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Sommario del 06/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a squadra olimpica di rifugiati: siate grido di fratellanza e di pace

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Papa Francesco ha scritto una breve ma intensa lettera alla squadra di rifugiati che partecipa alle Olimpiadi grazie ad una iniziativa dell'Onu. Ieri, in un tweet aveva fatto gli auguri a tutti gli atleti presenti a Rio de Janeiro. Ce ne parla Sergio Centofanti

“Siate sempre messaggeri di fraternità e di genuino spirito sportivo": questo l’augurio del Papa agli atleti di Rio in un tweet ieri alle 14.00. Ma Francesco ha voluto rivolgersi in modo particolare alla prima squadra di rifugiati dei Giochi olimpici inviando una lettera commossa. “Cari fratelli” - scrive citando tutti i nomi - voglio farvi pervenire il mio saluto e il mio desiderio di successo in queste Olimpiadi. Che il coraggio e la forza che portate dentro possano esprimere attraverso i Giochi Olimpici, un grido di fratellanza e di pace. Che, tramite voi tutti, l'umanità comprenda che la pace è possibile, che con la pace tutto si può guadagnare; invece con la guerra tutto si può perdere.  Desidero - conclude il Papa - che la vostra testimonianza faccia bene a noi tutti. Prego per voi e per favore vi chiedo di pregare per me. Che Dio vi Benedica”. Firmato: “Fraternamente, Francesco”.

Della squadra fanno parte 10 atleti, 6 uomini e 4 donne: ci sono due nuotatori siriani, due judoka della Repubblica Democratica del Congo e sei corridori provenienti da Etiopia e Sud Sudan. Sono tutti fuggiti da violenze e persecuzioni e hanno cercato rifugio in altri Paesi. La 18enne Yusra Mardini, siriana, profuga a Lesbo, ha salvato decine di persone spingendo a nuoto fino a riva il gommone che aveva rotto il motore. Ascoltiamo una sua breve testimonianza proposta dal sito dell’Unhcr, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati:

R. – I want to represent all the refugees …
Intendo rappresentare tutti i profughi per dimostrare a tutti che dopo il dolore e la tempesta vengono i giorni di calma. Desidero che nessuno rinunci ai propri sogni, che tutti facciano quello che sentono di fare nel loro cuore, anche se sembra impossibile …

I 10 atleti hanno sfilato al Maracanà sotto la stessa bandiera, quella delle Olimpiadi: parlano lingue diverse ma rappresentano un unico popolo di oltre 60 milioni di persone in fuga che hanno lo stesso linguaggio del dolore e della speranza.

L'iniziativa di inviare una squadra di rifugiati ai Giochi di Rio è senza precedenti e manda un forte messaggio di sostegno ai rifugiati in tutto il mondo in un momento in cui guerre e povertà stanno facendo aumentare ogni giorno di più il numero di persone costrette ad abbandonare i propri Paesi.

"La loro partecipazione alle Olimpiadi - ha detto l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi - è un omaggio al coraggio e la perseveranza di tutti i rifugiati nel superare le avversità e costruire un futuro migliore per se stessi e le loro famiglie".

Aspetto chiave dell’iniziativa congiunta Onu-Comitato Olimpico è una petizione per chiedere ai governi di garantire che ogni bambino rifugiato riceva un'istruzione, che ogni famiglia di rifugiati abbia un posto sicuro in cui vivere e che ogni rifugiato possa lavorare o imparare nuove competenze per dare un contributo positivo alla propria comunità. La petizione sarà consegnata prima dell’incontro ad alto livello delle Nazioni Unite su rifugiati e migranti, in programma il 19 settembre a New York.

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71.mo Hiroshima. Turkson: vicini a vittime di guerre e terrorismo

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Preghiera e solidarietà concreta per le vittime delle bombe atomiche, delle guerre e del terrorismo. È il pensiero che il cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e pace, esprime in un messaggio scritto in occasione del 71.mo anniversario dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima. Nella città giapponese, come ogni anno, una solenne commemorazione ha ricordato la tragedia che causo la morte di 140 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

Le 8.15 del 6 agosto 1945. L’ora passata alla storia della più grave, agghiacciante esplosione bellica: 90 mila persone polverizzate in un istante, le altre morte nei giorni e nei mesi successivi, una città – Hiroshima – rasa al suolo per il 90%.

La commemorazione a Hiroshima
Con la bomba sganciata su Nagasaki il 9 agosto finiva la Seconda Guerra mondiale e cominciava la corsa di Usa e Urss alla produzione di ordigni di una potenza mai vista dall’uomo. Alle 8.15 un minuto di silenzio ha preceduto l’auspicio del sindaco di Hiroshima, Kazumi Matsui, che nel 71.mo dell’atomica, davanti a 50 mila persone e a rappresentanti di 91 Paesi raccolti nel Parco Memoriale della Pace, ha detto di sperare invece in “una presenza sempre maggiore dei capi di Stato di tutto il mondo per contribuire all'abolizione degli arsenali nucleari”.

