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Sommario del 03/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Gmg, mosaico di fraternità in un mondo in guerra

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La Gmg e la visita in Polonia sono state al centro della prima udienza generale di Papa Francesco, dopo la pausa di luglio, svoltasi in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha sottolineato che in un mondo ferito dalla guerra e dalla violenza, i giovani della Gmg hanno dato un segno di speranza fondata sulla fraternità. Il Papa non ha mancato di ricordare le sue visite ad Auschwitz e Częstochowa, quindi ha chiesto di pregare per la giovane romana, morta durante il viaggio di ritorno da Cracovia. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un “segno profetico”. Papa Francesco ha definito così la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Un segno profetico per l’Europa e per il mondo. “La nuova generazione di giovani, eredi e continuatori del pellegrinaggio iniziato da san Giovanni Paolo II – ha affermato parlando ai pellegrini in Aula Paolo VI – hanno dato la risposta alla sfida dell’oggi, hanno dato il segno di speranza”. Questo segno, ha sottolineato, “si chiama fraternità”:

“Perché, proprio in questo mondo in guerra, ci vuole fraternità; ci vuole vicinanza; ci vuole dialogo; ci vuole amicizia. E questo è il segno della speranza: quando c’è fraternità".

Gmg è stata festa di fraterrnità, segno per il mondo
Francesco ha quindi sottolineato la volontà dei giovani della Gmg di voler creare ponti, di stare insieme, di vivere la “gioia di incontrarsi” e, ha evidenziato, “ancora una volta hanno formato un mosaico di fraternità”:

“Un’immagine emblematica delle Giornate Mondiali della Gioventù è la distesa multicolore di bandiere sventolate dai giovani: in effetti, alla Gmg, le bandiere delle nazioni diventano più belle, per così dire “si purificano”, e anche bandiere di nazioni in conflitto fra loro sventolano vicine. E questo è bello!”.

Il ricordo di Susanna, la giovane morta nel viaggio di ritorno
A Cracovia, ha ripreso il Papa, i giovani del mondo “hanno accolto il messaggio della Misericordia, per portarlo dappertutto nelle opere spirituali e corporali”. Quindi il ricordo commosso per la giovane romana morta di meningite, a Vienna, nel viaggio di ritorno da Cracovia:

“Un ricordo pieno di affetto va a Susanna, la ragazza romana di questa Diocesi, che è deceduta subito dopo aver partecipato alla Gmg, a Vienna. Il Signore, che certamente l’ha accolta in Cielo, conforti i suoi familiari ed amici”.

A Chęstochova la visita a Maria, valori cristiani fondanti per Europa
Francesco non ha mancato di ritornare con la memoria agli altri momenti fondamentali del viaggio apostolico in Polonia, in particolare la visita al Santuario mariano di Chęstochova e al campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Davanti all’icona della Madonna, ha confidato, “ho ricevuto il dono dello sguardo della Madre, che è in modo particolare Madre del popolo polacco”. Ha così messo l’accento sulla fede di questa nazione, che l’ha sostenuta nei momenti di grande sofferenza:

“La Polonia oggi ricorda a tutta l’Europa che non può esserci futuro per il continente senza i suoi valori fondanti, i quali a loro volta hanno al centro la visione cristiana dell’uomo. Tra questi valori c’è la misericordia, di cui sono stati speciali apostoli due grandi figli della terra polacca: santa Faustina Kowalska e san Giovanni Paolo II”.

Ad Auschwitz, il silenzio più forte di ogni parola
Infine, Francesco ha rivolto il pensiero alla toccante visita ad Auschwitz-Birkenau. Una visita, ha detto, che “aveva l’orizzonte del mondo, un mondo chiamato a rispondere alla sfida di una guerra a pezzi che lo sta minacciando”. Qui, ha detto, “il grande silenzio della visita ad Auschwitz-Birkenau è stato più eloquente di ogni parola”:

“In quel silenzio ho ascoltato, ho sentito la presenza di tutte le anime che sono passate di là; ho sentito la compassione, la misericordia di Dio, che alcune anime sante hanno saputo portare anche in quell’abisso. In quel grande silenzio ho pregato per tutte le vittime della violenza e della guerra”.

Anche oggi il mondo è malato di crudeltà, il Signore ci dia pace
In quel luogo, ha affermato, “ho compreso più che mai il valore della memoria, non solo come ricordo di eventi passati, ma come monito e responsabilità per l’oggi e il domani, perché il seme dell’odio e della violenza non attecchisca nei solchi della storia”:

“Guardando quella crudeltà, in quel campo di concentramento, ho pensato subito alle crudeltà di oggi, che assomigliano: non così concentrata come in quel posto, ma dappertutto nel mondo; questo mondo che è malato di crudeltà, di dolore, di guerra, di odio, di tristezza. E per questo sempre vi chiedo lo preghiera: che il Signore ci dia la pace!”.

Francesco ha dunque ringraziato, in italiano e in polacco, quanti si sono impegnati per la buona riuscita della Gmg e della visita in Polonia a partire dal presidente Duda e dal cardinale Dziwisz. Né ha mancato di rivolgere una preghiera speciale per il cardinale Macharski, morto subito dopo la fine della Gmg e per la giornalista Anna Maria Jacobini, deceduta improvvisamente durante il suo lavoro a Cracovia. Al momento dei saluti ai pellegrini italiani, il Papa ha quindi rammentato che domani si celebra la memoria di San Giovanni Maria Vianney, patrono dei sacerdoti e specialmente dei parroci.

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I giovani all'udienza generale: missionari della misericordia nel mondo

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Tanti i giovani presenti nell'Aula Paolo VI per l'udienza generale di Papa Francesco. Molti di loro hanno vissuto la straordinaria esperienza della Gmg di Cracovia. Salvatore Tropea ha raccolto alcune testimonianze: 

D. – Rafael Capò, sacerdote da Miami: come sono stati vissuti questi giorni?

R. – Sono state giornate veramente belle, piene di speranza … Abbiamo portato ragazzi dalle diocesi del Sud-Est degli Stati Uniti: il mio gruppo era formato da giovani ispanici, di cultura latinoamericana e statunitense. Tutti sono arrivati con cuore gioioso e adesso sono pieni di gioia per tornare come missionari della misericordia. Per loro è stato un momento di incontro e hanno trovato altri ragazzi, altri giovani del mondo. Hanno avuto questo evento che li ha portati ad incontrare Cristo che hanno trovato nelle parole del Papa e nella gioia che hanno vissuto tra di loro. Adesso vogliono tornare con un progetto missionario nelle diocesi del Sud-Est degli Stati Uniti e vogliono coinvolgersi in un progetto per condividere quello che hanno vissuto con il Papa.

D. – Quali i momenti più emozionanti?

R. – Per loro è stata la veglia al Campus Misericordiae: è stato un momento di preghiera intensa, l’aver vissuto con gli altri l’adorazione, il canto e la preghiera e anche la gioia.

