Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 26/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa a Nairobi. Papa: famiglia frena il deserto del materialismo

◊  

“L’avanzata dei nuovi deserti” del materialismo e dell’indifferenza si contrasta irradiando nella società l’amore di Dio, attraverso gesti di fraternità e di sostegno ai più poveri. Questo il messaggio affidato da Papa Francesco alla folla di migliaia di persone che ha partecipato alla Messa nel campus dell’Università di Nairobi. Francesco ha chiesto di difendere la vita e la famiglia “dall’arroganza” che ferisce la dignità umana. Il servizio di Alessandro De Carolis

In Africa, si sa, la fede danza. L’anima che prega ha bisogno di un corpo in movimento per parlare con Dio. La prima Messa di Francesco nel continente che ha visto nascere i progenitori dell’uomo ha l’ineguagliabile colonna sonora dei canti e dei balli delle antichissime tradizioni tribali del Kenya, sulle quali in cinque secoli il Vangelo ha innestato il suo messaggio.

A ritmo di kayamba
Il cuore del campus dell’Università di Nairobi è l’“Uhuru Park”, dove per tre volte Giovanni Paolo II ha celebrato Messa. La costruzione “open” che accoglie l’altare è circondata da ampi tendoni bianchi, sotto i quali trova riparo un coro smisurato e colorato dove tutti – preti, suore, seminaristi, bambini, anziani – si muovono a tempo di musica e di percussioni, come la qui notissima “kayamba”. L’energia contagia anche l’aplomb istituzionale delle autorità, il presidente Kenyatta e sua moglie sono i primi ad assecondare il ritmo con la testa e le mani. Così tutto, anche l’atto penitenziale che apre la liturgia, mostra un altro volto della contrizione cristiana sconosciuto all’Occidente, non il mea culpa di un cuore spesso intristito, ma una richiesta che sa di poter bussare con gioia al cuore di un Padre buono.

Famiglie, “benedizione” della società
La pioggia che bagna l’area sembra parte della coreografia, serenamente ignorata da molta parte della folla. E di acqua che irriga parla anche Francesco. “Il Signore ci dice che farà sgorgare acqua nel deserto”, facendo fiorire “una terra assetata”, afferma all’inizio dell’omelia. “La società del Kenya – osserva – è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini”:

“La salute di qualsiasi società dipende dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità, la fede nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione all’interno della società, ad accogliere i bambini come una benedizione per il nostro mondo e a difendere la dignità di ogni uomo e di ogni donna, poiché tutti noi siamo fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana”.

Fermare i nuovi deserti
La prosa del Papa è pacata e cadenzata dalle immagini rurali della Bibbia e dei Salmi che si intonano con cura a una civiltà ancorata a radici solide. A queste si richiama Francesco sapendo di essere ben compreso mentre ricorda che “in obbedienza alla Parola di Dio”, siamo “chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati”:

“Siamo chiamati a rispettarci e incoraggiarci a vicenda e a raggiungere tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le famiglie cristiane hanno questa missione speciale: irradiare l’amore di Dio e riversare l’acqua vivificante del suo Spirito. Questo è particolarmente importante oggi, perché assistiamo all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura dell’egoismo materialismo e dell’indifferenza verso gli altri”.

Appello ai giovani
La missione cristiana invece è di vivere, afferma Francesco, da “uomini e donne che siano canali della grazia di Dio, che permettano alla sua misericordia, benevolenza e verità” di costruire “una casa che sia un focolare” per vivere in “armonia” come fratelli. Una casa in cui i giovani sono gli abitanti più speciali. A loro si appella il Papa, nel luogo in cui l’anno scorso in più di 7.500 hanno conseguito una laurea e che costituiranno l’ossatura del Kenya di domani:

“I grandi valori della tradizione africana, la saggezza e la verità della Parola di Dio e il generoso idealismo della vostra giovinezza vi guidino nell’impegno di formare una società che sia sempre più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana. Vi stiano sempre a cuore le necessità dei poveri; rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio”.

L’omelia, pronunciata in italiano e tradotta in inglese, termina in lingua locale con l’ormai usuale, per Francesco, “Dio benedica il Kenya”:

“Mungu abariki Kenya!”

inizio pagina

Papa in Kenya: mai usare nome di Dio per giustificare odio e violenza

◊  

Il nome di Dio non sia mai usato per giustificare la violenza: è quanto ha detto il Papa all'inizio della sua seconda giornata a Nairobi, in Kenya, durante l'incontro ecumenico ed interreligioso svoltosi nella nunziatura apostolica. Presenti i capi delle diverse confessioni cristiane (anglicana, evangelica, metodista, pentecostale, African Inland Church) e delle altre religioni (tradizionale-animista e musulmana) maggiormente presenti in Kenya, oltre ad alcune personalità civili particolarmente impegnate nella promozione del dialogo interreligioso. "La mia visita in Africa - ha affermato il Papa in un tweet - sia segno della stima della Chiesa per tutte le religioni e rafforzi i nostri legami di amicizia". Il servizio della nostra inviata Adriana Masotti:

Dialogo interreligioso non è un lusso, è essenziale
Durante l'incontro presso la nunziatura Francesco parla di pace ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane e ai leader delle altre religioni che sono venuti ad incontrarlo. Dopo le parole del rappresentante anglicano, l’arcivescovo Wabucala, e del rappresentante musulmano, signor El-Busaidy, il Papa esprime l’importanza di questi momenti insieme che rafforzano la stima e l’amicizia della Chiesa verso tutti, ma non tace le difficoltà:

“A dire il vero, il nostro rapporto ci sta mettendo dinanzi a delle sfide; ci pone degli interrogativi. Tuttavia, il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso. Non è qualcosa di aggiuntivo o di opzionale, ma è essenziale, è qualcosa di cui il nostro mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno”.

Cooperazione leader religiosi è importante servizio al bene comune
In una società democratica e pluralistica - ha proseguito il Papa - "la cooperazione tra i leader religiosi e le loro comunità diviene un importante servizio al bene comune" e "in un mondo sempre più interdipendente, si avverte con crescente chiarezza la necessità della comprensione interreligiosa, dell’amicizia e della collaborazione nel difendere la dignità conferita da Dio ai singoli individui e ai popoli, e il loro diritto di vivere in libertà e felicità": 

"Promuovendo il rispetto di tale dignità e di tali diritti, le religioni interpretano un ruolo essenziale nel formare le coscienze, nell’instillare nei giovani i profondi valori spirituali delle rispettive tradizioni e nel preparare buoni cittadini, capaci di infondere nella società civile onestà, integrità e una visione del mondo che valorizzi la persona umana rispetto al potere e al guadagno materiale".

Giovani resi estremisti in nome della religione 
E’ importante, dice il Papa, la nostra comune convinzione che il Dio che cerchiamo di servire è un Dio di pace:

"Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza. So che è vivo in voi il ricordo lasciato dai barbari attacchi al Westgate Mall, al Garissa University College e a Mandera. Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione per seminare discordia, per seminare paura e per lacerare il tessuto stesso delle nostre società. Quant’è importante che siamo riconosciuti come profeti di pace, operatori di pace che invitano gli altri a vivere in pace, armonia e rispetto reciproco! Possa l’Onnipotente toccare i cuori di coloro che perpetrano questa violenza e concedere la sua pace alle nostre famiglie e alle nostre comunità".

