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Sommario del 24/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Kenya. L'attesa di Francesco, il "Papa dei poveri"

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Giustizia, unità nazionale, lotta alla corruzione, rispetto per l’ambiente, dialogo tra le religioni. Sono le parole che più spesso ricorrono a proposito dell’ormai imminente visita del Papa in Kenya. Francesco arriverà a Nairobi domani sera per ripartire venerdì pomeriggio alla volta dell’Uganda. “Siate forti nella fede, non abbiate paura”  è l’incoraggiamento che il Papa rivolgerà alla Chiesa che vive in Kenya. Il servizio di Adriana Masotti

Sarà la prima volta di Papa Francesco in Africa e il suo primo impatto con un continente che gli sta particolarmente a cuore sarà il Kenya. Il Papa l’aveva annunciato da subito: ”Le mie priorità sono l’Africa e l’Asia”.  E alla vigilia del suo arrivo Francesco dice con chiarezza al popolo che lo attende con grande entusiasmo quale vuol essere il significato della sua visita: “Io vengo per proclamare l’amore di Gesù Cristo e il Suo messaggio di riconciliazione, perdono e pace”, in  un tempo difficile, segnato da tensioni e divisioni  “in cui i fedeli di tutte le religioni e le persone di buona volontà sono chiamate a promuovere la comprensione e il rispetto reciproci”. Papa Francesco arriva nel Paese e ha promesso di portare un messaggio di speranza per tutti: scrive il quotidiano “Daily Nation” .  Ed è questo ciò che i vescovi locali avevano auspicato in più occasioni.

“Il Papa dei poveri”
“La visita del Papa, hanno scritto, aiuterà a rafforzare la coesione nazionale minacciata dal terrorismo, dalla corruzione”, da politiche che non guardano al bene di tutto il popolo. “Continuiamo a invitare i Keniani a cercare la pace e la tolleranza”, scrivono a poche ore dall’arrivo del Papa. Francesco è un papa molto amato in Kenya. La gente lo chiama “il Papa dei poveri” e apprezza il suo stile di vita. Un sondaggio recente dice che Francesco è ammirato dai cattolici e dai non cattolici grazie al suo ottimismo, all’umiltà e alla sua volontà di non escludere nessuno. Il sondaggio rivela che i keniani vorrebbero sentirgli parlare di coesistenza pacifica, di buon governo e di diritti umani, di giustizia sociale e contro la corruzione vera piaga del Paese. Tanto che proprio sui quotidiani di oggi si dà conto delle nuove forti misure che il governo ha appena varato per contrastarla. Il presidente, Uhuru Keniatta, ha annunciato che le aziende che vorranno fare affari con lo Stato dovranno sottoscrivere un codice di comportamento etico e che le banche coinvolte nel riciclaggio di denaro saranno chiuse.

Nello slum di Kangemi
“Karibu Kenya” ,” Benvenuto in Kenya” si legge su qualche cartellone con la foto del Papa, esposto in città. Sette i discorsi che il Papa pronuncerà in un giorno e mezzo di permanenza, in inglese, spagnolo e  italiano. I momenti centrali della visita saranno: giovedì  l’incontro con i rappresentanti delle chiese cristiane e i leader delle altre religioni, la messa per tutti i fedeli al Campus dell’Università a cui seguirà l’incontro con il clero e con le religiose e i religiosi  e la visita al quartier generale delle Nazioni Unite. Venerdì, invece, il momento dedicato ai giovani, “la nostra più promettente speranza per un futuro di solidarietà, pace e progresso”, li ha definiti, ma prima il Papa incontrerà chi fa più fatica a vivere. I poveri residenti a Kangemi, uno degli slum di Nairobi. Benché il Paese sia in forte espansione, ancora solo il 30% della popolazione ha accesso ai servizi sociali e il 62% all’acqua potabile.

Aspettando in preghiera
Forte l’apparato di sicurezza predisposto per questi giorni: troppo viva ancora la ferita provocata dalla strage di studenti  cristiani avvenuta nell’aprile scorso all’Università di Garissa con 150 morti ad opera degli estremisti islamici al-Shabab  e l’attacco ad un centro commerciale nel settembre 2013. Migliaia di persone si stanno mettendo in viaggio verso Nairobi da tutte le diocesi del Paese, mentre i cattolici della capitale stasera si ritrovano nello rispettive parrocchie per una preghiera speciale in preparazione alla visita del Papa.

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Kenya, vescovo di Muranga: a Nairobi gente da tutto il Paese

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In attesa dell'ormai imminente arrivo in Kenya del Papa, molti sono gli appelli all’unità della nazione e alla tolleranza che, in preparazione all’arrivo del Papa, i vescovi locali hanno rivolto alla popolazione keniana. Le parole di mons. James Wainaina Kungu, vescovo della diocesi di Muranga, al microfono dell'inviata, Adriana Masotti

R. – Sì, siamo molto, molto contenti che il Papa abbia accettato di venire in Kenya, perché questo rafforzerà la fede della nostra gente, dei nostri cristiani. Tanta gente si sta preparando. Abbiamo tenuto già un congresso eucaristico: non a Nairobi ma in un’altra diocesi che è 150 km da Nairobi. Tanta gente si sta preparando per questa visita.

D. – Quindi, voi pensate che le persone arriveranno anche da lontano per partecipare alla Messa…

R. – Sì, è quello che noi ci aspettiamo, che tanta gente venga da tutti gli angoli del Paese.

D. – Qual è la situazione della Chiesa cattolica adesso, in Kenya?

R. – Diciamo che la Chiesa è sempre cresciuta bene, nel nostro Paese. Comunque, abbiamo delle sfide che vengono anche da altre Chiese che cercano di toglierci i nostri cristiani, quella è una sfida. Poi, ci sono le sfide della povertà: la Chiesa sta facendo il possibile per aiutare i poveri, cerchiamo di aiutare tutti per quanto riguarda la povertà.

D. – E ce n’è molta? E’ molto diffusa, o man mano c’è un certo sviluppo nel Paese?

R. – Dipende dai luoghi. In alcuni posti la gente è più povera, in altri si vede che la gente vive abbastanza bene. Lo sviluppo va dai centri, come le grandi città – Nairobi, Mumbasa – e poi lentamente ai paesi vicini. Adesso, si osserva tanta gente lasciare le campagne per andare in città…

D. – Si spostano in cerca di lavoro?

R. – In cerca di lavoro, alla ricerca di una vita migliore rispetto a quella che si vive nelle campagne.

D. – Nel programma della visita del Papa ci sarà anche una tappa in un quartiere povero di Nairobi, in una baraccopoli…

R. – Sì, il Papa ha voluto, nel programmare la sua visita, che ci fosse una visita anche in un posto così.

D. – Un altro momento importante sarà l’incontro interreligioso ed ecumenico. Qual è il rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e le altre religioni, in particolare l’islam?

R. – Con le altre religioni, come per esempio l’islam, tra i responsabili c’è accordo, si parlano, a volte si incontrano per fare qualcosa, per arrivare a una convivenza. Tra le persone del popolo non c’è questa capacità di comprendersi. Ci sono delle zone dove i cristiani sono trattati molto male dai musulmani: li trattano come schiavi, proprio come schiavi. Comunque sia, quelli che fanno questo “terrorismo” dicono chiaramente che vogliono fare male ai cristiani. Infatti, scelgono i cristiani, li uccidono e lasciano andare gli altri, i musulmani.

D. – Parlando proprio di questo, delle minacce, anche da parte del gruppo di al Shabaab che è presente in Kenya: vi sentite sicuri per quanto riguarda il Papa? Cosa state facendo per garantire la sicurezza?

R. – La visita del Santo Padre è anche una visita di Stato, quindi non è la Chiesa soltanto che accoglie il Santo Padre. Questo significa che lo Stato ha un suo meccanismo per garantire la sicurezza al Papa. Anche perché è una persona particolare e va in luoghi che sono preparati per riceverlo: per questo si può dare la sicurezza richiesta. Noi siamo tranquilli, siamo tranquilli. Io credo non ci sarà alcuna violenza durante la sua visita.

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Francesco in Africa. Le tappe in Uganda e Centrafrica

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Il soggiorno kenyano dell’11.mo viaggio apostolico di Francesco si concluderà nel pomeriggio del 27 novembre, quando il volo papale atterrerà dopo un breve volo allo scalo di Entebbe, in Uganda. Due giorni e poi l’ultima frazione della visita a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Alessandro De Carolis ricorda in questo servizio alcuni dei momenti salienti che caratterizzeranno queste due tappe: 

Una Porta Santa aperta anzitempo, quasi una corsia preferenziale perché il dono della Misericordia attiri con sé la promessa della pace. Come per ogni viaggio apostolico, i media individuano l’evento catalizzatore, quello che del viaggio diventerà l’icona da conservare in memoria e perpetuare nei racconti a posteriori. Uno di questi istanti-fulcro sarà certamente l’apertura della Porta Santa della cattedrale di Bangui, capitale martoriata della Repubblica Centrafricana. L’avvio “de facto” del Giubileo che nel resto del mondo si inaugurerà il giorno dell’Immacolata. Una porta che lascia filtrare la luce della speranza sulle macerie che da anni si accumulano in un Paese che non riesce a trovare il bandolo della concordia interna.