D. – Fabio dalla diocesi di Padova...

R. – Per me è stata la prima Gmg; sono partito assolutamente inconsapevole di ciò che facevo. Sono tornato entusiasta, molto gioioso: mi ha emozionato molto.

D. – Cosa portate nel cuore?

R. – Condivisione, direi. Raccontare quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto noi tutti, per condividere, per vivere insieme questa esperienza che è stata una magnifica esperienza. I momenti più emozionanti sono stati di sicuro quando i giovani di tutto il mondo si sono riuniti tutti nello stesso punto, per ascoltare il Papa. Abbiamo incontrato tantissima gente da tutti i continenti, ma era come se fossimo amici, come se ci conoscessimo da tanto tempo.

D. – Hélène da Panama, nel tuo Paese ci sarà la prossima Giornata mondiale della gioventù. Come avete accolto questa notizia?

R. – Questa notizia ci ha resi molto felici, perché il nostro Paese è piccolo e tanta gente potrà venire e potranno aiutare i panamensi a rivivere la fede. E noi aspettiamo la Giornata mondiale della gioventù perché unisca i cattolici di Panama.

R. – Il mio nome è Maria Ines; noi veniamo dall’Argentina, da Buenos Aires. Credo che in tutti noi si sia rafforzata la fede e anche lo sguardo globale di un mondo di più grande fratellanza e di più pace, che è quello che vogliono tutti i ragazzi del mondo.

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Portavoce Gmg: da Cracovia ispirazione per tutta la Chiesa

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Sulle parole del Papa all’udienza generale sulla 31.ma Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia definita da Francesco “segno profetico”, Alessandro Gisotti ha intervistato la portavoce della Gmg, Dorota Abdelmoula

R. – Anche noi ascoltando i giovani, i sacerdoti, tutti coloro che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù, abbiamo l’impressione che Cracovia sia come l’inizio di una nuova tappa della Chiesa. I giovani si sentono ascoltati e importanti dentro la Chiesa. Sono molto contenti che la loro voce sia stata ascoltata, ed era molto importante, anche dal Papa. Secondo noi questo incontro è stato un momento di grande ispirazione per tutta la Chiesa. Siamo qui ora a vedere i primi frutti che speriamo di avere qui in Polonia, ma anche nella Chiesa universale.

D. - Non solo durante la Gmg, ma anche oggi all’udienza generale,  Papa Francesco ha sottolineato che i giovani hanno una grande responsabilità di essere segno in questo mondo ferito da tanta violenza …

R. - Sì, sicuramente i giovani della Polonia già durante il tempo dei preparativi per la Gmg hanno scoperto di avere un’importanza e una responsabilità; una prova che il loro lavoro, che i talenti con i quali hanno servito la Chiesa hanno davvero un valore molto importante.

D. - Che clima si respira a Cracovia dopo questo grande evento? Che cosa dicono anche i giovani della Polonia?

R. - Non solo i giovani ma tutte le famiglie sono molto ispirati. Si vede anche oggi –  lo abbiamo visto anche ieri – in aeroporto, nelle stazioni ferroviarie famiglie polacche insieme ai pellegrini ancora presenti in Polonia scambiarsi “l’arrivederci”; si vedeva che erano molto vicini, molto tristi per la fine di questo incontro. Poi ho sentito tanti giovani dire che se la Chiesa è così come l’hanno vista in questi ultimi giorni, sono davvero molto fieri, vogliono essere parte di questa Chiesa! Mi sembra che anche per coloro che non erano dentro la Chiesa prima della Gmg, adesso hanno scoperto cosa sia la Chiesa universale e quali sono gli inviti che la Chiesa propone ai giovani.

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Francesco: Giochi Olimpici di Rio siano momento di pace e tolleranza

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All’udienza generale il Papa ha rivolto un “saluto affettuoso al popolo brasiliano, in particolare alla città di Rio de Janeiro, che ospita gli atleti e gli appassionati di tutto il mondo in occasione delle Olimpiadi” che inizieranno il 5 agosto. Ce ne parla Sergio Centofanti

In questo mondo che “ha sete di pace, tolleranza e riconciliazione”, Papa Francesco auspica che “lo spirito dei Giochi Olimpici possa ispirare tutti, partecipanti e spettatori, a combattere 'la buona battaglia' e terminare insieme la corsa (cfr 2 Tm 4, 7-8), desiderando conseguire come premio non una medaglia, ma qualcosa di molto più prezioso”:

“La realizzazione di una civiltà in cui regna la solidarietà, fondata sul riconoscimento che tutti siamo membri di un’unica famiglia umana, indipendentemente dalle differenze di cultura, colore della pelle o religione”.

E un pensiero lo rivolge anche ai brasiliani, “che con la loro gioia e caratteristica ospitalità” organizzano questa “Festa dello Sport”:

“Auspico che questa sia un’opportunità per superare i momenti difficili e impegnarsi nel 'lavoro di squadra' per la costruzione di un paese più giusto e più sicuro, scommettendo su un futuro pieno di speranza e di gioia. Dio vi benedica tutti!”.

In un videomessaggio per l’intenzione di preghiera per il mese di agosto, pubblicato ieri, il Papa ha detto che gli piace “sognare lo sport come pratica della dignità umana, trasformata in un veicolo di fraternità” tra i popoli di tutto il mondo. Giancarlo La Vella ne ha parlato con don Leonardo Biancalani, teologo e attento osservatore del panorama sportivo: 

R. – Io credo che lo sport ancora abbia, in se stesso – al di là poi degli interessi e del business – quella fraternità e quella universalità, che può veramente unire i popoli di ogni Nazione, al di là di ogni credo religioso e al di là di ogni opinione personale. Lo sport ha ancora questa capacità profonda di unione. Quindi, sicuramente, le Olimpiadi oggi hanno ancora il loro fascino.

D. – Si svolgono, queste Olimpiadi, in un Paese che sta attraversando una profonda crisi politica ed economica. Conviene o no organizzare una manifestazione così importante? Spesso non si rientra di quello che si è speso…

R. – Se gli obiettivi sono quelli di far conoscere un Paese, di dare un’immagine bella di quel Paese: sì. Se gli obiettivi sono quelli del business, direi che oggi purtroppo il piatto piange perché, solo da un punto di vista della sicurezza, le spese, rispetto ad una volta, sono triplicate.

D. – Emergenza terrorismo: qual è il clima che si vive a Rio?

R. - Qualche atleta che conosco e che è a Rio mi ha detto che c’è una serenità apparente, ma un pochino di paura c’è.

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Papa alla Porziuncola: pellegrinaggio significativo in Anno Misericordia

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Al termine dell'udienza generale il Papa ha ricordato che domani si recherà nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli, alla Porziuncola, in occasione dell’ottavo centenario del “Perdono di Assisi”, che ricorreva ieri. Queste le sue parole:

"Sarà un pellegrinaggio molto semplice, ma molto significativo in questo Anno Santo della Misericordia. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e la celeste intercessione di San Francesco". 

