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Sommario del 05/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco alla Porziuncola: il mondo ha bisogno di perdono, troppi covano odio

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Da Assisi, il Papa lancia un forte invito a perdonare chi ci fa del male. Ieri pomeriggio Francesco si è recato in pellegrinaggio alla Porziuncola, nella Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, in occasione dell’ottavo centenario del Perdono di Assisi che ricorre proprio in questo Anno Santo della Misericordia, offrendo una intensa meditazione su questo tema. Il Papa, arrivato in elicottero, è stato accolto con grande gioia da padre Michael Anthony Perry, ministro generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori, da padre Claudio Durighetto, ministro provinciale dei Frati dell'Umbria, e da padre Rosario Gugliotta, custode della Porziuncola. Il servizio di Debora Donnini: 

Una catechesi sul perdono dalla Porziuncola: Papa Francesco l’ha offerta in questo breve ma intenso viaggio nel cuore pulsante del francescanesimo. Il Papa entra nella Basilica, saluta con il suo consueto calore i fedeli presenti e subito si reca a pregare nella Porziuncola, la piccola chiesa amata da san Francesco, “dove tutto parla di perdono”. Il Papa prega in silenzio, un silenzio intenso. Prega nel luogo dove Gesù nel 1216 donò a san Francesco il Perdono per chi, confessatosi e pentitosi, visitasse la Chiesa. L'Indulgenza venne concessa da Onorio III. "Voglio mandarvi tutti in paradiso!". Nella Basilica il Papa riecheggia le parole di San Francesco. Sulle sue orme, ricorda  che “è difficile perdonare”, ma il perdono è “la strada maestra” per raggiungere il Paradiso:

“Che grande regalo ci ha fatto il Signore insegnandoci a perdonare  - o almeno avere la voglia di perdonare - per farci toccare con mano la misericordia del Padre!”.

Il discorso del Papa si concentra sul Vangelo ascoltato poco prima, nel quale Gesù dice a Pietro che bisogna perdonare fino a settanta volte sette. Il Papa invita a perdonare chi ci ha fatto del male, perché, dice, “noi per primi siamo stati perdonati” da Dio:

“E’ la carezza del perdono. Il cuore che perdona. Il cuore che perdona accarezza. Tanto lontano da quel gesto: me la pagherai! Il perdono è un’altra cosa”.

Come ricorda anche il Padre Nostro, è centrale questa dinamica dell’essere perdonato e del perdonare. Si ricorda, infatti, il servo della Parabola che chiede al Signore di avere pazienza per il suo debito. E Papa Francesco chiede di riflettere sulla pazienza che Dio ha con noi. “Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo”. Si tratta di un perdono totale nonostante “possiamo ricadere negli stessi peccati”. “Dio si impietosisce”, prova un sentimento di pietà unito alla tenerezza: espressione che indica “la sua misericordia nei nostri confronti”:

“Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell’intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato”.

Ma il servo della parabola non vuole, però, condonare il debito al suo fratello, nonostante a lui sia stato condonato. Il Papa sa, infatti, che il problema nasce quando ci si confronta con chi ci ha fatto un torto:

“In questa scena troviamo tutto il dramma dei nostri rapporti umani; tutto il dramma. Quando siamo noi in debito con gli altri, pretendiamo la misericordia; quando invece siamo in credito, invochiamo la giustizia!”.

Questo però non è lo stile di vita dei cristiani. Gesù infatti ci insegna a perdonare, propone l’amore del Padre, non la pretesa di giustizia. Quindi, il perdono di cui san Francesco si è fatto “canale” qui alla Porziuncola continua a “generare paradiso” ancora dopo otto secoli. La strada del perdono può, infatti, rinnovare la Chiesa e il mondo:

“Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace”.

Quindi, il Papa esorta a chiedere a san Francesco di intercedere per noi, “perché mai rinunciamo ad essere umili segni di perdono e strumenti di misericordia”. Il Papa chiude il discorso facendo riferimento ad un'altra parabola. Il Figliol Prodigo non fa in tempo a chiedere perdono e il Padre, subito, gli tappa la bocca e lo abbraccia:

“Il Padre sempre guarda la strada, guarda, in attesa che torni il Figliol prodigo; e tutti noi lo siamo”.

E come spesso accade, le parole del Papa sul perdono si concretizzano nei suoi gesti. Al termine del discorso, infatti, il Papa, in un fuori programma, ha confessato 19 persone. Fra loro anche quattro giovani scout e una donna anziana in sedia a rotelle. A confessare, su invito di Francesco, anche i vescovi e i frati. Le confessioni sono durate quasi un’ora e al termine Francesco ha salutato i frati presenti, i vescovi locali e un imam di Perugia. Quindi, si è recato all’Infermeria del Convento dove sono ricoverati 12 frati. Presente anche il personale assistente. Fuori dalla Basilica è stata creata per Lui un’infiorata di 130 metri quadri. Qui, a conclusione della sua visita, il Papa ha rivolto un breve saluto alla folla chiedendo di perdonare sempre, con il cuore, perché tutti noi abbiamo bisogno di perdono. Quindi è ripartito in auto per il campo sportivo Migaghelli da dove in elicottero è rientrato in Vaticano.

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Greg Burke: un messaggio per tutta l'umanità

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Ha seguito il Papa nella sua visita alla Porziuncola il nuovo direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke. Luca Collodi gli ha chiesto di parlarci del messaggio di questo evento: 

R. – E’ tutto incentrato chiaramente sulla misericordia e il perdono, come il Papa ha detto anche nella sua meditazione, sempre molto forte; breve, ma molto forte. Il momento clou, però, credo sia stato quello in cui il Papa si è messo a confessare e a lungo. Noi abbiamo contato diciannove persone: i primi quattro erano giovani scout; due ragazze e due ragazzi; poi i volontari; due preti e anche un frate francescano. Il moment clou credo sia stato questo e quando il Papa ha invitato anche i vescovi e i frati, che stavano lì con lui, a mettersi nel confessionale, e loro lo hanno fatto. Quindi, molta gente ha toccato la misericordia di Dio in questa giornata.

D. – Significativo anche il saluto con l’imam di Perugia all’interno della Basilica…

R. – Appena ha finito il servizio è uscito a salutare i vescovi e sono rimasto sorpreso che proprio tra i vescovi e i frati del Convento ci fosse l’imam di Perugia. Hanno parlato per pochi minuti e chiaramente erano molto sorridenti.