Turkson: preghiamo per vittime di guerre e terrorismo
Sentimenti condivisi dal cardinale Turkson, nel messaggio letto dal padre gesuita Michael Czerny, inviato del dicastero vaticano, che ha concelebrato una Messa nella Cattedrale di Hiroshima. Il presidente di Giustizia e Pace rammenta le parole di Paolo VI – che proprio il 6 agosto del ’78 si spegneva a Castel Gandolfo – quando nel novembre del 1965 parlando all’Onu esclamò il celebre: “Non gli uni contro gli altri, non più, non mai!". Incoraggiati dal Beato Papa Paolo VI, soggiunge il cardinale Turkson, “preghiamo e agiamo in solidarietà con le vittime delle bombe atomiche e di tutte le guerre e di tutto il terrorismo nel mondo”.

Riscoprire il perdono nell'Anno Santo
Nell’Anno Santo, e nel giorno in cui la Chiesa celebra la Trasfigurazione del Signore, la misericordia di Dio, scrive ancora il cardinale Turkson, possa “ispirarci, insegnarci e guidarci”. E, conclude, “possano le grazie del perdono, della riconciliazione, della solidarietà e della speranza toccare ogni persona, ogni comunità di fede e di gruppo sociale che incontriamo”.

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Papa nomina mons. Pennacchio nunzio apostolico in Polonia

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Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Polonia l’arcivescovo Salvatore Pennacchio, finora nunzio apostolico in India e in Nepal.

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Il prof. Carrozza membro dell'Accademia delle Scienze Sociali

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Negli Stati Uniti d'America, Papa Francesco ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il prof. Paolo Carozza, docente di Diritto e Scienze Politiche presso la University of Notre Dame di Notre Dame. Nato nel 1963 negli Usa, il prof. Carrozza si è laureato in scienze sociali presso l'Harvard College ed ha conseguito il dottorato in diritto alla Harvard Law School, dove è stato anche Ford Foundation Fellow in diritto pubblico internazionale. Attualmente è Direttore del Kellogg Institute for International Studies e Professor of Law and Concurrent Professor of Political Science all'Università di Notre Dame (Indiana, Stati Uniti d'America). I suoi studi comprendono i diritti umani, il diritto comparato costituzionale, le tradizioni giuridiche europee e latino americane, il diritto internazionale e lo sviluppo internazionale. Dal 2006 al 2010 è stato membro dell'Inter American Commission on Human Rights, il principale organo internazionale responsabile per la promozione e protezione dei diritti umani nell'emisfero occidentale, per il quale è stato Presidente nel biennio 2008 2009. Ha insegnato come Visiting Professor presso varie Università in Europa e le Americhe, tra cui l'Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano), la Universidad de Chile, e la Harvard Law School come John Harvey Gregory Lecturer on World Organization.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Adesso o mai più: in prima pagina, un editoriale di Luca M. Possati su complessità e nodi della sfida climatica.

Un gigante dell'economia: Pierre de Charentenay su forme e lati oscuri del turismo internazionale.

Un articolo di Giovanni Cerro dal titolo "il viaggio di Richero": pellegrini, mercanti e monaci sulle strade del medioevo.

Storia di una restituzione: a proposito di una stampa di Albrecht Durer.

Gabriele Nicolò sullle due signore di Degas.

Non sono forestiero alla vita: l'omelia del vescovo di Albano, Marcello Semeraro, per il trentottesimo anniversario della morte di Paolo VI.

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Oggi in Primo Piano



Notte di festa a Rio per l’apertura dei Giochi olimpici

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Con una maestosa e travolgente cerimonia nello Stadio Maracanà, a Rio de Janeiro, si è aperta ufficialmente la XXXI Olimpiade, la prima in Sud America. Una festa di colori e melodie ha scandito la cerimonia inaugurale, trasmessa in diretta in tutto il mondo. Presenti, tra gli oltre 80 mila spettatori, anche quasi 50 capi di Stato. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La storia del Brasile, attraverso la rappresentazione di snodi cruciali come la scoperta dell’America e di pagine drammatiche tra cui quella della schiavitù, ha dominato la cerimonia di apertura. In un’esplosione di suoni e luci ad essere raccontato è stato anche il Brasile moderno con le sue contraddizioni condensate in panorami oscillanti tra il degrado delle favelas e le sagome svettanti dei grattacieli. La nascita della foresta amazzonica e i rischi dei cambiamenti climatici e del riscaldamento terrestre sono altre istantanee di un emozionante percorso coreografico.

