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Sommario del 27/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Allo slum di Kangemi il Papa chiede terra, casa e lavoro

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Prima dell’incontro con i giovani, il Papa si è recato a visitare i poveri di Kangemi, uno dei 7 slum di Nairobi in cui vivono migliaia di persone in condizioni di grande disagio e precarietà. A Kangemi ha raggiunto la chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore, retta da una comunità di Gesuiti. Forte la denuncia di Francesco di un sistema economico che produce esclusione, ma anche il riconoscimento dei valori vissuti dai poveri nelle periferie urbane dell'Africa e del mondo. Il servizio della nostra inviata a Nairobi, Adriana Masotti: 

Denunciare le ingiustizie
Grande gioia tra la gente di Kangemi per la presenza del Papa: non ci sono solo i residenti del quartiere, ma anche quelli provenienti dagli altri slum di Nairobi. Francesco ha ascoltato le testimonianze di una donna e quella di una religiosa impegnata nella bidonville, ha visto un breve filmato: fogne a cielo aperto, baracche in lamiera, il fango delle strade, i piccoli negozi di cui la gente vive, ma anche comunità in preghiera e ragazzi che giocano in un campo da calcio:

“En verdad, me siento como en casa, compartiendo este momento con hermanos y hermanas …
In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte. Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno! Come possiamo non denunciare le ingiustizie subite?”.

Ferite provocate da minoranze che concentrano il potere
Ma il Papa vuole mettere in luce un aspetto non sempre riconosciuto e cioè la saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da «un’ostinata resistenza di ciò che è autentico», da valori evangelici che la società del benessere sembrerebbe aver dimenticato. Si tratta di legami di appartenenza e di convivenza che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro. Grazie, dice il Papa, per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile:

““Reconocer estas manifestaciones de vida buena que crecen cotidianamante entre ustedes …
Riconoscere queste manifestazioni di vita buona che crescono ogni giorno tra voi, continua, non significa in alcun modo ignorare la terribile ingiustizia della emarginazione urbana. Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate”.

Nuove forme di colonialismo
Un grave problema, sottolinea Francesco, è la mancanza per queste persone di accesso alle infrastrutture e ai servizi di base e soprattutto all’acqua potabile. Negare l’acqua è una grave ingiustizia, dice. Di queste condizioni approfittano le organizzazioni criminali al servizio di interessi economici o politici, che arrivano ad utilizzare i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati. Queste realtà, precisa il Papa, sono conseguenza di nuove forme di colonialismo basato su un modello di distribuzione delle risorse iniquo. Francesco fa appello perché si attui una rispettosa integrazione urbana e incoraggia i cristiani a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, ad accompagnare i cittadini nelle loro lotte:

“"Recemos, trabajamos y comprometàmos juntos para que toda familia tenga un techo digno....
Preghiamo, lavoriamo e impegniamoci insieme perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni... perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità; perché tutti possiate godere della pace e della sicurezza che meritate secondo la vostra infinita dignità umana”.

Lungo la strada in terra battuta, rifatta per l’occasione, l’auto sulla quale il Papa è risalito, si è allontanata lentamente con brevi soste per permettere a Francesco di salutare ancora i bambini, le donne e gli uomini di Kangemi che lo attendevano e che difficilmente potranno dimenticare questo momento.

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Besigye: il messaggio del Papa ha toccato il cuore dei kenyani

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E' stato davvero gioioso l'incontro del Papa con i poveri di Kangemi. Presente all'evento nello slum, il prof. Charles Besigye, docente di pedagogia all'Università cattolica di Nairobi. Adriana Masotti lo ha intervistato: 

R. – E’ stato un momento per loro, sentendo anche le impressioni a Kangemi, di vedere realizzato quello che lui dice sempre: di andare nelle periferie. E oggi in tanti dicevano: “Noi non andiamo a visitare il Papa, ma siamo contenti che il Papa sia venuto proprio nel nostro ambiente, per vedere dove viviamo, per darci la speranza e dirci anche come continuare a vivere in questa situazione”. Sono stati contenti di vedere che è stato il Papa a venire da loro e non loro ad andare a da lui.  

D. – Questa visita del Papa in Kenya, che ormai si avvia alla conclusione, com’è andata dal suo punto di vista?

R. – Mi sembra che sia stata una visita riuscita da tutti i punti di vista. La gente lo ha accolto e aspettava il suo messaggio. E questo messaggio mi sembra sia riuscito proprio a toccare i cuori dei kenioti in tutto quello che si aspettavano, soprattutto sui grandi temi della pace, dell’ambiente, ma anche sulle sfide sociali che la gente keniota vive.

D. – Il Papa è stato concreto nel denunciare le cose che sono inique, ma anche a valorizzare il bello che c’è…

R. – Sì, sì. Il popolo aspettava un messaggio da parte della Chiesa universale, un messaggio soprattutto di fratellanza universale e di dialogo: non si combatte o si risponde con la violenza, ma c’è questo messaggio di dialogo. E ha invitato tutti, non solo i politici, ma ogni persona - ogni cristiano, ogni cittadino – a rispondere a questo messaggio di pace. Quindi poi, nei vari incontri che ha fatto, anche con persone appartenenti alle grandi religioni, alle Chiese di altra denominazione, il messaggio era quello. Si vede anche che i leader di queste grandi religioni e delle altre denominazioni hanno accolto il messaggio e sono pronti ad agire. Dopo la sua visita sicuramente si vivrà un altro tempo. Poi ieri, mi sembra che il suo messaggio alla sede dell’Onu, qui a Nairobi, abbia toccato il cuore, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente e i grandi problemi non solo del Kenya, ma di tutta l’Africa e di tutto il mondo. Forse riteniamo che l’ambiente non abbia tanto a che fare con l’uomo, ma se l’uomo di oggi distrugge la natura, distrugge praticamente se stesso, distrugge l’universo.

D. – Qual è il ricordo personale che si porta con sé?

R. – Mi sembra che questo sia un momento storico per il continente, perché il Papa – non so come dire – ci ha portato in Dio. Lì dove è andato in questi giorni, ci riportava sempre alle cose essenziali: l’essenziale in Dio, guardando però anche alla Terra, e soprattutto al fatto di affrontare quelle sfide, che vediamo tutti i giorni, dal punto di vista di Dio e con Dio.

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Kenya. Papa ai giovani: no alla corruzione, è un cammino di morte

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La corruzione che distrugge la persona, il radicalismo che affascina chi non ha prospettive di lavoro, il tribalismo che rende nemica gente di una stessa nazione. A questi temi posti dai giovani del Kenya ha risposto Papa Francesco nell’ultimo impegno pubblico vissuto nello Stadio Kasarani di Nairobi, prima di partire per l’Uganda. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Una festa non può che essere “Hakuna matata”, senza problemi né pensieri. E lo Stadio Kasarani gremito di ragazze e ragazzi è l’oasi della festa dopo il deserto dei diritti umani annidato fra le baracche di Kangemi. Canti, balli, l’allegria sugli spalti e sulla pista investono potenti e lievi Francesco al suo ingresso in papamobile. Anche il presidente Kenyatta, sua moglie, il capo della comunità islamica, religiosi, giovani improvvisano un “trenino” a tempo di musica che emoziona e lascia stupiti i non africani.

Le domande dei giovani
L’allegria è però un sipario che viene scostato per lasciare spazio all’ascolto composto quando sul palco dove siede Francesco salgono due giovani che con le loro testimonianze mettono il dito in alcune piaghe del Paese – corruzione, tribalismo, la seduzione che il radicalismo esercita sui giovani – chiedendo al Papa il modo per curarle.

Il tarlo del tribalismo
Francesco accantona il discorso preparato e in spagnolo affronta i temi uno a uno, con intensità, ampiezza e la consueta efficacia espressiva. Il tribalismo, comincia, sono due mani “nascoste dietro la schiena” che stringono pietre da scagliare “contro l’altro”, mentre ciò che lo vince - e lo dimostra invitando tutti a stringersi la mano - e un confronto rispettoso vissuto "tutti i giorni":

“Il tribalismo si vince soltanto con l’ascolto, con il cuore e con la mano. Con le orecchie: qual è la tua cultura? Perché sei così? Perché la tua tribù ha questa abitudine, questo uso? La tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore e tendo la mano per continuare il dialogo. Se voi non dialogate e non vi ascoltate fra di voi, allora ci sarà sempre il tribalismo, che è come un tarlo che corrode la società”.

Lo zucchero della corruzione
Il capitolo della corruzione provoca come sempre nel Papa un empito di condanna e insieme di premura verso il giovane pubblico che può ancora salvarsi da questo cancro. Francesco racconta qualche aneddoto e ribadisce che “la persona corrotta non vive in pace”:

“Questo non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, incluso in Vaticano ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. E’ come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Invece di tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese finisce di ammalarsi di diabete… Ogni volta che accettiamo una ‘bustarella’, una tangente; ogni volta che accettiamo una 'bustarella' e ce la mettiamo in tasca, distruggiamo il nostro cuore, distruggiamo la nostra personalità e distruggiamo la nostra patria (...) Ragazzi e ragazze, la corruzione non è un cammino di vita: è un cammino di morte!”.

Educazione e lavoro contro il radicalismo
Una domanda riguarda l’uso dei media. Il Papa è spiazzante. “Il primo mezzo di comunicazione – dice – è la parola, è il gesto, è il sorriso”, è lo stare “vicini” a poveri e abbandonati: “Questi gesti di comunicazione – soggiunge – sono più contagiosi di qualunque rete televisiva”. Quindi, il discorso si sposta sui giovani affascinati e reclutati dal radicalismo che li trasforma in assassini:

“La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato o che cerchi di farsi reclutare è istruzione e lavoro. Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì entra l’idea di lasciarsi reclutare. Se un giovane non ha possibilità di ricevere una educazione, anche un’educazione di emergenza, di piccoli incarichi, che cosa può fare? Lì c’è il pericolo! E’ un pericolo sociale, che va al di là di noi, anche al di là del Paese, perché dipende da un sistema internazionale, che è ingiusto, che ha al centro dell’economia non la persona, ma il dio denaro”.

