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Sommario del 07/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: famiglie rendono il mondo più umano, ma politica non le sostiene

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La Chiesa per la sua missione e il mondo per la sua stessa esistenza hanno bisogno di essere animati dallo “spirito familiare”, che mette in luce la parte migliore di ogni convivenza, civile ed ecclesiale. È il pensiero di fondo del Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro. Francesco ha invitato politica ed economia a sostenere le famiglie, portatrici di valori insostituibili per il bene comune di ogni società. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Sulle rive del lago dell’umanità la Chiesa non può continuare a pescare con le sue “vecchie reti”, quelle usate finora. Per prendere di nuovo il largo, e portare avanti la sua missione, ha bisogno – sostiene il Papa – di una dose massiccia di “spirito familiare”, perché la rete di rapporti e valori che tiene unita una famiglia è tuttora la migliore forma di “convivenza civile”, che scienza e tecnica non hanno saputo né imitare né superare.

Rapporti “disidratati”
Mentre i padri sinodali sono riuniti nei Circoli minori, Francesco propone la prima di una serie di catechesi che intendono accompagnare i lavori dell’assise in corso in Vaticano e riflettere sul legame, che definisce “indissolubile”, tra Chiesa e famiglia. Famiglia che il Papa dimostra di considerare davvero come protagonista di qualsiasi quotidianità di qualsiasi Paese e cultura:

“Uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di ‘spirito famigliare’. Infatti, lo stile dei rapporti – civili, economici, giuridici, professionali, di cittadinanza – appare molto razionale, formale, organizzato, ma anche molto ‘disidratato’, arido, anonimo. Diventa a volte insopportabile. Pur volendo essere inclusivo nelle sue forme, nella realtà abbandona alla solitudine e allo scarto un numero sempre maggiore di persone”.

Famiglia crea un mondo abitabile
Insomma, rapporti umani che sono carenti proprio di “umanità”. La quale vibra e permea invece – osserva Francesco – ogni nucleo familiare che si regga sull’amore libero e reciproco dei suoi componenti:

“La famiglia introduce al bisogno dei legami di fedeltà, sincerità, fiducia, cooperazione, rispetto; incoraggia a progettare un mondo abitabile e a credere nei rapporti di fiducia, anche in condizioni difficili; insegna ad onorare la parola data, il rispetto delle singole persone, la condivisione dei limiti personali e altrui. E tutti siamo consapevoli della insostituibilità dell’attenzione famigliare per i membri più piccoli, più vulnerabili, più feriti, e persino più disastrati nelle condotte della loro vita”.

Lo strano paradosso
Il problema è che famiglie così non godono di quell’attenzione che la loro grande rilevanza sociale meriterebbe. Alla famiglia, afferma il Papa, non si dà “il dovuto peso – e riconoscimento, e sostegno – nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea” che, “con tutta la sua scienza e la sua tecnica”, “non è ancora in grado di tradurre queste conoscenze in forme migliori di convivenza civile”:

“Non solo l’organizzazione della vita comune si incaglia sempre più in una burocrazia del tutto estranea ai legami umani fondamentali, ma, addirittura, il costume sociale e politico mostra spesso segni di degrado – aggressività, volgarità, disprezzo… – che stanno ben al di sotto della soglia di un’educazione famigliare anche minima. In tale congiuntura, gli estremi opposti di questo abbrutimento dei rapporti – cioè l’ottusità tecnocratica e il familismo amorale – si congiungono e si alimentano a vicenda. Questo, vero, è un paradosso”.

La Chiesa è la famiglia di Dio
Ma non lo è, un paradosso, per la Chiesa che – indica il Papa – “individua oggi, in questo punto esatto, il senso storico della sua missione a riguardo della famiglia e dell’autentico spirito famigliare, incominciando da un’attenta revisione di vita, che riguarda sé stessa”:

“Si potrebbe dire che lo ‘spirito famigliare’ è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere (...) Potremmo dire che oggi le famiglie sono una delle reti più importanti per la missione di Pietro e della Chiesa. Non è una rete che fa prigionieri, questa! Al contrario, libera dalle acque cattive dell’abbandono e dell’indifferenza, che affogano molti esseri umani nel mare della solitudine e dell’indifferenza. Le famiglie sanno bene che cos’è la dignità del sentirsi figli e non schiavi, o estranei, o solo un numero di carta d’identità”.

Al termine delle catechesi in sintesi nelle altre lingue, Papa Francesco ha salutato, fra gli altri, Mons. Vincenzo Paglia e i collaboratori del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ringraziandoli per l’impegno profuso nell’organizzazione del recente Incontro mondiale delle famiglie di Filadelfia. Un saluto è andato anche al Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta.

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Papa saluta le famiglie irachene. Younan: cristiani a rischio estinzione

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Erano presenti in Piazza San Pietro, per partecipare all’udienza generale, alcune famiglie di rifugiati iracheni. Il Papa le ha salutate “calorosamente”. Al Sinodo si sta parlando del dramma di tante famiglie cristiane che hanno dovuto lasciare Siria e Iraq per la guerra e le persecuzioni del sedicente Stato Islamico. A lanciare il grido delle famiglie cristiane del Medio Oriente, spesso divise dalle violenze, è stato, tra gli altri, il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. - Le nostre famiglie si trovano nei Paesi dove c’è la persecuzione, le guerre civili, quindi Siria, Iraq e Paesi del Medio Oriente. La nostra è una sfida per l’esistenza in quanto tale; non parlo di famiglie, di individui, di coppie, ma della nostra famiglia culturale, del nostro patrimonio siriano che è minacciato di sparire; migliaia di famiglie sono state cacciate dalle loro terre e non sappiamo quando ritorneranno e se mai ritorneranno. Siamo veramente davanti ad una grande sfida per la sopravvivenza; solo Dio potrà darci questo dono e fare questo miracolo.

D. - Ricordava le tante famiglie  costrette a fuggire, ma anche le tante famiglie divise, persone che si trovano lontano dalle loro famiglie perché fuggite …

R. - Le migrazioni creano sempre queste divisioni, questa separazione dei membri della famiglia. Ma per noi questo esodo è stato improvviso; non sappiamo in che modo potremmo riunire i membri della famiglia che sono sparsi in tutte le parti del mondo.

D. - Come commenta le cronache delle ultime giornate? Questi raid effettuati anche dalla Russia in Siria? L’opzione militare è un’opzione che può essere scartata?

R. - Non può essere scartata, perché questa gente non capisce né il dialogo né la riconciliazione né un processo veramente democratico. Dico questo specialmente ai Paesi occidentali, perché non si può dialogare con una persona che vuole ucciderti. Bisogna difendersi, bisogna difendere la propria famiglia. Come lei sa c’è ancora, nel centro della Siria, un sacerdote rapito da 3–4 mesi, Jacques  Murad, e con lui duecento cristiani. Si trovano nel Qaryatayn, nel centro di Homs e cosa si può fare? Devono convertirsi all’islam, pagare la “jizya”, la tassa musulmana. È un’aberrazione verso la quale l’Occidente mostra indifferenza.

D. - L’obiettivo chiaramente è anche salvaguardare i civili  in questi raid …

R. – Se non si coordinano gli attacchi aerei con l’azione dell’esercito siriano sul terreno non si potrà arrivare ad un esito perché sono molto furbi, hanno molti finanziamenti, ci sono tanti mercenari che provengono da ogni parte del mondo e che si infiltrano tra i civili.

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Il Papa affida alla Madonna del Rosario tutte le famiglie del mondo

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All’udienza generale il Papa ha ricordato che oggi la Chiesa celebra la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario. A Lei ha affidato le famiglie di tutto il mondo e il Sinodo sulla famiglia. Ha quindi invitato tutti i fedeli a imitare San Giovanni Apostolo: come lui – ha detto – “accogliete Maria nelle vostre case e fatele spazio nella vostra esistenza quotidiana” perché “la sua materna assistenza sia fonte di serenità e di forza”. Poi, così si è rivolto a giovani, malati e sposi: 

“Cari giovani, la speranza che abita il cuore di Maria vi infonda coraggio di fronte alle grandi scelte della vita; cari ammalati, la fortezza della Madre ai piedi della croce vi sostenga nei momenti più difficili; cari sposi novelli, la tenerezza materna di Colei che ha accolto nel grembo Gesù accompagni la nuova vita familiare che avete appena iniziato”.

