che sia veramente la parte più importante. Non devono vergognarsi di chiedere, ma devono far vedere cosa fanno e allo stesso tempo far presente che queste offerte per i sacerdoti possono dare molti benefici, perché tra l’altro offerte per il clero e 8 per mille sono come due contenitori comunicanti: quindi laddove aumentano le offerte per il clero, ci sono più risorse 8 per mille da dedicare alla carità.

D. – E’ in buona salute l’8 per mille?

R. – Recentemente ha avuto un piccolo calo, ma siamo comunque intorno all’80,2 per cento, quindi comunque una percentuale molto alta che sta a significare il continuo sostegno da parte dei contribuenti italiani che vogliono vedere, ovviamente, come vengono usati i fondi e sicuramente danno un cenno di gradimento a questa nostra campagna ma ovviamente e soprattutto, all’operato della Chiesa.

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Dialogo tra vittime e detenuti: iniziativa di Prison Fellowship

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Sostenere le vittime del crimine attraverso il dialogo riparativo. E’ stato questo il tema del forum tenutosi nei giorni scorsi a Roma e promosso da Prison Fellowship Italia. L’iniziativa rientra nel programma Building Bridges che punta alla riabilitazione dei detenuti anche attraverso la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime. Il servizio di Davide Dionisi

Generalmente il crimine viene inteso come devianza che necessita di una risposta sociale. Le vittime patiscono conseguenze fisiche, psicologiche e finanziarie, ma questo percorso di dolore può essere alleviato attraverso un dialogo riparativo tra vittime e autori del reato. Ne sono convinti i rappresentanti europei di Prison Fellowship, l’organizzazione statunitense attiva in 125 Paesi che opera da oltre trent’anni nelle carceri, che si sono confrontati a Roma nei giorni scorsi per rilanciare il progetto Building Bridges che ha come obiettivo proprio quello di avvicinare vittime e detenuti e contribuire ad una comunità socialmente giusta nel Vecchio Continente. Ma una vittima può realmente trarre vantaggi dall’incontro con chi ha l’ha offesa? La risposta di Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia:

R. – Sì, e lo abbiamo sperimentato. Lo dico per esperienza e non solo per teoria o accademia; abbiamo sperimentato che le persone offese da un reato, a determinate condizioni, possono avere non soltanto una riparazione laddove sia possibile, ma proprio una "restaurazione", una rinascita interiore e riacquistare serenità. Ne abbiamo fatto esperienza in cinque anni in parecchie carceri e non soltanto con detenuti per reati "banali", oserei dire, anche se non si può mai etichettare un reato come banale, o di lieve entità o contro il patrimonio. L’abbiamo sperimentato con reati di sangue.

D. - Come e dove si possono inserire le vittime per realizzare tale Progetto?

R. – Questa è la parte più difficile del progetto, perché le vittime in genere non soltanto provano diffidenza, ma anche paura, soprattutto perché i nostri progetti si svolgono all’interno del carcere. Quindi già l’idea di entrare in un carcere ed incontrare anche se non le stesse persone che hanno causato il loro danno, ma persone che comunque hanno causato un danno analogo, spaventa soprattutto e molte volte c’è, oltre alla diffidenza, l’idea che devono rimanere lì e devono stare lontane. Una volta che si supera questa barriera, illustrando soprattutto non solo le finalità del progetto ma le modalità – e quindi l’ambiente protetto, sicuro, che dà tutte le garanzie non solo di sicurezza ma che anche di riservatezza, di discrezione – le vittime sono poi le prime ambasciatrici del progetto presso altri e anche presso le stesse associazioni. In Italia, in verità, non esiste un sistema radicato ed uniforme sul territorio di vittime. Ci sono varie esperienze: le vittime di mafia, del terrorismo, quelle tra la polizia o le forze dell’ordine, ma non c’è un’associazione di vittime che le raggruppi a livello nazionale. Quindi facciamo un po’ fatica ed i nostri canali privilegiati sono le parrocchie, il porta a porta, la conoscenza personale, il passaparola. Oggi devo dire che molte delle vittime che hanno partecipato ai nostri progetti sono le stesse che "reclutano" non soltanto le altre vittime, ma ne abbiamo alcune che addirittura sono diventate benefattrici dell’associazione proprio per "reclutare" altre vittime facendo piccoli lavoretti che poi noi diamo in beneficenza o regaliamo per ottenere in cambio piccola offerta per mantenere l’associazione.

