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Sommario del 29/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa “pellegrino di pace” in Centrafrica: unità, dignità, lavoro per il popolo

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“Pellegrino di pace”, “apostolo di speranza”, Papa Francesco, partito dall’aeroporto ugandese di Entebbe, è giunto intorno alle 10 a Bangui, capitale del Centrafrica, terza tappa del suo viaggio in Africa, che lo ha già portato in Kenya e in Uganda. Ad accoglierlo all’aeroporto la sig.ra Catherine Samba-Panza, eletta nel gennaio 2014 presidente di transizione, in attesa delle elezioni previste entro il prossimo dicembre. Insieme al capo di Stato ad interim, le autorità dello Stato, il nunzio ed i vescovi del Paese africano, martoriato da sanguinosi conflitti interni e tensioni sociali, che hanno accompagnato l’intero corso della sua storia, fin dall’indipendenza nel 1960. “Unità, dignità, lavoro”: tre parole cardine per il popolo centrafricano di un “programma mai terminato”, ha sottolineato il Papa, rivolto alle autorità del Paese, alla classe dirigente, al corpo diplomatico, ai delegati di organismi internazionali e ai vescovi, incontrati nel Palazzo presidenziale, a Bangui. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Il benvenuto di un’immensa folla all’aeroporto, con una bimba che ha offerto dei fiori a Francesco, sbarcato in un Paese poverissimo, grande il doppio dell’Italia, con una popolazione poco sotto i 5 milioni -  oltre il 40 per cento analfabeta – che è stata dilaniata da una guerra intestina, con derive interreligiose tra cristiani e musulmani, e che ora “nonostante le difficoltà, s’incammina gradualmente alla normalizzazione della sua vita socio-politica”, ha ricordato il Papa, felice di essere lì, accompagnato dall’entusiasmo della gente lungo le strade percorse in auto verso il Palazzo presidenziale.

“Unité, dignité, travail ! Trois mots lourds de sens…”

“Unità, dignità, lavoro! Tre parole cariche di significato, ognuna delle quali rappresenta tanto un cantiere quanto un programma mai terminato, un impegno da mettere costantemente all’opera”, soprattutto da parte delle autorità pubbliche che per prime “dovrebbero incarnare con coerenza nella loro vita” questi valori.

Anzitutto l’unità:

“Elle est à vivre et à construire à partir de la merveilleuse diversité …”

Partire dalla “meravigliosa diversità del mondo”, evitando “la paura dell’altro”, di ciò che “non è familiare”, “non appartiene al nostro gruppo etnico”, “alle nostre scelte politiche” o “alla nostra confessione religiosa”.

“L’unité dans la diversité, c’est un défi constant, qui…”

“L’unità nella diversità è una sfida costante, che richiede la creatività, la generosità, l’abnegazione e il rispetto per gli altri”.

Poi la dignità:

“C’est justement cette valeur morale synonyme d’honnêteté, de loyauté…”

Un “valore morale, sinonimo di onestà, di lealtà, di grazia e di onore, che caratterizza gli uomini e le donne consapevoli dei loro diritti come dei loro doveri e che li porta al rispetto reciproco”.

Da qui il richiamo di Francesco. Chi conduce una vita dignitosa, invece di preoccuparsi dei suoi privilegi, deve aiutare i più poveri a sviluppare il “loro potenziale umano, culturale, economico e sociale”.

“Par conséquent, l’accès à l’éducation et aux soins, la lutte contre…”

Garantire a tutti “istruzione e assistenza sanitaria”, “un’abitazione decente” e lottare “contro la malnutrizione” “dovrebbe essere al primo posto di uno sviluppo attento alla dignità umana”.

Infine il lavoro. Ha incoraggiato il Papa i centrafricani a migliorare la loro “splendida terra, sfruttando saggiamente” le “abbondanti risorse”, di un Paese ritenuto “uno dei due polmoni dell’umanità”  per “la sua eccezionale ricchezza di biodiversità”.

“…je voudrais particulièrement attirer l’attention de chacun, citoyens,…”

Riferendosi l’Enciclica Laudato sì, Francesco ha richiamato la responsabilità di tutti, cittadini, autorità, partner internazionale e multinazionali “nelle scelte e nei progetti di sviluppo, che in un modo o nell’altro influenzano l’intero Pianeta”.

Il Papa ha rammentato quindi l’impegno della Chiesa in Centrafrica per affermare i valori di unità, dignità e lavoro, non dubitando – ha detto - che “le autorità attuali e future si adopereranno costantemente” per garantirle “condizioni favorevoli al compimento della sua missione spirituale”.

Ha poi incoraggiato gli sforzi della comunità internazionale.

“…aide le pays à progresser notamment dans la réconciliation,…”

Perché aiuti il Paese a progredire “soprattutto nella riconciliazione, nel disarmo, nel consolidamento della pace, nell’assistenza sanitaria e nella cultura di una sana amministrazione a tutti i livelli”.

“Puisse le peuple centrafricain, ainsi que ses dirigeants…”

“Possa il popolo centrafricano, come anche i suoi dirigenti e tutti i suoi partner, apprezzare il vero valore di questi benefici, lavorando incessantemente per l’unità, la dignità umana e la pace fondata sulla giustizia!”

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"Siamo tutti fratelli". Il Papa incontra gli sfollati di Bangui

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“Tutti siamo tutti fratelli, per questo vogliamo la pace”. Con queste parole Papa Francesco ha salutato questa mattina i profughi del campo allestito nella parrocchia di St. Saveur a Bangui, che ospita quasi mille persone. “Noi dobbiamo lavorare e pregare e fare di tutto per la pace - ha detto il Papa - ma la pace senza amore, senza amicizia, senza tolleranza, senza perdono, non è possibile. Ognuno di noi deve fare qualcosa. Io vi auguro, a voi e a tutti i centrafricani, la pace, una grande pace fra voi. Che voi possiate vivere in pace qualunque sia l’etnia, la cultura, la religione, lo stato sociale”. Quella degli sfollati è una delle grandi emergenze che si vivono in Repubblica Centrafricana. A causa della guerra civile sono infatti oltre 440 mila gli sfollati all’interno del Paese mentre oltre 450 mila si sono rifugiati negli Stati vicini. Ascoltiamo la nostra inviata in Repubblica Centrafricana Romilda Ferrauto, al microfono di Michele Raviart

R. – E’ stata una giornata veramente memorabile per gli sfollati di questa parrocchia. Sono tutti, infatti raccolti – circa 800 persone – in un terreno che si trova intorno ad una parrocchia di Bangui, la capitale. Gli adulti avevano vestiti colorati e l’associazione delle donne sfollate ha ballato al suono dei tamburi. Soprattutto i bambini, molto sorridenti - malgrado la loro povertà e malgrado il calore - molto numerosi anche, tenevano in mano dei pezzi di tessuto bianco sui quali c’erano scritte a mano delle parole come “verità”, “pace”, “perdono”, “giustizia”, “amore”, parole che Papa Francesco ha letto attentamente.

D. – Abbiamo visto Papa Francesco molto sorridente e molto colpito da questa accoglienza…

R. – Molto toccato da questa accoglienza grandiosa. Il Papa è stato salutato dai tre sacerdoti della parrocchia con attorno dei bambini, degli scout. Si è fermato a stringere le mani, ha accarezzato i bambini, ha salutato i portatori di handicap, e poi ha preso il microfono in mano e si è espresso in italiano, tradotto in sango, la lingua che unisce questa popolazione, formata da 80 etnie. Il Papa ha detto: “Dobbiamo fare di tutto per la pace, ma – ha avvertito – la pace passa per il perdono, l’amicizia, l’amore fra le etnie, le culture, le religioni. Ognuno deve portare il suo contributo”.

