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Sommario del 12/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



P. Lombardi: al Sinodo, grande attenzione per famiglie in difficoltà

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La Relazione finale del Sinodo sulla famiglia ci sarà, ma spetta al Papa ogni decisione in merito: lo ha precisato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, durante il consueto briefing con i giornalisti. Riguardo poi alla lettera indirizzata da alcuni cardinali al Pontefice, il portavoce vaticano ha ribadito che si tratta di un documento riservato ed ha invitato la stampa a verificare la veridicità delle notizie. Il servizio di Isabella Piro

Apre il briefing con due precisazioni, padre Lombardi. La prima riguarda la “Relatio finalis” del Sinodo sulla quale, negli ultimi giorni, si è registrata una certa confusione in merito alla sua stesura e pubblicazione. Per questo, padre Federico Lombardi spiega:

“La Relatio ci sarà, non è scomparsa da nessuna parte. Però, quello che noi oggi non sappiamo con precisione è che cosa decide di farne il Papa, cioè se sabato sera ci dice – come l’anno scorso – 'pubblicatela subito'. Oppure, dice ai Padri sinodali: 'Grazie, me la prendo, me la tengo e farò una mia Esortazione apostolica'. Oppure: 'Me la prendo, ci riflettiamo e poi la pubblichiamo tra qualche giorno'”.

Lettera dei cardinali al Papa è documento riservato
Quindi, il direttore della Sala Stampa vaticana fa riferimento alla pubblicazione, da parte di alcune fonti, di una lettera firmata da alcuni cardinali partecipanti al Sinodo ed indirizzata al Pontefice. E sottolinea:

“Trattandosi di una lettera che non era pubblica, quindi di un documento riservato, io su questo non ho nulla da dire, né da commentare. Quello che posso commentare è che le 13 persone che vengono in seguito indicate come firmatari, bisogna verificare se è vero o no, perché due di essi – il cardinale Vingt-Trois ed il card. Scola – già direttamente interpellati, hanno detto: ‘Io non ho mai firmato nulla di simile’. Quindi, fate attenzione a non credere subito e troppo facilmente alle cose che vengono pubblicate. Dovete verificarle”.

La Chiesa è vicina ai divorziati risposati
Riguardo allo svolgimento dei lavori in Aula, nella giornata di sabato sono stati pronunciati 43 interventi, dedicati alla terza parte dell’Instrumentum laboris, ovvero la missione della famiglia oggi. Si è parlato, spiega padre Lombardi, anche della questione dell’accesso al Sacramento dell’Eucaristia per i divorziati risposati:

“Alcuni interventi, pochi ma precisi, erano su una posizione negativa; però bisogna ricordare che questo era sempre nel contesto di un’attenzione della Chiesa per tutte le persone che si trovano in situazioni difficili e che bisogna trovare anche i modi di fare sentire loro l’integrazione nella vita della Chiesa e la vicinanza della Chiesa”.

Preparazione al matrimonio e processi di nullità tra i temi esaminati
Molto approfondito anche il tema della preparazione al matrimonio, paragonato, in alcuni casi, al noviziato, ed in cui andrebbero incluse anche le famiglie ed i movimenti ecclesiali. Qualche accenno è stato fatto poi alla riforma del processo per il riconoscimento della nullità matrimoniale, per il quale è stato suggerito, in pochi casi, un tempo di verifica della sua attuazione.

Clima costruttivo e sensibile tra i Padri Sinodali
Altri temi trattati: pastorale giovanile, inculturazione, violenze domestiche, matrimoni interreligiosi, soprattutto nei Paesi a maggioranza islamica. Particolare la sottolineatura relativa al fatto che oggi “non funziona più” la differenziazione tra peccato e peccatore, perché ad esempio, per la sessualità si parla di “dimensione integrale” nella persona umana. La qualità degli interventi, comunque, è stata molto costruttiva. Padre Bernd Hagenkord, responsabile della divulgazione delle notizie in lingua tedesca:

“I Padri Sinodali sono stati molto personali, hanno parlato anche della loro esperienza sensibile nei confronti delle singole situazioni pastorali e del linguaggio usato, all’interno ed all’esterno dell’Aula, per parlare delle famiglie, in particolare per quelle che hanno vissuto un fallimento”.

Dottrina non è separabile dalla pastorale
Un altro punto-chiave, è stato sottolineato al Sinodo, è che per Dio nessun uomo è un estraneo: non è possibile, quindi, separare la dottrina dalla pastorale.  Ad ogni modo, l'assemblea è unanime sul fatto che non fare niente o cambiare tutto non sono le soluzioni per questo Sinodo.

Gli Uditori: è bello vedere che la Chiesa ha cura della famiglia
In Sala Stampa, sono intervenute anche due coppie di coniugi, presenti al Sinodo in qualità di Uditori: i brasiliani De Rezende e gli indiani Bajaj, questi ultimi esempio di matrimonio misto. Dalle loro testimonianze emerge la gioia di partecipare all’Assemblea, vedendo anche come molti pastori abbiano cura della famiglia. Intanto, oggi e domani il Sinodo prosegue nei Circoli minori: i gruppi linguistici sono, infatti, al lavoro sulle relazioni relative alla seconda parte dell’Instrumentum laboris, che saranno presentate in Aula mercoledì.

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Sinodo. Urosa Savino: bene prima settimana, molta franchezza

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La Chiesa non si limita a fotografare la realtà che cambia, ma illumina e guida l’umanità, oggi come ieri, con la luce del Vangelo. Così il card. Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas in Venezuela, parla delle sfide che il Sinodo è chiamato a raccogliere. L’intervista è del nostro inviato Paolo Ondarza

R. – Penso che la prima settimana sia stata molto interessante, molto produttiva: un ambiente con molta libertà, con molta franchezza e fraternità. Questo ci permetterà di avere una visione di quale mondo dobbiamo illuminare con la luce del Vangelo, perché la realtà non basta vederla, ma bisogna guidarla, illuminarla per dare agli uomini, alle donne e alle famiglie di oggi i doni meravigliosi che il Signore Gesù Cristo ci ha dato.

D. – La dinamica, lei diceva, è quella di una Chiesa che orienta l’umanità e non viceversa. Spesso, si parla invece di una Chiesa che a partire dall’umanità e dalle sue ferite, deve modificare il proprio atteggiamento…

R. – Penso ci sia una differenza, perché noi vediamo ciò che sta accadendo: i problemi delle famiglie, il divorzio, il problema della teoria del genere, i problemi delle famiglie povere, dei migranti… Insomma, bisogna illuminare questi problemi, per portare a queste famiglie ferite il tesoro della luce, la verità e la misericordia di Gesù Cristo.

D. – Dunque la prassi resta, potremmo dire, l’aspetto applicativo della dottrina, non tanto un atteggiamento che muta in base a ciò che l’uomo chiede ogni giorno, a seconda delle epoche storiche…

R. – L’uomo chiede molte cose, a volte cose buone a volte cattive. Ma noi dobbiamo dare all’umanità le cose buone che abbiamo nel Vangelo. Noi abbiamo un tesoro da portare all’umanità e questo è molto importante. Io sono sicuro che il Sinodo darà all’umanità, alla famiglia del mondo di oggi, una risposta chiara, affascinante per andare avanti tra le tante difficoltà che tutti incontriamo.