Il presidente ad interim Temer apre i Giochi
Ad aprire i Giochi Olimpici non è stata Dilma Rousseff, sospesa temporaneamente dal suo incarico presidenziale per impeachment, ma Michel Temer, capo di Stato ad interim che tra timidi applausi e incessanti fischi ha dato inizio allo spettacolo della cerimonia di apertura, preceduta fuori dallo stadio da manifestazioni di protesta contro il governo. Tra i momenti più emozionanti l’inno brasiliano cantato dall’artista Paulinho da Viola. A dominare la scena è soprattutto la musica e, in particolare, il ritmo del samba che si mescola a canti e balli in uno stadio, il mitico Maracanà, che ribolle di entusiasmo.

Fiamma olimpica accesa dal maratoneta Vanderlei Cordeiro de Lima
Ad emozionare è anche la sfilata delle squadre, in rappresentanza di oltre 200 nazioni e degli atleti, quasi 11 mila. Per prima sfila la Grecia, come da tradizione, e per ultimo il Brasile, il Paese ospitante. Tutte le altre squadre procedono in ordine alfabetico. Si scorgono tra le bandiere e i bagliori delle luci volti sorridenti ma anche pianti di gioia. Al maratoneta Vanderlei Cordeiro de Lima spetta l’onore di accendere la fiamma olimpica. Alle Olimpiadi del 2004 in Grecia, vinte dall’italiano Stefano Baldini, la sua corsa verso la vittoria era stata interrotta da uno squilibrato. E’ l’ultimo tedoforo e il suo messaggio è quello di chi, nonostante tutto, si rialza dopo essere caduto.

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Somalia, mons. Bertin riconsacra una chiesa ad Hargeisa

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Una piccola chiesa della Somalia dedicata a Sant’Antonio di Padova rinasce questa domenica nel cuore della valle dove sorge Hargeisa, nel Somaliland, in una terra abitata da una stragrande maggioranza di musulmani. A celebrare il rito di riconsacrazione, mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Ai microfoni di Giada Aquilino il missionario francescano, da quasi quarant’anni in Somalia, racconta come si sia arrivati a questo momento di gioia per la piccola comunità cattolica locale e non solo: 

R. – Durante la Messa domenicale, ci saranno un sacerdote, stabile ormai da febbraio, due volontari della Caritas e alcuni fedeli cattolici stranieri che lavorano in diverse organizzazioni ad Hargeisa. Nel corso della celebrazione, guiderò il rito della dedicazione e riconsacrazione della chiesa e in particolare del nuovo altare, perché il precedente era stato completamente distrutto.

D. - Qual è la storia della chiesa?

R. - Fu costruita intorno al 1950 dai Cappuccini. Dagli anni Ottanta venivo in questa chiesetta almeno due o tre volte l’anno, soprattutto intorno a Natale e a Pasqua. Almeno fino all’aprile del 1988, quando in questa parte del Paese ci fu una ribellione contro l’autorità centrale di Mogadiscio: la chiesetta venne presa, saccheggiata e qualcuno iniziò ad abitarci. Nel 1996 riuscii, insieme ad un mio collaboratore somalo che lavorava per la Caritas Somalia, a ricuperare il terreno, l’edificio di culto e la casa che serviva da abitazione per il sacerdote. Però, a causa dell’insicurezza generale del Paese, questa chiesetta non fu mai utilizzata. Finalmente nel gennaio scorso, vista la situazione più tranquilla qui ad Hargeisa, ho deciso di incontrare le autorità del posto, dicendo loro che desideravo riaprire la chiesa per prestare il servizio religioso al personale cattolico impegnato nel Paese e, nello stesso tempo, per iniziare anche delle attività umanitarie attraverso la nostra Caritas.

D. - Che segno si vuole dare con la riconsacrazione di questa chiesa alla zona?

R. - Verso la comunità cattolica è un segno di servizio - sono quasi tutti operatori umanitari - e un invito a vivere bene la loro dimensione cristiana di testimonianza. D’altro canto per la popolazione locale e per il cosiddetto governo locale è un segno di fiducia e di rispetto nei loro confronti, in quanto hanno acconsentito a farci utilizzare la chiesa. Ciò dimostra che questa parte della Somalia, il Somaliland, resta rispettoso del diritto di culto che hanno i non musulmani. Il Paese - lo ricordiamo - è totalmente musulmano.