D. - Come vengono formati i facilitatori? 

R. – In Italia i primi sono stati formati da un team venuto da Washington in due diversi incontri realizzati nel 2009. Da quel momento una squadra di noi, cinque o sei persone, annualmente segue dei corsi di formazione sulla base dei documenti scientificamente testati che sono venuti dall’America - che è quella che ha formato il progetto – che poi vengono adattati alla nostra cultura italiana, cioè ad una formazione ben precisa, molto puntuale e profonda. Una volta fatta questa formazione teorica i nostri facilitatori rientrano con un facilitatore esperto e a la sua prima formazione sul campo dando sussidio ad un facilitatore principale. Da quel momento in poi può anche fare la facilitazione, la mediazione indiretta da solo.

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Giubileo: in un libro i Santi della misericordia a Roma

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“La misericordia non è buonismo perché non è opera nostra. I Santi conoscono per esperienza diretta questa verità e l’hanno testimoniata con la vita”. E’ quanto il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin scrive nella prefazione del libro “I Santi della misericordia. Itinerari a Roma e dintorni” pubblicato in questi giorni per i tipi dell’Ecra. A realizzare il volume la giornalista Laura Badaracchi, che si è avvalsa delle foto di Stefano Dal Pozzolo dell’agenzia “Contrasto”. Un modo per riscoprire i grandi Santi che hanno lasciato le loro tracce nella storia ma anche figure meno note, innamorate degli ultimi. Benedetta Capelli ha intervistato l’autrice: 

R. – Il percorso parte dalla Porta Santa della Basilica di San Pietro, alla scoperta dei due recentissimi Santi: San Giovanni Paolo II e San Giovanni XXIII, sepolti nella Basilica. L’elemento che unisce tutti è questo sentirsi amati dal Signore e poi il fatto che non abbiano tenuto per sé questo amore ma abbiano deciso di donarlo agli altri, in forma diversissime: c’è chi l’ha donato fino al martirio, c’è chi – come San Filippo Neri – l’ha donato in particolare ai ragazzi, ma anche ai poveri di Roma; c’è Ignazio di Loyola, che è un grandissimo donatore di discernimento e anche lui, di passione per i poveri; c’è Francesco di Assisi che nell’incontro con il lebbroso riconosce il volto di Cristo. Ci sono poi tantissime curiosità, legate anche alle varie figure. Ad esempio, nel capitolo su San Lorenzo diacono e martire, tra le curiosità ricordo Chiara Corbella Petrillo che è una giovanissima mamma romana, morta a soli 28 anni per un tumore, che ha rifiutato le cure per dare la vita al figlio Francesco, e che è sepolta nel cimitero del Verano, attiguo alla Basilica di San Lorenzo, appunto. Poi ci sono preghiere o orazioni o riflessioni che spiegano un po’ questa passione per la Misericordia, questa Misericordia incarnata che unisce un po’ tutti questi Santi, tutte queste figure.

D. – Roma è una città nella quale i più grandi Santi sono passati. Ma ci sono alcune personalità meno conosciute che sono, invece, l’emblema proprio della Misericordia?

R. – Mi sono permessa di inserire in questo libro un capitolo dedicato ad Antonietta Meo, soprannominata dai familiari “Nennolina”, una bambina di appena sei anni e mezzo che è venerabile, per la quale è in corso la Causa di Beatificazione, e che era una beniamina dell’Azione Cattolica. Purtroppo è scomparsa prematuramente a causa di un sarcoma osseo. Questa bambina ci regala dei pensierini, dei bigliettini a Gesù, a Maria e anche ad alcuni Santi, in cui esprime proprio il suo amore per gli altri, anche il suo pensiero per i bambini africani, per i missionari e anche l’offerta delle sue sofferenze per il bene degli altri. Quindi mi sembrava un ritratto straordinario, facilmente raggiungibile perché la sua tomba si trova nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, molto nota – ovviamente – per le reliquie della Croce, ma poco nota per la presenza di Antonietta che proprio in quel quartiere è nata e vissuta: per questo, poi, la sua salma è stata traslata dal cimitero del Verano alla Basilica di Santa Croce.