Il Papa partirà con l’elicottero dal Vaticano alle 15.00. Dopo una quarantina di minuti l’arrivo a Santa Maria degli Angeli. Dopo un momento di preghiera silenziosa nella Porziuncola, Francesco terrà una meditazione sul brano del Vangelo di San Matteo in cui Gesù dice a Pietro di perdonare le offese non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Poi si recherà a salutare i frati ospiti dell’Infermeria del Convento, infine, dal sagrato della Basilica di Santa Maria degli Angeli, il saluto ai fedeli presenti in piazza. Tra quanti accoglieranno il Papa ci sarà fra Michael Perry, ministro generale dell'Ordine dei Frati Minori. La collega Blandine Hugonnet gli ha chiesto di parlarci della Festa del Perdono di Assisi: 

R. – La Festa del Perdono di Assisi è una celebrazione della misericordia in tutto il mondo come sta dicendo Papa Francesco. In questi giorni ha parlato con i giovani e ha detto loro di non avere paura di ricevere il dono della misericordia. A volte abbiamo paura di questo perché quando riceviamo queste grazie di Dio dobbiamo cambiare la nostra vita; a volte noi non vogliamo cambiare il nostro stile di vita, il modo di vedere le cose. Ecco,  la Porziuncola è un  centro spirituale dove si possono ricevere queste grazie, dà quella accoglienza per ricostruire la persona, tutta l’umanità e il mondo intero.

D. - Oggi il significato del perdono di Assisi è rimasto lo stesso?

R. - Dando uno sguardo al mondo – in modo particolare sono stato vicino al contesto delle guerre, ho parlato con i francescani e altre persone che vivono queste realtà in Siria, abbiamo seguito quotidianamente i frati in Sud Sudan che sono vicini alla gente che vive in situazioni di grandi difficoltà a causa della violenza - credo oggi come oggi abbiamo più bisogno che mai di accogliere prima e recuperare poi quello che Dio ci sta offrendo da sempre. Oggi come ottocento anni fa, Dio viene per offrirci questa possibilità.

Sul significato della visita del Papa alla Porziuncola il nostro inviato Federico Piana ha sentito il custode della Porziuncola, padre Rosario Gugliotta:  

R. – Il fatto che il nostro Papa venga qui alla Porziuncola, proprio all’inizio di questo ottavo centenario, dice quanto sia desideroso davvero della misericordia di Dio, anche nella sua esperienza personale. Penso che venga qui ad attingere l’esperienza di Francesco alla Porziuncola, che è stata quella di sentirsi pienamente perdonato da Dio. Questa condizione gli ha fatto provare una gioia così grande, che lui ha chiesto questo dono per tutti. E il Papa viene qui proprio ad attingere a questa fonte di grazia che è la Porziuncola.

D. – Il Papa ha voluto un momento privato, personale: anche questo, come si può leggere?

R. – Proprio perché nell’intimità della Porziuncola, Francesco ha fatto questa esperienza. Penso che lui voglia proprio del tempo per rimanere in colloquio alla Porziuncola, vivere questo abbraccio di Maria: ecco perché per Francesco la Porziuncola è l’icona in pietra della Vergine Maria. Stare dentro alla Porziuncola significa sperimentare il calore dell’abbraccio della Vergine Maria.

D. – 800 anni da questa intuizione di San Francesco: non si è appannato questo desiderio di perdono, è ancora vivo…

R. – Ma basta stare qui alla Porziuncola per il Perdono per rendersi conto di come il popolo di Dio sia assetato di perdono, sia assetato di misericordia … Ieri abbiamo visto fiumi interminabili di persone, sia per le celebrazioni, soprattutto file ai confessionali, per accostarsi al Sacramento della Riconciliazione. E si fanno belle confessioni …

D. – Quello che stupisce sono anche tanti giovani…

R. – Un po’ Assisi ha questa caratteristica, rispetto a tanti altri Santuari; Francesco ha una sintonia particolare con i giovani: forse questo suo stile semplice e immediato, diretto, lo rende molto attraente ai giovani. E vediamo che tra questi “pellegrini” che arrivano numerosi alla Porziuncola ci sono tantissimi giovani e questo penso che ci faccia riempire anche il cuore di speranza, perché c’è un futuro: c’è un futuro, bello, che ci attende.

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Santa Sede: stop a barbarie contro i bambini nei conflitti

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In merito al dramma dei bambini coinvolti nei conflitti, la Santa Sede auspica che tutte le parti depongano le armi e intraprendano la via del dialogo. Così mons. Simon Kassas, incaricato d’affari presso la Missione dell’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, intervenuto ieri al dibattito aperto al Consiglio di Sicurezza su questo tema. Mons. Kassas ricorda l’impegno della Chiesa, attraverso le sue strutture, nella cura delle piccole vittime. Cuore della discussione è la 14.ma Relazione annuale rilasciata dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Il servizio di Debora Donnini: 

I bambini coinvolti nei conflitti. No alla distruzione di scuole e ospedali
Bambini-soldati, usati come kamikaze, a scopi sessuali o nelle più pericolose operazioni militari. Il 2014 è stata l’anno peggiore sul fronte dei bambini coinvolti nei conflitti armati, superato però dal 2015, anche per la gravità di violazioni. “Mai nella storia recente ci sono stati tanti bambini sottoposti ad una tale brutalità violenta”. Parte da questa considerazione, il discorso tenuto da mons. Kassas al dibattito aperto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Viene chiesta una condanna, nel modo più forte possibile, anche per crimini come “la deliberata distruzione delle loro scuole e ospedali” che, in totale disprezzo del diritto umanitario internazionale, è divenuta “una strategia di guerra”.

I governi devono dare seguito agli impegni presi
Il segretario generale ha parlato di progressi nella protezione dei bambini ma anche della necessità di fare molto di più, chiamando in causa i governi che, sottolinea mons. Kassas, devono dare piena attuazione agli impegni che hanno preso per mettere fine al reclutamento di bambini–soldato. “La mia Delegazione – prosegue mons. Kassas – è pienamente d’accordo con la Relazione” sul fatto che l’uso di attacchi aerei e armi esplosive, con estesi effetti in aree popolate, aggravi i pericoli a cui questi bambini sono esposti. Deve essere evitata anche  la percezione di avere due pesi e due misure, nel mettere o togliere dalla lista i responsabili, in quanto così si scoraggiano i governi interessati ad assumere impegni e piani di azione.