La preghiera del Rosario risale al secolo XIII e fu promossa in particolare dai Domenicani. Il 7 ottobre 1571, a Lepanto, nello Stretto che separa i Golfi di Patrasso e Corinto, la coalizione formata da Venezia, Spagna e Stato Pontificio ottenne una schiacciante vittoria contro la flotta turca. Questo evento ebbe risonanza in tutto il mondo cristiano e spinse San Pio V ad istituire una festa di ringraziamento che prese il nome di ''Santa Maria della Vittoria''. Estesa nel 1716 alla Chiesa universale e fissata definitivamente al 7 ottobre da San Pio X nel 1913, venne in seguito denominata la festa del Rosario. Tante le raffigurazioni artistiche sulla Vergine del Rosario, in particolare il quadro custodito nella Basilica di Pompei in cui la Madonna viene rappresentata in trono con il Bambino in braccio fra San Domenico e Santa Caterina: la Vergine offre il Rosario alla Santa e Gesù al Santo. Sul significato che ha per i fedeli la preghiera alla Madonna del Rosario, Elvira Ragosta ha intervistato padre Alberto Valentini, mariologo monfortano: 

R. – La preghiera del Rosario è stata detta un po’ la preghiera dei poveri, dei semplici, ma tutte le volte che io uso questa espressione penso ai poveri della Scrittura, agli anawim, che sono coloro che sono intimi del Signore. Soltanto le persone che hanno un’esperienza di fede e che hanno fatto un cammino riescono a pregare con la corona. La preghiera dei poveri, perché? Perché anticamente i dotti, i colti pregavano con i Salmi, 150 Salmi, e invece le persone che non potevano, pregavano con 150 Ave Maria. Non a caso erano lo stesso numero dei Salmi, fino all'aggiunta dei Misteri della Luce da parte di San Giovanni Paolo II.

D. – Come pregare con il Rosario?

R. – Il Rosario è una preghiera di meditazione, anzitutto, ha bisogno di silenzio, di quiete, ha bisogno di distensione. Le Ave Maria che si susseguono, precedute dal Padre Nostro e dal Gloria, sono delle meditazioni sulla storia della salvezza. Le preghiere di cui si compone la corona sono quelle fondamentali: la preghiera del Signore, del Padre Nostro; la prima parte dell’Ave Maria, che è l’annuncio alla Vergine, e la seconda parte, che è l’invocazione della Chiesa; e poi la glorificazione della Trinità. E’ quindi una preghiera densissima, che apparentemente può sembrare semplice, ma concentra i massimi dati della fede riuniti in una preghiera.

D. – La devozione alla Madonna del Rosario ha origini antiche, risale al 13.mo secolo, ma come si è evoluta e rafforzata fino ai nostri giorni?

R. – Le evoluzioni sono state tante nei secoli. Possiamo dire che soprattutto alcuni Papi hanno dato un impulso particolare al Rosario. Il primo è San Pio V, nel ricordo della battaglia di Lepanto e della vittoria dei cristiani, avvenuto proprio il 7 ottobre 1571. E’ stata quindi istituita questa festa in ricordo della protezione che hanno ricevuto dalla Vergine. Poi bisogna ricordare senz’altro Leone XIII, che soprattutto nella Enciclica Octobri mense del 1891 ha insistito sul Rosario. Lui, però, ripetutamente ha parlato della corona. Più vicino a noi c’è Paolo VI, il grande Paolo VI, che nella Marialis Cultus ha dedicato l’ultima sezione proprio al Rosario, dicendo che è una preghiera che deve convincere con la sua bellezza, non si può imporre. Non è necessario, se uno ha difficoltà, che preghi con il Rosario. Dobbiamo, però, essere conquistati - chi riesce - dalla bellezza di questa preghiera, gli altri possono fare anche altre preghiere. E’ però sempre un segno di maturazione cristiana. Poi naturalmente dopo Paolo VI abbiamo il Rosarium Virginis Mariae del 2002 di Giovanni Paolo II, il quale ovviamente era devotissimo. Anche questo Papa sappiamo che va sempre a Santa Maria Maggiore prima di impegni importanti e stamattina ha raccomandato la Chiesa e il Sinodo alla Vergine del Rosario.

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Briefing. Chaput: al Sinodo non per vincere ma per la verità

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Circoli minori al lavoro al Sinodo ordinario sulla famiglia, in corso in Vaticano. Nel consueto briefing informativo, sono intervenuti tre Padri sinodali: gli arcivescovi Salvador Piñeiro García Calderón, Charles Joseph Chaput e mons. Laurent Ulrich, in qualità di relatori e membri di alcuni Circoli minori, eletti ieri pomeriggio. Il servizio di Isabella Piro

Mons. Ulrich: ai Circoli minori, unità nella diversità
“Ceci est pour moi quelque chose de très remarquable, de très beau et de très intéressant…
"Molto notevole, molto bello, molto interessante": così mons. Ulrich, arcivescovo di Lille, in Francia, definisce il lavoro nei Circoli minori, in cui – spiega – c’è uniformità linguistica, ma anche differenza di provenienza e di esperienza tra i rispettivi membri. Lavorare insieme su un soggetto comune, delicato e completo come la famiglia - ha sottolineato - ci aiuta a confrontarci e a far emergere le differenze, spingendoci ad analisi approfondite. Nella Chiesa cattolica teniamo molto all'unità, aggiunge, ma vogliamo che le differenze culturali emergano e tutti si possano esprimere.

Mons. Piñeiro: la Chiesa deve accompagnare le famiglie
“La Iglesia tiene que acompañar a las familias…
“La Chiesa deve accompagnare la famiglia”, afferma dal suo canto mons. Piñeiro, presidente della Conferenza episcopale del Perù, sottolineando l’ambiente fraterno che si respira al Sinodo. “Sappiamo – dice – che c’è un attacco all’istituzione familiare”, soprattutto in legislazioni che aprono, ad esempio, all’aborto. Per questo, afferma il presule, bisogna ribadire il Vangelo della vita, della speranza, il Vangelo per la famiglia, ricordando poi che le persone ferite vanno confortate ed accompagnate. 

Mons. Chaput: riaffermare l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio
La capacità della Chiesa di sostenere le famiglie viene sottolineata anche da mons. Chaput, arcivescovo di Philadelphia, che ricorda la bellezza dell’Incontro mondiale delle famiglie svoltosi nella sua città a fine settembre, alla presenza del Papa. Un evento, spiega, capace di ridare speranza ai nuclei familiari e di riaffermare l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio. “Incoraggiamo – aggiunge – chi segue l'insegnamento della Chiesa sulla famiglia in modo che non si senta abbandonato”.

Non guardare preoccupazioni di un solo Paese, ma universalità della Chiesa
Riguardo al Sinodo, dice, è importante procedere guardando alle preoccupazioni che non siano solo quelle di un solo Paese. Per questo, nei Circoli minori anglofoni, c'erano preoccupazioni che l'Instrumentum Laboris non riflettesse l’universalità della Chiesa. C’è bisogno di dialogo tra la Chiesa universale e locale, aggiunge mons. Chaput, perché non è appropriato, per le Conferenze episcopali, decidere sulla dottrina. E spiega: “Noi non siamo qui per vincere qualcosa; siamo qui per giungere a quella verità che il Signore ha stabilito per la sua Chiesa”.

Linguaggio non ferisca la persone, ma resti fedele a dottrina
Poi, una riflessione sul linguaggio: l’arcivescovo di Philadelphia richiama il bisogno di stare attenti alle parole per non ferire le persone, ma restando fedeli alla dottrina della Chiesa. Perché in fondo, gli fa eco mons. Piñeiro, il linguaggio della Chiesa è quello dell’amore, di Pastori che si prendono cura della famiglia.

Padre Lombardi: Padri sinodali liberi di pubblicare i loro interventi
Quindi, rispondendo ad una domanda della stampa riguardo alla pubblicazione degli interventi dei Padri sinodali su alcuni blog, padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, spiega:

“I Padri sono liberi di dare i loro interventi a chi desiderano e quindi sono liberi di parlare con chi desiderano. Spesso, i vescovi che provengono da una diocesi vogliono riferire alla loro diocesi cosa hanno detto al Sinodo e possono farlo tranquillamente. Questo, però, è lasciato alla libertà dei Padri ed alle richieste che vengono loro rivolte”.

Eletti moderatori e relatori dei Circoli minori
Infine, padre Lombardi ha reso noto l’elenco dei moderatori e dei relatori dei Circoli minori, che sono stati eletti ieri pomeriggio. Da ricordare che al Sinodo attuale i Circoli minori sono 13, suddivisi per lingua: quattro per l’inglese, tre per il francese e per l’italiano, due per lo spagnolo ed uno per il tedesco.