D. – Un invito che ha commosso le persone che erano lì…

R. – La gioia era incredibile. Qui la gente è proprio gioiosa, malgrado i suoi problemi. Fino all’ultimo momento non credeva che il Papa sarebbe potuto venire. Pensava che all’ultimo sarebbe successo qualcosa, che avrebbe impedito il suo arrivo. Per loro, dunque, è stato un momento straordinario. Il Papa sembrava molto toccato da questa accoglienza, anche perché nel tragitto dall’aeroporto aveva già visto una folla innumerevole, uscita per le strade, malgrado le misure di sicurezza. 

D. – Come è stato preparato questo incontro?

R. – Questa parrocchia accoglie questi sfollati come tante altre parrocchie della capitale. Qui sono stati fatti miracoli per pulire in pochissime ore questo luogo che simboleggia la sofferenza che ha questo Paese diseredato. Gli sfollati sono fuggiti da violenze, vessazioni di ogni genere. La maggioranza ha perso tutto, le loro case sono state incendiate e oggi vivono sotto tende offerte dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, che resistono male al clima, alle forti piogge equatoriali e al sole. E per proteggere il Papa dal sole, intenso a questa latitudine, hanno preparato un tetto in legno, sormontato da una tenda. C’era un vaso di fiori poggiato su una piccola tavola, una decorazione molto semplice: l’immagine di questo Paese, privato di tutto, eccetto della sua fede solida. Per fare dei tappeti, dei tessuti dai colori molto vivavi sono stati poggiati sul suolo di terra battuta, che si trasforma spesso in un terreno fangoso e contribuisce alla diffusione del paludismo, che è un vero problema in questo Paese.

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Presidente Centrafrica: da Francesco lezione di coraggio

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Una vittoria della fede sulla paura
La presidente di transizione della Repubblica Centrafricana, Catherine Samba-Panza, nel suo discorso di benvenuto a Papa Francesco, stamane a Bangui, ha definito “memorabile” questa giornata,  sottolineando come  la presenza del Santo Padre nella capitale centrafricana rappresenti una vittoria della fede sulla paura e una vittoria della compassione e della solidarietà della Chiesa universale.

Dal Papa una lezione di coraggio
Alla luce del contesto politico critico del momento e le minacce, reali o amplificate, che avrebbero potuto scoraggiare la visita di Francesco in Centrafricana, Samba Panzala ha lodato la presenza del Santo Padre a Bangui, quale lezione di coraggio e di determinazione, insegnamento per tutti. Ed ha poi ringraziato il Papa per la solidarietà dimostrata sempre per le vittime della crisi centrafricana, infondendo così coraggio a tutte le donne e gli uomini del Paese.

Perdono per abomini commessi
La presidente, a nome della classe dirigente centrafricana e di tutti coloro che hanno contribuito alla crisi che da anni ha infiammato il suo Paese, ha invocato il perdono del Papa, perché le ultime evoluzioni di questa crisi sono apparse come abomini commessi in nome della religione da gente che si professava credente ma che ha ucciso, distrutto luoghi di culto e si è macchiata di ogni sorta di violenza. Un perdono necessario perché i centrafricani possano riprendere il cammino di una nuova spiritualità più concreta, fondata sull’amore.

Il dono della preghiera per scacciare i demoni della divisione
Per Samba Panza il più grande dono che la visita di Papa Francesco ha portato ai centrafricani è la preghiera, l’intercessione affinché i demoni della divisione e dell’autodistruzione siano esorcizzati e cacciati definitivamente dal  Paese.

Il ritorno della democrazia e della sicurezza in Centrafrica
Il popolo centrafricano - ha aggiunto la presidente di transizione - spera nel ritorno della sicurezza, in elezioni libere per ritrovare una stabilità e una democratizzazione necessaria: un Centrafrica senza rancori, odio, divisioni, discriminazioni religiose o etniche, un Centrafrica senza armi, in cui ogni cittadino possa collaborare con l’altro per ricostruire il Paese.

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Chiesa in Centrafrica: con il Papa per ritrovare coesione e speranza

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L'entusiasmo con cui i centrafricani stanno accogliendo il Papa a Bangui è incontenibile. In migliaia lo hanno salutato all'aeroporto e lungo la strada che lo portava nella capitale. Il nunzio mons. Coppola ha detto i fedeli potevano essere ancora più numerosi ma in molti - anche sacerdoti, suore, missionari - non sono riusciti a raggiungere la capitale a causa dell'impraticabilità delle strade e dell'insicurezza. La nostra inviata a Bangui Romilda Ferrauto ha raccolto la testimonianza di un sacerdote della città di Bambari e di una religiosa che da anni opera nella capitale. Don Firmin Gbagoua è vicario generale a Bambari e spiega cosa rappresenta per il Centrafrica la visita di Francesco: 

R.  – La visita di Papa Francesco in questa situazione di crisi gravissima per la nostra nazione, per noi cristiani e musulmani è un’opportunità per stare di nuovo insieme, cosa che abbiamo perduto durante questi tre anni.

D. – A Bambari avete vissuto momenti difficili?

R. –  Difficilissimi, perchè la città è divisa in due: i musulmani, sono da una parte e i cristiani dall’altra. Ma stiamo lavorando per creare questa coesione, questa unità tra la nostra popolazione.

D . – Ci sono ancora atti di violenza?

R . – Certo. Due o tre settimane fa sono state incendiate case, alcuni giovani sono stati uccisi... I ribelli Seleka e anti-Balaka, sono sempre presenti nella città, nei campi profughi, sono sempre lì. E’ una situazione molto delicata. Secondo me, occorre ripensare a come stare di nuovo insieme, alla coabitazione. La situaizone di Bambari è molto delicata.

Suor Angelina Santa Giuliana della Congregazione di Maria Missionaria che opera nelle scuole primarie e nel dispensario, racconta quali difficoltà incontra nella sua missione: 

R. – La difficoltà è avere i mezzi economici, anche materiali, per poter sostenere la scuola perché i genitori non hanno più la possibilità di pagare. Dal punto di vista sanitario, molte persone, i genitori di molti bambini non hanno la possibilità di pagare le cure necessarie. Quindi molte morti sono constatate per malaria.

D.  – C’è la questione dell’insicurezza, questo complica la vostra vita?

R. – Complica da un punto di vista di rifornimenti di materiali, ma per la circolazione fino ad oggi non abbiamo avuto problemi.

D.  – Per lei cosa significa la visita del Papa, qual è il significato profondo e cosa potrà portare a questo Paese?

R. – Per questo Paese ha un significato enorme, perché è un segno di speranza: la gente sente che non è dimenticata dalla Chiesa e dal Papa in particolare. Per me, personalmente, ha il significato profondo  di vicinanza alla gente che soffre e questo credo sia il messaggio più grande che questa visita possa lasciare in questo Paese in questo momento.

