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Sommario del 09/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Sinodo. Francesco, appelli di pace per Medio Oriente e Africa

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Pace per il Medio Oriente e per l’Africa. L’ha chiesta il Papa in apertura dei lavori della quarta Congregazione generale del Sinodo sulla famiglia. Francesco ha espresso solidarietà ai vescovi delle Chiese coinvolte nelle zone di conflitto e sollecitato la comunità internazionale a disinnescare l’instabilità attraverso la diplomazia. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il Medio Oriente è in fiamme, lo è parte dell’Africa, e il Papa è addolorato dallo stillicidio quotidiano servito dalle cronache. Così Francesco asseconda un impulso che si traduce in un appello non insolito se non lo fosse la tribuna da cui viene levato, quella da cui un Pontefice siede e ascolta di solito in silenzio.

Scelte di pace
Prima che l’Aula del Sinodo si immerga nei lavori della quarta Congregazione generale, il Papa chiede ai padri di dedicare la preghiera dell’Ora Terza all’intenzione della riconciliazione e della pace in Medio Oriente:

“Siamo dolorosamente colpiti e seguiamo con profonda preoccupazione quanto sta avvenendo in Siria, in Iraq, a Gerusalemme e in Cisgiordania, dove assistiamo ad una escalation della violenza che coinvolge civili, innocenti e continua ad alimentare una crisi umanitaria di enormi proporzioni. La guerra porta distruzione e moltiplica le sofferenze delle popolazioni. Speranza e progresso vengono solo da scelte di pace”.

Preghiera intensa
La “geografia” del Sinodo è specchio della Chiesa universale e quello che Francesco sollecita è intanto un abbraccio a chi governa le comunità locali, che si trovano sulla linea di tiro di conflitti e terrorismo:

“Uniamoci, dunque, in una intensa e fiduciosa preghiera al Signore, una preghiera che intende essere al tempo stesso espressione di vicinanza ai fratelli patriarchi e vescovi presenti, che provengono da quelle regioni, ai loro sacerdoti e fedeli, come pure a tutti coloro che la abitano”.

La diplomazia spenga i conflitti
Ogni appello di un Papa alla pace è sempre una chiamata alla responsabilità da parte di chi indirizza o influenza, con le sue decisioni, il destino di una nazione, di un’area del pianeta. In questo caso, nel parlare ai governanti Francesco associa alla sua la voce dell’intera assemblea sinodale:

“Rivolgo, insieme al Sinodo, un accorato appello alla comunità internazionale, perché trovi il modo di aiutare efficacemente le parti interessate ad allargare i propri orizzonti al di là dei loro interessi immediati e ad usare gli strumenti del diritto internazionale, della diplomazia, per risolvere i conflitti in corso”.

Pace all’Africa
L’ultima frase di Francesco è breve e grande come un intero continente, che da secoli racconta troppe storie di miseria armata o semplicemente affamata:

“Desidero infine che associamo la nostra preghiera anche a quelle zone del continente africano, che stanno vivendo analoghe situazioni di conflitto. Per tutti interceda Maria, Madre, Regina della pace, e amorosa Madre dei suoi figli”.

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Twal: grati per appello Papa, ma politica è sorda. Uccisi 5 palestinesi

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Le parole di Papa Francesco giungono in una ennesima giornata di violenze. Cinque palestinesi sono stati uccisi e altri 11 feriti in scontri scoppiati tra soldati israeliani e palestinesi a ridosso della barriera difensiva con Gaza. Lo riferiscono fonti mediche spiegando che le violenze sono scoppiate vicino al kibbutz di Nahal Oz, dopo una sassaiola da oltre il confine. Da Gaza, il premier Haniyeh ha lanciato un appello per aumentare l'ondata di aggressioni e trasformarla in una Intifada per liberare Gerusalemme. Nei giorni scorsi si erano verificate varie aggressioni da parte di palestinesi contro ebrei ortodossi. Intanto, gratitudine per l’appello del Papa per la pace in Medio Oriente hanno espresso tutti i presuli della regione. Ascoltiamo il patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal al microfono del nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza: 

R. – Siamo molto molto grati per l’intervento del Santo Padre. Francamente, io avevo parlato con gli altri Patriarchi cattolici del Medio Oriente, chiedendo al Sinodo di fare un appello perché non possiamo tacere di fronte a quello che succede, in modo speciale a Gerusalemme. Ricordiamo tutti i discorsi del Santo Padre, nel maggio dell’anno scorso, la sua sosta al Muro che separa Betlemme da Gerusalemme; ci ricordiamo molto bene della sua buona intenzione di radunarci nei Giardini Vaticani con i due presidenti, israeliano e palestinese … Però, alla fine vediamo che non c’è stato nessun risultato, perché manca totalmente una buona volontà politica. Anche qui, nel Sinodo, tutte le nostre buone intenzioni come pastori rimarranno buone intenzioni, se la politica non viene ad aiutarci concretamente. Perché non ci basta studiare lo status della situazione: dobbiamo trovare la soluzione. Non si arriverà ad una soluzione, a mettere in atto risultati senza la politica, senza la buona politica, equilibrata, giusta, calma. Io mi sento un po’ limitato – per non dire “umiliato” –tornando a Gerusalemme, quando mi chiederanno: “E che cosa avete fatto?”, e la risposta sarà: “Abbiamo fatto il possibile”. Però, dato che non c’è collaborazione diretta dalla politica, dai politici stessi, rimaniamo un po’ come sospesi …

D. – Chiaramente, quanto parla di politica si riferisce alla politica internazionale …

R. – Certamente, la politica internazionale, però in modo speciale parlo della politica americana e israeliana: è inutile negarlo. Un mese fa abbiamo avuto una conferenza internazionale a Parigi per trattare dei rifugiati, dell’estremismo, della violenza e del terrorismo. Eravamo 60 Paesi, compresi l’Italia e la Santa Sede. Però, con mia grande sorpresa mancavano Stati Uniti d’America e Israele …

D. – La politica è sorda ai vostri appelli?

R. – Più che sorda, non entriamo nella loro agenda: noi, come Chiesa, noi, come comunità cristiana … Anche la nostra presenza o la nostra non-presenza, in questa politica internazionale senza etica, non dice niente. Non siamo presi in considerazione come si deve.

D. – In Israele, a Gerusalemme, sembra dilagare il clima di tensione in queste ultime ore, con rappresaglie. I cattolici, in particolare, le famiglie come vivono?