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Forte: ampio spazio ai Circoli minori significa maggiore collegialità

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Una delle novità del Sinodo del 2015 è l’ampio spazio dato ai Circoli minori, i piccoli gruppi di approfondimento nei quali sono stati suddivisi i padri sinodali. Ma quale la funzione dei Circoli minori e come si svolge il lavoro al loro interno? Paolo Ondarza lo ha chiesto al segretario speciale del Sinodo, mons. Bruno Forte

R. – Sono dei gruppi di approfondimento, di elaborazione delle idee, costituiti anzitutto secondo le lingue, perché dobbiamo sempre ricordare che il Sinodo ha cinque lingue in cui di fatto si lavora, dunque costituiscono quello che in un linguaggio piuttosto usuale si chiama “gruppi di studio”, “gruppi di approfondimento” … in ogni caso, una forma per sollecitare e favorire la più ampia partecipazione e il più ampio dibattito.

D. – Sono i singoli padri sinodali che scelgono a quale circolo appartenere? Se sì, ci sono gruppi tematici più partecipati?

R. – La scelta fondamentale viene fatta in base alle lingue e quindi è chiaro che parlando la maggioranza dei padri presenti inglese, francese o italiano, spagnolo, c’è una piccola minoranza che parla tedesco, è chiaro che i gruppi linguistici rispecchiano questo numero. La scelta dei partecipanti all’interno, poi, dell’area linguistica … a meno che non ci siano particolari esigenze di un padre che le presenti, normalmente viene fatta dalla segreteria, in maniera piuttosto automatica.

D. – Non ci sono quindi aree tematiche che vedano una più ampia partecipazione, in questo momento?

R. – Ma, direi di no, perché i temi sono gli stessi per tutti i Circoli, fondamentalmente. Quindi, non è che ci siano opzioni in base a idee tematiche …

D. – Che sviluppo avrà, ai fini dello svolgimento del Sinodo, il lavoro dei singoli Circoli minori?

R. – Io credo che sia molto importante perché – come dice la parola “Sinodo” – si cammina insieme. Una cosa è un’assemblea di 270 padri più un centinaio tra uditori ed esperti; una cosa è un Circolo in cui una trentina di padri possono – con alcuni uditori ed esperti – condividere e riflettere insieme su alcuni punti. Insomma, è un esercizio effettivo di partecipazione. Non dimentichiamo che, appunto, il Sinodo è tale se questa partecipazione è al massimo favorita e incoraggiata.

D. – Dai singoli Circoli scaturirà una Relazione: chi sarà a redigerla?

R. – In questo c’è molta democrazia, nel senso che ogni Circolo sceglie un suo moderatore che ha il compito di dare la parola, coordinare il lavoro e un suo relatore, cioè qualcuno che faccia sintesi di tutte le idee emerse – possibilmente condividendole con tutto il gruppo – e poi le presenta in aula. Il lavoro dei Circoli viene effettivamente canalizzato verso una comunicazione a tutta l’Assemblea sinodale: questo è molto importante. Così il lavoro fatto in piccoli gruppi di fatto rifluisce nel lavoro collegiale di tutta l’Assemblea sinodale.

D. – 18 Congregazioni generali – potremmo chiamarle “assemblee plenarie” – e 13 sessioni di Circoli minori: viene dato ampio spazio ai Circoli minori. Questa scelta vuole valorizzare il focus, l’approfondimento?

R. – Vuole valorizzare la partecipazione collegiale: un tema che ci sta molto a cuore è che il Sinodo sia un effettivo esercizio della collegialità episcopale, dove cioè i vescovi abbiano non solo il pieno “diritto”, ma anche il pieno spazio per potere intervenire con il loro contributo per potere offrire un punto di vista; come anche le loro provocazioni e le loro domande.

D. – La metodologia di questo Sinodo è innovativa, rispetto al passato?

R. – Nel senso che si dà molto più spazio ai circoli minori: va esattamente nella linea di esprimere al meglio la collegialità episcopale.

D. – Personalmente, un suo auspicio alla luce di tanto impegno, di tanto lavoro di questi giorni e anche di questo anno: ricordiamo che siamo alla seconda tappa di questa riflessione della Chiesa sulla famiglia …

R. – Io lo farei riferendomi proprio a quello che sin dall’inizio Papa Francesco ha chiesto ai vescovi: di parlare con grande libertà, cosa che mi sembra sia avvenuta e stia avvenendo pienamente, in modo da contribuire con un senso alto di responsabilità e di fede, al bene di tutta la Chiesa. Mi sembra che sia – questo Sinodo in due tappe e con la fase intermedia che ha visto coinvolte fortemente anche le Chiese locali come quella preparatoria con il questionario – un esercizio molto alto di partecipazione della Chiesa. Insomma, è una Chiesa che sempre più si manifesta comunione, cioè unità nella varietà, nella ricchezza della diversità che lo Spirito suscita e dove ciascuno porta il proprio contributo per il bene di tutti. E’ la Chiesa del Vaticano II che prende forma attraverso una struttura, quella del Sinodo, che è figlia dello spirito del Vaticano II.

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Mons. Vuksic: da Sinodo una via di verità non di popolarità

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Misericordia e Verità sono sorelle, mai in antitesi: sfida del sinodo è riproporre inalterato il deposito della fede con uno sguardo attento e accogliente nei confronti delle situazioni ferite. Lo spiega mons. Tomo Vuksic, ordinario militare di Bosnia ed Erzegovina al microfono di Paolo Ondarza

R. – Il mio augurio è che da questo Sinodo possano venire fuori molti frutti, prima di tutto al livello della conferma della fede della Chiesa per quanto riguarda la famiglia e poi per quanto riguarda la cura pastorale per le famiglie e la pastorale della Chiesa. Sempre di più ci troviamo davanti a nuove sfide che bisogna affrontare in uno spirito di cura e di amore verso tutti, in uno spirito di fedeltà alla fede della Chiesa e alla tradizione, e certamente in uno spirito di grande misericordia, soprattutto verso quanti soffrono.

D. – Sono queste le sfide che vive anche la sua gente?

R. – Sì, la Chiesa non vive le stesse esperienze da tutte le parti del mondo. Un po’ dappertutto, però, si sente la stessa problematica. Alcune cose, in certe parti, ritardano un po’ quella problematica che sentono le famiglie e la Chiesa in Europa, in America e nel mondo occidentale intero, e certamente non è vissuta allo stesso livello nei Paesi africani e nei Paesi asiatici. Queste, però, non sono isole chiuse e la problematica c’è: la secolarizzazione, la crisi della fedeltà e del concetto cristiano della famiglia. Sempre di più è presente questa devastazione della famiglia come nucleo della Chiesa e della società. La famiglia, presa in senso classico e nello spirito cristiano, viene vista sempre di più come una cosa del passato. Qui soprattutto le cosiddette multinazionali ideologiche e mediatiche vanno in offensiva contro il concetto biblico della Chiesa, della cristianità intera.

D. – E questo provoca spesso una derisione della fedeltà per sempre in una coppia, nel pensiero comune, quasi uno sminuire l’importanza di questo, quando in realtà l’impegno per sempre, l’indissolubilità, hanno una forza attrattiva, nonostante tutte le difficoltà, anche per il mondo di oggi…

R. – L’attrattività certamente non è un argomento teologico. La Rivelazione divina ci dice l’indissolubilità del matrimonio, è la Chiesa che lo propone. Sia ai tempi di Gesù sia oggi la Chiesa, proponendo diverse cose del suo contenuto, della sua fede, si trova spesso nella situazione in cui si trova San Paolo all’Aeropago ad Atene, quando dovette predicare un Dio sconosciuto. Oggi, come sempre, la Chiesa si trova all’Aeropago. E l’attrattività non è un argomento per seguire o abbandonare certe convinzioni e la fede della Chiesa, ma la fede come tale è la fede e va proposta pure lì dove qualcuno non la sente attrattiva. E’ la via di salvezza, via Crucis moderna della Chiesa, che deve essere affrontata. Fuggire dalla via Crucis non sarebbe il modello di Gesù. La popolarità di poco conto non è una via pastorale della Chiesa cattolica.