L'amore di Dio è universale
Quest’anno - ricorda il Pontefice - "ricorre il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa Cattolica si è impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso al servizio della comprensione e dell’amicizia". E conclude: 

"Intendo riaffermare questo impegno, che nasce dalla convinzione dell’universalità dell’amore di Dio e della salvezza che Egli offre a tutti. Il mondo giustamente si attende che i credenti lavorino insieme con le persone di buona volontà nell’affrontare i molti problemi che si ripercuotono sulla famiglia umana. Nel guardare al futuro, preghiamo affinché tutti gli uomini e le donne si considerino fratelli e sorelle, pacificamente uniti nelle e attraverso le loro differenze".

inizio pagina

Il Papa a Nairobi: la povertà alimenta il terrorismo, si investa sui giovani

◊  

Mungu abariki Kenya! Dio benedica il Kenya! Sono le prime parole di Papa Francesco in swahili, la lingua ufficiale del Paese. Le ha pronunciate al termine del discorso nel Palazzo presidenziale dove si è tenuta la cerimonia di benvenuto. Francesco è arrivato alle 16.40 all’aeroporto “Jomo Kenyatta” di Nairobi, in anticipo rispetto al previsto. Qui è stato accolto dal presidente Uhuru Kenyatta con la moglie, dalle autorità civili e religiose, da canti e danze tradizionali. Il servizio della nostra inviata a Nairobi, Adriana Masotti

Società multietnica giusta e inclusiva
Un’accoglienza davvero calorosa quella offerta al Papa all’aeroporto di Nairobi, ma siamo in Africa e l’Africa è anche colori, suoni, gioia e vitalità. Poi il percorso in automobile fino al Palazzo presidenziale per la cerimonia di benvenuto, l’incontro privato con il presidente e il primo discorso alle autorità e il corpo diplomatico. Papa Francesco sa di parlare a chi ha grandi responsabilità: il Kenya, dice, “è una Nazione giovane e vigorosa, una comunità con ricche diversità, che interpreta un ruolo significativo nella regione”, con altre Nazioni africane "vuole edificare sul rispetto vicendevole, sul dialogo e sulla cooperazione “una società multietnica che sia realmente armoniosa, giusta e inclusiva”. E’ anche "una Nazione di giovani”:

“Proteggere i giovani, investire su di essi, è il modo migliore per poter assicurare un futuro degno dei valori spirituali cari ai loro anziani, valori che sono il cuore e l’anima di un popolo”.

Salvaguardia della natura
Nel discorso il Papa affronta poi il tema ambientale, cruciale in Africa. Il Kenya possiede una immensa bellezza e un’abbondanza di risorse naturali, afferma, ma la crisi ambientale in corso esige una sempre maggiore sensibilità nei riguardi del rapporto tra gli esseri umani e la natura:

“Noi abbiamo una responsabilità nel trasmettere la bellezza della natura nella sua integrità alle future generazioni e abbiamo il dovere di amministrare in modo giusto i doni che abbiamo ricevuto”.

Povertà e frustrazione alimentano terrorismo
C’è “un chiaro legame tra la protezione della natura e l’edificazione di un ordine sociale giusto ed equo”. Non vi può essere un rinnovamento del rapporto con la natura senza il rinnovamento dell’umanità stessa. E a questo fine è necessario, prosegue il Papa, “operare per la riconciliazione e la pace”. “L’esperienza, dice Francesco, dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione”. Quindi conclude:

“Vi incoraggio ad operare con integrità e trasparenza per il bene comune e a promuovere uno spirito di solidarietà. Vi chiedo di mostrare preoccupazione per i bisogni dei poveri, per le aspirazioni dei giovani e per una giusta distribuzione delle risorse con le quali il Creatore ha benedetto il vostro Paese”.

In ricordo della presenza di Papa Francesco nel parco del Palazzo presidenziale è stato piantato un giovane ulivo segno di fiducia nel futuro.

inizio pagina

Padre Kizito: in Kenya sempre più forte divario tra ricchi e poveri

◊  

Il Kenya negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo disordinato. In particolare Nairobi, dall’ultima visita di San Giovanni Paolo II nel 1995, ha visto grandi cambiamenti, ma non a vantaggio di molti come afferma padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano, da trent'anni nella capitale keniana. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Fabio Colagrande

R. – E’ cambiata in un modo impressionante: la differenza tra ricchi e poveri è diventata molto grande. Nairobi è diventata una metropoli: 20 anni fa era una città di provincia, oggi è una metropoli con 6 milioni di abitanti e la parte ricca non ha niente da invidiare a Milano. E’ molto più impressionante l’impatto dei grattacieli di Nairobi che non l’impatto che si può avere arrivando a Milano; senza dubbio, anche alla Milano dell’Expo. Dall’altra parte, invece, i poveri continuano ad esserci e continuano ad essere sempre più poveri. E’ incredibile come 20 anni fa si poteva andare in uno slum e trovare persone che vivevano in situazioni indegne di esseri umani, situazioni da animali, da topi, e questa situazione esiste ancora. Non è cambiato niente! Dove c’erano le villette, adesso ci sono i grattacieli; dove c’era gente che viveva di fianco alle fognature, c’è ancora gente che vive di fianco alle fognature…

D. – La Chiesa che è in Kenya, in Uganda e nella Repubblica Centrafricana, quale scossa riceverà da questa visita del Papa? Quali frutti davvero potrà dare la presenza di Francesco in queste terre?

R. – Io penso che sarà un rinnovato impegno della Chiesa a favore dei poveri. Questo è il tema centrale del Pontificato di Papa Francesco. La gente lo percepisce chiaramente, lo percepisce benissimo attraverso le sue parole, i suoi discorsi, ma anche attraverso i suoi gesti. Basta essere in mezzo alla gente quando c’è un programma radio o un programma televisivo di questi giorni in cui  si parla del Papa: i commenti di tutti – e di questo io sono rimasto sorpreso – anche di gente che magari parla a stento l’inglese, fa fatica a esprimersi, guardando la televisione, guardando le immagini, dice: “E’ una persona buona. E’ una guida buona. E’ una persona che ci può insegnare la buona via, il buon cammino”. E’ istintivo e lo percepiscono tutti! Questo viene esaltato mille volte, perché in Africa le cose cominciano quando ci si incontra: ho la sensazione che il primo incontro di questo Papa con l’Africa – soprattutto a Nairobi, dove la gente può andare a vederlo e sentirlo di persona – potrà segnare un cambiamento molto forte nella nostra Chiesa.

D. – L’Africa che Papa Francesco ha definito “il continente sfruttato”, in questi giorni in cui verrà visitato da Papa Francesco, darà anche un messaggio al resto del mondo, il cosiddetto resto del mondo ricco, l’Occidente?

R. – Vivendo da tanto tempo con i poveri, qui nei quartieri di Nairobi, io sono rimasto sempre sorpreso del fatto che la gente che vive in situazioni che - le prime volte che le ho conosciute - trovavo scioccanti, questa gente riesce a sperare, riesce a credere. Qui c’è gente che ha fede; c’è gente per la quale la religione è una cosa importante della vita; c’è gente che non solo riesce a credere e a sperare, ma riesce ad essere contenta, riesce a credere nella vita che ha, nel valore della vita, nel valore delle relazioni umane che sono al centro delle culture africane. Spero che venga di ritorno dall’Africa questo messaggio: “Sì, siamo il continente degli sfruttati, degli scartati; ma siamo anche gente che sa vivere, che ha fede, che ha speranza, che guarda al futuro con gioia, che non è disperata”.

inizio pagina

Visita del Papa al quartier generale dell'Onu in Africa

◊  

Nel corso della sua seconda giornata in Kenya, Papa Francesco si recherà presso la struttura che a Nairobi ospita il quartier generale dell’Onu in Africa. Incontrerà la vasta comunità di lavoro impegnata in diversi progetti per lo sviluppo del Paese e di tutto il continente e terrà un discorso. Tra le agenzie presenti, fin dal 1972, c’è anche l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che proprio a Nairobi ha posto la sua sede mondiale. Adriana Masotti ha intervistato Michele Candotti, consigliere del Direttore esecutivo dell’Unep: 

R. – Siamo un organismo delle Nazioni Unite e, come tale, una piattaforma al servizio degli Stati membri per affrontare con la giusta mediazione e neutralità la complessa articolazione dei problemi ambientali, che sono diversi. Si parla della “tutela ambientale”, quindi della protezione degli ecosistemi e del nostro pianeta dall’impronta umana. Ma ci sono anche delle attività che vanno oltre la tutela e la protezione: quelle di avanzamento delle regole della casa comune.

D. – Infatti, la vostra presenza, possiamo dire nel “cuore” dell’Africa, ha un peso tutto particolare, perché sappiamo anche quanto soffre questo continente a causa di conflitti che incidono sull’ambiente, a causa dei cambiamenti climatici…

R. – Assolutamente. La cosa più interessante è che la decisione che venne presa nel 1972 – quindi più di 40 anni fa – era anche legata al fatto che l’Africa veniva da un passato coloniale molto complesso e si stava affacciando al mondo come un’entità geografica fatta da più di 50 Paesi, con le speranze di quel tempo. Ora, però, l’Africa ha assunto un altro simbolo: è uno dei pochi continenti nei quali permane un grande contenuto di biodiversità, di foreste primarie. Ed è il simbolo della contraddizione: da una parte, il dovere di conservare le risorse planetarie, e dall’altra, la necessità di intervenire per favorire lo sviluppo di comunità e popolazioni che hanno ugualmente l’aspirazione a svilupparsi e a raggiungere il proprio benessere.

