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Sommario del 02/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: una famiglia che ama Dio riscalda il cuore di una città

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Una famiglia che vive i propri legami alla luce del Vangelo, con un amore capace di generosità anche all’esterno, “riporta la speranza sulla terra”. È la convinzione di Papa Francesco espressa durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al rapporto tra la famiglia e la testimonianza della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un deserto urbano, dove ci si diverte tanto ma dove a ridere è la bocca più che gli occhi. E all’interno del deserto, la famiglia, l’oasi che può irrigare con l’amore di Dio, riumanizzandoli, i rapporti fra gli abitanti di questi “grattacieli senza vita”.

Famiglie trasformate 
È inesauribile la capacità del Papa di cogliere sostanza e sfumature della vita di una famiglia cristiana, offrendola come cuore di un mondo migliore. Stavolta, oggetto della riflessione è la capacità di “trasmettere la fede”. Francesco parte dall’interno di un nucleo familiare che vive di Vangelo e ne mette in rilievo forza e novità:

“Questi stessi legami familiari, all’interno dell’esperienza della fede e dell’amore di Dio, vengono trasformati, vengono ‘riempiti’ di un senso più grande e diventano capaci di andare oltre sé stessi, per creare una paternità e una maternità più ampie, e per accogliere come fratelli e sorelle anche coloro che sono ai margini di ogni legame”.

La grammatica degli affetti
La vita di famiglia, osserva, insegna la “grammatica” degli affetti, che altrimenti, dice, “è ben difficile impararla”. E questo linguaggio è lo stesso attraverso il quale "Dio si fa comprendere da tutti":

“L’invito a mettere i legami famigliari nell’ambito dell’obbedienza della fede e dell’alleanza con il Signore non li mortifica; al contrario, li protegge, li svincola dall’egoismo, li custodisce dal degrado, li porta in salvo per la vita che non muore. La circolazione di uno stile famigliare nelle relazioni umane è una benedizione per i popoli: riporta la speranza sulla terra”.

Un cuore grande, casa per tutti
E questa speranza, prosegue il Papa, ha tante facce quanti sono i gesti di generosità di cui sono capaci mamme e papà che considerano di famiglia anche chi vive fuori della porta della loro casa:

“Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici. Un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più”.

Una diversa musica
Per Francesco, “la famiglia che risponde alla chiamata di Gesù riconsegna la regìa del mondo all’alleanza dell’uomo e della donna con Dio”. Pensate, suggerisce, se a questa alleanza venisse finalmente consegnato "il timone della storia", in ogni ambito sociale, e ogni decisione fosse assunta con "lo sguardo rivolto alla generazione che viene":

"I temi della terra e della casa, dell’economia e del lavoro, suonerebbero una musica molto diversa! Se ridaremo protagonismo – a partire dalla Chiesa – alla famiglia che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, diventeremo come il vino buono delle nozze di Cana, fermenteremo come il lievito di Dio!".

Il sorriso di una famiglia vince la desertificazione delle città
Ed ecco, conclude Francesco, il lievito che riporta la vita nella Babele "della civiltà moderna”, dove ci si diverte tanto ma il cuore è spesso in esilio:

"Le nostre città sono diventate destertificate per mancanza d’amore, per mancanza di sorriso. Tanti divertimenti, tante cose per perdere tempo, per far ridere, ma l’amore manca. Il sorriso di una famiglia è capace di vincere questa desertificazione delle nostre città. E questa è la vittoria dell’amore della famiglia. Nessuna ingegneria economica e politica è in grado di sostituire questo apporto delle famiglie”.

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70 anni fa la resa del Giappone. Francesco: mai più guerra!

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“Mai più la guerra”, è l’appello rilanciato stamani dal Papa al termine dell’udienza generale, ricordando la fine della Seconda Guerra mondiale con l’atto di resa del Giappone, firmato nella Baia di Tokyo il 2 settembre 1945. Il servizio di Roberta Gisotti

“Il mondo di oggi non abbia più a sperimentare gli orrori e le spaventose sofferenze di simili tragedie”.

Francesco prende atto delle tante guerre che l’umanità ancora sperimenta e che rendono questo appello di dolorosa attualità:

“Questo è anche il permanente anelito dei popoli, in particolare di quelli che sono vittime dei vari sanguinosi conflitti in corso. Le minoranze perseguitate, i cristiani perseguitati, la follia della distruzione, e poi quelli che fabbricano e trafficano le armi, armi insanguinate, arme bagnate del sangue di tanti innocenti. 

Quindi, il “grido accorato”:

“Mai più la guerra!”

Un tema tabù quello delle armi, strumento di morte in ogni guerra, come osserva don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, Movimento cattolico internazionale per la pace:

R. – Bisogna riconoscere che Papa Francesco ci mette inquietudine, non ci lascia tranquilli… Ci ricorda in tutte le occasioni che ci sono tragedie, che la guerra poi si fa con le armi e che si è responsabili nel produrle. Se guardiamo a questo mondo – il Medio Oriente, l’Iraq, la Siria, il Nord Africa, l’Africa centrale, e potremmo andare avanti – ci rendiamo conto che le armi sono l’anima perversa che permette le guerre: queste ultime rappresentano poi le fabbriche dei profughi che scappano da noi. E quindi, il Papa sveglia le coscienze – dobbiamo ringraziarlo di questo – e ci chiede di continuare ad impegnarci di più su questo tema.

D. – In genere, si parla di "corsa" al riarmo e di "piccoli passi" sulla via del disarmo. A che punto siamo nell’agenda internazionale dei Paesi grandi produttori e anche dei Paesi acquirenti di armi?

R. – Forse, a parole, sembra che si facciano tante cose… I fatti, invece, sono che le armi sono un grande business! Pensiamo all’Italia: siamo grandi esportatori di armi e le vendiamo a Paesi in guerra. Le abbiamo vendute alla Siria, a Israele, all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen. E sappiamo come l’Arabia Saudita sia molto legata al sedicente Stato islamico… E quindi abbiamo le nostre responsabilità, assieme ad altri Paesi: i grandi interessi delle armi sono quelli che muovono l’economia e la geografia mondiale. Non ci sono i soldi per la vita, a volte per gli ospedali, per le scuole o per i lavoratori, mentre ci sono, in Italia e nel mondo, tanti ma tanti soldi per le armi...

D. – Il Papa ricorda le minoranze perseguitate: tra queste, i cristiani in tante parti del mondo in fuga dalle guerre, guerre che appunto permettiamo…

R. – Io sono stato come Pax Christi, e anche io personalmente, moltissime volte nel nord dell’Iraq, e in questi Paesi di cui si parla – Erbil, Mosul, Qaraqosh, Qaramless – da dove i cristiani fuggono. Conosco benissimo questi luoghi: per me, quella tragedia nel nord dell’Iraq ha il volto di tanti amici… Però, davvero, abbiamo guardato dall’altra parte, abbiamo ignorato per tanti anni. Poi, abbiamo venduto armi anche lì e oggi le minoranze cristiane, e anche gli yazidi, stanno vivendo un inferno sulla terra. Il non guardare, o l’abituarci a questo, credo sia una grande tragedia. Pensiamo anche a tutti i rapiti – uno per tutti padre Dall’Oglio – ma vorrei anche ricordare la situazione della Palestina, dei cristiani in Palestina, e non solo. In questi giorni, il progetto del Muro, che tocca la comunità di Cremisan, dovrebbe svegliare le nostre coscienze, quelle delle nostre parrocchie e di noi parroci, e portarci a dire: “Ma la nostra pastorale tiene conto di questa situazione? Le nostre catechesi – come fa Papa Francesco – tengono conto delle tragedie di questi nostri fratelli dimenticati, oppressi e vittime di guerre, di tragedie o di epurazione etnico-religiosa?” Forse la risposta è "no", e Papa Francesco ci tira la "giacchetta" su questo.