Fallimento e Risurrezione
Simpatico il modo col quale Francesco si rivolge al giovane Manuel, che definisce “teologo” per la profondità delle sue domande. La prima riguarda il modo in cui è possibile capire che “Dio è nostro Padre”, come scorgerne la presenza nelle tragedie della vita. Il Papa confida di conservare in tasca ciò che lo aiuta a non perdere “la speranza” ed estrae dalla tasca un Rosario e una scatolina contenente, dice, “la storia del fallimento di Dio”, le stazioni della Via Crucis:

“C’è una sola strada, guardare al Figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvare tutti noi. Dio stesso si è fatto tragedia. Dio stesso si è lasciato distruggere sulla Croce. E quando è il momento in cui non capite, quando siete disperati e quando il mondo ti cade addosso, guarda la Croce! Lì c’è il fallimento di Dio; lì c’è la distruzione di Dio. Ma lì c’è anche la sfida alla nostra fede: la speranza. Perché la storia non è finita in quel fallimento: c’è stata la Resurrezione che ha rinnovato tutti”.

Fate il bene che non avete ricevuto
La seconda domanda è per i giovani che non hanno mai conosciuto l’amore di una famiglia. Il Papa replica con il calore che sempre in lui suscita ogni aspetto dell’umanità sofferente e indica ai giovani la regola d’oro, il fare agli altri quello che non si è ricevuto:

“Difendete la famiglia! Difendetela sempre. Ovunque non solo ci sono bambini abbandonati, ma anche anziani abbandonati, che stanno lì senza che nessuno li visiti, senza nessuno che voglia loro bene (…) Se voi non avete ricevuto comprensione, siate comprensivi con gli altri. Se voi non avete ricevuto amore, amate gli altri. Se voi avete sentito il dolore della solitudine, avvicinatevi a quelli che sono soli. La carne si cura con la carne! E Dio si è fatto carne per curarci. Facciamo anche noi lo stesso con gli altri”.

La vita nuova che i giovani kenyani vogliono trapiantare nel loro Paese è stata simboleggiata dalle tre piantine presentate e benedette da Francesco. L’amore che nutrono per lui da una placca con su indicato il numero di Rosari recitati secondo le sue intenzioni. Il Papa ha ringraziato ricordando quale sia “l’unico difetto” di Dio: “Non può smettere di essere Padre”.

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I giovani del Kenya: Papa Francesco ci ha portato la speranza

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Grande festa allo Stadio Kasarani di Nairobi, per l'incontro di Papa Francesco con i giovani del Kenya. Adriana Masotti ha raccolto il commento di Jenifer Mpunza, una studentessa della capitale: 

R. – E’ stato commovente vedere come il Papa, quanto il Papa vuole bene ai giovani e come vorrebbe aiutare i giovani a saper fare le loro scelte. I giovani hanno fatto tante domande e la risposta che mi ha toccato di più è stata quella che parlava del tribalismo, che qui è molto forte. Quando incontri qualcuno, la prima domanda è: “Di dove sei? Di che tribù sei?”, ti senti un po’ a disagio. Però, quel gesto che il Papa ha fatto oggi è stato un gesto forte. Dopo aver detto: “Siete tutti figli di Dio, siete una Nazione!”, come segno – ha detto ancora – “alziamoci tutti in piedi e ci teniamo per mano, è un segno che noi siamo ‘un’ popolo!”. E’ stato forte, fortissimo! E ha detto anche questo: che noi siamo ‘uno’. Questo, per me, è stato un richiamo: che adesso in poi, quando incontro qualcuno, devo dare questa testimonianza, che siamo “una” famiglia, che siamo “un” popolo.

D. – Questo è venuto tanto in rilievo anche nell’incontro che il Papa ha avuto con i rappresentanti delle altre Chiese e anche delle altre religioni: anche il rappresentante dell’islam ha parlato, ha salutato il Papa …

R. – Quando c’è stato questo gesto del Papa, hanno inquadrato il presidente e accanto al presidente c’era un musulmano, che ha tenuto così le mani … Ma aveva un viso così … come uno che dicesse: “Finalmente! Finalmente …”, perché si sente che c’è questa sete di vivere una famiglia. Però, questa differenza è forte. Ma oggi credo che sia avvenuta una grazia. E ci credo e lo sento.

D. – I giovani sono stati al centro dei pensieri del Papa fin dall’inizio: per capire meglio, ci dici un po’ chi sono i giovani? Quali sono i loro principali problemi e le loro speranze?

R. – La grande sfida per i nostri giovani è il lavoro. Anche lo studio è una sfida. Non tutti riescono a studiare fino all’università; quando ci riescono, poi non trovano lavoro. Quindi, è una grande sfida che poi spinge i giovani a inserirsi in gruppi che prendono la droga o che rubano o che fanno brutte cose … che, poi, loro sono consapevoli di fare questo perché non hanno alternative, non hanno di che mangiare, non hanno nulla da fare … Però, le parole del Papa hanno portato speranza, anche perché c’erano anche le autorità: c’era il presidente e anche altre autorità. Quindi, mi sembra che ci sia un inizio. Il Papa, poi, a noi giovani ha lasciato da scegliere tra due cose: se vogliamo prendere i problemi come motivo di disperazione, cosa che ci rende impossibile fare qualsiasi cosa, o se vogliamo accogliere queste sfide come un trampolino di lancio, come un punto di partenza, come un’opportunità per vedere come affrontare queste sfide e come risolverle. Allora, subito io ho sentito che la cosa intelligente è raccogliere le sfide come un trampolino di lancio, per chiedermi: “Cosa voglio adesso? Cosa posso fare?”, e non farlo da sola. Perché c’è tanta solidarietà anche qua: per esempio, nella mia università, il mese scorso abbiamo fatto – per i giovani che non hanno la possibilità di studiare – una cosa che si chiama “harrambee”. “Harrambee” è una raccolta di soldi, di oggetti, di qualsiasi cosa per aiutare gli studenti che non hanno i soldi per pagare la scuola: quindi, la solidarietà c’è. Però, ci vuole un sostegno dagli adulti. Quando qualcuno ci dà le idee, vorremmo fare grandi cose, però non sappiamo da dove incominciare. Però, adesso, con questo incoraggiamento, con questa parola forte del Papa, ho visto – dall’esplosione dei giovani – che siamo partiti!

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Papa in Kenya: a conferenza sul clima non prevalgano interessi egoistici

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Si è conclusa con la visita al quartier generale dell’Onu la seconda giornata di Papa Francesco a Nairobi. Nel discorso alla comunità delle Nazioni Unite, impegnata sul Programma Ambiente dell’Organizzazione internazionale, il Papa ha ripetuto più volte di sperare che gli Stati sappiano mettere da parte gli interessi egoistici per fronteggiare il cambiamento climatico e correggere le distorsioni del modello di sviluppo attuale. Da Nairobi, la nostra inviata Adriana Masotti

Appello ai governi per la tutela del creato in vista della conferenza di Parigi
“Ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali”.

E’ la raccomandazione con cui il Papa inizia il suo discorso ricordando subito la Conferenza che inizierà il 30 novembre a Parigi sul clima. "Sarebbe triste e, perfino catastrofico, afferma Francesco, che gli interessi privati ​​prevalessero sul bene comune". I cambiamenti climatici, sostiene il Papa, sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali e “costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità».

Per cambiamento serve una cultura della "cura"
Il necessario cambio di rotta non si può realizzare però, sottolinea, senza un impegno nella formazione basata sulla cultura della cura: cura di sé, degli altri, dell’ambiente, al posto della cultura dello scarto che produce nuove forme di schiavitù come l’immigrazione forzata:

“E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa (…) non possiamo rimanere indifferenti davanti a questo”.

Vertice Organizzazione Mondiale Commercio prenda decisioni a servizio della casa comune
Francesco parla poi dei danni provocati dal rapido processo di urbanizzazione e, in merito all’imminente vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che si terrà proprio a Nairobi, auspica che le decisioni che verranno prese siano a servizio “della casa comune”.

Traffici illeciti crescono in contesti di povertà
Nell’ambito delle relazioni economiche tra gli Stati il Papa cita poi i traffici illeciti che crescono in un contesto di povertà:

“Il commercio illegale di diamanti e pietre preziose, di legname, quello di avorio con il conseguente sterminio di elefanti, alimenta l’instabilità politica, la criminalità organizzata e il terrorismo. Anche questa situazione è un grido degli uomini e della terra che dev’essere ascoltato da parte della comunità internazionale”.

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Caritas Internationalis: leader ascoltino discorso Francesco su clima

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Un messaggio potente in favore della cura della “casa comune”. Il discorso pronunciato da Papa Francesco alle Nazioni Unite di Nairobi ha avuto un forte impatto sulla comunità internazionale, a pochi giorni dall’apertura della Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico (COP21). Alessandro Gisotti ha raccolto al riguardo il commento di Adriana Opromolla, responsabile di Caritas Internationalis per le politiche in tema di sicurezza alimentare e cambiamento climatico e delegata dell’organismo caritativo alla Conferenza di Parigi: 

R. – Attraverso questo discorso molto potente il Santo Padre ha richiamato proprio alla responsabilità delle scelte umane. Ha detto che abbiamo una scelta molto chiara di fronte: quella di migliorare l’ambiente o distruggerlo. In secondo luogo, attraverso questa sua parola così forte, “catastrofico”, ci richiama all’urgenza del tema ambientale, all’importanza del tema del cambiamento climatico e più in generale della cura del Creato in cui viviamo. Il messaggio del Papa è stato dunque un monito chiarissimo all’urgenza del problema e alla grande responsabilità che incombe.