D. – Molto usata la parola “perdono” che guarda sia al rapporto tra gli uomini, ma forse anche alla situazione geopolitica mondiale …

R. – Chiaramente il messaggio è questo, un messaggio mondiale, di cui credo il mondo abbia bisogno in questo momento. Ha, dunque, un’importanza globale. Dall’altra parte, il Papa ha insistito molto su quanto sia difficile perdonare ma che bisogna imparare a perdonare. Prima di tutto, infatti, Dio ha perdonato noi. Dunque, quanto è difficile perdonare, ma quanto è importante farlo.

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P. Durighetto: il fuoriprogramma delle Confessioni, guizzo dello Spirito

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Per un bilancio della visita del Papa alla Porziuncola ascoltiamo il provinciale dei Frati Minori dell’Umbria, padre Claudio Durighetto, al microfono del nostro inviato Federico Piana

R. – E’ stata proprio, da una parte, quasi elettrizzante la presenza, così spiritualmente forte di Papa Francesco; dall’altra parte, questa pace in cui ci ha immersi, ci ha quasi davvero fatto toccare il Paradiso, sia nel silenzio della preghiera – quel tempo lungo in cui lui si è proprio sprofondato nella preghiera nella Porziuncola – e sia poi in tutti gli altri momenti della visita.

D. – Che messaggio può dare ai fedeli questo momento importante?

R. – Che noi dobbiamo ripartire da Dio, dobbiamo ripartire dall’amore e solo conoscendo Dio nella preghiera, nel silenzio, possiamo sperimentare la misericordia, per poi vivere anche la misericordia.

D. – Papa Francesco ha fatto un piccolo fuoriprogramma: ha confessato delle persone in modo inaspettato…

R. – Mi è sembrato il guizzo proprio dello Spirito Santo che ha trasformato la visita in qualcosa di straordinario. Ha parlato della misericordia, ha parlato del perdono e poi ha detto: cominciamo subito: cominciamo dal Papa, dai vescovi, dai sacerdoti, che si confessano, confessano e si mettono a disposizione per confessare. Quindi è stata una mobilitazione improvvisata, ma veramente un balsamo, una cosa straordinaria, eccezionale.

D. – Che lettura si può dare di questo gesto semplice di Papa Francesco?

R. – Che l’Indulgenza, come anche San Francesco l’ha intuita, non è un colpo di spugna, una cosa a buon mercato, una cosa magica, che ti toglie chissà cosa di dosso: l’Indulgenza fa parte di un cammino di ritorno al Signore, di passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. Questo si fa nel cammino verso la Porziuncola, nel cammino interiore della preghiera e, anche in questo cammino di conversione, mettendosi prima di tutto con umiltà nella verità davanti a Dio, davanti a se stessi; chiedendo perdono dei nostri peccati, ciascuno; ritrovandosi proprio come peccatori e bisognosi di misericordia. Questo ci dà anche più umiltà nei rapporti e permette di costruire rapporti nuovi.  

D. – Papa Francesco ha fatto riferimento nel suo discorso alla difficoltà del perdonare e ha detto: “Qui in Porziuncola c’è veramente la misericordia di Dio”…

R. – Il primo biografo di San Francesco – Tommaso da Celano – riporta un’esperienza, possiamo dire mistica, di Francesco alla Porziuncola. Francesco si sentiva oppresso e rattristato e il peccato quasi lo avviluppava. Nella Proziuncola ha fatto l’esperienza della misericordia di Dio, di sentirsi amato, perdonato e rimesso in uno stato di grazia straordinario. E noi pensiamo che questa esperienza mistica poi Francesco abbia desiderato riproporla attraverso questa Indulgenza, in analogia con il Cantico delle Creature, nato da un’esperienza simile, in un momento di grande sconforto a San Damiano. Ma Francesco ha avuto la certezza che il Signore gli dicesse: “Sarai presto nel mio Regno; sarai salvo; sarai con me nel mio Regno”. E questo ha fatto esplodere la gioia e il Cantico delle Creature. Analogamente questa esperienza della misericordia poi Francesco l’ha veicolata attraverso l’Indulgenza. Per cui facciamo l’esperienza della misericordia di Dio e questo pian piano ci rende misericordiosi.

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Il Papa: auguri agli atleti di Rio, siate messaggeri di fraternità

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Si apre questa notte all'una, ora italiana, il sipario sulle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Papa Francesco ha auspicato che i Giochi olimpici siano un momento di pace e tolleranza. Oggi in un tweet sull'account @Pontifex in nove lingue scrive: "Auguri agli atleti di #Rio2016! Siate sempre messaggeri di fraternità e di genuino spirito sportivo". Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono impressionanti i numeri che accompagnano la XXXI edizione dei Giochi Olimpici, la prima Olimpiade in Sudamerica. Sono oltre 10 mila gli atleti, più di 200 i Paesi rappresentati. La cerimonia di apertura nello stadio Maracanà, alla presenza di quasi 80 mila spettatori, inizierà alle ore 20 locali. Ad una leggenda del calcio, il brasiliano Pelè, sarebbe stato affidato - secondo fonti di stampa - l’onore di accendere la torcia olimpica. La prima delegazione a sfilare sarà quella della Grecia, l’ultima sarà quella del Brasile. Per la prima volta, partecipa ai Giochi olimpici anche la nazionale dei rifugiati.

Sicurezza affidata ad oltre 85 mila uomini
Sono 28 gli sport inseriti nel programma olimpico. Tra questi ritorna, dopo 112 anni di assenza, il golf. Le medaglie d’oro e d’argento sono complessivamente più di 600. Sono oltre un milione e mezzo i turisti attesi nel Paese e almeno 7,5 milioni i biglietti messi in vendita. Alla vigilia dei Giochi sono state lanciate in rete inquietanti minacce da parte di miliziani del sedicente Stato islamico. A garantire la sicurezza ci sono 85 mila uomini tra polizia e forze armate. Ed è folta anche la presenza dei media: tra giornalisti, fotografi e operatori televisivi sono oltre 25mila le persone arrivate in Brasile per assicurare la copertura mediatica dell’evento.

Dalla Russia 271 atleti
Alle Olimpiadi di Rio, che si chiuderanno il prossimo 21 agosto, prendono parte anche 271 atleti russi ammessi dal Comitato olimpico internazionale. La decisione è stata presa dopo lo scandalo del doping di Stato emerso in Russia. Sono invece esclusi dai Giochi 181 sportivi russi. Fra le discipline più sanzionate c‘è l’atletica. La squadra olimpica russa è la più esigua in 104 anni di Giochi, con l'eccezione di quelli, boicottati, di Los Angeles del 1984.