I martiri ugandesi
Francesco atterrerà tra i “suoi” poveri, in un aeroporto più abituato a essere una città-tendopoli di profughi che scalo internazionale, con le sue strisce d’asfalto spolverate ovunque di terra rossa e brulicanti di gente aggrappata alla vita. “Vengo a portare la pace”, ha ripetuto il Papa in questi giorni e il messaggio che ripeterà a ogni passaggio del suo breve soggiorno centrafricano sarà eco in arrivo dalla tappa precedente, in Uganda. Qui, ogni passo di Francesco sarà all’ombra dei martiri ugandesi, un antico germe cristiano scaturito vicino alle sorgenti del Nilo che, al pari delle acque del grande fiume, ha prodotto in 130 anni un limo fertile di presenza ecclesiale, non solo per il Paese guidato da Museveni ma anche per gli Stati circostanti dove il sacrificio di Carlo Lwanga e dei suoi compagni ha lasciato una testimonianza che attraversa le generazioni.

Pace lungo l'Equatore
Per Papa Francesco, un viaggio lungo l’Equatore, ricordando Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II, il Papa “africano”, con nel cuore e sulle labbra un appello a quel valore di pace che neanche più nel Vecchio continente è garantito dall’anagrafe di democrazie che si ritenevano stabili e dunque solide, ma dalla capacità di riscoprire in quel valore una nuova strada, come chiede Francesco, di fraternità.

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Centrafrica. Mons. Coppola: è "la visita di un uomo di Dio"

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Anche nella Repubblica Centrafricana, ultima tappa del viaggio del Papa in Africa, cresce l’attesa per l’incontro con Papa Francesco. Forte l’emozione per le parole di pace che il Santo Padre ha rivolto in un videomessaggio alla popolazione duramente colpita dalla povertà e da tre anni di guerra civile. Con quali sentimenti è stato accolto il saluto del Papa? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Franco Coppola, nunzio apostolico in Centrafrica, raggiunto telefonicamente nella capitale Bangui: 

R. – Con grande gioia, con grande emozione. Ho avuto la possibilità di sperimentarlo, perché il videomessaggio è stato prima di tutto proiettato nella sala dove si riuniva il Comitato di preparazione della visita, un comitato misto della Chiesa e del governo. C’erano anche dei ministri che vi prendevano parte. Ed è stato straordinario vedere gli occhi lucidi delle persone che stavano lì. Questa visita è stata accompagnata da tante voci di preoccupazione, da tante persone che sconsigliavano al Pontefice di venire in Centrafrica. E allora per la gente sentire che il Papa conferma questa sua volontà e che li saluta dicendo “à bientôt”, a presto, ha fatto sentire loro che stavolta era vero. La gente si è veramente commossa ed emozionata.

D. – Quali sono oggi i dolori del Centrafrica?

R. – Il Centrafrica resta un Paese attraversato da grandi problemi. Tre anni di guerra civile significano la presenza di problemi reali, importanti. Solo che finora la gente non ha trovato di meglio che rispondere alla violenza con la vendetta, aumentando quindi sempre più il carico di questi dolori, di queste sofferenze, di queste rivendicazioni, gli uni contro gli altri. Quello che tutti sperano è che la venuta del Papa dia prima di tutto un attimo di tregua, che faccia desiderare nuovamente – in effetti la popolazione già la desidera, ma crede che sia una cosa impossibile – la pace. La popolazione vede, però, nella visita del Papa, nella visita di un uomo di Dio come lui, di una persona di pace, di una persona vicina ai poveri. Vede proprio una speranza concreta di ricevere da questo incontro la forza per voltare pagina, per non ricadere nel ciclo della vendetta, della violenza, sapendo prendere un’altra strada.

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Papa visita lo Ior, Gian Franco Mammì nuovo direttore generale

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Una visita per un breve saluto e comunicare di persona la notizia di una novità al vertice della struttura. È quella che stamattina ha compiuto il Papa nella sede dell’Istituto per le Opere di Religione. Francesco è giunto allo Ior verso le 10.30 e si è intrattenuto con il Consiglio di Sovrintendenza per una ventina di minuti, comunicando la nomina del nuovo direttore generale – il dott. Gian Franco Mammì – che sarà coadiuvato dal dott. Giulio Mattietti, in attesa della scelta di un nuovo vicedirettore.

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Nomine episcopali di Papa Francesco in Usa e Inghilterra

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Negli Usa, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato Personale The Chair of Saint Peter, presentata dal rev.do mons. Jeffrey N. Steenson, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato vescovo ordinario dell’Ordinariato Personale The Chair of Saint Peter il rev.do mons. Steven Joseph Lopes, del clero dell’arcidiocesi di San Francisco, finora addetto di Segreteria della Congregazione per la Dottrina della Fede.

In Inghilterra, il Santo Padre ha nominato vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di Westminster il rev.do Canonico Paul McAleenan, del clero dell’arcidiocesi di Westminster, parroco di Holy Rood, Watford, e il rev.do mons. John Wilson, del clero della diocesi di Leeds, parroco di St Martin de Porres e St Austin’s, Wakefield, assegnando loro rispettivamente le sedi titolari vescovili di Mercia e Lindisfarna.

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Vaticano, processo per appropriazione e divulgazione di documenti riservati

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Si è aperto alle 10.34 in Vaticano il processo nei confronti dei cinque imputati per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Un’udienza durata un’ora e 10 minuti. Gli accusati tutti presenti. in aula insieme a mons. Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio anche i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. Non era presente invece la parte lesa nella persona del cardinale Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Sarà un processo a tappe scandite, infatti da lunedì prossimo alle 9.30, data in cui inizieranno gli interrogatori, tutti i giorni si terranno udienze se necessario anche con prosecuzione pomeridiana. Oggi, la costituzione delle parti e la presentazione delle eccezioni preliminari.

Respinte le eccezioni preliminari
Tutte respinte sia quella del legale di mons. Vallejo Balda, di avere più tempo per studiare le carte processuali, sia quella relativa alla nullità del capo d’accusa sollevata da Fittipaldi. Il giornalista ha letto davanti al Tribunale presieduto dal prof. Giuseppe Dalla Torre un comunicato in cui ha mostrato “incredulità” nel trovarsi “imputato presso un’Autorità Giudiziaria diversa da quella del” suo “Paese”. Ha respinto le accuse secondo lui fondate e basate - ha detto - solo sul fatto di aver “pubblicato notizie”, “Il decreto di citazione - ha anche aggiunto - non mi consente di difendermi perché non contiene la descrizione del fatto che mi viene addebitato”. Accuse “astratte” insomma che secondo l’avvocato Musso, legale di Fittipaldi, avrebbero dovuto portare alla nullità del capo d’imputazione.

Accuse riguardano l'acquisizione non la pubblicazione
Tesi
questa respinta con chiarezza dall’ufficio del Promotore di Giustizia prima e dal Tribunale poi, secondo il quale è “chiara l’enunciazione del fatto”, “i documenti” relativi agli illeciti “sono quelli presenti nei libri” "Avarizia" e "Via Crucis" e che "soprattutto - ha precisato il Promotore aggiunto, prof. Avv. Roberto Zannotti - non si contesta la pubblicazione di notizie o la diffamazione, ma il modo in cui sono stati acquisiti i documenti”. "Non si intende conculcare la libertà di stampa - spiega Zanotti citato anche nel comunicato della Sala Stampa Vaticana -  l’imputato è chiamato a rispondere della condotta dell’attività svolta per ottenere le notizie e i documenti pubblicati e che ciò era indicato nel capo di imputazione".

Richiesta di difensori di fiducia
Mons. Vallejo Balda, Chaouqui e Nuzzi hanno chiesto l’affiancamento di due difensori di fiducia, ma la risposta non si è avuta in udienza a causa dell’assenza del presidente della Corte d’appello. 

Memorie difensive entro il 28
Il tempo per poter depositare documenti per la difesa invece scade sabato 28. Palando con i giornalisti, Nuzzi e Fittipaldi non hanno nascosto lo stupore per il procedimento in Vaticano. Nuzzi in particolare, riferendosi alle lungaggini della giustizia italiana, ha detto che quella vaticana è “fin troppo veloce”. Mons. Balda dal canto suo ha ribadito di essere in buone condizioni di salute e ha confermato l’attuale stato di arresto nella caserma in Vaticano.

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Cortile degli Studenti. Card. Ravasi: tornare ai grandi autori latini

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Le ragioni per cui vale ancora la pena studiare il latino sono state al centro del “Cortile degli studenti” - emanazione del Cortile dei Gentili, la Fondazione che promuove il dialogo tra credenti e non credenti - che si è svolto ieri a Roma, nella sede del MAXXI (Museo delle Arti del Ventunesimo Secolo). Antonella Palermo ha seguito l’incontro a cui hanno partecipato classi di varie scuole superiori della capitale: 

Il latino lingua sintetica, chiara, efficace, perciò viva, a discapito di quanto si potrebbe pensare. Alcuni studenti romani hanno detto la loro sull’utilità di questa lingua oggi:

R. - “Credo per capire meglio l’italiano che parliamo oggi”.

R. - “Anche per aprire la mente, ti insegna a ragionare”.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha simpaticamente interagito con gli studenti verificando la loro preparazione su alcune questioni latine di uso comune. Poi ha citato Antonio Gramsci: “Si impara il latino per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”, e si è soffermato su due peculiarità:

“La prima è un grande esercizio della mente che possa coniugare contemporaneamente la profondità e l’essenzialità. E la seconda quella di ritornare a questa straordinaria eredità sia classica sia cristiana che i grandi autori latini ci hanno lasciato in un tempo in cui domina l’apateismo, cioè l’indifferenza anche religiosa, la superficialità, la banalità e perfino la volgarità, ritornare a questi classici attraverso la potenza della loro lingua vuol dire anche ritrovare le ragioni dell’essere e dell’esistere”.