D. – Papa Francesco ha anche sottolineato un aspetto: “la riduzione dell’impatto del cambiamento climatico, la lotta contro la povertà e il rispetto della dignità umana sono interdipendenti”…

R. – Certamente. Siamo assolutamente d’accordo e lo sosteniamo da anni ormai proprio attraverso le esperienze delle organizzazioni Caritas in tutto il mondo, che vedono concretamente l’impatto del cambiamento climatico sul terreno. Le posso raccontare, ad esempio, dell’esperienza particolarmente forte nelle piccole isole dell’Oceania, in cui l’innalzamento del mare ha raggiuto livelli ormai di minaccia vera e propria alla vita degli abitanti. Per non parlare poi ovviamente del problema della desertificazione, della siccità in molte altre zone del pianeta, nelle fasce più aride, in cui ci si rende conto ormai che il cambiamento climatico può distruggere addirittura decenni di lavoro e di sforzi per lo sviluppo. Uno dei nostri messaggi che fa eco proprio alla voce del Santo Padre è che ormai non si può più scegliere tra la salvaguardia del pianeta - e quindi la protezione del clima - e la lotta alla povertà. Assolutamente no! Le due cose sono strettamente legate e noi crediamo che un’azione climatica lungimirante, una lotta al cambiamento climatico veramente radicale sia anche un’azione chiave per la lotta alla povertà, alla fame, alla malnutrizione, alla diseguaglianza.

D. – Lei è in partenza per Parigi, dove parteciperà alla Conferenza sul clima. Ritiene che l’Enciclica "Laudato si’", che ha ricevuto una grande accoglienza nelle comunità internazionale ed è stata perfino citata anche da presidenti come Barack Obama in alcuni suoi discorsi relativi al clima e ora questo intervento vibrante dall’Africa, possa aiutare a dare una spinta affinché questa conferenza non finisca, come il Papa ha detto in altre occasioni, con “un nulla di fatto”?

R. – Nelle passate fasi di negoziato sul cambiamento climatico che abbiamo seguito da vicino, ci siamo resi conto che tutti i Paesi ormai, tutti i rappresentanti dei governi erano al corrente dell’Enciclica. Quest’ultima è stata sicuramente ascoltata, anche perché tutta la Chiesa cattolica, in tutte le sue articolazioni, si è molto spesa attraverso azioni di sensibilizzazione, di comunicazione per la trasmissione del messaggio. Adesso, la sfida finale rimane quella di vedere che cosa prevarrà nelle fasi finali dei negoziati. Fino all’ultimo, in effetti, il nostro ruolo e la nostra responsabilità sarà di seguire, di essere presenti in queste fasi negoziali in cui, purtroppo, è sempre possibile che interessi particolari si infiltrino e impediscano l’assunzione di scelte orientate verso il bene comune e orientate invece alla tutela, alla protezione di interessi particolari.

D. – Per altro Caritas Internationalis sarà presente alla Conferenza di Parigi in modo molto significativo…

R. – Sarà una presenza molto significativa in quanto sarà molto diversificata. Saremo infatti presenti con una delegazione numerosa, con persone provenienti da tutto il mondo. Avremo infatti, oltre alla Caritas francese che ci ospita, rappresentanti provenienti dall’America Latina – dalla Bolivia, dal Messico, dal Perù, dal Brasile – ma anche dalla Spagna, dalla Norvegia, dall’Europa, dal Guatemala e dall’Africa attraverso la presenza di rappresentanti del Malawi e del Ghana. Riteniamo particolarmente significativo che tutte queste voci siano presenti a Parigi per portare la prospettiva dei poveri nei loro contesti nazionali e l’esperienza del cambiamento climatico nei loro rispettivi Paesi, proprio per simboleggiare quanto il problema riguardi veramente tutti e quanto sia importante reagire.

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Francesco ai religiosi: non seguite Gesù per ambizione o interesse

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Nella sequela di Gesù si entra “dalla porta”, “non dalla finestra”. Papa Francesco è ricorso a questa immagine, parlando ieri al clero e ai religiosi del Kenya incontrati nella Saint Mary School di Nairobi, per sottolineare quanto sia importante la vita consacrata. Quindi, ha avvertito che non bisogna seguire Gesù per ambizione o interesse personale ed ha ribadito che la Chiesa non è un’impresa e che tutti i discepoli di Cristo sono chiamati a servire gli altri, non a servirsi del prossimo. L’intervento del Papa, tutto a braccio in spagnolo, è stato preceduto dal saluto di mons. Anthony Ireri Mukobo, presidente della Commissione per il clero e i religiosi della Conferenza episcopale del Kenya e da due testimonianze. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un nuovo passo per donare a tutti quella gioia piena che solo la misericordia del Signore può dare. E’ questa la cifra del breve, ma intenso incontro che Francesco ha avuto con sacerdoti e religiosi del Kenya, a cui ha parlato a braccio lasciando il testo preparato per l’occasione. Un evento che ha incoraggiato i consacrati keniani a proseguire nel loro cammino con il Popolo di Dio, specie al fianco dei più sofferenti. Proprio su questo si è incentrata la testimonianza di suor Michael Marie Rottinghous, presidente delle religiose del Kenya:

“Our commitment is to relentlessly…”
“Il nostro impegno – ha detto – è quello di promuovere, senza sosta, la dignità di ogni persona umana, senza distinzione di etnia o religione”. Le suore, ha proseguito, “sono il segno tangibile della presenza di Dio”, della sua “vicinanza e calore verso i più bisognosi”. Dal canto suo, il reverendo Felix J. Phiri, presidente della Conferenza dei Superiori del Kenya, si è soffermato sul tema particolarmente caro al Papa della cura del Creato:

“We need a conversation which includes everyone…”
“Abbiamo bisogno – ha affermato – di un dibattito che includa tutti, giacché la sfida ambientale che stiamo affrontando, e le sue radici umane, riguardano tutti noi”. Quindi, ha ribadito, richiamando la Laudato si’, che è dovere di ogni cristiano collaborare con tutti per custodire “la casa comune”.

Non si entra nella vita consacrata “dalla finestra”
Nel suo intervento, a braccio in spagnolo dopo alcune parole iniziali in inglese, Francesco si è soffermato sulla vocazione, su come inizia il cammino preparato dal Signore per i consacrati:

“En el seguimiento de Jesucristo, sea en el sacerdocio…
Nella sequela di Gesù Cristo, sia nel sacerdozio che nella vita consacrata, si entra dalla porta! E la porta è Cristo! E’ Lui che chiama, è Lui che comincia, è Lui che fa il lavoro. Ci sono alcuni che vogliono entrare dalla finestra… Ma questo non serve. Per favore, se qualcuno ha qualche compagno o qualche compagna che è entrato dalla finestra, abbracciatelo e spiegategli che è meglio che vada via e che serva Dio da un’altra parte, perché non arriverà mai a termine un’opera che Gesù che non ha avviato Lui stesso attraverso la porta”.

Nella Chiesa non c’è posto per la propria ambizione
E questo, ha soggiunto, “ci deve portare ad una consapevolezza di persone scelte”. Ci sono alcuni, ha constatato, “che non sanno perché Dio li chiama. Però sentono che Dio li ha chiamati”. “Andate tranquilli – è stato l’incoraggiamento di Francesco – Dio vi farà capire perché vi ha chiamati”. Ci sono, invece, “altri che vogliono seguire il Signore per qualche interesse”. E questa, ha ammonito, “è la tentazione di seguire Gesù per ambizione: l’ambizione del denaro, l’ambizione del potere”. Una tentazione che è stata seminata nel cuore ed è cresciuta “come una erba cattiva”:

“En la vida del seguimiento de Jesús no hay lugar ni para la propia ambición…
Nella vita della sequela di Gesù non c’è posto né per la propria ambizione, né per le ricchezze, né per essere una persona importante nel mondo. Gesù si segue fino all’ultimo passo della sua vita terrena, ovvero la Croce. Poi Lui pensa a risuscitarti, ma fino a quel punto devi arrivarci tu…. E questo ve lo dico seriamente, perché la Chiesa non è una impresa, non è una Ong. La Chiesa è un mistero: è il mistero dello sguardo di Gesù su ognuno di noi che dice ‘Vieni! Seguimi!’".

Se un sacerdote non sa piangere, qualcosa non funziona
“Quindi – ha ribadito – questo è chiaro: chi chiama è Gesù, quelli che Gesù chiama devono entrare dalla porta e non dalla finestra! E poi bisogna seguire il cammino di Gesù”. Evidentemente, ha ribadito, “quando Gesù ci sceglie, non ci canonizza”. Ed ha avvertito che tutti siamo “peccatori” dal Papa in giù. Quindi, Francesco ha sottolineato quanto siano importanti le lacrime nella vita di un consacrato:

“Nunca dejen de llorar. Cuando a un sacerdote…
Non smettete mai di piangere. Quando a un sacerdote, un religioso, una religiosa si asciugano le lacrime, c’è qualcosa che non funziona. Piangere per le proprie infedeltà, piangere per il dolore del mondo, piangere per la gente che è scartata, per gli anziani abbandonati, per i bambini assassinati, per le cose che non capiamo; piangere quando ci chiedono perché. Nessuno di noi ha tutti i ‘perché’ nessuno di noi ha tutte le risposte ai perché”.

Non smettete mai di pregare, altrimenti la vostra anima si secca
Il Papa ha confidato che quando incontra dei bambini malati di cancro, non ha una risposta a questo. “Soltanto – ha affermato – guardo Gesù sulla Croce. Ci sono situazioni nella vita che ci portano soltanto a piangere, guardando Gesù sulla Croce. E questa è l’unica risposta a certe ingiustizie, a certi dolori, a certe situazioni difficili della vita”. Ancora, ha messo l’accento sull’importanza della relazione con Gesù, osservando che se un consacrato dimentica Cristo cade “in un peccato molto brutto”, che fa “orrore a Dio”: il “peccato della tiepidezza”. Ha invitato così sacerdoti e religiosi a non smettere mai di pregare:

“Padre, pero a veces es tan aburrido orar, uno se cansa, se duerme...
‘Padre, però, qualche volta è così noioso pregare… Ci si stanca, si ci addormentata…’; ‘Va bene dormite davanti al Signore: è un modo di pregare. Ma rimanete lì, davanti a Lui. Pregate! Non lasciate la preghiera! Se un consacrato lascia la preghiera, l’anima si secca, si inaridisce, come questi rami secchi che sono brutti, che hanno un aspetto brutto. L’anima di una religiosa, di un religioso, di un sacerdote che non prega è un’anima brutta! Perdonatemi, ma è cosi…”.