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Chiesa evangelica di Bangui: visita del Papa segno di riconciliazione

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C'è attesa per l'incontro che il Papa avrà nel primo pomeriggio alla Facoltà Teologica Evangelica di Bangui (Fateb), con la comunità evangelica che insieme alla chiesa cattolica e alla comunità musulmana ha costituito la "Piattaforma interreligiosa" che ha portato avanti il processo di pacificazione nazionale in Centrafrica. Sull'attesa e l'importanza dell'incontro con Papa Francesco, la nostra inviata a Bangui Romilda Ferrauto ha intervistato il dott. Nupanga Weanzana, decano della Fateb, che rivolgerà il suo saluto al Pontefice: 

R.  – Je crois que dans le contexte actuel…
Credo che dentro il contesto attuale il viaggio di Papa Francesco nella Repubblica Centrafricana rivesta un carattere simbolico molto profondo e molto importante nel quadro della riconciliazione e della coesione sociale. Come sappiamo, dopo queste molteplici crisi, la tentazione era di presentare il conflitto come un conflitto religioso e il Papa viene veramente come per mettere il sigillo sulla riunificazione del popolo centrafricano qualunque sia la sua confessione d’origine. Ci aspettiamo molto da questa visita.

D. – Esiste effettivamente una piattaforma interreligiosa che è stata fondata da un arcivescovo cattolico da un pastore evangelico e da un imam musulmano: è importante secondo lei?

R.  – Très important, parce que je crois…
E’ molto importante perché credo che questa piattaforma è servita come locomotiva per la coesione sociale, perché se il presidente della Alliance des Evangeliques en Centrafrique l’arcivescovo e l’imam non si fossero messi insieme ci sarebbe stata un conflitto tra le comunità. Ma la loro coesione, la loro unità è stata veramente un elemento importante, un elemento unificatore.

D.  – Gli evangelici si uniscono alla gioia dei cattolici nelle circostanze attuali?

R.  – Avec beucoup de joie...
Ci uniamo con molta gioia ai nostri fratelli e sorelle cattolici per accogliere il Papa.

D. – Cosa sperate da tutto questo?

R. – Nous espérons le debut...
Speriamo nell’inizio di una nuova era, cioè che il passaggio del Papa possa veramente sconvolgere i cuori, riportare la pace, rIportare gli uni e gli altri insieme.

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Voci dal Centrafrica: il Papa ci fa vivere il cielo sulla terra

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Era una visita attesa da tanto tempo dai centrafricani. Adesso è una realtà. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte dai nostri inviati a Bangui. Il servizio di Sergio Centofanti

La gioia dei centrafricani è grande. Temevano che il Papa potesse annullare all’ultimo il viaggio, invece Papa Francesco è ora in mezzo a loro. Queste le parole di suor Marie-Ange, della Congregazione della Provvidenza Divina:

“Per me il Papa è veramente l’inviato di Dio e la sua venuta è per il Centrafrica come vivere il cielo sulla terra. Noi con questa visita  seppelliremo l’inferno. E la speranza di tutti i centrafricani è proprio che ci possa far vivere il cielo su questa terra”.

Suor Maria è una missionaria brasiliana in Centrafrica:

“Il popolo spera la pace, è convinto che la presenza di Papa Francesco in Centrafrica è un’occasione perché la pace, l’armonia e la giustizia possano realizzarsi. Noi ci siamo preparati molto per questa visita. L’apertura della Porta Santa nella cattedrale di Bangui è una grazia molto grande. Il Papa incontra i cattolici, i protestanti e i musulmani e la gente spera che con questa visita ogni centrafricano possa pensare che è ora di fare di tutto per questa pace. Basta uccidere! Basta rubare! Basta distruggere il poco che abbiamo qui. Non è con le armi che si ottiene qualcosa, ma è con la pace, il dialogo, la giustizia, la comprensione e il rispetto che si costruisce un Paese. Non con le armi!”.

(Le interviste sono state realizzate da Romilda Ferrauto e Renato Martinez)

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Papa in Uganda: non dimenticare i poveri, Cristo è in chi soffre

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Dopo l’incontro con i giovani il Papa si è recato alla Casa di Carità di Nalukolongo dove vengono accolti e assistiti un centinaio di poveri di ogni religione ed età. Il centro è stato fondato nel 1978 dal cardinale Nsubuga. Il servizio di Sergio Centofanti

Ancora una volta Papa Francesco abbraccia i poveri e gli ultimi. Nella Casa di Carità portata avanti nel silenzio dalle Suore del Buon Samaritano, ci sono anche persone malate di Aids, giovani e anziani che qui trovano “affetto e premura”. Qui – ha detto il Papa – si sente “la presenza di Gesù” perché Lui è sempre dove sono “i poveri, gli ammalati, i carcerati, i diseredati, quelli che soffrono”. Da questa casa, il Pontefice lancia un appello a tutte le parrocchie e alle comunità presenti in Uganda e nel resto dell’Africa “a non dimenticare i poveri”:

“Il Vangelo ci impone di uscire verso le periferie della società e di trovare Cristo nel sofferente e in chi è nel bisogno. Il Signore ci dice, con parole inequivocabili, che ci giudicherà su questo! È triste quando le nostre società permettono che gli anziani siano scartati o dimenticati! È riprovevole quando i giovani vengono sfruttati dall’attuale schiavitù del traffico di esseri umani!”.

In molti luoghi del mondo – osserva il Papa - si stanno diffondendo l’egoismo e l’indifferenza. Tanti fratelli e sorelle “sono vittime dell’odierna cultura dell’usa e getta, che ingenera disprezzo soprattutto nei confronti dei bambini non nati, dei giovani e degli anziani”:

“In quanto cristiani, non possiamo semplicemente stare a guardare, stare a guardare cosa succede, e non fare niente. Qualcosa deve cambiare! Le nostre famiglie devono diventare segni ancora più evidenti dell’amore paziente e misericordioso di Dio, non solo per i nostri figli e i nostri anziani, ma per tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le nostre parrocchie non devono chiudere le porte e le orecchie al grido dei poveri”.

Solo in questo modo – ha proseguito – “diamo testimonianza al Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire”, mostrando che “le persone contano più delle cose e che quello che siamo è più importante di ciò che possediamo. Infatti, proprio in coloro che serviamo, Cristo rivela ogni giorno sé stesso e prepara l’accoglienza che speriamo di ricevere un giorno nel suo Regno eterno”:

“Cari amici, attraverso gesti semplici, attraverso atti semplici e devoti che onorano Cristo nei suoi fratelli e sorelle più piccoli, facciamo entrare la forza del suo amore nel mondo e lo cambiamo realmente”.

Alla Casa di Carità il Papa ha lasciato un dono in denaro.

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Papa a Kampala: no a preti e religiosi dalla doppia vita. Appello per Burundi

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Perseverare nella fedeltà per i sacerdoti e i religiosi significa anche chiedere perdono per i propri peccati, senza nasconderli: mai condurre una doppia vita. Questa l'esortazione rivolta da Papa Francesco al clero e ai religiosi dell’Uganda, incontrati nel pomeriggio nella Cattedrale di St. Mary, a Kampala. Il servizio di Giada Aquilino

Fedeltà alla memoria dei martiri
Memoria, testimonianza attraverso la fedeltà e preghiera. È triplice la missione che Papa Francesco affida ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi dell’Uganda, che torna a definire “perla dell’Africa”. La riflessione del Papa, che ha consegnato il discorso preparato e ha parlato a braccio in spagnolo ai presenti in Cattedrale, parte dal ricordo dei martiri ugandesi, dal loro sangue: la Chiesa locale – dice Francesco – non deve “abituarsi ad ereditare” il bene dei nostri padri con un “ricordo lontano” di coloro che hanno dato “la loro stessa vita” per amore di Gesù, come evidenziato anche nel testo consegnato. Invita a chiedere la “grazia della memoria”:

“La Chiesa in Uganda, per essere fedele a questa memoria, deve continuare a essere testimone. Non deve vivere di rendita”.

