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Sommario del 10/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Sinodo: famiglia via della Chiesa, unire misericordia e verità

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Prima settimana di lavori del Sinodo sulla famiglia in Vaticano. Come di consueto i lavori dei padri sinodali sono stati al centro del briefing in Sala Stampa vaticana. Alla conferenza, moderata dal direttore, padre Federico Lombardi, sono intervenuti Sua Beatitudine, il cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, presidente della Conferenza episcopale dell’India, e padre Javier Álvarez-Ossorio, superiore generale della Congregazione dei Sacri Cuori. Il servizio di Alessandro Gisotti

Famiglia e missione, accoglienza delle famiglie ferite, indissolubilità del matrimonio. Sono alcuni dei temi più importanti che i padri sinodali hanno affrontato nella quarta, quinta e sesta congregazione generale del Sinodo, con 75 interventi. Tra gli argomenti affrontati, ha evidenziato padre Federico Lombardi, la famiglia come via concreta della presenza della Chiesa nella storia, via della Chiesa; la famiglia scuola di umanità, di socialità, di evangelizzazione. Ci sono, inoltre, stati diversi interventi sulla spiritualità nella famiglia insistendo sull’importanza della preghiera, della Parola di Dio vissuta in famiglia e soprattutto dell’Eucaristia. Dunque, ha proseguito padre Lombardi, si è parlato del tema della vocazione al matrimonio, vocazione che – è stato sottolineato – non va vista come inferiore rispetto a quella del sacerdozio.

Non opporre misericordia e verità
I padri sinodali, ha proseguito padre Federico Lombardi, hanno parlato anche della missionarietà della famiglia. Senza il contributo missionario della famiglia, si è rilevato, non può esserci vera pastorale familiare. Molto sviluppato anche il tema della misericordia, sotto diversi aspetti:

“La misericordia che si manifesta nella vicinanza e nella tenerezza, in rapporto alle diverse situazioni, anche a quelle difficili, in cui si trovano – a volte – le famiglie o le coppie. Però c’è anche da tenere presente il tema della misericordia e verità, della misericordia e giustizia e non opporre la misericordia e la verità. Una grande insistenza sul tema dell’accoglienza, che la Chiesa deve sempre avere nei confronti di tutti, di tutte le famiglie, anche quelle che possono essere in difficoltà. Proclamare il Vangelo e abbracciare le persone. Ecco quindi questa sintesi tra evangelizzazione e accoglienza, che deve essere di riferimento per la pastorale”.

Indissolubilità matrimonio è dono, non giogo
Ci sono stati anche interventi sulla indissolubilità del matrimonio, che per i padri sinodali – ha annotato padre Lombardi - va presentata positivamente come dono e non come giogo. C’è stata anche la testimonianza di una coppia di sposi, lei cattolica e lui indù per parlare della realtà del matrimonio misto. Non è poi mancato dal Sinodo un incoraggiamento ai giovani e a sottolineare il ruolo dei figli, non centrando la coppia solo su se stessa. Padre Lombardi ha dunque reso noto che si è cominciato anche il confronto sulla terza parte dell’Instrumentum Laboris con 12 interventi, ma il grosso è previsto soprattutto nel pomeriggio di oggi.

Non parlare solo dei problemi della famiglia
Dal canto suo, il cardinale Baselios Cleemis Thottunkal Thottunkal ha portato l’esperienza della Chiesa indiana. L'India, ha detto, favorisce il legame familiare, una persona in più non è un peso ma una benedizione:

"It is not the time to listen to only the problems …
Non è più tempo - ha avvertito -  di guardare soltanto ai problemi della famiglia o del matrimonio che devono essere affrontati; è tempo ora di ascoltare le diverse Chiese locali con la profondità, la bellezza e le ricchezze che esse custodiscono. Infatti, esse donano molto della loro ricchezza alla Chiesa universale …".

"Come sopravviviamo come famiglie?” si è poi chiesto il porporato indiano. Le famiglie, ha risposto, “sopravvivono non perché sono un’entità sociale ma una forza spirituale”. Ancora il cardinale Thottunkal ha ricordato che quando parliamo della misericordia di Dio è richiesta anche una specifica e personale accoglienza della stessa, una conversione personale.

Sinodo porta nuovo dinamismo nella Chiesa
Dal canto suo, padre Javier Álvarez-Ossorio ha messo l'accento sul dinamismo che il Sinodo sta dando a tutta la comunità ecclesiale:

"La puesta en marcha de dinamica en la Iglesia...
La messa in marcia di un dinamismo nella Chiesa, in cui possono essere prese altre decisioni secondo la realtà concreta. Questo, per me, sarebbe un frutto eccellente, anche se non ci sarà alcun documento al riguardo".

Infine, padre Lombardi – rispondendo alle domande dei giornalisti – ha ribadito che al momento non è ancora chiaro se ci sarà la pubblicazione del documento finale del Sinodo, decisione che spetta al Pontefice.

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Sinodo. Maradiaga: ideologia gender distrugge famiglia e società

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Uno dei temi trattati al Sinodo è quello dell’ideologia gender che non parla più di “sessi” ma di “generi” per superare la divisione biologica maschio-femmina, minacciando l’esistenza della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Si è parlato dell’imposizione di questa teoria come pensiero unico nelle scuole, calpestando il diritto primario dei genitori all’educazione dei figli. Paolo Ondarza ne ha parlato con il cardinale honduregno Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa: 

R. – Questa è veramente una ideologia e non è nuova: se pensiamo al XIX secolo, quando Marx combatteva contro i mezzi di produzione, Engels combatteva contro la famiglia; poi abbiamo avuto Freud che voleva eleminare il padre e all’inizio del XX secolo abbiamo avuto alcuni movimenti radicali femministi che volevano invece eliminare la madre, la maternità, come fosse stata una cosa di cui le donne dovessero liberarsi; e adesso la “gender theory” che cerca praticamente di eleminare la famiglia.

D. – Una ideologia che, forse, non viene percepita come tale…

R. – Perché c’è tanta gente che neppure sa cosa sia una “ideologia”…

D. – C’è chi fa il paragone con le grandi ideologie del secolo passato…

R. – Diciamo che è una in più, che è però più pericolosa: distruggendo la famiglia, si distrugge la società. E così facendo si arriverebbe ad un individualismo tale che non ci sarebbe più  vita in comunità.

D. – Che soluzioni ci possono essere?

R. – Il Vangelo, la Parola di Dio! Perché la Parola di Dio illumina tutti i secoli, illumina tutto il tempo, illumina tutte le diverse società, non per un assolutismo, ma per una luce. Non per niente il Signore Gesù ci dice “Io sono la luce del mondo”.

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Card. Scherer: famiglie si uniscano in associazioni, sono soggetto politico

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Il Sinodo si sta svolgendo in un clima fraterno pur nella diversa sensibilità dei partecipanti. Ascoltiamo in proposito l'arcivescovo di San Paolo del Brasile, il cardinale Odilo Pedro Scherer, intervistato da Silvonei Protz

R. – E' un clima sereno, un clima fraterno, un clima ecclesiale … Papa Francesco ci ha detto di essere coraggiosi, di parlare con coraggio ed entusiasmo, tutti volendo il bene della Chiesa, della famiglia … e così si fa. I partecipanti sono tranquilli, sereni, lavorano, si vede che sono impegnati e attenti, partecipano; e poi dagli interventi, ho potuto vedere che sono emerse questioni, anche pareri e posizioni abbastanza diverse a seconda delle culture, delle regioni del mondo sulle situazioni della famiglia e anche sulla maniera di procedere da parte della Chiesa nei confronti della pastorale della famiglia.

D. – Lei rappresenta una Chiesa molto viva sotto l’aspetto della pastorale familiare. Che contributo porta la Chiesa del Brasile a questo Sinodo?