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Sinodo. Coniugi Matassoni: collaborazione più forte tra famiglie e sacerdoti

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Dal Sinodo si leva l’invito ad un rinnovato impegno dei laici nella Chiesa a cominciare da una sempre più proficua collaborazione tra famiglie. La famiglia è soggetto attivo, non solo oggetto della pastorale: fondamentale un lavoro congiunto tra laici e consacrati. Portano la loro testimonianza in aula due sposi: Marialucia e Marco Matassoni, genitori di quattro figli e membri della Commissione per la pastorale famigliare nell'Arcidiocesi di Trento. L’intervista è del nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza

R. – Credo che uno degli aspetti su cui lavorare sia proprio quello di sensibilizzare, responsabilizzare sempre di più le famiglie, far prendere loro coscienza che sono un soggetto importante e che hanno una ricchezza e una bellezza che vive concretamente delle difficoltà e delle fragilità. E quindi dare fiducia a queste famiglie, perché credo che molte si sentano in qualche modo spaventate ad entrare a far parte di comunità accoglienti e vivano un po’ ai margini. Invece dovremmo rilanciare questa idea di Chiesa come famiglia di famiglie, in cui tutti possono collaborare, ciascuno con le proprie specificità e fragilità, perché non c’è nessuno che non abbia problemi, ma insieme si possono risolvere. Nella nostra esperienza credo che uno dei doni che abbiamo avuto è stato proprio quello di essere circondati da amici, da famiglie che ci hanno sempre supportato, dato una mano, aiutato. E credo che sia la nostra forza: nessuno da solo ce la può fare… Siamo in un mondo affettivamente un po’ complicato e mai come adesso è importante creare questi legami. E l’altro aspetto è quello – veramente – di costruire una collaborazione forte con i sacerdoti. Credo che le famiglie abbiano tanto da dire e debbano lavorare con i sacerdoti.

D. - Quindi coinvolgimento delle famiglie nell’attività pastorale e anche arricchimento reciproco, potremmo dire, tra vita religiosa - vita consacrata - e vita delle famiglie… Vivete questo nella vostra realtà?

R. – Sì, direi che lo abbiamo cominciato a vivere concretamente. Forse noi siamo stati anche privilegiati perché abbiamo frequentato il Master all’Università Lateranense in Scienze del Matrimonio e della Famiglia; sono stati tre anni, da questo punto di vista, che ci hanno veramente fatto intravedere come ciò sia possibile. E adesso questa piccola esperienza che abbiamo fatto, noi e i nostri figli, di vita fraterna tra presbiteri e sposi – che poi si traduce in una collaborazione attiva – stiamo cercando di trasmetterla come stimolo anche ai nostri sacerdoti.

D. – Quanto è importante per una famiglia, magari in crisi, trovare in parrocchia una famiglia pronta ad ascoltarla e ad accompagnarla?

R. – Questo oggi è fondamentale perché, sotto sotto, noi pensiamo che uno dei problemi più grossi sia proprio la lassità delle relazioni. Queste relazioni fragili che si costruiscono sulla sabbia e che invece avrebbero bisogno di essere accompagnate, non soltanto quando due giovani si innamorano e fanno o no il passo verso il matrimonio; ma sempre con un riferimento e una luce che principalmente dovrebbe essere un’altra famiglia.

D. – Per i vostri figli – quattro – è una ricchezza questo vostro impegno ecclesiale?

R. - Sì, io direi che è una ricchezza reciproca. Non chiediamo loro che condividano tutte le nostre frequentazioni e attività, però devo dire che questo li fa maturare molto. L’altra cosa che – credo – sia importante sottolineare è che è vero anche il contrario: tante volte siamo noi che impariamo dai nostri figli. Come genitori, abbiamo lo stimolo a capire bene cosa significa educare: essere padri e madri. E questo è senz’altro uno degli stimoli che ha guidato anche noi nel provare ad approfondire, a metterci a disposizione e all’opera. E l’altra cosa è che i nostri figli sono moto più aperti di noi: senza grossi studi hanno una sensibilità immediata nell’aprirsi e nell’essere inclusivi. Quindi, tutto sommato, credo che dovremmo anche riscoprire questo aspetto della crescita reciproca, ciascuno con la maturità che ha.

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Padre Lombardi: passi concreti per viaggio Papa in Messico nel 2016

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Il progetto di un viaggio del Papa in Messico "comincia ad essere concreto": è quanto ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, rispondendo a una domanda in proposito. Il Papa - ha affermato il portavoce vaticano - “desidera andare in Messico, come ben sappiamo, perché lo ha detto lui stesso diverse volte. C’è un progetto per fare questo viaggio nel prossimo anno e per questo progetto - ha sottolineato - sono cominciati passi concreti”.

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Nomine episcopali in Vietnam e Italia

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In Vietnam, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Vinh Long il sacerdote Peter Huỳnh Văn Hai, vicerettore e docente di Filosofia presso il Seminario Maggiore di Can Tho. Il neo presule è nato il 18 maggio 1954 a Bến Tre, Diocesi di Vĩnh Long. Nell’anno 1966 è entrato nel Seminario Minore di Vinh Long e qualche anno dopo nel Seminario Maggiore San Sulpizio di Vinh Long.  Nel 1978 è ritornato in famiglia a causa delle circostanze storico-politiche. Nel 1991 è rientrato nel Seminario di Vinh Long, per completare la formazione. È stato ordinato sacerdote il 31 agosto 1994, incardinato nella Diocesi di Vinh Long. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1994-2004: studi presso l’Istitut Catholique di Parigi, in Francia, ottenendo il Dottorato in Filosofia; 2004-2008: responsabile per le vocazioni della Diocesi di Vĩnh Long; dal 2008: docente di Filosofia nel Seminario Maggiore di Cần Thơ e nel Seminario Maggiore di Hochiminh City. Dal 2012 vicerettore del Seminario Maggiore di Cần Thơ.

La Diocesi di Vĩnh Long (1963), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Hochiminh Ville. Ha una superficie di 6.772 kmq e una popolazione di  3.976.552  di abitanti, di cui 199.404 sono cattolici. Ci sono 209 parrocchie, servite da 205 sacerdoti (179 diocesani e 26 Religiosi), 43 Fratelli e 732 Religiose. I seminaristi maggiori sono 78. La Diocesi di Vĩnh Long, è vacante dal 17 agosto 2013, a seguito della morte improvvisa dell’Ordinario, S.E. Mons. Thomas Nguyễn Văn Tân. Attualmente è retta da un Amministratore Diocesano.

Sempre in Vietnam, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Kontum, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Michael Hoàng Đức Oanh. Al suo posto ha nominato il sacerdote Luy Gonzaga Nguyễn Hùng Vị, parroco di Phương Nghĩa (Kontum). Mons. Nguyễn Hùng Vị, è nato il 18 agosto 1952 in Hà Nội. Dal 1963 al 1968, ha ricevuto la formazione sacerdotale nel Seminario Minore della Diocesi di Kontum e, poi, dal 1969 al 1973, ha frequentato il Seminario Minore di Đà Lạt. Dal 1973 al 1977 è stato alunno del Pontificio Collegio San Pio X di Đà Lạt. Successivamente, dal 1977 al 1990, ha prestato servizio per 13 anni nella parrocchia di Bình Cang, in Diocesi di Nha Trang, in attesa di ottenere il permesso governativo per l’ordinazione sacerdotale. È stato ordinato sacerdote il 7 aprile 1990 a Nha Trang, e incardinato nella Diocesi di Kontum. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1990-1993: vicario parrocchiale di Bình Cang, Nha Trang; 1993-2006: direttore del Seminario Minore di Kontum, in Hochiminh City; 2006-2008: studi presso l’Institut Catholique de Paris, Francia, dove ha conseguito la Licenza in Liturgia; 2008-2009: segretario dell’ufficio episcopale di Kontum; dal 2009 parroco di Phương Nghĩa, Kontum.

La Diocesi di Kontum (1960), suffraganea dell'Arcidiocesi Huế. Si estende su un territorio di 25.240 km2. Conta 1.775.200 abitanti, di cui 300.649 cattolici, distribuiti in 88 parrocchie, servite da 169 sacerdoti (119 diocesani e 50 Religiosi), 15 Fratelli e 462 Religiose. I seminaristi maggiori sono 79.