L'impegno della Santa Sede e di tutta la Chiesa cattolica
La Santa Sede è stata un costante partner delle Nazioni Unite nell’opporsi alle molte forme di violenza verso i bambini coinvolti nei conflitti armati. “Attraverso le sue varie strutture operanti nella maggior parte delle zone in conflitto, la Chiesa cattolica è attivamente impegnata nel prendersi cura delle vittime di tale violenza”, sottolinea mons. Kassas. Inoltre, negli anni le strutture della Santa Sede e di numerose Istituzioni cattoliche hanno collaborato con le Missioni di pace e le agenzie dell’Onu per condividere le pratiche per affrontare questo flagello. Quindi, l’auspicio che il dramma dei bambini coinvolti in conflitti porti ad un cambiamento del cuore e induca le parti a deporre le armi scegliendo, invece, “la via del dialogo”.

Centrale è il reinserimento dei bambini coinvolti nei conflitti
Vanno poi aiutate le famiglie di questi bambini sopravvissuti ai conflitti a superare i pregiudizi nei loro confronti, in particolare verso le ragazze vittime di stupro. Bisogna trovare modi per reintegrarli nelle loro comunità. Il reinserimento, infatti, è il punto centrale. Porre fine ad atti barbarici verso i bambini coinvolti nei conflitti è, poi, un dovere di ciascuno e in modo particolare del Consiglio di Sicurezza stesso.

La Relazione di Ban Ki-moon all’Onu
“E’ come se vivessero all’inferno”, aveva detto nella discussione il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, riferendosi ai troppi bambini vittime di torture, mutilazioni, abusi sessuali. I fronti più caldi sono Afghanistan, Iraq, Somalia, Sud Sudan. Ma anche Yemen, dove è quintuplicato, in un anno, il numero di minori arruolati nell’esercito e nelle milizie locali e aumentato di 6 volte quello dei bimbi uccisi o mutilati, per non parlare del sedicente Stato Islamico, che si avvale sempre più dei bambini per rimpolpare i suoi ranghi, o del gruppo fondamentalista dei Boko Haram, in Nigeria, che ha fatto esplodere 21 ragazze in luoghi affollati. Non si può dimenticare la Siria dove migliaia di minori sono morti dall’inizio del conflitto. C’è anche qualche luce che rischiara questo tenebroso panorama: nel 2015, più di 8mila bambini sono stati rilasciati e molti Paesi hanno approvato leggi per la loro salvaguardia. Passi importanti, in un mondo dove circa 250 milioni di bambini vivono in paesi lacerati da conflitti.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Mosaico di fraternità: all’udienza generale il Papa ricorda il viaggio in Polonia per la gmg.

Alberto Fabio Ambrosio sulle parole giuste per il dialogo.

In aiuto dell’Italia da ricostruire: Bernardino Osio sulla Santa Sede e la missione economica avviata da Roma negli Stati Uniti dopo l’armistizio.

Sentieri della luce: Isabella Farinelli su una mostra, a Roma, dedicata ai Macchiaioli.

Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo “Magia e modernità del puro western americano”: centenario della nascita del regista Budd Boetticher.

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Oggi in Primo Piano



Terzo giorno di raid su Sirte: Italia offre basi agli Usa

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Giunti al terzo giorno, i bombardamenti statunitensi mirati contro l’Is a Sirte sarebbero già arrivati alla fase finale dell’offensiva. E’ quanto dichiarato alla stampa dal portavoce dell’operazione “al Bunian al Marsus”. Trenta i giorni di raid previsti da Washington per liberare la città dal sedicente Stato islamico, favorire il governo di Tripoli guidato da al-Sarraj, garantire la sicurezza degli Stati Uniti e della comunità internazionale. I raid - afferma Washington - sono in linea con la risoluzione Onu dello scorso dicembre, mentre Mosca ha definito ‘illegali’ i bombardamenti.

Da parte sua il governo italiano è pronto a valutare positivamente un'eventuale richiesta di uso delle basi e dello spazio aereo se fosse funzionale a una più rapida ed efficace conclusione dei raid americani: lo ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Intanto, sono decine i soldati fedeli al generale Haftar e al governo di Tobruk, morti ieri a Bengasi, in un attacco suicida rivendicato dalle forze del Consiglio della shura dei rivoluzionari della città, una coalizione estremista islamica. 

Secondo Gianadrea Gaiani, che scrive sul magazine on-line “Analisi Difesa", i raid aerei statunitensi contro le postazioni dello Stato Islamico a Sirte “aprono a sviluppi non necessariamente positivi per la crisi libica, la guerra globale contro il Califfato e per l’Italia”. “Le incursioni - rileva - potranno favorire la vittoria a Sirte (oltre ad aiutare la campagna elettorale di Hillary Clinton contro le accuse di Donald Trump all’amministrazione democratica di aver condotto una guerra troppo blanda contro lo Stato Islamico) ma non sono sufficienti numericamente né abbastanza prolungate da risultare risolutive nel conflitto contro lo Stato Islamico in Libia. Sul piano politico rischiano inoltre di rivelarsi un boomerang per al-Sarraj che gode del sostegno di milizie islamiste, dai Salafiti ai fratelli Musulmani, che potrebbero non gradire l’intervento diretto delle forze di Washington minando così la sua base di consenso".

Francesca Sabatinelli ha sentito in proposito Andrea Ungari, dell’Università Luiss-Guido Carli: 

R. – Io non credo che basti solamente liberare Sirte con dei bombardamenti. Nonostante gli americani cerchino sempre di replicare l’idea del dominio dell’area, di bombardamenti e operazioni aeree, in realtà non sono sufficienti poi a rendere sicuro e stabile un territorio, soprattutto un territorio come quello libico che è enorme. In realtà, la liberazione di Sirte non può che poi essere accompagnata da un intervento militare diretto, i famosi “boots on the ground” (stivali sul terreno – intervento di terra, ndr). Non bastano semplicemente delle operazioni aeree per stabilizzare un Paese, uno Stato, che tra l’altro non esiste più da circa due anni. Se si è deciso di puntare su al-Sarraj come elemento che possa poi riunificare tutti i territori della Libia, credo che, se non nell’immediato, ma un intervento poi diretto degli eserciti sia necessario non solo per la sicurezza degli Stati Uniti e per quanto riguarda l’Italia, ma proprio per la stabilità del Mediterraneo. Per una serie di motivi, che non sono, come spesso si può pensare, solamente quelli energetici, che pure sono rilevanti per gli interessi dell’Italia in Libia, ma sono anche motivi di carattere umanitario, e che riguardano il regolamento di flussi di migranti che partono dalla Libia, che ormai stanno assumendo proporzioni sempre più grandi e consistenti, tra l’altro con tutto il portato di morte che colpisce poi le imbarcazioni. Ma la Libia, proprio perché è Stato fallito, e proprio per le caratteristiche delle sue coste, è diventata anche un punto in cui c’è il continuo traffico di armi, droga, ma anche di esseri umani. La stabilizzazione della Libia è un passaggio fondamentale per quella di tutto il Maghreb, innanzitutto, e poi di tutto il Mediterraneo.