R. – Vivono molto, molto, molto male da almeno un mese, da quando hanno incominciato a costruire il muro di Cremisan nei territori cristiani, un muro che non protegge nessuno. Il fatto che tutti questi atti di morte e di violenza hanno avuto luogo all’interno del muro e non al di fuori del muro: questo dice che è inutile pretendere che questo muro sia una protezione. Nessun muro protegge nessuno. C’è una legge, c’è un rispetto reciproco: rispettiamo la dignità di ciascuno, siamo in pace; altrimenti è inutile far pace con la forza …

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Sinodo. Circoli minori: dare più speranza e fiducia alla famiglia

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Dopo l’intervento del Papa, i lavori in Aula del Sinodo sono proseguiti con le relazioni dei tredici Circoli minori, relative alla prima parte dell’Instrumentum laboris dedicata a “L’ascolto delle sfide sulla famiglia”. Meno crisi, più speranza è, in generale, l’osservazione emersa dai testi, che invitano a sottolineare la bellezza della famiglia e non solo le sue difficoltà. Dai Padri sinodali anche una riflessione sulla reale efficacia della Pastorale familiare. Il servizio di Isabella Piro: 

Evidenziare la bellezza e la vitalità della famiglia
Meno crisi, più speranza: è questa l’osservazione che emerge con più frequenza dalle relazioni dei Circoli minori. La bellezza e la vitalità della famiglia basata sul matrimonio indissolubile tra uomo e donna, il suo essere scuola di umanità, crocevia di integrazione che dà forza al tessuto sociale – spiegano i relatori dei Circoli – non sono abbastanza evidenziate nell’Istrumentum laboris che spesso sembra fare un’analisi sociologica delle sfide riguardanti i nuclei familiari, elencandone i problemi quasi come una litania, ma dimenticando lo sguardo della fede, lo sguardo di Cristo. Al contrario, sottolineano i gruppi linguistici,  deve emergere di più è la Chiesa del sì, che dona fiducia e speranza alle famiglie, senza edulcorare o negare le loro difficoltà oggettive. 

Crisi di fede, crisi della famiglia. Le responsabilità della Chiesa
Una seconda osservazione riguarda la Pastorale familiare: se la famiglia è in crisi – sottolineano le tredici relazioni, in cui i Padri Sinodali fanno anche autocritica – forse è perché è mancata la giusta educazione alla fede. La Chiesa stessa, in un certo senso, è responsabile della situazione della famiglia oggi, perché ha avuto nei suoi confronti un pensiero non in sintonia con la realtà, troppo normativo e privo di una visione integrale. Al contrario, i Padri sinodali esortano a ricordare che la Chiesa è servitrice, non padrona, della famiglia e che ad essa deve molto, perché il suo futuro passa proprio da qui.

No ad approccio troppo “eurocentrico”
Quindi, i Circoli minori riflettono sulla struttura ed il linguaggio dell’Instrumentum laboris, evidenziandone gli aspetti eccessivamente occidentali, “eurocentrici”, che lo caratterizzano, lo stile poco attrattivo ed a tratti un po’ confuso, soprattutto nell’individuare i destinatari a cui è rivolto. Si auspica, quindi, che il documento finale dell’Assemblea  sia scritto in modo più fresco, lineare, chiaro, non troppo tecnico, per essere di facile lettura per tutti.

No alla “teoria di genere”. Pastorale specifica per migranti e rifugiati
Le tredici relazioni convergono, poi, su alcuni punti particolari: si richiede, ad esempio, una sottolineatura maggiore sulla “teoria di genere” e sui rischi che comporta la sua diffusione, ed a volte imposizione, nei programmi scolastici, trasformandoli in un pensiero unico che danneggia la famiglia. Unanimità si riscontra anche sull’approccio da avere nei confronti di migranti e rifugiati per i quali si auspica una pastorale specifica, sia nella Chiesa di provenienza che in quella di accoglienza. A tal proposito, si ribadisce che la quesitone migratoria rappresenta una sfida nell’ambito del confronto religioso e si invita a sottolineare non solo i diritti, ma anche i doveri dei migranti.

Più attenzione ad anziani e disabili
Inoltre, le relazioni dei gruppi linguistici chiedono una maggiore riflessione sull’importanza degli anziani nella vita familiare, in particolare sul ruolo dei nonni, così come sulle sfide della disabilità i cui aspetti positivi – si afferma – vanno maggiormente evidenziati e valorizzati.  

Approfondire la bioetica e le sue implicazioni sulla vita umana
Alcuni Circoli minori, poi, avanzano proposte specifiche: ad esempio, inserire nel documento finale dell’Assemblea storie di vita familiare o di santità che siano esemplari per i fedeli; aggiungere citazioni bibliche; riflettere maggiormente sul tema della castità e dell’educazione affettiva, soprattutto per i giovani; considerare con più attenzione gli influssi della tecnologia sulla vita familiare, soprattutto per quanto riguarda Internet e la pornografia; approfondire il tema della bioetica, i cui sviluppi possono danneggiare l’essere umano nella sua essenza e nel suo valore.

Soddisfazione per il metodo di lavoro nei Circoli
Dai gruppi linguistici arriva, comunque, soddisfazione per il metodo di lavoro: il confronto diretto tra Padri sinodali che parlano lo stesso idioma, ma vivono storie, realtà e culture diverse in Paesi diversi, è una vera esperienza di cattolicesimo. Certo: gli emendamenti presentati per la prima parte dell’Instrumentum laboris sono numerosi, i Padri Sinodali sono consapevoli che non tutte le loro osservazioni potranno essere accolte, ma la sfida dell’ascolto reciproco risulta intanto vinta e vincente.

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Card. Tagle: dal Sinodo non si attenda un cambio di dottrina

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Al briefing odierno sul Sinodo, dopo un'introduzione da parte dal direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, hanno preso parte il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila,il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, mons. Joseph Edward Kurtz, e l'arcivescovo di Madrid, mons.Carlos Osoro Sierra. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Aprendo la conferenza stampa, il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha ricordato, riferendo quanto affermato dal segretario generale del Sinodo, che ogni padre sinodale è libero di rendere noto il contenuto del proprio intervento. Ma non è previsto – ha aggiunto – che si rendano pubblici interventi o sintesi di discorsi di altri partecipanti al Sinodo.

Dal Sinodo nessun cambio di dottrina
Il cardinale Antonio Tagle ha poi sottolineato che dal Sinodo non si deve attendere un cambio di dottrina. La prospettiva dell’assemblea sinodale – ha aggiunto – è quella di vedere proprio come, partendo dalla la dottrina, si possa curare e sostenere la famiglia, soprattutto se lacerata da sofferenze e da guerre. Non è scontato – ha detto inoltre l’arcivescovo di Manila – che al termine del Sinodo sarà pubblicato un documento finale. Al centro dei lavori sinodali, ha spiegato il porporato, non ci sono solo le sfide o le difficoltà incontrate dalle famiglie:

“ All the groups said: let us also celebrate the goodness of the family…
Tutti i gruppi hanno detto: celebriamo anche la bellezza della famiglia, l’impegno che molta gente mette per preservare le famiglie”.

Tra le famiglie differenze ma anche tratti distintivi
Mons. Joseph Edward Kurtz, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ha sottolineato che, nonostante differenti contesti ed esperienze, le famiglie sono accomunate da tratti distintivi, soprattutto se il loro percorso è illuminato dalla fede e del Vangelo:

“I had the privilege to actually be the first…
Ho avuto il privilegio, oggi, di essere il primo relatore e quindi, dopo aver parlato, ho anche potuto ascoltare per verificare se ci fossero elementi in comune: alcuni elementi in comune ci sono. Concordo con il cardinale Tagle quando dice che le sfide riguardo alle famiglie, delle quali abbiamo parlato l’anno scorso, non diminuiscono”.