D. - Nel Paese tra l’altro continuano gli attacchi degli estremisti al Shabaab. Che momento è per la Somalia?

R. - Gli al Shabaab continuano i loro attacchi: particolarmente nel sud, a Mogadiscio, c’è una presenza significativa di al Shabaab, ma anche del sedicente Stato Islamico, ultimamente. Il centro-sud continua a rimanere relativamente insicuro. In più a Mogadiscio è un momento politicamente instabile, perché prossimamente dovrebbero esserci le elezioni parlamentari.

D. - L’emergenza migranti riguarda in molta parte somali che tentano di raggiungere l’Europa e purtroppo spesso muoiono nella traversata del Mediterraneo. Perché scappano? Cosa cercano?

R. - Scappano dalla Somalia perché cercano una vita migliore, cercano rispetto per i loro diritti e una maggiore libertà personale.

D. - Come la Chiesa locale è vicina a queste persone, anche attraverso la Caritas?

R. - Stiamo cercando, con diversi progetti, di favorire la formazione dei giovani, di dare loro opportunità di lavoro. Ad esempio a Mogadiscio abbiamo aperto dei corsi di formazione in idraulica ed elettricità, oltre ad occuparci dell’aspetto sanitario. Abbiamo tra l’altro usufruito di uno dei micro-progetti che Caritas Italiana, Missio Italia e la Focsiv hanno organizzato. Abbiamo già ricevuto un piccolo aiuto in questo senso per aiutare queste persone a rimanere nel loro Paese.

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Pakistan: estremismo e fanatismo religioso sui banchi di scuola

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Incitamento all’odio e intolleranza contro i non musulmani. Sono questi alcuni degli effetti provocati in Pakistan per l’adozione nelle scuole di libri scolastici volti a spingere gli studenti al fanatismo religioso. Secondo lo studio pubblicato dalla Commissione nazionale Giustizia e pace (Ncjp) del Pakistan e presentato a Lahore, i programmi scolastici approvati dal governo, diffusi nelle quattro province del Paese, sono responsabili dell’aumento delle violenze di massa e dell’estremismo religioso. Mobeen Shahid, docente di pensiero e religione islamica presso la Pontificia Università Lateranense, ne parla al microfono di Michele Ungolo: 

R. – Nelle scuole statali, e anche nelle private riconosciute dallo Stato, sono costretti a mantenere un piano di studio statale dove i libri specialmente quelli di storia e anche studi sul Pakistan o altre materie anche se non hanno a che fare con la religione, ad esempio biologia, fisica ed altro, hanno sempre una connotazione islamista guidata da un’ideologia che ha creato la presente cultura fanatica nella nazione. L’ultimo ordine approvato nella regione del Khyber Pakhtunkhwa – la regione nel Nord ai confini con l’Afghanistan – dice che il 74% del contenuto dei libri essenzialmente incita all’odio non solo contro le minoranze religiose, ma in modo particolare contro l’Occidente e nello specifico al periodo della colonizzazione del subcontinente, indiano che viene presentato come il periodo buio per il popolo islamico del subcontinente, così come la mossa dell’Inghilterra per sottomettere i musulmani del subcontinente indiano.

D. – L’adozione di questi libri incita all’odio e all’intolleranza contro i non musulmani. Potrebbero causare in qualche modo l’aumento di violenza di massa e di fanatismo religioso?

R. – Sicuramente, perché proprio due mesi fa il governo di Khyber Pakhtunkhwa ha tolto i soldi per lo sviluppo delle minoranze religiose dandoli a un madrista guidato da Maulana Sami ul Haq, il quale ha formato il leader del Tehreek-e-Taliban Pakistan. Questa è la prima mossa che è stata fatta nel governo della regione del nord due mesi fa. La mossa successiva è quella di dichiarare gli occidentali e i cristiani come coloro che vogliono sottomettere i musulmani. Questo ovviamente crea un atteggiamento sociale di intolleranza e di odio non solo verso gli occidentali, ma anche i cristiani che sono nativi della nazione.

D. – Cosa porta queste decisioni? Perché i musulmani non sono ben visti?

R. – Durante i primi 30 anni della storia del Pakistan, in realtà la situazione delle minoranze religiose o anche dei non musulmani era piuttosto pacifica. Anzi, i musulmani negozianti si fidavano in particolare dei cristiani perché erano considerati molto onesti e per bene. A partire dagli anni ’70 in poi la società si è orientata verso la creazione dei mujaheddin per la guerra in Afghanistan e la diffusione di ideologie importate dall’Arabia Saudita, fondate su una cultura di odio verso le minoranze religiose, con lo scopo di islamizzare ancora di più il Pakistan, così che a livello mondiale potesse anche prendere un ruolo guida.