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Appello del Papa per operai Volterra. Il vescovo: Stato sociale finito

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Durante i saluti ai pellegrini presenti all’udienza generale, Papa Francesco ha rivolto il suo pensiero agli operai della Smith Bits di Saline di Volterra, in provincia di Pisa. Si tratta di circa 100 persone rimaste senza lavoro, giunte in Piazza San Pietro con il vescovo di Volterra, mons. Alberto Silvani. La Smith Bits è una multinazionale americana che rea­liz­za componenti per le per­fo­ra­zioni petro­li­fere. Il Papa ha auspicato “che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una rapida ed equa soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente per riaccendere la speranza nelle loro famiglie”. Ascoltiamo mons. Silvani al microfono di Sergio Centofanti

R. – Siamo venuti per chiedere una benedizione, una preghiera, un’intercessione. Anche come Chiesa non potevamo lasciarli da soli, questa gente, queste persone. Anche se non so quali prospettive potranno esserci …

D. – Qual è la situazione del lavoro a Volterra?

R. – A Volterra il lavoro non c’è più. Ormai si vive soltanto sul terzo settore: alberghi, pensioni, ristoranti, cioè sul turismo, in realtà. Ma non è che duri molto anche quello, eh?

D. – Quindi, la Chiesa è in prima linea per difendere i lavoratori …

R. – Sì, nel rispetto dei diritti di tutti, come ha detto il Papa, perché capisco bene che anche la ditta avrà altri obiettivi, altri interessi, ma quello che dispiace è che nella mentalità corrente è finito lo Stato sociale, cioè ciascuno si deve arrangiare da solo. Le persone sono licenziate, lasciate a casa e si aggiustino per conto loro! Menomale che c’è la cassa integrazione, qualche sussidio che poi però finisce … E io prevedo che, andando avanti, sarà sempre peggio!

D. - Walter Gugliotta, lei è un lavoratore della Smith. Come avete accolto le parole del Papa?

R. – Bellissime, bellissime! Sicuramente un aiuto per noi e un altolà alla prepotenza delle multinazionali che creano disoccupati tutti i giorni e non pensano soprattutto – come ha detto il Papa – alla famiglia: alla famiglia che è il nucleo essenziale della società. Se non si salvaguarda il benessere della famiglia, finisce la società! Noi abbiamo accolto le parole del Papa molto bene.

D. – Qual è la vostra situazione, adesso?

R. – La nostra situazione è che l’azienda ha deciso di mantenere 78 persone in forza al lavoro, tagliandone 114. Quindi 114 persone su 193 totali attualmente sono senza lavoro. Quindi noi aspettiamo delle risposte da parte delle istituzioni che hanno fatto delle promesse: c’è un tavolo aperto al Ministero dello sviluppo economico, con Enel ed Eni; speriamo che questo porti un poco di occupazione in una zona già degradata con un tasso di disoccupazione altissimo.

D. – Come vivono le vostre famiglie?

R. – Le nostre famiglie vivono con il timore, con la paura continua che non ci sia un domani. Il problema è che ci sono i mutui da pagare, le bollette arrivano ogni mese … abbiamo ora gli ammortizzatori sociali ridotti in virtù della Legge Fornero – quasi dimezzati! – e quindi abbiamo 12 mesi al di sotto dei 40 anni, 18 tra i 40 e i 50 e 24 mesi al di sopra dei 50; finiti questi ammortizzatori sociali, siamo senza stipendio e senza lavoro. Quindi, la cosa – se viene fatta – dev’essere fatta entro quest’anno. Altrimenti ci troviamo davvero in gravi condizioni: senza reddito.

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Giornata del Creato: Papa presiede Liturgia della Parola in S. Pietro

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In comunione e in contemporanea con i fratelli ortodossi, ma anche con tutte le persone di buona volontà, la Chiesa cattolica, per volere del Papa, si è riunita ieri pomeriggio per la prima volta per celebrare la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato. Papa Francesco ha presieduto in San Pietro una speciale liturgia della Parola. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

“Signore, riversa in noi la forza di prenderci cura della vita, di vivere come fratelli, di seminare bellezza e non distruzione, e insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa ….”. Così in diverse lingue, l’Assemblea prega e canta durante la Liturgia della Parola in questa giornata voluta dal Papa. E di Creazione, interdipendenza nell’universo e responsabilità dell’uomo, parla anche, nell’omelia, il predicatore della Casa Pontificia.

Il dominio dell'uomo sulla natura non è sfruttamento
All’origine della crisi ecologica attuale, ricorda padre Raniero Cantalamessa, c’è un dominio indiscriminato dell’uomo sulla natura, errata interpretazione di quanto sta scritto nella Genesi: “Riempite la terra e soggiogatela, dominate su ogni creatura”. Ma ciò non significa, spiega, “sfruttamento”:

"Il dominio di Dio sulle creature non è certo finalizzato al proprio interesse, ma a quello delle creature che egli crea e custodisce. C’è un parallelismo evidente: come Dio è il dominus dell’uomo, così l’uomo deve essere il dominus del resto del creato, cioè responsabile di esso e suo custode. L’uomo è creato perché sia 'ad immagine e somiglianza di Dio', non di padroni umani".

C'è una gerarchia della vita in natura
L’uomo a immagine di Dio è dunque “garanzia e non minaccia per il Creato”, quel "talento ricevuto di cui dobbiamo rendere conto”. La Bibbia, spiega padre Raniero, ci svela anche la gerarchia presente in natura che le dà senso, collegando tutti gli esseri viventi tra loro e all’uomo:

"Questa gerarchia viene violata, per esempio, quando si fanno spese pazze per degli animali (e non certo per quelli in pericolo di estinzione!), mentre si lasciano morire di fame e di malattie milioni di bambini sotto i propri occhi".

Preoccuparsi delle future generazioni
E all’uomo cui è affidato l’universo si collega la riflessione sul futuro. Lo dice il Vangelo, lo riprende il Papa nella Laudato Si’, sottolinea padre Raniero: ”non preoccupatevi del vostro domani, ma preoccupatevi del domani dei futuri abitatori di questo pianeta”. Questo significa condannare la ricchezza accumulata a spese del prossimo:

"Nessuno può servire seriamente la causa della salvaguardia del Creato se non ha il coraggio di puntare il dito contro l’accumulo di ricchezze esagerate nelle mani di pochi e contro la tirannia del denaro".