D. – Ci troviamo di fronte anche al fenomeno dell’immigrazione, dell’uscita di tanti giovani dall’Africa verso l’Europa. Quindi l’impegno è quello di creare condizioni perché possano rimanere…

R. – Assolutamente sì! Noi siamo responsabili di questo nuovo “rinascimento” dell’Africa. Da una parte, dobbiamo sostenerli in questo dovere di custodia. Dall’altra parte, dobbiamo supportarli anche nel loro sforzo di dare un futuro ai propri giovani. Ed è questo forse l’elemento più importante: l’Africa è il continente più giovane che esiste.

D. – Papa Francesco farà visita a tutta la comunità delle Nazioni Unite a Nairobi in occasione della sua visita in Kenya e terrà un discorso. Che attesa c’è per questo evento? Quale il vostro auspicio?

R. – Noi siamo estremamente contenti, soddisfatti, ma anche colpiti da questa scelta che ovviamente è pastorale, ma anche simbolica, in linea con l’Enciclica papale, Laudato si’, pubblicata qualche mese fa. È simbolica, perché si tratta di una visita in Africa in un momento in cui quest’ultima attraversa un momento di svolta nell’ambito delle scelte di tutela del pianeta e dei propri territori. Ma anche perché il Kenya, in particolare, ha due pregi e due incredibili simboli: innanzitutto è la casa del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (Unep), ma è anche la casa della nuova Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente che è stata creata durante il Summit di Rio. Per cui, anche il fatto di dotare questa visita di un colore particolarmente acceso da un punto di vista ambientale, è molto, molto importante. Ultima cosa: il Kenya è stato oggetto negli ultimi anni di grosse tensioni, etniche e religiose. In questo momento, una missione di questo tipo non solo è importante, ma è cruciale per ricucire il modo di vivere tra popolazioni che altrimenti si potrebbero trovare di nuovo in situazioni di conflitto esasperato. Quindi è assolutamente un enorme privilegio, come Nazioni Unite, avere una visita di questo tipo, di contenuto, ma anche di grande speranza.

D. – Quindi pace e ambiente i due temi centrali nelle vostre attese…

R. – Sì. Pace e ambiente, dal punto di vista delle nazioni, di un continente e dal punto di vista degli individui.

inizio pagina

Papa Francesco tra i poveri dello slum di Kangemi a Nairobi

◊  

L’incontro con i poveri non mancherà in nessuna delle tappe di questo 11.mo viaggio apostolico di Papa Francesco in Africa. A Nairobi, Francesco ha chiesto di poter visitare la baraccopoli di Kangemi, in cui vivono circa 100 mila persone. In particolare, nella terza giornata del viaggio, si recherà nella parrocchia di San Giuseppe Lavoratore, retta da una comunità di Gesuiti, che nel quartiere sono impegnati con diverse iniziative a favore di ragazzi e mamme in difficoltà. Kangemi è però solo una delle tante bidonville sorte nella capitale keniana. Linda Bordoni ha intervistato Titus Mwangi, operatore sociale a Mathare e cofondatore di un progetto di sostegno per i bambini di quella baraccopoli:

R. - Mathare Slum is not that huge…
Lo slum di Mathare non è tanto grande: è formato da diverse parti e villaggi. C’è quindi il Nord di Mathare che è composto dalla classe “medio-alta” e che è formato da blocchi di edifici che, in definitiva, sono abusivi, con abitazioni di 10 metri per 10, che ospitano famiglie tra le 4 e le 7 persone. In un blocco possono esserci 10 abitazioni, con un bagno e una toilette: e questa è la parte diciamo ricca di Mathare. E poi abbiamo una situazione di slum “consueta”, come la conosciamo abitualmente. Mathare si sviluppa lungo il fiume Nairobi. Questo territorio si estende per 1.7 km, con una popolazione di 200 mila persone o qualcosa del genere. Ma sicuramente a Mathare vivono tra le 400 e le 800 mila persone.

D. – E questo è solo uno delle slum di Nairobi …

R. – This is the oldest slum in Nairobi…
Questo è il più antico slum di Nairobi. Se vai a vedere come si sviluppa, ti rendi conto che è sempre vicino a dove vivono i ricchi. Così, come la popolazione di Mathare vive accanto a “Muthaiga”, che è una delle zone più ricche di Nairobi e dove le case possono costare anche 5 milioni di euro. Quello che trovi la mattina, andando a lavorare, per esempio, sono persone che si dirigono verso Muthaiga, dove lavorano come giardinieri, domestiche o cose del genere, e che la sera vedi tornare indietro, a piedi. C’è poi Kibira e altri slum più piccoli; le persone che vivono vicino all’aeroporto vivono in uno slum che si chiama Mukuru. Quindi ci sono slum dappertutto e accanto ad essi vivono persone che sostanzialmente sono ricche o che appartengono alla classe medio-alta.

D. – Papa Francesco ha in programma di visitare lo slum di Kangemi: è una sua grande preoccupazione quella di stare con i poveri, infatti ha posto i poveri al centro, al cuore, del suo Pontificato. La gente di Mathare sa che il Papa è a Nairobi?

R. – Yes, I think it’s the whole Country…
Sì, penso che lo sappia tutto il Paese. Noi kenioti vorremmo proprio tanto che lui parlasse davvero del divario fra i ricchi e i poveri. Ogni giorno, infatti, in questo Paese milioni e milioni di scellini vengono rubati: questa, secondo me, non è nemmeno più corruzione, questo è saccheggio! Kangemi, lo slum dove il Papa vuole andare, si trova accanto al quartiere ricco di Westlands, un’altra zona di lusso. Quindi, per me la cosa importante è fermare la corruzione, il saccheggio. E speriamo che il Papa dica cose forti perché la popolazione del Kenya è davvero arrabbiata. Siamo arrivati sull’orlo di un colpo di Stato, siamo disperati veramente. Il problema è che non si si fa niente, non si vede nessun passo, nulla, che sia volto a perseguire queste persone che rubano i fondi pubblici.

D. – Quanto è importante la Chiesa cattolica in una situazione come questa?

R. – Well, I have worked in the Church for long …
Io stesso lavoro nell’ambito della Chiesa da molto tempo – sono missionario laico. Io sono cattolico. Posso dire che a un certo punto, la Chiesa cattolica è stata sostanzialmente come un piccolo governo, perché forniva quei servizi che in realtà avrebbe dovuto fornire il governo. Quindi, per i bambini di strada la Chiesa cattolica è stata davvero determinante. Ha giocato un ruolo importante, dando voce anche a coloro di cui nessuno realmente si preoccupava, come i bambini di strada, le madri adolescenti... Sì, specie all’inizio abbiamo lavorato a stretto contatto con la Chiesa.

inizio pagina

L'Uganda aspetta Francesco "profeta del vivere semplice"

◊  

Domani il Papa, dopo la visita al quartiere povero di Kangemi, l’incontro con i giovani e successivamente con i vescovi del Paese, si congederà dal Kenya per recarsi in Uganda, Stato che ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1962 passando poi negli anni attraverso dure guerre con le nazioni vicine, ma anche attraverso la sanguinosa repressione settaria del presidente, Idi Amin Dada, la cui politica fu di aperta persecuzione razziale anche nei confronti dei cristiani d’Uganda. Oggi, l’Uganda è un Paese che rappresenta un importante esempio di convivenza religiosa, con il 42% degli abitanti di fede cattolica. Sull’attesa della popolazione per l’arrivo di Francesco il servizio di uno dei nostri inviati, Filomeno Lopes

“Papa Francesco, il profeta del vivere semplice e della vita semplice”. E’ uno dei tanti titoli che troviamo scritti sul giornale “New Vision”, uno dei due maggiori quotidiani dell’Uganda. Il Paese, in piena campagna elettorale per le presidenziali, con i suoi alti e bassi e nei limiti delle sue possibilità, si sta preparando per ricevere Papa Francesco, terzo Pontefice che visita la terra dei martiri africani, dopo Papa Paolo VI nel 1969 e Giovanni Paolo II nel 1993.