D. – Quali sono i problemi, ma anche le potenzialità positive delle famiglie in Venezuela, nel suo Paese?

R. – Ci sono moltissimi problemi: economici, mancanza di casa, culturali, il matrimonio non è molto favorito in Venezuela… Questo è un nostro problema culturale e noi vescovi, preti, dobbiamo illuminare. Stiamo lavorando per fare capire alla gente la bontà e la bellezza del matrimonio cristiano.

D. – Gli aspetti positivi che le famiglie del Venezuela possono dare?

R. – La religiosità. C’è una grande religiosità, ma ci sono anche fraternità e bontà. Un altro aspetto positivo è l’accoglienza. Ci sono delle famiglie, anche povere, che hanno due o tre figli. È necessario accogliere altri bambini che restano senza famiglia. C’è una grande generosità... Poi, c’è sempre uno spirito di ottimismo, andare avanti con speranza. Queste sono le caratteristiche della famiglia in Venezuela.

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Sinodo. Mons. Guilavogui: urge formazione per matrimoni misti

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Al centro della riflessione dei padri sinodali anche la sfida costituita dai matrimoni misti tra cattolici e musulmani. Ne parla, al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza, il vescovo di N'Zérékoré in Guinea, mons. Raphaël Balla Guilavogui

R. – In Guinea, molto spesso i musulmani sposano donne cattoliche e dopo le cose non vanno bene, perché i musulmani possono essere poligami, invece una cattolica non può accettare questa cosa. E quindi molto spesso divorziano. Questo non va bene, perché i bambini che nascono da queste unioni ne soffrono.

D. – Quindi, il problema della poligamia e il problema, anche, del matrimonio misto tra due diverse religioni: la Chiesa come si pone rispetto a queste problematiche?

R. – Noi come vescovi, con i sacerdoti, cerchiamo di fare una pastorale familiare: ci vuole una buona preparazione. Come mai per prepararsi a diventare sacerdoti ci vogliono sette anni e qualche volta anche di più, per diventare religioso ci vogliono anche tre o quattro anni, mentre per prepararsi al matrimonio bastano tre mesi? Per dire che ci vuole una formazione molto solida.

D. – Tornando al discorso dei matrimoni misti, voi come pastori vi sentite di sconsigliarli, questi matrimoni?

R. – Non è che noi sconsigliamo, però serve una formazione prima di fare questi matrimoni, perché l’esperienza dimostra che molto spesso non vanno bene. Purtroppo, ci sono tante, tante donne che dopo il matrimonio con un musulmano dicono che la donna deve essere convertita, diventare musulmana. Secondo me, ci vuole una formazione perché molto spesso tanti affrontano questo matrimonio senza una preparazione importante, solida.

D. – Attendete una parola da questo Sinodo per le vostre situazioni particolari?

R. – Sicuramente, sì, perché noi sappiamo che la Chiesa è madre e quindi la Chiesa avrà sempre una parola di conforto e una parola per aiutare queste famiglie che sono in difficoltà ad andare avanti.

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Nuovi impegni del Papa per il mese di novembre

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La Messa nella Basilica di San Pietro in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti nel corso dell’anno, il 3 novembre alle 11.30, e quella per una ordinazione episcopale a San Giovanni in Laterano, il 9 novembre alle 17, nel giorno in cui si festeggia la Solennità della Dedicazione della Basilica. Sono questi i due impegni ufficiali del Papa in aggiunta a quelli noti per il prossimo mese, che vedrà Francesco volare in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, dal 25 al 30 novembre.

Mese che – ricordiamo – vedrà inizialmente il Papa presiedere le tradizionali celebrazioni della solennità di tutti i Santi, con la Messa al Cimitero del Verano alle 16 del primo novembre, e il momento di preghiera per i Sommi Pontefici defunti, il giorno dopo alle 18 nelle Grotte Vaticane. Importanti poi la visita pastorale a Prato e Firenze, martedì 10, a alla Chiesa Evangelica e Luterana di Roma, domenica 15 novembre alle ore 16.

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Francesco: amare Gesù e il popolo per essere veri missionari

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“La missione, oltre ad essere amore per Gesù è amore per il suo popolo”. E’ uno dei passaggi del messaggio inviato da Papa Francesco al IV Incontro nazionale di Gruppi missionari, in corso a Santiago del Estero in Argentina. All’evento prendono parte oltre 2200 agenti di pastorale che si confrontano sul tema “Missione, uno stile di vita”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Per essere missionari – scrive il Papa – prima di annunciare e di comunicare, è necessario vedere. Vedere Gesù che si è fatto piccolo per raggiungere la nostra debolezza, che ha assunto la nostra carne mortale per rivestirla della sua immortalità, e che ci viene quotidianamente incontro per camminare con noi e tenderci la sua mano amica nella difficoltà”. Francesco esorta dunque a non dimenticare mai “il primo incontro con Gesù, la gioia con la quale abbiamo ricevuto il primo annuncio”, attraverso i genitori, i nonni, i catechisti. E ancora chiede di non smettere di pregare gli uni per gli altri, “di sostenersi vicendevolmente con la preghiera” e così, annota, Gesù riuscirà a compiere meraviglie.

Amare il popolo per essere veri missionari
Il Papa sottolinea che per essere veri missionari bisogna amare non solo il Signore ma anche il suo popolo. E invita a guardare come Gesù con uno “sguardo di tenerezza, di comprensione e di misericordia che ci porta a toccare le piaghe del Signore nella carne dei nostri fratelli bisognosi”. Vedere Gesù nell’altro, riprende Francesco, “purifica il cuore, lo libera dall’egoismo, da ogni seconda intenzione, da ogni desiderio mondano”. Dal Papa infine un incoraggiamento a continuare a costruire una “Chiesa in uscita” a lavorare per “comunicare la gioia che il Signore ha messo nei nostri cuori”.

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Bolivia, Papa al Forum sul clima: curare ecologia integrale

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Avere ben presenti i principi di "un'ecologia giusta ed integrale, che tenga conto del vero bene della persona umana": è la raccomandazione espressa da Papa Francesco nel Messaggio ai partecipanti alla II Conferenza Mondiale sui cambiamenti climatici, in corso fino a lunedì 12 in Bolivia. Il Forum, che ha sede nella città boliviana di Tiquipaya, è stato convocato dal presidente Evo Morales per raccogliere i contributi dei movimenti sociali sul tema dei cambiamenti climatici. Anche il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha consegnato un messaggio alla Conferenza. Le conclusioni della Conferenza saranno presentate al XXI Vertice mondiale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre. Secondo dati di agenzie, in Bolivia hanno partecipato 6.000 persone, provenienti dai cinque continenti.