E li ha incoraggiati a togliere tempo alla tv o al sonno, ma non alla preghiera. Francesco non ha poi mancato di rivolgere il pensiero ai più poveri, agli “scartati”, “i più lontani dalla società”. E ancora una volta ha chiesto ai sacerdoti di essere ministri di una Chiesa che - come i missionari - serve e non si serve degli altri. Infine, il Papa ha ringraziato tutti i membri del clero “per ogni carezza di tenerezza” data a quanti ne hanno bisogno e perché si sono “lasciati aiutare e correggere e perdonare ogni giorno”.

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Padre Lombardi: grande vitalità della Chiesa in Kenya

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Al termine della giornata di ieri a Nairobi, Adriana Masotti ha intervistato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al seguito del Papa, a partire dall’incontro con il clero e i religiosi del Kenya: 

R. – Ma, io sono stato molto colpito da questo incontro, perché dava il segno chiaro della vitalità della Chiesa missionaria qui, in Kenya. Un numero impressionante di religiose e religiosi, sacerdoti, seminaristi – sotto quella tenda ci saranno state 8 mila persone, e sono ancora di più, mettendole insieme tutte – che danno la loro vita per l’annuncio del Vangelo e per una grande quantità di attività straordinarie nel campo dell’educazione: si parla di oltre 8 mila scuole, di attività nel campo della salute, ci sono gli ospedali, i dispensari, le cure di tutte le persone in difficoltà, ci sono quelli che si occupano di curare i malati di aids – e ci sono anche le attività di carità e di presenza con gli emarginati … Veramente, è una cosa molto bella! Si vede la Chiesa nella sua vitalità, nelle persone che poi hanno dedicato la loro vita. E il Papa, in questi momenti è accolto con grandissimo entusiasmo, naturalmente, da persone che amano profondamente il Signore e la Chiesa e entra in sintonia con loro e quindi è normale che non faccia un discorso formale, non legga un discorso formale preparato, anche se la preparazione è sempre utile per far circolare delle idee, raccoglierle e così via … Però, quando ci si trova nella situazione del rapporto diretto con delle persone così calde, così entusiaste, il Papa sente sempre la necessità di rivolgersi a loro dal cuore, con dei temi che gli sono cari: che magari noi abbiamo già sentito anche altre volte in situazioni analoghe, ma sono sempre detti con la vivacità della prima volta, cose che sono dette dal cuore per le persone che sono lì, presenti: l’amore per Gesù Cristo, l’idea del servizio e del non farsi servire, la preghiera, il ricordarsi del Signore, il rifiutare ogni forma di mondanità, di ricerca di successo perché invece uno si dedica completamente a Dio e al servizio degli altri … Insomma, sono temi molto belli che poi il Papa sa esprimere con concretezza, come quando dice, appunto: “Bisogna entrare da Gesù, che è la porta, e non entrare dalla finestra. Bisogna entrare sempre dalla porta centrale, che è Gesù Cristo: le altre vie che non sono genuine, vanno lasciate da parte”. E quindi ha sempre un grande successo, perché le persone sentono la sua vicinanza e la sua sincerità. Io l’ho trovato un incontro veramente bellissimo e sono quasi sempre così, devo dire: ricordo anche gli incontri in Albania, con le persone che avevano sofferto sotto il comunismo … Ogni Paese ha la sua specificità. Ma qui, questi missionari e gli africani e le africane, che sono un po’ il frutto dell’evangelizzazione, danno un senso di gioia, di canto, di vivacità particolarmente entusiasmante.

D. – Tanta concretezza mi è sembrata anche nel discorso alle Nazioni Unite: un discorso molto ampio, completo … Ha parlato di commercio equo, ha parlato di traffici illeciti, del clima, della salvaguardia della natura, della Terra. Mi sembrava che la preoccupazione – o meglio – l’appello fosse alla comunità internazionale, agli Stati: “Cambiate rotta, perché così non è possibile andare avanti!”…

R. – Sì: in questo senso, questo discorso si poneva in continuità diretta con l’enciclica “Laudato si’”, con il discorso alle Nazioni Unite di New York, con altri interventi che il Papa ha fatto sulle tematiche del rapporto tra la buona amministrazione dei beni di questa Terra, della Creazione e la giustizia. Quindi questa impostazione molto caratteristica, questa sintesi splendida che il Papa ha saputo fare delle due dimensioni: la responsabilità verso la Creazione, la Natura è strettamente connessa con la responsabilità verso le persone che abitano la Casa comune, verso i popoli,  verso le persone che devono usare le risorse delle creature per vivere degnamente, per vivere giustamente, per vivere in pace e in armonia con la Creazione e con gli altri. Allora, questa è una linea che noi conosciamo ma che sempre di più dimostra la sua efficacia e il suo valore. Teniamo conto che qui, nella sala di Nairobi, avevamo esattamente i rappresentanti di tutti i popoli che si incontrano in questa sede specifica delle Nazioni Unite per discutere i problemi dell’ambiente e dell’habitat: quindi erano proprio gli interlocutori diretti di questo tipo di discorso e potevano capirne in modo particolare la vivacità e l’attenzione. Poi c’è stato anche, però, qualche aspetto aggiuntivo: per esempio, i temi del commercio, i temi dell’attenzione negli accordi commerciali che riguardano i farmaci, a tenere conto delle necessità della cura dei poveri che magari non erano stati così sviluppati in altri discorsi del Papa. E poi, questi aspetti un po’ più africani: il riferimento, per esempio, alla biodiversità nel bacino fluviale del Congo, del bracconaggio o del contrabbando e del commercio illecito di pietre preziose o di prodotti animali o dell’avorio con la strage degli elefanti che toccano molto queste aree dell’Africa e che quindi hanno dato proprio un tono di attenzione specifica al luogo e a questi luoghi in cui il Papa si trova . Però, come ha detto giustamente uno dei tre direttori che hanno accolto il Papa: “Qui, dal cuore dell’Africa, il Papa parla a tutto il mondo!”. Quindi, questa tematica ambientale e di buon equilibrio tra le ricchezze della Creazione, la giustizia e lo sviluppo buono dei popoli sono state dette dal cuore di un Continente che ha un estremo bisogno di questi messaggi, al mondo intero.

D. – Nell’incontro del Papa con i rappresentanti delle altre Chiese cristiane e delle altre religioni, di nuovo il Papa ha detto: “Il dialogo è essenziale” …

R. – Sì: questa è anche una costante di tutti i viaggi del Papa. Attorno al Papa vediamo che i leader delle diverse confessioni cristiane e delle diverse religioni si incontrano, e si incontrano molto volentieri; sentono nel Papa un riferimento che non dà loro soggezione, ma li entusiasma a coltivare insieme la responsabilità per il servizio comune, come leader religiosi, al bene comune dei popoli che loro servono. E quindi, il dialogo interreligioso e tra le diverse confessioni cristiane porta alla pace, porta alla buona educazione dei giovani ai valori della convivenza, della pace e dello spirito, della dignità della persone e aiuta a resistere, invece, alle tentazioni di un materialismo che li porta verso le tentazioni della violenza, dell’estremismo, del perdere la loro vita dietro alle droghe o dietro a false promesse di felicità. Questo i leader religiosi lo sentono come una responsabilità comune e il Papa è capacissimo di incanalare questa energia comune delle persone che credono in Dio e amano Dio verso questi obiettivi fondamentali dell’umanità e dei popoli e qui, anzi, anche dei popoli africani.

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Papa in Uganda. Mons. Zziwa: con lui ricordiamo i nostri martiri

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Poco più di un'ora di volo ha permesso a Papa Francesco di coprire i 500 km dal Kenya all'Uganda, seconda tappa del suo viaggio apostolico. Il volo papale è atterrato allo scalo internazionale di Entebbe podo dopo le 15, ora italiana, dove si è svolta la cerimonia di benvenuto. A seguire, la visita di cortesia al presidente Museveni e l'incontro con le autorità ugandesi e il Corpo diplomatico. In serata la visita a Munyonyo per un saluto a catechisti e insegnanti. Domani, a Kampala, uno dei momenti centrali del viaggio vedrà il Papa in preghiera al Santuario di Numugongo, che sorge sul luogo del martirio di San Carlo Lwanga e dei suoi compagni, avvenuto nel 1886. Al microfono dell'inviata Linda Bordoni, il vicepresidente della Conferenza episcopale ugandese, mons. Joseph Anthony Zziwa, ricorda la prima visita di Paolo VI e descrive la situazione attuale del Paese: 

R. – In our pastoral letter which, as bishops, we have written to people in Uganda and even beyond…
Nella lettera pastorale che noi, come vescovi, abbiamo scritto al popolo dell’Uganda, e non solo, per prepararlo a questa visita, la prima frase dice: “Noi siamo orgogliosi che il Papa venga in Uganda!”. Il primo Papa era stato Paolo VI nel 1969, che era venuto per visitare il Paese originario dei Martiri dell’Uganda, che proprio lui aveva canonizzato nel 1964. Ecco, quindi Papa Paolo VI è stato il primo Papa a venire nell’Africa subsahariana, nei nostri giorni, nel 1969, è venuto di proposito a visitare il Paese dei Martiri. Nel 1993, poi, venne Giovanni Paolo II, e venne per la stessa ragione. Papa Francesco è il terzo Papa che viene da noi: l’abbiamo invitato lo scorso anno per venire a celebrare con noi il 50.mo anniversario della Canonizzazione dei Martiri ugandesi.