Non manca ovviamente l’allerta per quanto riguarda la sicurezza del Papa e dei fedeli pellegrini, non solo dell’Uganda ma anche di coloro che verranno dai diversi Stati che compongono il mosaico della comunità dei Paesi della regione dell’Africa dell’Est. “Siamo mentalmente e fisicamente preparati”, ci ha detto John Baptist Kauta, segretario generale della Conferenza episcopale ugandese, uno dei coordinatori di questo evento. “Siamo pronti per ricevere la sua benedizione e ascoltare le sue parole di conforto”, ci ha detto invece suor Teresa, responsabile del Centro Nalukolongo, che assiste gli emarginati che Francesco incontrerà qui durante il suo viaggio apostolico.

“Le aspettative sono che il Papa, così come ha già fatto in Kenya, possa portare al popolo ugandese in particolare, e al popolo africano in modo più generale, lo stesso messaggio sulla necessità della costruzione di un clima di pace, di armonia, di riconciliazione e di concordia tra popoli e nazioni di questo continente, culla dell’umanità e polmone spirituale dell’umanità”, ci ha detto l’arcivescovo John Baptist Odama, presidente della Conferenza episcopale ugandese, citando il documento “Africae Munus” di Papa Benedetto XVI. Per il resto è sempre il “corri, corri” della vita quotidiana qui a Kampala, quel “corri, corri” che è caratteristico di tutte le grandi città africane.

inizio pagina

Mons. Odama: Uganda aspetta il messaggio di pace di Francesco

◊  

L’Uganda è un Paese dalle molteplici sfide, dove la crescita economica si accompagna a una forte emarginazione. Una terra che oggi vive perlopiù in pace e riconciliazione, dopo anni di violenza e miseria estreme. I traguardi raggiunti, ma anche le sfide ancora in piedi, sono state i temi della lettera pastorale che i vescovi del Paese hanno inviato a tutti i fedeli, non solo per prepararli all’arrivo di Papa Francesco, ma anche per invitarli a vivere la loro fede e ad una riflessione sul loro impegno quotidiano. Filomeno Lopes, ha intervistato il presidente della Conferenza episcopale ugandese, mons. John Baptist Odama

R. – The people of Uganda are excited, and most of the population is young…
La popolazione dell’Uganda è in grande fermento per l’attesa, la maggior parte della popolazione è giovane. Da quando venne Giovanni Paolo II a visitarci, molti dei giovani di allora sono cresciuti e sono desiderosi di incontrare di nuovo il Papa. Hanno sentito di Papa Francesco e sono felici. L’opera di preparazione nella preghiera per la sua visita è stata molto accurata: tutti hanno collaborato! Il governo, la Chiesa, la gente comune e così via... Tutti hanno collaborato perché questa visita sia un successo.

D. – Cosa pensa che la gente si aspetti da Papa Francesco, quale suo messaggio?

R. – For sure the Pope, as he comes, is message of brotherhood and sisterhood, all in feature…
Intanto, il Papa con la sua stessa venuta sicuramente porta un messaggio di fratellanza. Poi, viene a promuovere la pace, il dialogo e la riconciliazione e l’unità tra le persone. Così come il sostegno ai poveri, coloro che – come dice lui – sono abbandonati sul ciglio della strada. Lui vuole che si sia attenti a loro. Credo che lui voglia che l’Uganda, nel suo insieme, si risvegli a questo valore: di cura per i poveri, per i deboli, per i malati. Parlando con le autorità, sottolineerà anche questo concetto: quello del servizio. Essere “capo” significa servire. Devono aspirare ad essere “capi” per poter servire la gente!

D. – L’Uganda sta vivendo un periodo di pace, dopo anni di grande difficoltà. E’ però questo un momento cruciale per la pace in tutta la regione. Ne vediamo un esempio in Burundi…

R. – Although he may not necessarily engage himself in local politics or local situations on the ground…
Non penso che Papa Francesco si impegnerà direttamente nei fatti di politica locale o di situazioni locali, mentre penso che sicuramente indicherà principi generali, valori generali, che devono essere confermati e difesi, in particolare dai leader politici. Qui, in Uganda, ci saranno le elezioni, tra due-tre mesi: non so cosa dirà al nostro presidente e ai nostri leader politici, ma sicuramente ribadirà il concetto di fratellanza cristiana, della necessità di una vita spirituale in pace, di una vita spirituale nell’unità e dello spirituale apprezzamento del valore dei diritti umani. Credo che toccherà questi tasti. Il Burundi vive un momento triste e non so cosa il Papa possa dire in proposito. Ma con le persone del Kenya ha usato parole molto belle, ha detto loro: “Mi aspetto da voi, gente del Kenya, di tenere alti i valori predicati dal Vangelo: la giustizia, la pace, la riconciliazione, il dialogo”.

D. – In Kenya Francesco ha sottolineato fortemente la necessità del dialogo tra i leader religiosi per favorire la pace. L’Uganda è un caso interessante, perché l’atmosfera religiosa è tutelata dai Martiri che avete in comune con i protestanti …

R. – Uganda, I must say, is a lucky Country: from 1963, three religious leaders – the Anglican leader…
L’Uganda, devo proprio dirlo, è un Paese fortunato: dal 1963, tre leader religiosi, anglicano, cattolico e ortodosso, hanno deciso di unirsi e di istituire quello che hanno chiamato il “Consiglio cristiano unito dell’Uganda”. Da allora, continuiamo a promuovere l’armonia tra i leader religiosi, in particolare il gruppo cristiano.

inizio pagina

Protocollo d’intesa tra Vaticano e Ministero beni culturali italiano

◊  

Oggi, nel Palazzo del Governatorato, è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa tra il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della Repubblica Italiana circa la cooperazione nella protezione e nella valorizzazione del sito transfrontaliero dell’Unesco Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San Paolo fuori le Mura, iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale.

“Premesso che il sito transfrontaliero Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San Paolo fuori le Mura coinvolge necessariamente sia l’Italia che la Santa Sede, ciascuno secondo la propria giurisdizione – si legge in un comunicato pubblicato dalla Sala Stampa vaticana - il Protocollo d’intesa, fatte salve le reciproche competenze e nel rispetto dei propri ordinamenti, impegna i firmatari a proseguire la cooperazione nella protezione e nella valorizzazione del sito, nonché nella conservazione del suo valore universale eccezionale, secondo quanto previsto nella Convenzione per la Protezione del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale e nelle relative Linee Guida. Per raggiungere tali obiettivi, con l’odierno accordo viene anche istituito un organismo permanente di mutua cooperazione, denominato ‘Gruppo di Coordinamento Transfrontaliero’, a cui vengono riconosciute competenze di coordinamento, di monitoraggio, di informazione e di valorizzazione del sito”.

Hanno firmato per la Santa Sede, mons. Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e, per la Repubblica Italiana, l’arch. Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Un albero per il futuro: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa in Kenya.

Faticosa mediazione: la diplomazia internazionale cerca di stemperare la tensione tra Russia e Turchia.

Restano le cavallette: intervista di Teresina Caffi a Sinéa Pinheiro Barra, dall'Amazzonia alla missione in Camerun e Ciad.

La suora e la principessa: Cristiana Dobner su un documentario sul Carmelo del Pater Noster a Gerusalemme.

Il malato non è una cavia: Francesco Paolo Casavola su bioetica nella sanità secondo Carlo Petrini.

Presto ma bene: intervento dei vescovi colombiani sull'accordo di pace tra governo e Farc.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Patriarca Sako: Iraq senza democrazia. Rapiti 36 civili

◊  

In Iraq, il sedicente Stato islamico ha preso in ostaggio 36 civili nei pressi di Shirqat, città nel nord del Paese. E mentre prosegue la lotta contro l’Is, sono ripresi i bombardamenti di Ankara nella zona irachena di Zakho vicino al confine tra il Kurdistan e la Turchia. In questo quadro, il Patriarca caldeo, Louis Raphael I Sako, ha detto che “in Iraq oggi non c’è traccia della tanto declamata democrazia” e “che attualmente non esiste in concreto nemmeno un piano per la Siria". Massimiliano Menichetti ha parlato della situazione con Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali: 

R. – In Iraq, non possiamo parlare di democrazia anche se ci sono state elezioni. Queste erano necessarie ma non sono sufficienti per parlare di sistema democratico. Diciamo che abbiamo sostituito il potere della minoranza sunnita con il potere della maggioranza sciita, ma siamo ancora a livello della resa dei conti, delle vendette, cioè siamo ancora molto arretrati. In Iraq, adesso, praticamente il governo di Baghdad è sempre più legato con l’Iran: la zona a nord della zona curda è sostanzialmente indipendente e poi c’è tutta la zona desertica e delle paludi del sud, dove abitano i sunniti: questa è quella contestata e da cui si cerca di mandar via l’Is.