Il filosofo Giulio Giorello ha evidenziato il ruolo del latino come lingua non solo per il potere ma della libertà:

“E’ stata intanto la lingua di una grande rivoluzione che è la rivoluzione filosofico- scientifica su cui si fonda la nostra modernità. Galileo parla in volgare ma quando pubblica risultati tecnici usa il latino. Newton pensa addirittura in latino. Lo stesso vale per il materialismo di Thomas Hobbes. Senza Lucano non avremmo certe cose di Dante o di Shakespeare”.

Il Cortile degli studenti è stato promosso in collaborazione con la Pontificia Academia Latinitatis presieduta dal prof. Ivano Dionigi. Per lui è urgente una “ecologia linguistica”:

R. - E’ un paradosso. Nell’epoca del maximum dei mezzi di comunicazione del web, dei social, in tutto questo sciame comunicativo c’è il rischio del minimum dell’incontro e del livello più basso di comprensione. Noi non usiamo parole, usiamo vocaboli; apriamo il vocabolario e c’è un glossario morto. Le parole invece hanno una loro identità, una loro etimologia, una loro storia, una loro dignità. Bisogna essere parsimoniosi, bisogna usarle bene! Bisogna imparare i classici, il nostro latino che è mater non certa, ma certissima della nostra identità, anzitutto per parlare bene, per renderci conto delle parole. Il problema dei nostri ragazzi quando arrivano all’università non è solo che non sanno il latino, il problema è che non sanno l’italiano; la scuola, la modernità, deve essere non corriva, ma il contraltare.

D. - E’ un problema non solo culturale ma civile…

R. – E’ un problema civile oggi. Abbiamo oscillato tra il grammaticalismo e la chiacchiera letteraria: c’è mancato il rigore.

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Pubblicato il “Vocabolario” di Francesco. Parolin: sue parole abbracciano

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Le parole di Papa Francesco “aprono, abbracciano, facilitano. Aiutano a sollevare lo sguardo da se stessi”. E’ quanto scrive il card. Pietro Parolin nella prefazione del volume “Il Vocabolario di Papa Francesco”, curato dal salesiano Antonio Carriero e pubblicato da “Elledici”, nelle librerie da questa settimana. “L’unica vera strategia di comunicazione di Francesco – prosegue il porporato – è l’adesione fiduciosa e serena al Vangelo”. Per il card. Parolin, “il parlare di Bergoglio” è un sermo humilis capace di parlare a tutti. Nel suo linguaggio, soggiunge, c’è “la sapienza del porgere contenuti alti”, “facendo uso di un lessico e di immagini che traggono la loro forza dalla vicinanza con la vita quotidiana”. E annota che Francesco “mette l’interlocutore, chiunque sia, in una condizione di parità e non di distanza”. Il volume che, oltre alla prefazione del card. Parolin, propone anche due introduzioni, del card. Gianfranco Ravasi e di padre Antonio Spadaro e la postfazione di mons. Nunzio Galantino, raccoglie i contributi di 50 giornalisti e scrittori che hanno, ciascuno, esplorato e approfondito uno dei “vocaboli viventi” di Papa Francesco. Su come sia nata l’idea di realizzare questo volume, Alessandro Gisotti  ha intervistato il curatore Antonio Carriero

R. – Nasce per aiutare il lettore a comprendere meglio il pensiero di Francesco, facilitandogli il compito di tradurlo nella vita di tutti i giorni. Non c’è stato un momento preciso in cui abbia deciso di curare “Il Vocabolario”, ma ho sentito – in diverse occasioni – l’urgenza di uno strumento che aiutasse credenti e non credenti a confrontarsi con più calma con le parole del suo Pontificato. Per questo lavoro non potevo assolutamente contare sulle mie sole forze: ho convocato perciò 50 figure diverse, tra giornalisti e scrittori, perché ognuno di essi approfondisse una parola a scelta del vasto lessico di Bergoglio. Questo “vocabolario” è stato pubblicato  dall’Editrice Elledici volutamente alla vigilia del Giubileo, proprio perché accompagni i lettori durante l’Anno Santo. Naturalmente questo libro è un “cantiere aperto”: finché Papa Francesco sarà Vescovo di Roma dovremo aspettarci che tutte le 50 parole raccolte ritorneranno numerosissime altre volte nei suoi interventi, conferendogli nuove sfumature, cambiando location e destinatari.

D. – 50 parole che sono esplorate e indagate da 50 diversi giornalisti, scrittori, personalità che quotidianamente incontrano la parola di Papa Francesco. C’è, però, un filo comune, un tema che si può ritrovare attraverso le pagine del “Vocabolario”?

R. – Il Papa usa un linguaggio feriale, come “Buongiorno”, “Buonasera” o “Per favore, pregate per me”, che può essere la preghiera che esprime un ammalato quando lo si visita; oppure Francesco che va in città a comprarsi un nuovo paio di occhiali, senza avvisare nessuno…  Questo è il linguaggio feriale, quotidiano; un lessico della persona, come può essere quello di una casalinga o di un impiegato.  Ciò che lega tutte le 50 parole del Vocabolario è proprio questo stile di chi la Chiesa l’ha vista dal punto di vista della 'periferia'. Ecco allora che “misericordia”, “mondanità”, “scarto”, “uscita”, “ultimi” - insieme a tutte le altre – evidenziano l’esperienza di Bergoglio a Buenos Aires, come ha vissuto là il Vangelo. Questo stile ci fa del bene e fa bene a chi ci ascolta, perché ci rende comprensibili a tutti.

D. – La parola e le parole di Papa Francesco hanno una particolare attrazione sui giovani e vengono veicolate anche nei social network: una cosa che colpisce pensando che Jorge Mario Bergoglio ha sempre confidato di non essere avvezzo alle nuove tecnologie e ad Internet in particolare. Come è possibile questo successo?

R. – Partiamo da ciò che i giovani apprezzano: la semplicità, la schiettezza, più i fatti che le parole. Tutti aspetti che si possono riscontrare in Papa Francesco. Questo suo modo diretto e la semplicità del linguaggio rendono Bergoglio familiare non solo agli adulti, ma soprattutto alle nuove generazioni. I giovani cercano dei buoni testimoni, persone coerenti, che sappiano tradurre quello che predicano con i fatti.  Su Facebook - come in altri social - Francesco è una presenza molto sentita e direi condivisa secondo la modalità propria del network: quindi le sue foto, persone che abbraccia, che carezza; sorride, pensa, bacia un bambino; come anche le sue parole appunto! Francesco, attraverso degli esempi concreti, richiama alla memoria situazioni già vissute. I ragazzi su Facebook raramente condividono frasi, immagini o video che non c’entrino con la loro esperienza, con quello che hanno già vissuto o sperimentato. E’ questo che piace ai giovani. Francesco più che rendere contemporaneo il Vangelo, riesce a tradurlo nella vita di oggi ricorrendo ad esempi concreti. E ai ragazzi questo piace molto.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, nel contesto della visita del Papa in Africa, dal 25 al 30 novembre, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Il racconto di Ilaria".

Parole semplici, concetti profondi: la presentazione del cardinale segretario di Stato al volume "Il vocabolario di Papa Francesco",  e parte del contributo di Gaetano Vallini.

Quelli del '65: Jorge Milia e gli alunni di padre Bergoglio alla Inmaculada Concepción.

Quei tesori sorprendenti: Ezio Bolis illustra lo Zibaldone di Angelo Giuseppe Roncalli.

Testimonianza di un dramma: Paolo Vian su Louis Duchesne - che Paolo VI definiva severo e geniale - fra ricerca storica e modernismo.

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Oggi in Primo Piano



Ancora massima allerta a Bruxelles. Senza esito le ricerche di Salah

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In Francia e in Belgio resta altissima l’allerta sulla scia dei fatti di Parigi e Bruxelles, mentre resta introvabile il super ricercato Salah Abdeslam. Il Presidente francese Hollande cerca sostegno tra gli alleati Occidentali nella lotta al sedicente Stato Islamico e intanto partono i raid sulla Siria dalla portaerei Charles De Gaulle. Il servizio di Marco Guerra: 

A Bruxelles l'allerta resterà al massimo livello, il quarto, fino a lunedì prossimo. Domani però riapriranno le scuole e le metropolitane. Rilasciate intanto 17 delle 21 persone fermate nel blitz a Moleenbeck, mentre resta ancora introvabile il super ricercato Salah  Abdeslam. Massina allerta anche in Francia: una cintura esplosiva è stata trovata ieri nella periferia meridionale di Parigi. Secondo la polizia sarebbe simile a quelle utilizzate negli attentati del 13 novembre. Nel frattempo Hollande cerca appoggi nella lotta all’Is. Ieri Cameron ha messo a disposizione la base britannica di Cipro. Il Presidente francese incontrerà poi nell’ordine Obama, Merkel, Renzi e Putin. E intanto Londra avverte che l’Is potrebbe procurarsi “componenti radiologiche” per ordigni nucleari 'sporchi'. E sul terreno in Siria si registrano i primi bombardamenti di aerei francesi partiti dalla portaerei De Gaulle in navigazione nel Mediterraneo.  Raid che si sono concentrati sulle postazioni dello Stato islamico a Ramadi e Mosul. Ma è alta tensione sui cieli fra la Siria e la Turchia dopo che caccia F16 di Ankara hanno abbattuto un jet russo, responsabile secondo i turchi di aver violato il loro spazio aereo.