In Italia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ragusa, presentata per raggiunti limiti di età da Mons. Paolo Urso. Al suo posto Papa Francesco ha nominato mons. Carmelo Cuttitta, trasferendolo dalla sede titolare di Novi e dall’Ufficio di ausiliare di Palermo. Mons. Cuttitta è nato a Godrano, provincia ed arcidiocesi di Palermo, il 24 marzo 1962. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Giovanni Evangelista” come alunno del Seminario Arcivescovile Maggiore di Palermo, ottenendo il Baccellierato in Teologia e frequentando, in seguito, i corsi per la Licenza. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 10 gennaio 1987. Ha svolto i seguenti incarichi: Vice Rettore del Seminario Arcivescovile Maggiore “San Mamiliano” (1987-1988); Assistente diocesano dell’Azione Cattolica Giovani (1987-1995); Vicario parrocchiale della parrocchia “S. Atanasio” in Ficarazzi (1988-1990); Segretario particolare dell’Arcivescovo di Palermo (1990-1996); Segretario aggiunto della Conferenza Episcopale Siciliana (1991-2007); Membro del Consiglio Presbiterale (1997-2007); Membro del Collegio dei Consultori (2002-2007); Parroco della parrocchia “San Giuseppe Cottolengo” (1996-2007); dal 2004 è Commissario Arcivescovile della Congregazione degli Angeli (Ente gestore della Scuola Cattolica “S. Lucia”). È stato Membro della Commissione Liturgica diocesana, della Commissione diocesana per la canonizzazione del Servo di Dio Don Giuseppe Puglisi, Consulente ecclesiastico del Centro di Pastorale Familiare, Membro del Comitato Regionale preparatorio al Convegno Ecclesiale di Verona. Nel 2004 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Il 28 maggio 2007 è stato eletto Vescovo titolare di Novi e nominato Ausiliare di Palermo, ricevendo la consacrazione episcopale il 7 luglio successivo. Al presente, oltre all’ufficio di Vicario Generale dell’arcidiocesi di Palermo, ricopre anche l’incarico di Segretario della Conferenza Episcopale Siciliana.

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Sito Radio Vaticana: nasce la pagina web in lingua coreana

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Venerdì prossimo, 9 ottobre, nel sito web della Radio Vaticana verrà aperta una nuova pagina in lingua coreana. L’iniziativa è stata oggetto di riflessione da diverso tempo, ma ha ricevuto nuovo impulso grazie al viaggio di Papa Francesco in Corea nell’estate del 2014. Il servizio di Davide Dionisi

E’ stata scelta la ricorrenza della “Giornata nazionale della lingua coreana” per lanciare la nuova pagina web nel sito della Radio Vaticana, il nuovo “ponte” di comunicazione e comunione fra Roma e la “Terra del Mattino calmo”.  L’iniziativa nasce dal dialogo fra la Direzione della Radio Vaticana e la Conferenza Episcopale Coreana, con la collaborazione dell’Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede, e con l’approvazione della Segreteria di Stato e della nuova Segreteria per la Comunicazione. Il servizio sarà attivo dalle ore 10 del mattino (orario di Roma) di venerdì 9 Ottobre. Abbiamo chiesto all’Ambasciatore della Repubblica di Corea presso la Santa Sede, Kim Kyung Surk, quale significato assume il nuovo servizio dell’emittente pontificia in un contesto sociale, culturale e religioso come quello coreano.

R. - La Corea è un Paese in cui ci sono già 103 Santi Martiri e in occasione della visita di Papa Francesco dell’anno scorso, sono stati beatificati 124 martiri. Ciò vuol dire che la Chiesa cattolica ha un importante significato e svolge un ruolo primario per la società e la cultura, storicamente e tradizionalmente. La Corea è uno dei Paesi che vanta la più avanzata tecnologia informatica. La Radio Vaticana è un mezzo ufficiale che divulga le attività e gli insegnamenti pastorali del Santo Padre e della Santa Sede in tutto il mondo, con la radio e con internet. Attraverso questo servizio i coreani potranno aver accesso alle notizie sul Santo Padre, sulla Santa Sede e sulla vita della Chiesa in tempo reale e in modo facile e preciso. Sarà anche il modo con cui la Chiesa sarà più vicina alla vita dei coreani. Perciò sono molto contento che inizi questo servizio e mi auguro che ciò sarà utile ai credenti e non credenti, per tutte le persone che usano la lingua coreana.

D. - Quale contributo potrà offrire il nuovo servizio alla Chiesa coreana e alle sfide pastorali che sta affrontando in questo periodo storico?

R. - Dopo la visita di Papa Francesco in Corea nel 2014, la Conferenza Episcopale Coreana ha scelto tre temi come compiti pastorali attraverso un sondaggio per un cambiamento della Chiesa Coreana, cioè: una Chiesa per i poveri, una Chiesa che vive con la gioia del Vangelo, una Chiesa che realizza la giustizia e la pace. Per realizzare questi temi la Chiesa dovrà sforzarsi per una comprensione reciproca avvicinandosi materialmente alla vita della gente. Quindi questo servizio internet in coreano contribuirà molto a promuovere la mutua comprensione tra la Chiesa e la gente.

D. - Come hanno accolto in Corea la nascita del nuovo programma della Radio Vaticana?

R. - Il servizio inizia il 9 ottobre che ha un significato molto particolare in Corea: proprio quel giorno è la “Giornata nazionale della lingua coreana”, che celebra l’invenzione della lingua coreana “Hangul” nata nel 15mo secolo della Dinastia Lee. In quel tempo il grande Re Sejong ha inventato un nuovo alfabeto scientifico e sistematico per facilitare l’uso della lingua coreana sia ai nobili che usavano le difficili lettere cinesi sia alla gente comune. Per questo i coreani sono orgogliosi della propria lingua. Perciò penso che il servizio sarà accolto con entusiasmo.

D. - Grazie alla visita di Papa Francesco, lo scorso anno gli occhi del mondo, puntati tutti sulla Corea, hanno visto una nazione senza muri, che ha parlato una sola lingua, quella della pace e della speranza. Si partirà da qui?

R. - Papa Francesco al momento del Suo arrivo all’aeroporto in Corea ha detto che era venuto in Corea tenendo profondamente nel cuore la pace nella penisola coreana e prima della Sua partenza dalla Corea ha presieduto una Messa per la pace e la riconciliazione nella Cattedrale di Myung Dong. In questo momento la penisola coreana è divisa in due tra il Nord e il Sud, però siamo fratelli e sorelle che usano una stessa lingua. La lingua coreana è una lingua di pace e di speranza nella penisola coreana. Questo servizio in lingua coreana sarà un mezzo di comprensione reciproca senza muri non solo per i coreani che stanno in Corea del Sud, all’estero ma anche per quelli della Corea del Nord.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, Carta costituzionale della Chiesa.

All’udienza generale il Papa parla dello spirito familiare e i padri sinodali discutono nei tredici circoli minori.

Sotto, Speranza e non paure; intervista al decano della Rota romana sul nuovo processo matrimoniale.

A pagina 2 Schiaffo della Corte europea ai colossi del web; Illegale trasferire i dati personali negli Stati Uniti

In cultura, una pagina monografica dedicata al vescovo di Ippona: Variazioni sul tema dei Salmi nella nuova edizione critica delle Enarrationes di sant’Agostino, di Manlio Simonetti

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Oggi in Primo Piano



Siria: la Russia aderisce ai colloqui operativi con gli Usa

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Proseguono le operazioni militari russe in Siria. Anche stamani si segnalano raid aerei ad Hama e nella vicina provincia di Idlib, nell'ovest del Paese. Di fronte alle perplessità degli Usa e della Turchia sull’effettività degli interventi contro le basi del sedicente Stato Islamico, Mosca comunica che ieri, su 20 azioni, sono stati colpiti 12 obiettivi del Califfato. Ed è di oggi l’adesione della Russia alla proposta di Washington per effettuare colloqui bilaterali finalizzati al coordinamento delle operazioni militari in Siria. Sulle conseguenze di questi contatti, Giancarlo La Vella ha parlato con Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze: 

R. – Gli accordi in vista sono di natura operativa, per evitare che occorrano incidenti che potrebbero poi determinare delle ricadute assolutamente negative, visto che i cieli della Siria cominciano a essere un po’ affollati. D’altra parte, un accordo operativo con gli Stati Uniti era necessario da questo punto di vista, così come è necessario un’intesa con la Turchia, al fine di evitare quello che è successo nei giorni scorsi, cioè sconfinamenti nello spazio aereo turco. In precedenza, la Russia aveva stabilito contatti, sempre con lo stesso fine, anche con Israele. Diverso è il discorso per quello che riguarda eventuali accordi politici. Dubito che gli obiettivi russi in questo momento siano conciliabili con quelli degli Stati Uniti. Per Obama, Assad rimane il problema e chi è stato parte del problema non può essere parte della soluzione. Putin, invece, ritiene che Assad sia l’unica garanzia per ristabilizzare la situazione sul campo in Siria.

D. – In ogni caso, quale ruolo potrebbe avere il presidente Assad in una Siria del futuro?

R. – Si potrebbe, e forse si dovrebbe, giungere a una soluzione per la quale Assad venga escluso in maniera “morbida” dal vertice politico in Siria e sostituito con qualche altro leader che possa essere ovviamente gradito alla fazione di Assad, agli alawiti. Questo consentirebbe di mantenere in sostanza lo status quo, senza però avere l’ingombrante presenza di colui al quale vengono attribuiti anche numerosi crimini di guerra.