Il Sinodo mostra il volto della famiglia
Mons. Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid, ha denunciato che "l'ideologia gender sta arrivando dappertutto: si organizzano certe leggi, si organizza l'economia ...". Uno degli intenti del Sinodo - ha poi affermato - è quello di mostrare, nel modo migliore, la bellezza della famiglia:

“ Yo creo que, para mi està haciendo…
Io credo che quello che si sta facendo – anche il modo di farlo, così buono – sia una scuola di belle arti. Si sta cercando infatti la pittura migliore, i pennelli migliori, per poter mostrare il volto di quella che è la struttura originale della vita, che è la famiglia”.

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Mons. Solmi: politici cattolici non cedano a logiche partito su famiglia

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I cattolici in politica non cedano a logiche di partito e facciano obiezione di coscienza: così mons. Enrico Solmi, già presidente della Commissione Cei per la famiglia, sul nuovo ddl Cirinnà 2 in materia di unioni civili che equiparerebbe le unioni omosessuali al matrimonio aprendo all’adozione e alla pratica dell’utero in affitto. Il presule, presente al Sinodo in Vaticano, fotografa, al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza, le sfide pastorali relative alla famiglia in Italia: 

R. – Noi abbiamo un mondo giovanile che vuole fare famiglia, che vuole generare ma che è messo in una condizione difficile a fare questo. L’altro grande tema è quello della demografia. L’Italia sta vivendo un’implosione demografica che a mio parere costituirà la sua fine, se non ci saranno delle prese di posizione molto forti. Il compito della Chiesa è vedere queste sfide con gli occhi del Signore – e soprattutto anche affidati a una Chiesa che finalmente pone la famiglia non al suo interno, per così dire, dandole spazio, ma nel suo dna. E questo comporta certamente un cambio di mentalità e una pastorale differente.

D. – Restando in Italia, si dibatte proprio in queste ore il disegno di legge in tema di unioni civili che sembra approdare al Senato con poche modifiche rispetto all’originario ddl Cirinnà; in particolare, preoccupa il discorso della “step-child adoption” e la conseguente possibilità del ricorso all’utero in affitto …

R. – Sì: siamo davanti a questa palese contraddizione. Da un lato, si esprime simpatia – almeno teorica – nei confronti della famiglia e una lieve preoccupazione demografica; dall’altro, si fanno azioni che vanno esattamente nella direzione opposta alla famiglia: perché riconoscere i dritti delle persone che hanno tendenza omosessuale, che desiderano vivere insieme è certamente una cosa giusta; persone in quanto tali hanno diritto, e qui il codice civile dovrebbe anche modularsi, su queste richieste. Ma far sì che questo sia di fatto, in modo a volte purtroppo surrettizio, un altro matrimonio con la possibilità di adottare, significa collocare accanto alla famiglia costituzionale e naturale un altro genere di famiglia, con questo grande punto interrogativo: è un tipo di famiglia che di fatto arriva a essere promotore di una sorta di colonialismo ideologico rinnovato. Mi riferisco all’utero in affitto: sappiamo molto bene che riguarda i Paesi del Terzo Mondo: le persone povere non vengono più, a questo punto, private soltanto di un qualcosa di esteriore quali le materie prime o quant’altro, ma vengono private di qualcosa di intimo, della dignità della dimensione materna. Siamo quindi veramente davanti a un obbrobrio. E questo viene in qualche modo promosso attraverso queste forme che, di fatto, si manifestano come un ulteriore matrimonio. Questa è una strada che porterà il nostro Paese a una difficoltà ulteriore di carattere antropologico, sociale e civile.

D. – E qual è la risposta dei cattolici, impegnati in politica, impegnati civilmente e socialmente?

R. – I cattolici impegnati in politica debbono essere molto attenti alla loro coscienza: non dev’essere semplicemente una dinamica di schieramento di partito. I cattolici debbono fare appello a una coscienza retta e vera: retta significa sincera, dove realmente devono mettersi davanti alla loro responsabilità;  vera significa in ordine al dato antropologico, che è quello di riconoscere il matrimonio come detta la Costituzione. Non è più il momento di nascondersi: è il momento di uscire e anche di fare una sorta di obiezione di coscienza all’interno dei loro gruppi. Siamo veramente davanti a un momento di grande e altissima responsabilità. I cattolici impegnati in politica non potranno più dire poi, successivamente, a fronte di conseguenze che io ritengo veramente letali, che loro non avrebbero potuto fare nulla. Adesso è il momento di prendere posizione, di dare atto a gruppi trasversali e di lavorare semplicemente a tutela della famiglia, a tutela anche dei diritti delle persone con tendenze omosessuali ma che sono una cosa e una realtà diversa dalla famiglia. Né ci si può appellare all'articolo 2 della Costituzione (riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo; ndr) senza fare appello agli articoli 29 e 30 (riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; ndr).

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Francesco: calunnie, invidie e trappole vengono dal diavolo

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Interpretare male chi fa il bene, calunniare per invidia, tendere trappole per far cadere, tutto questo non viene da Dio ma dal diavolo. Il Papa commenta il Vangelo del giorno presiedendo la Messa del mattino a Casa Santa Marta ed esorta al discernimento e alla vigilanza. Il servizio di Sergio Centofanti

Rigidità dottrinali
Nel Vangelo di questo venerdì, Gesù scaccia un demonio, fa il bene, sta tra la gente che lo ascolta e riconosce la sua autorità, ma c’è chi lo accusa, sottolinea il Papa:

“C’era un altro gruppo di persone che non gli voleva bene e cercava sempre di interpretare le parole di Gesù e anche gli atteggiamenti di Gesù, in modo diverso, contro Gesù. Alcuni per invidia, altri per rigidità dottrinali, altri perché avevano paura che venissero i romani e facessero strage; per tanti motivi cercavano di allontanare l’autorità di Gesù dal popolo e anche con la calunnia, come in questo caso. ‘Lui scaccia i demoni per mezzo di Belzebù. Lui è un indemoniato. Lui fa delle magie, è uno stregone’. E continuamente lo mettevano alla prova, gli mettevano davanti un tranello, per vedere se cadeva”.

Discernimento e vigilanza
Papa Francesco invita al discernimento e alla vigilanza. “Saper discernere le situazioni”: ciò che viene da Dio e ciò che viene dal maligno che “sempre cerca di ingannare”, “di farci scegliere una strada sbagliata”. “Il cristiano non può essere tranquillo che tutto va bene, deve discernere le cose e guardare bene da dove vengono, qual è la loro la radice”.