D. – Come si gestisce questa frammentarietà? Cosa accadrà, dopo?

R. – Ci sono alcuni che pensano a una spartizione, oppure alla creazione di nuovi Stati: Kurdistan, Sunnistan, ecc… C’è invece chi pensa semplicemente di creare delle zone sotto tutela delle potenze che avranno vinto la guerra, un po’ come accadde in Germania dopo la Seconda Guerra mondiale. Nel complesso, però, secondo me in questa maniera si aprono dei vasi di Pandora gravi, perché sarebbe un processo difficile da interrompere e che moltiplicherebbe la conflittualità in Medio Oriente e in Africa.

D. – Iraq e Siria sono legati: anche qui la situazione non sembra migliorare…

R. – La situazione è abbastanza chiara, secondo me: abbiamo tutta una serie di milizie divise tra loro, che combattono in genere contro Assad, tra loro e quasi tutte contro Daesh, ovvero il sedicente Stato islamico. Gli alleati esterni si collegano ognuno a una di queste milizie: gli americani sono più legati ai curdi, i turchi con i turcomanni e con alcune altre piccole milizie locali, i russi con gli alawiti e con il regime di al-Assad e così via...

D. – Ma questo vuol dire che ognuno combatte una propria battaglia?

R. – Praticamente sì. C’è un nemico comune teorico, che sono appunto Daesh e al Qaeda, ma in realtà questo nemico comune viene quasi in secondo piano, rispetto a tutte le altre azioni. Chi più si dedica a combattere questo nemico sono gli americani – adesso con i francesi, un po’ gli inglesi – ma dall’aria, con bombardamenti aerei. Tutti sono convinti che – checché ne dicano i russi – Assad, anche se restasse al potere, resterebbe al governo di una piccola porzione della Siria e che quindi noi andiamo anche qui verso una sorta di spartizione del Paese. E tutti si posizionano per avere la possibilità di ricavare una fetta più ampia di territorio siriano o anche siro-iracheno: perché anche l’Iran è coinvolto in questo pasticcio. L’Is, in tutto questo, non fa che fare più o meno lo stesso gioco, con l’aggravante di farlo in maniera particolarmente violenta.

D. – Qual è la via, secondo lei?

R. – La via è quella di un gruppo di contatto in cui ci si mette d’accordo politicamente e si conducono insieme le operazioni militari, possibilmente contro il sedicente Stato islamico, non contro tutti gli altri. Però, siamo ancora lontani da questo.

inizio pagina

Russia taglia forniture gas all'Ucraina. Kiev chiude spazio aereo

◊  

La pressione del gas naturale russo che arriva in Bulgaria è diminuita dopo che Mosca ha sospeso ieri le forniture all’Ucraina. La società russa Gazprom ha infatti adottato il provvedimento denunciando mancati pagamenti da parte di Kiev e ventilando conseguenze sui flussi verso l'Europa. Immediata la risposta dell’Ucraina, che ha vietato il proprio spazio aereo a tutte le compagnie russe, dopo che già nel mese di ottobre aveva sospeso i voli diretti con Mosca. Un nuovo capitolo della crisi energetica, dunque, che giunge nel pieno delle tensioni per l’abbattimento in Siria del jet russo da parte dell’aviazione turca. Giada Aquilino ne ha parlato con Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali: 

R. – Farlo in questo momento assume un significato politico molto importante, perché siamo in un contesto in cui le temperature in Europa si stanno abbassando e quindi la domanda di gas potrebbe crescere e soprattutto il deterioramento dei rapporti con la Turchia potrebbe influenzare lo sviluppo di nuove ‘pipeline’ future. Quindi, in un contesto di politica globale e di confronto globale tra Mosca e l’Occidente, la questione del gas e il raffreddamento dei rapporti con la Turchia si trovano sullo stesso tavolo di gioco e rischiano di influenzare ulteriormente i rapporti tra Europa e Russia.

D. – Bruxelles rassicura, ma la pressione del gas russo in Bulgaria è diminuita. Potrebbero esserci conseguenze per il resto d'Europa?

R. – Dipende dalla capacità che avranno le istituzioni dei singoli Paesi membri ed europee di parlare con Gazprom. La Russia dispone del gas non solo come risorsa energetica, ma come arma strategica: quindi non si può escludere a priori che, in caso di peggioramento dei rapporti o di mancanza di dialogo, i russi possano provare a paventare lo spettro di una diminuzione dei flussi. E’ anche opportuno però sottolineare che quando si fa business tutte e due le parti – quindi il compratore e il venditore - sono interessate al fatto che il gas venga venduto ed acquistato. Quindi i russi, in un momento in cui la loro economia non è in particolare posizione di forza, hanno bisogno del cash europeo e potrebbero pensarci due volte prima di interrompere i flussi e quindi di non intascare i pagamenti.

D. – Che momento è per l’Ucraina e in particolare per i pagamenti che Kiev deve per le forniture di gas?

R. – Dal punto di vista economico, l’Ucraina è in un momento di difficoltà sia per problemi strutturali, sia perché è in corso un profondo processo di riforma di tutto il sistema. L’Ucraina è indebitata non solo con la Russia per questi pagamenti, ma anche con una serie di soggetti internazionali per alcuni crediti che ha ricevuto nel corso degli anni. Kiev è sicuramente in una posizione di svantaggio. Però il gas in Ucraina può arrivare anche attraverso altri canali: quelli del cosiddetto ‘reverse floating’, ossia altri Paesi che ricevono il gas russo, attraverso altre ‘pipeline’, lo pompano verso l’Ucraina. Ci si augura comunque che almeno la popolazione ucraina non debba affrontare pesanti disagi.

D. – Anche perché è aggravata ancora dalle conseguenze della guerra…

R. – Assolutamente sì. In questo momento la guerra in Donbass vive un momento di stallo. Per fortuna la violenza si è assai ridotta rispetto ai mesi precedenti, però la situazione resta sempre esplosiva: basta poco affinché ci siano nuove ed estese manovre militari. Speriamo che l’inverno e che le difficoltà tecniche che la stagione fredda porta siano anche un disincentivo ad operazioni su larga scala.

inizio pagina

Cop 21 sul clima, inizio anticipato. Tra i temi anche il cibo

◊  

La Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico comincerà domenica, con un giorno di anticipo rispetto a quanto programmato. Oltre 150 tra capi di Stato e di governo che si confronteranno alla ricerca di una posizione comune per affrontare il riscaldamento del pianeta. Del tema si è parlato anche oggi al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma, durante onvegno su “sviluppo agricolo e lotta alla fame. L’appello dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco”. Il servizio di Michele Raviart

Sviluppo agricolo e cambiamento climatico sono due fenomeni collegati a cui bisogna rispondere in maniera complessiva. Basti pensare agli effetti che l’innalzamento delle temperature ha sulla quantità dei terreni coltivabili e le conseguenti migrazioni. Kanayo Nwanze, presidente dell’Ifad, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo delle Nazioni Unite.

“It is already evident…
E’ già evidente che il cambio climatico e l’andamento meteorologico stanno influenzando la produzione alimentare e in alcuni casi a tal punto che, a causa dell’estrema siccità, gli agricoltori sono costretti a lasciare la loro terra: devono migrare, infatti, da zone rurali a zone aperte e i giovani sono costretti a fuggire, perché non ci sono più mezzi di sostentamento. Quindi, c’è un forte legame. Ed ecco perché per Cop21 speriamo che gli Stati membri raggiungano un accordo, che faccia rispettare gli obiettivi, assicurandosi che nei prossimi decenni non ci sia un aumento delle temperature”. 