San Francesco e il Creato: contemplazione e non possesso
Infine la riflessione sull’apporto della fede alla salvaguardia del Creato. Il modello, in questo, dice padre Raniero, è Francesco d’Assisi. Per lui l’unicità di un Dio Creatore bastava a “mettere il mondo intero in stato di fraternità e di lode”:

"Francesco ci addita la strada per un cambiamento radicale del nostro rapporto con il creato: questa rivoluzione consiste nel sostituire al possesso la contemplazione. Egli ha scoperto un modo diverso di godere delle cose che è quello di contemplarle, anziché possederle".

Non essere ladri di risorse
Il possesso esclude e divide, la contemplazione include e moltiplica, precisa padre Cantalamessa. Si tratta  di un "possesso più vero e profondo, un possedere dentro, con l’anima, e non con gli occhi". Un atteggiamento religioso non campato in aria, osserva il predicatore della Casa pontificia, ma che spingeva Francesco ad atti concreti, validi anche per noi oggi, come il non essere ladri di risorse, usandone più del dovuto, e soprattutto pensare a quanto possiamo fare già nella nostra vita quotidiana per il pianeta:

"Che senso ha, per esempio, prendersela con chi inquina l’atmosfera, gli oceani e le foreste, se io non esito a gettare in riva a un torrente o al mare, un sacchetto di plastica che rimarrà lì per secoli, se qualcuno non lo recupera, se butto dove capita, strada o bosco, quello di cui mi voglio liberare, o se imbratto le mura della mia città?".

La salvaguardia del Creato, come la pace, si fa, direbbe il nostro Santo Padre Francesco, “artigianalmente”, cominciando subito da se stessi. O come dicevano, ricorda padre Raniero, già gli ortodossi nel 1989: “Senza un cambiamento del cuore dell’uomo, l’ecologia non ha speranze di successo”.

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Ufficio Filatelico e Numismatico celebra Giubileo Misericordia

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“Papa Francesco verso l’Anno Santo della Misericordia”: è questo il titolo dello speciale folder con cui l’Ufficio Filatelico e Numismatico vaticano celebra il cammino dell’anno giubilare, che avrà inizio il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione. L’organismo dedica inoltre da oggi una serie filatelica ai viaggi di Papa Francesco nel mondo, realizzati nell’anno 2014, ed emissioni filateliche relative al prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie di Filadelfia, al Sinodo dei Vescovi, al centenario della morte del Beato e martire Ignazio Maloyan e alla proclamazione di San Gregorio di Narek dottore della Chiesa. Partendo dall’iniziativa per il prossimo Giubileo della Misericordia, Giada Aquilino ha intervistato Mauro Olivieri, direttore dell'Ufficio Filatelico e Numismatico vaticano: 

R. – Abbiamo deciso di fare un folder intanto a metà dell’anno in corso, contenente un foglio di francobolli in lire che riproduce la Porta Santa e due buste affrancate, obliterate, con Papa Francesco. Il folder si chiama: “Verso l’Anno Santo della Misericordia”. E’ il primo passaggio filatelico che facciamo nella direzione dell’Anno Santo, che verrà inoltre ricordato con una serie di emissioni che punteggeranno e sottolineeranno tutta l’annata filatelica: cinque emissioni di due valori l’una, cominciando con quella di novembre che sarà proprio in vista dell’inizio dell’Anno Santo.

D. – Che valore hanno, anche come riflessione?

R. – Volevamo sottolineare appunto il passaggio storico di questo Anno Santo indetto da Papa Francesco con una raffigurazione filatelica, quindi con una serie di francobolli, molto bella tra l’altro, raffigurante la Porta Santa che verrà aperta la sera dell’8 dicembre e poi con due buste nelle quali in una è raffigurato il Pontefice con uno sfondo della medesima Porta e nell’altra il Santo Padre che bacia una giovane durante un’udienza. Sono immagini del Papa come abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo, attento soprattutto ai più deboli.

D. – Tra l’altro nella Lettera con cui si concede l’indulgenza in occasione del Giubileo, il Papa esorta a una “genuina esperienza della misericordia di Dio” che va incontro, accoglie e perdona. Francesco ha citato anche il caso dell’aborto, per chi si sia pentito “di cuore”. In che modo iniziative come queste contribuiscono a realizzare questa esperienza di misericordia?

R. – Noi facciamo del nostro meglio, proviamo a dare una forma grafica ai passaggi del Santo Padre. Lo facciamo con dedizione, con attenzione, con umiltà, nel senso che è nostro obiettivo riuscire a realizzare oggetti che in qualche modo siano espressione del suo magistero. Una cosa bella, che abbiamo fatto recentemente, è un francobollo dedicato ai migranti: il ricavato della vendita di questo francobollo verrà poi donato al Santo Padre per opere di misericordia nei confronti dei migranti. E in questo contesto abbiamo realizzato anche un folder per il 150.mo anniversario della Guardia Costiera, delle Capitanerie di Porto italiane, che tanto si stanno adoperando per soccorrere in mare queste persone.

D. – L’Ufficio Filatelico e Numismatico ha pure dedicato una serie filatelica ai viaggi di Francesco nel mondo, nell’anno 2014, quindi Terra Santa, Sud Corea, Tirana, Strasburgo e Turchia. Di cosa si tratta?

R. – Si tratta dell’emissione classica che facciamo ogni anno, tradizionalmente, a ricordo dei viaggi dei Pontefici durante l’anno precedente a quello d’emissione. In questo caso ricordiamo i viaggi compiuti da Papa Francesco. In particolare interessante è il viaggio in Terra Santa, in emissione congiunta con lo Stato di Israele: abbiamo raffigurato la chiesa del Santo Sepolcro ed è una bella emissione composta di quattro valori e un foglietto; il foglietto appunto è quello realizzato congiuntamente con Israele.

D.  – I viaggi del Pontefice ci riconducono a un’altra iniziativa, quella delle emissioni dedicate all’Incontro Mondiale delle Famiglie a Philadelphia, dove si recherà il Papa…

R.  – Abbiamo inteso realizzare un francobollo a ricordo di questo importante viaggio. Verrà realizzata tra l’altro anche la moneta da due euro che è in uscita il prossimo 6 ottobre, dedicata alla stessa tematica. Papa Francesco sta dedicando tanta della sua energia a sostegno della famiglia e a ricordarne l’importanza e il fondamento per la società di sempre e in particolare per quella moderna. E’ un bel francobollo che raffigura alcune famiglie, sullo sfondo dei grattacieli di Filadelfia.