D. – Il Califfato rimane il nemico comune, sia pure combattuto con interessi diversi…

R. – Lo Stato islamico può essere per molti aspetti il nemico comune, perché tanto gli Stati Uniti quanto la Russia hanno ragioni sostanziali per temere un movimento fondamentalista islamico terrorista come l’Is. D’altro canto, però, ci sono sensibilità diverse e ci sono alleanze diverse sul campo, obiettivi politici diversi delle due grandi potenze, che in questo momento operano in Siria.

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Gerusalemme, nuove violenze. Mons. Shomali: è circolo vizioso

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Gerusalemme blindata dopo che una donna palestinese di 18 anni ha accoltellato un israeliano, che ha risposto sparando. Entrambi sono rimasti feriti, la donna in modo molto grave. La Città vecchia è stata blindata dalla polizia. La porta di Damasco, uno degli accessi principali, è stata sbarrata. Gli israeliani che si trovavano sulla Spianata delle Moschee sono stati fatti evacuare. Centinaia di agenti presidiano la zona. Della recrudescenza di violenze delle ultime settimane, Fausta Speranza ha parlato con mons. William Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme: 

R. – C’è un’accelerazione e una recrudescenza di violenza che non ci aspettavamo. Tutto è cominciato sul Monte del Tempio a Al Aqsa, quando i fedeli ebrei volevano pregare e i musulmani non volevano, volevano impedirglielo, con le feste ebraica e musulmana che hanno hanno coinciso. Allora, la situazione era molto tesa. Dopo c’è stata la morte di una famiglia – il marito, la moglie, il bambino e l’altro che è ancora in ospedale: tutto questo ha messo molto odio nei cuori. Allora, è cominciato un circolo vizioso di violenza, di rappresaglie… Già stamattina una donna palestinese con il coltello ha colpito un ebreo ed è stata subito colpita a sua volta. Siamo in un circolo vizioso e per uscire abbiamo veramente bisogno di aiuto, sia da parte delle grandi potenze che da parte del Signore stesso.

D. – Qual è l’appello della Chiesa?

R. – L’appello della Chiesa è che le due parti facciano uno sforzo e si trattengano, perché la violenza non serve a nessuno! È un appello a tutti, a lavorare, a fare il possibile, a calmare gli spiriti e a pregare. L’appello è rivolto a tutti in egual misura: agli ebrei e ai palestinesi. Questo è il contenuto del nostro appello. L’appello è anche rivolto a trovare una soluzione “radicale” per questo problema, perché non basta che ritorni la tranquillità come era due mesi fa. Noi vogliamo una soluzione radicale, che porti pace, riconciliazione e giustizia nello stesso tempo.

D. – Il Muro, ma anche la questione dei coloni: che cosa dire?

R. – Il Muro non aiuta a trovare una soluzione, così come non aiutano i nuovi insediamenti. Questi impediscono la soluzione dei “due Stati”. Anche gli americani sono scontentissimi per il fatto che si continui a costruire. E Israele deve capire che per arrivare alla pace, bisogna prendere la via della pace. E la via della pace vuol dire prima di tutto fermare la costruzione di nuovi insediamenti o l’estensione di quelli presenti. Non si possono cercare la pace e gli insediamenti, la pace e il muro: sono in contrasto, sono una contraddizione.

D. – La pace si costruisce con la giustizia…

R. – Esatto, “giustizia” è la parola giusta.

D. – A chi chiedere giustizia?

R. – Alle Nazioni Unite, alle superpotenze. E al Signore, che è il più forte di tutti.

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Times: piano Ue per espellere migranti. Sr. Flick: noi accogliamo

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Sono centinaia i migranti salvati a largo delle coste libiche nelle scorse ore e giunte oggi nei porti italiani, siciliani e calabresi. Tra due giorni è intanto previsto l’avvio dei primi ricollocamenti dall’Italia alla Svezia. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Pozzallo, Vibo Valentia, Lampedusa: a centinaia vi sono sbarcati nelle ultime ore, trasportati dalle navi appartenenti al dispositivo Frontex. A bordo intere famiglie siriane e poi somali, eritrei, ma anche gruppi dei cosiddetti “migranti economici”. Dall’inizio di gennaio, ha reso noto ieri l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, il Mediterraneo è stato attraversato da oltre 430 mila migranti e rifugiati, mentre sarebbero circa tremila le persone morte o disperse. L’Unione Europea, anche per mettere fine a questa ecatombe, ha raggiunto un’intesa con la Turchia, impegnatasi ad aprire sei centri di accoglienza, mentre tra due giorni ci saranno i primi ricollocamenti dall’Italia verso la Svezia. Si tratta di una ventina di eritrei e fanno parte del grupo di 40 mila previsti su scala Ue. Si aprono nel frattempo le polemiche dopo l’indiscrezione del giornale britannico Times, per il quale esisterebbe un “piano segreto”, elaborato dai vertici dell’Unione Europea, per espellere oltre 400 mila persone entrate in Ue nel corso dei primi sei mesi del 2015, e la cui richiesta di asilo è stata respinta. E’ intanto ufficialmente in vigore la “Fase2” della EuNavFor Med, la missione antiscafisti dell’Unione Europea. Da oggi, navi e velivoli dei vari Paesi europei potranno abbordare, ispezionare e sequestrare imbarcazioni sospettate di essere utilizzate dai trafficanti di esseri umani. Preoccupazione è stata espressa dal Cir, il Consiglio italiano rifugiati, per il quale procedendo ad azioni di deterrenza, senza aver creato alternative possibili, come l’apertura di canali sicuri e legali per chi ha bisogno di protezione, i viaggi dei rifugiati diventano ancora più disperati. 

Dopo la tragedia del 3 ottobre 2013, a Lampedusa, che ha visto la morte di centinaia di migranti, l'Unione internazionale delle Superiore generali (Uisg) ha dato il via a un progetto che mira a realizzare piccole equipe intercongregazioali e internazionali di religiose che avranno come obiettivo ascoltare e accogliere i migranti che sbarcano in Sicilia e divenire al tempo stesso ponte tra loro e le popolazioni del territorio. Al microfono di Fabio Colagrande, suor Elisabetta Flick, delle Ausiliatrici del Purgatorio, responsabile del Progetto Sicilia dell'Uisg: 

R. – Io penso ci sia molto bisogno di questo ponte informale, perché le nostre sorelle vengono proprio dai Paesi da cui provengono molti immigrati – dall’Eritrea, dall’Etiopia – e quindi possono parlare la lingua della persona che si accosta a noi.

D. – Un dato molto interessante del vostro progetto è che voi volete partire senza sapere a priori cosa fare e come muovervi, perché?

R. – Perché se noi partiamo con un progetto già rigido e definito ci "incolliamo", non ci muoviamo più. Noi dobbiamo andare con occhi molto aperti, orecchie molto aperte, soprattutto un cuore disponibile a cogliere, da un lato, la realtà della gente che vive in Sicilia e che è molto attenta ai problemi materiali delle persone. Il passo in più, però, è quello di creare delle relazioni tra le persone dei due campi: non basta la carità, bisogna arrivare a creare comunione e relazione. La nostra équipe, in un certo senso, può essere già una testimonianza che è possibile vivere insieme – indiane, eritree, congolesi, italiane – e questa è la prima testimonianza silenziosa. L’altro punto sarà poi lavorare per integrarci noi per prime nel territorio e vedere quali sono le urgenze. Solo quando avremo visto quali sono le urgenze che non sono coperte da altri, potremo vedere come intervenire.

D. – Lei ipotizza già quali potrebbero essere i campi d’azione di questa équipe?

R. – Io penso a dei centri di ascolto, inizialmente, per poter accogliere le richieste della gente e poter poi spiegare loro, perché molte volte le spiegazioni sono date, ma in lingua, per cui loro capiscono difficilmente, e poi per accompagnarli in questo cammino di possibile integrazione, per quelli che desiderano integrarsi.

D. – A che punto è il “progetto Sicilia”?

R. – Il progetto ha cominciato il programma di formazione. Il primo punto fondamentale è la costruzione della comunità. Le sorelle avranno dei seminari con una religiosa psicologa, per vedere come è possibile creare una comunità che non è solo diversa per lingua e per Paesi – a questo siamo già abituate – ma è diversa per carismi. E quindi bisogna mettere insieme i carismi di ciascuna e trovare il punto che le accomuna e che, mi sembra evidente, è il Cristo e la missione che le ha affidata. La maggior parte delle religiose che arrivano sono religiose che hanno lasciato i loro Paesi, che sanno cosa significa essere fuori della loro terra.