Per questo, è necessaria non solo la collaborazione tra Stati e istituzioni, ma anche il contributo di tutti, afferma mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il World Food Program:

“Io credo che tanta gente di buona volontà si aspetti da questo incontro non una soluzione definitiva, perché certamente questo è molto difficile, ma penso la cosa importante è che ci siano dei passi avanti. Gli affamati, gli esclusi sono quelli che soffrono di più le conseguenze del cambio climatico. Vediamo un poco, aprendo gli occhi, come la gente sta soffrendo: manca l’acqua, il ghiaccio sta sparendo, i deserti sono sempre più presenti e la foresta sta sparendo. Il cambio climatico sta portando avanti tanti e tanti flagelli. Bisogna fermarlo”.

Un impulso ad affrontare in maniera sistematica i “danni” che l’uomo sta infliggendo al creato è stato dato proprio dall’enciclica "Laudato si’", accolta con interesse in molte istituzioni internazionali. Un approccio che parte da una conversione ecologica integrale del cuore delle persone, spiega il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero:

“Il tema della ecologia umana, cioè purificare il cuore, purificare le menti, creare veramente il desiderio nell’umanità, nella società, di persone più limpide, più trasparenti, più pulite, perché da questa ecologia interiore delle persone nasce poi quella irradiazione sulla casa comune, che è il creato. Dobbiamo lavorare perché la casa comune che Dio ci ha dato possa avere vita, nel senso di durare per il futuro, quindi essere curata in tutti quei dettagli su cui il Papa insiste molto. La radice, però, è la persona, è il cuore umano”.

inizio pagina

Giubileo, mons. Fisichella: l'8 dicembre piazza S. Pietro piena

◊  

Piazza San Pietro sarà sicuramente piena l’8 dicembre per l’apertura della Porta Santa nella Basilica Vaticana. Ne è convinto mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, intervenuto all’inaugurazione della mostra “100 presepi” a Roma. Il presule si è detto sicuro che la capitale darà il meglio di sé. Il servizio di Alessandro Guarasci

L’inizio del Giubileo è imminente e continuano ad arrivare richieste per attraversare la Porta Santa: più di 100 mila fino ad oggi. Ma l’organizzazione dei pellegrinaggi si è modificata negli ultimi anni, sempre più frequenti le prenotazioni dell’ultimo minuto. Mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione:

“Richieste di gruppi interi, richieste di singole persone... Avremo la Piazza piena certamente, l’8 dicembre, per l’apertura. Con quello poi diamo il via. Ma diamo il via anche con la speranza e la soddisfazione che Roma potrà essere, come sempre, accogliente, bella e capace di dare il meglio di sé durante il Giubileo".

Mons. Fisichella poi invita i pellegrini a non farsi intimorire dall’allerta terrorismo. Dunque, il Giubileo va vissuto secondo la sua reale essenza: un evento di pace e riconciliazione. Insomma, la rivista dello sedicente Stato islamico vorrebbe che la bandiera nera sventolasse sull’obelisco di San Pietro, ma questo non avverrà dice ancora mons. Fisichella:

“Ma non ci sarà neanche una bandiera bianca, perché questo non ci appartiene: non è un senso di resa a nessuno, tanto più davanti alla violenza. Siamo consapevoli che c’è un Giubileo come un evento, che è caratteristicamente un evento di pace, un evento di misericordia e questo deve essere il nostro primo pensiero”.

Simbolo di pace è il presepe. E proprio oggi a Roma è stata inaugurata la mostra “100 presepi”, una tradizione che si rafforza con l’Anno della Misericordia.

inizio pagina

"Vite Coraggiose", il Bambin Gesù per le malattie ultra-rare

◊  

Si chiama “Vite Coraggiose” ed è la prima campagna sociale della nuova Fondazione Bambino Gesù onlus a sostegno della ricerca e cura delle malattie genetiche orfane di diagnosi. Il Consiglio direttivo della fondazione – nominato poche settimane fa dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin – ha presentato stamani questo progetto di raccolta fondi per la cura di piccoli affetti da malattie definite "ultra-rare". Il servizo di Marco Guerra: 

Si definiscono “rare” le malattie che colpiscono meno di 5 pazienti ogni 10 mila abitanti. Un numero circa 36 milioni di persone ne è affetto in Europa, di cui circa 1-2 milioni in Italia. Il 70% sono bambini. E il 5% di tutti malati rari registrati in Italia viene diagnosticato al Bambino Gesù. Queste cifre non mostrano tuttavia la parte sommersa dei malati ultra-rari, la cui condizione resta senza diagnosi Ed è a loro che si rivolge la raccolta fondi “Vite Coraggiose”, come spiega Bruno Dallapiccola, direttore scientifico del Bambino Gesù:

"Le 'vite coraggiose' sono rappresentate essenzialmente da quei bambini affetti da malattie che non hanno un nome, che non hanno una diagnosi: sono quelli che stanno cercando di avere un nuovo inquadramento. Questi sono bambini ancora più isolati dei classici 'bambini rari', quei bambini cioè che hanno patologie poco comuni. Che cosa vuole fare il Bambino Gesù? Vuole con l’avvio di questa campagna – che arriva dopo alcuni anni in cui noi stiamo già lavorando su questo tema – dare una risposta, offrire un bandolo della matassa a queste famiglie. In poche parole, noi vogliamo aiutarli a trovare una diagnosi – e questo oggi si può fare con tecniche avanzate di genetica – e soprattutto, perché noi siamo essenzialmente dei medici impegnati nell’assistenza a questi pazienti, disegnare un percorso terapeutico partendo da una costatazione importante: per qualunque bambino, anche quando non avrai la medicina appropriata – in questi casi è difficile avere la medicina specifica – si può sempre fare qualcosa di molto importante. Noi vogliamo accompagnare questi pazienti e queste famiglie in un percorso di assistenza che è visto in maniera globale, coinvolgendo anche gli aspetti di tipo sociale. Papa Giovanni Paolo II negli anni Ottanta, quando parlava ai ricercatori, diceva 'ricerca umanizzata'”.

Il Bambin Gesù rinnova quindi il binomio cura e ricerca che ha sempre contraddistinto l’ospedale, mettendo insieme passione e professionalità. La dott.ssa Mariella Enoc, presidente della Fondazione, ricorda la missione dell’Ospedale:

“E’ un grande progetto che deve aiutare la ricerca  - come abbiamo detto – di queste 'malattie orfane'. Quindi, ripartiamo dalle origini di questo ospedale: questo ospedale curava i bambini che non avevano cure, oggi le cure le possono avere. E noi vogliamo avvicinarci ai bambini che oggi, purtroppo, per la malattia che portano e per la poca ricerca che è stata fatta, non possono essere curati. A me è sembrato molto bello il giovane ricercatore che passa ore e ore in laboratorio e dice: 'Però, io dietro a questa provetta riesco a vedere una vita'. Quindi, è veramente il coraggio di tutti, di questa grande comunità che è questo Ospedale Bambino Gesù, che può anche aiutare tante famiglie a trovare un luogo di cura, senza fare tanti giri e tanti viaggi della speranza”.

La campagna per la raccolta fondi ha preso ispirazione e forza anche dall'opera pittorica del maestro Mimmo Paladino e al fianco dell’iniziativa, inoltre, Albano Carrisi che ha dato vita a un brano inedito, intitolato appunto "Vite Coraggiose":

"La mia risposta è stato un 'sì' di petto! Lo dico in note: sono partito con il sì di petto, per arrivare poi al 'do' di petto… Ho donato questa cosa qua con immensa gioia, con tutti gli attributi umani al posto giusto. Il maestro Fabrizio Pellincioni, grande autore di musica leggera, mi ha mandato questo testo, 'Vite Coraggiose', e giuro che in tutta la mia carriera di canzoni ne ho scritte tante, ma questa si è sviluppata nello spazio di 8 minuti: 8! Non so perché… Sicuramente, sono stato guidato da qualche forza del Bambino Gesù. Non posso pensare altro…".

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Gmg: card. Ryłko apre incontro internazionale dei responsabili

◊  

“Dalla Gmg di Cracovia deve diffondersi nel mondo intero un forte messaggio di speranza. A Cracovia, i giovani saranno chiamati a riscoprire il volto misericordioso di Dio; saranno chiamati a lasciarsi toccare dalla divina misericordia, che non è altro che una grazia immensa di una conversione del cuore”. Lo ha detto il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici (Pcpl), aprendo oggi a Wadowice, (fino al 28), l’incontro internazionale dei responsabili delle Gmg, l’ultima tappa del cammino di preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia 2016. 