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Turchia abbatte jet russo in Siria. Tensione tra Ankara e Mosca

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È morto uno dei due piloti del jet russo abbattuto stamani dall’aviazione turca al confine con la Siria. L'altro sarebbe in mano ai ribelli turcomanni anti-Assad, che da terra avrebbero aperto il fuoco sui due. I piloti si erano paracadutati dal velivolo colpito perché, secondo Ankara, avrebbe violato lo spazio aereo, sconfinando in Turchia e ignorando ripetuti avvertimenti. Tesi questa negata da Mosca, che parla di un incidente “molto serio” provocato non da caccia ma da artiglieria terrestre: il Presidente Vladimir Puti ha definito l’abbattimento del velivolo un “colpo alla schiena” da parte turca. Elicotteri militari russi stanno perlustrando ora la zona di Latakia, dov’è precipitato il jet. Al momento rimane confermata la visita ad Ankara del ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, fissata per domani. Le autorità turche – che hanno convocato l'ambasciatore russo - hanno intanto chiesto consultazioni sulla situazione al confine turco-siriano con Nato e Onu. Giada Aquilino ne ha parlato con Maurizio Molinari, corrispondente da Gerusalemme del quotidiano La Stampa e profondo conoscitore dell’area: 

R. – Il rischio è che la contrapposizione fra Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin sul futuro della Siria degeneri in una guerra fra Stati. Al momento la Turchia e la Russia sono portatori di progetti contrapposti sul futuro della Siria, che si riflettono a sostegno di parti in lotta nella guerra civile siriana. Putin sostiene il regime di Assad, nella convinzione che sia l’unico a poter dare stabilità alla Siria nel lungo termine e con l’ambizione di restituire alla Russia un ruolo di protagonista in tutto il Medio Oriente. Erdogan vuole, invece, il rovesciamento di Assad in Siria, per trasformare la Siria in una provincia sunnita sotto l’influenza diretta della Turchia. Ma anche Erdogan ha un disegno regionale: vede la Turchia nel ruolo di potenza neo-ottomana garante di stabilità e sostanzialmente in sostituzione degli Stati arabi in via di frantumazione. Quindi entrambe le nazioni – la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin – stanno sfruttando la crisi siriana, puntando a diventare potenze egemoni in Medio Oriente.

D. – In questa situazione, qual è il quadro dell’attacco in Siria che avviene su più fronti?

R. – La Russia e la Turchia sostengono le opposte parti nella battaglia di Aleppo, che è la battaglia più importante che si sta svolgendo nel nord-ovest della Siria. I raid russi tendono ad aprire la strada a forze di terra siriane, iraniane e hezbollah, che vogliono raggiungere Aleppo, divisa la momento a metà fra le forze del regime e i ribelli. I russi vogliono la conquista o la liberazione di Aleppo, perché ritengono che i ribelli anti-Assad ricevano la maggioranza dei rifornimenti dal sud della Turchia. La Turchia, da parte sua, ha contribuito a creare, assieme all’Arabia Saudita, la coalizione di forze ribelli “Jaish al-Fatah-Esercito della conquista”, che è al momento la coalizione ribelle più efficace contro le truppe di Assad, che punta a conquistare l’intera città di Aleppo, l’intera provincia di Idlib, per creare un cuneo territoriale fra la costa alawita e la città di Damasco.

D. – Proprio in relazione alla vicenda del jet russo abbattuto dalla Turchia, sono state evocate consultazioni con Nato e Onu. Ma qual è il ruolo in questo momento dell’Alleanza Atlantica e delle Nazioni Unite?

R. – Queste due nazioni – Russia e Turchia - al momento stanno intervenendo sulla base di interessi e ambizioni nazionali. La Nato al suo interno ha anche la Francia, che da qualche tempo sta operando nel Mediterraneo e in Medio Oriente d’intesa con le forze russe: Putin ha dato disposizione ai propri comandanti militari di trattare le forze francesi come alleate, all’indomani del massacro di Parigi. Quindi la Nato, al momento, ha al suo interno un Paese come la Francia che opera insieme alla Russia in Siria e un Paese come la Turchia che ha appena abbattuto un aereo russo. Tutto questo ci dà la sensazione e ci fotografa la difficoltà di una crisi militare che tende a sconvolgere equilibri ai quali non siamo più abituati.

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Ai funerali di Valeria l'appello contro l'odio fondamentalista

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Migliaia di persone hanno preso parte stamattina in piazza San Marco, a Venezia, ai funerali di Stato per Valeria Solesin, la vittima italiana degli attentati in Francia del 13 novembre scorso. Una cerimonia civile alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di alte cariche istituzionali e dei rappresentanti delle tre religioni monoteistiche. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Ha attraversato il Canal Grande a bordo di una gondola listata a lutto ed è stata portata in piazza San Marco a spalla dai gondolieri di Venezia la salma di Valeria Solesin, "sole", come la chiamavano gli amici, che hanno avuto una parte importante in questa cerimonia, aperta ai ricordi e alle parole di molti. Una celebrazione introdotta dagli inni italiano e francese, voluta in forma civile perché potesse essere allargata alla testimonianza di tutte le confessioni religiose. Di fronte al composto dolore di una famiglia spezzata dalla violenza terrorista, in una città che è sempre stata ponte tra culture, così come in molti hanno ricordato anche essere la figura di Valeria, è stata ribadita la necessità di essere uniti contro l’odio e il terrore, nel rispetto delle libertà. E poi un pensiero a tutti questi giovani che come Valeria non si arrendono, lo ha dedicato il papà della ragazza, Alberto Solesin:

“Desidero inviare un pensiero a tutte le famiglie che in questo momento in Francia e un numerosi altri Paesi in Europa, e non solo, cercano, come noi, di superare il dolore per la perdita di un figlio, una figlia, un congiunto, un amico, un amore. Ringrazio i rappresentanti delle religioni: cristiana, ebraica, musulmana, presenza congiunta in questa piazza, simbolo del cammino comune degli uomini in un momento in cui il fanatismo vorrebbe nobilitare il massacro con un richiamo ai valori di una religione”.

Il primo a rivolgersi direttamente agli uomini e alle donne del terrore è stato il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia che, successivamente, ha benedetto la salma:

“Perché? Come avete potuto? La vostra cultura ci fa inorridire, ma non ci intimidisce. Ci sgomenta, perché indegna dell’uomo, ma ci fortifica nell’opporci ad essa con ogni nostra forza sul piano culturale, spirituale, umano. In nome di Dio, cambiate il vostro modo di essere. Iniziate dal cuore: abbiate questo coraggio! Sì, si tratta del coraggio di dire: ‘Abbiamo sbagliato tutto!’. E’ la dignità dell’uomo, chiedere perdono. Mai e poi mai divideremo con voi ciò che tragicamente vi appartiene: l’odio. In alcun modo vi concederemo tale vittoria, Valeria non lo vorrebbe. Non riuscirete a portarci a odiare: sarebbe la vostra vittoria, sarebbe la nostra sconfitta!”.

Nessuna parola di rabbia è trapelata dalle voci che si sono susseguite, ma di tanto sgomento e dolore, degli amici e dei colleghi di Valeria, coraggiosa giovane di 28 anni, studiosa e dedita all’impegno sociale, ai quali ora in molti suoi conoscenti faranno riferimento. Di lei ha parlato il presidente francese Hollande in un messaggio letto dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che ha reso omaggio alla ragazza a nome del governo tutto, e poi le forti parole dell’imam di Venezia, Hamad Al Mohamad, quando ha chiesto ad Allah di proteggere dal male l’Europa e l’Italia. Non è nel nome dell’islam che Valeria è stata assassinata, hanno ripetuto i rappresentanti delle comunità islamiche in Italia:

“La nostra comunità vuole affermarti che ‘non’ nel nome del nostro Dio, ‘non’ in nome della nostra religione, e certamente ‘non’ nel nostro nome ti hanno assassinata, come tutte le altre vittime a Parigi e altrove nelle diverse aree del mondo. Con questi atti barbarici credevano di poterci facilmente tenere tutti chiusi con la paura e privarci della nostra serenità e della nostra libertà. Ma sbagliano, sbagliano di grosso, perché ci troveranno sempre saldi e uniti a difendere i sacri valori della vita e dell’umanità”.