R. – Noi, in Brasile, sentiamo più o meno gli stessi problemi che si sentono qui in Europa o in altre parti del mondo: si assiste alla diminuzione dei matrimoni, c'è la fragilità del vincolo matrimoniale, le separazioni, i divorzi, poi tutto questo dibattito intorno alla questione del “gender”, le coppie omosessuali che vogliono essere riconosciute come “vere” coppie in matrimonio … Poi, anche la fragilità della vita familiare stessa che, in qualche modo, è sotto la pressione delle situazioni economiche, sociali, politiche … Infatti, nel ritmo della vita attuale, del sistema di lavoro ma anche della società dei consumi, resta poco spazio alla vita di famiglia e quindi tutto questo anche noi lo sentiamo. Poi ci sono, certo, anche interventi politici sulla famiglia, che vogliono cambiare tante cose dello statuto stesso della famiglia, e la famiglia si vede poco protetta, anche legalmente. In questo caso abbiamo delle campagne, ci sono anche confronti in Parlamento sulle questioni della famiglia, come succede in altre parti del mondo. Ma un suggerimento che viene abbastanza forte dalle nostre parti è quello delle associazioni familiari e cioè che le singole famiglie devono raggrupparsi, formare gruppi per fare poi delle associazioni che meglio possono rappresentare le famiglie nel dibattito pubblico, politico … Infatti, la famiglia è un soggetto politico: non solo l’individuo è un soggetto politico, ma anche la famiglia è un soggetto politico. Allora, meglio ancora se ci sono associazioni familiari che possano rappresentare le famiglie, portare avanti gli interessi, i temi della famiglia, i bisogni della famiglia perché lo Stato, la società nell’insieme diano la dovuta attenzione alla famiglia, e perché la famiglia possa, da parte sua, prestare la sua missione, il suo servizio alla persona e alla società.

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I coniugi Paloni al Sinodo col piccolo Davide: famiglia, messaggio di bellezza

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La sua presenza abbassa notevolmente la media di età dell’assemblea del Sinodo. Si chiama Davide, ha tre mesi ed è stato già ribattezzato il “bambino sinodale”. E’ il 12.mo figlio di Massimo e Patrizia Paloni, una famiglia itinerante del Cammino neocatecumenale in missione da 11 anni a Maastricht in Olanda: in qualità di uditori portano la loro testimonianza in aula. Paolo Ondarza li ha incontrati: 

R. – (Massimo) Siamo molto grati al Santo Padre che ci ha invitato al Sinodo, anche perché questa è un’occasione che abbiamo per rendere gloria a Dio per tutto quello che ha fatto nella nostra vita. Abbiamo ricevuto la fede dai nostri genitori, che è cresciuta attraverso un cammino di iniziazione cristiana: un cammino serio di formazione in cui viene creato l’uomo nuovo. Nella misura in cui perde forza il peccato originale cresce il Battesimo. Questo fa nascere l’uomo nuovo che è capace di amare, di dare la vita. Per questo abbiamo voluto accogliere con gioia tutti i figli che Dio ci voleva donare. Abbiamo voluto lasciare Roma e partire per l’Olanda, una terra di missione, non facile, ma siamo contenti perché vediamo che Di ci aiuta molto.

R. – (Patrizia) Io spero che in questo Sinodo si possa riscoprire la verità dell’Enciclica “Humanae Vitae”. Quando ero fidanzata ho letto questa Enciclica in preparazione al matrimonio e ho visto che lì c’era un messaggio di speranza, tutto un panorama che si apriva per me nella libertà: poter scegliere a favore della vita. Dio ci ha benedetto con molti figli: ogni figlio ha portato molte grazie con sé, rinforzando proprio il nostro matrimonio come coppia. Quando i compagni vengono a casa nostra a trovarci e mangiamo insieme, ci dicono: “Che bello mangiare insieme!”. E soprattutto in Olanda, dove non c’è più il fatto di stare a tavola insieme, perché anche lì si manifesta la comunione. Ecco, io spero che tutto questo possa uscire come un messaggio di bellezza e di speranza per il mondo, perché il mondo sta aspettando una luce e questa luce è sicuramente la famiglia cristiana!

D. – Che cosa chiedono le famiglie come voi alla Chiesa riunita qui al Sinodo?

R. – (Massimo) Uno dei punti fondamentali è il passaggio della fede alla prossima generazione: come possiamo noi genitori passare la fede ai nostri figli? Sicuramente la Chiesa è chiamata ad essere luce per il mondo, ad essere lievito, sale. C’è bisogno di una fede autentica e quindi è necessaria e urgente l’iniziazione cristiana nelle parrocchie.

D. – Voi siete in un contesto secolarizzato: che cosa vuol dire essere segno di contraddizione nel mondo?

R. – (Massimo) Tante persone si rallegrano del fatto che abbiamo tanti figli. C’è nostalgia di Dio veramente… Le persone in fondo stanno aspettando una buona notizia, una luce. Noi abbiamo nel Cammino la “Missio ad gentes”: una comunità di famiglie che parte per le zone più scristianizzate del mondo per far presente Gesù Cristo in mezzo a questa generazione. Al di là di tutto, dietro tutto questo – dietro le famiglie che partono, dietro l’apertura alla vita – c’è l’iniziazione cristiana.

D. – E c’è una buona formazione quindi…

R. – (Patrizia) Il contatto con la Parola di Dio, con i Sacramenti e con la liturgia: sono tutte occasioni. Stando a contatto con la Parola di Dio, piano piano questa risuona nella nostra vita. Ci interroghiamo: “Che cosa vuole dirmi Dio attraverso questa parola?”. E piano piano, come diceva mio marito, si ricrea quest’uomo nuovo. Tutti quanti abbiamo ricevuto il Battesimo, tutti abbiamo ricevuto come un seme, ma questo seme deve crescere. E allora c’è bisogno di un aiuto, perché questo cresca in una società dove è difficile vivere la fede da soli a livello personale. Perché prima c’era tutto un contesto cristiano-cattolico che aiutava e difendeva la nostra fede; e invece oggi viviamo in un mondo secolarizzato dove è molto difficile vivere la fede a livello personale. Ed è per questo che è davvero necessaria la presenza di una comunità cristiana, con altri fratelli con i quali ci si confronta e che pregano per te se sanno che sei in un momento di difficoltà. La nostra piccola comunità è stata un tesoro per noi, perché anche nel nostro matrimonio, nei momenti di difficoltà, quando abbiamo affrontato le crisi che vivono tante coppie nel mondo, quello che ci ha difeso è stata questa comunità. È come una piccola arca, che nel momento del diluvio, della tempesta, ci ha accompagnato facendoci guardare a Cristo.

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Papa, tweet: rispettiamo il tempo del riposo domenicale

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il lavoro è importante, ma anche il riposo. Impariamo a rispettare il tempo del riposo, soprattutto quello domenicale”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Le relazioni dei circoli minori durante il sinodo sulla famiglia.

La famiglia agli occhi di Dio: in prima pagina, una riflessione del cardinale Roger Etchegaray, vicedecano del collegio cardinalizio.

Strategia della ferocia: decine di morti e oltre cento feriti in un duplice attentato davanti a una stazione ferroviaria di Ankara.
Hamas invoca l’intifada: alta tensione in Israele e nei Territori palestinesi.

Più controlli ai confini Ue: previsto un ufficio dell’agenzia Frontex che dovrà occuparsi dei rimpatri.

Missione di pace: il segretario di Stato ordina il nuovo nunzio in Giordania e in Iraq.

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Oggi in Primo Piano



Turchia: Ankara, strage durante manifestazione filo-curda

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Attentato ad Ankara, in Turchia, poco prima dell’avvio della prima manifestazione pacifista filo-curda indetta dalle opposizioni, dall’inizio del conflitto con i guerriglieri del Pkk. Quasi 90 i morti e 120 i feriti. Il Presidente Erdogan ha parlato di “un attacco odioso contro l’unità del Paese”. Ancora ignota la matrice. I media ipotizzano un attentato kamikaze, avvenuto in vista delle elezioni del primo novembre e mentre la Turchia è impegnata nella lotta contro l’Is in Siria. Eugenio Bonanata ha chiesto un commento ad Alberto Rosselli, esperto di area mediorientale e anatolica: 

R. – Il massacro che si è verificato rientra in una strategia di destabilizzazione anche del processo democratico all’interno della Turchia. Ricordiamo che non tutta la popolazione turca è favorevole a uno scontro diretto con la minoranza curda che poi è una minoranza molto relativa. Diciamo che è un problema nel problema, nel senso che abbiamo già una crisi mediorientale molto forte, che riguarda la Siria, e questa crisi interna turca non fa che aggravare queste tensioni. In Siria, infatti, è presente una forte comunità curda.