Presenti delegati di circa 100 Paesi dei cinque continenti
Nella città polacca, dove nacque san Giovanni Paolo II - riferisce l'agenzia Sir - sono presenti delegati da circa 100 Paesi dei cinque continenti, inviati dalle rispettive Commissioni per la gioventù delle Conferenze episcopali e da circa 45 movimenti ecclesiali, nuove comunità e associazioni giovanili internazionali. “Quella di Cracovia – ha affermato il cardinale – sarà una Giornata di rendimento di grazie da parte dei giovani di tutto il mondo per il dono della canonizzazione di Giovanni Paolo II, protagonista indiscusso di eventi epocali, che hanno solcato profondamente non solo la vita della Chiesa, ma anche quella del mondo contemporaneo”. Una figura di riferimento anche per gli operatori di pastorale giovanile che potranno incontrare Papa Wojtyła come vero maestro ed educatore dei giovani, che ha tanto da insegnare anche a noi oggi”.

Chiesto agli operatori pastorali, una vera e propria conversione missionaria
“La pastorale giovanile è molto esigente, richiede una permanente ricerca di nuove vie per incontrare i giovani, la ricerca di nuovi linguaggi e nuovi modi di comunicare (il mondo digitale!)” ha affermato il card. Ryłko. Ai delegati il presidente del Pcpl ha ricordato che la pastorale giovanile “necessita da parte di tutti gli operatori pastorali una vera e propria conversione missionaria, che genera un rinnovato entusiasmo, generosità e gioia del cuore”. Parafrasando le parole di Papa Francesco, nella esortazione apostolica Evangelii gaudium, il cardinale ha esortato i delegati “a entrare in un dinamismo di uscita verso le periferie esistenziali del mondo, a essere una Chiesa che diventa ‘buona Samaritana’ di tanti giovani smarriti e feriti dalla vita, una Chiesa – ‘ospedale da campo’, capace di accogliere tutti; aperta ai giovani, amica dei giovani di cui va alla ricerca con amore e con paziente perseveranza. Questa è la Chiesa che Papa Francesco desidera!” ha concluso il card. Ryłko. 

Da Wadowice, appuntamenti e programmi sulla prossima Gmg di Cracovia
L’evento di Wadowice promosso dal Pontificio Consiglio per i laici, presenta numerosi appuntamenti tra cui la visita ai luoghi della Gmg e sessioni riguardanti il programma della Gmg, le catechesi, il Festival della gioventù, gli aspetti logistici della Gmg. Con Cracovia, la Gmg torna in Polonia dopo 25 anni da quella celebrata a Czestochowa nel 1991 che vide una forte presenza di giovani dall’Est Europa. (R.P.)

inizio pagina

Libano. Patriarca Raï: cessino le guerre in Medio Oriente

◊  

L’emergenza rifugiati siriani in Libano e il perdurante stallo politico-istituzionale che da 18 mesi ormai impedisce di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica. Sono stati questi i due temi ricorrenti della visita in Messico del Patriarca maronita card. Béchara Raï in occasione del 4° congresso mondiale degli arcivescovi e degli ordini monastici maroniti della diaspora, che si è concluso ieri nella capitale messicana.

Le guerre in Medio Oriente si stanno ripercuotendo sulla stabilità del Libano
All’apertura dell’incontro – riporta il quotidiano libanese L’Orient-le-jour - il patriarca ha denunciato le gravi ripercussioni politiche, economiche, sociali e per la sicurezza del Paese dei Cedri del massiccio dell’afflusso massiccio di profughi siriani, che si aggiungono ai 500mila rifugiati palestinesi, portando a due milioni gli stranieri presenti sul territorio, pari alla metà della popolazione libanese. Il card. Raï si è chiesto perché il Libano dovrebbe reggere il peso di quelle che ha definito “guerre orchestrate dalle grandi potenze per soddisfare i loro interessi politici, economici e strategici”. Egli ha anche evidenziato il pericolo della presenza di tanti rifugiati per i già delicati equilibri politico-religiosi in Libano, che - ha ricordato - sono all’origine della mancata elezione del nuovo Capo dello Stato. Concetti ribaditi durante la Messa celebrata domenica per i maroniti della diaspora in Messico. Nell’omelia il cardinale Raï ha rinnovato il suo appello alla comunità internazionale “a fare cessare la guerra in Siria, Iraq, Yemen e Palestina perché tutti gli sfollati , rifugiati e ostaggi possano tornare nei loro Paesi e rientrare in possesso delle loro case e beni”.

Lo stallo politico in Libano
Il vuoto istituzionale in Libano dura dal 25 maggio 2014, da quando cioè è finito il mandato di Michel Sleiman. Da allora si sono tenute numerose sessioni parlamentari per l’elezione, ma il parlamento libanese non ha mai raggiunto il quorum necessario per il voto a causa del boicottaggio da parte del gruppo detto dell’ 8 Marzo (che raccoglie diversi partiti ed Hezbollah, insieme ai cristiani legati a Michel Aoun). Tutto questo nel mezzo del precipitare della situazione in Siria e in tutto il Medio Oriente. Attualmente sono circa 1 milione e mezzo i siriani ospitati nei campi profughi in Libano. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Pakistan: rapita e convertita all’islam, 13.enne cristiana

◊  

E’ un caso che sta scuotendo la comunità cristiana nel Punjab pakistano: Sana John, adolescente cristiana di 13 anni, è stata rapita e convertita all’islam con la forza ad Haji Pura, nei pressi di Silakot. Come riferisce all'agenzia Fides l’Ong pakistana “Life for All”, che si sta impegnando e ha lanciato un appello per salvarla e restituirla alla sua famiglia, il padre della ragazza, Shahid John, che ha altri cinque figli, non l’ha vista tornare a casa la mattina del 9 novembre, dopo averla accompagnata a scuola.

La famiglia minacciata perchè non sporgesse denuncia
La sorella di Sana ha raccontato che, mentre stavano tornando a casa dopo la scuola, alcuni uomini musulmani le hanno fermate e hanno prelevato Sana. La famiglia cristiana è stata poi minacciata perché non sporgesse denuncia. Ma anche una volta presentata la denuncia, la polizia non ha preso finora alcuna iniziativa

Appello della famiglia alle autorità per ottenere giustizia
Shahid John racconta a Fides tutta la sua disperazione: “In Pakistan non c'è giustizia per i poveri e, soprattutto, nessuno si preoccupa per i cristiani, nessuno ha sentito il mio grido. La polizia non persegue i colpevoli, nessuno sta facendo niente per noi”. Tramite “Life for All”, la famiglia di Sana ha lanciato un appello alle autorità per ottenere giustizia. L’Ong afferma in una nota: “Sono casi frequenti: persone influenti usano il loro potere per farla franca. Migliaia di ragazze minorenni vengono rapite e forzatamente convertite ogni anno. I casi sono segnalati, ma i tribunali e le autorità interessate chiudono un occhio e gli emarginati soffrono. Fino a quando sarà tollerata questa ingiustizia?”.

Centinaia di minorenni vengono rapite e costrette a nozze islamiche
Secondo fonti di Fides i casi di ragazze delle minoranze religiose cristiane e indù rapite e convertite all’islam, spesso costrette a nozze islamiche, sono circa mille ogni anno. Ma si tratta solo dei casi registrati con denunce ufficiali. (P.A.)

inizio pagina

Portogallo: adozione a coppie gay. Rammarico della Chiesa

◊  

Rammarico: questo il sentimento espresso dalla Conferenza episcopale portoghese (Cep) dopo l’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge che consentirà alle coppie omosessuali di adottare dei figli. A votare a favore della normativa è stata tutta la sinistra nazionale, con l’appoggio di gran parte del centro-destra.

Attesa promulgazione da parte del Presidente
La nuova legge, che arriva dopo cinque anni dalla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, dovrà ora essere promulgata dal Presidente della repubblica, Aníbal Cavaco Silva. La recente normativa permette anche alle coppie formate da due donne di beneficiare della così detta “fecondazione eterologa”, ovvero la procreazione medicalmente assistita tramite un terzo donatore di ovuli o spermatozoi.