D. – Oltre alla lingua dei migranti, però, queste religiose dovranno conoscere anche un po’ di dialetto siciliano?

R. – Questa sarà la grossa sfida! Per ora, il corso di formazione prevede un corso di italiano base, tutte parlano l’inglese e sarà la loro lingua comune, anche per comunicare con i centri eventualmente che operano giù. Poi, avranno dei corsi per imparare a conoscere la realtà della Sicilia. Avremo delle persone che vengono dalla Sicilia per raccontare la storia sociale ed ecclesiale dell’isola.

D. – E a quando la partenza per la Sicilia?

R. – Sarà la prima settimana di dicembre.

D. – Qual è il suo auspicio per il “progetto Sicilia”, che sicuramente è la regione italiana che ha più urgenza di realizzare questa integrazione?

R. – La mia speranza, il mio sogno, è quello di non limitarsi a due équipe. Spero che poco alla volta, vista la grande rispondenza da parte degli istituti religiosi, si possano formarne di più. Anche se qualcuno mi ha detto: “Fra poco le rotte si sposteranno. Siete disponibili a spostarvi?”. Io penso che, e ne sono fortemente convinta, se il Signore vuole che ci spostiamo, ci sposteremo.

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Crisi Yemen, si tratta sul piano di pace Onu

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Il Congresso generale del popolo (Gpc), il partito dell’ex presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, tra i sostenitori dei ribelli sciiti yemeniti Houthi, avrebbe accettato il piano di pace in sette punti presentato dall’Onu, durante i colloqui tra rappresentanti di Stati Uniti e Iran ed esponenti delle fazioni yemenite in lotta, tenuti a fine maggio scorso, a Muscat in Oman. Intanto, resta tesa la situazione nel Paese, dove ieri si sono verificati una serie di attacchi: almeno 15 ribelli Houthi sono morti in un attacco suicida a Sana'a, capitale dello Yemen. Ma che prospettive ci sarebbero se il piano di pace venisse effettivamente accolto anche dagli Houthi? Maria Caterina Bombarda lo ha chiesto a Eleonora Ardemagni, analista geopolitica dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): 

R. – Il partito di Saleh, l’ex presidente, si è detto disponibile ad accettare un piano di pace elaborato dall’inviato dell’Onu e negoziato in queste settimane con grande fatica dall’Oman, il Paese mediatore per eccellenza in questa crisi. Il piano di pace si basa sulla Risoluzione 2216 dell’Onu dello scorso aprile, la quale chiede agli Houthi, quindi ai ribelli sciiti, e alle forze fedeli a Saleh di ritirarsi dai territori occupati e di restituire le armi sottratte all’esercito. Il partito di Saleh chiede però lo stop immediato dei bombardamenti della coalizione a guida saudita e la fine dell’embargo. Non si sa ancora se gli Houthi accetteranno o no questo piano. Questi segnali di pace che arrivano da Saleh e che non sono una novità – nel senso che già mesi fa Saleh tentò di smarcarsi da questa alleanza strumentale con gli Houthi per cercare di recuperare potere – arrivano nel momento in cui la coalizione saudita, che ha mandato soldati sul terreno da alcune settimane, sta recuperando alcuni territori strategici in particolare nell’area del Bab el-Mandeb nello stretto fondamentale per il commercio e per i transiti petroliferi.

D. – Oltre al cessate-il-fuoco e al ritiro delle milizie armate, l’intese prevede anche il ritorno del governo da Aden alla capitale Sana’a. Che significato simbolico avrebbe questa operazione?

R. – Sana’a è la capitale dello Yemen unito dal 1991. In realtà, Sana’a in questa fase è ancora occupata sia dagli Houthi che dalle forze fedeli a Saleh. Aden è diventato il rifugio del governo riconosciuto dalla comunità internazionale.

D. – Ieri, si sono verificati degli attentati sia da parte dello Stato islamico sia da parte dell’Arabia saudita. Qual è ora la situazione nel Paese?

R. – Per quello che riguarda Aden, ieri si è assistito ad un evento nuovo. Non si è trattato di un attacco di militari sciiti, degli Houthi, ma di due autobombe – per quanto riguarda l’albergo – più altre due nei pressi di un quartiere militare saudita rivendicate dal sedicente Stato islamico. Questo dimostra che l’intensificarsi del conflitto civile e della violenza in Yemen hanno aperto uno spazio un po’ più grande per la violenza jihadista non solo di Al Qaeda nella Penisola arabica, ma anche delle rivendicazioni di cellule che si rifanno allo Stato islamico.

D. – Parallelamente, c’è anche l’allarme rifugiati. Secondo l’Unhcr, il numero di rifugiati fuori dal Paese ha superato le 114 mila unità e potrebbe superare le 200 mila il prossimo anno. Qual è la situazione umanitaria in questo momento?

R. – Lo Yemen, il Paese più povero della Penisola arabica e non solo, anche di tutto il mondo arabo, viveva già una condizione di crisi umanitaria, di carenza idrica, di malnutrizione da prima dell’inizio del conflitto yemenita e dei bombardamenti dell’Arabia Saudita, iniziati lo scorso marzo. L’imposizione di questo blocco navale e di questo embargo non hanno fatto che peggiorare questa situazione. Ricordiamoci inoltre che nelle terre settentrionali di origine degli Houthi, dopo le sei guerre combattute tra gli Houthi e il governo centrale fra il 2004 e il 2010, c’erano già tantissime persone sfollate. Quindi, non c’è solamente la questione dei profughi, ma anche quella degli sfollati interni.

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Terre des Hommes. Violenze su bimbe nel Rapporto "Indifesa"

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Nel mondo sono 70 milioni le ragazze vittime di stupri e abusi. Alla vigilia della Giornata Mondiale delle Bambine dell’11 ottobre, “Terre des Hommes” ha presentato oggi a Roma, alla Camera, il Dossier della Campagna “Indifesa”, per accendere i riflettori sui diritti negati a milioni di bambine in Italia e nel mondo. Il servizio è di Alessandro Filippelli

Sembra una crescita inarrestabile: secondo il Rapporto di “Terre des Hommes”, i minori vittime di reato, in Italia, nell’ultimo anno ha raggiunto una cifra pari a 5.356 casi, il 60% dei quali sono bambine e ragazze. Preoccupa anche l’aumento delle vittime di pornografia minorile: nel decennio 2004-2014 sono cresciute del 569,4%. I maltrattamenti in famiglia, poi, sono il reato con il maggior numero di vittime: solo nel 2014 sono 1.479 i casi registrati. L’unico dato in calo è quello della prostituzione minorile, che passa da 89 a 73 vittime. Raffaele Salinari, presidente della Federazione internazionale di “Terre des Hommes”:

“Purtroppo, sono dati in crescita e questo ci fa riflettere sul livello di violenza palese, ma anche nascosta, che c’è nei confronti delle bambini e dei bambini, non soltanto in Italia ma in tutto il mondo. Bisogna anche dire che sono dati in crescita perché, appunto, se ne parla di più e questo vuol dire che i dati sono più evidenti e che c’è anche una maggiore consapevolezza. Noi ci siamo occupati di qualcosa che apparentemente sembra una nicchia in Italia, ma in realtà è molto importante. Abbiamo stretto relazioni molto interessanti con le università, in particolare con i medici, con le Facoltà di medicina, per sensibilizzare i medici di famiglia, ma anche i medici di pronto soccorso, i pediatri, proprio sulla scoperta dei segni di violenza nei confronti delle bambine e dei bambini. Può sembrare una cosa incredibile, ma spesso i medici stessi non si accorgono di questi fenomeni e quindi la cosa non viene denunciata. In Italia, attraverso “Terre des Hommes”, oggi le Facoltà di medicina – a cominciare da quella di Milano – hanno introdotto dei veri e propri corsi. Quindi, noi stiamo investendo sulla formazione proprio del personale medico e paramedico per capire, prevenire e cercare quindi di curare tutto quello che è legato alla violenza nei confronti dei bambini”.