L’Africa e le Olimpiadi
Tra i cinque continenti, quello africano è il meno titolato. Complessivamente l’Africa ha conquistato 347 medaglie (102 di oro). L’Africa resta anche l’unico Continente che non ha ancora organizzato un’edizione dei Giochi. Il Kenya è il Paese che ha vinto di più con 86 medaglie conquistate, seguito dal Sudafrica, dall’Etiopia e dall’Egitto. L’immagine emblematica dell’Africa vincente alle Olimpiadi è legata ad Abebe Bikila, atleta etiope che vinse la maratona ai Giochi Olimpici di Roma nel 1960.

Delegazione palestinese
Alla cerimonia di apertura rischia di non sventolare la bandiera palestinese. Il Comitato olimpico palestinese ha accusato le autorità di Israele di aver fermato alla dogana la delegazione della Palestina e di aver sequestrato attrezzature, divise, bagagli e bandiera. La delegazione palestinese, proveniente dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, è composta da sei atleti.

L’altra faccia di Rio
Ma oltre al volto luminoso e ammaliante dello sport, c’è anche un'altra faccia di Rio denunciata da diverse Ong internazionali: non  solo quella degradata delle favelas ma anche quella della piaga dello sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti. Contro questi drammi la Chiesa locale è in prima linea e tra le varie iniziative, le religiose brasiliane hanno lanciato la campagna “Gioca per la vita”. L’obiettivo è di responsabilizzare cittadini e autorità nella lotta contro la tratta.

Presidente brasiliano sospeso
I Giochi di Rio si aprono in un momento delicato anche dal punto di vista politico. La Commissione competente del Senato ha votato, alla vigilia dell’apertura delle Olimpiadi, a favore dell’impeachment di Dilma Roussef, già sospesa, per aver infranto le leggi di bilancio. Il voto apre la strada alla sua rimozione entro la fine del mese. Il presidente brasiliano è accusato di aver speso denaro pubblico senza l’approvazione del Congresso e di aver “aggiustato” il bilancio statale. Secondo Dilma Roussef, i suoi avversari politici hanno messo in atto un colpo di Stato mascherato.

Olimpiadi, occasione di riscatto
Tra le luci di un evento sportivo mondiale, che calamita l’interesse di tutto il mondo, e le ombre di un Paese ancora segnato dalla crisi e da tensioni sociali, le Olimpiadi di Rio de Janeiro si possono comunque rivelare un’occasione di riscatto. Una possibile nuova pagina per il Brasile, che continua a cercare la strada di un giusto sviluppo, e per lo sport, ancora troppo spesso ferito dal doping e dalle logiche del business.

Ma quale è lo spirito con cui il Brasile si è preparato a questo straordinario evento? Silvonei Protz lo ha chiesto all’ ambasciatore del Brasile in Italia, Ricardo Neiva Tavares

R. – Lo spirto è il migliore possibile! La città di Rio – come tutto il Brasile in generale – si è preparata molto per i Giochi Olimpici e per quelli Paraolimpici. Questi Giochi rappresentano un momento di grande importanza per il Paese: certamente un momento di fratellanza. Accogliamo circa 11 mila atleti ma anche un momento per mostrare la bellezza di Rio e tutto quello che è stato fatto per questo evento. Abbiamo fatto molti lavori, abbiamo recuperato il centro della città. C’è anche il Porto Maravilha, con la costruzione di due musei, il Museo dell’Arte di Rio e il Museo del Domani. Sono stati fatti anche una serie di lavori per la mobilità urbana: la Linea 4 della metropolitana, che è lunga 16 chilometri e che collegherà Ipanema a Barra da Tijuca. Ma non solo, perché c’è la Transcarioca, che collegherà l’aeroporto di Galeão a Tijuca. C’è stato anche un recupero ambientale della città, con l’impianto di 15 mila alberi, la rivitalizzazione dei bacini fluviali, l’estensione del sistema fognario. Quindi molte opere sono state realizzate per questi Giochi. L’80 per cento è stato finanziato dal settore privato.

D. – Si è parlato molto anche di questo: dei costi, dei grandi costi proprio in un momento in cui il Brasile vive una crisi economica…

R. – Sì, ma questi Giochi costeranno meno: Rio ha fatto in modo di ridurre del 35 per cento le spese previste per la candidatura. La candidatura prevedeva 17 progetti, come lascito per la città. Ne sono stati consegnati 27! Per ogni real investito in infrastrutture sportive, altri 5 sono stati investiti per migliorare la vita dei cittadini. Dalle casse municipali sono usciti 732 milioni di reais e solo l’1 per cento dei 65 miliardi di reais investiti nello stesso periodo in educazione e salute. Se facciamo una comparazione con Londra, in Brasile l’80 per cento degli investimenti per le infrastrutture è stato finanziato dal settore privato. A Londra è avvenuto esattamente il contrario, con l’82 per cento finanziato con fondi pubblici. Nella costruzione si è pensato, inoltre, al lascito per la città: dopo i Giochi, il Parco Olimpico diventerà un grande complesso sportivo ed educativo.

D. – Si parla tanto della questione sicurezza in Europa, per la questione del terrorismo, ma anche la questione della sicurezza e della violenza locale…

R. – E’ una preoccupazione dappertutto! Noi abbiamo realizzato una grande operazione di sicurezza: è la più grande della storia della città! E’ un contingente stimato in più di 85 mila uomini, per garantire la sicurezza in questo evento.

D. – La Zika ha tormentato molto la stampa, anche europea ed americana…

R. – Io credo che sia stata molto esagerata, soprattutto pensando ai Giochi: adesso è il periodo invernale in Brasile e la possibilità della presenza delle zanzare nel periodo invernale è estremamente bassa.

D. – Il Santo Padre, nell’udienza generale di mercoledì scorso, ha fatto gli auguri per le Olimpiadi e ha rivolto un pensiero anche ai brasiliani che vivono un momento difficile, una crisi economia. Come vede questo momento, anche con questi Giochi Olimpici?