Il diavolo anestetizza la coscienza
E poi la vigilanza, perché in un cammino di fede “le tentazioni tornano sempre, il cattivo spirito non si stanca mai”. Se “è stato cacciato via” ha “pazienza, aspetta per tornare” e se lo si lascia entrare si cade in una situazione peggiore. Infatti, prima si sapeva che era “il demonio che tormentava”. Dopo, “il Maligno è nascosto, viene con i suoi amici molto educati, bussa alla porta, chiede permesso, entra e convive con quell’uomo, la sua vita quotidiana e, goccia a goccia, dà le istruzioni”. Con “questa modalità educata” il diavolo convince a “fare le cose con relativismo”, tranquillizzando la coscienza:

“Tranquillizzare la coscienza. Anestetizzare la coscienza. E questo è un male grande. Quando il cattivo spirito riesce ad anestetizzare la coscienza si può parlare di una sua vera vittoria, diventa il padrone di quella coscienza: ‘Ma, questo accade dappertutto! Sì, ma tutti, tutti abbiamo problemi, tutti siamo peccatori, tutti…’. E nel ‘tutti’ c’è il ‘nessuno’. ‘Tutti, ma io no’. E così si vive questa mondanità che è figlia del cattivo spirito”.

Fare sempre esame di coscienza
Il Papa ribadisce le due parole, vigilanza e discernimento:

“Vigilanza. La Chiesa ci consiglia sempre l’esercizio dell’esame di coscienza: cosa è successo oggi nel mio cuore, oggi, per questo? E’ venuto questo demonio educato con i suoi amici da me?  Discernimento. Da dove vengono i commenti, le parole, gli insegnamenti, chi dice questo? Discernere e vigilanza, per non lasciare entrare quello che inganna, che seduce, che affascina. Chiediamo al Signore questa grazia, la grazia del discernimento e la grazia della vigilanza”.

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Papa nomina mons. Delbosco nuovo vescovo di Cuneo-Fossano

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In Italia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale delle diocesi di Cuneo e di Fossano, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Giuseppe Cavallotto. Al suo posto, il Papa ha nominato vescovo delle diocesi di Cuneo e di Fossano mons. Piero Delbosco, del clero dell’arcidiocesi di Torino, finora parroco a Poirino. Il neo presule è nato a Poirino, provincia ed arcidiocesi di Torino, il 15 agosto 1955. Dopo aver frequentato il Seminario Minore di Rivoli (Torino), ha seguito gli studi eclesiastici presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Sezione di Torino), conseguendo il Baccellierato in Teologia. È stato ordinato sacerdote il 15 novembre 1980 per l’arcidiocesi di Torino. Dopo l’ordinazione presbiterale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia di “San Lorenzo”, a Collegno (To) e in quella della “Natività della Beata Vergine Maria”, nel quartiere di Pozzo Strada (TO); Parroco a Beinasco; Parroco ad Alpignano; Vicario Episcopale territoriale del distretto Ovest di Torino; Provicario Generale e Moderatore della Curia Arcivescovile di Torino; Parroco delle quattro parrocchie di Poirino; Delegato per il Diaconato Permanente e per la Preparzione al Diaconato; Membro del Consiglio Presbiterale; Membro della Consulta Nazionle Presbiterale. Dal 20 marzo 2010 è Prelato d’Onore d Sua Santità.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Diritto e diplomazia per risolvere i conflitti: al sinodo l'appello del Papa alla comunità internazionale davanti all'escalation di violenza in Medio oriente e Africa.

Il cattivo educato: messa a Santa Marta.

Più diritti umani: l'arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati sui nuovi volti della guerra.

Tempi difficili per donne coraggiose: Caterina Ciriello su Dorothy Day e il suo rapporto con Teresa d'Avila.

Galileo sarebbe contento: Carlo Maria Polvani sul filo rosso che lega i Nobel scientifici 2015.

Nella mente di Riley: Gaetano Vallini recensisce il film d'animazione "Inside Out", ricco di gag strepitose, di trovate geniali e di spunti per riflettere.

Gabriele Nicolò su Shakespeare "lost in translation".

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Oggi in Primo Piano



Nobel della pace al Quartetto nazionale del dialogo tunisino

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Il Premio Nobel per la pace 2015 è stato assegnato al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, che ha evitato una guerra civile e rappresenta un modello per tutti i Paesi della regione. Lo ha annunciato, stamani, il Comitato norvegese dei Nobel da Oslo. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il Quartetto nazionale del dialogo tunisino è stato premiato per il “decisivo contributo alla costruzione di una democrazia pluralistica”. Così, il Comitato per il Nobel nell'annunciare il premio per la Pace 2015. Con questo riconoscimento, sottolinea il Comitato, si è voluto evidenziare “il valore del dialogo” e offrire un "incoraggiamento al popolo tunisino". Nato nell'estate del 2013, "quando il processo di democratizzazione rischiava di frantumarsi per gli omicidi politici e un diffuso malcontento sociale", il Quartetto - si legge nella motivazione del premio - "ha dato vita a un processo politico pacifico alternativo in un momento in cui il Paese era sull'orlo della guerra civile". Il Quartetto, prosegue il Comitato dei Nobel, è stato "determinante per consentire alla Tunisia, nel giro di pochi anni, di creare un sistema costituzionale di governo che garantisce i diritti fondamentali di un'intera popolazione, a prescindere dal sesso dalle convinzioni politiche e dal credo religioso". Il premio sarà consegnato ad Oslo il 10 dicembre prossimo.

Dal canto suo, il portavoce delle Nazioni Unite a Ginevra ha espresso apprezzamento per il Nobel al Quartetto tunisino. “Abbiamo bisogno di una società civile – ha dichiarato  Ahmad Fawzi – che ci aiuti a far avanzare i processi di pace”. La Tunisia, ha proseguito, è “uno dei Paesi che ha fatto del suo meglio, dopo la cosiddetta Primavera araba”. Soddisfazione è stata espressa anche da padre Jawad Alamat, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Tunisia. "Il Nobel per la pace - ha dichiarato padre Alamat a Fides - è un forte incoraggiamento ed è un onore per la Tunisia" che viene riconosciuta come "il Paese che sta facendo un cammino verso una democrazia difficile, ma possibile, nel mondo arabo-musulmano".