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P. Zollner: Francesco chiede di fare tutto il possibile contro gli abusi

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La Pontificia Commissione per la tutela dei minori si è riunita dal 9 all’11 ottobre a Roma. E’ la seconda riunione Plenaria dell’organismo, voluto da Papa Francesco. La prossima riunione avverrà a febbraio 2016. La Plenaria - informa un comunicato della Commissione - è iniziata, il 9 ottobre, con la partecipazione alla Messa mattutina celebrata dal Papa a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro Gisotti

I membri della commissione, presieduta dal card. Sean O’Malley hanno concentrato i lavori sui rapporti presentati dai Gruppi di lavoro, costituiti nel febbraio scorso. Tra i temi affrontati da questi Gruppi: le linee guide per la tutela e la protezione dei minori, il sostegno alle vittime e alle loro famiglie, la formazione dei sacerdoti e dei religiosi. I membri della Commissione - si legge nel comunicato - hanno preso parte a conferenze e seminari sulla protezione dei minori, in Irlanda, Regno Unito, Francia, Nuova Zelanda, Isole del Pacifico e recentemente nelle Filippine dove hanno partecipato 76 vescovi. Il prossimo mese, i membri della commissione avranno un incontro con tutti i presuli del Centro America. Nel comunicato viene sottolineata la risposta positiva da parte di quanti hanno partecipato alle iniziative della Commissione di cui si evidenzia, in particolare, il contributo per le Chiese locali nel continuare a sviluppare delle linee guida efficaci nella protezione dei minori.

Sull’impegno della Chiesa contro la pedofilia e l’incoraggiamento di Papa Francesco a proseguire l’impegno per la protezione dei bambini, Alessandro Gisotti ha intervistato il padre gesuita Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, che ha incontrato il Pontefice il 9 ottobre scorso al termine della Messa a Casa Santa Marta: 

R. – Una cosa che mi ha colpito molto è che nel luglio dello scorso anno il Santo Padre aveva ricevuto a Santa Marta sei vittime di abuso, li aveva ascoltati tutta la mattinata, una persona dopo l’altra: quello che mi ha colpito e mi ha commosso è  che – senza che io avessi fatto alcun cenno particolare – lui stesso mi ha parlato delle due persone provenienti dalla Germania, che io avevo accompagnato nell’incontro con lui; lui si riferiva specialmente a queste due persone ed ha anche fatto riferimento al fatto che sta pregando per loro. Questa è veramente una cosa molto grande, molto commovente, che fa vedere come il Santo Padre sia molto empaticamente, molto vicino alla sofferenza delle vittime. Questo è un segno molto bello e molto buono, e può essere anche un modello per i vescovi, per i superiori religiosi ad aprire le loro case, ma anche il loro cuore, per ascoltare e per dare spazio all’espressione di quella sofferenza che molti di loro hanno dovuto sopportare per anni e per decenni da soli, con grande solitudine, con grande tristezza e con il senso che la Chiesa non aveva dato loro ascolto. Dunque il Santo Padre, direttamente e indirettamente, ha veramente incoraggiato tutti noi ad affrontare questa sofferenza, a lasciarla entrare nella nostra preghiera e nei nostri cuori, cercando di fare tutto questo affinché le persone possano continuare un cammino di guarigione.

D. – Quali sono, secondo lei, le cose più importanti che sono emerse da questa riunione della Commissione per la tutela dei minori?

R. – Una cosa importante – e certamente molto bella – è che abbiamo potuto constatare che tanto lavoro è stato fatto dai gruppi di lavoro: questi gruppi dovevano occuparsi di certe tematiche individuate nell’incontro dello scorso febbraio. Abbiamo sentito dai vari leader e rappresentanti dei gruppi che si è fatto tanto… Questo era proprio quello che volevamo fare con questa suddivisione in gruppi, potendo contare sulla conoscenza, sull’esperienza e sulle relazioni che i membri di questi gruppi potevano mettere a disposizione di tutta la Commissione.

D. – La Commissione, i membri della Commissione hanno preso parte a conferenze e seminari in diversi Paesi in questi mesi: colpisce in particolare l’incontro nelle Filippine con ben 76 vescovi... Che tipo di risposta state avendo da questi incontri?

R. – Il risultato è veramente straordinario. In poco tempo la Conferenza delle Filippine ha deciso di mettere su un Segretariato - una Commissione, se si vuole … - a livello nazionale, che possa assistere alle diocesi, soprattutto a quelle più piccole e che non hanno il personale per fare tutto questo lavoro, sia nella pianificazione della prevenzione, sia anche riguardo alle questioni giuridiche e canoniche che devono essere seguite. Io sono rimasto molto colpito dall’apertura, dall’atteggiamento di accoglienza personale, ma certamente anche di tutte le questioni connesse che abbiamo presentato e che abbiamo discusso con grande franchezza e anche con grande concretezza. E come si vede ha portato ad un risultato evidente, molto incoraggiante e dove si vede che una Conferenza episcopale – tra l’altro del Paese cattolico più importante di tutta l’Asia – si prende veramente a cuore questa tematica. Questo è un qualcosa che può veramente servire come modello anche per altri Paesi.

D. – Il prossimo mese i membri della Commissione incontreranno i vescovi del Centroamerica. Ecco, c’è una continua attenzione, che aumenta anche, da parte delle Chiese locali rispetto al lavoro della Commissione…

R. – Senz’altro ed è un altro segno molto incoraggiante. Una marea di cose si fanno! Attualmente veniamo invitati a testimoniare, ad assistere, a dare delle consulenze a vari livelli (dal livello di diocesi e di congregazioni fino al livello di conferenze episcopali stesse). Questo fatto che veniamo invitati dice molto dell’attenzione crescente in tutte le parti, specialmente in quelle parti in cui finora il tema degli abusi e della loro prevenzione veramente non è stato di primo interesse, né nella società in genere né nella Chiesa. Questo fatto è dovuto certamente anche alla Lettera del Santo Padre del 2 febbraio scorso, indirizzava ai presidenti delle Conferenze episcopali e ai Superiori Maggiori delle Congregazione religiose e degli Ordini, in cui si invitavano a collaborare con la Commissione.

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Elemosineria apostolica inaugura dormitorio per senzatetto

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Da quasi una settimana in via dei Penitenzieri, nelle vicinanze dell’Ospedale Santo Spirito, è stato aperto un nuovo dormitorio per le persone senzatetto. Giovedì 7 Ottobre, nella memoria liturgica della Beata Maria Vergine del Rosario, è stato inaugurato ufficialmente con la benedizione dei locali e con la Santa Messa, presieduta dall’elemosiniere apostolico, mons. Konrad Krajewski. Alla celebrazione - si legge nel comunicato dell’Elemosineria apostolica - hanno partecipato i primi ospiti e i volontari della struttura.