“Cara Valeria, i tuoi assassini hanno voluto, con il loro gesto criminale, separarci, dividerci; ma oggi, con questa presenza di unità, i tuoi assassini criminali, anti-islam, anti ogni religione, anti-umanità, hanno fallito! Il terrorismo fatto nel nome dell’islam è un crimine contro la ‘umma’ dell’islam e contro l’umanità intera, e va sconfitto. E gli stessi musulmani devono farlo in quanto sono i primi a subire la sua devastazione”.

I giusti non muoiono mai, ha ricordato il rabbino capo di Venezia, Rav Scialom Bahbout:

“I terroristi che ti hanno uccisa sono stati fuorviati da ideologie che si propongono di uniformare il mondo alle proprie idee. Sia che essi operino in Europa, in Francia, in Belgio e nei Paesi del Medio Oriente, in Israele, in Siria, sia che operino negli altri Paesi del mondo, in Mali e in Nigeria, questi terroristi si adoperano per eliminare le persone diverse da loro. Ma non prevarranno se troveranno a contrastarli persone come te che non si lasceranno intimorire”.

L’inno alla gioia eseguito dagli ottoni del Teatro La Fenice ha accompagnato l’uscita del feretro di Valeria dalla piazza e il suo viaggio verso la sepoltura nel cimitero di San Michele.

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Roma, blitz al "Baobab". Massucci: territorio sotto controllo

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Blitz stamane delle Forze dell’ordine, nel centro di accoglienza migranti Baobab a Roma. Una sessantina tra poliziotti e carabinieri, alcuni in tenuta antisommossa e con unità cinofile, sono giunti nella struttura verso le 6.30, bloccando la strada con due mezzi blindati, perquisendo i locali e identificando gli ospiti: una quarantina quelli condotti nell’Ufficio immigrazione per controllarne l’identità. Sugli sviluppi della vicenda, Roberta Gisotti ha intervistato Roberto Massucci, capo di gabinetto della Questura di Roma: 

D. – Dott. Massucci, il blitz è stato motivato dall’allarme terrorismo? C’è stata una segnalazione? Qual è stato il risultato dell’operazione?

R. – Vorrei tranquillizzare su quest’aspetto e chiarire che quello di stamattina è stato un normale controllo di polizia, che rientra in un piano straordinario di controllo del territorio che il questore di Roma ha varato con una propria ordinanza in vista del Giubileo. Si tratta quindi di un intervento che s’inquadra in una serie di operazioni che mirano a una conoscenza del territorio più profonda di una situazione di normalità. Questo significa che ovviamente dobbiamo capire chi sono i cittadini che frequentano determinati luoghi, da dove vengono e che eventuale possibile rischio può essere collegato alla loro presenza sul territorio. L’operazione di questa mattina è andata bene. Abbiamo identificato alcune decine di persone – la totalità di loro extracomunitari di varia nazionalità – però non abbiamo trovato alcuna criticità. Quindi, è stata un’operazione normale di controllo del territorio, che non ha dato alcun esito preoccupante.

D. – I profughi in fuga dall’Is aumenteranno, ha avvertito ieri l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma c’è chi teme il venire meno dei loro diritti, anche se il prefetto Gabrielli ha assicurato che non ci saranno leggi speciali, che nulla cambierà per quanto riguardo le libertà e i diritti dei cittadini…

R. – Noi avvertiamo in questo momento storico una grande responsabilità che è fare tutto quello che noi possiamo per garantire la sicurezza dei cittadini. Ovviamente, non stiamo operando in ragione di leggi speciali, ma stiamo operando in virtù e in forza di una normale legislazione vigente, che conferisce all’autorità di pubblica sicurezza il potere-dovere di disporre misure adeguate a garantire tranquillità e ordine per i cittadini, soprattutto quando si attende un grande evento come il Giubileo.

D. – C’è un aspetto ancora poco approfondito: cosa possono fare i cittadini per collaborare con le Forze dell’ordine per prevenire atti di terrorismo ma anche per non intralciare e compromettere il loro lavoro? Vorrei anche dire che un eccesso di allarmismo potrebbe distrarre da obiettivi sensibili o anche diffondere panico…

R.  – Indubbiamente, dobbiamo evitare eccessi legati a una percezione di insicurezza, che è chiaramente comprensibile ma che non ci deve far abbandonare la via della normalità. Noi chiediamo ai cittadini italiani e, in particolare ai cittadini romani, di preservare la loro caratteristica che risiede anche nella capacità di controllo informale del territorio, quindi, ogni segnalazione che possa riguardare situazioni strane, che possa riguardare personaggi non conosciuti… Qui a Roma abbiamo una grande tradizione di quartiere. Ogni quartiere vive una propria socialità, una propria conoscenza reciproca... Questa è anche la nostra forza. Quindi, chiediamo ai cittadini di continuare a vivere in questo modo, in questo stile, aiutando le Forze dell’ordine a conoscere ciò che c’è da conoscere, evitando allarmismi perché, ripeto, le Forze dell’ordine romane stanno facendo tutto ciò che è possibile per garantire la sicurezza sul territorio della capitale.

D.  – Riguardo gli allarmismi il prefetto Gabrielli ha chiesto anche ai media di non diffondere i falsi allarmi, di non esasperare i toni…

R.  – Il ruolo dei media in tutti i grandi eventi e soprattutto in situazioni come questa è determinante. E’ ovviamente doveroso da parte del giornalismo raccontare in maniera corretta le situazioni ma ora come non mai è necessario che ogni notizia sia adeguatamente verificata e sia accompagnata da una profonda deontologia professionale, proprio per evitare di cadere in strumentalizzazioni, che possano peggiorare e deteriorare un clima di preoccupazione, che certamente è molto diffuso in questo momento.

D. – Quindi, non c’è bisogno che la stampa relazioni sui falsi allarmi, forse sarebbe meglio proprio non parlarne…

R. – O forse si potrebbe parlarne in maniera corretta, quindi sottolineare che si tratta di elementi di allarme che hanno visto un immediato intervento delle Forze dell’ordine e sottolineare più la capacità in positivo di garantire sicurezza piuttosto che l’allarme in se stesso.

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Giubileo. Card. Stella: Santuari saranno luoghi di riconciliazione

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Come nel 2000, anche per l’imminente Giubileo della Misericordia sarà possibile per i pellegrini ottenere l’indulgenza non solo nelle diocesi del mondo, ma anche nei Santuari. In Italia sono circa 1800, coordinati dal “Collegamento nazionale Santuari”, riunito in questi giorni a Roma per i 50 anni dalla sua fondazione. Ieri, l’inaugurazione dei lavori, presieduti dal cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero. Il servizio di Michele Raviart

“I Santuari sono la sentinella della Chiesa, che apre le porte e che indica che là dove c’è Dio, dove c’è la Madonna, dove ci sono i Santi, c’è posto anche per noi”. Così il cardinale Beniamino Stella ha definito questi luoghi santi, che saranno parte integrante delle celebrazioni per il Giubileo:

“Penso che sarà un contributo molto importante, fondamentale, perché i Santuari da sempre sono un po’ il rifugio di tanti penitenti. Dico rifugio, perché la gente ama andare nei Santuari: si sente bene, si distende, si consola, si corrobora e, abitualmente, questo clima interiore di serenità, di consolazione, di fiducia li predispone anche al Sacramento della Riconciliazione. Ho detto, anche in passato, che confido che i preti lavoreranno molto in questo Anno della Misericordia. E’ il lavoro più bello, più importante, dopo l’Eucaristia, quello della riconciliazione”.

I Santuari, afferma il cardinale Stella, sono infatti “avamposti della misericordia”, in cui è possibile offrire un’opportunità preziosa ai fedeli di avvicinarsi a Dio, accogliendolo e ascoltandolo. Luoghi di preghiera che sono anche “focolai di fede”, e “fonte di evangelizzazione”:

“Vorrei citare quanto il Papa ha detto, proprio giovedì scorso, alla Congregazione per il Clero: ‘Quando viene una persona qui, non si può per varie ragioni, e serie ragioni, dare l’assoluzione’. Ha detto il Papa: ‘Accoglieteli; date una benedizione; ascoltateli; che possano comprendere le ragioni per cui non si può dare l’assoluzione e che possano partire da questo incontro incoraggiati, illuminati, soprattutto consolati; che sentano che nonostante le loro difficoltà, Dio è buono, Dio li accoglie e la Chiesa è pronta a dare una benedizione che significa incoraggiarli sulla via del bene’. Il centro del messaggio evangelico – ha detto e ha ripetuto – è la Misericordia”.

Nato a pochi mesi dalla fine del Concilio Vaticano II, il “Collegamento nazionale Santuari” (Cns) si occupa di coordinare le oltre mille realtà italiane, ci spiega padre Mario Magno, rettore del Santuario di Sant'Antonio a Messina e presidente rettore del Cns:

“I Santuari sono già pronti a raccogliere le sfide di Papa Francesco, in modo particolare le sfide che vengono da questo Giubileo della Misericordia. Un Giubileo che ci interpella in prima persona e che interpella un po’ tutte le nostre comunità dei Santuari, perché possano essere momenti di accoglimento verso tutti i pellegrini fedeli, che già vivono esperienze di fede all’interno dei nostri Santuari. Siamo sicuri che in questo anno giubilare dell’Anno della Misericordia, ne giungeranno ancora di più”.