Offrirsi a quelle diocesi che hanno bisogno di sacerdoti
La Cattedrale di St. Mary a Kampala - visitata da Paolo VI nel 1969 e da San Giovanni Paolo II nel 1993 e che custodisce i resti mortali del primo arcivescovo africano e di Kampala, mons. Joseph Kiwanka - accoglie 5 mila persone, che con le loro voci, i loro canti, i loro applausi intervallano le parole del Papa. Il Pontefice sottolinea a tutti come l’incarico che la Chiesa dà loro sia essere “testimoni”, attraverso la fedeltà “alla memoria, alla propria vocazione, allo zelo apostolico”, seguendo il “cammino della santità”. Cioè essere “missionari”, anche e soprattutto là dove ci sono pochi sacerdoti:

“Fedeltà significa offrirsi al vescovo per andare in un’altra diocesi che abbia bisogno di missionari. E questo non è facile”.

Uganda continuare ad essere 'perla dell'Africa'
Le diocesi con molto clero, specifica, “si offrano” a quelle che ne hanno meno. Fedeltà vuol dire, aggiunge Francesco, anche “perseveranza nella vocazione”, avendo constatato di persona poco prima l’esempio delle suore della Casa di Carità di Nalukolongo: fedeltà ai poveri, ai malati, a coloro che sono più nel bisogno, “perché - prosegue - Cristo è lì”.

“L’Uganda è stata irrigata dal sangue dei martiri, dei testimoni. Oggi è necessario continuare a irrigarla, e per questo una nuova sfida, nuove testimonianze, nuove missioni. Altrimenti, perderete la grande ricchezza che avete e la ‘perla dell’Africa’ finirà conservata in un museo. Perché il demonio attacca così: a piccoli passi”.

Non condurre 'doppia vita', chiedere sempre perdono
Francesco ha ascoltato le parole di saluto di mons. John Baptist Kaggwa, vescovo incaricato della formazione dei sacerdoti e dei religiosi, e le testimonianze di un sacerdote e di una religiosa: tutti hanno fanno cenno proprio al tributo dei martiri ugandesi, all’impegno degli oltre 1.500 preti diocesani e missionari, dei circa 7.000 componenti l’Associazione dei religiosi d’Uganda, operativi in campo medico, educativo, pastorale, sociale, dei più di mille seminaristi del Paese. Il Papa, alla vigilia dell’Avvento e del Giubileo della Misericordia e nel pieno dell’Anno della vita consacrata, li invita poi a pregare perché - spiega - se un religioso, una religiosa, un sacerdote “smette di pregare o prega poco perché dice che ha molto lavoro”, ha già cominciato a perdere memoria e fedeltà.

“Preghiera significa anche umiltà, l’umiltà di andare regolarmente dal confessore a dirgli i propri peccati. Non si può ‘zoppicare’ con entrambe le gambe. I religiosi, le religiose, i sacerdoti non possono condurre una ‘doppia vita’. Se sei peccatore, se sei peccatrice, chiedi perdono. Ma non tenere nascosto quello che Dio non vuole; non tenere nascosta la mancanza di fedeltà. Non chiudete la memoria nell’armadio”.

Il testo consegnato: pace in Burundi
La riflessione del Papa viene accolta dai presenti, invitati a soffermarsi pure sul discorso consegnato in Cattedrale, in cui Francesco non dimentica tutti i popoli che “anelano” ad una vita nuova, al perdono e alla pace, pensando alle “tante situazioni che preoccupano”, a partire dalle realtà “più vicine”, come il Burundi percorso da sanguinose violenze: per il futuro del suo popolo auspica che “il Signore susciti nelle autorità e in tutta la società sentimenti e propositi di dialogo e di collaborazione, di riconciliazione e di pace”.

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Padre Lombardi: la visita in Uganda nel segno dei Martiri

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Al termine della visita in Uganda, seconda tappa del suo pellegrinaggio in Africa, un bilancio del nostro direttore al seguito papale, padre Federico Lombardi, al microfono del nostro inviato a Kampala, Filomeno Lopes: 

R. – Qui in Uganda siamo rimasti tutti molto impressionati dall’accoglienza, dal calore dell’accoglienza, dall’entusiasmo e dalla quantità di gente anche sulle strade, favorita da un tempo migliore che in Kenya. Qui, infatti, non abbiamo avuto pioggia. C’era veramente un mare di gente lungo le strade, che cercava di vedere il Papa, di incontrarlo, anche solo sentirlo passare.  In realtà, infatti, non sempre poteva vederlo molto bene. Insomma, centinaia e centinaia di migliaia di persone, quindi, che hanno visto il Papa o si sono fatte comunque presenti nei suoi avvenimenti. Il tema centrale, molto bello, di questa visita evidentemente è stato quello del martirio, perché i martiri dell’Uganda sono i primi martiri dell’Africa moderna e sono dei testimoni, tutti laici, di una fede semplice, ma molto forte. Hanno subito delle sofferenze assolutamente spaventose e incredibili, per quella che è la nostra sensibilità attuale, e sono quindi considerati come dei veri ispiratori della fede cristiana in questi Paesi. Sono insieme cattolici ed anglicani, quindi sono cristiani, sono testimoni di Cristo. Il Papa ha fatto riferimento a questa testimonianza dei martiri come ispirazione comune per la vita della Chiesa, per i giovani, per i sacerdoti, per tutte le persone di questo popolo.  Quindi è stato un po’ il tono spirituale di questa giornata e direi che possa ritenersi spiritualmente al centro di questo viaggio in Africa. In fondo, questi martiri ugandesi sono sentiti da tutta l’Africa come martiri particolarmente significativi ed ispirativi.

D. – Poi, l’altro momento clou è stato l’incontro con i giovani. Come ha vissuto questa festa che hanno fatto al Papa?

R. – Gli incontri con i giovani sono sempre molto belli, perché i giovani si entusiasmano facilmente, spontaneamente, ed è un momento in cui il Papa si rende conto come una sua parola possa essere importante per orientare il futuro di questo Paese, di questo continente. I giovani infatti rappresentano effettivamente questo futuro. Sono giovani che hanno a che fare con problemi gravissimi. Quelle due testimonianze di oggi avevano a che fare con la prigionia per mano di guerriglieri che rapiscono i bambini, li terrorizzano e poi li fanno diventare loro adepti. La ragazza ha parlato dell’Aids e del vivere con l’Aids la sua vita di giovane donna. Sono problemi evidentemente grandissimi, cui se ne aggiungono poi anche tanti altri. Il Papa ha avuto la capacità di incoraggiare, come ha già avuto in Kenya, di dare speranza, di dire “siete davanti a delle grandi sfide, ma dovete riuscire voi a trasformare il negativo in positivo, a fare degli ostacoli delle occasioni per costruire qualcosa di più grande, di più bello e di nuovo: il futuro del vostro Paese, del vostro continente.” Quindi, direi proprio che il Papa ha fatto il suo servizio di ispiratore in modo meraviglioso per la gioventù di questo continente.