Il panorama internazionale non offre uno scenario incoraggiante a causa dell’inasprirsi dei conflitti, con conseguenze dirette sulla condizione di bambine e ragazza: dalle yazide, rese schiave sessuali dall’Is, alle bambine kamikaze di Boko Haram. Federica Giannotta, responsabile dei Programmi Italia di “Terre des Hommes”:

“I progetti che abbiamo in diverse parti del mondo sono finalizzati proprio a contrastare diverse di queste forme di violenza che noi raccontiamo nel dossier. Parlo per esempio delle bimbe schiave domestiche – noi lavoriamo in Perù – delle mamme-bambine, fenomeno purtroppo molto diffuso in Costa d’Avorio… Noi abbiamo progetti in questo senso. Quindi, diciamo che al nostro impegno concreto sul terreno noi vogliamo, con questo dossier, compiere una sensibilizzazione importante rivolta alle istituzioni. Il quadro, è vero, rimane drammatico per certi versi, perché i dati lo confermano: parliamo di 117 milioni di bimbe che nella sola Asia non nascono, di 31 milioni di bimbe che non accedono ancora al circuito scolastico e di dati della Polizia italiana che ci raccontano di un fenomeno, quello della violenza sui bambini, che va aumentando. Però, va anche detto che nell’ultimo decennio per quanto riguarda il contrasto della violenza molto è stato fatto a livello mondiale. Per esempio, sappiamo che l’accesso all’istruzione delle bimbe è aumentato: nell’ultimo decennio: sono passate da 92 a 97 le bimbe che, ogni 100 maschietti, possono accedere alla scuola primaria. Così come le mutilazioni genitali femminili restano un problema: 125 milioni di donne ne sono vittime. Però, è anche vero che quasi nella metà dei Paesi in cui era permesso praticare questo tipo di “reato” di fatto oggi, in 25 di questi Paesi, c’è una legge che ufficialmente vieta le mutilazioni genitali femminili. Ricordiamo anche che quest’anno le Nazioni Unite hanno dichiarato illegale la pratica dei matrimoni precoci … Quindi, tanti passi importanti si stanno facendo”.

Infine, secondo l’ultima indagine Istat, sono oltre 6 milioni le donne che hanno subìto, nel corso della propria vita, almeno una forma di violenza sessuale: pari al 31,5% di delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni. Spesso, non tutte le violenze vengono denunciate, né le vittime vengono assistite in modo adeguato. Queste sono esperienze che lasciano una traccia indelebile.

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Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica. Mons. Coppola: vissuti giorni terribili

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Dopo i violenti scontri degli ultimi giorni, a Bangui, capitale del Centrafrica, la situazione ora appare sotto controllo. La conferma arriva dal nunzio apostolico nella Repubblica Centrafricana e in Ciad, mons. Franco Coppola. Quelli appena trascorsi, afferma il vescovo, “sono stati giorni terribili per la popolazione di due circoscrizioni della capitale, percorse da bande accecate dall’odio e dal desiderio di vendetta. Ne hanno fatto le spese anche i luoghi di preghiera: sono state attaccate e quasi distrutte una parrocchia cattolica, un centro protestante e una moschea”.

Saccheggiate anche  le sedi delle varie Ong internazionali umanitarie. Sono 61 i morti, quasi 300 i feriti e oltre 40 mila gli sfollati, secondo il governo. Attualmente, prosegue il vescovo, “la vita ha ripreso il suo corso, ma i problemi sono ancora tutti là. La presidente ha promesso l’avvio di una larga consultazione di tutte le forze vive del Paese, per vedere come ripristinare il clima positivo degli ultimi mesi e giungere nel modo migliore alle elezioni”.

Circa il viaggio del Papa in programma a novembre, secondo mons.Coppola, non si può dire per ora se vi siano rischi. “Dipende - aggiunge - se saranno date le risposte opportune, coinvolgendo realmente tutti nella gestione di questa ultima delicatissima fase della transizione”. Certo, gli scontri non favoriscono un clima sereno di preparazione per questo evento storico. La popolazione però - osserva il vescovo - questa volta non ha partecipato alle violenze, è stata piuttosto spettatrice impaurita degli eventi. E conclude: “La popolazione è stanca della guerra e non si lascia implicare nei disegni di quanti sperano di far fallire gli sforzi di pacificazione del governo e della comunità internazionale”.

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Siria: in video cristiani costretti a firmare contratto con Is

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“Combattere finché non pagano la jizya con volontaria sottomissione”: si intitola così il video diffuso nei giorni scorsi da siti jihadisti (consultabile al link https://archive.org/details/Jizia_Q ) in cui si mostra un gruppo di cristiani di Qaryatayn, in Siria,  mentre, durante un incontro, sottoscrivono il “contratto di pagamento” per continuare a vivere nel territorio controllato dall'auto-proclamato Stato Islamico.

Immagini fotografiche di quell'assemblea, svoltasi in una sala conferenze di Qaryatayn, erano state diffuse già alla fine di agosto. Nel video si intravvedono una cinquantina di cristiani, tutti maschi, seduti nella sala mentre alcuni di loro vengono chiamati a un tavolo a firmare il “contratto” davanti a un miliziano dello Stato Islamico. Tra i presenti si intravvede anche la figura di padre Jacques Murad, prelevato dal monastero di Mar Elian lo scorso 21 maggio, devastato dai jihadisti lo scorso agosto.

Nel contratto, l’Is garantiva ai battezzati di non saccheggiare i loro beni, di non costringerli a cambiare religione e “di non nuocere a nessuno di loro”. I cristiani, dal canto loro, si impegnavano tra l'altro a non esporre croci neanche sulle proprie chiese, a non suonare le campane, a non cospirare contro lo Stato Islamico, a non svolgere cerimonie in luoghi pubblici e a pagare la tassa obbligatoria pro capite, variabile a seconda del proprio livello sociale. Il contratto si concludeva avvertendo che chi violerà le regole sottoscritte sarà trattato dallo Stato Islamico alla stregua dei nemici di guerra.

La jizya è l'imposta che fino al XIX secolo ogni suddito non-musulmano era tenuto a pagare alle autorità islamiche come clausola del “patto” che garantiva loro protezione dalle aggressioni esterne e libertà di culto, e lo esentava dal servizio militare e dal pagamento della Zakat, l'imposta religiosa prescritta dal Corano a ogni musulmano, che rappresenta uno dei “Cinque Pilastri” dell'islam.

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Un bambino cieco in più ogni minuto: Cbm lancia una campagna

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Curare una cataratta o comprare un paio di occhiali in alcune zone del mondo è routine, mentre in altre parti si tratta di un fatto raro. La carenza di questi semplici servizi e strumenti, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), diventa un fattore di rischio per milioni di bambini che vivono nei Paesi poveri. In occasione della XVI Giornata Mondiale della Vista, che si celebra domani, l’Ong CBM Italia lancia la campagna “Apriamo gli occhi” per sensibilizzare e raccogliere fondi. A oggi, il ritmo della cecità infantile prosegue a ritmi incalzanti: ogni minuto un bambino diventa cieco. Eppure, basterebbe una diagnosi precoce per curare le principali cause delle patologie oculari.

Secondo l’Oms nel 40% dei casi le cause che determinano la cecità infantile sono curabili con interventi mirati. Se non si interviene tempestivamente, il 60% dei bambini che diventano ciechi muore entro un anno dal momento in cui ha perso la vista. “Quest’anno, si legge nel comunicato inviato a Fides da Cbm Italia, abbiamo deciso di intervenire in 15 Paesi tra Africa, America Latina e Asia attraverso 19 ospedali e cliniche oculistiche mobili. Il nostro obiettivo, grazie ai fondi raccolti dalla campagna "Apriamo gli occhi", è raggiungere 13 mila persone con 7 mila interventi chirurgici a bambini e adulti e la distribuzione di 6 mila paia di occhiali da vista per correggere i difetti refrattivi. I Paesi beneficiari saranno Kenya, Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Nigeria, Tanzania, Uganda, Zambia, Bolivia, Brasile, Haiti, El Salvador, India, Nepal.

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Il Nobel per la chimica 2015 premia i "meccanici" del DNA

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Lo svedese Thomas Lindal, l'americano Paoul Modrich e Aziz Sancar, di origine turca e cittadino americano sono i Nobel per la Chimica 2015. Il riconoscimento ha premiato i 'meccanici' del Dna, ossia i ricercatori che hanno messo a punto tecniche per riparare la molecola alla base della vita. Tomas Lindahl, 77 anni, è nato a Stoccolma, dove lavora nell'Istituto Karolinska. Ha insegnato Chimica e Fisiologia medica nell'università di Gothenburg dal 1978 al 1982. E' direttore del gruppo di professori emerito dell'Istituto Francis Crick e direttore emerito del Centro per la Ricerca sul cancro britannico presso il Clare Hall Laboratory.

Paul Modrich, 69 anni, ha studiato nell'università di Stanford e lavorato nello Howard Hughes Medical Institute ed è professore di Biochimica nella Duke University School. Aziz Sancar, 69 anni, è nato in Turchia, a Savur. Ha studiato negli Stati Uniti, a Dallas, ed è professore di Biochimica e biofisica nell'università del North Carolina. I tre ricercatori hanno avuto il merito di ricostruire il modo in cui le cellule riescono a riparare i danni che avvengono nel Dna. Le loro scoperte hanno aperto la strada a nuove cure anticancro.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 280

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.