“In un momento come questo”, ha affermato ancora il cardinale Stella riferendosi alle crescenti preoccupazioni per il terrorismo, “dobbiamo andare ai Santuari come sempre e più di sempre”, anche perché non ci sono minacce reali alla sicurezza, afferma ancora padre Mario Magno:

“Non ci sono sicuramente delle minacce specifiche nei nostri Santuari, almeno a quanto ci risulta ad oggi. Siamo sereni e continuiamo a lavorare e, come ci ha detto Papa Francesco, a non  tenere le nostre porte blindate. Noi cercheremo, quindi, di tenerle quanto più aperte. Se ci sono delle difficoltà, cercheremo di creare anche sicurezza, di modo che i pellegrini che giungono si sentano al sicuro e siano protetti anche nei luoghi di culto, nei luoghi sacri, nei luoghi privilegiati per eccellenza, perché lì un mistero grande sicuramente si è rivelato”.

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Le Chiese e i siti cristiani di Nagasaki in mostra a Roma

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Una Madonnina con tratti orientali in porcellana, rosari di carta e conchiglie dove i credenti rimiravano il volto del Battista. Sono solo alcuni fra i tanti oggetti che si potranno ammirare al Palazzo della Cancelleria, a Roma, in mostra fino a domenica prossima, 29 novembre. L’esposizione nasce dalla volontà della prefettura di Nagasaki di nominare le chiese e i luoghi cristiani presenti nella città ed in tutto il Giappone nelle candidature come patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco quali segni concreti di adesione ai principi del cristianesimo. Rosy Fontana, portavoce della prefettura di Nagasaki, al microfono di Francesca Di Folco, ha spiegato il valore artistico e religioso della candidatura: 

R. – Questa candidatura, di cui si saprà la vera volontà dell’Unesco nel 2016, assume un valore molto significativo e molto importante per il Giappone e per la regione di Nagasaki, perché le valenze di questa piccola esposizione che presentiamo qui a Roma sono due. Una riguarda il patrimonio storico-artistico e l’altra riguarda invece il cuore di questa mostra che è il cuore religioso, quindi lo sviluppo della religione cristiana nel Giappone, soprattutto nella regione di Nagasaki.

D. – In un Paese come il Giappone, le cui radici spirituali sono legate al buddhismo e allo shintoismo, come è stato possibile diffondere il cristianesimo e assistere alla sua rinascita, dopo il periodo di proibizione?

R. – Il Giappone ha dimostrato nel corso di questi secoli soprattutto una volontà che emerge adesso, quella più bella del suo essere pacifico, del suo essere comprensivo. Questo sicuramente è dovuto al clima e alla cultura del popolo giapponese: pacifista, un popolo che vuole riconoscere l’altro e dà spazio a chiunque di esprimere il proprio sentire, la propria religione. Questo è un grande insegnamento del popolo giapponese, soprattutto se consideriamo, nei tempi in cui stiamo vivendo, quanti conflitti si sono basati sulla religione.

D. – Gli oggetti presenti in mostra sono oggetti tangibili della volontà dei fedeli a quella che allora era yba religione proibita; per seguire i rituali, possiamo ammirare la statuetta della dea Kannon che fu scelta per venerare la Vergine Maria, e l’“orecchio di mare”, una conchiglia detta “Saint Jean”, in onore di San Giovanni Battista …

R. – La dea Kannon, che si ammira in questa mostra, è una porcellana di deliziosa fattura, dove si incontrano in perfetto equilibrio e in perfetta armonia la bellezza della materia, i caratteri estetici della cultura giapponese e soprattutto la volontà di rappresentare un oggetto importante di venerazione, che è la Madre del Cristo.

D. – Dal XVI secolo i 400 anni di culto cristiani in Giappone sono stati scanditi da persecuzioni. Qual è il messaggio che le opere trasmettono, anche alla luce delle persecuzioni attualmente diffuse nel mondo?

R. – Il messaggio che si vuole trasmettere con questa piccola mostra – grande, però, nel suo intento – è quello che solo la storia può dare una risposta alle traversie che la storia stessa spesso impone. Quindi, qui siamo di fronte a qualcosa che si è evoluto per il bene, per la pace. Le traversie dei secoli scorsi, che hanno purtroppo rappresentato un momento molto difficile per i cristiani in Giappone, oggi sono giunti a una conclusione felice, addirittura a un futuro riconoscimento da parte dell’Unesco di questa regione e di questi luoghi che diventeranno – ce lo auguriamo tutti – patrimonio mondiale dell’umanità. Questo è il messaggio più bello, quello che vogliamo lanciare oggi, proprio in questo clima di conflitti: di giungere con il tempo e con la volontà dell’uomo, alla pace, alla serenità e alla possibilità di praticare per ogni persona il proprio culto, la propria volontà e il proprio desiderio di credere.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi africani danno il benvenuto al Papa e invocano la pace

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I vescovi africani danno un “caloroso benvenuto” a Papa Francesco, che domani inizierà il suo primo viaggio apostolico nel Continente. In un comunicato diffuso al termine della riunione del Comitato Permanente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam) che si è tenuta ad Accra, in Ghana, dal 16 al 20 novembre, i presuli rilevano con gioia che la visita del Santo Padre avviene a poche settimane dal Sinodo sulla famiglia,  auspicando che essa serva “a rinforzare la fede degli appartenenti alla nostra Chiesa Famiglia di Dio, e ci confermi nei nostri profondi valori cristiani e africani”. “Siamo convinti – proseguono - che la famiglia sia e resti la base fondamentale e indispensabile della vita sociale e ci chiediamo a tutti i nostri popoli e governi di impegnarsi per il sostegno delle famiglie africane e di proteggere i valori fondamentali delle nostre  culture”.

No al terrorismo e alle guerre
Il messaggio parla anche dei sanguinosi avvenimenti e attacchi terroristici in Francia, in diversi Paesi africani, in Medio Oriente e in altri Paesi condannando “ogni atto di terrorismo in qualsiasi parte del mondo” e chiedendo “a chi li commette e a chi li sponsorizza di fermarsi”.  Quindi l’appello alla pace in Africa: “Ci uniamo a tutti coloro che lavorano per la pace e la riconciliazione nelle aree tormentate dall’Africa e del mondo, specialmente in Burundi, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Kenya, Libia e in altre parti dei Paesi nord-africani. In nome di Dio, ci appelliamo a tutte le parti in conflitto in queste aree affinché depongano le armi e intraprendano la via del dialogo e della pace per il bene dei posteri”.

L’appello alla pace e alla riconciliazione per trovare la misericordia di Dio
Il vescovi africani si rivolgono in conclusione a tutti i Paesi del continente affinché nell’Anno Africano per la Riconciliazione lanciato dal Secam il 29 luglio scorso e in vista dell’imminente Giubileo della Misericordia,  “possiamo tutti essere veramente riconciliati gli uni con gli altri e quindi con Dio, il nostro Padre Misericordioso”. “Solo  così – concludono - potremo trovare la misericordia di Dio che porta come frutto una coesistenza armoniosa e sviluppo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Cop21: Messa a Notre Dame dà il via a iniziative ecclesiali

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Una Messa concelebrata domenica scora nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi da tutti i vescovi dell’Île-de-France ha dato il via agli eventi promossi dalla Chiesa di Francia, in stretta collaborazione ecumenica con le Chiese cristiane del Paese, attorno alla Conferenza Onu - Cop21 - sul clima che comincerà nella capitale francese il 30 novembre e si concluderà l’11 dicembre. “L’ecologia – ha detto il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi nella omelia – non è un lusso decorativo riservato alle società sviluppate. E’ una questione di vita e di morte per la quale siamo tutti chiamati a rivedere i nostri stili di vita. Non possiamo volere un'ecologia globale universale e giusta e continuare poi a sfruttare le risorse naturali del mondo per il profitto di una porzione piccola di umanità. La nostra fede in Cristo ci mobilita ad essere responsabili della casa comune perché ci obbliga a considerare non solo i nostri affari, i nostri interessi, le nostre speranze, le nostre ideologie, ma anche a tener conto della totalità dell’universo”.

Chiese si preparano ad accogliere leader dell'Onu e pellegrini
Nonostante le severe misure di sicurezza che hanno portato le forze dell’ordine ad annullare le manifestazioni pubbliche di piazza - riferisce l'agenzia Sir - sono ancora molti gli eventi principali promossi dalle Chiese cristiane che accompagneranno i lavori della Conferenza. 

Sono diversi i pellegrinaggi organizzati per l’occasione. 
Venerdì 27 novembre ci sarà nella Chiesa Saint Merry di Parigi l’accoglienza dei Pellegrini che hanno raggiunto a piedi o in bicicletta la città per partecipare alla Cop21.Ci sono gruppi che hanno percorso migliaia di chilometri provenienti da Germania, Scandinavia, Olanda e Belgio. Dal nord arriveranno dall’Inghilterra mentre dal sud è atteso il gruppo proveniente da Roma al quale fa parte anche Yeb Saño, divenuto celebre per aver promosso a livello mondiale “il digiuno” per il clima che in vista di Cop21 viene rispettato ormai globalmente ogni primo del mese.