D. – E altre iniziative sono quelle legate al prossimo Sinodo dei Vescovi, ma anche al centenario della morte del Beato e martire Ignazio Maloyan e alla proclamazione di San Gregorio di Narek dottore della Chiesa…

R.  – Sono emissioni molto importanti, anche queste che sottolineano due passaggi, anch’essi importanti, del pontificato di Francesco. Sappiamo tutti l’importanza del Sinodo dell’anno scorso e di quello di quest’anno: sarà l’assemblea generale del Sinodo dei vescovi, che cade proprio nel cinquantenario dell’istituzione del Sinodo da parte di Papa Paolo VI. Quindi abbiamo fatto due valori molto belli, realizzati dall’artista Mariangela Crisciotti: uno raffigura il Papa attuale con una famiglia e l’altro invece raffigura Paolo VI con dei vescovi. L’altra serie è un mini-foglio dedicato appunto al centenario del martirio del Beato Ignazio Maloyan e all’elevazione a dottore della Chiesa di San Gregorio di Narek. Sono due vescovi armeni, quindi un ricordo di due importanti personaggi della storia della cristianità armena. E ovviamente non sfuggirà il collegamento con il massacro degli armeni e con quella storia drammatica e terribile di 100 anni fa.

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Oggi in Primo Piano



Migranti: in arrivo regole Ue. P. Kiskinis: finora fatto poco

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L’Unione Europea si appresta a varare nuove regole per far fronte all’emergenza dei flussi migratori che da più parti si stanno riversando entro i suoi confini. Le aree più problematiche restano Budapest, dove la stazione Keleti è ancora chiusa dalla polizia, le isole greche, a largo delle quali si contano almeno 11 migranti morti la notte scorsa in due naufragi, e i confini italiani su cui si stanno rinforzando i controlli. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il primo appuntamento sarà domani, quando i leader di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo riceveranno il premier ungherese, Orban, che a Bruxelles va per spiegarsi dopo che il suo vice ha accusato apertamente la cancelliera tedesca Merkel del caos alla stazione Keleti di Budapest da giorni accampamento di profughi che continuano a manifestare perché bloccati dalle forze di polizia. Vogliono raggiungere la Baviera senza registrarsi, un sogno che paralizza i controlli e che la Germania ha alimentato con la promessa di aprire le sue frontiere. Intanto, 2.000 soldati al confine con la Serbia non servono ad arginare gli arrivi, circa 3 mila ogni giorno. Quasi 2.300 persone, nelle ultime 24 ore, hanno raggiunto l’Ungheria, oltre 3.500 Vienna, 2.000 Monaco. L’Italia si dice disponibile a ripristinare i controlli al Brennero e a sospendere gli accordi di Schengen. La Germania pensa a rivedere la Costituzione per trovare una soluzione all’accoglienza. ”Serve una politica unitaria”, dice il premier italiano, Renzi, ”l’Ue si gioca la faccia”. Regole condivise, meccanismi ad hoc di protezione, procedure migliori sono le proposte di cui si discute e che potrebbero uscire dalla riunione della Commissione Ue l’8 settembre e dei ministri dell’Interno. il 14.

Ma con quali aspirazioni tanti siriani guardano alla Germania e all’Europa? Lo abbiamo chiesto a padre Leone Kiskinis, parroco cattolico nelle isole greche di Kios e Lesvos, dove ogni giorno arrivano oltre mille persone:

R. – Si tratta di persone, prevalentemente di nuclei familiari anche abbastanza - se posso dire - agiati, che cercano di trovare una via di scampo. Il loro sogno è quello di arrivare in una Europa che possa rispondere ai loro bisogni.

D. – E c’è la consapevolezza che comunque, anche per arrivare in Germania, ci saranno dei problemi ulteriori?

R. – Queste persone hanno una visione molto romantica dell’Europa, come di un continente che può accogliere tutti… Ma non è vero, non è per niente così. Le persone che fuggono sono contente di poter arrivare qui, in Europa, ma poi la strada da percorrere è ancora lunga e non ne sono consapevoli: è questo che io ho capito… Ma è così tanta la voglia di scappare da una realtà di guerra che tutto il resto è, diciamo così, superfluo.

D. – Idealmente, è molto triste che persone che scappano da luoghi in cui sono perseguitate, poi trovino in Europa un ulteriore respingimento o barriere. Lei che ne pensa?

R. – Sì, esatto: sono sempre persone. È vero che ricevono la solidarietà da parte delle organizzazioni non governative, ma non basta.

D. – In queste ore, nei prossimi giorni, e forse anche la prossima settimana, ci sono degli importanti appuntamenti che l’Europa si sta dando per trovare nuove regole. Lei, che sta seguendo questo dramma da tempo, si è fatto un’idea di che cosa sia la cosa più urgente?

R. – Io mi trovo nella zona in cui questi migranti possono passare senza grandi difficoltà, nel senso che non si può costruire un muro in mezzo al mare tra Grecia e Turchia. Ma credo che l’Europa debba garantire loro un futuro prospero, o almeno di sopravvivenza, perché – mi creda – scappano da una realtà non vivibile: queste persone hanno di fronte a loro la morte o la vita.

D. – Quindi, non pensano di poter tornare più nella loro terra? La considerano qualcosa di chiuso?

R. – Sì… Dopo questi cinque anni di guerra e massacri, è ancora lontano il momento in cui potranno rientrare nelle loro terre. Quindi, la Grecia, l’Italia e l’Europa sono per loro proprio una via di scampo, l’unica sicura, e che possa garantire la loro incolumità.

D. – Per tanti che sono riusciti ad arrivare – lei dice che ogni giorno ce ne sono migliaia – di tanti non si sa più nulla. Tanti muoiono nel tratto di mare che li porta alle isole greche…

R. – Queste persone partono sfidando tutto. Li ho visti… Ho anche celebrato dei funerali e dato la benedizione ai cadaveri. È una situazione veramente drammatica e spero che l’Europa la possa affrontare.

D. – Il premier italiano oggi ha detto: “L’Unione Europea si gioca la faccia in questo momento”…

R. – La politica non ha dato prova di sé. Queste persone sognano l’Europa come una terra accogliente, che possa far vivere insieme tante culture e mentalità. E penso che l’Europa non abbia ancora dato loro questa risposta.

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Israele: le scuole cristiane protestano per il taglio dei sussidi

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Le scuole cristiane in Israele lanciano un forte allarme. Gli istituti rimarranno chiusi in questi primi giorni dell’anno scolastico per contestare le politiche dello Stato ebraico, considerate discriminatorie, e che prevedono sensibili diminuzioni dei contributi pubblici agli istituti. Si tratta di una situazione che sta mettendo a rischio l’importante funzione sociale che le scuole svolgono nei confronti delle famiglie cristiane e non cristiane. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Marwan Dedes, direttore generale delle Scuole della Custodia francescana di Terra Santa: 

R. – Bisogna parlare soprattutto della storia delle nostre scuole cristiane in Terra Santa. Bisogna dire che le primissime – prima dello Stato di Israele o di quello giordano o inglese – erano state create dai conventi, dai frati e delle suore che erano in missione qui. Dunque, abbiamo una lunga storia di servizio accademico per i nostri scolari cristiani e anche quelli non cristiani. Di solito, la legge israeliana dà sussidi alle scuole private e non private in base a tantissimi criteri che riguardano: il numero degli studenti, gli spazi, il numero dei docenti, il numero degli impiegati … Ora il governo israeliano ha deciso di diminuire questi aiuti; queste scuole accolgono più di 10 mila ragazzi! La retta scolastica a carico dei genitori non arriva a coprire nemmeno il 50% delle spese necessarie per ogni ragazzo: praticamente dipendiamo dal sussidio che prendiamo dal governo e lì nasce il vero problema. Le condizioni per poter prendere i sussidi che si davano prima, e che si dovrebbero dare ancora, non possono essere da noi accettate facilmente, perché limitano la libertà della scuola cristiana privata nel suo lavoro e nel suo modo di agire.