Il sindacato dei lavoratori tunisino, uno dei componenti del Quartetto che ha aiutato il Paese sull'orlo della guerra civile all'indomani della “rivolta del gelsomini”- ha affermato che il premio è un messaggio all'intera regione mediorientale per il valore attribuito al dialogo. Per un commento sul valore di questo Quartetto nel Paese che ha dato il via alla “Primavera Araba”, Alessandro Gisotti ha intervistato l’africanista Luciano Ardesi, segretario nazionale della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli: 

R. – E’ sicuramente un Premio Nobel per la Pace che ha individuato un fatto abbastanza straordinario in Africa e nel Mediterraneo, nel cuore insomma di quei conflitti cui stiamo assistendo. La Tunisia era sull’orlo di una nuova guerra civile, dopo la cacciata del dittatore Ben Ali, e solo e soltanto la riunione di quattro forze della società civile ha potuto evitare un nuovo bagno di sangue, quando purtroppo il terrorismo aveva già cominciato a colpire…

D. – La Tunisia è stato il primo Paese dove ha preso il via la cosiddetta “Primavera araba” e, in un qualche modo, è anche il Paese che rispetto agli altri è riuscito – se vogliamo così – a mantenere la promessa e anche il sogno di una nuova fase…

R. – Possiamo dire che questo risultato è dovuto anche all’intervento del Quartetto nell’estate di due anni fa, quando – dopo le prime elezioni libere, dopo la cacciata del dittatore Ben Alì – il partito fondamentalista ha vinto le elezioni ed espresso un governo, governo che si è trovato a gestire una situazione estremamente difficile, una crisi economica forte e soprattutto l’impossibilità di rinnovare la classe politica tunisina. Ecco, quindi, che le sorti del Paese sono state prese da questo Quartetto: il sindacato, l’associazione degli industriali, una organizzazione per i diritti umani - la Lega tunisina - e l’ordine degli avvocati si sono messi insieme per convincere i partiti a sottoscrivere una sorta di road map, di percorso che portasse il Paese alla democrazia.

D. – In un qualche modo il Premio Nobel vuole essere anche l’incoraggiamento a sconfiggere tanti ostacoli, tante difficoltà…

R. – Sì, scuramente. Io penso che questo Premio Nobel premi anche un modello come dicevo, un modello possibile che può essere applicato in tante situazioni di crisi e di guerra civile, perché noi dobbiamo tener conto – non solo nei Paesi arabi, ma in generale in Paesi che soffrono la crisi economica e sociale – che il sistema dei partiti è un sistema molto fragile, che non riesce a produrre al proprio interno una dinamica virtuosa di democrazia; i Paesi, invece, che soffrono queste stesse contraddizioni hanno delle società civili o delle forze nazionali aperte, che possono quindi giocare un ruolo, un ruolo importante come è stato in Tunisia, per superare gli ostacoli che un sistema politico aperta crisi non è più in grado di gestire.

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In Libia governo di unità nazionale dopo 5 anni di conflitto

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La Libia volta pagina con il varo di un governo di unità nazionale che potrebbe chiudere definitivamente la fase del dopo Gheddafi, caratterizzata dallo scontro tra fazioni interne. Una situazione che portò alla formazione di due esecutivi: quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di matrice islamica a Tripoli. Soddisfazione per l’importante obiettivo raggiunto è stata espressa all’Onu. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’annuncio è stato dato dal Marocco, sede dei negoziati, dal rappresentante speciale dell'Onu per la Libia, Bernardino Leon. E’ già pronta la lista dei ministri che formeranno l’esecutivo di unità nazionale, a capo del quale c’è Fayez Serraj, originario di Tripoli, ma membro del Parlamento di Tobruk. Sarà affiancato da tre vicepremier, espressione delle varie realtà libiche. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha accolto con soddisfazione la notizia dell'intesa che giunge dopo un anno di serrati colloqui tra le varie parti in gioco. E’ importante ora – ha detto non sprecare questa opportunità, per ricostruire uno Stato, che rifletta lo spirito e le ambizioni della rivoluzione del 2011, che portò alla caduta del regime di Gheddafi, ma anche a 4 anni di caos e violenze che hanno costretto 2 milioni e mezzo di libici a vivere solo grazie agli aiuti umanitari. Pace e prosperità augura alla Libia l’Unione Europea, pronta offrire un  concreto sostegno politico e finanziario al nuovo governo pari a 100 milioni di euro. Ma il risvolto positivo potrebbe esserci anche in chiave immigrazione. Proprio dalla Libia parte gran parte dei migranti per l’Europa. Fausta Speranza ne ha parlato con Francesco Cherubini, docente di organizzazioni internazionali e diritti umani all’Università Luiss:

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Migranti. Grecia al collasso: altro bimbo muore in mare

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Mentre l’Ue avvia il piano di ricollocamenti per i migranti disposto dalla Commissione europea, arriva l’allarme l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Si aggrava la situazione degli arrivi in Grecia: fino a 7.000 al giorno da 4.500 del mese scorso. Domani, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Guterres, visiterà l’isola di Lesbo, principale punto di accesso dalla Turchia, dove anche oggi si registra la morte di un bimbo, imbarcato su un gommone soccorso a pochi chilometri dalle coste. “Un dramma che coinvolge tutti noi e non può diventare normalità”, sottolinea il parroco cattolico di Lesbo e Chios, padre Leone Kiskinis. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – Stamattina, come anche nei giorni precedenti, c’è stata l’ennesima morte in mare di un bambino in una spiaggia della nostra isola di Lesbo. Sono tutte persone che cercano di scappare da una realtà incivile e invivibile, per arrivare poi in Europa a cercare un futuro di libertà. C’è il rischio che queste notizie continue, riguardo in particolare la morte dei bambini, ci addormentino le coscienze. Però, non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di persone con una dignità.

D. – Chi è che soccorre materialmente gli abitanti di Lesbo? Gli abitanti, i pescatori? Spesso tocca a loro trovare questi corpi, come succede anche spesso per i pescatori italiani al largo di Lampedusa... Ecco, che cosa succede tra la gente?

R. – Sì, sono proprio i pescatori o gli abitanti del luogo che li accolgono vedendoli in difficoltà, perché queste piccole imbarcazioni – questi gommoni diciamo così – arrivano su spiagge che sono isolate e la gente del luogo li aiuta tanto. Siamo tutti sensibili di fronte a questi drammi.

D. – Spesso, si tratta di cadaveri e molto spesso non sono riconosciuti. Addirittura, c’è una sorta di ricerca, di spazio, anche per una degna sepoltura…

R. – Sì, molto spesso sono chiamato a fare anche una preghiera di affidamento per queste persone che hanno trovato la morte durante il loro tragitto verso la Grecia. È vero che di molti di loro non conosciamo l’identità, perché alcuni non hanno i documenti con sé. E quindi vengono sepolti nei cimiteri comunali, senza nome, solo con un numero sulla loro tomba.

D. – E anche a questo spesso non si pensa, vero?

R. – Esatto, penso che le autorità comunali non abbiano un’altra soluzione. Da parte mia, come sacerdote cattolico sono sempre presente per dare loro una degna sepoltura. Però, è anche vero che – e ne sono al corrente – uno dei cimiteri comunali della città di Mitilene, che è il capoluogo di Lesbo, è pieno – proprio pieno – di queste salme che vengono poste là. Si sta cercando quindi di trovare altro spazio per poter dare a queste persone una sepoltura degna e umana.

D. – A fine mese, a ottobre, Atene – quindi la Grecia – sarà la sede di un grande convegno sul tema del pluralismo culturale, religioso, della coesistenza pacifica nel Medio Oriente: lei che idea si è fatta di questo momento storico che stiamo vivendo? E come pensa che possiamo far prevalere appunto l’idea del pluralismo e dell’accoglienza, sulle paure?