D. – La situazione, dai tempi dei martiri, è ovviamente cambiata. Oggi, la Chiesa in Uganda è bene accetta dal governo, anche perché è un forte sostegno sociale, in quali ambiti è soprattutto impegnata?

R. – We don’t only preach the word of God…
Noi non solo predichiamo la Parola di Dio, ma predichiamo quella Parola di Dio alla persona nella sua interezza. Così, la Chiesa, oltre che nell’insegnamento della religione, è molto impegnata in diverse attività sociali: istruzione, assistenza sanitaria e opera sociale: ecco, io sottolineerei queste tre categorie. E va avanti così fin dall’avvento del cristianesimo. Sono stati gli stessi missionari a istituire queste tre categorie di azione, costruirono scuole, ospedali, che si chiamavano “centri per la salute”, e che svolsero grande opera sociale tra le persone per sollevare il loro standard di vita. E la Chiesa continua a fare la stessa cosa ancora oggi.

D. – Sicuramente, la visita del Papa darà grande slancio ai cattolici, ma anche ai non cattolici, a tutti…

R. – To all people. I am a member of the organizing committee which is composed of both…
A tutte le persone sicuramente. Io sono membro del comitato organizzatore che è composto da rappresentanti del governo e della Chiesa e vedo l’unità di intenti: lavoriamo insieme tutti, cattolici e non cattolici, alla preparazione della visita del Papa.

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Centrafrica: i bambini raccontano col canto le loro speranze di pace

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In occasione della visita di Papa Francesco nella Repubblica Centrafricana, il 29 e il 30 novembre, l’Unicef  locale ha organizzato un concorso canoro tra ragazzi del Paese affinché raccontassero con parole loro l’esperienza della guerra che sta distruggendo il tessuto sociale della nazione. Il brano vincitore è stato lanciato in questi giorni. Ce ne parla Jean-Baptiste Sourou:

Ciò che i loro occhi vedono, ciò che le loro orecchie sentono, ciò che li fa gioire o li fa soffrire, i bambini non usano mezzi termini per raccontarlo. Ed è questo che da forza al brano musicale scritto dai ragazzi della Repubblica Centrafricana. A tre anni  dall’inizio delle violenze nel  loro Paese, un milione e mezzo di loro hanno urgente bisogno d’ assistenza umanitaria.  Sono le prime vittime dell’odio, del rancore e della distruzione selvaggia di beni.  La guerra ha un effetto devastante sulle loro vite e il loro futuro, dice l’Unicef.

Per questo  cantano: nascosti nella foresta, i bambini sono maltrattati, non hanno cibo, non sono curati.  Allora chiedono agli adulti: “Perché tu, mio fratello, perché tu, mia sorella, seminate il terrore nel nostro Paese? I bambini hanno troppo sofferto. Alcuni sono orfani, altri sono diventati bambini di strada. Alcuni sono sequestrati , altri arruolati come bambini soldati. I nostri padri sono uccisi, le nostre madri sono violentate. Non sappiano nemmeno dove sono sepolti. Abbiamo perso i nostri beni più cari. La guerra non è una buona cosa. Vogliamo che la pace ritorni nel nostro Paese”.

Segue l’invito a tutta la popolazione: “Fratelli e sorelle cristiani e musulmani, ricordatevi che siamo tutti figli della stessa nazione, la Repubblica Centrafricana.  Noi non vogliamo diventare dei ladri o dei mendicanti.  Cosa volete che diventiamo domani? Cessate di distruggere il nostro Paese e le nostre vite. Non chiediamo altro che la pace e ancora la pace per poter ritornare a scuola”.

Scritto dai bambini, il testo è stato messo in musica da artisti professionisti e l’insieme è davvero un capolavoro musicale e un richiamo ad agire ora.

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Nomine episcopali in Canada e Vietnam

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In Canada, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Whitehorse il sacerdote Héctor Vila, rettore del Seminario Redemptoris Mater di Toronto. Il presidente Héctor Vila è nato a Lima (Perú) il 17 settembre 1962. A Lima ha compiuto gli studi primari e buona parte di quelli secondari. All’età di 17 anni, nel 1979, insieme al padre è emigrato in Canada, dove ha concluso gli studi secondari presso l’Emery Collegiate Institute di Toronto. Successivamente ha intrapreso gli studi Universitari di ingegneria meccanica presso il George Brown College di Toronto, conseguendo il diploma nel 1986. E’ quindi assunto come assistente presso la Missal Toolimg Ltd. Nel 1987, ha iniziato  a frequentare il Cammino Neocatecumenale e un anno dopo ha intrapreso gli studi di Filosofia e Teologia presso la University of Toronto, completati, poi, presso il Seminario Redemptoris Mater di Roma (1989-1995). È stato ordinato sacerdote il 14 maggio 1995 da Papa San Giovanni Paolo II ed incardinato a Roma. Dopo l’ordinazione, ha svolto i seguenti incarichi pastorali e amministrativi: 1995-1998: Ministero pastorale presso le parrocchie romane di S. Ireneo e di S. Patrizio; 1999: per alcuni mesi Amministratore della parrocchia St. Norbert  di Toronto;  dal 2000: Rettore del Seminario Redemptoris Mater di Toronto.

In Vietnam, il Papa ha nominato coadiutore della diocesi di Bà Rịa, il sacerdote Emmanuel Nguyễn Hồng Sơn, finora vicario generale della medesima Diocesi. Mons. Hồng Sơn è nato il 2 gennaio 1952, a Biên Hòa, nella provincia di Đồng Nai, nel Vietnam meridionale. Ha ricevuto la formazione sacerdotale dal 1961 al 1971 nel Seminario minore di Saigon, e poi dal 1971 al 1977, nel Pontificio Collegio San Pio X di Đà Lạt. È stato ordinato sacerdote il 31 dicembre 1980 per la Diocesi di Xuân Lộc. Dal 2005 è incardinato nella nuova Diocesi di Bà Rịa. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1981-1991:      Parroco della parrocchia di Bình Sơn; 1991-2001: Parroco della parrocchia di Phước Lễ; 1994-2001:         Decano Foraneo del Vicariato foraneo di Bà Rịa; 2001-2006:       Studi per la Licenza in Teologia Dogmatica presso l’Institut Catholique de Paris; dal 2006: Rettore del Seminario Minore St Thomas di Bà Rịa, Responsabile della formazione permanente del clero diocesano di Bà Rịa, Membro della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede; dal 2009: Segretario del Consiglio presbiterale della Diocesi; dal 2011: Vicario Generale della medesima Diocesi.

La Diocesi di Bà Rịa (2005), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Hochiminh Ville. Ha una superficie di 1.988 kmq e una popolazione di  1.427.024  di abitanti, di cui 254.302 sono cattolici. Ci sono 84 parrocchie, servite da 172 sacerdoti (107 diocesani e 65 Religiosi), 282 Fratelli e 517 Religiose. I seminaristi maggiori sono 72. L’Ordinario della Diocesi di Bà Rịa è S.E. Mons. Thomas Nguyễn Văn Trâm, nato il 9 gennaio 1942.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per una vita autentica: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa in Africa.

Uniti contro l'Is: si rafforza l'asse tra Hollande e Putin.

Dramma Mediterraneo: sei bambini morti annegati nel naufragio di due barconi.

Al cuore della Trinità: Nicola Ciola sull'ottavo centenario del Concilio Lateranense IV. 

Una lucerna sempre accesa: il vescovo di Piacenza-Bobbio su san Colombano e l'Europa di ieri e di oggi.

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Oggi in Primo Piano



A Parigi, toccante commemorazione delle vittime del terrorismo

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“La Francia farà di tutto per sconfiggere il terrorismo”. Lo ha detto stamani il presidente francese, Francois Hollande, alla toccante cerimonia a Parigi, in memoria delle vittime degli attentati del 13 novembre. Dalla capitale francese, il servizio di Francesca Pierantozzi

L’omaggio a Les Invalides, il più alto onore che la Francia riserva ai suoi morti. In genere è qui che si celebrano i funerali dei soldati morti in guerra. Ma oggi, fatto rarissimo, l’omaggio è stato per vittime civili. Quasi tutti i morti erano intorno ai 30 anni, ragazzi e ragazze, uccisi nelle stragi del 13 novembre. E’ stato un momento di raccoglimento, di grande emozione, l’omaggio nazionale voluto dal presidente Francois Hollande, davanti a circa tremila persone, il governo, ex presidenti della Repubblica, rappresentanti di tutti i partiti politici, ambasciatori, ma soprattutto gli amici e i parenti delle 130 vittime ed anche alcuni dei feriti. La cerimonia è durata meno di un’ora.

E’ cominciata con la Marsigliese e poi canzoni di varietà, per celebrare questo modo di vivere alla francese, che i terroristi hanno voluto colpire - una canzone di Jacques Brel, "Quand on n'a que l'amour"; un’altra di Barbara, “Perlimpinpin”, contro la guerra - e poi il discorso di Hollande, sobrio, molto umano: “La Francia sarà al vostro fianco – ha detto ai famigliari delle vittime e ai feriti – riuniremo le nostre forze per lenire il vostro dolore”. “La Francia - ha aggiunto - farà tutto per distruggere l’esercito di fanatici, che ha commesso questi atti di barbarie”. Hollande ha reso omaggio a questa generazione, queste 130 vite strappate, e ha detto: “Questa generazione è diventata il volto della Francia”. “Le vittime del 13 novembre – ha detto ancora il presidente – incarnavano i nostri valori, e il nostro dovere è ora più che mai di far vivere questi valori. Non cederemo – ha aggiunto – né alla paura né all’odio”.