D. – Un altro momento, breve ma significativo, la visita alla Casa della Carità a Nalukolongo, che poi è uno dei momenti che il Papa predilige quasi sempre nei suoi viaggi apostolici…

R. – E’ una Casa della Carità che, però, è anche il primo luogo in cui è cominciata l’evangelizzazione dell’Uganda. Lì, infatti, i primi missionari hanno cominciato a fare la catechesi. Si vede, dunque, come l’evangelizzazione produca frutti di fede, ma anche di carità, di amore spontaneamente. E questa casa, che ospita un centinaio di persone di diverse età, di diverse nazionalità, di diverse malattie e infermità, è un luogo in cui l’amore cristiano si manifesta con particolare efficacia. Il Papa è passato anche a visitare alcuni singoli malati nelle loro stanze – i più gravi – baciandoli con molto affetto uno per uno. Questo incontro, però,  è un incontro simbolico, perché l’attività della Chiesa cattolica in Uganda, come anche in tutta l’Africa, ma in particolare in Uganda, nel campo della sanità, dell’impegno per i malati, è impressionante. Ci sono tantissime istituzioni, tantissime organizzazioni che si impegnano per il bene dei malati e la Chiesa dà un contributo alla vita di questa società dal punto di vista della sanità, anche in aspetti di frontiera importantissimi, come la cura dell’Aids, nell’andare incontro ai vari problemi che sono connessi con questa  gravissima malattia, che in Uganda ha avuto una diffusione impressionante e che però è stata riportata adesso sotto controllo negli anni recenti, proprio grazie all’impegno di tantissimi, tra cui la Chiesa cattolica, che ha aiutato anche a trovare le vie dei comportamenti morali e umani che sono i più efficaci nel combattere l’Aids, come la fedeltà coniugale, come il rifiuto della promiscuità e della molteplicità dei rapporti sessuali disordinati. Il modo più efficace di combattere l’Aids in Uganda è stato proprio nel portare avanti questi messaggi di formazione, di educazione ad una responsabilità nel comportamento delle persone.

D. – Il tema dei catechisti. Il primo luogo che il Papa è andato a visitare è stato il Santuario, dove li ha incontrati. Questo che cosa può significare?

R. – Significa che la Chiesa si rende conto che i missionari, i sacerdoti hanno un grande ruolo, ma i laici autoctoni sono poi le persone che costruiscono la Chiesa capillarmente e la fanno diventare Chiesa di popolo, la fanno entrare proprio nella vita, nelle famiglie. Senza il lavoro di catechesi la Chiesa africana non esisterebbe, come esiste. Si può naturalmente cercare di aggiornare i metodi, la formazione, quello che si vuole, ma che ci voglia un impegno ampio, deciso, da parte del laicato, perché la Chiesa cresca da un punto di vista della formazione, e della formazione della fede, è assolutamente fondamentale. Questo è stato detto con un gesto di incoraggiamento molto grande venerdì sera dal Papa a Munyonyo.

D. – Un ultimo incontro è stato quindi con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi. Ci può dire brevemente com’è stato e qual è stato il messaggio principale che il Papa ha voluto lasciare?

R. – Il Papa è stato molto efficace. Ha raccolto il suo messaggio in tre parole, che sono: il ricordare, la memoria, che è fondamentale nel mantenere viva una vocazione religiosa sacerdotale, ricordare che si è stati chiamati. E qui lo ha applicato  ricordando anche la testimonianza dei martiri che è così viva nella Chiesa in Uganda e che non va dimenticata. Anzi, essendo ricordata come viva, la testimonianza dei martiri aiuta a mantenere la Chiesa forte, consapevole dell’importanza del suo impegno, del coraggio che deve avere nel testimoniare Gesù Cristo. Ricordare, quindi, essere fedeli:  fedeli  alla vocazione ricevuta, fedeli alla propria missione, fedeli alla chiamata, ad una missionarietà sempre dinamica, che ascolta lo spirito per affrontare delle sfide sempre nuove, che la Chiesa incontra nel mondo di oggi. Una fedeltà che è testimoniata molto bene anche dalla dedizione. Il Papa ha ricordato la dedizione delle suore della Casa della Carità che aveva appena visitato, e così via. E poi la preghiera, perché il Papa ricorda sempre che l’unione con Dio, il rapporto, il dialogo vivo con Cristo è l’origine, ma è anche la sorgente permanente di una vita dedicata nella fede  al servizio di Dio e degli altri. Se si insterilisce questa sorgente, poi piano piano si entra nella mondanità, si viene dominati da valori che non sono più quelli del Vangelo, ma quelli dell’interesse, dell’egoismo, del materialismo e quindi si perde la vivacità della testimonianza cristiana. Con tre parole, quindi, il Papa ha dato un messaggio molto efficace, molto legato come dicevo però all’esperienza dei martiri, che è stata al centro di questa giornata.

D. – E quindi domani la partenza verso la Repubblica Centrafricana, che è la preoccupazione di tutti in questo momento. Cosa ci può dire in proposito?

R. – Che siamo contentissimi di andare nella Repubblica Centrafricana. Era il grande desiderio del Papa e di tutti noi. Speriamo di poter svolgere lì proprio quella testimonianza di vicinanza, di amicizia, di incoraggiamento all’impegno per la pace che tutti desiderano.

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Oggi in Primo Piano



Giornata popolo palestinese: Caritas Gerusalemme pensa a Gaza

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Il 29 novembre 2012 la Palestina è divenuta ‘Paese osservatore, non membro’ dell’Onu e, ad oggi, 136 Stati la riconoscono. A sottolinearlo è il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata Onu di solidarietà col popolo palestinese, che - dal 1977 - si osserva ogni 29 novembre. Ciò nonostante, sottolinea il Palazzo di Vetro, i progressi compiuti finora non possono essere vissuti appieno “dai bambini di Gaza o dai residenti di Nablus, Hebron e Gerusalemme Est”, ricordando una “occupazione” israeliana che dura “da quasi 50 anni”. Pensando a Gaza, Caritas Gerusalemme dedica per Natale diverse iniziative di vicinanza e solidarietà per le famiglie cristiane locali. Della situazione nella Striscia parla padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Gerusalemme, intervistato da Giada Aquilino

R. – Niente è cambiato a Gaza da 15 anni. Direi che la situazione è anche peggiorata, perché ci sono quasi due milioni di persone che vivono nella più grande prigione a cielo aperto nel mondo. Il blocco non è stato levato, non hanno aperto i passaggi, non lasciano entrare aiuti umanitari né materie prime per la ricostruzione. La disoccupazione è arrivata al 60%, la povertà è all’80%. L’acqua è salata, l’elettricità arriva cinque ore al giorno. In tutta questa situazione abbiamo 1.300 cristiani, cattolici e ortodossi, in tutto 350 famiglie. E con loro noi lavoriamo come Caritas Gerusalemme dal 1990 in due Centri medici e siamo intervenuti nelle ultime tre guerre, nel 2008, 2012 e 2014.

D.  –Questa situazione di grave difficoltà per Gaza accomuna cristiani e musulmani?

R. – Quello che succede ai musulmani succede anche ai cristiani. In uno studio che noi abbiamo fatto, abbiamo scoperto che il 34% delle famiglie cristiane non ha alcuna fonte di reddito e dipende totalmente dagli aiuti umanitari offerti dalla Chiesa e dalle organizzazioni umanitarie che lavorano a Gaza.