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Thailandia, referendum su nuova Costituzione promossa dai militari

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Thailandia questa domenica al voto per il referendum sulla nuova Costituzione. La riforma prevede un Senato non elettivo ma nominato dal governo ad interim, espressione della giunta militare al potere dal 2014. La bozza della nuova Carta è stata ampiamente criticata per le restrizioni alla democrazia rappresentativa, che consentirebbero alle forze armate di continuare a esercitare un ruolo preponderante nella politica. La Federazione internazionale dei diritti umani denuncia una manipolazione del processo di redazione della Costituzione e parla di “credibilità zero” sul voto. I sostenitori del “no” alla consultazione rischierebbero fino a dieci anni di carcere. L’ex primo ministro, Yingluck Shinawatra, deposta dal golpe del 2014 e sotto processo per negligenza, ha invitato i cittadini ad andare a votare, senza  dare indicazioni. Il primo ministro thailandese, il generale Prayuth Chan-ocha, ha dichiarato che voterà sì ha esortato tutti i cittadini ad andare a votare, aggiungendo di voler onorare la promessa di indire le legislative per il 2017. Su questa consultazione Elvira Ragosta ha intervistato Francesca Manenti, analista e responsabile del Desk Asia per il Cesi (Centro studi internazionali): 

R. – Il testo della riforma è ancora piuttosto poco conosciuto: le informazioni a riguardo sono davvero poche. Quello che si sa è, appunto, questo tentativo da parte del Consiglio nazionale per la sicurezza e per la pace e l’ordine di andare ad eleggere e nominare 250 membri del Senato, di cui 6 dovrebbero essere scelti all’interno dell’establishment militare. Questo Senato diventerebbe – insieme all’Assemblea legislativa – uno dei due organi che potrebbe votare il primo ministro. Un altro passaggio critico della riforma sarà quello di poter disciplinare sia l’elezione dei politici, che andranno poi a prendere parte al parlamento, sia le leggi che dovranno essere promulgate dai successi esecutivi, attraverso un codice etico inserito in questa riforma costituzionale e quindi formulato dall’attuale Giunta. Quindi un giro di vite in quello che potrebbe essere non solo una dialettica partitica e politica nel futuro del Paese, ma proprio una libertà di manovra di quelli che potrebbero essere degli esecutivi civili – e quindi non di connotazione militare – da qui alle prossime elezioni.

D. – L’ex primo ministro, Yingluck Shinawatra, sotto processo per negligenza, ha invitato i cittadini ad andare a votare, senza dare indicazioni: sembra che in Thailandia chi si esprime pubblicamente per il “no” al referendum rischi fino a 10 anni di carcere…

R. – Sì. E’ stato promulgato in questi giorni un Referendum Act, una sorta di legislazione che sta disciplinando le settimane precedenti e tutto quello che riguarda la possibilità di effettuare il referendum: l’art. 61 di questo Referendum Act prevede proprio l’impossibilità di portare avanti delle campagne per il “no” alla votazione. E’ disciplinata addirittura la chiusura – come è avvenuto già in queste settimane – di televisioni e giornali che si sbilanciano a favore di un voto contrario. Numerosi sono stati i cittadini e gli attivisti, soprattutto giovani, e intellettuali vicini all’ex primo ministro Shinawatra, che sostenevano la popolazione ad andare a votare, perché un mancato voto potrebbe sbilanciare il risultato a favore poi del “sì”, e di votare "no" al referendum.

D. – In che modo l’esisto del referendum può compromettere le elezioni legislative promesse per il 2017?

R. – L’attuale primo ministro Prayuth – il generale che ha portato avanti il colpo di Stato nel 2014 – ha sempre sostenuto che il “sì” all’attuale referendum spianerebbe la strada alle prime elezioni dopo il colpo di Stato, che si dovrebbero tenere verosimilmente intorno alla metà del 2017. E’, invece, incerto quale potrebbe essere l’iter fino alle nuove elezioni in caso di una vittoria del “no” a questo referendum. Si potrebbe ipotizzare anche un nuovo tentativo da parte del governo ad interim, vicino alla Giunta, di proporre un nuovo referendum costituzionale.

D. – Come influisce questo processo istituzionale thailandese nella geopolitica della regione?

R. – In questo momento i governi del Sud-Est asiatico stanno tenendo una posizione piuttosto attendista. Dal 2014 il governo thailandese ha comunque continuato ad avere delle relazioni con tutti i governi della regione, particolarmente vivo – per esempio – il rapporto tra il governo thailandese e il neo-insediato governo del Myanmar. Però, c’è una posizione attendista per andare a capire quale potrebbe essere l’esito non solo di questo processo referendario, che comunque darà un chiaro segno di quale sarà il futuro dell’esercito nei prossimi anni, ma soprattutto per andare a capire sin dove ci si potrà spingere, in Thailandia, per andare a disciplinare un contesto di sicurezza e di dialettica politica, che in questo momento si sta rivelando piuttosto complicato, piuttosto controverso e che potrebbe fungere da esempio per l’innescarsi di dialettiche politiche anche nei Paesi circostanti.