Una risposta della comunità dei gesuiti all’appello del Papa
L’ampio locale, che si trova in zona extraterritoriale e che fino a pochi mesi fa era utilizzato da un’agenzia di viaggi, è stato offerto a Papa Francesco dalla Casa generalizia della Compagnia di Gesù. In questo modo, la Comunità dei Gesuiti ha voluto rispondere prontamente all’appello del Pontefice di destinare dei propri fabbricati alle persone bisognose e in difficoltà. Il dormitorio porta il nome di "Dono di Misericordia". Dono perché è un vero dono della comunità religiosa, di misericordia perché misericordia è il secondo nome dell’Amore che si esprime attraverso gesti concreti e generosi verso il prossimo.

Lavori finanziati dall’Elemosineria
La struttura può accogliere per la notte fino a 34 uomini e viene gestita dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta come quelle già esistenti a Via Rattazzi, presso la Stazione Termini, e a San Gregorio al Celio. Tutti i lavori sono stati seguiti e finanziati dalla Elemosineria Apostolica, cioè attraverso le offerte che provengono dalla distribuzione delle pergamene con la Benedizione Apostolica e dai generosi contributi delle persone private. Inoltre, l’Elemosineria, insieme alle Suore di Madre Teresa, si impegna a sostenere economicamente tutta l’attività del dormitorio.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Atto barbaro: all’Angelus e in un messaggio il dolore del Papa per la strage in Turchia.

Come Gesù: Francesco ai partecipanti all’incontro nazionale dei gruppi missionari in Argentina.

In primo luogo conoscere, leggere e sapere: Paolo Vian sulla scoperta in un codice vaticano di glosse inedite del cardinale Nicolò da Cusa sul Corano.

Carlo Petrini si chiede chi controlla i controllori nelle nuove tecnologie sanitarie.

La cena del cuore: Elena Buia Rutt illustra le tredici parole per descrivere Emily Dickinson.

Se l’anima si vende ai quattro venti: Claudio Toscani recensisce il romanzo “Ouatann, ombre sul mare” della scrittrice tunisina Azza Filali.

Gabriele Nicolò su sofferenza e dialogo: Chiara Lubich su “Lumen: A Journal of Catholic Studies”.

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Oggi in Primo Piano



Turchia: attacco al corteo, governo sospetta mano dell'Is

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La Turchia è vicina all'identificazione di uno dei due kamikaze autori della strage di sabato mattina alla manifestazione pacifista di Ankara. Lo ha reso noto il premier Davutoglu, in un'intervista televisiva. Il capo del governo turco ha inoltre confermato che il sedicente Stato Islamico è il primo sospettato dell’attacco che, secondo l’ultimo bilancio fornito dal partito curdo Hdp, è costato la vita a 128 persone. Intanto, in mattinata circa 50 sospetti miliziani dell’Is sono stati arrestati in seguito a operazioni antiterrorismo in diverse località del Paese, mentre oggi e domani centinaia di migliaia di turchi si astengono dalle loro attività quotidiane in solidarietà con le famiglie delle vittime. Marco Guerra ha intervistato Dundar Kesapli, giornalista turco inviato in Italia: 

R. - Certo il clima, purtroppo, non è molto positivo per l’intero Paese: nella storia della Repubblica Turca è, forse, il più grande attentato compiuto nella capitale Ankara e oltretutto a poche settimane dalle elezioni. Quindi c’è chiaramente attesa e tensione, perché non è una situazione assolutamente accettabile e viene condannata da tutti.

D. - L’obiettivo della manifestazione era chiedere la fine degli scontri tra l’esercito e il Pkk: quindi questo attentato può essere legato alla lotta tra la Turchia e i curdi oppure – come dicono più fonti – dietro l’attacco ci sono gli estremisti islamici, l’Is…Insomma quale può essere la matrice di questi attentati che stanno colpendo la Turchia?

R. - Io non credo che adesso siamo in grado di dire chi ci sia dietro a questo attentato. Non so se si tratta di estremisti del Pkk o dell’Is… E’ probabile però – ed è una alta percentuale - che si tratti di uno di loro, perché non può essere diversamente. La cosa molto strana è che l’attentato è stato fatto proprio alle ore 10, del giorno 10 e nel mese 10, che corrisponde ad una strana coincidenza con questo numero e che fa pensare che si stato pianificato probabilmente molto tempo prima… Cosa ci sia dietro è difficile dirlo: le indagini stanno andando avanti molto velocemente, perché il governo e la polizia hanno tutto l’interesse di scoprire chi ci sia dietro. Dalle prime indagini risulterebbe che l’attentatore sia vicino all’Is o probabilmente fra il Pkk. Non può esserci un terzo, secondo me…

D. - Lo scopo di questi attentati quale potrebbe essere?

R. - Potrebbe essere quello di indebolire il Presidente Erdogan; potrebbe essere quello di creare una situazione interna turca simile a quella della Siria… La Turchia – e in questo bisogna essere obiettivi – è un ponte, è un Paese molto importante fra Occidente ed Oriente, è un Paese su cui i membri della Nato hanno interessi e quindi tutti i Paesi europei hanno interesse ad avere un buon rapporto con la Turchia, ma che in questo momento è difficile perché, anche se oggi il Presidente Erdogan decidesse di lasciare il suo incarico, non ci sono dei politici di grande spessore che possono gestire la situazione e ricoprire un ruolo come Presidente del Consiglio o Presidente… Non essendoci un’alternativa all’interno della Turchia, è difficile dire in questo momento quale sia il vero motivo: può essere la volontà da parte di alcuni leader di dividere la popolazione  e creare una guerra interna; può essere che dopo 13 anni di gestione del Presidente Erdogan, alcune persone possano sentirsi infastidite e non accettino più la sua guida… Ma – ripeto – qualsiasi sia la motivazione è inaccettabile uccidere tutte queste persone innocenti…  A meno che non ci sia l’intenzione – come è successo in altri Paesi – di portare la Turchia in una situazione di guerra interna per creare caos e per farla allontanare dall’Europa: anche questa può essere un'ipotesi. Può darsi che conviene a queste persone che hanno compiuto l’attentato, ma è necessario riuscire a capire quale siano le identità di questi due kamikaze. Purtroppo, però la situazione non è tanto facile da gestire. Quindi io ho la sensazione che questi attentati siano collegati con l’estero, ma siano stati compiuti dall’interno…

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Siria: Mosca prosegue attacchi, Ue chiede che Assad esca di scena

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Allerta dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea alle compagnie che volano sopra il Mar Caspio, l’Iraq e l’Iran per il rischio di collisioni con i missili terra-aria lanciati dall’esercito russo contro postazioni dei ribelli in Siria. E mentre la guerra di Mosca al sedicente Stato islamico e a tutti i gruppi ritenuti terroristici, continua nei cieli siriani - escludendo il presidente Putin operazioni di terra - c’è attesa per l’incontro domani tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e l’inviato speciale dell’Onu per la Siria de Mistura. Intanto il Consiglio degli Esteri europeo, dopo segnali di apertura per una transizione più morbida, ha invece confermato la volontà di ‘defenestrare’ il presidente siriano Assad. Roberta Gisotti ha intervistato Gianandrea Gaiani, direttore della rivista on line “Analisidifesa.it”: 