D. – Chi ha interesse a destabilizzare la Turchia?

R. – L’Is ha, secondo me, qualche interesse a far sì che questa frizione tra curdi e turchi permanga. Ricordiamo, inoltre, che c’è un elemento nazionalista-fondamentalista che si rifà in qualche modo alla teoria panturanica e panturanista, che rigetta completamente il riconoscimento del Kurdistan. Che poi la società civile turca cerchi di esprimersi in qualche modo, come in occasione di una manifestazione così importante come quella che drammaticamente si è conclusa oggi, è un segnale positivo. Questo significa che una parte della società turca è favorevole non soltanto a una pacificazione con il Kurdistan e a un riconoscimento del popolo curdo, ma anche a una nuova politica non nazionalisticamente esacerbata.

D. – Con quale spirito il Paese si prepara ad affrontare la campagna elettorale?

R. – Sicuramente, non vorrei essere un cittadino turco: nel senso che il Paese è fortemente scosso. C'è da dire che la Turchia è un grande Paese con due anime: l’anima metropolitana, delle città, che è più propensa in qualche modo ad avanzare ipotesi di pacificazione e di cambio di rotta, mentre quello che è il grande ventre della Turchia, l’entroterra, l’altopiano anatolico, in questo periodo è fortemente influenzato dalle politiche estremiste islamiche. Non a caso, in questi ultimi sette-otto anni, lo stesso governo turco ha dovuto allontanarsi dalle vecchie posizioni laiche atatürkiste.

D. – Come valutare l’arresto del direttore del quotidiano “Zaman”, da sempre critico nei confronti del presidente Erdogan?

R. – L’arresto di un giornalista o di chi esprime opinioni riguardo a un determinato argomento è sintomo di illiberalità: su questo mi sembra che non ci sia nulla da aggiungere.

D. – Che tipo di conseguenze potranno esserci adesso, rispetto a quello che sta succedendo in Siria?

R. – Potrebbero essere in qualche modo vanificate le conseguenze negative, il contraccolpo negativo, da una presa di coscienza maggiore da parte del governo turco. Noi non sappiamo chi siano stati i mandanti: per il momento non si sa chi sia stato a effettuare l’attentato ma non credo nella casualità. Cioè, è una situazione che segnerà in qualche modo il cammino da qui alle prossime elezioni in Turchia e sicuramente susciterà dei contraccolpi anche in Siria, in seno alla comunità curda.

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Parroco di Gaza: si teme guerra, clima è carico di tensione

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Si riaccende la tensione in Medio Oriente, stamani a Gerusalemme due israeliani sono stati accoltellati nel rione ortodosso della città. L’assalitore, un giovane palestinese, è stato poi ucciso dalla polizia. Ieri altri sette palestinesi avevano perso la vita negli scontri con le forze dell'ordine a Hebron e a Gaza. Proprio presso la frontiera, secondo l’esercito israeliano, si erano verificati violenti assalti con mille manifestanti penetrati nelle zone cuscinetto sotto l’occhio vigile di Hamas. Il leader del movimento integralista Ismail Haniyeh ha invocato una nuova Intifada. Intanto, a inasprire il clima anche il lancio di un razzo dalla Striscia di Gaza, caduto in territorio aperto, nel sud di Israele, che non ha provocato né danni né vittime. Benedetta Capelli ha raccolto la testimonianza di don Mario Da Silva, parroco della Sacra Famiglia di Gaza: 

R. – Quello che vediamo oggi è come l’inizio di una tensione: infatti tutte le attività della parrocchia e delle nostre scuole sono sospese. Poi sono andato alla frontiera per vedere un po’ com’era la situazione... Il clima era molto teso, la gente è tutta fuori per le strade e vive in un clima carico di tensione. È come l’inizio di una tensione molto grande.

D. – Come mai, secondo lei, proprio in questo particolare momento si è riaccesa la tensione?

R. – Quello che stiamo vivendo qui è un riflesso di quello che succede a Gerusalemme e nella West Bank. È frutto dell’ingiustizia, della violenza: come sappiamo la violenza genera solo violenza!

D. – C’è un appello che lei vuole fare anche per spegnere un po’ questi toni, questa tensione?

R. – Il primo appello che facciamo è al cielo, perché questa tensione può essere fermata solo da Dio. Dalle autorità, infatti, non vediamo nessuno sforzo e nessun tentativo di mettere fine a tutto questo, anzi! Si vede che cercano proprio di accendere queste tensioni…

D. – Come mai, secondo lei, gli appelli del leader di Hamas, ad esempio, trovano così tanto consenso e quindi seguito tra la popolazione?

R. – La situazione qui è molto difficile e complessa. Il popolo è molto scontento per le ingiustizie che vede…

D. – Quali sono le maggiori ingiustizie che si verificano?

R. – Le dico quello che ho visto questa mattina: sono andato ancora una volta a visitare le parti distrutte dalla guerra e ho visitato delle famiglie che vivono nella miseria. Prima avevano una, due case, e ora invece non ne hanno nessuna. Ho visto una famiglia che prima aveva una casa grande e che ora si ritrova ad abitare in una sola stanza, che prima era il luogo dove si parcheggiava la macchina. In un letto dormono il padre, la madre e sei bambini. Questo poi genera un sentimento di odio e di vendetta molto grandi…

D. – Come si può lavorare per spegnere questo desiderio di vendetta? Come state lavorando voi della parrocchia?

R. – Quello che cerchiamo di fare noi è visitare queste famiglie e aiutarle con quello che possiamo. Come ha detto don Orione: “Solo la carità salverà il mondo!”. Allora, solo la carità salverà questo popolo da tutte le sofferenze che vive.

D. – Ma secondo lei, c’è un margine, anche politico, per far rientrare la situazione? Oppure, di fronte alle immagini di devastazione che ci ha raccontato, c’è un sentimento anche di abbattimento?

R. – Certamente c’è e anzi forse quello è il lavoro principale – sempre dopo quello di Dio – ma il lavoro politico è quello più importante: l’aiuto sociale a questa gente. Ma quello non è il nostro lavoro, anzi. Noi non possiamo neanche parlare di politica qui, perché noi non siamo qui per essere da una o dall’altra parte: noi siamo qui per aiutare questo popolo che soffre. Ed è quello il nostro scopo. I cristiani qui già parlano non solo di una Intifada, ma forse anche di una guerra per reprimere tutto questo. Allora facciamo solo preghiere: che possiamo restare nel pensiero di tutto il mondo, perché, se si dimenticano di Gaza, non possiamo sopravvivere!