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Ventimiglia. Il parroco: immigrazione riguarda tutta l'Europa

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Sono proseguiti per tutta la notte i respingimenti alla frontiera di Ventimiglia da parte delle autorità francesi di circa 120 migranti che ieri forzando il blocco della polizia italiana si sono gettati a mare e hanno raggiunto la scogliera di Menton Garavan, su suolo francese, riversandosi poi sulle spiagge affollate di turisti. Intanto, Ventimiglia si prepara alla manifestazione "No border" prevista per domani alle 15 per protestare contro il blocco delle frontiere. Sulla situazione nel comune ligure, Paolo Ondarza ha intervistato don Rito Julio Alvarez, parroco della Natività e responsabile dell’accoglienza migranti nella chiesa di Sant’Antonio: 

R. – A Ventimiglia continuamente arrivano migranti con il desiderio di continuare il loro viaggio e la Francia continua a respingerli. E tutto questo vuol dire che i migranti devono obbligatoriamente restare qua e le autorità italiane sono obbligate a mandarli in alcuni centri del Meridione. Però, è un circolo vizioso perché se vengono mandati al sud con dei pullman, nel giro di tre giorni tornano nuovamente a Ventimiglia. E la situazione diventa molto complicata per la città.

D. – Quanti sono i migranti presenti a Ventimiglia, e di che nazionalità?

R. – In questo momento, forse un migliaio di persone. La maggior parte, il 65%, sono del Sud Sudan, gli altri sono algerini, tunisini, afghani, maliani…

D. – Si tratta di giovani, con famiglie?

R. – La maggior parte sono giovani e sono soprattutto uomini. Io direi che in media hanno 30 anni. Noi, a Ventimiglia, su un migliaio di persone abbiamo una quarantina di donne, una ventina di bambini e ci sono tanti minorenni non accompagnati.

D. – Il vostro servizio d’accoglienza, attivo da maggio, in cosa consiste?

R. – Noi da maggio abbiamo preso la decisione di aprire le porte della Chiesa. Con la prefettura, siamo riusciti ad aprire un campo – chiamato “Il campo della Croce Rossa” – che attualmente ha dei moduli abitativi, ma ha una capacità per 370 persone. Tutti possono entrare: gli altri dormono per terra, dormono nelle brandine. Hanno le docce, hanno i servizi e possono usufruire dei pasti, quindi colazione, pranzo e cena. Lì viene offerta informazione, in modo che quelli che hanno la possibilità di chiedere asilo possano farlo e che siano consapevoli che adesso in Francia non li fanno passare.

D. – La capienza delle vostre strutture è inadeguata…

R. – Assolutamente sì, perché noi di per sé nella parrocchia potremmo tenere una trentina di persone: abbiamo due docce, tre bagni… Nelle parrocchie stiamo facendo l’accoglienza delle famiglie, praticamente.

D. – Il caldo non aiuta…

R. – Diciamo che è un problema in più…

D. – Don Rito, Ventimiglia è uno degli esempi di come in questo momento l’Europa non sia attrezzata a fronteggiare in maniera coordinata l’immigrazione. Domani è prevista una manifestazione da parte del Movimento “No Borders”…

R. – Non siamo veramente preparati. Sì, c’è questo Movimento “No Borders” che a volte si spinge un po’ troppo: non so, questa è una mia opinione… Credo che la cosa migliore sia il dialogo: cercare di capire concretamente qual è la problematica sul territorio e agire. Andare a protestare in strada, tutto questo crea malcontento ed è un problema in più. Penso si debba essere consapevoli, come Comunità europea, che il problema dei migranti non è un problema dell’Italia: questo è un problema di tutta la Comunità europea. E per quanto riguarda il territorio italiano, bisogna essere anche essere consapevoli del fatto che dobbiamo adoperarci tutti: il problema dei migranti non è il problema di Ventimiglia, ma Ventimiglia è tutta Italia.

D. – C’è poi il capitolo sicurezza, in un momento in cui l’Europa è alle prese con la minaccia del terrorismo…

R. – Bè, un po’ di diffidenza c’è… Però, da quello che vedo il problema per la gente non è tanto la sicurezza, ma il disagio che crea la presenza di tante persone in un territorio o in una cittadina piccola come Ventimiglia.