R. – Io credo che l’ultimo anno sia stato difficile da un punto di vista economico, perché abbiamo avuto la recessione. E anche quest’anno abbiamo una recessione. Ma si parla già di una crescita economica di circa il 2 per cento per l’anno prossimo. Dobbiamo anche pensare sempre che questi due anni di recessione si sono verificati dopo molti anni di crescita economica... Io credo che per il popolo brasiliano il messaggio del Papa sia molto importante, perché noi siamo un Paese con una grande parte della popolazione cattolica. Ma il Brasile è anche un Paese in cui c’è sempre stata una grande mescolanza, un Paese di immigrazione: è un Paese, quindi, che può anche dare un esempio in termini di convivenza nel mondo. E questi Giochi mostreranno queste qualità dei brasiliani. E’ un Paese in cui la collaborazione e la cooperazione sono sempre presenti e credo che questo sarà molto visibile durante i Giochi Olimpici, come abbiamo potuto vedere già nel Campionato mondiale di calcio due anni fa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il mondo ha bisogno di perdono: il Papa alla Porziuncola indica la strada per rinnovare la Chiesa e la società.

Una jeep per la missione: Eliana Versace su Paolo VI e l'India.

Un discorso che resiste all'usura del tempo: Ferruccio de Bortoli sulla raccolta di testi di Montini "Un uomo come voi. Testi scelti 1914-1978", a cura di Giovanni Maria Vian.

Una parola di amicizia: il discorso di Montini, il 19 novembre 1957, durante la visita allo stabilimento del Tecnomasio Italiano Brown Boveri.

Sulla festa della Trasfigurazione del Signore, gli articoli di Manuel Nin ed Enzo Bianchi. 

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Oggi in Primo Piano



Obama su Siria: avanti contro Is , ma Mosca non collabora

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E’ di nuovo frattura Mosca-Washington sulla soluzione della crisi siriana. Così all’indomani del vertice al Pentagono in cui il presidente Obama, dopo aver assicurato la continuità nella lotta allo Stato islamico, ha criticato la Russia perché non vuole o non riesce a tutelare il cessate-il-fuoco. Dunque, quale è l’entità di questo scontro internazionale e quali i riflessi sulla questione terrorismo? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Raffaele Marchetti, docente di Relazioni internazionali all’Università Luiss Guido Carli di Roma: 

R. – Sinceramente, la Russia vuole mantenere, a parte la sua presenza militare – sappiamo che la Russia ha basi aeree e navali in Siria – anche la sua presenza geopolitica, cioè un sostegno all’arco sciita al quale la Russia non vuole rinunciare, perché è il suo "grimaldello" per avere un ruolo in Medio Oriente.

D. – Quindi, ha ragione Obama quando dice che forse non fa a sufficienza o forse non vuole raggiungere il cessate-il-fuoco?

R. – Certo. Non vuole tutelarlo. Adesso è chiaro che l’azione portata avanti in questi giorni dal governo di Assad punta a una vittoria sul campo, a riconquistare Aleppo e quindi chiudere la partita. Se tu alla fine riesci ad avere il controllo di fatto del territorio, poi detti le regole. Sembra che si vada in questa direzione, con l’avallo della Russia…

D. – E queste frecciate che Kerry – e ieri Obama – lanciano a Mosca, cosa sono?

R. – Io direi che sono schermaglie abbastanza diplomatiche e hanno una valenza politica piuttosto bassa. Certo, ci sono stati momenti di coordinamento, non di vera e propria cooperazione militare, ma adesso la Russia ha incominciato di nuovo a marciare da sola in Siria perché fondamentalmente si rende conto che c’è un’opportunità, cioè l’opportunità, per il regime di Assad, di riconquistare il territorio.

D. – Quello che sta succedendo in Siria si amplifica e si raddoppia anche sul territorio libico?

R. – Sì, sebbene con ruoli rovesciati, perché lì abbiamo la capitale che è sostenuta dagli Stati Uniti e invece l’Aleppo della situazione, che in quel caso è Tobruk, che è invece sostenuta da altre fazioni che non riconoscono l’indipendenza. La Russia sta appoggiando, attraverso l’Egitto, Haftar e quindi da questo punto di vista anche in Libia la Russia gioca un ruolo importante. Si trova su un fronte contrapposto rispetto all’America perché sostiene Tobruk, sostiene il generale Haftar e la Cirenaica, che non riconosce l’autorità di al Sarraj. A questo punto, le due partite si incrociano molto e forse non sarà possibile risolvere l’una se non si risolve anche l’altra.

D. – Ci può essere, con tutto ciò un riflesso sul terrorismo internazionale?

R. – Certamente. Nel momento in cui l’Isis è sotto attacco ha bisogno di dimostrare che invece è ancora all’altezza di competere con le grandi potenze europee. Quindi ci si aspetta che ci sia una risposta di questo tipo.

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Siria: Aleppo sotto attacco, nel convento francescano i civili ritrovano il sorriso

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Continuano gli spari e i bombardamenti nella periferia di Aleppo. L’esercito di Bashar al Assad ha circondato una città ormai martoriata dai cinque sanguinosi anni di guerra. Le strade principali, conquistate da diversi giorni dall'esercito siriano ufficiale, sono costantemente controllate da cecchini appostati sui tetti, diventa sempre più rischioso riuscire a entrare in città, in molti si rivolgono a monasteri e conventi. Padre Firas Lutfi, viceparroco del Collegio francescano di Aleppo, racconta il clima di paura nell'intervista di Michele Ungolo: 

R. – Oggi, ad Aleppo si sentono di nuovo i bombardamenti, gli spari. Da un lato l’esercito siriano ufficiale con i suoi alleati sta circondando la città di Aleppo per far fronte all’avanzata dei jihadisti. Quando c’è questa avanzata ovviamente si spara e si sentono i bombardamenti giorno e notte e quindi non si dorme… L’unica strada di accesso che collega la città di Aleppo con le altre città siriane è spesso luogo di spari e di cecchini. Ieri, ad alcuni amici che volevano entrare ad Aleppo hanno detto: “Se volete entrare entrate, però la responsabilità è la vostra perché ovviamente c’è questo cecchino, forse più di uno”. Quindi non c’è pace nella città. La gente ha veramente paura.

D. – I conflitti tra le due fazioni diventano sempre più cruenti e sanguinosi. A pagarne le conseguenze sono ancora una volta i civili. Ma i bambini cosa c’entrano in questa guerra?

R. – Questa domanda va rivolta alla coscienza di chi ha in mano il potere di smettere questa guerra e invece non fa proprio nulla. Basta con il sangue, basta con le lacrime, basta con la preoccupazione! Mi creda, in questi giorni non riesco neanche a camminare perché ogni volta che sento questo fischio delle bombe mi vengono i brividi e ho paura per le persone che si trovano nel mio convento.