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Mons. Antoniazzi: Nobel alla Tunisia, un premio al dialogo

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Quando avversari politici dichiarati riescono a discutere per il bene del loro popolo, invece che dirimere le divergenze con le armi, è la dimostrazione che il dialogo, nella sua forma più alta, non è mai un utopia. È ciò che il Nobel per la pace assegnato ieri al Quartetto tunisino ha voluto premiare: ne è convinto l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi, testimone diretto di come la “Rivoluzione dei Gelsomini” abbia proposto la Tunisia come modello imitabile di transizione democratica ai Paesi del Nord Africa, ma anche a quelli di altre zone di conflitto. Al microfono di Alessandro De Carolis, il presule racconta la sua reazione alla notizia dell’assegnazione del Nobel: 

R. – Quando l’ho saputo, ho dato un grido di gioia per il fatto che ho vissuto gran parte di questo passaggio con la nuova Costituzione e ho potuto constatare il gran lavoro che è stato compiuto da tutto il popolo tunisino e anche da questo Quartetto, soprattutto, per il fatto che non erano della stessa mentalità, dello stesso partito politico. Basti pensare, ad esempio, alla differenza che c’era tra Ennahda e Nidaa Tounes: Nidaa Tounes ha fatto tutta la sua politica contro Ennahda, che è un partito religioso, ed eravamo quasi arrivati alla guerra civile, tutti avevamo paura… Anche quando ci sono state le elezioni, molti stranieri che erano qua sono scappati perché, ci siamo detti, “succederà qua quello che è successo in Libia…”. Invece, la meraviglia è stata quando si sono seduti insieme per rifare la Costituzione e questo passaggio che ha portato poi alle elezioni, al governo di intesa nazionale e alla nuova Costituzione: ha dimostrato al mondo intero che, dopo tutto, anche se non si è della stessa opinione, magari nemici giurati, quando si tratta di realizzare qualcosa di positivo, la pace o i diritti dell’uomo per il proprio popolo, si può ragionare e si può lavorare insieme anche se non si è d’accordo. E veramente, su questo punto la Tunisia ha dato un esempio, credo, anche a certi Paesi del mondo che sono più sviluppati, più progrediti e che non sono riusciti a fare quello che ha fatto la Tunisia.

D. – Quindi, potremmo definire il Nobel della Pace di ieri anche una sorta di “Nobel al dialogo”?

R. – Certamente. Qui è stato presentato come il “Nobel del Quartetto per il dialogo nazionale”. E il popolo – dopo che anche con le votazioni ha dimostrato di essere all’altezza di questo Quartetto che ha lavorato, andando al voto senza il minimo spargimento di sangue – ha accettato il dialogo che oggi stiamo vivendo. E poi, la cosa molto interessante: dopo tutti gli attentati, anche e soprattutto quello della spiaggia di Sousse, noi come Chiesa siamo invitati parecchie volte a dare l’opinione della Chiesa. E questo è quello che è nuovo, qui: nello stesso albergo di Sousse, dove è avvenuto l’attentato, io sono andato per due incontri – a livello quasi nazionale – per dire l’opinione della Chiesa sul perdono, sulla convivenza, cosa la Chiesa può apportare su questo punto. Siamo stati accolti e apprezzati per tutto quello che ho detto. Fino a qualche anno fa questo sarebbe stato impensabile. Anche questo è il frutto di questo dialogo che si è aperto anche verso le religioni e verso di noi.

D. – Come ha cambiato la cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini” il volto della Tunisia, da allora a oggi?

R. – Ha cambiato nel senso che c’è maggior rispetto per l’altro, si accetta di più la diversità. La nuova Costituzione, per esempio, accetta attualmente che ci sia libertà di coscienza, che è proibito trattare l’altro da miscredente, cosa che prima era normale. C’è stato tutto un cambiamento di mentalità e questo credo sia una delle più grandi riuscite di questa “Rivoluzione dei Gelsomini”.

D. – Anche dalla Libia, in questi giorni, in queste ore potremmo dire, stanno arrivando segnali di distensione dopo tanta violenza. Possiamo dire che l’esempio della Tunisia può innescare un effetto-domino per tutto il Nord Africa?

R. – Io lo spero bene, per il fatto che i libici che erano scappati dalla Libia durante la guerra, venivano qua, in Tunisia – sono venuti a migliaia, i libici: a un certo momento, la Tunisia ne era piena – ed era un’occasione per loro di entrare in contatto con un popolo che aveva superato le diversità e che era arrivato al dialogo, che non è quello delle armi, ma il dialogo positivo, costruttivo… Credo che questa esperienza abbia avuto un’influenza positiva. Naturalmente, adesso che la Tunisia ha avuto il Premio Nobel per la Pace, noi ci auguriamo che la libertà aumenti sempre di più e che si possa vivere in pace. Credo che questa sia una bella spinta per noi, qua in Tunisia.

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Bielorussia, presidenziali. Lukashenko verso la riconferma

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Vigilia elettorale per la Bielorussia, chiamata alle urne per le elezioni presidenziali. Candidato a un quinto mandato è l’attuale capo di Stato, Alexander Lukashenko, che nelle previsioni è il favorito sugli altri tre esponenti dell’opposizione. Sul voto, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto dell’area: 

R. – I margini per i candidati dell’opposizione sono veramente ridotti e risicati, nel vero senso del termine, perché l’ultima volta, nel 2010, nelle precedenti elezioni, c’erano dei candidati alternativi che furono sconfitti, forse anche con l’aiuto di brogli. E in ogni caso, mi pare che questi candidati alternativi fossero sei e quattro di loro siano poi finiti in prigione. Quindi, il mestiere del candidato alternativo a Lukashenko in Bielorussia è pieno di rischi e molto insidioso.

D. – Il Paese vive una condizione economica difficile, sull’orlo della recessione, vista anche la dipendenza da Mosca. L’inflazione è intorno al 20%. Ma c’è una ricetta che il presidente sta mettendo in atto per risollevare Minsk, dato che è al potere dal 1994?

R. – Il fatto che sia da così tanti anni al potere e il Paese sia in queste condizioni dimostra che evidentemente Lukashenko, se ha un ricetta, non è una ricetta estremamente funzionale. D’altra parte, se noi alziamo un pochino lo sguardo, questa è la condizione in cui finiscono col vivere tutti questi Paesi che, in più parti del mondo, hanno questi regimi autoritari vecchio stile e non sono particolarmente ricchi di risorse naturali. Riescono a prosperare solo le dittature o i regimi autoritari che hanno tanto petrolio, tante risorse naturali. Non è il caso della Bielorussia, che infatti si trascina in questa sorta di perenne stagnazione economica.

D. – Oltre a quelle economiche, quali sono le sfide che il Paese dovrà affrontare e, a livello sociale, com’è la situazione?

R. – E’ un Paese dove c’è un regime autoritario che tende evidentemente a spegnere anche la vivacità della vita politica e culturale e dove l’economia non è particolarmente florida. Certo è, come si diceva una volta per i Paesi del socialismo reale, un Paese dove tutti mangiano, dove c’è una povertà diffusa che diventa a sua volta un antidoto alla povertà estrema. Naturalmente, un livello minimo di standard economico viene mantenuto da questa interdipendenza, che poi è più dal lato della Bielorussia come dipendenza che dal lato della Russia, con il colosso russo. Io vorrei, però, citare un dato: una diminuzione della natalità e un invecchiamento della popolazione molto significativi che la dicono lunga, secondo me, sullo stato d’animo delle persone.

D. – A livello internazionale, Lukashenko si è posto come mediatore tra Ucraina e Russia. Questo effettivamente ha giovato alla sua immagine pubblica?

R. – Ma sì, ha giovato un pochino alla sua immagine pubblica, ma non viene preso tantissimo sul serio come mediatore. Anche perché, in effetti poi, la mediazione sull’Ucraina non viene perseguita da molti. Direi che più che essere preso sul serio, Lukashenko è stato sostanzialmente dimenticato. Non sono più gli anni di Bush in cui la Bielorussia veniva continuamente definita l’ultima dittatura d’Europa, in cui c’era anche una campagna anti-Lukashenko. Lukashenko è stato un po’ dimenticato nel suo angolo e considerato appunto una sorta di reliquia di un passato semi-sovietico, filo-sovietico, para-sovietico, che si può tranquillamente trascurare.

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Rwanda. Corte suprema: sì a terza candidatura di Kagame

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Paul Kagame può ricandidarsi in Rwanda: è stata la Corte suprema a stabilirlo, rigettando una richiesta del Partito democratico verde. Il partito di opposizione ha tentato di impedire la riforma costituzionale che consente al presidente Kagame di ricandidarsi per un terzo mandato alle elezioni presidenziali del 2017. Fausta Speranza ne ha parlato con Enrico Casale, direttore della rivista Africa dei Padri Bianchi: 

R. – Il partito di opposizione, il Partito democratico verde, che ha presentato ricorso alla Corte suprema, era, ed è, l’unico partito che si è opposto alla modifica costituzionale che permette al presidente Paul Kagame di ricandidarsi. E quindi c’era già tutta la classe politica che, di fatto, se non ha sostenuto, comunque non si è opposta a questa modifica e alla sua ricandidatura. Di conseguenza, la Corte suprema non ha fatto altro che prendere atto di questa tendenza e ha rigettato il ricorso di questo piccolo partito.