D. - Da voi ci sono studenti cristiani ma anche musulmani. Quindi la scuola ha un importante ruolo di coesione nel tessuto sociale  …

R. – Le nostre scuole – e parlo delle scuole cristiane, non solo della Custodia, ma di tutte le congregazioni che ci sono in Terra Santa – sono sempre state aperte a tutti. In alcune ci sono addirittura ragazzi ebrei. Ma in genere la popolazione scolastica è composta da cristiani e musulmani che vivono bene insieme, in sintonia e in quei luoghi possiamo trasmettere i nostri valori comuni: fratellanza, pace, amore, carità, volontariato … Oltre a questo, facciamo un servizio accademico, che potrebbe portare – e porta di fatto – i ragazzi verso le università migliori. Quindi noi stiamo offrendo anche una futura qualità di lavoro. Le decisioni dei governo, quindi, danneggiano molto la coesione che c’è tra i nostri studenti, ma non solo il tessuto sociale, ma anche il loro stesso futuro.

D. - Lei pensa che ci sia la possibilità di dialogare con il governo israeliano e arrivare ad un accordo?

R. - Il segretario generale per le scuole cattoliche, padre Abdel-Masih Fahim, sta portando avanti delle trattative con il governo israeliano. È lui che segue tutta la causa come rappresentante di tutte le scuole, cattoliche e non cattoliche, cioè di tutte le scuole cristiane israeliane nei territori della Terra Santa. Il dialogo è ancora aperto e noi abbiamo ancora speranza.

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Unicef: liberati in Centrafrica altri 163 bambini soldato

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Prosegue in Repubblica Centrafricana la liberazione di bambini soldato da parte di gruppi armati. Altri 163 bambini, tra cui cinque ragazze, sono stati rilasciati dalla milizia anti-balaka, durante una cerimonia nella città di Batangafo, a ovest del Paese. Ad annunciarlo, lo scorso 29 agosto, è un comunicato Unicef: da maggio l’attuale processo di smobilitazione, che è stato raggiunto grazie a un accordo firmato da 10 gruppi armati attivi nel Paese, ha consentito la liberazione di 645 minori. Maria Caterina Bombarda ha intervistato il presidente dell’Unicef-Italia, Giacomo Guerrera

R. – La situazione del Paese è questa: ci sono dai seimila ai diecimila bambini trattenuti da queste milizie armate per motivi diversi, direttamente coinvolti nei combattimenti o utilizzati per servizi diversi. Questa è una situazione grave sulla quale noi interveniamo attraverso il dialogo, cercando di convincere queste milizie a rilasciare questi bambini. Cerchiamo soprattutto di convincere il governo. Lo abbiamo fatto e il risultato è questo: da maggio, sono stati liberati più di 600 bambini e “acquisiti” da noi, portati nei centri dove è possibile aiutarli a superare il momento iniziale.

D. – In che condizioni vengono rilasciati questi bambini e che conseguenze ha sul loro presente, sul loro futuro, l’arruolamento?

R. – I bambini vengono rilasciati in una situazione piuttosto difficile, non voglio adoperare termini più pesanti. Vengono proprio rilasciati perché costretti a farlo, perché noi siamo molto pressanti nel sollecitare queste azioni di rilascio. Vengono rilasciati e inseriti subito in centri, dove assieme ai nostri psicologi e ai nostri operatori sanitari cerchiamo di metterli in condizione di recuperare una vita normale, attraverso l’istruzione e le prime cure che è possibile dare a persone a bambini che si trovano in queste condizioni.

D. – Per quanto riguarda il recupero dei bambini soldato, concretamente i primi passi da compiere sono insieme con persone esperte e adulte…

R. – È proprio questo il punto. Non si può improvvisare. Guai a improvvisare in queste cose! Guai a fare in maniera superficiale questo tipo di intervento! Noi lo facciamo con personale specializzato, che cerca di comprendere quale sia la situazione del bambino in quel momento, perché è solo così che può avvenire il recupero. Lo facciamo e abbiamo avuto dei grandi successi, anche grazie alle possibilità che riusciamo a mettere insieme provenienti dalla generosità di tanti - anche italiani - che credono nel nostro intervento.

D. – Questo rilascio può considerarsi una delle tante vittorie avvenute in seguito alla sigla di un accordo firmato tre mesi fa da dieci gruppi armati volto alla liberazione di minori. Che ruolo ha avuto Unicef in questo contesto?

R. – In questa situazione, l’Unicef ha avuto un ruolo importante. Siamo stati i messaggeri di quelli che sono i diritti fondamentali previsti dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia: abbiamo chiesto che un Paese che ha ratificato questa Convenzione non può consentire l’esistenza al suo interno a situazioni di questo genere. Abbiamo fatto pressione sui gruppi armati, ma anche sul governo locale, e i risultati ci sono stati.

D. – Vuole rivolgere un appello alla comunità internazionale?

R. – Sì, vorrei rivolgere un appello agli italiani, affinché ci diano ancora di più sostegno con il loro aiuto per i progetti che portiamo avanti. Voglio dire alla comunità internazionale che queste azioni di violenza nei confronti dell’infanzia hanno le gambe corte, non vanno oltre il periodo limitato. Su questo noi vogliamo mettere l’accento, perché siamo impegnati a far fare marcia indietro su tutte queste situazioni di violenza nei confronti dell’infanzia.

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Venezia, film ad alta quota in "Everest" e "Storie sospese"

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Giornata inaugurale della Mostra del Cinema di Venezia: in Sala Grande, alla presenza del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, accolto dal presidente della Biennale, Paolo Baratta, proiezione di uno spettacolare film americano, "Everest", protagonista la montagna e i suoi pericoli. Alle Giornate degli Autori, invece, un film italiano, "Storie sospese", invita a riflettere sulla fragilità della natura. Dal nostro inviato a Venezia, Luca Pellegrini

Ieri, Papa Francesco ha invitato alla preghiera per la cura del Creato. Infatti, l'uomo spesso si macchia di peccati contro la natura, dettati dal profitto, dal piacere, dal fanatismo. E la Mostra di Venezia si apre con un film di grande impatto spettacolare in cui è la natura maestosa che diventa protagonista. Quella di "Everest", così il titolo del film inaugurale, ispirato agli eventi accaduti nel 1996 durante una spedizione volta a raggiungere la vetta della montagna più alta del mondo e conclusasi in modo tragico. Girato sul ghiacciaio trentino della Val Senales con un cast di attori conosciuti, il film tenta di instillare, più che un avvertimento ecologico sui guasti arrecati da spedizioni improvvisate che violano i monti e affrontano pericoli estremi, quello del coraggio e del sacrificio, in puro stile hollywoodiano. Di contro un piccolo film italiano, "Storie sospese" di Stefano Chiantini, alle Giornate degli Autori, ambientato sull'Appennino tosco-emiliano - sono fatti reali accaduti nel 2014 nel paese di Ripoli - suscita pensieri che più ci riguardano: Thomas, interpretato da Marco Giallini, è uno scalatore a servizio di una società che sta costruendo una galleria autostradale mentre le frane continue dividono gli abitanti tra esodo e lotta. E' lo stesso regista che spiega perché ha voluto girare questo film.