D. – I civili che ospitate in questo momento nel vostro monastero si sentono un po’ più tranquilli?

R. – Direi di sì. Adesso, se avessimo una telecamera la punterei subito dalla finestra dalla quale mi affaccio: ci sono circa 50 giovani che giocano a pallacanestro. Certamente ci sono gli spari, però è molto commovente vedere un po’ la gioia di questi giovani, la forza di poter vivere e di sperare in un futuro veramente migliore. Il mio convento, il Collegio di Terra Santa dei Padri francescani ad Aleppo, ospita centinaia di persone. Spesso sono bambini che non hanno nessun posto dove giocare. Sono preoccupatissimo per i bambini, per le persone…

D. – Quanto è vicina la chiesa a chi tenta di fuggire da questo clima dell’orrore?

R. – Siamo a contatto con la gente più povera perché solo loro sono rimasti nella città. I benestanti già dai primi mesi della guerra, quindi cinque anni fa, hanno fatto le valige e sono scappati. Invece ora ad Aleppo vivono i più poveri. Cerchiamo di venire loro incontro, non solo offrendo cibo, acqua, ma abbiamo anche scavato un pozzo nel nostro convento per venire incontro a questa necessità, a questo bisogno estremo di dissetarsi. Abbiamo cercato di aprire questi spazi di accoglienza, di assistenza spirituale e psicologica.  La gente ad Aleppo ha bisogno soltanto di essere ascoltata. Loro trovano nei frati, nei religiosi, nei consacrati proprio questo spazio accogliente di affetto di paternità, di maternità proprio utilissimo adesso. Direi che il Signore non ci lascia soli se c’è un po’ di consolazione e di forza per andare avanti, perché il Signore c’è ed è Lui il Signore della speranza che ci aiuta a resistere e a sperare in questa risurrezione dopo il periodo della passione e della morte.

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Cacciata dei cristiani da Ninive. Sako: Medio Oriente ha bisogno di noi

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Due anni fa, la notte tra il 6 e il 7 agosto, il sedicente Stato Islamico costringeva i cristiani della Piana di Ninive, in Iraq, a lasciare la loro terra: oltre 100mila persone che ora vivono sparse nel Kurdistan iracheno o in altri Paesi. Per ricordare il dramma di questi fratelli nella fede, sabato prossimo a Roma, Aiuto alla Chiesa che Soffre organizzerà un pellegrinaggio notturno verso il Santuario del Divino Amore. Il patriarca dei Caldei Raphael Louis Sako ha lanciato un messaggio a tutti gli iracheni per liberare l’Iraq dagli uomini del Califfato. Michele Raviart lo ha raggiunto telefonicamente a Baghdad: 

R. – E’ una situazione di attesa molto complicata. Alcuni hanno perso la fiducia di tornare, perché da due anni si sentono parole, discorsi, “liberiamo la Piana di Ninive”, eccetera, ma finora non c’è un piano chiaro. Allora pensano di partire. Sono molto preoccupati e continuano a vivere nelle carovane … la Chiesa ha affittato delle case e ogni famiglia ha una camera, una stanza … E’ una situazione difficile, ma noi continuiamo a sperare che questa Piana di Ninive sia liberata presto …

D. – Quanti sono, con precisione, i cristiani cacciati via e dove vivono adesso?

R. – Vivono un po’ dappertutto, ma la maggioranza vive a Erbil e nel Kurdistan. Quando sono fuggiti erano 120 mila, ma adesso alcuni sono andati in Giordania, Libano, Turchia per andare via, in Occidente. Penso però che ne siano rimasti oltre 100 mila …

D. – Lei ha lanciato un appello agli iracheni su come affrontare la minaccia dello Stato islamico e come far sì che i cristiani possano tornare a casa: quali sono le misure da prendere?

R. – La soluzione è cambiare la mentalità, ma anche la cultura. L’islam deve fare una nuova lettura (del Corano, ndr) e separare la religione dallo Stato. La terra è per tutti, la cittadinanza è per tutti, la religione è una cosa personale. Non si può fare o creare uno Stato settario, religioso: questo non funziona! Come i cristiani sono aperti – anche questo prete francese a Rouen, che ha offerto un terreno perché i musulmani potessero costruirci una moschea – anche loro devono avere iniziative simili. Dunque, rispettare la libertà di ogni persona, rispettare anche l’umanità delle persone: questo è molto importante! E’ fare giustizia per tutti, non secondo criteri settari, religiosi o etnici.

D. – Il suo è anche un appello a non farsi vincere dalla frustrazione e dalla disperazione. Ecco, in questo senso qual è il ruolo della Chiesa per questi cristiani profughi?

R. – Il Papa è stato molto prudente quando ha detto che non si può seguire la strada della reciprocità nel male. Dunque, se c’è un atto di violenza contro i cristiani, i cristiani non devono fare lo stesso. Il Papa parlava con riferimento all’attentato di Rouen: la vendetta non è una cultura cristiana. I cristiani devono sempre sperare e collaborare con gli altri per la pace e la stabilità. Loro devono anche diffondere la cultura del perdono, della riconciliazione. E noi stiamo facendo molto qui, in Iraq: siamo una minoranza ma abbiamo un impatto molto grande. La Chiesa deve sostenerci in questa testimonianza. Anche i musulmani apprezzano questa posizione dei cristiani, questa apertura, questo servizio della carità. Noi aiutiamo le famiglie sfollate sunnite e sciite: è un gesto di solidarietà, di vicinanza e di amicizia. Questo è molto apprezzato. Noi abbiamo un ruolo, abbiamo un posto qui, in Oriente: é il bene di tutti che i cristiani restino in Oriente. Non si può svuotare l’Oriente dei cristiani: sarebbe un peccato mortale!

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Il premio Terra e Pace al progetto “Corridoi umanitari”

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Il prestigioso Premio “Terra e Pace” 2016 è stato assegnato al progetto “Corridoi umanitari” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese, che dal febbraio scorso ad oggi ha consentito a 300 profughi siriani e iracheni l’ingresso regolare in Italia. Il riconoscimento viene consegnato da 19 anni a enti o istituzioni che si siano distinti per attività di pace, intorno al 6 agosto, anniversario della bomba atomica su Hiroshima. Intanto, proprio oggi, la Commissione europea ha ribadito il proprio sostegno all’Italia nella gestione dei flussi migratori dalla Libia per i quali si prevede un’intensificazione in seguito ai raid americani e riferisce che sono 90 mila, dall’inizio dell’anno, i migranti che hanno scelto la via del Mediterraneo centrale per arrivare in Europa. Roberta Barbi ha parlato con Cecilia Pani che ha ritirato il premio per Sant’Egidio: 

R. – E' un grande onore e una bellissima occasione per poter parlare di un gesto, di un progetto, di una speranza. Come la tragedia di Hiroshima ha suscitato tante forze di pace poi, nell’Europa unita, così dalle tragedie del mare, il nostro progetto è nato per una speranza di pace e di vita per tanti che attualmente fuggono dalla guerra.