L'intervento del Patriarca Bartolomeo I
Sabato 28 novembre, l’appuntamento è a Saint Denis dove nella Basilica dopo un momento di raccoglimento spirituale, i leader delle religioni consegneranno una petizione ai rappresentanti delle Nazioni Unite e del governo francese. E’ prevista anche una conferenza stampa. Il 1 dicembre è il “giorno” del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I che prenderà la parola al Collège des Bernardins con un discorso dal titolo: “Una spiritualità dell’ecologia”.

Solenne celebrazione ecumenica a Notre Dame
Giovedì 3 dicembre è in programma nella cattedrale Notre-Dame di Parigi una solenne “Celebrazione ecumenica per la salvaguardia del creato” organizzata dal Consiglio delle Chiese cristiane di Francia alla quale parteciperanno i pellegrini per il clima, i responsabili delle Chiese di differenti paesi del mondo. La celebrazione sarà co-presieduta dal pastore Francois Clavairoly, dal metropolita Emmanuel e da mons. Georges Pontier. Saranno presenti il Patriarca Bartolomeo, il pastore Olav Fykse Tveit del Consiglio Mondiale della Chiese, e l’arcivescovo di Parigi, card. André Vingt-Trois. I giovani si sono mobilitati in modo particolare per la Cop21. L’appuntamento per loro è a Montreuil sabato 5 dicembre. (R.P.)

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Onu: Usa, Cina e India i Paesi più colpiti dai disastri climatici

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Negli ultimi 20 anni, gli Stati Uniti, la Cina e l’India sono stati i Paesi più colpiti dai disastri provocati dai cambiamenti climatici. Lo afferma un rapporto Onu pubblicato ieri, dal titolo “Il costo umano dei disastri causati dal clima” (The Human Cost of Weather Related Disasters). Torna quindi alla ribalta la questione del riscaldamento globale, a poco meno di una settimana dal vertice di Parigi che dal 29 novembre ospiterà la 21ma Conferenza delle Parti (Cop21) sul tema delle sfide climatiche. Lo studio - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato effettuato dallo UN Office for Disaster Risk Reduction (Unisdr) e dal Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (Cred), che hanno esaminato i dati di 6.457 calamità avvenute tra il 1995 e il 2015. Dallo studio emerge che in questo arco di tempo i danni maggiori (il 90%) sono stati provocati da alluvioni, tempeste, ondate di caldo e siccità. Gli eventi più frequenti si sono registrati negli Stati Uniti (472 casi), Cina (441), India (288), Filippine (274) e Indonesia (163).

I disastri naturali in aumento nell'ultimo decennio
I disastri naturali riconducibili agli effetti del cambiamento climatico hanno provocato la morte di 606mila persone – una media di 30mila l’anno – e hanno afflitto altre 4,1 miliardi, tra feriti, senza tetto o ridotti in stato di indigenza. Tra le calamità naturali, le alluvioni sono state le più frequenti (il 47% del totale) e hanno interessato 2,3 miliardi di persone, la maggior parte delle quali (95%) vive in Asia. Se si guarda alla totalità dei dati, dallo studio emerge che tra il 2005 e il 2014 si sono registrati una media di 335 eventi disastrosi ogni anno, con un aumento del 14% rispetto al decennio precedente (1995-2004), e del doppio rispetto al periodo 1985-1994. Per quanto riguarda la percentuale di popolazione colpita, il picco maggiore si è avuto nel 2002, quando 300 milioni di persone in India hanno sofferto per la siccità e altri 100 milioni in Cina per le tempeste di sabbia. Rispetto alla media annuale di 34mila decessi, il 2008 è stato l’anno peggiore, a causa del ciclone Nargis che nel solo Myanmar ha provocato 138mila vittime.

Tempo e clima sono i principali fattori del rischio di calamità
Alla presentazione del rapporto, Margareta Wahlström, presidente dell’Unisdr, ha detto: “Il tempo e il clima sono i principali fattori del rischio di calamità. Questo studio dimostra che i Paesi stanno pagando un caro prezzo in termini di vite umane. Non solo, le perdite economiche di questi eventi sono tra le maggiori sfide per lo sviluppo di molti Paesi poveri che lottano contro la povertà e il cambiamento climatico”.

690 milioni di bambini vivono in aree del mondo a rischio climatico
​I capi di Stato che si riuniranno a Parigi dovranno affrontare quindi la questione dei rischi provocati dal surriscaldamento del pianeta e degli effetti che questi provocano anche sui minori. Un altro rapporto pubblicato dall’Unicef, dal titolo “Unless We Act Now”, riporta che circa 690 milioni di bambini (su un totale di 2,3 miliardi) vivono in aree a rischio climatico. Essi sono i più esposti al pericolo di malattie, povertà e morte. La maggior parte di questi – circa 530 milioni – vive nei Paesi poveri dell’Asia, “flagellati da inondazioni e tempeste tropicali”. (R.P.)

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Filippine: Chiesa aderisce alla Marcia globale per il clima

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Anche la Chiesa filippina aderisce alla Marcia Globale per il Clima organizzata in tutto mondo alla vigilia dell’apertura, il 30 novembre, della Conferenza sul clima di Parigi (Cop21), per chiedere di arrivare finalmente ad un accordo vincolante che fermi il surriscaldamento del pianeta. L’arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, ha esortato tutti i fedeli a partecipare, il 29 novembre, a una Marcia di preghiera per il clima nella capitale, in concomitanza con le altre manifestazioni che si terranno in più di 2mila città nel mondo.

20 milioni di firme raccolte dal Global Catholic Climate Movement
L’invito fa eco a quello lanciato dal Global Catholic Climate Movement (Gccm), la rete globale di organizzazioni cattoliche creata lo scorso gennaio per sollevare una voce forte in vista delle importanti decisioni che saranno prese a Parigi e che a questo scopo consegnerà ai leader mondiali 20 milioni di firme a una petizione per chiedere un‘effettiva riduzione delle emissioni dei gas serra. Oltre a Manila, marce di preghiera per il clima si terranno in altre 12 città filippine. Nella capitale i partecipanti si ritroveranno alle 6.00 di mattina in tre punti della città da cui partiranno, alle 7.00,  per dirigersi verso il Raja Sulayan Park, dove è previsto un incontro di preghiera, seguito da una manifestazione e quindi da una Messa.

L’impegno della Chiesa filippina per l’ambiente
​L’emergenza ambientale, molto sentita dall’opinione pubblica filippina, è da tempo all’attenzione dell’episcopato, che da anni si batte contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del Paese, denunciando, come Francesco, lo stretto legame tra distruzione dell’ambiente e povertà. Diversi gli interventi dei vescovi sul tema quest’anno, dopo la pubblicazione della “Laudato si’” e in vista del Cpo21. E’ di qualche giorno fa la pubblicazione di un documento pastorale dal titolo “Sul cambiamento climatico: comprendere , pregare, agire” in cui i presuli propongono 15 gesti “concreti”  alla portata di tutti per ridurre del 70% le emissioni di gas serra del Paese entro il 2030. (A cura di Lisa Zengarini)

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Card. Bo: “Un anno di misericordia per il Myanmar”

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“Nonostante le buone notizie sulle elezioni, il Myanmar ha bisogno di misericordia e compassione. Mentre scrivo questa lettera pastorale, oltre cento persone povere sono rimaste sepolte vive nella frana della miniera Jade. Dopo cinque decenni di guerre, di povertà e migrazioni, il nostro Paese ha bisogno di misericordia verso chi ha sofferto e verso chi ha causato quelle sofferenze. I cristiani posso contribuire a guarire questa nazione attraverso la misericordia”: lo afferma il card. Chermes Maung Bo, arcivescovo di Yangon, presentando in una Lettera pastorale l’Anno Giubilare alla comunità dei cattolici birmani.

Sviluppare atteggiamentI di comprensione
Nel testo della missiva, ripresa dall’agenzia Fides, il card. Bo ricorda il tema proposto dal Papa “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste” (Lc 6,36) e spiega che il tema della misericordia sarà declinato in Myanmar a livello personale e comunitario. A livello personale, godendo del perdono di Dio nel sacramento della riconciliazione e praticando il perdono verso il prossimo. “Abbiamo bisogno di purificarci dal peccato di giudicare gli altri. Abbiamo bisogno di sviluppare un atteggiamento di comprensione” osserva, apprezzando la tradizione buddista di “misericordia e compassione” (“mitta e karuna”).

Praticare le opere di misericordia verso le vittime di guerre, disagi e violenze
A livello ecclesiale, “le chiese birmane possono diventare isole di misericordia in mezzo al mare di indifferenza”, auspica l’arcivescovo, notando che “in un Paese di enorme ricchezza, milioni sono poveri, milioni sono sfollati, milioni sono al di fuori del Paese”. Dunque “la giustizia, sorella della misericordia, è stata mutilata” nota. Ora che il Myanmar si trova “sulla soglia della speranza – prosegue – cerchiamo misericordia, perdono e riconciliazione anche con gli uomini più malvagi che hanno perpetrato questi crimini” esorta il card. Bo, invitando a praticare le opere di misericordia spirituale e corporale nella società birmana, soprattutto verso le vittime di guerre, disagi e violenze. 