“Mi piaceva l’idea di raccontare attraverso lo sguardo di quest’uomo, calandolo in una situazione particolare come quella di un paesino dove gli scavi di un’autostrada hanno avviato una strada. Mi piaceva raccontare una realtà sociale, oggi molto comune in Italia, sottolineandola però con delicatezza e in maniera un po’ indiretta, non affrontandola direttamente ma raccontandola attraverso un uomo che si ritrova nel paese”.

Rispetto per la creazione, una coscienza ecologica. Il suo film riprende, in una chiave narrativa semplice, alcuni temi cari a Papa Francesco:

“Sì, assolutamente, sì perché io non volevo prendere una posizione su se è giusta o sbagliata quell’opera in particolare. Quello su cui vorrei riflettere e su cui invito a riflettere è che è chiaro che per fare opere di progresso bisogna in qualche modo agire sull’ambiente. La cosa su cui dissento è il bisogno di queste opere di progresso. Secondo me, noi abbiamo già abbastanza cose: basterebbe recuperarle e migliorarle e non sempre fare nuove cose porta al risultato che uno si aspetta. Bisogna recuperare un po’ un ritmo diverso di vita e bisogna tutelare il patrimonio ambientale che abbiamo”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia. Vescovi Caribe: scandalose le espulsioni dal Venezuela

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“Scandalosa ed infame”: così i vescovi della regione del Caribe, in Colombia, definiscono l’espulsione, avvenuta in questi giorni, di cittadini colombiani dal Venezuela. All’origine della decisione di Caracas, una sparatoria al confine tra i due Paesi, in cui sono rimasti feriti tre soldati e un civile venezuelani. Caracas ha attribuito l’episodio a "forze paramilitari colombiane", decidendo poi di dichiarare lo stato di emergenza e di chiudere le frontiere, fino a quando non sarà stroncata, nel Paese confinante, la vendita di prodotti venezuelani di contrabbando. Di qui, il dramma di oltre mille colombiani espulsi. A loro, i vescovi del Caribe esprimono “preghiera e solidarietà”.

Valore della vita disprezzato in molte forme
La dichiarazione dei presuli arriva al termine di una riunione svoltasi a Barranquilla dal 26 al 28 agosto ed alla quale hanno preso parte, oltre ai presuli stessi, anche i rappresentanti delle reti sociali per lo sviluppo e la pace nella regione. Il documento finale dei lavori scatta, infatti, una fotografia amara della situazione attuale nella zona: “Viviamo tempi difficili e caotici – si legge nel testo – evidenti nel disprezzo per il valore fondamentale della vita espresso in molte forme”.

Conflitto armato, povertà e corruzione oscurano orizzonte sociale
E qui vengono citati “il prolungato conflitto armato, il  rafforzamento delle possibilità militari delle organizzazioni criminali; il flagello del narcotraffico; la polarizzazione della società in amici e nemici; il crescente deterioramento ambientale e l’aumento della corruzione; la siccità e la malnutrizione che affliggono le famiglie più povere”: tutti fattori, sottolineano i vescovi, che “hanno oscurato l’orizzonte della costruzione di una nuova società riconciliata e pacifica, desiderio comune di tutta la regione”.

L’amore misericordioso spalanca orizzonti del perdono
Per questo, i presuli ribadiscono il loro impegno a “lavorare per la riconciliazione e la pace ispirate dai valori evangelici” ed a “rafforzare le organizzazioni cattoliche ed i processi educativi che contribuiscono ad una cultura della pace”, ampliando la partecipazione dei cittadini alla vita della società e contribuendo al “miglioramento delle condizioni di vita delle comunità”. Centrale, poi, il richiamo a “rafforzare la riconciliazione sociale basata sulla verità che non può essere nascosta né deformata, sulla giustizia, che rende possibile recuperare pienamente tutti i diritti, e sull’amore misericordioso, che spalanca gli orizzonti del perdono”.

Promuovere diritti umani, verità e giustizia
Nelle parole dei vescovi colombiani è racchiuso “il sogno” di una regione del Caribe caratterizzata da “ricchezze naturali, pluralità etnica, cultura della riconciliazione e della pace in comunione con Dio, con gli altri e con la natura; la pratica di valori come armonia, dialogo, perdono, fiducia, misericordia; la promozione di diritti umani, della verità, della giustizia; la ricostruzione del tessuto sociale in modo partecipativo ed inclusivo”.

Beati gli operatori di pace!
“Beati gli operatori di pace!”, scrivono infine i presuli del Caribe, richiamando un passo dell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco in cui si ricorda che il modo più adeguato di porsi di fronte al conflitto è “accettare di sopportarlo, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo”. (A cura di Isabella Piro) 

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India: vescovi di Orissa istituiscono “Giornata dei Martiri”

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I vescovi dello Stato indiano di Orissa hanno deciso all’unanimità di istituire una “Giornata dei Martiri”, dedicandola alle vittime dei massacri anticristiani avvenuti nel distretto di Kandhamal nel 2008. Come l’agenzia Fides apprende dalla Chiesa locale, la Giornata sarà celebrata nel mese di agosto di ogni anno. Lo hanno deciso i cinque vescovi dello Stato (delle diocesi di Sambalpur, Berhampur, Rourkela, Balasore e Cuttack-Bhubaneswar) nel corso della loro Assemblea annuale. Finora la Chiesa locale aveva celebrato una “Giornata della memoria”, per ricordare le vittime dei massacri.

La data esatta della Giornata in accordo con le famiglie delle vittime
​L'arcivescovo John Barwa, presidente del Consiglio dei vescovi dell’Orissa, conferma a Fides che “la data esatta sarà decisa in accordo con le famiglie delle vittime. Intendiamo dare loro profonda consolazione, perpetuando la memoria dei loro cari e riconoscendoli come martiri”. “Quanti furono uccisi durante la persecuzione anticristiana nel 2008 meritano il nostro impegno, onore, rispetto e riconoscimento: sono morti per la loro fede cristiana e la testimonianza di Cristo”, spiega a Fides mons. Sarat Chandra Nayak, vescovo di Berhampur.

La richiesta di estendere la Giornata all'intera nazione
Mons. Simon Kaipuram, vescovo di Balasore, riferisce a Fides che “il Consiglio episcopale dell’Orissa chiederà alla Conferenza episcopale dell’India di estendere la celebrazione della Giornata all’intera nazione”. “Accolgo con favore questa decisione. Dobbiamo riconoscere i morti di Kandhamal 2008 come martiri della fede”, commenta a Fides il laico cattolico John Dayal, segretario generale dell'All India Christian Council (Aicc) e membro del Consiglio per l'integrazione nazionale del governo indiano. “E’ importante che l’intera società civile in India ricordi i massacri di Kandhamal: è l'attacco più feroce che i cristiani hanno subito nella storia. E le vittime sono state tradite dal sistema di giustizia penale”, aggiunge Dayal.