D. – Al di là dei partiti, che cosa dire della sensibilità della popolazione?

R. – Ci sono state delle dimostrazioni a favore di Paul Kagame. Certamente, c’è un’opposizione da parte di alcuni strati della popolazione. Ma qui, più che le reazioni, c’è da temere l’accendersi di forti tensioni nel Paese: forti tensioni che si legano all’elemento etnico. Ricordiamoci che il Rwanda è il Paese in cui nel 1994 si è scatenata una forte guerra civile tra le due principali etnie – Hutu e Tutsi – che ha portato alla morte di 800 mila persone.

D. – Le difficoltà in un percorso democratico, dove l’avvicendamento tra leader sarebbe scontato e utile, non sono un problema solo del Rwanda. La stessa situazione la vive il Burundi e, con le dovute distinzioni, anche l’Uganda, il Burkina Faso, il Congo…

R. – Sì, il Burundi è il Paese "gemello" del Rwanda, soprattutto per quanto riguarda la composizione etnica. In Burundi, il presidente Pierre Nkurunziza, che a differenza di Paul Kagame è un Hutu, si è ricandidato per la terza volta ed è stato rieletto, nonostante le manifestazioni e un tentativo di golpe abbiano cercato di impedirlo. In altri Paesi, si rischia di ripercorrere la stessa strada: in Uganda, dove è già stata annunciata la volontà di ripresentarsi da parte di Yoweri Museveni, nella Repubblica Democratica del Congo, dove c’è un tentativo di ricandidarsi da parte di Joseph Kabila... E poi chiaramente c’è la crisi del Burkina Faso, nata tutta dal tentativo dell’ex presidente, che ha governato il Paese per 27 anni, di ricandidarsi. La sua ricandidatura è stata rigettata: manifestazioni di piazza hanno portato alla caduta di Blaise Campaoré e al processo di transizione, che ha conosciuto una battuta d’arresto a settembre con un tentativo di golpe, ma si è rincamminato verso nuove elezioni, che si terranno prossimamente.

D. – A livello di Unione Africana, c’è un dibattito su questo tema? Cioè sulla necessità che la democrazia sia anche avvicendamento?

R. – L’Unione Africana è composta dagli stessi presidenti che poi tentano di ricandidarsi… Di conseguenza, su questo tema non esiste un forte dibattito. A livello africano, c’è anche una tendenza da parte di queste classi politiche di coprire e giustificare questi presidenti chiaramente per interessi di potere. Ciò significa anche accaparramento delle risorse a danno della popolazione civile.

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Arabia Saudita: storia di un giovane sciita condannato a morte

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Si celebra oggi la Giornata internazionale contro la pena di morte: nel 2014 sono state registrate 3.576 esecuzioni capitali, 2.229 nei primi sei mesi del 2015. Cina, Iran, Arabia Saudita e Pakistan gli Stati col più alto numero di condanne a morte. Tra le tante è drammatica la storia di Ali Mohammed Baqir al-Nimr, attivista sciita di nazionalità saudita condannato a decapitazione e crocifissione poiché accusato di vari crimini. Il Tribunale speciale di Gedda - secondo Amnesty International - si sarebbe basato su una “confessione” estorta con la tortura e maltrattamenti, su cui si è rifiutato di indagare. Il servizio di Francesca Di Folco: 

Se fosse eseguita quella del giovane dissidente Ali al-Nimr sarebbe la 115.ma esecuzione sulle 130 condanne a morte ordinate nei primi otto mesi del 2015 in Arabia Saudita. Ali Mohammed al-Nimr, ora ventenne, è stato arrestato ad appena diciassette anni nel 2012, durante una manifestazione sciita a Qatif, nella provincia orientale saudita: è stato accusato di far parte di un'organizzazione terroristica, possesso armi, lancio di bottiglie molotov e di aver usato il suo cellulare per l'organizzazzione della protesta. Secondo i suoi familiari, il ragazzo paga per essere il nipote di un famoso imam sciita, a sua volta imprigionato e decapitato agli inizi della Primavera araba. Le accuse contro Ali al-Nimr, confermate in fase processuale, si basano sulla sua confessione che - denunciano molte Ong - fu estorta con torture e al ragazzo è stato negato un avvocato. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

“Ci sono reali possibilità, a patto che la mobilitazione di opinione pubblica mondiale continui e, soprattutto, che i governi, che hanno maggiore influenza sull’Arabia Saudita facciano presente la loro posizione a questa esecuzione e all’uso della pena di morte in quel Paese che è arbitrario e indiscriminato”.

Tra il 1985 e il 2013 in Arabia Saudita sono state uccise dopo una condanna a morte oltre 2000 persone. Tra l’agosto 2014 e il giugno 2015 ci sono state 175 decapitazioni. Numeri che non hanno impedito però alle Nazioni Unite di nominare l’ambasciatore saudita, Faisal bin Hassan Trad, a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu nel 2016. Ancora Riccardo Noury:

“Sì, è una nomina che è stata decisa ovviamente con una maggioranza di Paesi che non brillano per rispetto dei diritti umani. E anche se questa funzione deve essere svolta, come tutti gli incarichi individuali, a titolo personale, è difficile immaginare che possa essere espletata secondo criteri di trasparenza, imparzialità e dalla parte dei diritti umani. L’idea che un funzionario saudita sia a capo di coloro che devono nominare gli esperti sui diritti umani è come, in poche parole, se a capo dei vigili del fuoco fosse stato messo un piromane”.

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Giornata della salute mentale: garantire dignità ai malati

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Ricorre oggi la Giornata mondiale per la Salute mentale, con la quale l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ricorda l'importanza delle cure e dell'integrazione delle persone con disagi psichici. Tema di quest’anno è “Dignità nella salute mentale”. Nel mondo sono oltre 450 milioni le persone che soffrono di un qualche malessere psichico o neurologico, pari a quasi il 12% della popolazione, considerando anche patologie come i disturbi d’ansia o dell’umore. Il disagio mentale è dunque una realtà in crescita? Al microfono di Adriana Masotti, il parere di fra Marco Fabello, direttore del Centro per malattie psichiatriche San Giovanni di Dio di Brescia: 

R. – Il problema è in crescita – una crescita abbastanza rapida – soprattutto nella fascia di persone di giovane età, e poi, dall’altra parte, soprattutto per quanto riguarda la malattia dell’ Alzheimer. Queste due realtà messe insieme comportano, per il futuro dell’Italia perlomeno, che ci si debba impegnare seriamente nell’ambito della prevenzione, ma anche in quello dell’assistenza, della cura e della ricerca.

D. – A fronte dei dati che conosciamo – e ci riferiamo adesso all’Italia –  quanto è adeguata la risposta da parte dei servizi del Sistema sanitario e delle istituzioni?

R. – L’Italia, anche in questo caso, è a macchia di leopardo. Ci sono regioni che si prendono cura in modo – io credo sufficiente – dei malati con problematiche psichiatriche. Io vivo in Lombardia e so che qui c’è una presa di coscienza abbastanza forte su questo tema, anche se poi anche in Lombardia le famiglie possono lamentarsi di non essere sufficientemente supportate. Ma in altre regioni italiane siamo in una situazione molto più grave. Però, è chiaro che l’impegno che le regioni stanno mettendo per andare incontro a questi malati non è così forte come dovrebbe essere... Certamente, se ci si mettesse la buona volontà e l’impegno che si pone nella cura dei tumori o delle altre malattie più comuni, anche i malati psichici avrebbero una diversa attenzione: soprattutto le famiglie avrebbero minori paure e minori preoccupazioni. E questo è in linea con un altro discorso: quello della prevenzione appunto. Un tempo, la medicina scolastica aiutava a prendere immediatamente in mano le situazioni, adesso questo non c’è più. Fermo restando che, se l’insegnante e i genitori non avessero paura dello psicologo e dello psichiatra, forse si potrebbe fare ancora una buona prevenzione.