I cristiani diventino messaggeri di pace
​“Mentre il Myanmar dopo le elezioni è alla ricerca di giustizia, pace e sviluppo umano, noi cristiani siamo chiamati a rinnovare la nostra vita spirituale attraverso la misericordia e a contribuire alla costruzione della nazione, diventando messaggeri di pace per un popolo che ha tanto sofferto” conclude il testo. (P.A.)

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Nigeria. Onu: fermare demolizione della baraccopoli a Lagos

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Nigeria. Se la demolizione dello slum, la baraccopoli, non sarà fermata, oltre 30.000 persone si ritroveranno senza un tetto, oltre che senza lavoro e prive di mezzi di sostentamento: lo ha sottolineato Leilani Farha, relatrice speciale dell’Onu per il diritto alla casa, denunciando le conseguenze di un’ordinanza dell’Alta corte di Lagos.

Centinaia di persone cacciate dallo slum dormono in rifugi improvvisati o in chiese
“Oltre 10.000 persone, tra le quali bambini, donne e anziani, sono state cacciate dalle loro abitazioni senza preavviso nel pieno della stagione delle piogge e a volte la polizia per eseguire gli sfratti ricorre alla violenza”. A Badia, questo il nome dello slum - riporta l'agenzia Misna - le ruspe sono entrate in azione a settembre. “La cosa più allarmante – ha sottolineato la relatrice dell’Onu – è che dopo due mesi ci sono ancora centinaia di persone che dormono in rifugi improvvisati o in chiese e che sono sottoposte ogni giorno a minacce sempre più gravi”.

Gli sgomberi legati al progetto di un quartiere residenziale
Badia è uno degli oltre cento slum di Lagos, la metropoli più popolosa dell’area sub-sahariana. Le demolizioni sono state disposte dopo la denuncia di un capo tradizionale, che sostiene di essere legittimo proprietario dei terreni nonostante comunità di immigrati originari del sud-est della Nigeria vivano nell’area sin dagli anni ’70. Secondo gli attivisti per i diritti umani dell’ong Justice and Empowerment Initiative (Jei), sentiti dalla Misna, gli sgomberi sono legati a un progetto che prevede la trasformazione della zona in un quartiere residenziale per la classe media. (V.G.)

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Istanbul: 34.mo Convegno dei vescovi amici dei Focolari

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Si svolgerà a Istanbul, in Turchia, da domani al 30 novembre, il Convegno ecumenico dei vescovi amici dei Focolari, giunto alla sua 34ª edizione. 50 i partecipanti previsti , provenienti da 19 Paesi che saranno ricevuti dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. “Insieme per la casa comune” è il tema dell’evento, incentrato sull’unità al servizio della famiglia umana nella diversità dei doni.

Tra i partecipanti anche il card. Kurt Koch
Le relazioni fondamentali – riferiscono le agenzie Sir e Acistampa - sono del Patriarca Bartolomeo I e di Maria Voce, presidente del Movimento fondato da Chiara Lubich. Moderatore il card. Francis Kriengsak, arcivescovo di Bangkok. Il programma prevede una serie di interventi di vescovi di varie Chiese, tra cui Robin Smith, anglicano, Åke Bonnier, luterano-svedese, Brendan Leahy, cattolico, Sahak Mashalyan, armeno apostolico, e il metropolita ortodosso Elpidophoros di Halki. Il copresidente dei Focolari, Jesús Morán, offrirà una riflessione su “Il carisma dell’unità davanti alle sfide dell’umanità di oggi”. Tra i partecipanti anche il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, presente a Istanbul quale capo della delegazione della Santa Sede al Fanar per la festa di Sant'Andrea, il 30 novembre. Il tema della sua riflessione: “Papa Francesco e la causa dell’unità dei cristiani”. Il 29 e 30 novembre, su invito del Patriarca Bartolomeo, i vescovi parteciperannoo al Fanar alle celebrazioni in occasione della solennità di Sant'Andrea, patrono del Patriarcato di Costantinopoli.

Il 1° convegno dei vescovi amici dei Focolari nel 1982
I Convegni di vescovi di varie Chiese promossi dal Movimento dei Focolari si svolgono annualmente dal 1982. Ebbero inizio quando Giovanni Paolo II, ricevendo un gruppo di vescovi cattolici amici del Movimento dei Focolari, li invitò a rendere partecipi della loro esperienza di comunione «effettiva e affettiva» anche vescovi di altre Chiese.

Prossimo Convegno nel 2016 a Ottmaring in Germania
Promossi dall'allora vescovo di Aquisgrana (Germania), mons. Klaus Hemmerle e, dopo la sua morte, dal cardinale di Praga Miloslav Vlk, questi convegni ecumenici hanno l’obiettivo di offrire spazi vitali di comunione e condivisione fraterna alla luce della spiritualità dell’unità. La sede di questi Convegni è itinerante in luoghi significativi per le diverse confessioni cristiane. Il prossimo Convegno nel 2016 avrà luogo a Ottmaring in Germania. (L.Z.)

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Sud Corea: la visita del card. Braz de Aviz

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“La componente più rilevante nel rapporto tra diocesi e comunità religiose è la convivenza”. Lo ha dichiarato il  card. João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in Corea del Sud per una visita ufficiale di quattro giorni. “Il Papa sta preparando un documento sul rapporto che deve instaurarsi tra vescovo e Superiore o Superiora generale di una congregazione religiosa. La chiave di tale rapporto sta nella spiritualità della solidarietà e della convivenza”, ha sottolineato il porporato durante l’incontro a Myeongdong, prima tappa della sua visita, con il card. Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seoul. Presenti, tra gli altri, anche mons Peter Chung Soon-taek, vescovo ausiliare, e i sacerdoti diocesani. 

La gioia e la felicità di essere cristiani
Il card. Braz de Aviz ha spiegato che durante l’Anno della Vita Consacrata ha avuto l’opportunità di visitare diverse comunità religiose di tutto il mondo e il suo obiettivo è quello di focalizzare la sua attenzione su Africa e Asia. “E’ bello vedere qui in Corea come giovani religiosi e religiose lavorino insieme ai sacerdoti coetanei” ha rilevato il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. “Qui ho sentito la gioia e la felicità di essere cristiani” ha aggiunto. 

Messa di ringraziamento per l’Anno della Vita Consacrata 
​Al termine dell'incontro il porporato ha visitato la Casa generalizia della Società Missionaria Coreana, la comunità fondata  nel 1975 da mons. Giovanni Choi Jae-seon, allora vescovo emerito di Busan. Durante la sua visita, inoltre, il card. Braz de Aviz ha presieduto la Messa di ringraziamento per l’Anno della Vita Consacrata con i vescovi coreani e più di 1.500 religiosi e religiose nella cattedrale di Myeongdong. (A cura di Davide Dionisi)

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Svizzera: Rts sopprime tre programmi religiosi. Vescovi preoccupati

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Desta viva preoccupazione tra i vescovi svizzeri, e non solo, la decisione della direzione della Radio Televisione Svizzera (Rts) di sopprimere, dal 2017, ben tre dei suoi programmi religiosi per motivi di bilancio. A chiudere saranno in particolare il magazine televisivo “Faut pas croire  e i programmi radiofonici “Hautes fréquences” e “À vue d’esprit alla radio” prodotti da Cath-Info e da Médias-pro, la cui collaborazione con la Rts risale al 1964.

In gioco il posto che si dà alla dimensione religiosa dell’uomo
In una nota, l’incaricato dei media della Conferenza episcopale (Ces), mons. Alain de Raemy, evidenzia che  la soppressione dei programmi “avrà conseguenze sulla trattazione degli argomenti religiosi sui mezzi di comunicazione del servizio pubblico francofono in Svizzera” e “potrebbe provocare perdite di impiego per i giornalisti impegnati nel servizio ecumenico assicurato da Cath-Info e da Médias-pro”. Il presule, oltre a manifestare la propria solidarietà, “come vescovo incaricato di incoraggiare una presenza cattolica, aperta ed ecumenica in tutti i media”, esprime la sua “inquietudine” poiché, afferma,  “è in gioco il posto che si dà alla dimensione religiosa dell’uomo in tempi in cui la religione è così spesso, e in maniere diverse, di attualità”. E sottolinea “l’importanza del servizio pubblico anche per ciò che concerne la dimensione spirituale ed ecumenica della nostra cultura e del nostro futuro”.

Preoccupati anche i protestanti
​Dello stesso tenore la reazione della Federazione delle Chiese protestanti (Feps) che si dice “costernata” dalla notizia : “Queste trasmissioni offrono un’analisi di qualità degli argomenti religiosi, spirituali e filosofici. In una società sempre più divisa fra inculturazione religiosa e fondamentalismo, offrire un tale sguardo è indispensabile per un media del servizio pubblico”, si afferma in una nota, ricordando che le redazioni di Cath-Info e di Médias-pro “non trattano solo l’attualità cattolica o protestante ma l’insieme delle notizie legate al religioso, in maniera critica e obiettiva”. Ancora più dura la reazione del Consiglio esecutivo della Conferenza delle Chiese riformate della Svizzera romanda, secondo la quale questa decisione unilaterale della Rts fa parte di un anticlericalismo limitato che considera le religioni all’origine della violenza e che dunque bisogna bandire dallo spazio pubblico”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 328

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.