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Jet russo abbattuto: Turchia chiede incontro a Putin il 30 novembre

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Lotta al terrorismo del sedicente Stato islamico: si continua a cercare l’accordo per una coalizione allargata tra Russia, Europa e Stati Uniti e per un coordinamento dei raid contro postazioni e fonti di finanziamento dei miliziani. Intanto la Turchia prova ad allentare la tensione con la Russia dopo l’abbattimento di un suo jet, ma Mosca non sembra volerne sapere e rivendica il diritto ad una risposta militare. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Circa 7-8 ore dopo l’abbattimento del jet russo al confine tra Siria e Turchia, martedì scorso, Ankara avrebbe tentato di contattare il Cremlino. Lo aveva detto giovedì il Presidente Erdogan, lo conferma oggi la presidenza russa senza specificare se il dialogo sia poi effettivamente avvenuto. Di certo oggi Erdogan ha chiesto a Putin un colloquio lunedì prossimo a margine della Cop 21 a Parigi, perché giudica "inaccettabili" le critiche e le accuse del Cremlino dopo l’incidente aereo. Ma Mosca tira dritto e ribadisce: "le autorita' turche hanno superato il limite dell'accettabile” e poi il governo incalza spingendosi a rivendicare il diritto ad “una risposta militare”. Nulla cambia invece sul fronte dell’impegno russo anti Is in Siria. Sì alla cooperazione con l’occidente, ha ribadito ieri Putin all'omologo francese Hollande e sì all’incremento dello scambio di informazioni di intelligence, anche se manca l'accordo sul futuro di Assad. Appoggio diretto alla Francia è arrivato intanto dalla Germania, con la promessa della cancelliera Merkel di tornado e una nave fregata nel Mediterraneo, e dal Regno Unito, anche se, in questo caso, l’impegno del premier Cameron deve ottenere ancora il sì dei laburisti a Westmister che non sembra scontato. Nel quadro di un impegno collettivo contro il terrorismo si iscrive anche l’incontro di oggi a Roma tra il premier Renzi e il vicepresidente Usa Biden che poi vedrà anche il capo della diplomazia vaticana l'arcivescovo Paul Richard Gallagher. Col governo italiano emerge una piena sintonia di vedute contro l'Is nel Mediterraneo e nei teatri mediorientali.

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Caritas Triveneto: il territorio fatica ad accogliere, andiamo avanti

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"Masse di stranieri ci stanno invadendo". Lo ha scritto il "Veneto Fronte skin" sul proprio sito rivendicando la partecipazione al blitz nella notte del 24 novembre a diverse sedi della Caritas nel Nord Italia. Manifesti funebri e sagome di cadaveri con i colori della bandiera italiana contro lo Ius soli. Alessandro Guarasci ha sentito don Marino Callegari delegato delle Caritas del Triveneto: 

R. – C’è quello sguardo che noi diciamo pedagogico, educativo, rispetto a un’emergenza che stiamo vivendo nel territorio che in primis è quella dei richiedenti asilo, che noi chiamiamo normalmente rifugiati, ed è  il lavoro che facciamo nelle nostre territoriali. Credo che sia questa la modalità oggi che ha trovato la sua più forte visibilità in queste “manifestazioni notturne”. I direttori delle Caritas si sono trovati poi manifesti di tipo funebre nei loro porti o queste sagome di bandiera tricolore per terra. Ma questo atteggiamento dice anche, credo, un malessere più ampio, dice anche una fatica e una difficoltà che oggi i nostri territori fanno nel rielaborare pensieri e nell’accogliere le persone, soprattutto i migranti.

D. – Ma questo cosa vuol dire? Che il benessere del Triveneto ha reso anche più duri i cuori e le menti?

R. – Riguardo a questo non occorreva che ci fossero queste manifestazioni per collegare una situazione per cui adesso dire di benessere potrebbe sembrare una parola molto forte. Sicuramente, il Nordest è stato un luogo di benessere economico: le ricerche che sono state fatte ci dicono che a fronte di un grande benessere economico, che abbiamo vissuto ad esempio in tutti gli anni Novanta, nel primo decennio del Duemila non c’è stato un progresso culturale e anche solidaristico. Io direi che più che il benessere oggi è la fatica economica che anche il Nordest sente, prova. Mi verrebbe da dire che, rispetto al nostro lavoro, è più la situazione di precarietà che origina e ha originato anche nel nostro territorio la fatica dell’accoglienza.

D. – Quanto incidono secondo lei imessaggi negativi che arrivano da alcune forze politiche, che magari anche nel Triveneto hanno radici forti?

R. – Io credo incidano molto, senza voler poi entrare nello specifico… In questi giorni, mi sono sentito con i miei colleghi, direttori Caritas nelle sedi dove ci sono state le manifestazioni. Noi stiamo tastando il polso della situazione quando nelle parrocchie, nei consigli di quartiere, nelle assemblee comunali, proponiamo, manifestiamo e diciamo come svolgere l’accoglienza. Rispetto a questo, il polso della situazione l’abbiamo proprio nel contatto quotidiano rispetto alle nostre comunità – comunità cristiane e comunità civili – che indubbiamente anche nel nostro Nordest a vocazione solidaristica mostrano fatiche e difficoltà non indifferenti e anche come Chiesa su questo qualche riflessione dovremo farla.

D. – Per chiudere, voi comunque non arretrate…

R. – Neanche di un metro! Anzi, per molti aspetti direi che è qui che si gioca la capacità educativa di un organismo pastorale come la Caritas che non fa solo assistenza, che non si propone di fare solo assistenza, ma di far crescere la cultura dell’accoglienza nella comunità ecclesiale e in quella civile.

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Istat: in Italia denatalità diffusa in tutto il Paese

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In Italia, nel 2014, sono stati iscritti all’anagrafe per la nascita 502.596 bambini, quasi 12 mila in meno rispetto al 2013. E quanto emerge dal rapporto diffuso dall’Istat riferito al 2014 e intitolato “Natalità e fecondità della popolazione residente”. Il dato conferma la fase di forte riduzione della natalità in atto da diversi anni. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La denatalità colpisce tutte le aree del Paese. “Le donne italiane in età riproduttiva – si legge nel rapporto - sono sempre di meno e hanno una propensione, sempre più bassa, ad avere figli”. I nati all’interno del matrimonio, in particolare, continuano a diminuire: sono poco più di 363 mila, oltre 100 mila in meno rispetto al 2008. A determinare questo trend è il calo dei matrimoni, 57 mila in meno tra il 2008 e il 2014.

In aumento i nati da genitori non coniugati
Aumentano invece i nati da genitori non coniugati: sono almeno 138 mila, 26 mila in più rispetto al 2008. Nelle regioni del Centro-Nord sono oltre il 30%. Il fenomeno – si sottolinea nel dossier - si è diffuso rapidamente anche in aree caratterizzate, storicamente, da comportamenti familiari più tradizionali come il Veneto, dove dal 1995 l’incidenza dei nati fuori dal vincolo del matrimonio è più che quadruplicata.

Oltre 100 mila i nati con almeno un genitore straniero
E’ stabile il numero di nati – più di 104 mila - con almeno un genitore straniero. Al Nord, in particolare, tre nati su dieci – rende noto l’Istat - hanno un genitore straniero. E’ in lieve calo il numero di nati con entrambi i genitori stranieri. Complessivamente sono poco più di 75 mila. Tra le madri straniere, al primo posto per numero di figli, si confermano le donne rumene, seguite da marocchine, albanesi e cinesi.

Otto nati su 100 hanno madre ultraquarantenne
Quasi l’8% dei nati ha una madre di almeno 40 anni. In un caso su dieci, la madre ha meno di 25 anni. Sono soprattutto le madri italiane a posticipare la maternità. La percentuale di nati da madri ultraquarantenni – si ricorda nello studio - supera l’11% in Liguria, Toscana, Lazio e Sardegna.

Fecondità in forte calo
Scende a 1,37 il numero medio di figli per donna. Per le cittadine straniere residenti questo dato medio sale a 1,97, ma è in forte calo rispetto al 2008, quando il numero medio di figli era di 2,65. Per il complesso delle donne residenti – si osserva nel rapporto – i livelli di fecondità sono più elevati dopo i 30 anni, mentre tra le donne più giovani si continua a riscontrare una diminuzione. Sono in aumento, soprattutto al Nord e al Centro, donne senza figli.

Francesco e Sofia i nomi preferiti dai neo genitori
Tra i nomi dati dai neo genitori, a livello nazionale, si conferma il primato del nome Francesco. Il trend si è rafforzato dopo l’elezione di Papa Bergoglio. Altri nomi maschili prevalenti sono Alessandro, Lorenzo e Andrea. Tra i nomi femminili ai primi posti ci sono Sofia, Giulia e Aurora.

Sempre più spesso bimbi stranieri con nomi italiani
Tra i bambini stranieri nati da genitori residenti in Italia i nomi più diffusi sono Adam, Mohamed ma anche Matteo, Leonardo o Davide. Tra i nomi femminili ai primi posti ci sono Sara, Sofia e Aurora. La tendenza a scegliere per i propri figli un nome diffuso nel Paese ospitante piuttosto che uno tradizionale – si legge infine nel rapporto - è spiccata in particolare per la comunità cinese.

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E' morto Don Mazzucato, per 50 anni alla guida del Cuamm

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“Uomo di grande statura intellettuale, con una straordinaria capacità di conciliare profezia e realismo”. Così il sito ufficiale di “Medici con l’Africa CUAMM” definisce don Luigi Mazzucato, che ha guidato l’organizzazione dal 1955 al 2008. Il sacerdote è scomparso ieri a Padova all’età di 88 anni e domani, presso la sede del CUAMM della città, verrà allestita la camera ardente. In oltre mezzo secolo ha sviluppato la presenza e servizio del CUAMM nelle zone più sofferenti del continente africano, con l’obiettivo di rafforzare i sistemi sanitari locali. Sull’eredità che don Mazzucato ha lasciato, Giancarlo La Vella ha intervistato l’attuale direttore dell’organismo, don Dante Carraro

R. – Per 53 anni ha guidato ed ispirato questa nostra istituzione. L’eredità più grande, forse, è stata proprio questa attenzione all’altro, e in particolare al più povero, che ha ispirato i suoi rapporti umani, le relazioni – lui era vicino a tutti –. Ma ha anche ispirato poi la nostra organizzazione, con questa attenzione particolare proprio al continente più povero, che è l’Africa, e dentro l’Africa ai Paesi più poveri e a quello che lui ha chiamato l’ultimo miglio del sistema sanitario, lì dove proprio le mamme ed i bambini, queste fasce vulnerabili, non hanno minimo accesso alla sanità.