D. – Questa pubblicazione ha anche uno scopo benefico importante, perché tutti i diritti d’autore sono devoluti in beneficienza …

R. – Sì. Questa è stata una scelta che era doverosa, nell’Anno della Misericordia. Io conosco queste quattro realtà: il Centro Astalli dei Gesuiti da moltissimi anni, la Caritas diocesana di Roma, le missioni camilliane e poi il “Progetto Ripa”, che è un progetto di accoglienza per persone in difficoltà – immigrati, poveri, persone che escono dal carcere, persone con problemi di dipendenze – promosso dalla Comunità del Terz’Ordine Francescano Secolare della parrocchia di San Francesco a Ripa. Non dobbiamo mai dimenticare che i poveri e gli immigrati sono la carne di Cristo, come Papa Francesco ci ripete in continuazione …

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Nella Chiesa e nel mondo



Birmania: frana in miniera, 99 morti e almeno cento dispersi

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È salito a quasi cento vittime il bilancio di una frana verificatasi sabato pomeriggio nei pressi di una miniera di giada nel Nord della Birmania. Secondo un ufficiale  delle squadre di soccorso almeno altre cento persone sono disperse. L’incidente è avvenuto nello stato di Kachin mentre molti minatori improvvisati rovistavano in una montagna di detriti e scarti della miniera. In queste discariche le frane infatti non sono rare e a volte molte persone rimangono sepolte vive. L’area interessata confina con la Cina ed è considerata la patria della giada di una le migliori qualità del mondo, che frutta miliardi di dollari all'anno. Denaro che per la maggiora parte va a individui e aziende legate agli ex governanti militari birmani. Tuttavia la città di Hpakant, epicentro del boom di giada in Birmania, rimane uno dei luoghi più poveri del Paese. (M.G.)

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Appello vescovi Usa: non chiudere porte ai rifugiati siriani

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I vescovi degli Stati Uniti chiedono di non chiudere le porte ai rifugiati siriani che cercano asilo nel Paese dopo le stragi di Parigi. Da Baltimora, dove si sono riuniti questa settimana per la loro sessione autunnale, i presuli hanno espresso ferma condanna per gli attentati e condoglianze per le vittime, ma anche preoccupazione per le reazioni di alcuni esponenti politici che hanno chiesto la chiusura delle frontiere ai rifugiati dalla Siria, dopo la notizia del ritrovamento di un passaporto siriano accanto al corpo di uno degli attentatori.

I rifugiati siriani fuggono essi stessi dal terrorismo dell’Is
“Questi rifugiati fuggono essi stessi dal terrorismo e dalla medesima violenza che ha colpito Parigi”, ha dichiarato a nome della Conferenza episcopale Usa il presidente della Commissione episcopale per i migranti, mons. Eusebio Elizondo. “Si tratta di famiglie estremamente vulnerabili, di donne e bambini che partono per salvare le proprie vite. Non possiamo e non dobbiamo considerarli colpevoli per gli atti di un’organizzazione terroristica”.

Non fare di tutti i rifugiati un capro espiatorio
Nella dichiarazione mons. Elizondo ricorda che le procedure per entrare negli Stati Uniti sono già molto rigide e complesse e che si possono eventualmente prevedere misure aggiuntive, ma non rifiutare l’accoglienza a queste persone in difficoltà. Di qui l’invito alle autorità  ad “intervenire per porre fine pacificamente al conflitto siriano e perché i quattro milioni di rifugiati possano fare rientro nel loro Paese e ricostruire le loro case”, invece “di usare questa tragedia per fare di tutti i rifugiati un capro espiatorio”. Una “grande nazione” come gli Stati Uniti, conclude quindi la nota, deve “dare prova di leadership per condurre altri Stati a proteggere persone in pericolo e mettere fine ai conflitti in Medio Oriente”.

Rifiutare di accogliere lo straniero aiuta i nostri nemici
Dello stesso tenore le considerazioni esposte in un post del Catholic Relief Services (Crs), l’agenzia caritativa dei vescovi per gli aiuti ai Paesi d’oltre-mare, che spiega in cinque punti le ragioni per non “punire” i rifugiati siriani per gli attacchi di Parigi. “Anche se le preoccupazioni per la sicurezza sono legittime – si legge, tra l’altro, nel post – i leader e i politici devono capire che rifiutare di accogliere lo straniero e non lavorare insieme per la soluzione della crisi dei rifugiati serve solo ad aiutare i nostri nemici”. (L.Z.)