Nei pogrom furono uccisi 90 cristiani. 55mila gli sfollati
Nella violenza che si scatenò il 25 agosto 2008 nel distretto di Kandhamal, oltre 90 cristiani furono uccisi, più di 350 tra chiese e luoghi di culto furono distrutti, circa 6.500 case rase al suolo, 40 donne furono vittime di stupri e sevizie, oltre 56mila cristiani furono cacciati dai loro villaggi. (S.D.- P.A.) 

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Vescovi Filippine: non equiparare unioni gay a matrimonio

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“Un’unione omosessuale non è e non potrà mai essere un matrimonio propriamente inteso”. E’ quanto ribadisce la Conferenza episcopale filippina (Cbcp) in una lettera pastorale pubblicata in questi giorni che esorta i fedeli ad impegnarsi personalmente per testimoniare “la verità sulla sessualità umana”. Una verità - afferma - contraddetta oggi “sia dall’accettazione della pratica dell’omosessualità, sia dall’ingiusta discriminazione contro le persone gay”.

La legalizzazione delle nozze omosessuali “gravemente immorale”
Intitolata “Una risposta pastorale all’accettazione degli stili di vita omosessuali e alla legalizzazione  delle unioni omosessuali”, la lettera richiama in particolare il “dovere morale” dei legislatori e dei politici di “opporsi con chiarezza e pubblicamente” ad ogni progetto legislativo orientato in questo senso: “Votare a favore di una legge così dannosa per il bene comune - ammoniscono i presuli - sarebbe gravemente immorale”.

I fondamenti antropologi e biblici del matrimonio eterosessuale
La prima parte del documento ricorda i fondamenti antropologi e biblici del matrimonio eterosessuale , ovverosia  “la complementarietà sessuale” tra uomo e donna “uguali nella dignità, ma allo stesso tempo diversi e non interscambiabili” e la capacità di procreare. La lettera si sofferma quindi sulla natura dell’omosessualità secondo il Magistero della Chiesa, ricordando la distinzione tra orientamento omosessuale, che di per sé non è un peccato, e gli atti omosessuali che “anche se espressione di un amore genuino tra due persone dello stesso sesso”, sono “contrari alla legge naturale” e un “grave peccato contro la castità”.

Il dovere di opporsi a leggi ingiuste
Di qui l’esortazione a tutti i fedeli cattolici ad opporsi a leggi profondamente ingiuste, quali quelle che in diversi Paesi equiparano le unioni omosessuali a matrimonio . “Tali unioni – sottolinea la lettera pastorale  - non hanno nulla a che vedere con il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Sarebbe quindi un’ingiustizia riconoscere ad essi uno status legale identico a quello dei matrimoni eterosessuali”.

Unioni omosessuali e divorzio al centro del dibattito pubblico nelle Filippine
Dopo l’approvazione, nel 2012, della controversa Legge sulla salute riproduttiva che apre alla contraccezione e all’educazione sessuale, ma non all’aborto che resta illegale, la condizione degli omosessuali e il divorzio sono due questioni ampiamente dibattute nelle Filippine, con una pressione crescente di forze politiche e di settori della società civile per iniziative alle quali l’episcopato si oppone in quanto contrarie alla tradizione locale e alla morale cattolica.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Nigeria: lotta alla corruzione e difesa della famiglia

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Sono state la lotta alla corruzione e la difesa della famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna i due assi portanti della Plenaria dei vescovi cattolici della Provincia ecclesiastica di Ibadan, in Nigeria. Svoltosi il 17 e 18 agosto, l’evento ha riunito – per la seconda volta nel corso del 2015 – i vescovi di Ibadan, Ondo, Ilorin, Oyo, Ekiti e Osogbo. Al termine dei lavori, è stato diffuso un comunicato: intitolato “Scegliete oggi chi volete servire” (Giosuè (24,15), il documento è suddiviso in cinque punti ed è a firma di mons. Gabriel Abegunrin e mons. Felix Ajakaye, rispettivamente presidente e segretario della Provincia ecclesiastica di Ibadan.

No a corruzione e nepotismo, restaurare giustizia ed uguaglianza
Nel testo, i presuli esortano i cittadini nigeriani a cooperare con le istituzioni per risanare il Paese, “dimostrando una comune determinazione nel respingere la corruzione, il nepotismo, il favoritismo e restaurando un regime di giustizia ed uguaglianza, in cui vengano rispettati i meriti e predomini lo stato di diritto”. In secondo luogo, in vista del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, i vescovi di Ibadan invitano i loro delegati in Assemblea “a portare coraggiosamente la testimonianza del piano di Dio per l’umanità nella creazione dell’uomo e della donna e dei legami familiari”.

Matrimonio è unione tra uomo e donna. Contrastare ideologie contro la vita
“Di fronte a forti opposizioni – scrivono i vescovi – il mondo attuale ricaverà un grande beneficio dalla conferma del significato del matrimonio come unione tra un uomo ed una donna e, con la grazia di Dio, con i figli” che da essa nascono. “Ribadiamo la nostra convinzione assoluta – continuano i presuli – nella santità della vita umana e della famiglia e sottolineiamo che è dovere delle autorità far sì che l’esistenza dell’uomo sia tutelata dal concepimento fino alla morte naturale”. Di qui, il richiamo alla società affinché “faccia tutto il possibile per facilitare la crescita della famiglia come un modo per promuovere la genitorialità responsabile, la buona educazione dei figli e la riduzione della delinquenza giovanile”. Dal suo canto, la Chiesa nigeriana ribadisce il proprio impegno nel contrastare “le ideologie e le attività contro la vita”.

Appello ai giovani: l’onestà è la migliore politica
Un appello speciale, poi, i vescovi nigeriani lo rivolgono ai giovani, “troppo spesso accusati di violenze, delinquenze e delitti vari”. Per questo, i presuli li esortano a moltiplicare gli sforzi per “cambiare questa opinione” diffusa, diventando “agenti credibili di cambiamento ed apostoli della misericordia di Dio in famiglia, nel Paese e nel mondo”. “Ciò deve essere fatto – sottolinea la Provincia ecclesiastica di Ibadan – attraverso un positivo impegno nei mass media contemporanei e la scelta deliberata di buoni costumi e comportamenti”, perché “è bene che i giovani ricordino che, in tutti i rapporti, l’onestà rimane la migliore politica ed il segno distintivo della fede e della cristianità”. 