D. – In che cosa consiste il progetto “Corridoi umanitari”?

R. – Il progetto permette di far arrivare dai Paesi in guerra – al momento la Siria, ma si allargherà anche ad Etiopia, Somalia, Eritrea e a tutta l’area dell’Africa subsahariana – attraverso corridoi sicuri, quindi visti da territorialità limitata, fino a mille persone in due anni. Quindi, è un protocollo fra il Ministero dell’interno, degli Esteri e le tre associazioni che gestiscono questi flussi, questi corridoi. I profughi, dunque, fuggendo dai luoghi di guerra potranno viaggiare in sicurezza e potranno evitare i viaggi della morte. Speriamo che questo progetto possa essere replicato in molti altri Stati. Stiamo ricevendo anche manifestazioni di interesse in molti Paesi europei.

D. – Per ora il progetto riguarda mille profughi, ma quale sarà il futuro di “Corridoi umanitari”?

R. – Noi speriamo che da queste aree che ancora soffrono, che ancora vivono nella guerra, possano venirne molti di più e soprattutto che il progetto si estenda ad altre nazioni europee. In Polonia, in Germania, in Francia ci sono manifestazioni di interesse. Speriamo che si possa replicare: il nostro è un modello facilmente replicabile. Per questo, l’occasione di questo Premio è un’ulteriore possibilità di divulgare, di far conoscere, di presentare questo modello e diffonderlo.

D. – Puoi raccontarci qualche storia, fra le tante, delle persone che avete accolto?

R. – Ci sono famiglie in gravi difficoltà, con bambini malati. Molti dopo qualche mese, dopo due o tre mesi, hanno già imparato la lingua italiana, i bambini hanno frequentato la scuola e vivono in appartamenti messi a disposizione dalle parrocchie, dalla società civile e dalle organizzazioni. Muovono già, quindi, i primi passi. E' bello anche vedere come, soprattutto i bambini, facciano amicizia con i loro compagni di scuola: sono loro il motore dell’integrazione.

D. – Quanto è importante dal punto di vista ecumenico lavorare con la Federazione delle Chiese Evangeliche italiane e con la Tavola Valdese, avendo in comune l’unico grande obiettivo di costruire insieme la pace?

R. – E' stato molto importante pensare insieme una via per interrompere questi viaggi terribili, è stato importante continuare a combattere, a preparare la strada fino alla firma del protocollo. E continua una grande collaborazione a tutti i livelli, sia nella presenza in Paesi come il Libano o altri che stanno per preparare i viaggi sia in tutte le altre azioni che sono necessarie per favorire l’integrazione. E' un modello, quindi, di collaborazione della società civile, delle Chiese, dei cristiani, e questo è un valore aggiunto importante.

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Il miracolo della neve ricorda la Dedicazione di S. Maria Maggiore

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Una nevicata di petali bianchi. Sarà rinnovata anche stasera, nel giorno della Dedicazione di Santa Maria Maggiore, la tradizione che rievoca il “miracolo della neve”, il prodigio che il 5 agosto di quasi 1.700 anni fa diede origine alla costruzione del tempio mariano, poi sostituito dall’attuale Basilica papale. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lo stesso sogno la stessa notte. La prova, incredibile, la mattina dopo. È un frate domenicano a mettere nero su bianco il racconto di una tradizione che già ai suoi tempi è vecchia di mille anni. Fra Bartolomeo da Trento è un letterato medievale della metà del 13.mo secolo che ama raccogliere nei suoi liber gesta di Santi e di miracoli attribuiti alla Vergine. Ed è lui a narrare di quella visione a occhi chiusi che, nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 358, folgora il sonno di un anziano patrizio romano, Giovanni, il quale da tempo desiderava con sua moglie di poter impiegare i propri beni nella costruzione di un’opera che onorasse la Madre di Dio. Costruiscimi una chiesa in quel punto dove domani troverai la neve, gli dice Lei stessa in sogno.

Neve al sole
Un sogno straordinario quanto il segno che deve certificarlo, una nevicata a Roma nel caldo di agosto. Un sogno e un segno che vanno riferiti subito al Papa, Liberio, dal quale Giovanni si reca la mattina seguente per scoprire – altra incredibile coincidenza – che anch’egli mentre dormiva ha ricevuto l’identica “visita” notturna della Vergine. E quella Roma epicentro di un impero traballante, che non regge più l’urto dei barbari, soprattutto dei Germani che dilagano a nord oltre il limes, e nella quale a imperversare è anche l’eresia di Ario, è pure un’Urbe-villaggio dove la voce di un prodigio ci mette molto poco a circolare.

In cima al Cispius
Così non è difficile per Papa Liberio e il nobile Giovanni, seguiti da un nugolo di prelati e da una folla di popolo, scoprire che il sogno è diventato realtà sul Cispius, la parte settentrionale dell’Esquilino, il più alto ed esteso dei colli capitolini. L’emozione dei presenti non viene descritta dal cronista medievale, ma è facile immaginare l’effetto dei raggi di agosto riflessi da un candido tappetto di neve che si para sotto gli occhi dei presenti. “Sulla neve ancora intatta”, annota invece fra Bartolomeo, Liberio “segnò il tracciato della nuova chiesa, che fu edificata a spese del patrizio e di sua moglie”.

La tradizione e la pietra
La neve di una tradizione bella e non documentata diventa circa 70 anni dopo la pietra della storia, quando Papa Sisto III fa costruire sulla precedente di Liberio la struttura dell’attuale Basilica di Santa Maria Maggiore, per celebrare con un tempio mai visto per grandezza e magnificenza il dogma della divina maternità di Maria che il Concilio di Efeso aveva appena approvato nel 431.