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Egitto: al via ultima fase delle elezioni parlamentari

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Urne aperte in Egitto domenica e lunedì per la seconda e ultima tornata di voto per il rinnovo dell'Assemblea nazionale, sciolta nel 2012 e mai più eletta. Più di 28 milioni di elettori saranno chiamati a scegliere i nuovi parlamentari in 13 governatorati, tra cui la capitale, il Delta del Nilo, il Canale di Suez e la Penisola del Sinai. Quasi 2.900 candidati indipendenti correranno per i 222 seggi loro riservati mentre ai partiti politici ne spettano 120, la metà dei quali sono stati già attribuiti nella prima tornata di votazioni avvenuta il 18 e 19 ottobre e che ha registrato la vittoria della coalizione 'Per amore dell'Egitto', vicina al presidente Abdel Fatah Al Sisi. I ballottaggi si terranno l'1 e 2 dicembre mentre l'Assemblea Nazionale dovrebbe essere costituita tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016. (M.G.)

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Delegazione cattolica e protestante svizzera in Libano

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La Conferenza episcopale svizzera (Ces) e la Federazione delle Chiese protestanti di Svizzera invieranno una loro delegazione comune in Libano per esprimere solidarietà alle comunità cristiane locali per il loro impegno a favore della libertà religiosa e i diritti umani. A guidare la delegazione delle Chiese saranno il presidente dei vescovi svizzeri, mons. Markus Büchel e il presidente della Federazione delle Chiese protestanti svizzere, il pastore  Gottfried Locher. Dal 23 al 27 novembre - riferisce l’agenzia Sir - la delegazione svizzera incontrerà rappresentanti di numerose comunità cristiane e non cristiane e renderanno visita alle opere in favore dei rifugiati sostenute dalla Svizzera. Altro scopo del viaggio – si legge in un comunicato – è il lancio di un appello comune della Conferenza episcopale e della Federazione protestante per chiedere la fine delle guerre civili e delle persecuzioni in Medio Oriente e il rispetto della libertà religiosa di tutte le comunità. Una pace duratura e  il futuro di una società multiculturale non sono possibili senza il rispetto della libertà religiosa”.

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Black out in Crimea: abbattuti tralicci in Ucraina

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In Crimea è stato dichiarato lo stato di emergenza dopo che questa notte sono stati fatti saltare in aria due tralicci dell'alta tensione, lasciando al buio l’interna penisola. Si sospetta un'azione dei nazionalisti ucraini di Pravy Sector. Secondo la testata russa Tass, le torri di trasmissione elettriche abbattute si trovano nella vicina regione ucraina di Kherson; nella zona, aggiunge il sito, in precedenza c'erano stati disordini con i gruppi paramilitari ucraini.

Le autorità della Crimea, annessa da Mosca nel marzo del 2014 dopo un referendum giudicato irregolare dalla comunità internazionale, hanno cercato di collegare ospedali e strutture vitali ai generatori e alle riserve di elettricità. Il ministero dell'energia regionale ha creato un centro di emergenza per affrontare la situazione.(M.G.)

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Chiesa polacca in festa per i 1050 anni dell'evangelizzazione

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“1050 anni fa sul suolo polacco venne eretta la prima croce come segno di vittoria sul peccato e sulla morte”. Lo scrivono i vescovi polacchi in un messaggio in vista dell’anniversario della cristianizzazione del Paese decisa dal principe Mieszko I dei Polani nel 966. Rammentando che il cristianesimo permise alla Polonia di aderire al “mondo della cultura latina” e alla “comunità dei popoli cristiani”, i presuli – riporta l’agenzia Sir - rilevano l’importanza delle celebrazioni del Millennio del cristianesimo in Polonia nel 1966 che “resero possibile il Pontificato di san Giovanni Paolo II, il movimento Solidarnosc e la riconquista della sovranità nazionale nel 1989”.

L’anniversario celebrato nell’ambito dell’Anno Santo della Misericordia
“L’esperienza della fede fu tradotta negli atteggiamenti morali, visibili anche nella sfera economica, politica e culturale”, scrivono i vescovi annoverando fra i frutti del cristianesimo polacco “l’adesione alla comunità delle nazioni d’Europa”. Il messaggio, che verrà letto nelle chiese in Polonia questa domenica, pone l’accento sul fatto che il 1050.mo anniversario del cristianesimo nel Paese sarà celebrato nell’ambito dell’Anno Santo della Misericordia e anticipa l’atto di sottomissione dell’intera nazione polacca a Cristo Re dell’Universo, che verrà celebrato il 19 novembre del 2016 nel Santuario di Lagiewniki a Cracovia. I vescovi auspicano che l’anno dell’anniversario diventi “tempo per rinforzare il legame con la Madonna, Madre della Chiesa e nostra Madre” e “tempo di gioiosa speranza per i giovani che incontreranno Papa Francesco alla Gmg di Cracovia”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 326

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.