R. – Gaiani, che cosa sta cambiando nello scacchiere siriano? Sembra che la strategia russa stia conquistando comunque qualche credito in più…

D. – I russi sono entrati prepotentemente e in maniera efficace sul campo di battaglia e lo stanno condizionando. Tutti gli attori oggi coinvolti nella crisi siriana, nella guerra all’Is, devono tenere conto dell’intervento russo che è efficace sul campo di battaglia, perché sta consentendo alle forze di Bashar al Assad di riconquistare terreno se non contro l’Is, contro gli altri gruppi islamisti che stavano attaccando, circondando le postazioni governative. E, soprattutto tutti gli attori - anche quei Paesi arabi che sostengono la ribellione in Siria - devono fare i conti con l’intervento russo che palesemente e dichiaratamente punta a consolidare - almeno per il momento - il regime di Bashar al Assad. Questo in un contesto in cui la coalizione - quella occidentale, guidata dagli Stati Uniti - ha mostrato tutti i limiti delle sue scarse capacità operative dimostrate, del resto, in un anno di blanda attività militare contro l’Is.

D. – Se resta alta la tensione con Washington e Londra, che accusano Mosca di sostenere Assad invece di favorirne l’uscita di scena, spiragli per una transizione più morbida giungono dall’Arabia Saudita …

R. – I sauditi devono fare i conti con i russi perché loro per primi si sono resi conto che degli americani non si possono più fidare: l’accordo raggiunto con l’Iran, che di fatto non impedirà a Teheran - o così viene interpretato nel mondo arabo - di dotarsi di una bomba atomica, ha convinto i sauditi e altri Paesi del Golfo che gli Usa giocano un ruolo molto ambiguo, e ovviamente si stanno avvicinando a Mosca, che pure difende i suoi interessi: ci sono infatti ampie discrepanze sulla gestione del dossier siriano, dove i sauditi sono i principali sponsor dei ribelli islamisti, non dell’Is. Del resto, anche molti Paesi europei si rendono conto che l’alternativa a Bashar al Assad oggi è soltanto la trasformazione della Siria in uno Stato governato dalla sharìa, quella dell’Is e quella di al Qaeda che guida l’esercito della conquista, la coalizione islamista che conduce la guerra contro Bashar al Assad. E’ paradossale che gli anglo-americani continuino a criticare la linea di Mosca e il fatto che venga difeso il regime di Bashar al Assad: come se fosse possibile combattere sia il sedicente Stato islamico, sia Bashar al Assad. Se cade Assad, l’Is vince la guerra e con esso anche gli altri gruppi islamisti. Oggi, far cadere Assad è impossibile, se non si vuol far vincere l’Is; domani, sconfitti gli estremisti, sarà possibile gestire un negoziato per l’uscita di scena graduale del regime.

D. – E’ stata poco commentata la dichiarazione di fallimento da parte degli Stati Uniti delle operazioni per addestrare gruppi siriani in funzione anti-Is …

R. – Il fallimento è stato ufficializzato, ma era già evidente da tempo. I due gruppi di combattenti ‘moderati’ - così venivano definiti - addestrati e armati dagli americani, dovevano essere 5 mila, alla fine ne hanno addestrati 150 e forse meno, appena sono entrati in Siria sono stati prima attaccati e poi inglobati nelle forze di al Qaeda. Questa è l’ulteriore conferma del fallimento di una strategia americana che è troppo blanda e troppo incerta per risultare credibile. E di questo se ne sono accorti tutti i protagonisti di questa guerra, in particolare i Paesi coinvolti nella guerra all’Is, come la Siria e l’Iraq.

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Medio Oriente. Bernardelli: non banalizzare, situazione grave

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Ancora violenze in Israele. Una donna palestinese è stata uccisa dopo aver aggredito due persone a Gerusalemme Est. Poco prima, era stato ucciso da agenti di polizia un giovane palestinese che aveva tentato di accoltellare un israeliano. Su questa recrudescenza della violenza, Emanuela Campanile ha intervistato Giorgio Bernardelli, giornalista della rivista “Mondo e Missione” ed esperto di Medio Oriente: 

R. – Credo che non si sia ancora capita fino in fondo la gravità della situazione in queste ore a Gerusalemme. Anche le letture forse sono un po’ riduttive. Quando si dice “Hamas contro Israele” si fa un titolo che è molto, molto comodo e che ripercorre un po’ lo schema fisso. Ma in realtà la situazione è molto più grave ed è il risultato, sostanzialmente, di un odio che cova sotto la cenere da troppo tempo e al quale la politica non riesce a dare risposte. Hamas cavalca una situazione. Come nelle precedenti Intifade, non si tratta di un’azione pianificata a tavolino. E’ la classica miccia che da troppo tempo era pronta a incendiarsi e che adesso sta dando vita a un incendio davvero generalizzato e sul quale tutte le forze che puntano sullo scontro stanno mettendo le mani.

D. – Dire "conflitto israelo-palestinese" è riduttivo?

R. – E’ riduttivo puntare il dito sempre e solo su Hamas, che è certamente uno dei fattori che all’interno di questa crisi sta cercando di cavalcare la violenza. Su questo non ci sono dubbi. Ma il problema è che siamo di fronte a un’ondata che è molto più ampia. Non è semplicemente uno scontro tra una delle fazioni palestinesi e l’esercito israeliano. Siamo di fronte a una rivolta generalizzata, siamo di fronte a scontri che sono ormai dei veri corpo a corpo, siamo di fronte a una situazione in cui la gente nei quartieri arabi ha paura di uscire di casa. La psicosi che si è venuta a creare fa sì che il sindaco di Gerusalemme lanci un appello: “Girate armati per difendervi”. E’ una situazione di violenza generalizzata di fronte alla quale c’è un atteggiamento veramente miope della comunità internazionale che, sostanzialmente, sta derubricando questa crisi ad uno dei tanti momenti di tensione a Gerusalemme. Ma non è così. Siamo di fronte a fatti che sono di una gravità mai vista.

D.  – Se poi analizziamo la reazione dell’opinione pubblica, possiamo anche leggervi la delusione per l’attuale leadership politica?

R.  – Scontiamo il problema di un contesto in cui entrambi i popoli, sia Israele sia la Palestina, sono guidati da leadership ormai logorate. Sono leadership che non hanno una visione politica di lungo termine, leadership che non sono in grado di incanalare anche le rivendicazioni politiche in una lotta che abbia obiettivi concreti e perseguibili. Il problema è che quando la politica fa bancarotta, il risultato è un risultato terrificante perché resta spazio solo per l’odio allo stato puro.

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Vienna, avanza destra xenofoba. Schönborn: aiutare i profughi

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Le prime proiezioni sui risultati delle elezioni comunali a Vienna vedono il Partito Socialdemocratico (Spo) in testa con il 39,5% dei voti seguito dai populisti di destra della Fpoe con il 30,9%. La sinistra, dunque, si può confermare alla guida della capitale austriaca, che governa dal 1919, malgrado l'avanzata della destra xenofoba e anti-europea di Strache.  Un’avanzata meno travolgente di quanto previsto da alcuni sondaggi che assegnavano un maggior peso agli effetti dell'emergenza profughi. Paolo Ondarza ha chiesto un commento all’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn in questi giorni in Vaticano per il Sinodo sulla famiglia. 