R. – Bisogna per prima cosa pensare che tutti coloro che cercano una vita migliore, sono esseri umani. In queste persone, noi, come cristiani, possiamo vedere il volto di Cristo, che ci chiede di essere aiutato, e che è assetato, affamato, a prescindere dal fatto se siano cristiani o meno… Non possiamo chiudere gli occhi e dire che queste persone non esistono, che non hanno bisogno di aiuto. Questo momento storico anche per la nostra piccola parrocchia – la nostra piccola realtà cattolica­ – è una grande scuola, perché, come ho detto, dobbiamo dare, offrire loro la tenerezza di Cristo.

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Dimissioni di Marino: i commenti di Sabella e mons. Marciante

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Il giorno dopo le sue dimissioni, Ignazio Marino torna in Campidoglio e celebra un matrimonio. L’ex sindaco poi smentisce di aver detto che farà i nomi di chi in questi due anni gli ha chiesto favori. Alessandro Guarasci: 

Marino ostenta tranquillità, dice di stare bene, e alle 11 si presenta in Campidoglio per celebrare un matrimonio. Le sue dimissioni infatti saranno effettive tra una ventina di giorni. Poi minaccia querele nei confronti di quei giornali che oggi hanno scritto che avrebbe tirato fuori i nomi di chi gli ha chiesto favori e raccomandazioni. Ieri ha firmato un assegno, per quasi ventimila euro, per riconsegnare alla città di Roma i soldi spesi con la carta di credito in assegnazione al primo cittadino. Per un suo fedelissimo, l’ex assessore alla Legalità Alfonso Sabella bisogna evitare che le mafie spadroneggino a Roma:

R. – È chiaro che nei momenti in cui lo Stato è più debole, la mafia è più forte: questo è un assioma assolutamente certo. Ma è anche verosimile ritenere che il governo non lascerà Roma abbandonata a sé stessa. Quello che occorre adesso è che si dia continuità all’azione di recupero di legalità e trasparenza portata avanti dal sindaco Marino. Quella è assolutamente fondamentale e credo che su questo ci sarà l’accordo di tutte le forze sane di questo Paese.

D. – Lei continua ad essere a questo punto tranquillo per il Giubileo? 

R. – La tranquillità sui lavori del Giubileo ce l’avevo prima e ce l’ho adesso, anche considerando i tempi ristrettissimi, l’esiguità delle risorse, con le forze che abbiamo messo in campo e con le nuove procedure che abbiamo adottato, che sono sul campo e che stanno dando risultati anche superiori alle più rosee aspettative. Penso che siamo tranquilli sul fatto che possiamo ridurre al minimo - perché la certezza del 100% sulla mancanza di corruzione in Italia non ce l’ha nessuno - i fenomeni di corruzione o di distorsione delle pubbliche risorse a favore di interessi privati. Credo che su questo possiamo avere un certo ottimismo!

D. – Marino si è dimesso anche per gli aspetti legati alle note spese della sua segreteria; ma non pensa che non siano arrivati messaggi anche alla città su alcuni aspetti fondamentali? Basti guardare l’immondizia nelle strade oppure l’inefficienza dei trasporti: insomma, non pensa che paga anche questo Marino?

R. – Sicuramente paga anche questo Marino. Paga il fatto di aver puntato – io dico giustamente – sul recupero della legalità, a partire da quella contabile, che a Roma mancava da tantissimo tempo. Questa cosa ha sicuramente ritardato l’avvio di tutta una serie di procedure che avrebbero permesso di avere Roma più pulita o qualche buca tappata. Considerando una cosa, però, con una differenza: mentre prima tutto questo avveniva pagando magari dieci volte il servizio e facendo buchi di bilancio, ora si è scelto di percorrere una strada concepita come un vero e proprio progetto sulla città: un progetto che prevede che oggi, quando le spese per le strade si fanno, durano dieci anni, costano quello che devono costare, non dieci volte tanto! Ora si potrà cominciare a raccogliere i frutti, fino a questo momento, purtroppo, non è stato possibile raccoglierli.

Il quotidiano dei vescovi Avvenire dice che Roma ha bisogno di una onesta cura. Il vescovo ausiliare di Roma mons. Giuseppe Marciante:

R. – Dire con chiarezza come stanno le cose, perché la gente penso che ci abbia capito veramente poco sul perché Marino se ne siano andato, perché abbia dato le dimissioni. Bisogna dare chiarezza, dicendo perché è successo tutto questo. Certamente, poi, il Giubileo significa anche la moralità di una città: qui tutto il discorso della criminalità, di quello che viene chiamato “Mafia Capitale”. Bisognerebbe, anche lì, veramente fare chiarezza e pulizia: è possibile che cambi il colore politico di una amministrazione, ma poi la macchina amministrativa sia sempre corrotta?

D.  – Ma lei come vede il Giubileo in assenza di un consiglio comunale e di una giunta?

R. – Io penso che al tema del Giubileo sia collegato il tema della viabilità, insieme al tema della viabilità anche quello della sicurezza di chi viene a Roma. Questi sono i due grandi problemi. Quindi i trasporti,  a volte con mezzi fatiscenti, manutenzione quasi assente…

D. – Ma lei si aspetta anche uno scatto di orgoglio da parte di tutta la città per una maggiore vivibilità?

R. – Io guardo la città con gli occhi dei più piccoli: questo il mio metro di misura come pastore, come vescovo. Chi sono i più piccoli? I più piccoli sono i poveri, i bambini e gli anziani. Adesso, per esempio, ho sentito che si vuole fare un piano di sicurezza e di decoro nelle stazioni, impedendo anche ai clochard di sostare nelle stazioni… Qual è l’alternativa? E’ una città che, a volte, non offre alternative! Il piano alloggiativo? Si paga tanta edilizia popolare, con piani come quello portato avanti da Saat (il servizio di assistenza alloggiativa temporanea), con buoni casa… Si spendono un sacco di soldi, ma non è una alternativa alla casa! Sono di quelle realtà che viste con gli occhi dei poveri, degli ultimi, ci fanno capire che è una società malata, quella cittadina, che chiaramente ha bisogno di un sussulto di orgoglio che dica: “Aggiustiamo la città!”.

D. – Dunque, in sostanza, ripartire dagli ultimi per rendere migliore Roma…

R. – Questo – secondo me – è l’interesse forte che sento dentro di me. Perché se sta male un povero, se sta male un bambino, se sta male un anziano, che sono le categorie più fragili, significa che è una società che non funziona. A me sembra che, in questo momento, a Roma queste categorie soffrano...

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Cinema. "Dheepan", dallo Sri Lanka in Francia per una nuova vita

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Arriva in Italia - sarà distribuito nelle sale italiane, a partire dal 22 ottobre - “Dheepan – Una nuova vita”, il film col quale il regista francese Jacques Audiard ha vinto quest’anno la Palma d’Oro al Festival di Cannes. L’immigrazione, la società, la famiglia e l’amore sono al centro di un’intensa storia che coinvolge tutti i bravissimi protagonisti. Il servizio di Luca Pellegrini

In fuga dalla guerra civile che irrora la terra dello Sri Lanka di sangue, Dheepan, un guerrigliero Tamil, fugge come marito e padre di una famiglia fittizia – assieme a una donna e una bambina, che non si conoscono – in Francia, precipitando nella “banlieu” di una città. Senza amore, senza legami, senza educazione se non quella della violenza e della sopravvivenza, Dheepan va alla caccia di un futuro.