D. – Tema di questa edizione della Giornata mondiale della Salute mentale è “Dignità nella salute mentale”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità invita a superare l’emarginazione, la discriminazione, e a dare a tutti la possibilità di vivere con dignità. E anche questo è un problema: garantire la dignità…

R. – È un grandissimo problema, perché come tutto ciò che rappresenta una qualche diversità, è messo ai margini. E se dovessimo prendere come punto di riferimento il pensiero del Papa, diremmo che siamo in alcune “periferie”. Possiamo ben dire che ancora oggi le malattie mentali – il malato psichico – è un po’ la “periferia” della medicina. Questo perché? Perché intanto alle case farmaceutiche non interessa molto produrre farmaci migliori di quelli che già abbiamo, perché non rendono abbastanza. E, in secondo luogo, perché non c’è presa di coscienza: c’è molta distanza… La malattia mentale fa paura e se fa paura deve stare lontana. Se considerassimo che i malati di mente sono persone come tutte le altre – con i loro limiti certo ma è così – avremmo più rispetto, più attenzione e forse più accoglienza. Quello che manca è proprio l’accoglienza di queste persone.

D. – A proposito del manicomio, il vecchio ospedale psichiatrico, è definitivamente superato in Italia e in maniera positiva, cioè con delle alternative?

R. – Dove vivo io, certamente sì, quindi in buona parte del Nord, certo, anche se non si raggiunge mai la soddisfazione completa. Il manicomio però, che una volta era formato da centinaia di persone, può riproporsi anche nelle piccole realtà se i comportamenti e gli atteggiamenti degli operatori non sono adeguati. Per cui, una comunità di venti malati potrebbe a sua volta diventare un manicomio se le pratiche non cambiano. La formazione del personale e la capacità degli operatori, le motivazioni che devono spingere questi ultimi: sono queste cose che fanno la differenza tra il manicomio di allora e le realtà psichiatriche di oggi.

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In scena "Il Vangelo secondo lo sport", originale lettura di Luca

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Spiegare lo sport attraverso il Vangelo di Luca: è questa l’idea da cui parte lo spettacolo di beneficenza “Il Vangelo secondo lo sport”, che andrà in scena sabato 10 ottobre alle 21 presso l’associazione “Planetarietà” di Monteverde, in via Paolo Falconieri 84. Corinna Spirito ne ha parlato con Andrea Barbetti, autore e regista dello spetaccolo, nonché scrittore della raccolta di racconti “Appesi a un filo. Quando lo sport dialoga con la fede” da cui lo spettacolo è tratto: 

R. – Io ho pensato che, forse, dare una lettura del Vangelo in chiave sportiva potesse essere educativa, formativa, anche se un po’, probabilmente, fin troppo rivoluzionaria. Chiedendo però la consulenza a teologi e persone molto esperte del testo evangelico, mi sono confermato che la scelta fosse non così "osé", anzi abbastanza pertinente all’idea di educare attraverso lo sport.

D. – Da dove vengono questi racconti su cui si basa il libro “Appesi a un filo” e poi anche lo spettacolo “Il Vangelo secondo lo sport”?

R. – I racconti nascono anzitutto dal consiglio che mi ha dato mons. Albertini, di partire cioè dalla lettura del Vangelo di Luca che – a suo dire – era più pertinente per trovare una ispirazione giusta. Io l'ho letto in greco, sfruttando le mie conoscenze filologiche, e ho selezionato una serie di passi del Vangelo che potessero essere utili. Faccio un esempio per tutti: la tentazione vissuta da Gesù nel deserto, diventa la tentazione che il diavolo “dottor doping” ha nei confronti degli atleti che si sottopongono a tutto semplicemente per arrivare prima per soldi e carriera. La ho interpretata in questo modo… Un altro esempio è la discussione che vi è sulla legge – ce ne sono tante all’interno del Vangelo: aiutare o non aiutare un atleta in difficoltà? Il giudice come si deve comportare? Per esempio quando i Discepoli mangiano il giorno di sabato, Gesù interviene di fronte al dottore della legge in maniera molto netta. Conta più l’uomo alla fine, molto spesso, rispetto alla Legge. Questi sono alcuni elementi… Ho inserito l’esempio di Dorando Petri delle Olimpiadi del 1912. Fu aiutato dai giudici a tagliare il traguardo: venne squalificato, ma ancora oggi è un grande esempio di solidarietà sportiva. La legge va applicata, ma la tutela dell’uomo e il rispetto dell’uomo valgono ancora di più.

D. – Lo sport, dunque, torna a essere una metafora di tanti messaggi positivi…

R. – Sì. Mi sono trovato sempre d’accordo sull’idea di coniugare l’attività sportiva agonista e quindi anche il concetto di vittoria con l’attività formativa, educativa e culturale nell’ottica dei valori cristiani. Lo sport, in questo senso, può aiutare ogni individuo a crescere, a migliorarsi e soprattutto – a mio avviso – ad avere un punto fondamentale: la conoscenza e la scoperta del proprio limite. Credo che quando un uomo comprende il proprio limite, abbia già fatto un bel passo in avanti per – con estrema umiltà – mettersi a disposizione degli altri ogni giorno. Quindi, lo sport in questo senso, e soprattutto per i bambini e i ragazzi, è molto utile. Il problema è trovare allenatori e dirigenti giusti, ma anche famiglie e genitori che riescano a comprendere fino in fondo la valenza formativa di uno sport. Poi, nello sport si socializza e questo credo sia un elemento importante.

D. – Torniamo a parlare dello spettacolo: il ricavato dell’evento sarà interamente devoluto in beneficenza…

R. – Sì, per scelta. Credo sia importante mettere a disposizione la propria attività culturale per gli altri. L’Associazione “Arcoiris” è una onlus che si occupa in particolar modo di sostenere i bambini e i minori affetti da malattie rare e anche di sostenere le loro famiglie. L’intero ricavato sarà rivolto a loro, in particolar modo ai bambini attualmente ricoverati in un reparto particolare del Bambino Gesù. Ritenevamo che fosse opportuno proporre questo recital del “Vangelo secondo lo sport” per unire ai temi concreti e importanti del Vangelo e dello sport anche un elemento di solidarietà che è – a mio avviso – assolutamente pertinente allo spettacolo che mettiamo in scena e alla finalità dell’Associazione. Mi piace ribadire che tutto l’incasso verrà devoluto – interamente – in beneficenza e che i lettori, musicisti, chi proietterà le immagini e tutti coloro i quali faranno parte dell’organizzazione, daranno il loro tempo e la loro disponibilità per un atto di dolcezza umana nei confronti del prossimo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 28.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui un tale chiede a Gesù cosa debba fare per avere in eredità la vita eterna. Lui già rispetta i comandamenti. Gesù gli dice:

«Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

“Maestro buono, cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” E’ la domanda di un tale – che possiamo essere io e te – onesto, anche religioso: compie la legge, i comandamenti…, e “possiede molti beni”, ma è insoddisfatto; tutto ciò che ha e fa non lo riempie, c’è una dimensione spirituale, c’è un’anima dentro che non si accontenta di cose, di leggi, attende una pienezza diversa: la vita eterna. Gesù che lo ama, come ama te, me, ed ogni uomo, sa che l’unica via per avere la vita eterna, la felicità che non finisce mai, è amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze; e sa che non è possibile amare Dio e il denaro. Gesù deve trarlo fuori dal suo inganno perché entri nella verità di se stesso e lì si incontri con l’amore di Dio che salva, che placa l’inquietudine del cuore. Gesù gli dice: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma l’attaccamento ai beni, alle sue sicurezze, impedisce a quest’uomo di uscire incontro a Cristo; e si allontana “scuro in volto e… rattristato”. A questa tristezza, il Vangelo di oggi contrappone la ricompensa per chi ha lasciato tutto e ha seguito Cristo: “Già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.” Tutto questo è per me, per te, oggi. Pochi o molti beni che possiamo avere ci impediscono di uscire incontro al Signore. Che l’Eucaristia ci strappi dalle nostre doppiezze e ci lanci oggi verso l’incontro con il Signore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Gallagher: "Le tre sfide per costruire vie di pace”

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“Il rispetto delle regole già esistenti, l’impegno nel dialogo e nel negoziato; la tutela dei diritti umani”: sono queste le tre sfide che si presentano all’umanità “per costruire una efficace e credibile via per la pace”. Così mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, intervenuto al convegno “I nuovi volti della guerra - Quali sfide per il diritto internazionale della pace?”, svoltosi a Roma per iniziativa dell’Istituto di Diritto internazionale della pace “G. Toniolo” e della Presidenza nazionale dell’Azione cattolica italiana. 