R. – Normalmente, non è compito del vescovo commentare voti politici, perché c’è la libertà, in democrazia, e penso che in tutti i partiti ci siano dei cattolici; i voti dei cattolici sono distribuiti in tutti i partiti. Per questo, la prima cosa che dico è che accetto quello che l’elettorato ha voluto esprimere con questo voto. Il governo della città di Vienna mi ha impressionato nella sua attitudine in merito al problema dei migranti, dei profughi, perché è stata una sfida enorme – e continua a essere una sfida enorme – per l’Austria, e specialmente per la città di Vienna, vengono ogni giorno tra 6 mila e 12 mila nuovi profughi. La maggior parte non rimane in Austria, ma molto più di prima, chiedono l’asilo politico in Austria. La città di Vienna, il governo di Vienna hanno avuto un’attitudine chiaramente corrispondente a ciò che anche noi, da parte della Caritas e della Chiesa cattolica e di altre Chiese cristiane, della Croce Rossa eccetera, abbiamo voluto fare: accoglienza di coloro che sono in situazione di profughi. Sono contendo che l’elettorato abbia in maggioranza onorato questa attitudine, perché la battaglia elettorale è stata incentrata principalmente sul problema dei profughi. Ma la sfida rimane, per noi tutti, anche la sfida di coloro che hanno paura: dunque spero che il nuovo governo della città di Vienna continui ad avere questa apertura, questa attitudine che io definirei “cristiana”, ma anche che ci sia il rispetto delle paure e un tentativo di gestire bene queste paure.

D. – Il dato della destra al 30,9% è chiaramente anche il riflesso di queste paure: la Chiesa comprende queste paure?

R. – Sì: dobbiamo prenderle sul serio! Siamo nel bel mezzo di un grande cambiamento di società che si annuncia con questo arrivo massiccio di profughi, e questo provoca anche paure, angosce… Certo, c’è tanta denatalità tra gli austriaci e tanto bisogno di immigranti per tanti mestieri, ma è anche un cambio di società che dobbiamo affrontare: dobbiamo aiutare quelli che hanno paura, capirli, ma anche aiutarli a superare la paura.

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Bielorussia: quinto mandato presidenziale per Lukashenko con l'83 % dei consensi

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Con l’83 %dei consensi Aleksander Lukashenko ha ottenuto in Bielorussia, il quinto mandato consecutivo dal 1994, vincendo le elezioni presidenziali. Primo a congratularsi per la vittoria, il Presidente russo Vladimir Putin attraverso un telegramma. Sconfitta per gli altri  tre candidati rimasti tutti sotto il 5%. E nella notte centinaia di persone sono scese in piazza nel centro di Minsk per protestare contro i brogli di quelle che sono state definite dall'opposizione ''elezioni presidenziali farsa''. Intanto oggi, l’ attenzione si sposta a Bruxelles, dove l’Unione Europea dovrebbe decidere se confermare o ammorbidire le sanzioni contro il Presidente bielorusso. Ma con questa vittoria quali scenari si aprono? Marina Tomarro lo ha chiesto ad Aldo Ferrari docente  presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. 

R. – E’ molto probabile che non succeda assolutamente nulla, la Bielorussia è uno dei Paesi più stabili di tutta l’ex Urss. Lukashenko è al potere ininterrottamente dal ’94 con percentuali molto, molto alte. Chiaramente questi successi che vanno dal 75 al quasi 90% sono dovuti al forte autoritarismo del potere che in sostanza impedisce la formazione di una vera e propria opposizione, però sono anche dovuti al sostanziale appoggio di gran parte della popolazione. Adesso è molto difficile stabilire quale sarebbe la situazione in un clima maggiormente democratico ma bisogna tenere presente che noi, in Europa, abbiamo un'opinione molto bassa della Bielorussia, però per la sua popolazione si tratta di una delle poche repubbliche – e lo sanno bene – che non ha conosciuto un tracollo economico vero e proprio negli anni ’90, dopo la fine dell’Urss, con un’economia limitata, mediocre, ma stabile, senza immigrazione, senza disoccupazione, con un benessere relativo ma non disprezzabile, molto meglio della vicina Ucraina. Quindi da questo punto di vista è molto probabile che la stabilità prosegua  nonostante la protesta degli oppositori che però sono piuttosto limitati.

D. – Proprio a proposito dell’Ucraina, Lukashenko ha svolto un ruolo di mediazione nella crisi dell’Ucraina: ci si aspetta a questo punto che le sanzioni dell’Unione Europea siano tolte?

R. – Francamente non me lo immagino ancora. La situazione rimane purtroppo bloccata e se in caso venissero tolte sarebbe perché la Russia è ormai coinvolta in Medio Oriente sia pure in maniera controversa e può tornare, forse dovrebbe tornare nella cooperazione internazionale per la soluzione delle tante crisi. Ma non credo che le elezioni in Bielorussia abbiano un impatto davvero importante sul rapporto tra l’Occidente e la Russia.

D. – Qual è il ruolo della Bielorussia nello scacchiere geopolitico in questo momento, secondo lei?

R. – Piuttosto limitato ma anche in questo caso stabile. Questa sua mediazione deriva proprio dal fatto che la Bielorussia è fortemente interessata a mantenere buoni i rapporti con la Russia, alla quale è legatissima e dalla quale dipende soprattutto per le forniture energetiche, ma anche a sviluppare nella misura del possibile, cioè senza pregiudicare il potere di Lukashenko, rapporti di collaborazione con l’Occidente, in particolare con l’Europa. Da questo punto di vista, pure nella sua limitatezza di mezzi, offre un contesto stabile e sicuro e quindi può proporsi con una certa efficacia quale mediatore ma sempre rimanendo nei limiti abbastanza ristretti della sua effettiva capacità di agire.

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Lettera Vallini a Roma. Zema: Chiesa è parte della rinascita

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Ha ricevuto ampia eco la lettera alla città del Consiglio pastorale diocesano presieduto dal cardinale vicario Agostino Vallini. Il documento sarà presentato  il prossimo 5 novembre, alle 19.30, nella Basilica San Giovanni in Laterano. Ma quali sono i temi al centro della lettera? Eliana Astorri lo ha chiesto ad Angelo Zema, direttore della rivista diocesana “Roma Sette”: 

R. – La lettera è frutto di un lavoro del Consiglio pastorale diocesano che va avanti da un anno e mezzo. Quindi, non è sicuramente qualcosa che arriva sull’onda degli ultimi avvenimenti. Ha ricevuto, naturalmente, una grande eco mediatica. E il punto di partenza è proprio un’analisi della situazione attuale di Roma, molto complessa, difficile, con le nuove povertà, il problema dell’accoglienza, dell’integrazione. Ma anche quello che è stato messo in evidenza: la formazione di una nuova classe dirigente, perché Roma possa avere una scossa – come ci ha detto il cardinale Vallini, annunciando questa lettera alla città – e anche rinascere.