Dalla Mamma di Roma
La Chiesa non ha mai dimenticato quei fiocchi caduti in piena estate e da lungo tempo ogni 5 agosto dal soffitto della Basilica piove sulla folla che si raduna per celebrare la festa una fitta “nevicata” di petali bianchi. Evento che, calato il sole, si replica poi all’esterno – e avverrà anche stasera dalle 21 alle 24 – con la nevicata artificiale ideata per primo dall’architetto Cesare Esposito nel 1983. E pazienza se per assistervi bisognerà sottoporsi con anticipo ai controlli di sicurezza ai 6 varchi disposti dalla Questura. Ancor più nell’epoca di nuovi barbari del terrore è bello portare un saluto e un fiore e chiedere protezione, come fa sempre Papa Francesco, alla Mamma di Roma, la Salus Populi Romani.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cile, rivolta dei Mapuche: incendiata un'altra chiesa

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Un gruppo di persone non identificate hanno attaccato e bruciato una chiesa cattolica a Pidima (Araucania, Cile), nelle prime ore del 4 agosto nel comune di Ercilla. La chiesa – riferisce l’agenzia Fides - è stata completamente distrutta, nonostante il lavoro di quattro unità di vigili del fuoco arrivati sul posto. Nel luogo sono state trovate scritte a favore della causa degli indigeni Mapuche, come in casi analoghi che si ripetono ultimamente in diverse parti della regione. In questo caso però le scritte respingono il tavolo del dialogo promosso dal governo.

Nell'Araucanía Cilena, il cosiddetto “conflitto Mapuche” contrappone dagli anni 90 il più grande e importante gruppo etnico del paese agli agricoltori e agli imprenditori a causa della proprietà delle terre, considerate dai Mapuche "patrimonio ancestrale". Nelle ultime settimane ci sono stati diversi episodi di violenti scontri fra indigeni mapuche e membri di alcune comunità di agricoltori della zona.

Sono più di una decina le chiese e le cappelle date alle fiamme durante i primi mesi del 2016 e sul posto sono stati sempre trovati messaggi relativi ai gravi problemi dei Mapuche, irrisolti da più di un secolo.  

Il vescovo di Temuco, Hector Eduardo Vargas, in una intervista ad un giornale locale, ha spiegato che "le chiese bruciate si trovano nelle comunità mapuche, dobbiamo pensare che queste chiese sono state costruite da loro stessi. I mapuche, come ad esempio il gruppo dei ‘loncos’, sono i primi animatori delle comunità: guidano il catechismo, sono missionari laici, hanno perfino seminaristi. Le persone ora sono spaventate. Questi attacchi colpiscono non solo la Chiesa, ma le stesse comunità del posto". "Il popolo mapuche è profondamente religioso” - sottolinea - "e la soluzione definitiva parte dal dialogo".

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Chiesa latinoamericana: Giubileo della Misericordia a Bogotá

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“Un impetuoso vento di santità percorra il prossimo Giubileo straordinario della Misericordia in tutte le Americhe!”: su questo tema, tratto dall’omelia pronunciata il 2 maggio 2015 da Papa Francesco al Collegio Nordamericano, la Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi si prepara a celebrare dal 27 al 30 agosto a Bogotá, in Colombia, il suo Giubileo della Misericordia.

Attesi rappresentanti Santa Sede, Usa e Canada
Al grande evento, promosso dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal) parteciperanno vescovi, superiori religiosi, sacerdoti, laici e rappresentanti delle opere caritative da tutti i 22 Paesi del sub-continente americano. Sono inoltre attesi rappresentanti della Santa Sede  e delegati dagli Stati Uniti d’America e del Canada.

Trasformare la misericordia in azioni concrete
L’obiettivo dell’iniziativa – spiega un comunicato del Celam - è di trasformare “lo Spirito della misericordia” che anima questo anno giubilare in aiuti concreti, soprattutto a tutti coloro che, nelle parole di Francesco, vivono nelle “periferie dell’esistenza”. “Il Papa – spiega in un video-messaggio di presentazione mons. Juan Espinoza, Segretario generale del Celam e coordinatore dell’evento – ci esorta e stimola a fare in modo che la misericordia non sia solo un messaggio fatto di parole, ma che si traduca in opere concrete di aiuto ai più bisognosi. Per questo - prosegue - vogliamo invitare tutto il continente a unirsi a questa grande voce, quella del povero che ci interpella a dare di più a chi ha meno, ai più svantaggiati e ai più vulnerabili”.

In programma visite nei quartieri disagiati
Di tutto questo si parlerà al Congresso giubilare di Bogotá: tre giornate  di confronto e riflessioni sul dono e le opere di misericordia , in cui non ci si limiterà però  alla teoria. I partecipanti, infatti, visiteranno diversi quartieri disagiati della capitale colombiana dove potranno vedere la carità messa in opera dalle tante istituzioni e organizzazioni caritative della Chiesa locale a favore dei bambini, dei senza tesso, delle prostitute, dei carcerati e dei malati.  Nel programma anche celebrazioni e liturgie che inizieranno con la solenne Messa di apertura nella Cattedrale di Bogotá per concludersi nella Cappella Porziuncola della Miracolosa a La Calera , simbolo di San Francesco e quindi della povertà e dell’attenzione per i poveri.

Il dono della misericordia al centro dell’attività della Chiesa
Nel suo video-messaggio diffuso sulla pagina web http://www.comunicacioncelam.org/, mons. Espinoza invita tutte le diocesi, parrocchie e comunità ecclesiali latino-americane ad unirsi spiritualmente all’evento con la preghiera, ma anche visitando quei luoghi dell’emarginazione e del bisogno dove la misericordia di Dio è all’opera: “Il dono della misericordia – sottolinea - deve restare al centro dell’attività della nostra Chiesa e per questo chiediamo di vivere questo momento di grazia come un momento di conversione personale, pastorale e missionario nella Chiesa e anche di servizio dei popoli e delle nazioni”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Filippine, aumentano i malati di Aids: l’impegno della Chiesa

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Aids in aumento nelle Filippine: secondo i dati del Dipartimento nazionale della Salute, infatti, a maggio 2016 i casi di persone affette da virus Hiv erano 34.158, contro i 28.148 di maggio 2015, con il rischio di 25 nuovi contagi al giorno. Di fronte a tale drammatica situazione, per aiutare la prevenzione, la Chiesa cattolica locale ribadisce l’importanza di “un atteggiamento responsabile”, basato sulla fedeltà e l’astinenza.

Accesso alle cure
“La Chiesa porta aiuto alle persone affette da Aids attraverso una vasta rete di consulenti e volontari – afferma padre Dan Vicente Cancino, segretario generale della Commissione episcopale filippina per la Salute – Fornire il trattamento e le cure adeguate a chiunque ne abbia bisogno è il prolungamento naturale della nostra missione evangelica”. Padre Cancino ricorda, inoltre, il ruolo fondamentale della Chiesa nella “istruzione e nell’educazione ai valori” della vita, sottolineando l’importanza di “un atteggiamento basato sulla fede”.