Scava una volta ancora dentro personaggi ai bordi e una società martoriata e fragile, Jacques Audiard, che con questo film ha vinto una meritatissima Palma d’Oro al Festival di Cannes, la primavera scorsa. La nuova realtà in cui questi rifugiati, per tutti anonimi, s’immergono – privi di casa, lavoro, amici – è una nuova guerra tra bande di giovani violenti che proprio la violenza riaccenderanno in Dheepan. Eppure, il bravissimo regista francese ci tiene a sottolineare le vere ragioni che lo hanno convinto a girare questa storia:

R. – Ça peut paraitre singulier, mais ce film…
Può sembrare strano, ma ho capito che avrei fatto questo film nel momento in cui mi sono reso conto che si trattava di una storia d’amore, che si sarebbe passati dalla guerra, dall’odio ad altro, e che avrei assistito a questa evoluzione. Non volevo che fosse un film che finiva male.

Chi è in realtà il protagonista del suo film? Uno dei tanti immigrati che percorrono le nostre strade?

R. – C’est quelqu’un qui pense que le sentiment…
E’ uno che crede che il sentimento amoroso sia sparito da lui, che non ne sia più capace. E invece, siccome è innamorato di questa donna e lei è in pericolo, lui va a cercarla, è un cavaliere… Quello che mi interessa è che l’immigrato è colui che ha conosciuto degli inferni, che ha conosciuto cose che nessuno conoscerà mai – io spero almeno che non le conosceremo mai. Lui le ha conosciute, queste violenze. E cosa ne fa lui di questa violenza? Dove rimane, in lui? I soldati che tornano dall’Iraq hanno a disposizione stuoli di psichiatri che si occupano di loro e di quello che hanno subito e vissuto. Il razzismo inizia – o termina – nel momento in cui si nega l’inconscio dell’altro, il suo dolore. L’immigrato non ha nome, non ha volto e non ha inconscio: non esiste. Quindi, il problema dell’immigrato, per noi dov’è?

L’ultima scena è di estrema dolcezza: Dheepan viene accarezzato sulla testa da Yalini, la donna con la quale aveva convissuto il dolore in terra francese e con la quale si ritrova, nuovamente fuggitivo, in un altro Paese, per ricostruirsi una vita. E’ l’Occidente che lo ha trasformato?

R. – Ah non: par sa femme, par l’amour…
Ah, no: è per la sua donna, per l’amore. Lui alla fine riesce davvero ad assecondare il desiderio di questa donna di cui si è innamorato, mentre fino ad allora aveva sempre imposto la sua legge agli altri. E’ una sequenza fantastica quella finale, è fantastica l’Inghilterra, tanto che la scena è stata girata in India, come il sole, nelle montagne del centro dell’India. Volevo l’immagine di fantasia di questo sole, di questo calore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libia. Vicario Bengasi: popolo libico vuole voltare pagina

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“Aspettavamo notizie positive come questa con trepidazione. Il popolo libico ha sofferto abbastanza. Vuole lasciarsi tutto questo alle spalle e voltare pagina”: è il commento a caldo che mons. Sylvester Carmel Magro, vicario apostolico di Bengasi affida all'agenzia Misna a poche ore dall’annuncio del governo di unità nazionale, nominato dal mediatore Onu Bernardino Leon. “Ora è fondamentale che le due parti approvino le nomine e sottoscrivano l’intesa” sottolinea il religioso, aggiungendo che “molti in Libia si rallegrano per quello che viene percepito come un primo, timido passo verso la pace”.

Un’occasione storica per consentire al Paese di guardare al futuro
L'inviato Onu ha confermato che l'accordo – che prevede la nomina di un premier, tre viceministri, 20 consiglieri e un Consiglio di Stato -  non sarà più soggetto a modifiche e che dovrà essere ratificato da entrambi gli attuali parlamenti entro il 20 ottobre. “Speriamo e preghiamo perché il nostro sogno di una Libia pacificata divenga realtà – osserva ancora il vicario - È un’occasione storica per consentire al Paese di guardare al futuro”. (A.d.L.)

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Egitto: copti chiedono di riaprire indagini su strage di Maspero

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A quattro esatti dalla cosiddetta strage di Maspero, la Coalizione dei copti d'Egitto – organizzazione indipendente dalla Chiesa copta ortodossa, ma animata da militanti copti laici – ha chiesto al Presidente Abdel Fattah al-Sisi e al Ministro egiziano della giustizia Ahmed al-Zind di riaprire le indagini su quel tragico evento, in cui 27 cristiani copti furono uccisi dalle feroci rappresaglie scatenate dai reparti militari contro una manifestazione di protesta.

La protesta provocata dalla distruzione di una chiesa nell'Alto Egitto
Il 9 ottobre 2011, le forze militari egiziane attaccarono i manifestanti copti che protestavano nei pressi del palazzo Maspero, l'enorme edificio dove ha sede la Tv e la radio di Stato. La protesta era stata provocata dalla distruzione di una chiesa, avvenuta nell'Alto Egitto ad opera di estremisti salafiti e con la copertura dei politici locali. A provocare la strage dei copti – e il ferimento di almeno trecento manifestanti – furono anche squadre armate non identificate. A quel tempo, il potere nel Paese era nelle mani dell'esercito, dopo le dimissioni forzate del Presidente Hosni Mubarak e prima delle elezioni che avrebbero portato al governo i Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi.

Riaprire le indagini vincendo il muro dell'omertà
​I leader della Copts of Egypt Coalition hanno confermato l'intenzione di non voler portare per il momento il caso davanti a organismi e tribunali internazionali, ma hanno insistito sull'urgenza di riaprire le indagini vincendo il muro dell'omertà e rendendo pubbliche le informazioni sui mandanti e gli esecutori di quella che si presenta a tutti gli effetti come una strage di Stato. (G.V.)

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Iraq: due suore irachene tra i profughi cristiani a Erbil

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Si chiamano Afnan e Alice le due Piccole Sorelle di Charles de Foucauld che da alcune settimane hanno scelto di vivere in un accampamento di Ankawa, alla periferia di Erbil, dove hanno trovato precaria sistemazione migliaia di cristiani della Piana di Ninive fuggiti davanti all'offensiva dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. La scelta delle due religiose, raccontata ai microfoni di Radio Sawa, intende esprimere in maniera concreta la totale condivisione delle condizioni di difficoltà e di sradicamento vissute dalle migliaia di famiglie costrette a lasciare le proprie case, e che ormai si stanno rassegnando all'idea di dover vivere in tale stato ancora per molto tempo.