D. – Non è la prima volta che il cardinale Vallini ricorda le criticità di Roma…

R. – Lui ne aveva già parlato, per esempio, nella preghiera per Roma, a Santa Maria Maggiore, nel dicembre scorso, davanti all’immagine di Maria "Salus Populi Romani", facendo riferimento proprio alle sofferenze dei romani e al momento critico che vive la città. E partendo da questo, la riflessione del Consiglio pastorale diocesano che – lo ricordo – è composto da un gran numero di laici. Quindi, è anche da sottolineare la mobilitazione del laicato cattolico, la riflessione sulla presenza e sulla responsabilità della Chiesa nella città: la Chiesa non vuole essere indifferente ai problemi della città e vuole mettere in luce le sue potenzialità. Quindi, per ripartire, bisogna fare riferimento alle grandi risorse religiose e civili che Roma possiede.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Mons. Zenari: p. Mourad è libero e in buone condizioni di salute

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“Padre Jacques Mourad è stato liberato sabato scorso e ieri, verso le 14, ho potuto parlare per la prima volta con lui del rilascio. Al telefono era disteso, e in buone condizioni di salute”. È quanto afferma alla Radio Vaticana e all'agenzia AsiaNews mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, commentando la liberazione del prete siro-cattolico Jacques Mourad, il priore del monastero di Mar Elian ad Al Qariatayn, a sud-ovest di Homs, in Siria. Il sacerdote, famoso per l’opera a favore del dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani, è stato rapito nel maggio scorso nei pressi del luogo di culto distrutto ad agosto dal sedicente Stato islamico (Is).

Per il nunzio è difficile che p. Mourad possa avere notizie di padre Dall'Oglio
Padre Mourad, sacerdote appartenente alla stessa comunità di padre Paolo Dall’Oglio, da 12 anni era alla guida della locale parrocchia siro-cattolica. Amico e collaboratore del sacerdote gesuita di origini italiane, è stato uno dei primi monaci della comunità di Mar Musa e, a dispetto dei pericoli derivanti dal conflitto e delle minacce di sequestro, non aveva voluto abbandonare la propria gente. Proprio per quanto riguarda il rapimento di padre Dall’Oglio non vi sono invece elementi nuovi ed è difficile, spiega mons. Zenari, che padre Mourad “possa avere avuto qualche notizia” durante i mesi del sequestro. “Non si tratta dello stesso luogo in cui è stato rapito - conclude il nunzio apostolico - e quindi non vi potranno essere elementi utili. Nulla è cambiato su questo fronte”.

P. Mourad ha celebrato la prima Messa dopo la liberazione
Fonti locali riferiscono che ieri p. Mourad ha celebrato la prima Messa dal momento della liberazione. Egli si troverebbe nel villaggio di Zaydal, a circa cinque chilometri dalla città di Homs, ma non vi sono conferme ufficiali “per questioni di sicurezza”. Ad agosto l’area di Al Qariatayn è finita sotto il controllo dei miliziani jihadisti che hanno sequestrato circa 230 civili fra cui 60 cristiani.

P. Mourad sarà a Damasco per raccontare i particolari del rapimento
Interpellato dalla Radio Vaticana e da AsiaNews, mons. Zenari conferma le “buone” condizioni di salute di p. Mourad, con il quale “ho parlato un po’ per telefono, ma senza scendere nei dettagli del sequestro”. Il prelato riferisce che, nei prossimi giorni, il sacerdote “arriverà a Damasco” e “lascerò che sia lui a divulgare i particolari del rapimento”. “Posso dire fin d’ora - aggiunge - che era molto disteso e non ha problemi di salute”. Per il nunzio a Damasco la notizia della “liberazione” è “molto positiva”; nella vicenda, aggiunge, vi sono “particolari” di “grande importanza” ma che non possono al momento essere rivelati. 

La gioia della Comunità di Deir Mar Musa
​Il sacerdote Jihad Youssef, monaco siriano della Comunità monastica di Deir Mar Musa, racconta all'agenzia Fides la gioia e la gratitudine sua e degli altri monaci e monache della comunità per il ritorno in libertà di p. Mourad. “Siamo grati al Signore e diamo lode a Dio misericordioso per questo dono. E ci sta certo a cuore ringraziare tutti gli amici nel mondo che pregavano per Jacques e per la nostra comunità monastica, cristiani, musulmani o altri, anche chi non crede o crede diversamente, per la loro solidarietà e vicinanza”. “Chiediamo le preghiere e la solidarietà di ogni uomo e donna di buona volontà per la pace in Siria e nel mondo” aggiunge padre Jihad “e in modo particolare per tutte le persone rapite o scomparse”. (D.S. - M.M.)

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Vescovi ugandesi: prepararsi spiritualmente a visita del Papa

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I vescovi ugandesi esortano i fedeli a prepararsi spiritualmente all’atteso viaggio apostolico di Papa Francesco in Uganda, previsto dal 27 al 29 novembre.  In un messaggio firmato dal presidente della Conferenza episcopale, mons. John Baptist Odama, i presuli definiscono la visita “un privilegio”,  ricordando che Papa Francesco è il terzo Pontefice a visitare il Paese africano, dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II. Per tale motivo - affermano - occorre “un’adeguata preparazione spirituale” a questo evento, attraverso la preghiera, le opere di carità per i poveri e la penitenza, ma soprattutto compiendo “ogni sforzo di riconciliazione e di amore reciproco, come Cristo ci ha amati”.

Riflettere sulle benedizioni, ma anche sulle sfide della Chiesa in Uganda oggi
“Mentre attendiamo la visita del Santo Padre – si legge nel documento - dobbiamo pregare per il rinnovamento spirituale e, allo stesso tempo, ricordare con gratitudine le tante benedizioni ricevute dal nostro Paese, come il dono dei Martiri ugandesi e il sacrificio dei missionari”. E’ grazie al loro sacrificio - sottolineano i presuli - che la Chiesa ugandese è diventata quella che è: una realtà vitale,  forte oggi di 15 milioni di fedeli e conosciuta per il suo contributo alla trasformazione sociale del Paese, attraverso le sue scuole, ospedali e programmi di promozione umana. Ma la visita del Papa – prosegue il messaggio - è anche un’occasione per riflettere sulle sfide della Chiesa in Uganda oggi. I presuli richiamano in particolare l’attenzione sull’”allarmante divario tra la fede professata e la vita vissuta,  tra il Vangelo e alcune pratiche tradizionali africane come la convivenza, la poligamia, i matrimoni di prova, la stregoneria. La famiglia, inoltre, è minacciata “da infedeltà coniugale, violenza domestica, abusi sui minori, povertà, alcolismo, malattie come l’Aids”, denuncia il messaggio. “Prima dell’arrivo del Papa – raccomandano quindi i presuli ugandesi - dobbiamo rinnovare il nostro impegno per la promozione dei valori e della sacralità del matrimonio e della famiglia e per ricostruire il tessuto morale del nostro Paese”. In questo senso i Martiri ugandesi sono il modello da seguire.