Ai consacrati: svegliate il mondo!
Guardando, poi, all’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco ed in corso fino al 2 febbraio 2016, i presuli raccomandano ai consacrati di cogliere l’occasione per rinnovare il loro voto di impegno totale a Cristo, lavorando per “svegliare il mondo”, così come scritto dal Pontefice nella Lettera di indizione dell’evento. Le ultime righe della nota episcopale, infine, ricordano che “la Nigeria è stata riconosciuta come una delle nazioni più religiose al mondo” ed esortano i fedeli alla preghiera per il bene del Paese. (A cura di Isabella Piro) 

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Singapore: Chiesa chiede ai cattolici voto morale e responsabile

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“Come cittadini dello Stato, siamo chiamati a partecipare alla vita pubblica secondo le nostre personali capacità. Queste due sfere, religione e politica, sebbene distinte, sono interconnesse fra loro. E un buon cattolico dovrebbe essere, al tempo stesso, un bravo cittadino”. È quanto afferma l’arcivescovo di Singapore, mons. William Goh Seng Chye, in una lettera pastorale - ripresa dall'agenzia AsiaNews - rivolta ai fedeli alla vigilia delle elezioni generali, in programma il prossimo 11 settembre. In queste ore è iniziata la campagna elettorale in vista del voto: economia, trasporto pubblico, immigrazione e caro alloggi alcuni fra i principali temi al centro della battaglia elettorale, attorno ai quali il principale movimento di opposizione (il Partito dei lavoratori) cercherà di strappare un po’ di consenso alla maggioranza.  Il prelato spiega che i cattolici, in quanto cittadini, hanno “il dovere morale” di esercitare il diritto di voto “in modo responsabile”. È compito “primario” della Chiesa, aggiunge, “istruire e illuminare” le coscienze dei fedeli, in particolare di quanti sono “coinvolti nella vita politica”, perché le loro azioni possano servire alla “promozione integrale della persona e del bene comune”. 

Un voto per il rinnovo del Parlamento
La città-Stato è chiamata a votare per il rinnovo del Parlamento, decaduto il 25 agosto scorso quando il governo ha invocato elezioni anticipate, a più di un anno dalla scadenza naturale del mandato. Il Partito popolare d’azione guidato dal premier Lee Hsien Loong - figlio del padre-padrone di Singapore Lee Kuan Yew , scomparso nel marzo scorso - si trova per la prima volta a competere in tutti e 89 i seggi parlamentari contro un membro dell’opposizione.  L’esecutivo e il partito di maggioranza, al potere sin dall’indipendenza raggiunta 50 anni fa, intendono sfruttare l’onda lunga dei festeggiamenti per il giubileo di Singapore e l’eco - non ancora del tutto spento - della morte del fondatore per consolidare il potere. Tuttavia, negli ultimi anni l’opposizione sembra cresciuta e i risultati inferiori alle attese in campo economico ottenuti dal governo potrebbero creare qualche sorpresa. 

Boom nel settore delle esportazioni
A fronte di alcuni elementi critici, la città-Stato resta un modello di crescita e sviluppo per l’Asia tanto da risultare il “miglior Paese” dove diventare madre; e nel marzo scorso ha saputo registrare un vero e proprio boom nel settore delle esportazioni. Priva di risorse naturali - anche se ha avviato un programma mirato all'indipendenza idrica entro il 2061 - essa è divenuta un modello nel settore economico e finanziario, oltre che in prima fila nella difesa dell'ambiente urbano. 

Chiesa invita a difendere i valori di famiglia e matrimonio
Invitando i cittadini al voto, l’arcivescovo ha parlato di “obbligo morale” da esercitare “in modo responsabile”, scegliendo candidati e partiti che promuovano “giustizia, uguaglianza, progresso, pace e armonia”. Fra gli altri elementi la difesa dei più deboli, anziani e con bisogni speciali, oltre alla salvaguardia della famiglia e del matrimonio, un tema dibattuto a lungo a Singapore. 

La Chiesa non sostiene nessun partito
Fra le linee guida relative al voto, stilate dall’arcidiocesi di Singapore e pubblicate sul sito internet in coda al messaggio di mons. Goh, si spiega che “la Chiesa cattolica non sostiene alcun partito, candidato o manifesto”. Tuttavia, è suo ruolo specifico quello di “aiutare a formare le coscienze”, perché al voto dell’11 settembre non prevalgano “interessi di parte, ma il bene di tutta la nazione”. “Pregate prima di votare - conclude il messaggio - e, se possibile, pregate e digiunate per i candidati, perché essi possano sempre lavorare per il bene comune di Singapore”. 

I cattolici sono il 5% della popolazione
A Singapore i cattolici sono oltre 200mila, pari al 5% circa del totale della popolazione; fra le religioni, la più diffusa è il buddismo col 43%; seguono i cristiani col 18% del totale, islam 15%, induismo e taoismo 11 e 5%. La Chiesa locale vive una fase di crescita e dinamismo, che ha portato alla recente apertura di un seminario teologico, definito una vera e propria “pietra miliare” per la comunità locale. (R.P.)

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Chiesa Regno Unito: no a razzismo e disuguaglianze razziali

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“La dignità della persona umana”: su questo tema, la Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles si appresta a celebrare il 13 settembre, seconda domenica del mese, la Domenica per la Giustizia razziale. “In questo giorno – scrivono i presuli in una nota – tutti i cristiani sono chiamati a pregare per la fine del razzismo e delle disuguaglianze a sfondo razziale”. Guardando, poi, alle letture del giorno – Isaia 50, 4-9 e Giovanni 2, 14-18 – i presuli ne spiegano il significato: la prima richiama l’atteggiamento, così comune al giorno d’oggi, di chi discrimina attivamente gli altri a causa di religione, colore, età, sesso o razza. La seconda lettura, invece, evoca l’indifferenza passiva di chi si disinteressa a tutti gli altri, al di fuori di se stesso.

Riconoscere dignità umana per perseguire giustizia sociale
Di qui, l’esortazione dei presuli a riconoscere il volto di Dio nel prossimo, perché “si può perseguire la giustizia nella società solo se si riconosce, in ogni persona, la dignità umana”, dono del Signore. “La Domenica per la Giustizia razziale – continua la Chiesa cattolica inglese – ci chiede di rispondere a due domande” essenziali: “Da che parte sto?” e “Cosa sto facendo?”. Sono quesiti che emergono quando si ascoltano notizie di cronaca sui migranti che tentano di passare la frontiera a Calais per entrare nel Regno Unito, continua la nota, ma anche quando si pensa “al futuro dei malati e degli indifesi nelle nostre comunità”.

Superare i luoghi comuni che causano discriminazioni
“Cosa stiamo facendo – è l’interrogativo dei presuli britannici – per gli affamati, i senzatetto, i discriminati sul lavoro, i docenti accoltellati a causa del loro colore o i parenti anziani difficili da accudire? E ci prendiamo cura dei torturati e dei detenuti?”. L’invito dei vescovi inglesi, allora, è a pregare affinché si possano superare i luoghi comuni e trovare risposte a queste domande cruciali.

Una preghiera per i migranti
Infine, la Conferenza episcopale suggerisce alcune intenzioni di preghiera per domenica 13 settembre: in particolare, si invita a pregare per i migranti che lasciano la loro patria, “affinché trovino l’incoraggiamento ed il sostegno delle persone di buona volontà” e per coloro che combattono “il male della discriminazione razziale e di tutte le altre forme discriminatorie nella nostra società, affinché Dio benedica il loro operato e lo renda fruttuoso”. (I.P.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 245

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.