Riferimenti maschili e femminili importanti nell’educazione dei figli
In un’intervista all’agenzia cattolica “Ecclesia”, il Patriarca di Lisbona e presidente della Cep, il card. Manuel Clemente, ribadisce che “la Chiesa cattolica continua a mantenere le sue convinzioni riguardo alla vita ed alla famiglia, sottolineando, in particolare, l’importanza di riferimenti maschili e femminili nell’educazione dei figli”. “La vita – afferma il porporato – che va difesa dal concepimento e fino alla morte naturale, nasce in famiglia nella complementarietà feconda tra uomo e donna”.

La Chiesa non desiste da verità fondamentali
​Per questo, continua il card. Clemente, la Chiesa “continuerà a ribadire, in gesti concreti e con le parole, queste sue convinzioni, in quanto esse sono verità fondamentali dalle quali i cattolici non desistono”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Venezuela. Card. Urosa: rispettare il risultato delle elezioni

◊  

L'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha esortato tutti i partiti politici a disporsi a rispettare i risultati delle prossime elezioni legislative del 6 dicembre. Il Presidente del Paese, Nicolas Maduro, "dovrebbe essere il primo a rispettare le leggi e a smettere di invitare a scendere in piazza per protestare o rifiutare già i risultati delle elezioni parlamentari" ha detto in una conferenza stampa il cardinale. Secondo una nota d'agenzia ripresa dalla Fides, ha aggiunto che "suggerire di scendere in strada è una cosa intollerabile, ... i funzionari statali devono invitare alla pace".

Assassinato leader dell'opposizione
La situazione nella capitale è diventata tesa all’avvicinarsi delle elezioni, non solo per le manifestazioni pubbliche dell'opposizione. Ieri, è stato assassinato un leader dell'opposizione durante una manifestazione elettorale alla presenza della moglie di Leopoldo López, dirigente dell'opposizione in prigione, che ha accusato il governo di istigare alla violenza proprio adesso in piena campagna elettorale. (C.E.)

inizio pagina

Nicaragua: preoccupazione dei vescovi per le istituzioni

◊  

“Vediamo con grande preoccupazione la mancanza di istituzionalità del Paese e come le istituzioni stiano perdendo la loro identità" ha detto il vescovo di Granada, mons. Jorge Solórzano Pérez, portavoce e segretario generale della Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen). Esprimendo la preoccupazione dei vescovi - riferisce l'agenzia Fides - mons. Solorzano ha affermato inoltre che la domanda di trasparenza elettorale per un processo libero e giusto, rimane valida soprattutto adesso che si avvicina un anno elettorale.

Chiesta maggiore trasparenza elettorale
Sebbene l'incontro di tutti i vescovi del Nicaragua abbia avuto come tema centrale la pastorale, non poteva mancare una riflessione sulla situazione attuale del Paese. "Abbiamo riflettuto sulla questione istituzionale del Paese e crediamo che questo punto è ancora valido. Ecco perché dobbiamo continuare la ricerca di come lavorare al riguardo, in modo che tutte le istituzioni possano svolgere il proprio ruolo" ha osservato mons. Solorzano. Riguardo alla trasparenza elettorale, mons. Solorzano ha insistito sul fatto che questo è stato uno dei punti presentati dai vescovi al Presidente Daniel Ortega nel maggio 2013, tuttavia, ha riconosciuto che non c'è stato alcun passo avanti su questa materia.

Prossima Lettera pastorale dei vescovi sulla realtà socio-politica del Paese
​Mons. Solórzano ha parlato nel contesto dell’incontro del “Secretariado Episcopal de América Central (Sedac)”, a cui ha partecipato insieme ad altri vescovi del Nicaragua, portando come temi principali del Paese la costruzione del Grande Canale Interoceanico, la situazione delle famiglie, e il problema dei migranti cubani che sta diventando crisi umanitaria. Infine ha informato che la Cen pubblicherà una lettera pastorale sulla realtà politica e sociale del Paese nel febbraio 2016, prima della Quaresima. (C.E.)

inizio pagina

Intervento di padre Cantalamessa al Sinodo anglicano

◊  

“Dobbiamo tornare ai tempi dei primi cristiani: loro affrontavano un mondo pre-cristiano; noi stiamo affrontando largamente un mondo post-cristiano”. Lo ha detto padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, che è intervenuto con la predicazione di un sermone all’apertura del Sinodo della Chiesa di Inghilterra a Londra, nella Westminster Abbey. Una presenza - riporta l'agenzia Sir - che è stata accolta con grande calore anche dalla Regina Elisabetta che nel suo saluto all’Assemblea ha sottolineato come “la presenza tra noi oggi del predicatore della Casa pontificia non sarebbe stata possibile senza i progressi avvenuti dal 1970 nella cooperazione tra le grandi tradizioni cristiane”. 

Aiutare umilmente i nostri contemporanei a sperimentare un incontro personale con Gesù
Padre Cantalamessa ha ricordato nella sua predica che il mondo cristiano si sta preparando alla celebrazione del 500.mo anniversario della riforma protestante ed ha detto: “È di vitale importanza per tutta la Chiesa che questa opportunità non sia sprecata da persone rimaste prigioniere del passato, cercando di stabilire chi ha avuto ragione e chi torto. Piuttosto, facciamo un salto di qualità, come quello che succede quando le chiuse di un fiume o di un canale vengono aperte per consentire alle navi di continuare a navigare a un livello d’acqua più alto. La situazione è radicalmente cambiata da allora. Abbiamo bisogno di ricominciare a partire dalla persona di Gesù e aiutare umilmente i nostri contemporanei a sperimentare un incontro personale con Lui”. 

Lavorate nella consapevolezza della parole del Signore: sono con voi!
Al termine del suo sermone padre Cantalamessa ha rivolto un augurio all’Assemblea in vista del Sinodo, ma anche “in vista della riunione prevista per il prossimo gennaio tra i leader di tutta la Comunione anglicana”: “Coraggio, Maestà – ha detto il predicatore vaticano - sovrano di questa nazione; coraggio, Justin, arcivescovo di Canterbury; coraggio Sentamu, arcivescovo di York; coraggio, voi vescovi, clero e laici della Chiesa d’Inghilterra! Lavorate, nella consapevolezza della parole del Signore: sono con voi!”. (R.P.)

inizio pagina

Chiesa Canada: Giustizia riparatrice alla luce della misericordia

◊  

“La giustizia riparatrice può far nascere una cultura di speranza per tutte le persone colpite dalla criminalità”: è quanto afferma mons. Gary Gordon, vescovo di Victoria, in Canada, ed incaricato della Pastorale carceraria per la Conferenza episcopale locale. In un messaggio diffuso in occasione della “Settimana della giustizia riparatrice”, conclusasi in questi giorni, il presule sottolinea la differenza tra la giustizia penale e la giustizia riparatrice: la prima si concentra prettamente sul colpevole, sulla violazione della legge e sulla corrispettiva punizione; la seconda invece guarda alla persona ferita, alle cause che hanno provocato il reato ed alla possibilità di porvi rimedio.

Giustizia riparatrice guarda alla persona, non solo al reato commesso
“La giustizia riparatrice, quindi – scrive mons. Gordon – ha come punto di vista fondamentale la dignità di ogni persona: essa cerca di includere gli individui, le famiglie e le comunità che sono state colpite da un atto criminale. Perciò, questo tipo di giustizia rappresenta un itinerario, una via verso il reinserimento”. Ma non solo: esso “offre la possibilità di tornare a ciò che siamo veramente”.

La misericordia permette di superare il male
Tuttavia, afferma mons. Gordon, “sebbene la giustizia riparatrice sia una strada di speranza per guarire dalle conseguenze di un crimine, essa non basta a superare il male provocato”: per fare questo è necessario guardare “all’orizzonte della misericordia” che rappresenta “un appello lanciato ai piedi della croce al Signore della salvezza”. Di qui, il richiamo anche a celebrare il Giubileo straordinario della misericordia indetto da Papa Francesco e che avrà inizio l’8 dicembre.

La tenerezza di Dio dona la pace alle persone ferite
​Certo, conclude il presule, “come tutti gli orizzonti, anche quello della misericordia sembra  lontano ed impossibile da vedere, ma se cominciamo ponendoci le domande della giustizia riparatrice piuttosto che quelle della giustizia penale, l’orizzonte della misericordia e della tenerezza compassionevole di Dio placheranno coloro che sono stati colpiti o feriti da un reato, donando loro quella pace che il mondo, da solo, non può dare”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 330

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.