D. – Le paure, secondo lei, sono infondate?

R. – E’ un po’ difficile rispondere, però, per adesso in Italia non abbiamo avuto grandi problemi. Per quanto riguarda le persone che io ho conosciuto in questi mesi, sono persone che veramente sono disperate e non credo assolutamente che siano persone che vengono per farci del male.

D. – Dopo quanto accaduto ieri, la situazione è tranquilla o c’è agitazione?

R. – Bè, diciamo che è relativamente tranquilla, poi, le forze dell’ordine cercano di fare il loro dovere. Però certamente il pensiero che domani ci possano essere manifestazioni nella città, certamente scalda un po’ gli animi e causa un po’ di preoccupazione.

D. – Come rappresentante della sua comunità parrocchiale ma anche della gente, dei profughi, dei migranti che arrivano a Ventimiglia, si sente di levare un appello?

R. – Prendere coscienza della realtà. Se queste persone sono qua e hanno dovuto abbandonare la loro terra, c’è un motivo: è un problema di tutti i cittadini, non solo dei cittadini di Ventimiglia.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XIX T.O.

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Nella 19.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù invita i discepoli a tenersi pronti perché, nell’ora che non immaginiamo, viene il Figlio dell’uomo:

“Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Al Padre è piaciuto darci in dono il suo regno, regno di pace e gioia, ma è necessario,  attraversare alcune prove per entrarvi: ingiustizie, derisioni, malattie, precarietà economiche, fatiche e umiliazioni che accompagnano spesso chi obbedisce a Cristo e non al mondo.  Solo la fede ci permette di superarle: la certezza di avere un tesoro nei cieli, del ritorno glorioso di Gesù e della ricompensa promessa. Perché il nemico non ci derubi questo tesoro inestimabile  siamo chiamati a vigilare, nell’attesa, mediante l’obbedienza sobria e orante e la carità operosa che attira alla Salvezza ogni uomo. Ogni cristiano, laico, religioso o presbitero, consapevole della grandezza di questo missione è, infatti, posto a servire, con la parola e le opere, coloro che Dio gli affida: familiari, amici, colleghi, parrocchiani, credenti o meno, per dare il cibo della parola e della misericordia al momento opportuno, testimoniando, con la vita, che la morte è vinta dal Signore. Chi perde il timor di Dio per l’accidia, perde la vigilanza e lo zelo per la salvezza di ogni persona, ha a noia la missione e diviene facilmente preda di ogni concupiscenza, dando talvolta occasione di pubblico scandalo. Si compie, infatti, la condanna che il testo greco del vangelo odierno esplicita con chiarezza: essere diviso in due, ovvero la condanna all’ipocrisia, alla doppia vita. La celebrazione odierna ci renda coscienti di questo pericolo e ci salvi dalla doppiezza.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cina: morto vescovo di Xiapu, per 35 anni agli arresti e lavori forzati

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In Cina, migliaia di fedeli hanno partecipato il 2 agosto scorso ai funerali di mons.  Vincenzo Huang Shoucheng, vescovo diocesano di Xiapu (Funing), nella provincia di Fujian (Cina Continentale) morto il 30 luglio all’età di 93 anni.

Il presule era nato il 23 luglio 1923 a Kangcuo nei pressi di Fu’an (Fujian) in una famiglia di tradizione cattolica. Aveva frequentato il seminario minore di Luojiang e aveva compiuto gli studi filosofico-teologici presso il seminario maggiore di Fuzhou. Il 26 giugno 1949 aveva ricevuto l’ordinazione presbiterale dall’amministratore apostolico di Funing, mons. Tommaso Niu Huiqing.

Dopo l’ordinazione ha insegnato nel seminario minore di Funing ed è stato parroco a Xiapu e in altre parrocchie, dove con grande fervore annunciava il Vangelo di Cristo. Negli oltre 60 anni di sacerdozio, mons. Huang ne ha passati 35 fra prigionia, lavori forzati e arresti domiciliari, dando eroica testimonianza di fede, di fedeltà incondizionata al Successore di Pietro e di comunione profonda con la Chiesa Universale.

Il 9 gennaio 1985 ha ricevuto l’ordinazione episcopale dalle mani di  mons. Paolo Liu Shuhe, vescovo di Yixian, per l’ufficio di coadiutore di mons. Xie Shiguang, vescovo di Xiapu: dopo la morte di mons. Xie, il 20 agosto 2005, gli è succeduto per coadiutoria, divenendo ordinario di Xiapu (Funing). Il 27 dicembre 2008 ha ordinato, come proprio coadiutore, mons. Vincenzo Guo Xijin, garantendo in tal modo la successione nella Diocesi.