D. – Un’azione profetica, quella di don Mazzucato, attraverso il Cuamm. Ce ne accorgiamo forse oggi in modo particolare, ascoltando le parole che Papa Francesco sta pronunciando in Africa…

R. – Sì, il Papa lo ha detto nei primi giorni in cui è diventato tale, e lo sta ribadendo in questi giorni. Don Luigi ha avuto questa intuizione grande: “Il nostro mandato, il mandato del Cuamm, sono quelle periferie esistenziali e geografiche della nostra terra”. Penso ai bisogni sanitari, penso al Sud Sudan, dove c’è un’ostetrica ogni 20 mila mamme che partoriscono. Penso all’Uganda e alle fatiche che fa nella lotta contro l’Hiv. Quando tu dai queste risposte, allora la gente vive meglio, allora la gente riacquista fiducia nel futuro. Il terrorismo attenua i suoi artigli. Stiamo costruendo, io dico, quel Regno che è il Regno che invochiamo nel Padre Nostro.

D. – L’Africa terra missionaria per eccellenza. Aver capito quetso, secondo lei, è anche uno dei meriti di don Mazzucato, che ha iniziato la sua missione in un’epoca di passaggio tra colonialismo e post colonialismo…

D. – Assolutamente. Questa terra africana come luogo e spazio per la missione. Il Vangelo può essere trasmesso non a parole ma con la vita, con la condivisione. Noi ci chiamiamo – e l’ha voluto don Luigi questo – “Medici con l’Africa”. Don Luigi non ha mai voluto sbagliare dicendo “Medici per l’Africa”, ma essere “medici con…”. Nella condivisione quotidiana, nella condivisione dei problemi, quel Vangelo che diventa giustizia, che diventa solidarietà, che diventa vicinanza alle persone.

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"Chiamatemi Francesco". Luchetti: credo nella gente che crede

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E' stato presentato alla stampa il film di Daniele Luchetti "Chiamatemi Francesco" che ripercorre le tappe principali della vita di Jorge Bergoglio, dalla scelta di diventare sacerdote all'elezione al soglio pontificio. Il film esce nella sale italiane il 3 dicembre. Rosario Tronnolone lo ha visto per noi. 

Semplicità ed emozione sono le cifre distintive e le carte vincenti del bel film di Daniele Luchetti “Chiamatemi Francesco”, prodotto da Pietro Valsecchi. Dietro l’apparenza di un film inchiesta, si snoda il racconto di un’anima che sin dalla prima giovinezza deve confrontarsi con la vocazione. “Non ho dovuto cercarlo”, dice nel film il giovane Bergoglio riferendosi a Cristo, “era lì che mi aspettava. Mi ha teso la mano come fa un padre col suo bambino e abbiamo cominciato ad attraversare la strada.” Tutto il film assomiglia a un cammino e il personaggio di Bergoglio ci viene mostrato come un essere essenzialmente deambulatorio. Attraversa col suo passo un po’ stanco e dolorosamente pesante le vie dell’Argentina vittima della sanguinosa dittatura militare di Videla, i sentieri polverosi dei villaggi più poveri, i corridoi luccicanti delle stanze del potere, portando il peso di un cuore grande e pieno d’amore. Il regista Daniele Luchetti ha dichiarato in conferenza stampa:

“Forse, la chiave di questo film era cercare di capire attraverso ieri perché lui è così oggi. E attraverso gli inferni attraverso i quali è dovuto passare, cercare di capire come un uomo matura, come un uomo diventa grande, come un uomo a un certo punto ha questa opportunità incredibile, alla fine della propria vita, di toccare il punto più alto di quello che in fondo desiderava da bambino: di aiutare gli altri, di portare la sua vocazione nel punto di massima utilità”.

Lo sfondo del film è la storia dolorosissima e recentissima di un paese torturato e Bergoglio ci viene mostrato spesso alle prese con scelte difficili, davanti alle quali si pone sempre con gli stessi criteri: la concretezza, l’umanità e l’imitazione di Cristo. Alla domanda se girare un film su Papa Francesco gli avesse in qualche modo cambiato la vita, Daniele Luchetti ha così risposto:

“Quando ho iniziato a girare i film non credevo, ora credo molto nella gente che crede. Penso che questo si un discorso personale, ma sicuramente quello che si può dire è che la Chiesa che ho incontrato mi è sembrata straordinaria.”

Il film si avvale di una sceneggiatura che sfugge a tutte le trappole dell’agiografia e della didascalicità, nelle quali cadono tanti film biografici, e di interpreti di immenso talento, capaci di racchiudere negli occhi l’emozione dell’istante e insieme la storia di una vita.

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Nella Chiesa e nel mondo



Immigrazione, sei bambini morti al largo delle coste turche

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Il freddo e le rigide temperature non fermano i viaggi della disperazione e nuove tragedie dell’immigrazione. Nel complesso, la Guardia costiera turca ha condotto otto operazioni nella notte per salvare immigrati che avevano intrapreso la traversata verso la Grecia, nonostante le avverse condizioni meteorologiche.

Sei bambini siriani morti dopo due naufragi
Sono almeno 6 i bambini morti, oggi, al largo delle coste della Turchia per il naufragio due barconi carichi di migranti. Al largo di Bodrum sono annegati due fratellini siriani di 1 e 4 anni. Le altre 23 persone a bordo dell’imbarcazione sono state tratte in salvo. I corpi di altri quattro bambini siriani sono stati trovati dopo il naufragio di un altro barcone al largo di Ayvacik. In questo caso, sono stati salvati 51 persone, migranti siriani e afghani. Solo lunedì scorso, alcuni pescatori turchi avevano scoperto sugli scogli delle spiagge di Bodrum il corpo una bambina siriana di quattro anni annegata dopo un naufragio. 

Oim: oltre 220 mila migranti arrivati in Grecia
Secondo l'Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim), sono oltre 220 mila i migranti arrivati in Grecia via mare ad ottobre e più di 220 sono morti nelle acque tra Turchia e Grecia. Secondo stime dell'Oim, almeno 3.138 rifugiati hanno perso la vita quest'anno mentre cercavano di attraversare il Mar Mediterraneo. Sono inoltre 653.075 i migranti arrivati in Grecia nel 2015. Sono più di 500 quelli morti nel Mar Egeo.

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Cop21, Appello Comece: mutare sistemi produttivi e stili di vita

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Alla vigilia della Cop15 di Copenaghen, nel 2009, “tutti speravano in un accordo vincolante, che sostituisse il Protocollo di Kyoto”, ma “quella speranza non si è concretizzata” e “poco o di fatto nulla è cambiato da allora”. Riparte da lì il “Rapporto ai vescovi della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) sulla protezione del clima”, che un gruppo di cinque esperti ha pubblicato alla vigilia della Cop21 di Parigi. Oggi però - riporta l'agenzia Sir - c’è una “speranza prudente” per il possibile raggiungimento di un “accordo vincolante che permetta di limitare l’aumento delle temperature medie mondiali a un massimo di 2c° rispetto alle temperature medie del periodo pre-industriale”. Motivo ne sono la “crescente presa di coscienza dell’opinione pubblica sulla necessità di proteggere il clima” e alcuni recenti “sviluppi politici ed economici”. 

L'ostacolo più grande: il divario tra Paesi ricchi e poveri
“L’ostacolo più grande” per un accordo vincolante, secondo gli esperti Comece, è “il grande divario tra Paesi ricchi e poveri e il ruolo particolare dei Paesi emergenti”, elementi che richiedono l’adozione di misure specifiche. Riprendendo l’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”, il Rapporto Comece (www.comece.eu) rilancia l’appello per una “conversione individuale” e una “conversione strutturale, a livello politico, economico e sociale”. “L’impegno costante, competente e tenace” della Chiesa, della Comece, delle Ong d’ispirazione cristiana e non, viene documentato nel Rapporto con un elenco di esempi e riferimenti ad attività già in corso.

Ridurre le emissioni per ripianare il debito ecologico
“È responsabilità dei Paesi industrializzati e dei Paesi emergenti ripianare il debito ecologico”, con un maggiore impegno per la riduzione di emissioni, compensando i costi generati dai cambiamenti climatici e sostenendo in maniera significativa il passaggio tecnologico a un’economia a ridotte emissioni. La Cop21 sarà un successo se riuscirà a definire misure concrete nel quadro di una “governance mondiale” basata sul consenso a livello mondiale nel lungo periodo. Passi indispensabili sono “la decarbonizzazione, la dematerializzazione e la rinaturalizzazione”, propone e spiega il documento Comece. 

Per raggiungere gli obiettivi è necessario uno stile di vita diverso
​Imperativo è “liberarsi dall’ossessione per i beni di consumo”, “disfandosi di un’economia di mercato centrata esclusivamente sul profitto, in favore di un’economica sociale ed ecologica orientata al benessere e alla prosperità della persona”. Per raggiungere ciò è necessario un nuovo “rapporto con il tempo” e un “processo di apprendimento non formale” che porti a uno stile di vita diverso. Per i cristiani vi è in ciò una specifica dimensione spirituale di conversione. Questa sarà la strada per “la pace anziché la guerra, la condivisione dei beni, anziché lo sfruttamento per il profitto, l’attenzione adeguata alla terra, in cui coabitiamo tutti”. (R.P.)