D. – Quest’anno, per Natale, Caritas Gerusalemme promuove varie iniziative di vicinanza e solidarietà per i cristiani di Gaza. Di cosa si tratta?

R.  – Noi abbiamo lanciato due iniziative. La prima si chiama “From hand to hand”, “Da una mano all’altra”, e questa iniziativa è indirizzata ai nostri studenti dei Territori palestinesi occupati, a Ramallah, a Gerusalemme e a Betlemme; chiediamo loro di comprare un regalo di Natale per uno studente a Gaza. La seconda ha come titolo “From family to family”, “Da una famiglia all’altra”, ed è indirizzata a tutti i nostri amici nel mondo, tutte le parrocchie, tutte le diocesi. Lo scopo non è soltanto mandare 150 dollari a ogni famiglia di Gaza ma anche sensibilizzare i nostri amici del mondo, la Chiesa universale, sul fatto che a Gaza c’è una popolazione “chiusa”: noi vogliamo che queste famiglie rimangano lì, perché non vogliamo perdere la presenza millenaria dei cristiani a Gaza.

D. – Lei ha appunto detto che sono 350 le famiglie cristiane che vivono a Gaza: di queste, il 34% non ha nulla. Come vivono e come vi impegnate affinché possano rimanere lì a Gaza e non emigrino all’estero?

R. – A Gaza lavorano tante organizzazioni umanitarie, perlopiù cristiane. Inoltre abbiamo due parrocchie, la parrocchia ortodossa e la parrocchia latina. Abbiamo le suore del Rosario, di Madre Teresa, del Verbo Incarnato. Dunque questa piccola comunità di 350 famiglie è circondata dall’affetto, dalla cura pastorale e anche dall’aiuto umanitario di noi tutti. Proprio in queste ore ho ricevuto la notizia che, prima di Natale, faremo partire 5 progetti di sviluppo in modo che 5 famiglie possano avere un lavoro e un reddito.

D. – In occasione della Giornata internazionale di solidarietà col popolo palestinese, qual è l’appello di Caritas Gerusalemme?

R. – Questa situazione di conflitto non può continuare. La comunità internazionale deve impegnarsi facendo pressione su ambedue le parti, israeliani e palestinesi, per risolvere questo conflitto. Direi, senza voler esagerare, che se vogliamo la pace e la tranquillità nel mondo arabo, islamico, nel Medio Oriente, dobbiamo risolvere il problema a Gerusalemme: perché Gerusalemme è la radice di tutto questo conflitto e sarà la chiave della soluzione.

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Roma. Veglia degli studenti per l'inizio dell'Avvento

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“Questo tempo" "ci deve rendere capaci di poter sentire la nostalgia di Dio, che poi non è altro che il suo richiamo verso di noi, spesso troppo occupati dietro faccende mondane. Solo così lo accoglieremo davvero nel nostro cuore” Così il vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi, ieri sera a Roma, nella Cappella universitaria de La Sapienza, ha aperto la Veglia di Avvento per gli studenti della capitale. In occasione dell’incontro è portata l’icona di Maria Sedes Sapientiae, donata ai giovani da San Giovanni Paolo II, che per quest’anno giubilare andrà pellegrina in tutte le cappellanie dell'ateneo. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro: 

Iniziare il cammino del periodo dell’Avvento con due intenzioni nel cuore: la preparazione al Santo Natale e l’inizio del Giubileo della Misericordia. Sono questi i propositi che hanno animato  la Veglia di preghiera degli universitari romani. Ascoltiamo il padre gesuita Jean Paul Hernandez, cappellano dell’Università La Sapienza.

R. – L’Avvento è importante perché la parola già indica l’ “ad-venire”: vuol dire il Signore stesso che viene nella propria vita. L’Avvento è l’educazione a vedere questo Signore che viene nella propria vita. A volte lo studente divide radicalmente la vita spirituale, l’incontro col Signore dal suo studio; invece vedere il Signore all’opera arriva al cuore di ciascuno proprio nel lavoro, proprio nello studio, proprio nel momento in cui si sta in mezzo ai libri, questo è l’educazione dell’Avvento.

D. – In che modo poterlo trasmettere a questi studenti?

R.  – Ci sono diversi strumenti che la tradizione spirituale ha. La prima è la catechesi nella Messa e questo è un primo tesoro, che è l’Eucaristia. Il secondo strumento sono gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio e allora proporre gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio è far entrare lo studente in quella mentalità biblica, che sa rileggere la propria storia come storia di doni di Dio e dunque come un linguaggio di Dio, come una musica di Dio.

D.  – Per questo Anno giubilare, l’icona di Maria Sedes Sapientiae sarà pellegrina nelle cappellanie della Sapienza, cosa vuol dire questo per voi?

R. – Questo vuol dire che Maria è una di noi, che sta con noi, prega con noi, così come ai piedi della Croce Gesù dice al discepolo amato: “Figlio, ecco tua madre”, ecco noi tutti siamo ai piedi della Croce, perché noi tutti siamo il  discepolo amato e Maria sta fra di noi.

Tanti i giovani che hanno voluto cominciare questo percorso partecipando alla celebrazione. Ascoltiamo i loro commenti:

R. – Questo è uno dei momenti più importanti per me, a livello liturgico, perché l’attesa della nascita di Gesù, che si rinnova dentro di noi, dentro di me ogni anno, è il momento più importante, quello per ripartire dopo l’estate. Allora, il Signore ci dà questa possibilità di riaccendere il nostro cuore in queste quattro domeniche e di vivere al meglio tutto l’Anno liturgico.

D. – In che modo porterai questo messaggio di gioia anche ai tuoi coetanei?

R. – In due modi: sia parlandone in famiglia, con gli amici più stretti, con i colleghi di università, sia – secondo me – vivendo questo messaggio. Non c’è, infatti, esempio migliore, di quello di vivere la Parola di Dio in quello che facciamo tutti i giorni.

R. – Soprattutto è un tempo di un’attesa che fa ben sperare, perché poi ogni cristiano sa che Gesù nasce. Quindi è un tempo per prepararsi alla nascita di Cristo nel nostro cuore. Ogni anno per me è una scoperta nuova.

R. - Il periodo dell’Avvento è un momento in cui bisogna prendersi un momento per riflettere e per pensare. E’ il momento giusto, infatti, in particolare, per riscoprire e riaffermare quello che si fa e, soprattutto, cercare di vivere l’amicizia con i poveri, con le persone più in difficoltà, più intensamente. E’ un momento, infatti, in cui molte persone, probabilmente, si trovano più sole che nel resto dell’anno.

R. – L’Avvento è attesa. Veramente, quindi, cercare di fare silenzio, nonostante sia un periodo storico molto particolare. Siamo bombardati da tanti suoni, tante notizie che purtroppo non sono così positive. Per me, però, significherà proprio fare silenzio, dedicare del tempo durante l’arco della giornata a meditare, a leggere, a pregare, perché il Signore così possa nascere nel mio cuore.

D. – Con questa celebrazione inizia anche un cammino verso il Giubileo della misericordia. In che modo ti prepari a vivere questo grande evento per la Chiesa?