D. – Anche in caso di vittoria, i rischi per i libici, i civili, restano comunque molto alti…

R. – Sono ovviamente i rischi di una guerra vera e propria. Se si prevede anche un intervento militare diretto, è chiaro che ci sarà uno scontro e questo può prevedere anche una guerra civile interna tra i due governi libici, tra i quali non si è mai riuscito a realizzare un accordo vero e proprio. C’è quindi anche l’ipotesi di una guerra civile interna, tra le varie anime, che poi sono le varie tribù, etnie, che compongono il quadro libico. Quindi, i rischi per la popolazione civile ovviamente ci sono. È pur vero che sono gli stessi rischi che ci sono stati finora, perché – ripeto – la condizione della Libia come Stato fallito e tutta questa situazione di contrasto interno tra Daesh, il governo di al-Sarraj e l’altro non riconosciuto, ha esposto la popolazione a dei rischi consistenti. Un intervento che cerchi di stabilizzare in qualche maniera il territorio – a mio avviso – in una prospettiva futura non può che andare a vantaggio della popolazione libica. I rischi che correrebbe il popolo libico certamente non sono altrettanto maggiori di quelli che sta correndo in questi ultimi anni dopo che si è disgregata l’unità statale libica.

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Tunisia: premier incaricato è Youssef Chahed

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In Tunisia è Youssef Chahed, attuale ministro degli Affari locali, il premier incaricato dal presidente Beji Caid Essebsi di formare il nuovo governo di unità nazionale. Sabato scorso il Parlamento di Tunisi aveva negato la fiducia al primo ministro Habib Essid, in carica dal gennaio 2015, fortemente criticato per la gestione degli affari economici e per la mancata crescita dei posti di lavoro. Perché ora la scelta è caduta su Youssef Chahed, del partito presidenziale “Nidaa Tounes”? Risponde Stefano Maria Torelli, esperto di Medio Oriente e Mediterraneo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), intervistato da Giada Aquilino

R. – Essebsi già nel novembre 2015 aveva voluto Chahed come membro del comitato che avrebbe dovuto risollevare le sorti del partito “Nidaa Tounes”. Sicuramente è un uomo politico abbastanza trasversale e dobbiamo tenere in considerazione il fattore generazionale. Come sottolinea la stampa tunisina stessa, finalmente per la prima volta si vede un uomo giovane. Parliamo di un uomo del 1975, ha 41 anni: se pensiamo all’età media degli ultimi presidenti, ministri e primi ministri che ha avuto la Tunisia, sicuramente c’è un cambio di direzione. Molti giovani tunisini lamentano dal 2011 in poi una scarsissima rappresentanza in politica, nonostante il ruolo attivo che hanno avuto durante le manifestazioni che portarono alla caduta di Ben Alì.

D. - Allora perché l’opposizione del “Fronte popolare” grida al complotto? Il presidente – dice - avrebbe scelto Chahed perché a lui più vicino. Hanno fondamento queste accuse?

R. - Sicuramente Chahed è vicino ad Essebsi. Ma non è una persona che ha avuto una lunga carriera politica, che possa definirlo in maniera chiara come un fedelissimo da una parte o dall’altra. Questa tra l’altro è – e qui arriviamo un po’ alle critiche che vengono mosse – l’altro lato della medaglia della giovane età di Chahed: secondo molti detrattori proprio il fatto che non abbia un’esperienza politica così lunga può non giocare a suo favore in un momento in cui la Tunisia sembra invece aver bisogno di persone molto esperte per uscire dalla crisi soprattutto economica e sociale in cui sta versando.

D. - Quali sono le ragioni della crisi economica che caratterizza questo momento storico della Tunisia?

R. – Sostanzialmente fattori strutturali dovuti ad un mercato del lavoro ed un “mercato” di giovani che non si incrociano. Quindi una fascia di giovani abbastanza alta numericamente che ha dei livelli di istruzione anche molto alti - quindi molti giovani laureati - che però  non trova sbocco in un mercato del lavoro che ancora non sembra essersi del tutto adeguato. La disoccupazione è veramente un problema endemico della Tunisia, che va avanti almeno dagli anni ’70-’80. A questi fattori se ne aggiungono anche altri culturali, con la perdita di buona parte del flusso turistico dovuto all’insicurezza del Paese: ricordiamo gli attentati che hanno colpito direttamente il turismo l’anno scorso, quello al Museo del Bardo e a Sousse. Il turismo era una fetta molto importante dell’economia tunisina. E infine un debito storicamente molto alto. Tutti questi fattori contribuiscono a far sì che la Tunisia abbia una situazione economica molto difficile. Non dobbiamo neanche dimenticare la grande disparità regionale: la Tunisia è un Paese sostanzialmente diviso in due. C’è la parte costiera, la parte dell’est, molto più sviluppata in termini di investimenti, di infrastrutture, rispetto alla parte sud-occidentale che invece è ancora molto arretrata, con tassi di povertà che sfiorano in alcuni casi il 16-17%. Quindi c’è anche il fattore di cercare di riunire queste “due Tunisie” che dovrebbe essere uno degli obiettivi strategici del Paese per i prossimi anni.

D. - Su quali equilibri si può fondare il nuovo esecutivo, visto che il movimento democratico musulmano “Ennahda” è la prima forza in Parlamento, seguito dalla formazione del presidente, “Nidaa tounes”?

R. - Ci sono queste due grandi forze politiche che continueranno a sostenere una maggioranza parlamentare e quindi anche di governo. Il problema è più programmatico direi: riuscire a disegnare innanzitutto e ad implementare poi delle misure concrete che possano aiutare la Tunisia a venir fuori dalla crisi. Non bisogna dimenticare che i problemi sociali ed economici esistono ancora e a questi si aggiunge quello gravissimo della sicurezza: la Tunisia è il primo Paese al mondo per foreign fighters.

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Donne uccise. Arcivescovo di Lucca: donna "cosificata"

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Ancora due casi di femminicidio in Italia. Oggi una donna di 59 anni è stata uccisa con 12 coltellate a Cava Tifatina, nel Casertano, dal suo compagno che poi si è costituto alla polizia. È morta questa mattina anche la 46enne data alle fiamme ieri presso i magazzini dell’ex ospedale di Campo di Marte a Lucca, dove aveva lavorato. Per il suo omicidio è stato fermato un suo ex collega, indicato come colpevole dalla donna stessa ai soccorritori. Il ministro per le Riforme con delega alle Pari opportunità, Maria Elena Boschi, ha convocato per l’8 settembre le prima riunione della cabina di regia interistituzionale che si occupa di violenza sulle donne. Sconvolto per quanto accaduto nella sua città, l’arcivescovo di Lucca, mons. Benvenuto Italo Castellani. Roberta Barbi lo ha intervistato: 

R. – Questo per Lucca non è il primo caso, ci sono purtroppo dei precedenti. Bisogna prendere atto che in Toscana, Lucca purtroppo è la città con più femminicidi. Si pensi che dal 2006 al 2016 registriamo circa 10 femminicidi. Io come pastore è da tempo che devo ascoltarla questa situazione e anche individuarne le cause e i rimedi che fanno parte del servizio della Chiesa, di annuncio della Buona Notizia.