Vincere i pregiudizi contro i malati
Infine, dal Consiglio nazionale delle Chiese nel Paese, istituzione fondata nel 1963 cui aderiscono dieci Chiese cristiane, arriva l’appello ai giovani a sottoporsi ai test di screening del virus Hiv. Obiettivo dell’iniziativa: accrescere la consapevolezza dei pregiudizi sociali di cui sono vittime, quotidianamente, i malati di Aids. (I.P.)

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Svizzera: pellegrinaggio africano alla Madonna Nera di Einsiedeln

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“Tutti sono benvenuti!”: questo il motto con il quale, il 27 agosto, avrà luogo, in Svizzera, il pellegrinaggio mariano degli africani residenti nel Paese e degli amici del continente africano. Giunto alla sesta edizione, l’evento è organizzato con il patrocinio di “Migratio”, il servizio per i migranti della Conferenza episcopale elvetica, ed avrà come meta l’Abbazia di Einsiedeln, luogo in cui è custodita la così detta “Madonna Nera”

Attesi centinaia di pellegrini
Oltre 350 i pellegrini attesi che, in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia, attraverseranno anche la Porta Santa dell’Abbazia. L’iniziativa avrà inizio alle 10.30 con l’incontro di tutti i pellegrini sul sagrato della Chiesa. Da qui prenderà avvio la Via Crucis con canti di diversi Paesi africani. L’incontro culminerà, poi, alle 12.30, con la celebrazione eucaristica all’interno del luogo di culto, presieduta da mons. Alain de Raemy, responsabile della Pastorale dei migranti nella diocesi di Losanna-Ginevra-Friburgo. Infine, spazio alla condivisione con un pic-nic a base di specialità culinarie africane, che sarà ospitato nel cortile della scuola appartenente all’Abbazia.

Favorire l’incontro e la conoscenza reciproca tra i popoli
“Con questo pellegrinaggio – spiegano gli organizzatori – gli africani residenti in Svizzera hanno la possibilità di esprimere la loro fede e di pregare per la loro patria di adozione, per i Paesi d’origine e per le loro famiglie”. Tale iniziativa, inoltre, si pone l’obiettivo di “rendere il mondo più attento alla presenza di cristiani che provengono dal continente africano, così da favorire l’incontro e la conoscenza” reciproca tra i popoli.

San Meinrado, il fondatore del Monastero di Einsiedeln
Situata nel cantone di Schwyz, la città di Einsiedeln ruota intorno al Santuario della Madonna Nera ed al Monastero annesso, risalente all’eremita Meinrado. Cuore del monastero è la Cappella costruita proprio sulla cella di San Meinrado, nella quale si venera la statua della Vergine, donatagli dalla badessa Ildegarda di Zurigo. Davanti a questa statua San Meinrado passava giorno e notte, in preghiera ed in meditazione.

La storia della Madonna nera
Purtroppo, la statua originaria della Vergine non è giunta fino ai giorni nostri, perché è stata distrutta da un incendio scoppiato nella Cappella nel 1465. L’icona odierna, dunque, risale alla fine del ‘400: si tratta di una statua di stile tardo gotico, alta 119 cm, costruita in legno di tiglio. Annerita dal fumo delle candele e danneggiata durante la Rivoluzione francese, è stata in seguito dipinta di nero. Di qui, il nome di “Madonna nera”. Dalla fine del 1500 la si usa vestire con abiti di colore differenti, a seconda del tempo liturgico.

Nel 1984, la visita di Giovanni Paolo II
Il Santuario di Einsiedeln è stato visitato da San Giovanni Paolo II nel giugno 1984, durante il suo viaggio apostolico in Svizzera. In quell’occasione, il Pontefice celebrò la Santa Messa di consacrazione del nuovo altare del Santuario e, nella sua omelia, esortò i fedeli a guardare a Maria, Colei che “ci insegna l’unità fraterna tra di noi e la nostra responsabilità nei confronti della predicazione del Vangelo.” (I.P.) 

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Gmg, funerali Susanna. Vallini: fede illumina un'ora di buio

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La chiesa romana di San Policarpo ha accolto ieri più di mille persone, giunte per dare l’addio commosso a Susanna Rufi, la 19.enne romana, animatrice dell’oratorio, morta a causa di una meningite fulminante contratta nel viaggio di ritorno dalla Gmg di Cracovia.

Il cordoglio dei presenti
Il funerale, svoltosi ieri alle ore 16, è stato celebrato dal cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, assieme al vescovo ausiliare mons. Guerrino Di Tora, al parroco don Alessandro Zenobbi e ad altri venti sacerdoti. Tra i partecipanti c’erano numerosi giovani, che si sono stretti attorno alla famiglia: papà Enrico, mamma Leila e la sorella Margherita.

L’unico conforto proviene dalla via del Vangelo
Le parole del cardinale vicario hanno saputo interpretare il dolore e le lacrime dell’intera comunità parrocchiale. Il porporato, infatti, dopo aver riconosciuto questo momento come “un’ora di buio”, ha esposto l’interrogativo rimasto inespresso nel cuore di molti: “Perché Susanna è morta? Una domanda atroce: perché proprio questa giovane buona e generosa, che insieme a un altro milione e mezzo di giovani ha vissuto giorni belli, di speranza e di fede gioiosa?”. Il cardinale Vallini ha sottolineato che non c’è risposta umana e la ragione non può che restare muta. “C’è solo una strada, difficile, quella del Vangelo che ci dice: dopo tre giorni Gesù risorge, perché cercate il vivente tra i morti?”. Pertanto, è necessario “percorrere il buio, sapendo e credendo che, se Gesù Cristo è vivo, lo siamo anche noi”. In questi momenti “noi possiamo non comprendere – perché non si comprende – ma abbandonarci nel mistero dell’amore onnipotente di Dio e credere che Susanna oggi è in Paradiso”.

Il ricordo di Susanna
A fare da eco alle parole del cardinale, vi è il ricordo di don Pino Conforti, che ha guidato la ragazza e il gruppo durante la Gmg di Cracovia: “Susanna è un angelo, una ragazza acqua e sapone, casa e chiesa, il sogno di tanti genitori. La tua vita è stata una freccia volata via attraversandoci il cuore. Guidaci tu, anche se hai soltanto 19 anni”. Con un lungo applauso i presenti hanno abbracciato un’ultima volta la ragazza, lasciandole un messaggio: “Ci mancherai”. Presente alla celebrazione anche il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti, amico del padre di Susanna. (A cura di Maria Carnevali Kellal)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 218

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.