R. – Innanzitutto, cercando di informarmi e cercando di capire a fondo quello che è il messaggio della misericordia: capire Roma, quali sono le Porte Sante, quali sono le iniziative anche per noi giovani. Cercherò nel mio piccolo di seguire queste iniziative.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mosca-Ankara, ancora tensioni per jet abbattuto

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Ancora tensioni tra Russia e Turchia. Il premier turco Davutoglu ha annunciato che Ankara ha recuperato il corpo del pilota del jet russo abbattuto dall’aviazione turca e lo consegnerà alla autorità di Mosca. Ma la tensione tra i due Paesi resta alta. Ieri il Presidente Russo, Vladimir Putin, ha firmato il decreto che impone forti misure economiche nei confronti della Turchia: importanti restrizioni all’importazione di merci turche, divieto agli imprenditori russi di assumere lavoratori turchi dal 1 gennaio 2016 e ai tour operator di vendere viaggi in  Turchia. Inoltre, l’esecutivo di Mosca ha ottenuto il mandato per adottare misure che blocchino i collegamenti dei voli charter tra i due Paesi.

Folla in Turchia per funerali avvocato curdi
Intanto, oggi in Turchia diverse migliaia di persone hanno partecipato al funerale di Tahir Elci, il leader degli avvocati curdi ucciso ieri in un agguato nella città di Diyarbakir. Il leader del partito filo-kurdo, Selahattin Demirtas, ha parlato di un "delitto politico", ricordando che Elci ha dedicato la sua vita alla pace, alla liberta' e alla fratellanza.

Vertice Ue-Turchia su immigrazione
L’Unione Europea offre alla Turchia "3 miliardi di fondi aggiuntivi iniziali" per far fronte all'emergenza migranti, e in cambio chiede ad Ankara di migliorare le condizioni di vita dei profughi e rinforzare la vigilanza delle sue coste. Questo il contenuto della bozza di conclusioni del vertice Ue-Turchia che sta per iniziare a Bruxelles. (A cura di Elvira Ragosta)

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Cop21, card. Hummes consegna petizione dei cattolici

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Ieri, dopo un momento interreligioso di raccoglimento spirituale, nella cattedrale di St. Denis, il card. Claudio Hummes, ha consegnato ai delegati della Cop 21 e al Governo francese la Petizione cattolica per il clima a nome Global Catholic Climate Movement (GCCM), la rete globale di organizzazioni cattoliche, creata lo scorso gennaio per sollevare una voce forte in vista delle importanti decisioni che dovranno essere prese nella capitale francese.

800mila le firme della petizione consegnata dal card. Hummes
La petizione ha raccolto 800mila firme di cattolici di 130 Paesi, comprese quelle di Papa Francesco, del card. Peter Turkson presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, del card. Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis e di diverse conferenze episcopali nel mondo. Nel testo, che ha ottenuto in totale 1,8 milioni di firme, si chiede alle parti coinvolte nel negoziato un deciso taglio alle emissioni di anidride carbonica per rallentare il riscaldamento globale, che venga fissata una data per la messa al bando dei combustibili fossili e che entro il 2050 si giunga alla completa decarbonizzazione. La petizione fa appello anche ai Paesi più ricchi, affinché aiutino quelli più poveri nella gestione dei cambiamenti climatici con strumenti finanziari adeguati.

Il pellegrinaggio per la Cop21
Centinaia di persone da diversi Paesi nel mondo hanno risposto all’appello rivolto da autorità religiose e organizzazioni internazionali  a partecipare al pellegrinaggio a Parigi per chiedere ai leader mondiali riuniti nella capitale francese per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop21 un accordo giusto ambizioso e vincolante per gli Stati sul clima. 

Gruppi di pellegrini accolti dalla Chiesa francese
Gruppi provenienti da molti Paesi del mondo sono arrivati nella capitale francese percorrendo anche migliaia di chilometri a piedi o in bicicletta. 300 pellegrini “climatici” si sono dati appuntamento venerdì sera nella chiesa di Saint Merry per un momento di conoscenza e scambio di esperienze. Ad accoglierli, a nome delle Chiese cristiane di Francia – riferisce l’agenzia Sir - Elena Lasida, esperta per la Conferenza episcopale francese per la Cop21. Erano presenti all’incontro mons. Jean-Luc Brunin, presidente del Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese, mons. Marc Stenger, presidente di Pax Christi France, e François Clavairoly, presidente della Federazione delle Chiese protestanti di Francia. (E.R.)

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Cop21: nella basilica di Saint-Denis preghiera dei leader religiosi

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Le religioni per il clima. Si è pregato ieri nella basilica cattedrale di Saint-Denis a Parigi. Si è meditato secondo le diverse tradizioni, ebrea, cristiana, musulmana, sikh, indù, buddista. Una invocazione dalle voci e nelle lingue più diverse ma unanime per chiedere d’infondere nei leader politici che domani arriveranno a Parigi per la Conferenza sul clima “il coraggio e la forza di cambiare il destino del nostro pianeta”. 

Una cerimonia tra meditazione, musica e testi sacri
​A dare il benvenuto ai leader religiosi e alle centinaia di “pellegrini climatici” - riferisce l'agenzia Sir - è stato il vescovo di Saint-Denis, mons. Pascal Delannoy. “Siamo qui per chiedere ai nostri rappresentanti politici che il creato che ci è stato donato sia rispettato e che i suoi frutti siano equamente destinati a tutti gli uomini della terra”. La cerimonia ha alternato momenti di meditazione offerti dai diversi rappresentanti religiosi, contributi musicali e letture di brani tratti dai testi sacri. Tra un momento e l’altro, al centro della basilica si è costruito una composizione artistica che alla fine ha portato alla rappresentazione dell’ecosistema con la terra, i fiori, gli alberi.(R.P.)

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Brasile: disastro ambientale nel Rio Doce

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Le abitazioni sono state spazzate via e le poche rimaste sono completamente ricoperte di fango. E’ l’immagine del più grande disastro ambientale della storia del Brasile, avvenuto a Mariana nello stato di Minas Gerais, che ha ucciso 17 persone e migliaia di pesci ed ora i detriti hanno raggiunto l’oceano. Inondazioni di fango tossico, residuo dell’estrazione del ferro, hanno cancellato il piccolo villaggio di Bento Rodrigues e gravemente danneggiato altri sei centri, espandendosi in altri due Stati. A distanza di due settimane dalla frana continuano le polemiche sulle responsabilità dell’incidente.

Onu: “Sostanze tossiche nel fango”
Nel dibattito è intervenuto anche L’Onu. Secondo l’Alto commissariato, il fango rilasciato dopo la rottura della diga in una miniera della zona è tossico: “Ci sono nuove prove – affermano – che i residui contengono alti livelli di metalli tossici e altre sostanze chimiche tossiche”. E’ questa la causa, sostengono le Nazioni Unite, della morte di migliaia di pesci nel Rio Doce, il fiume che collega lo Stato minerario del Minas Gerais con Espirito Santo sulla costa atlantica.