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Congo: preoccupazione dei vescovi per la situazione politica

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“Bisogna smetterla di versare il sangue dei congolesi” scrivono i vescovi della Repubblica Democratica del Congo nel loro messaggio pubblicato al termine del Comitato permanente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco).

Non esercitare il potere a scapito del bene comune
Nel messaggio, ripreso dall’agenzia Fides, si esprime preoccupazione per la situazione politica del Paese, per le tensioni su possibili modifiche costituzionali al fine di permettere al Presidente Joseph Kabila di presentarsi alle elezioni presidenziali del 2016 per un terzo mandato. “Facendo seguito alla nostra presa di posizione del 12 novembre 2015 sul dialogo nazionale nel rispetto assoluto del quadro costituzionale e istituzionale vigente, ci siamo confrontati sulla situazione del Paese, un anno prima delle elezioni di novembre, che è inquietante e preoccupante. Abbiamo evocato il ricordo sciagurato e doloroso delle guerre e delle tribolazioni che hanno gettato nello sconforto la popolazione congolese e fatto versare il sangue di milioni di figli e figlie del nostro Paese, soprattutto a causa di un certo modo di accedere al potere attraverso la forza e di esercitarlo a scapito del bene comune”.

Appello a non far scorrere altro sangue nel Paese
I vescovi proseguono ricordando che, nonostante l’appello lanciato con il loro messaggio durante la visita ad limina nel settembre 2014, e nel messaggio del gennaio 2015, “purtroppo è stato versato altro sangue a seguito del tentativo di aggirare le disposizioni costituzionali. Occorre smettere di far scorrere altro sangue”. Nel gennaio di quest’anno a seguito di un tentativo di revisione della legge elettorale, che avrebbe comportato un prolungamento del mandato del Presidente Kabila, si erano avuti gravi incidenti con morti e feriti.

I vescovi: l'alternanza è un'espressione della democrazia
Pur riconoscendo gli sforzi effettuati dal governo per la democratizzazione del Paese, i vescovi deplorano “le restrizioni delle libertà individuali, l’aumento delle repressioni e delle intimidazioni. La democrazia non deve essere un semplice slogan, ma una cultura e l’alternanza è una sua espressione”.

Novena di preghiera per la pace l'8 dicembre
Per chiedere la pace e il rispetto della Costituzione la Cenco organizza una serie di iniziative, tra cui una Novena di preghiera in tutte le parrocchie dall’8 dicembre; una processione da tenersi il 16 febbraio in tutte le diocesi in occasione dell’apertura dell’Anno giubilare della storica Processione del 16 febbraio 1992, organizzata dai cristiani congolesi per chiedere la democrazia; una preghiera per la pace da tenersi ogni primo sabato del mese nelle parrocchie e nei movimenti d’azione cattolica. (L.M.)

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Vescovi tedeschi: regole per prevenire abusi nella Chiesa

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La Conferenza episcopale tedesca (Dbk) ha pubblicato sul proprio sito www.dbk.de il documento “Progetti per la protezione contro la violenza sessuale”, frutto degli ultimi anni di confronto all’interno della Chiesa cattolica in Germania. L’opuscolo offre una serie di norme e consigli pratici per garantire una migliore protezione dei bambini e degli adolescenti dalla violenza sessuale. Con la creazione di un proprio Fondo di prevenzione nel settembre 2010 - riporta l'agenzia Sir - la Dbk intendeva raggiungere un pubblico il più ampio possibile – tra cui istituzioni non religiose – per dare l’opportunità di presentare propri progetti nel settore della prevenzione. 

La prevenzione per garantire realtà sicure per i bambini e gli adolescenti
​Nella prefazione alla brochure il vescovo di Treviri, mons. Stephan Ackermann, rappresentante della Conferenza episcopale tedesca per le questioni di abusi sessuali su minori nella Chiesa, scrive: “Il sostegno nell’ambito dei progetti del Fondo di prevenzione sono stati caratterizzati da una vasta gamma di processi e delle procedure e sono stati affrontati da diversi gruppi di persone e – specifica il vescovo – per incoraggiare a non mollare negli sforzi per proteggere i bambini e gli adolescenti dalla violenza sessuale e la costruzione di una cultura di consapevolezza”. Ackermann ha ringraziato tutti coloro che sono impegnati nella prevenzione “per garantire realtà sicure per i bambini e gli adolescenti”. (R.P.)

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Patriarca copto Tawadros a Gerusalemme, il primo dopo 35 anni

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Il Patriarca copto ortodosso Tawadros II è a Gerusalemme per assistere ai funerali dell’arcivescovo copto di Terra Santa Anba Abraham. I funerali si terranno oggi. La visita ha colto di sorpresa autorità civili e religiose perché da 35 anni vi è un veto per i copti a visitare la Terra Santa. Il Patriarca - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato accolto al Centro Notre Dame, di proprietà della Santa Sede. Sebbene l’Egitto abbia firmato un trattato di pace con Israele nel 1979, nel 1980 il predecessore di Tawadros, Shenouda III aveva proibito a tutti i fedeli copti di recarsi a Gerusalemme in pellegrinaggio finché non si sarebbe risolto il conflitto israelo-palestinese.

Tawadros si è recato nella città santa solo per i funerali
Il portavoce della Chiesa copta ortodossa, padre Boulos Halim, ha spiegato tuttavia che quella di Tawadros si è recato nella Città Santa “per dei funerali e nient’altro” e che “la posizione della Chiesa rimane la stessa”. In un’intervista televisiva diffusa dalla Chiesa copta ortodossa di Gerusalemme, lo stesso Tawadros spiega: “Non considero questa una visita perché una visita viene preparata per tempo, con un programma e degli appuntamenti. Considero questo un dovere umano, per offrire le mie condoglianze… Non venire qui, visto la posizione che occupo, sarebbe stata una mancanza ai miei doveri”.

Abraham ha chiesto nel suo testamento di essere seppellito a Gerusalemme
Anba Abraham è morto il 25 novembre scorso. Era nato il 30 giugno 1943 nella provincia di Sohag, nel sud dell’Egitto. Divenuto monaco nel 1984 e sacerdote nel 1990, era stato scelto nel 1992 come capo della Chiesa copta ortodossa in Terra Santa. A differenza del suo predecessore, la cui salma è stata riportata in Egitto, Abraham ha chiesto nel suo testamento di essere seppellito a Gerusalemme. Va detto che, nonostante il divieto, decine di pellegrini copti si recano a Gerusalemme ogni anno, soprattutto durante le feste di Pasqua. La sede del patriarcato copto ortodosso è alla nona stazione della Via Dolorosa.

La Chiesa copta ortodossa è fra le più piccole comunità nella Città Santa
La Chiesa copta ortodossa ha anche una piccola cappella nel Santo Sepolcro e il monastero di S. Antonio. Essa è però la comunità cristiana più numerosa in Medio Oriente, concentrata soprattutto in Egitto, dove costituisce fra il 6 e il 10% dei 90 milioni della popolazione. (J.L.)

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Vescovi australiani: appello per abolizione della pena di morte nel mondo

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I vescovi dell'Australia si oppongono alla pena di morte e chiedono che venga abolita in tutto il mondo, mettendosi a disposizione per contribuire efficacemente a questo obiettivo: è l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale al Parlamento australiano. Ricordando la ferma opposizione della Chiesa alla pena capitale, e che i cattolici sono “incondizionatamente a favore della vita” - riferisce l'agenzia Fides - i vescovi ribadiscono che la dignità umana è un principio fondamentale della dottrina sociale cattolica.

Piena dignità perché tutti siamo stati creati a immagine di Dio
“Ogni essere umano ha piena dignità perché siamo tutti creati a immagine di Dio” affermano. La Chiesa si oppone alla pena capitale anche perché “è crudele e priva la persona condannata della misericordia di Dio”, eliminando la possibilità “di pentirsi e di trovare la pace con Dio e con gli altri”. Inoltre essa non “è un deterrente utile”. 

I vescovi invocano una strategia comune con le Chiese di tutto il mondo
​I vescovi australiani guardano alla Santa Sede perché svolga un ruolo internazionale in quest’opera di sensibilizzazione nelle sedi internazionali. Ma considerano anche “le opportunità per i vescovi australiani di lavorare con i fratelli di altre Conferenze episcopali e attraverso la rete globale della Chiesa per attuare una strategia più ampia”. La pena di morte è in vigore in Australia, e i vescovi hanno spesso chiesto clemenza per i condannati a morte indicendo veglie di preghiera per il rispetto della vita. (P.A.)

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Vescovi Buenos Aires: incoraggiare il gioco è crimine contro i più poveri

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Considerando la possibile imminente apertura di un locale per il gioco del “bingo”, già costruito nella zona di Puente la Noria, nel quartiere di Lomas de Zamora di Buenos Aires, e dopo aver avvertito le autorità comunali sui rischi sociali connessi, i vescovi della zona hanno pubblicato un comunicato per "alzare la voce e opporsi energicamente" all’esercizio della sala da gioco.

Permettere e incoraggiare il gioco è criminale
"Sappiamo tutti delle terribili conseguenze che derivano da una dipendenza al gioco. Permetterla e incoraggiarla è criminale, è un crimine contro i più poveri, perché se c'è un luogo frequentato da migliaia di persone, è proprio quella zona della nostra periferia" scrivono i vescovi nel comunicato, sottolineando: “Non dobbiamo dimenticare che il vizio del gioco distrugge le famiglie, distrugge l'autostima delle persone, ammala e schiavizza". La nota ripresa dall'agenzia Fides da una fonte locale segnala che il comunicato, intitolato "Il gioco sta diventando pericoloso. No all'apertura del Bingo a Puente La Noria", è firmato dal vescovo di Lomas de Zamora, mons. Jorge Lugones e dai suoi due vescovi ausiliari, mons. Jorge Vazquez e mons. Jorge Torres Carbonell. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 331

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.