“Senza regole non c‘è pace possibile e duratura” 
Mons. Gallagher ha osservato che è necessario “interrogarsi sulla adeguatezza del diritto internazionale oggi per prevenire la guerra, fermare gli aggressori, proteggere le popolazioni… valorizzando gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e rafforzando i meccanismi e le possibilità del dialogo tra le parti contendenti, per evitare il più possibile soluzioni unilaterali”. 

L’impegno nel dialogo e nel negoziato
Un approfondimento importante, ha detto il Segretario per i rapporto con gli Stati, dovrebbe riguardare la cosiddetta “responsabilità di proteggere” che ha come proprio presupposto “l‘unione di fondo di tutti gli uomini tra loro e quindi delle Nazioni cui essi appartengono” e può prestarsi “ad essere declinato al fine di garantire il diritto dei profughi, costretti ad un allontanamento forzoso o comunque obbligato dalla propria terra, a farvi ritorno, a rientrare in possesso dei beni, che hanno dovuto abbandonare, ma soprattutto al fine di garantire loro il diritto di poter continuare a vivere in dignità e sicurezza nel proprio Paese e nel proprio ambiente”. La seconda sfida che attende la comunità internazionale riguarda l’impegno nel dialogo e nel negoziato, “un ambito - ha sottolineato mons. Gallagher - non ancora adeguatamente valorizzato”.

Il tema dei diritti umani e la libertà religiosa
La terza e ultima sfida concerne la tutela dei diritti umani, le cui problematiche sono, a detta del presule, “condizionate dalla concezione dell’uomo e dalle visioni antropologiche che i diversi ordinamenti accolgono o rifiutano”. Il tema dei diritti umani, ha ribadito mons. Gallagher, “non può prescindere dalla tutela della libertà religiosa che costituisce una risorsa feconda per uno sviluppo equilibrato della comunità nel suo insieme” come testimonia “tutta la ricchezza che la tradizione religiosa cattolica e le altre tradizioni cristiane, come pure di altre fedi, hanno apportato alla storia mondiale ed il modo in cui abbiano operato come fattore di reale progresso scientifico e sociale. Il recupero di una visione antropologica solida ed in grado di sostenere l‘umanità dinanzi alle sfide del terzo millennio non può prescindere dal recupero di un dialogo fecondo tra fede e ragione”. 

Il rischio dell'Europa è di divenire "un corpo senza anima"
​“Purtroppo - ha riconosciuto mons. Gallagher - l‘Europa ha interrotto questo dialogo tra fede e ragione, in parte anche bruscamente, nel corso degli ultimi due secoli, sino a commettere il grave e recente errore di disconoscere le proprie radici ebraico-cristiane”. Il rischio per il Vecchio Continente, è “divenire un corpo, magari anche apparentemente ben organizzato e molto funzionale, ma senza anima; il che è in profondo contrasto con la reale identità dell’Europa, invece ricca di storia, di tradizione e di umanità”. (R.P.)

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Chiesa brasiliana: appello per bambini abbandonati e scomparsi

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“Salvare l’infanzia abbandonata e indagare sull’inquietante fenomeno degli adolescenti scomparsi”: è l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale del Brasile che ha ufficialmente aperto la Campagna “Andiamo a salvare i nostri figli!”, mobilitando tutte le istituzioni cattoliche e segnalando una questione che scuote le coscienze. Come riferisce l'agenzia Fides, la Campagna è stata resa nota nel giorno stesso in cui la stampa internazionale ha pubblicato il durissimo atto di accusa delle Nazioni Unite verso le autorità brasiliane affermando che “la polizia starebbe uccidendo bambini e adolescenti per ripulire le metropoli”, soprattutto Rio de Janeiro, in vista dei Giochi del 2016.

371 casi di sparizioni di bambini e adolescenti tra i 4 ed i 15 anni
La Chiesa ha sposato l’iniziativa del Consiglio Federale di Medicina (Cfm) che, insieme ad altre istituzioni che lavorano a favore dell'infanzia, ha come obiettivo contribuire a chiarire i casi di bambini scomparsi. Secondo il registro nazionale dei bambini e adolescenti scomparsi – si legge nella nota inviata a Fides dalla Conferenza episcopale del Brasile – attualmente ci sono 371 casi di sparizioni di bambini e adolescenti tra i 4 ed i 15 anni, 204 ragazzi e 167 ragazze. E solo quattro persone sono state ritrovate.

250 000 i casi di bambini scomparsi in Brasile
Secondo i dati del Cfm, sono più di 250 000 i casi di bambini scomparsi in Brasile, non denunciati. Una delle cause è il traffico di esseri umani, flagello che conta più di 20 milioni di vittime in tutto il mondo. Secondo uno studio della Cfm in Brasile la ragione principale per la scomparsa dei ragazzi è la violenza, sia a causa dei maltrattamenti familiari che nelle strade dei quartieri. La Campagna promuove diverse attività e l'uso dei social media per informare, prevenire e segnalare i casi. (C.E.)

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Iraq: i cristiani di Erbil protestano contro la corruzione

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Centinaia di cristiani iracheni, abitanti di Ankawa, sobborgo di Erbil, hanno partecipato ieri pomeriggio a una manifestazione pacifica per protestare contro i fenomeni di corruzione e di degrado che stanno rendendo ancora più difficile la vita quotidiana in quell'area della capitale del Kurdistan iracheno, dove sono concentrate le locali comunità cristiane. Il corteo di protesta è partito dall'area antistante alla chiesa di san Giuseppe, e ha attraversato le vie del sobborgo per incontrare alla fine dell'itinerario un rappresentante del governatore di Erbil, al quale è stata consegnata una lista con le richieste concrete rivolte alle locali autorità amministrative, per una sollecita soluzione delle emergenze che tengono la popolazione di Ankawa in stato di crescente sofferenza.

Ad Ankawa locali notturni, discoteche e luoghi di prostituzione
A provocare la protesta dei cristiani di Ankawa è anche la crescita esponenziale di locali notturni e discoteche registrata nel sobborgo. In quei locali e in quelle discoteche si vendono bevande alcoliche, e gli avventori - provenienti in gran parte da altri quartieri - poi scorrazzano per le strade dando vita a episodi di ubriachezza molesta. Col tempo, sono cresciuti nell'area anche luoghi in cui si pratica la prostituzione. “A affollare questi locali malfamati” riferiscono alla Fides fonti locali “sono soprattutto curdi musulmani provenienti da altre zone di Erbil. Nei loro quartieri non si vende alcol, non ci sono locali notturni, così stanno trasformando Ankawa nella loro 'Las Vegas'...”.

Denunciati funzionari corrotti, nel passato complici di malversazioni e abusi contro i cristiani
La manifestazione, organizzata anche su iniziativa delle formazioni politiche in cui militano i cristiani e da organizzazioni della locale società civile, ha chiamato in causa anche i funzionari corrotti che nel recente passato si sono fatti complici di malversazioni e abusi a danno dei cristiani, e ha espresso anche la protesta di agricoltori e proprietari che si sono visti espropriare le proprie terre dalla pubblica amministrazione, senza ricevere i dovuti risarcimenti.