Essere missionari presuppone una profonda conoscenza della propria fede
I vescovi ricordano poi l’esortazione rivolta da Paolo VI  agli africani durante la sua visita in Uganda nel 1969 ad essere missionari di loro stessi. Ma essere missionari – affermano - presuppone “una profonda conoscenza della nostra Chiesa e della nostra fede” insegnata dal Vangelo che è assolutamente incompatibile con la corruzione, l’immoralità, la permissività, la superstizione, l’ingiustizia, la violenza e l’egoismo che caratterizzano oggi la società ugandese. 

Papa Francesco costruttore di ponti
Il messaggio esorta i fedeli anche ad un’approfondita riflessione sugli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto con riferimento al tema della pace: “In un Paese come il nostro, dove sono mancati per decenni l’unità e il consenso nazionale, il Papa viene come un costruttore di ponti. La sua visita è quindi un’altra occasione d’oro perché gli ugandesi diventino strumenti di unità, pace e riconciliazione nella famiglia e tra le varie componenti religiose, culturali e politiche”. Un ulteriore stimolo alla riflessione – aggiungono, infine, i vescovi – è la sua enciclica “Laudato si’” che ci invita a stabilire rapporti nuovi e rispettosi con l’ambiente in cui viviamo. Il messaggio conclude quindi con l’auspicio che la visita del Santo Padre offra agli ugandesi “un’opportunità di crescita, rinnovamento e rinvigorimento della fede”. (L.Z.)

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Kenya: al Congresso Eucaristico attenzione a visita del Papa

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In Kenya si è appena concluso il Congresso Eucaristico Nazionale nel quale si è dedicata una speciale attenzione alla visita papale prevista la fine di novembre. All’evento, tenutosi il 3 ottobre presso il santuario nazionale mariano di Subukia, a Nakuru, hanno preso parte oltre 25.000 fedeli. “Siamo qui per celebrare la presenza di Cristo in mezzo a noi. Questo ci deve infondere la speranza e rafforzare la nostra fede nel servire Dio e gli altri sempre” ha affermato nella sua omelia mons. Dominic Kimengich, vescovo di Lodwar e presidente della Commissione per la liturgia della Conferenza episcopale del Kenya. 

Congresso Eucaristico per pentirsi di gravi colpe come corruzione e tribalismo
Il vescovo ha esortato i cristiani a cogliere l’occasione del Congresso Eucaristico per pentirsi di gravi colpe come la corruzione e il tribalismo, che minano la società e la comunità cristiana. Il precedente Congresso Eucaristico tenutosi in Kenya risale al 1985 con la partecipazione di San Giovanni Paolo II e della Beata Madre Teresa di Calcutta. (L.M.)

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Acs: il 18 ottobre un milione di bambini reciteranno il Rosario

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Un milione di bambini che recitano insieme il Rosario per l’unità e la pace. È l’invito che il 18 ottobre, ormai da dieci anni, Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) rivolge ai bambini di tutto il mondo. L’iniziativa, chiamata “Un milione di bambini in preghiera”, è nata nel 2005 a Caracas in Venezuela. Mentre un gruppo di bambini pregava - riferisce l'agenzia Sir - alcune donne presenti hanno avvertito la presenza della Madonna. Una di loro si è ricordata allora della promessa di Padre Pio: “Se un milione di bambini pregheranno insieme il Rosario, il mondo cambierà”. Da allora ogni anno, il 18 ottobre, attraverso le 21 sedi nazionali di Acs presenti in quattro continenti, la fondazione pontificia esorta tutti i bambini ad unirsi in preghiera.

Acs invita a donare ai bambini la “Bibbia del Fanciullo”
Acs è fortemente impegnata nella promozione della preghiera del Rosario tra i bambini e per insegnare ai piccoli come recitarlo ha creato un apposito libricino, “Noi bambini preghiamo il rosario”, che dal 2009 ad oggi è stato tradotto in otto lingue e pubblicato in 600mila copie, diffuse in tutto il mondo. Acs invita genitori, insegnanti e quanti lavorano nelle scuole, negli asili, negli ospedali, negli orfanotrofi ed in qualunque luogo vi siano gruppi di bambini, ad esortare i piccoli a recitare il rosario. E chiede a tutti di donare ai bambini la “Bibbia del Fanciullo”, una Bibbia illustrata che dal 1979 ad oggi è stata stampata in 178 lingue diverse e oltre 51 milioni di copie. Sui social l’hashtag è #UnMilioneDiBimbi. (R.P.)

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Nicaragua: Chiesa pronta a mediare su vicenda della miniera

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La Chiesa cattolica è pronta a mediare: lo ha dichiarato ieri a Masaya mons. Silvio José Báez Ortega, vescovo ausiliare di Managua, riferendosi agli scontri tra i lavoratori della miniera canadese B2Gold e la polizia, che hanno provocato un morto e 31 feriti, e per i quali sono state incriminate 10 persone, di cui quattro detenute.

I vescovi pronti ad intervenire
"Ho pregato perché non si diffonda questa tensione nel Paese e non aumenti - ha detto mons. Baez dopo la Messa celebrata nella parrocchia di San Juan Bautista -, perché nessuno deve morire per questo e le persone non devono aggredirsi in questo modo. Senza dubbio, sono sicuro che i vescovi del Nicaragua sono pronti ad intervenire, se qualcuno lo chiede".

L'interesse dell'azienda non deve prevalere sugli interessi degli operai
La nota inviata a Fides dallo stesso mons. Baez, riferisce che il vescovo deplora il fatto che i problemi del Nicaragua sfocino in scontri violenti, nell'intransigenza e nella morte. "Sono profondamente dispiaciuto per la morte di un membro della polizia nazionale, è un nicaraguense, è un fratello, è un nostro fratello che in nessun caso doveva morire" ha sottolineato, ricordando che la Chiesa è sempre per la comprensione e per il dialogo. Per Mons. Baez è necessario negoziare e trovare una soluzione equa per tutti. "Nei conflitti sociali dobbiamo sempre ricordare che l'interesse dell'azienda, l'interesse di una transnazionale non deve prevalere sugli interessi della classe operaia, sui poveri, sui lavoratori" ha concluso.

Persiste il clima di tensione
Nel comune di Malpaisillo, 142 km a nord ovest della capitale, dove la B2Gold gestisce la miniera d'oro "El Limon", persiste ancora il clima di tensione, le strade principali sono ostruite da massi e tronchi d'albero, mancano i generi alimentari nei negozi. Il direttore della società mineraria B2Gold, ha chiesto agli istigatori della protesta di mettere fine al loro comportamento violento, ricordando che le perdite economiche subite per il fermo di questi giorni è pari a circa 4,5 milioni di dollari, senza contare il salario degli ottocento lavoratori. (C.E.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 285

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.