D. – Di questi ultimi fatti colpisce soprattutto l’efferatezza: una vittima è stata bruciata, sull’altra si è insistito con 12 coltellate. Come può l’essere umano arrivare a tanta crudeltà?

R. – Io credo che tra i diversi motivi possiamo mettere che, intanto, la donna è considerata di fatto subalterna all’uomo e questo nelle relazioni quotidiane: è una radice, questa, che ovviamente se coltivata e ricoltivata, poi può esplodere. Poi, una “cosificazione” della persona, in particolare delle relazioni affettive. E tutto questo avviene impercettibilmente, a mio avviso. Come diocesi, io sento che è necessario un grande impegno educativo già con i nostri bambini, perché riescano a riconoscere la pari dignità di tutte le persone e del valore assoluto della vita.

D. – Come mai assistiamo a un incremento del fenomeno del femminicidio in un’epoca in cui gli stereotipi sulla donna dovrebbero essere definitivamente superati?

R. – Perché sul piano educativo, non va abbassata la guardia su questo impegno a educare a riconoscere la pari dignità di tutte le persone, già per i bambini, io penso all’interno della famiglia, nella scuola, nelle stesse comunità cristiane. A me sembra che già siano stati fatti dei passi verso i diversamente abili, verso persone che appartengono a culture ed etnie diverse … Tutto questo ancora è un “parto” difficile. Come diocesi siamo chiamati a intensificare l’impegno che già abbiamo assunto dal 2010 a oggi nel contrasto alla violenza sulle donne, aderendo ufficialmente alla nota campagna “del fiocco bianco”. E poi cerchiamo di sostenere delle case-rifugio per le donne.

D. – Che strumenti abbiamo per combattere tanta violenza?

R. – Un cristiano che si metta in ascolto della Parola di Dio ha, di fatto, nel cuore l’amare Dio e l’amare il prossimo e diventa un fatto fondamentale. È il nostro dna, del cristiano, poi il perdono e tutto questo vissuto nella quotidianità. Poi c’è il Creato, la bellezza che è opera di Dio, tutta l’arte che parlano da sole della bellezza di Dio: tutto questo va sempre più valorizzato perché davvero l’uomo non arrivi alla solitudine.

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Varata legge contro gli sprechi alimentari: eccedenze ai poveri

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Via libera dell'Aula del Senato al disegno di legge contro gli sprechi alimentari con 181 sì, 2 no e 16 astenuti. Il provvedimento, già approvato dalla Camera, diventa definitivo. Gli sprechi alimentari, secondo quanto afferma Coldiretti, costano all'Italia oltre 12 miliardi, suddivisi per il 54% al consumo, per il 21% nella ristorazione, il 15% nella distribuzione commerciale, l'8% nell'agricoltura e per il 2% nella trasformazione. Gli obiettivi della nuova legge anti-sprechi sono quelli di favorire il recupero e la donazione delle eccedenze a scopo solidale e sociale, destinandole ai poveri e ai bisognosi. Si intende anche cercare di limitare l’impatto negativo sull’ambiente e sulle risorse naturali promuovendo il riuso e il riciclo dei prodotti. Si vuole inoltre investire energie sull’attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione delle istituzioni e dei consumatori, soprattutto i più giovani. Stefano Masini, responsabile nazionale ambiente e territorio di Coldiretti, ne ha parlato nell’intervista di Michele Ungolo: 

R. – Sicuramente si riduce un deficit di filiera, legato a sprechi e quindi alla perdita di valore del cibo, dopo le varie fasi di una filiera che dal campo alla tavola necessariamente deve condurre ad un consumo consapevole e sobrio.

D. – Cosa cambia con l’approvazione della legge?

R. – Si introducono una serie di meccanismi, di procedure, di semplificazione per poter rendere disponibili sul mercato prodotti che altrimenti sarebbero di per sé rifiuti. Questo in un momento in cui solidarietà, coesione sociale richiedono di poter mettere a disposizione di persone e associazioni, prodotti. Rinnova l’impegno delle imprese per un nuovo ruolo di solidarietà.

D. – Quanto costano all’Italia gli sprechi?

R. – Si stima che il costo ammonti ad oltre 12 miliardi, stando sia alla alla ristorazione, sia alla distribuzione commerciale per arrivare anche all’agricoltura.

D. – Quali sono invece gli obiettivi di questa legge?

R. – Recuperare una quantità di cibo che finisce sostanzialmente nelle spazzatura con una visione, una responsabilità, a partire dalle famiglie.

D. – Qual era la situazione prima dell’approvazione della legge?

R. – Chiaramente prima della legge una serie di difficoltà proprio procedurali, regole di sicurezza, di igiene rendevano molto difficile rendere disponibili prodotti a scopi di solidarietà e beneficienza. Chiaramnete rendendo impossibile alcuni passaggi. Questa legge, sicuramente, ha avuto anche un’accelerazione parlamentare, una sensibilità da parte dele istituzioni rappresentative di dare una risposta, quando più forte in questo Paese è stato persino il bisogno, se è vero che sono oltre 4 milioni i poveri. Quindi da questo punto di vista quando si è presentata un’emergenza sociale Camere e Senato hanno fatto fronte comune per rendere possibile una disciplina che nasce per rispondere a questo bisogno sociale così allargato.

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Lateranense: corso di Management pastorale sul fenomeno migratorio

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Fare bene il bene, soprattutto quando ci si deve occupare di questioni delicate e complesse come quelle economiche. Questo l'obiettivo della Scuola Internazionale di Management Pastorale promosso dalla Pontificia Universitá Lateranense. Il corso di quest’anno è indirizzato alla gestione del flusso migratorio, anche a seguito dell’intesa con il Ministero dell’Interno che permette all'Università di dare ospitalità e formazione a 20 ragazzi rifugiati provenienti da Iraq, Eritrea e Siria. Michele Ungolo ne ha parlato con il rettore della Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo: 

R. – L’intento del corso è quello di mettere insieme adeguatamente e con efficacia i vari elementi necessari per una buona gestione pastorale di istituzioni, parrocchie, enti, tenendo conto delle sfide del momento presente.