L'aiuto a bambini e giovani contro derive di degrado psicologico e morale
​Le due suore stanno coinvolgendo anche altre religiose nell'assistenza rivolta soprattutto ai bambini e ai giovani che vivono negli accampamenti di tende e container. L'intento è quello di preservare l'infanzia e la gioventù dal senso di vuoto e dall'assenza di attività formative che col tempo possono degenerare fino a innescare derive di degrado psicologico e morale. Proprio nella giornata di oggi, i gruppi politici animati da militanti cristiani e altre sigle comunitarie hanno indetto una manifestazione di protesta contro il dilagare di fenomeni di degrado urbano – come il moltiplicarsi di bische e locali dove si vendono senza controllo bevande alcoliche – che stanno ad Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani. (G.V.)

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India. Suore Madre Teresa: no ad adozioni a single o divorziati

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Le Missionarie della carità, l’ordine fondato da Madre Teresa di Calcutta, hanno deciso di bloccare le pratiche adottive in 15 orfanotrofi presenti in India, come protesta contro le nuove linee guida del governo che consentono l’adozione anche a single o coppie di divorziati. All'agenzia AsiaNews il card. Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi, commenta: “La Chiesa cattolica in India deve occuparsi di questo problema delle linee guida. Io sostengo le sorelle missionarie. I bambini non sono oggetti; ognuno di loro è un dono prezioso di Dio. Le Missionarie della carità sono al servizio dei più vulnerabili e questi minori abbandonati non possono essere dati a qualsiasi genitore”.

Le suore non accettano le nuove regole per le adozioni
La congregazione si occupa da sempre di assistenza morale e materiale per poveri, malati, bambini abbandonati, prostitute, handicappati. Il blocco delle adozioni è in vigore dall’1 agosto 2015, da quando i Nirmala Shishu Bhawans – gli orfanotrofi gestiti dalle suore – hanno interrotto ogni pratica. Veerendra Mishra, segretario dell’Autorità centrale per le adozioni, ha riferito al giornale The Indian Express che le norme più contestate sono quelle che prevedono l’adozione per genitori single o per le coppie in cui uno o entrambi i coniugi siano divorziati. Suor Bressila spiega ad AsiaNews: “Abbiamo fermato le adozioni, ma continueremo a seguire la missione e la visione di Madre Teresa. Noi abbiamo fiducia in Dio, che ci ispirerà su cosa fare. Continueremo ad occuparci dei bambini, ma non accettiamo le nuove regole”.

Card. Toppo: i bambini non sono delle merci
Durante una riunione dei ministri statali per lo sviluppo delle donne e dei bambini, Maneka Gandhi, ministro per l’Unione, da detto: “Il lavoro delle Missionarie è importante, stiamo cercando di convincerle a ripensarci”. Il card. Toppo aggiunge: “Le Missionarie di Madre Teresa hanno una radicata responsabilità materna nei confronti dei bambini. Esse si assicurano che i piccoli crescano in un buon ambiente familiare e abbiano un futuro gioioso – così come farebbero i genitori biologici. La loro coscienza suggerisce che è sbagliato seguire le regole del governo. Quando noi accogliamo dei bambini, siamo anche responsabili per il loro futuro. I bambini non sono delle merci”.

In India gli animali hanno più valore rispetto ai bambini
Il porporato conclude: “Quello della cura dei bambini abbandonati è un aspetto molto importante per la missione della Chiesa in India. Abbiamo deciso di sollevare la questione affinchè possano essere esplorate tutte le possibili modifiche di queste linee guida. Il tema deve anche essere discusso al Sinodo sulla famiglia. La Chiesa deve prendere posizione. In India gli animali sono più protetti e hanno più valore rispetto ai nostri bambini vulnerabili”. (N.C.)

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Colombia. Card. Pimiento: compravendita di voti è un delitto

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Il card. Jose de Jesus Pimiento ha invocato con veemenza la coerenza nelle discussioni per gli accordi di pace tra il governo e le Farc, mettendo in guardia sulla mancanza di giustizia e di verità e sui vuoti e sugli errori irreparabili. La nota inviata a Fides da una fonte locale, riporta le parole del porporato diffuse da Radio RcnRadio: "Questi accordi hanno generato molti interrogativi, perché non si vede apparire né la giustizia né la verità, che è ciò che ci fa liberi; e non appare neanche l'amore, che è la formula cristiana per fare la pace; la pace che Gesù ha portato. Ci sono cose che non lasciano soddisfatti in questi accordi”.

Perplessità del cardinale sui dialoghi di Pace a Cuba
Il cardinale colombiano José de Jesús Pimiento Rodriguez, arcivescovo emerito di Manizales, ha 96 anni ed è stato nominato cardinale nel Concistoro del 14 febbraio 2015. Non solo ha messo in dubbio le ultime dichiarazioni sui dialoghi di Pace a Cuba ma ha definito “uno scandalo” la compravendita di voti nel Paese, in modo particolare adesso che sono vicini le elezioni regionali.

La Colombia si deve rigenerare
“Le elezioni sono una cosa molto seria, ma non le consideriamo tali, perché il sistema democratico si sta rovinando per la corruzione che c’è - ha detto il cardinale -. La compravendita di voti è un delitto. La Colombia si deve rigenerare, perché una democrazia seria ha bisogno di avere credibilità”. (C.E.)

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Polonia. Plenaria dei vescovi su immigrazione e profughi

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Mons. Krzysztof Zadarko, presidente del gruppo per l’immigrazione della Conferenza episcopale polacca, in conclusione della 370ma plenaria dei vescovi, svoltasi a Varsavia il 6-7 ottobre, ha chiesto di “non ideologizzare né politicizzare la questione degli immigrati”. Il presule - riporta l'agenzia Sir - ha ribadito la volontà di “aiutare gli immigranti nello spirito di solidarietà, fiducia e responsabilità” e di “partecipare alle iniziative di aiuto promosse in Europa”, e ha individuato tre gruppi di profughi presenti sul territorio polacco: provenienti dall’Ucraina, arrivati in Grecia e in Italia e trasferiti in Polonia in base agli accordi europei, e provenienti dal Libano. “La paura di una presunta islamizzazione dell’Europa, diventata ormai uno slogan propagandistico, non può essere la base delle nostre reazioni”, ha sottolineato mons. Zadarko, pur affermando che “la portata del fenomeno delle migrazioni di massa prevale, per ora, sulle capacità di risposta”. 

Sempre meno giovani partecipano alla vita della Chiesa
​I vescovi, in assenza del presidente partecipante al Sinodo, hanno inoltre affrontato in vista della Gmg2016 i problemi della pastorale dei giovani che, secondo l’istituto di analisi dell’opinione pubblica Cbos sempre meno numerosi partecipano alla vita della Chiesa ignorando il magistero. Il 10% dichiara di non essere credente e quasi uno su quattro risulta non praticante. Un terzo dei giovani polacchi, a causa della deludente situazione politica ed economica, è pronto a emigrare. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 282

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.