Per la Compagnia che gestisce la cava nessun pericolo per la salute
La Compagnia che gestisce la cava, la Samarco, sostiene invece, il contrario. L’azienda ha dichiarato che i test prima e dopo la frana dimostrano che il fango rilasciato, in gran parte composto da acqua, ossido di ferro e silicio, non comporta pericolo per la salute umana e non contiene sostanze contaminanti. Per la Samarco qualsiasi metallo presente nei sedimenti non sia reattivo e non contaminerà l’acqua: “Nell’acqua non cambieranno composizione chimica e si comporteranno come normale terra in un bacino idrico”. La moria di animali sarebbe, invece, dovuta al soffocamento causato dal grande volume di sedimento sottile, non da veleni. La società mineraria Samarco, decimo esportatore brasiliano, proprietà in parti uguali del colosso nazionale Vale e del gigante anglo-australiano Bhp Billiton, si è vista paralizzare le attività nel Minas Gerais e ha accettato di pagare, sinora, un minimo di un miliardo di reais (262 milioni di dollari) per i danni causati.

250mila persone senza acqua potabile
Oltre al danno ambientale c’è un danno economico e sociale. I 60 milioni di metri cubri di detriti, pari al contenuto di 25mila piscine olimpioniche, hanno tolto acqua potabile a 250mila persone. Samarco ha fornito 100 milioni di acqua potabile e minerale agli abitanti della città lungo il fiume. Non abbastanza per l’Onu che ha definito la risposta del gruppo minerario e del governo “insufficiente”, chiedendo loro di evitare ulteriori danni. (R.P.)

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Kenya, dottoressa italiana uccisa durante una rapina

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La radiologa italiana Rita Fossaceca, di 51 anni, e' stata uccisa ieri in Kenya nel corso di una rapina. Altri tre connazionali, il padre della dottoressa e due infermiere, sono rimasti feriti. La donna, che era a Mjomboni, con i genitori e lo zio, il parroco don Luigi Di Lella, era una volontaria della onlus ForLife. Secondo quanto riportato dall’associazione internazionale, la donna è morta per un colpo di pistola alla testa mentre stava difendendo la madre, assalita con un machete. Il gruppo si trovava in un piccolo villaggio nell'entroterra di Malindi. 

La dottoressa si recava periodicamente in Kenya da 11 anni
Originaria di Trivento, in Molise, la dottoressa Fossaceca viveva da tempo a Novara, dove lavorava all’ospedale Maggiore, e si recava periodicamente in Kenya da undici anni. Non sarebbero gravi, invece, le condizioni di Monica Zanellato e Paola Lenghini, le due infermiere colleghe della vittima, ferite durante la rapina insieme al padre della dottoressa.

La sua dedizione e il suo impegno a difesa dei più deboli, malati e donne in Africa
​Il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Paolo Gentiloni, ha espresso cordoglio alla famiglia della dottoressa: "Le mie più sincere condoglianze e il mio pensiero alla famiglia della signora Fossaceca, una persona che so essere molto amata e rispettata per la sua profonda dedizione e il suo impegno a difesa dei più deboli, malati e donne in Africa”. (E.R.)

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Pakistan. Marito Asia Bibi: nostra famiglia in fuga per paura

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Ashiq Masih, il marito di Asia Bibi, la donna cristiana pachistana arrestata nel 2009 e in carcere con la falsa accusa di blasfemia, racconta al quotidiano Avvenire le difficoltà che la sua famiglia sta soffrendo e il clima di terrore in cui lui e i suoi figli vivono da quando, nel 2011, la donna è stata condannata a morte dalle autorità pakistane. “Quel giorno hanno condannato anche noi. Siamo stati costretti a fuggire dal nostro paesino nel Punjiab perché considerati la famiglia della blasfema, racconta Ashiq, e trasferirci nella città di Lahore”. Qui però ha incontrato molte difficoltà, sia nel trovare lavoro, sia nel potersi permettere l’affitto di una casa per sé e i suoi cinque figli. Da quando, infatti, dice ad Avvenire, la Corte suprema pakistana ha accettato il ricorso alla sentenza del 2011 che condannava a morte Asia Bibi, la tensione degli estremisti è cresciuta, al punto da fare pressioni, facendo circolare le sue foto, per evitare che gli offrissero un lavoro.

Due figli maschi sono nascosti in un’altra località protetta
Ora Ashiq vive con le sue tre figlie femmine nell’aula di una delle scuole della Renaissance Education Foundation di Lahore, mentre gli altri due figli maschi sono nascosti in un’altra località protetta. “E’ brutto uscire solo dopo il tramonto, quando c’è poca gente - racconta ancora il marito di Asia Bibi- tenere le imposte abbassate per paura di essere visti dai vicini, evitare di rivolgere la parola alle persone che incontri, non avere amici. Soprattutto per le ragazze, che sono rimaste con me. Sono giovani, soffrono tanto la solitudine. Non possiamo, però, lamentarci. Asia sta molto peggio di noi: è chiusa in una cella da oltre cinque anni. Dobbiamo essere forti anche per lei». 

L'avvocato di Asia Bibi è ottimista per la sua liberazione
​C'è anche apprensione per le condizioni della moglie, che è in attesa dell'udienza finale con sui la Corte suprema dovrà decidere sulla sua scarcerazione. Uno degli avveocati di Asia Bibi, Khalil Tahrir, si dice ottimista e sottolinea come contro di lei non ci siano prove del reato per il quale è stata condannata. (E.R.)

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Nepal. Mons. Simick: blocco economico indiano impedisce aiuti

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“Mi si stringe il cuore nel vedere tanti nepalesi costretti a vivere ancora nelle tende, nonostante quanto era stato loro promesso”. Così scrive mons. Paul Simick, vicario apostolico del Nepal, in un messaggio inviato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Il vescovo riferisce della crisi interna in atto nel suo Paese e delle crescenti tensioni tra il governo nepalese e quello indiano. Tensioni sfociate in un blocco economico imposto da Nuova Delhi che compromette gravemente l’assistenza umanitaria alle vittime del devastante terremoto dello scorso aprile, in cui sono morte più di 9mila persone". 

La crisi è sorta con la promulgazione della nuova Costituzione nepalese
"La Carta – che divide il Nepal in sette Stati regionali e propone una visione laica e secolarista – ha incontrato la ferma opposizione dei madhesi, una delle principali minoranze etniche del Paese che vive nella regione al confine con l’India. Secondo il nuovo assetto sancito dalla Costituzione, le terre d’origine dei madhesi verrebbero suddivise e affidate all’amministrazione di gruppi etnici rivali, con conseguente diminuzione della loro rappresentanza politica. La protesta è appoggiata dal governo indiano che da oltre tre mesi ha chiuso la propria frontiera con il Nepal, ufficialmente a causa degli scontri nell’area". 

E' impossibile raggiungere alcuni campi profughi
​“La situazione peggiora ogni giorno – denuncia mons. Simick – e danneggia l’assistenza alle vittime del terremoto. È praticamente impossibile raggiungere alcuni campi profughi dove servono beni alimentari e di prima necessità. E poi con l’arrivo dell’inverno, migliaia di persone hanno bisogno di coperte e vestiti pesanti”. La chiusura del confine indiano è causa di molte altre difficoltà". 

Il Nepal dipende dall’India per la fornitura di medicinali e di carburante
"A Kathmandu la popolazione attende ore in fila per ricevere quel poco carburante razionato dalla Nepal Oil Corporation e anche il gas per cucinare inizia a scarseggiare”, racconta. La mancanza di carburante ha influito drasticamente sui trasporti e costretto molte scuole a sospendere ogni attività. “Gli istituti della valle di Kathmandu stanno chiudendo perché tutti gli scuolabus sono senza benzina – scrive -. Una vera tragedia, specie se si considera che oltre 16mila scuole erano già state distrutte dal terremoto”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 333

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.