D. - A chi è rivolto il master in management pastorale?

R. - La scuola è rivolta ad operatori pastorali in genere, siano essi laici, sacerdoti o religiosi.

D. - E per quali enti è pensato, in particolare? 

R. - Il corso è pensato per le istituzioni ecclesiali in primo luogo; la riflessione che noi abbiamo fatto è questa: molte volte la formazione dei seminaristi o degli operatori pastorali in genere non tiene sufficientemente conto di questi aspetti di gestione economica, di leadership, di capacità comunicativa e di reperimento di fondi. Spesso una persona deve improvvisare. A volte va bene, a volte purtroppo come è successo va male, la persona si trova in difficoltà; ci sono giovani sacerdoti che fanno tristi esperienze proprio all’inizio del loro ministero.

D. - Perché secondo lei questo aspetto negli anni è stato un po’ sottovalutato?

R. - La formazione sacerdotale è rimasta molto legata ai percorsi tradizionali di filosofia, di teologia; via via si sono aggiunte varie discipline, però le “discipline dure” come economia e finanza non sono rientrate nella formazione specifica del sacerdote.

D. - Qual è dunque l’obiettivo del corso?

R. - Preparare operatori pastorali, siano essi laici, sacerdoti o religiosi, in grado di gestire la complessità del momento presente senza lasciarsi imbrogliare da operazioni bancarie disinvolte, che abbiano capacità di leadership nei confronti delle istituzioni e delle persone con cui si correlano e saper controllare e gestire le risorse della comunicazione.

D. - Quanti studenti sono iscritti?

R. - Si sono sovrapposte due edizioni: la prima è iniziata nel febbraio del 2015 e si è conclusa a poche settimane; nel frattempo è iniziata la seconda edizione e presto ne partirà una terza. Nell’insieme al momento hanno frequentato il corso 35 studenti e altri 35 lo stanno frequentando.

D. - Cosa si aspetta da questo percorso?

R. - Mi aspetto che il corso mantenga le sue promesse, cioè che ciò che ci siamo proposti corrisponda veramente alla realtà. Devo dire che i risultati che abbiamo ottenuto sono molto incoraggianti e quindi pensiamo che la sfida è stata raggiunta.

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Nella Chiesa e nel mondo



Gregorio III Laham: preghiera e digiuno contro il terrorismo

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Un invito a tutti i fedeli a dedicarsi alla preghiera e al digiuno per “combattere l’ondata di terrorismo che sta toccando un Paese dopo l’altro” è stato lanciato da Gregorio III Laham, Patriarca greco-melchita di Antiochia e di tutto l’Oriente, d’Alessandria e di Gerusalemme, all’inizio della preghiera della Paraklisi dal 1° al 14 agosto.

Il dramma senza fine dei siriani
Il Patriarca - riporta l’agenzia Sir - cita i tre attacchi terroristici in Germania e alla chiesa di Rouen, in Francia, ma anche “i drammi che vive la nostra amata Siria, in particolare in questi ultimi giorni ad Aleppo e Qamichli, il nostro amato Libano, con la tragedia che ha colpito Qaa, senza dimenticare il tentato omicidio del patriarca siro-ortodosso Efrem II”. “Viviamo queste tragedie con profondo dolore - dice Gregorio III - soprattutto quando chiamano in causa i rifugiati siriani, perché si verificano reazioni di odio e razzismo contro altri rifugiati pacifici. È ciò che abbiamo constatato durante le nostre visite ai fedeli siriani rifugiati in Germania”.

Le condoglianze alla Francia e alla Germania
Da qui l’invito alla preghiera e al digiuno in vista della Festa dell’Assunzione di Maria, “perché con la sua intercessione possa cacciare questo terrorismo, questi crimini e questa violenza”. Il patriarca greco-melchita porge le proprie condoglianze alla Francia e alla Germania e prega “per le vittime, per la guarigione rapida dei feriti e il ritorno della pace nei nostri Paesi”.

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Sud Sudan. Mons. Kussala: comunità internazionale non ci dimentichi

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Non dimenticare il Sud Sudan: questo l’accorato appello lanciato da mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio e presidente dell’Inter-Faith Council for Peace Initiative (Icpi) nella Greater Western Equatoria. “Se il Sud Sudan viene ignorato - spiega il presule, citato dall’agenzia Fides - l'ondata di profughi che raggiungono le coste europee potrebbe ingrossarsi”.

La comunità internazionale si impegni per la pace
Di qui, il richiamo alla comunità internazionale perché faccia maggiore attenzione alla crisi del Paese e “continui a giocare il suo ruolo chiave nel persuadere il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar a tornare al tavolo dei negoziati e ad attuare l’accordo di condivisione del potere, firmato nell’agosto dello scorso anno”. Il conflitto tra i due schieramenti, uno di etnia Dinka e l’altro di etnia Nuer, si è infatti riacceso nel mese di luglio, ma le origini risalgono al 2013, dopo un fallito colpo di Stato ai danni di Kiir, che ha costretto oltre 2 milioni di cittadini ad abbandonare le proprie case. Secondo dati dell’Unicef, circa 16 mila bambini sono stati arruolati forzatamente nel conflitto armato, mentre la situazione umanitaria è sempre più critica.

Superare la cultura della violenza
“Come cristiani - continua il presule - dobbiamo rimanere saldi in questo momento di prova. Sarebbe facile cedere alla disperazione, ma io dico che dobbiamo avere speranza” perché “dobbiamo ricordare che, nonostante le divisioni politiche ed etniche nel Paese, quelli che prendono parte ai combattimenti rappresentano solo una piccola minoranza”. Poi, mons. Kussala sottolinea che il Sud Sudan è un Paese ricco di potenzialità “agricole, minerali e petrolifere”, ma che il suo sviluppo “è stato costantemente ostacolato dai conflitti”. La popolazione non desidera altro che “una vita migliore”, ma affinché ciò accada, “c’è bisogno di superare la cultura della violenza che sta lacerando la società”.

Rispettare vita e dignità umana
“Bisogna partire dal rispetto della vita umana”, aggiunge ancora mons. Kussala, evidenziando come, “nel percorso verso l’indipendenza del Paese”, raggiunta nel 2011, “la Chiesa cattolica sia sempre stata presente, ribadendo il valore della dignità umana e della pace” e lavorando “nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle scuole per portare un cambiamento nel cuore della popolazione”: “la conversione di ciascuno può cambiare l’intera comunità”.

La speranza è il migliore antidoto alla violenza
Infine il vescovo di Tombura-Yambio lancia un forte appello alla speranza, definendola “il miglior antidoto alla violenza”. Insieme alla fede in Dio, la speranza aiuterà a creare un nuovo futuro nel Paese, in cui prevalgano la pace e l’amore per il prossimo, perché - conclude il presule - “non è mai troppo tardi per amare, perdonare e ricostruire l’intera nazione”.  (I.P.)