Ankawa non ha bisogno di bar e discoteche, ma di case ed ospedali
​Nel pro-memoria consegnato al rappresentante del governatore di Erbil, gli organizzatori della manifestazione chiedono alle autorità cittadine anche di chiudere i locali malfamati aperti nei pressi delle chiese e nelle aree residenziali, di incentivare l'edilizia pubblica a favore delle giovani famiglie della zona, e di assumere giovani delle comunità locali nei corpi di polizia. “Non abbiamo bisogno di bar e discoteche, abbiamo bisogno di ospedali” recitava uno striscione esposto durante la manifestazione, che compare nelle foto e nei filmati dell'evento pubblicati sul sito ankawa.com. (G.V.)

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Egitto: chiesa dedicata a martiri copti decapitati da Is in Libia

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In Egitto è in atto un lento ma evidente cambiamento nella cultura e anche nell’atteggiamento delle autorità, che si può scorgere da alcuni, significativi elementi e che ha iniziato a prendere piede fra la popolazione: da un primo, timido tentativo di esegesi del Corano e dei testi islamici, al divieto per le donne insegnanti di indossare il burqa in classe, alla lotta al fondamentalismo e ai sermoni estremisti nelle moschee.  È quanto afferma all'agenzia AsiaNews padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica in Egitto, che plaude alla decisione del Presidente Abdel Fattah al Sisi di concedere il nulla osta alla costruzione di una chiesa dedicata ai martiri copti decapitati dal sedicente Stato islamico in Libia. La nuova chiesa sorgerà a Samalut, nel governatorato di Al Minya (terra di origine dei cristiani copti uccisi) a sud della capitale Il Cairo, e sarà chiamata “Chiesa dei martiri della Libia”. Il costo per la costruzione dell’edificio di culto si aggira intorno ai dieci milioni di lire egiziane.

Segno di un nuovo atteggiamento nei rapporti fra Chiesa e Stato
Il Presidente ha compiuto un gesto positivo, che testimonia un mutamento di atteggiamento nella storia delle relazioni fra Chiesa e Stato, in particolare riguardo alla costruzione di nuovi edifici di culto. Finora, ha spiegato padre Greiche, la procedura era estremamente complessa, erano necessarie molte successive autorizzazioni e approvazioni e la recente decisione dimostra come il Governo abbia anche voluto mandare un messaggio forte contro la discriminazione.

Presidente al Sisi ha chiesto ai cristiani un maggiore impegno in politica
L’Egitto si avvicina alle elezioni politiche in programma fra fine ottobre e novembre e sta studiando una riforma della Costituzione. Nelle aspettative, dovrebbe restituire maggiore presenza e visibilità ai cristiani nella società e nella politica nazionale. Quel che risulta fondamentale, nel frattempo, è che, come è naturale, occorre del tempo perché si possa arrivare a una trasformazione profonda della mentalità, tuttavia è un dato di fatto, osserva il portavoce della Chiesa cattolica locale, che «i musulmani ci accettino molto più che in passato”. Lo stesso Presidente al Sisi ha chiesto ai cristiani un maggiore impegno in politica, li ha esortati ad andare a votare e a candidarsi per garantire una presenza in Parlamento. Oggi, aggiunge il sacerdote, «non vi è più una violenza organizzata dallo Stato anche se si verificano momenti di tensione a sfondo confessionale”.

Maggiore determinazione nel limitare il fondamentalismo
​Padre Greiche, inoltre, cita alcuni elementi a conferma di un cambiamento del clima nel Paese, come la maggiore determinazione nel limitare il fondamentalismo, il settarismo, e l’estremismo nelle moschee. Il sacerdote parla di una “maggiore laicità che però non rinnega l’elemento religioso”. Si cerca di andare incontro ai giovani, «senza presentare Dio come qualcuno di cui si deve avere paura. Ed è evidente il tentativo «di avviare una esegesi del Corano e dei testi religiosi, anche se si tratta di un processo appena iniziato». (L.Z.)

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Guinea Conakry: elezioni presidenziali in un clima di tensione

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Sono 6 milioni i guineani chiamati alle urne domani, per eleggere il nuovo Presidente. L’ultima fase della campagna elettorale è stata segnata da incidenti, anche gravi, con morti e feriti. Gli ultimi scontri si sono avuti l’8 ottobre nella capitale, Conakry, con la morte di 2 persone. I candidati in lizza sono 8. I principali sfidanti sono il Presidente uscente Alpha Condé e l’ex Primo Ministro Cellou Dalein Diallo, che aveva già sfidato Condé alle presidenziali del 2010.

Il sospetto di imbrogli elettorali
​Sono soprattutto i sostenitori dei due candidati principali ad essersi scontrati nei giorni scorsi a Conarky e in altre zone del Paese. La tensione degli ultimi giorni è legata al rifiuto delle autorità alla richiesta di Diallo di posticipare il voto, per permettere agli esperti elettorali internazionali di controllare le liste elettorali, che si sospetta siano irregolari. Secondo l’opposizione infatti sarebbero state riscontrate diverse irregolarità, in particolare, l’iscrizione nelle liste di minori. I sospetti dell’opposizione sono accresciuti dall’impostazione data dal Presidente uscente alla sua campagna elettorale, il cui slogan è “un colpo da ko” per vincere subito al primo turno. Una vittoria del genere, secondo l’opposizione, è possibile solo con il ricorso a brogli.

La Chiesa mette in guardia da "istinti etnocentrici"
Mons. Vincent Coulibaly, arcivescovo di Conakry, in un messaggio sulle elezioni, aveva denunciato gli “istinti etnocentrici” risvegliati dalla campagna elettorale ed aveva invitato tutti a far sì che le elezioni siano pacifiche e che tutti accettino i risultati usciti dalle urne. (L.M.)

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Si è spento ad Udine il biblista mons. Rinaldo Fabris

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Lutto nella Chiesa udinese per la morte di mons. Rinaldo Fabris, spirato ieri nel Seminario interdiocesano di Castellerio, dopo una lunga malattia. Insigne biblista di rilievo internazionale, mons. Fabris aveva ricoperto, dal 2002 al 2010, il ruolo di presidente dell'Associazione biblica italiana. Nato a Pavia di Udine il 1º dicembre 1936, mons. Rinaldo Fabris, è stato ordinato sacerdote a Udine nel 1960, anno in cui ha conseguito la licenza in Teologia alla Pontificia Università Lateranense. Ha proseguìto gli studi al Pontificio Istituto biblico, conseguendo, nel 1963, la licenza in Sacra scrittura e il dottorato in Teologia. Dal 1963 al 1964 ha frequentato lo Studium Biblicum di Gerusalemme e nel 1973 ha conseguito anche il dottorato in Sacra Scrittura sempre al Pontificio Istituto biblico.

Per 10 anni ha diretto la Rivista Biblica Italiana
Nel 1965 venne nominato direttore spirituale del Seminario di Udine, per poi iniziare nel 1967, ad insegnare Sacra Scrittura allo Studio teologico interdiocesano, del quale è diventato preside nel 1968. Dal 1981 è stato direttore della Scuola cattolica di cultura e, dal 1984, ha guidato anche la Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il dialogo. Dal 1995 al 2005 ha diretto la Rivista Biblica Italiana. L’11 novembre del 1988 è stato nominato Prelato d’onore di Sua Santità.

Autore di commentari biblici, studi monografici di esegesi, di teologia e di spiritualità biblica
Solo lo scorso 26 settembre era stata presentata a Milano la nuova collana delle Edizioni Paoline, da lui co-diretta, dal titolo «I libri biblici», nella quale era stata pubblicata l’edizione ampliata ed aggiornata del suo «1-2 Tessalonicesi». Tra le sue ultime pubblicazioni, hanno riscosso particolare successo «Gesù il Nazareno» (Cittadella Editrice, 2011) e «Corpo, anima e spirito nella Bibbia. Dalla creazione alla risurrezione» (Cittadella, 2014).

I funerali ad Udine lunedì prossimo
I funerali di mons. Fabris sono stati fissati per lunedì prossimo 12 ottobre, alle ore 15 in cattedrale a Udine, e saranno presieduti dall'arcivescovo, mons. Andrea Bruno Mazzocato. (A.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 283

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.