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Zambia. Elezioni: vescovi invocano libertà di stampa

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È una forte denuncia del deterioramento della libertà stampa quella lanciata da mons. Evans Chinyemba, vescovo di Mungu, in Zambia. Analizzando il contesto del Paese, in vista delle elezioni generali che si terranno il prossimo 11 agosto, il presule sottolinea come l’informazione pubblica sia nettamente sbilanciata a favore dei partiti di maggioranza. Di qui, il richiamo al governo affinché non abusi dei media pubblici per i propri fini.

Senza libertà, i media diventano nemici dell’informazione
In tal modo, sottolinea mons. Chinyemba, i mezzi di comunicazione statali sembrano essere divenuti “nemici dell’informazione”; per questo, il presule auspica che dopo le votazioni dell’11 agosto venga rivisto il Codice di condotta elettorale per quanto riguarda la comunicazione pubblica. Non solo: il vescovo di Mungu lamenta la chiusura, da parte dell’esecutivo nazionale, del quotidiano “Post”, di proprietà privata ed a carattere indipendente. La testata è stata accusata di evasione fiscale.

Voto sia pacifico, no alla violenza
Al contrario, afferma mons. Chinyemba, “il Paese ha tutto da guadagnare quando i media del servizio pubblico possono operare senza interferenze, così da divenire fonte affidabile di informazioni e istituzioni culturali vitali che raggiungono l’intera popolazione, senza pregiudizi”. Poi, il presule lancia l’appello ad un voto pacifico e lontano da ogni tipo di violenza.

I cittadini si “armino” solo della scheda elettorale
Negli ultimi tempi, infatti, si sono verificati numerosi scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine che hanno provocato numerosi morti e feriti.  Alla fine di luglio - solo per citare un episodio - la polizia ha sparato gas lacrimogeni e compiuto 28 arresti, mentre in alcune zone del Paese è scattato il divieto di propaganda politica. “Come nazione - spiega il vescovo - ci rifiutiamo di vivere nella paura. L’invito a tutti i cittadini è ad ‘armarsi’ solo della scheda elettorale ed a votare, per lasciare un futuro migliore alle prossime generazioni”.

In programma anche referendum costituzionale
Le votazioni dell’11 agosto saranno sia legislative sia presidenziali. Inoltre, gli elettori saranno chiamati ad esprimersi anche su un referendum costituzionale, riguardante la modifica dell’articolo 79 della Carta fondamentale per aggiungere ai diritti “civili e politici”, già specificati, anche quelli “economici, sociali, culturali ed ecologici”. (I.P.)

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Armenia: appello della Chiesa Apostolica per la pace nel Paese

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Sembra avviarsi alla calma la situazione in Armenia, dopo giorni di tensione: dopo due settimane, infatti, si è arreso il gruppo di oppositori all’attuale governo che si era asserragliato nel quartier generale della polizia a Yerevan. Alle origini della protesta, la richiesta di scarcerazione di un leader dell'opposizione, Jirair Sefilian, fortemente critico nei confronti del modo in cui il presidente, Serge Sarkisian, ha gestito il conflitto del Nagorno-Karabakh. Nel corso degli scontri, due poliziotti sono rimasti uccisi; decine le vittime tra i civili.

I problemi si risolvono con il dialogo, no alla violenza
Di fronte a tale drammatica situazione la Chiesa Apostolica armena, presieduta dal Patriarca e Catholicos Karekin II, ha diffuso una nota in cui invita alla pace ed alla riconciliazione nazionale ed esprime “profondo dolore” per le vittime ed i feriti. “Consideriamo inaccettabile qualsiasi tipo di azione illegale e di violenza che può causare lo spargimento di sangue e mettere a repentaglio il futuro” del Paese, si legge nel documento. Di qui, il richiamo “alla temperanza della popolazione” e l’esortazione a rifiutare il conflitto, impegnandosi invece a “continuare il dialogo”, perché “i problemi e le sfide” della società armena potranno essere risolti “solo attraverso un processo di pace e in uno spirito di reciproca comprensione”.

Lavorare per il bene del Paese
“Siamo tutti figli di una stessa nazione”, scrive ancora la Chiesa Apostolica armena, invitando a lasciarsi guidare “dagli interessi nazionali” ed a pregare per l’esito positivo della situazione attuale. Per questo, domenica scorsa, in tutte le chiese armene si è celebrata una speciale liturgia per la pace nel Paese. Intanto, in queste ore il capo dello Stato ha promesso di creare, entro pochi mesi, un governo di “accordo nazionale”. (I.P.)

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Arcivescovo Los Angeles: essere immigrati vuol dire essere missionari

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“Essere immigrati vuol dire essere missionari”: questo il punto focale dell’omelia di mons. José Gomez, arcivescovo di Los Angeles, che nei giorni scorsi, nella cattedrale cittadina, ha presieduto una Messa per tutti i migranti. “La nostra nazione e tutta l’America - ha sottolineato il presule - sono state evangelizzate da immigrati, da missionari e da santi”. In particolare, mons. Gomez ha ricordato le figure di San Junípero Serra, evangelizzatore della California, Santa Francesca Cabrini, missionaria a Chicago, ed il messicano San Toribio Romo.

America alimentata dalla fede degli immigranti
“La fede cristiana - ha ricordato l’arcivescovo di Los Angeles - è stata portata in questa città ed in questa nazione da immigrati provenienti dal Messico, dall’America Latina, dall’Europa e dall’Asia. E ciò sta accadendo ancora oggi, perché l’America è sempre stata alimentata dalla fede dei popoli immigrati ed ha bisogno dei doni dei migranti”, come “la fede in Cristo, i valori, l’amore per la famiglia, l’impegno a lavorare per il bene comune”.

Occorrono azioni concrete per la giustizia e la dignità
Di qui, il richiamo del presule alla preghiera, affinché la popolazione americana non dimentichi “da dove proviene” e “come dovrebbe essere”. In quest’ottica, il presule ha esortato le istituzioni a non dimenticare la questione migratoria: “Credo che sia giunto il momento - ha affermato - che i nostri leader inizino ad intraprendere azioni concrete per la giustizia e la dignità” del Paese. “Bisogna tornare alla visione originale che - ha spiegato ancora mons. Gomez - i padri fondatori avevano dell’America, alla visione di una nazione in cui persone di ogni razza e lingua possano vivere nell’uguaglianza, come fratelli e sorelle, come figli di Dio Padre”.

Accogliere Gesù nei poveri e negli esclusi
“Gesù continua a chiamare il nostro Paese - ha concluso l’arcivescovo - ad accoglierlo nei poveri, nei prigionieri, nei malati e negli immigrati. Preghiera e servizio: questa è la nostra vocazione come immigrati e missionari”. Infine, il presule ha invocato la Vergine di Guadalupe, pregando affinché doni al Paese “coraggio, forza ed entusiasmo” per portare avanti la sua missione. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 216

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.