Il presule, benché non fosse riconosciuto dalle autorità civili, svolgeva con coraggio il ministero della predicazione, teneva incontri con il clero e con le religiose, promuoveva la pastorale delle vocazioni e seguiva con cura la formazione dei sacerdoti, delle religiose e dei fedeli laici.

Sotto la sua guida, la Diocesi di Xiapu (nota anche come diocesi di  Funing/Mindong) è cresciuta notevolmente. Viene ricordato, da chi lo ha conosciuto, come un grande pastore, coraggioso, paziente, umile, pieno di fede e dedito all’evangelizzazione. La Diocesi conta oggi circa 90 mila cattolici con oltre 60 sacerdoti, 200 suore e 300 vergini consacrate, impegnate nell’evangelizzazione.

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Uruguay, vescovi: nuovo colpo ideologico a libertà d'insegnamento

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I vescovi della Conferenza episcopale dell’ Uruguay riuniti, il 5 agosto in assemblea straordinaria hanno riflettuto sulle conseguenze del progetto di legge approvato dalla Camera de Deputati che esclude le università private dal regime di esenzione fiscali. In un comunicato diffuso al termine dell’incontro, i presuli hanno espresso il loro sostegno alle obiezioni opposte dal Consiglio dei Rettori delle Università private dell’Uruguay deplorando quello che definiscono “nuovo colpo alla libertà d’insegnamento che non favorisce il sistema educativo del Paese”.

Una misura arbitraria e discriminatoria
In un comunicato il Consiglio afferma che il provvedimento è stato approvato in modo “precipitoso, arbitrario e con intenti discriminatori” e che esso rappresenta un “passo indietro” per il sistema educativo del Paese. “Le donazioni con esenzioni fiscali - si legge nel documento - permettono alle università di sviluppare programmi di borse di studio e per progetti di ricerca che vanno a beneficio di tutto il Paese”. I Rettori ricordano che le università private hanno contribuito all’arricchimento dell’offerta accademica, all’innovazione delle metodologie didattiche e all’introduzione di nuove visioni del mondo. In tal senso, migliaia di studenti, soprattutto di famiglie a basso reddito, non potranno più scegliere liberamente la propria educazione e il proprio futuro.

La motivazione non è economica: lo Stato non risparmia
Secondo la nota, dal punto di vista economico, l’eliminazione delle esenzioni fiscali, avrà un impatto insignificante sulla spesa pubblica per l’educazione, se si considera che nel 2015 esse rappresentavano solo lo 0,1 per cento dei 1.500 milioni di dollari del bilancio per l’istruzione. Inoltre, il provvedimento non comporta un risparmio per lo Stato, perché il totale delle donazioni non diminuisce, ma passa ad altre istituzioni pubbliche o private.

Una mossa ideologica contro il futuro del Paese
La nota del Consiglio dei Rettori, ricorda poi che il sistema di benefici fiscali approvato 10 anni fa prevede esplicitamente quale tipologia di progetto può beneficiare dell’esenzione e può essere presentato al Ministero dell’Educazione che può approvarlo o meno, stabilendone il fine e l’importo. Per questo i rettori criticano il carattere “ideologico” della misura e lamentano che “ancora sussistano visioni che non riconoscono né valorizzano l’impegno accademico, sociale ed economico delle università private. “Tutto quello che viene fatto a favore dell’educazione, che è un bene pubblico - sia essa gestita da istituzioni statali o da altri enti della società civile - viene semplicemente compiuto nel pieno rispetto del diritto alla libertà di educazione sancito dalla Costituzione”. (A cura di Alina Tufani)

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Etiopia, emergenza siccità: gli aiuti della Caritas Svizzera

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È emergenza siccità in Etiopia dove, secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, più di dieci milioni di persone patiscono la carenza di acqua e di cibo. E mentre la situazione sembra divenire rischiosa anche per Kenya e Somalia, la Chiesa non sta a guardare.

A Guji, interi allevamenti di bestiame morti di sete
La Caritas Svizzera, infatti, ha già investito due milioni di franchi in aiuti per i Paesi africani ed ora si appresta a lanciare un nuovo progetto di assistenza per la zona di Guji, in Etiopia meridionale, particolarmente colpita dalla siccità. Qui, infatti, la popolazione vive principalmente grazie all’allevamento di bestiame, ma la mancanza di acqua ha fatto morire di sete capre, pecore, mucche e cammelli. Per questo, la Caritas elvetica ha intenzione di rimettere in funzione cinque antichi sistemi di approvvigionamento idrico, per garantire l’acqua potabile ad almeno 5mila persone.

Distribuiti pasti per i bambini malnutriti
Inoltre, per prevenire il rischio di epidemie, la Caritas organizza corsi di igiene, senza dimenticare poi gli agricoltori: a loro, infatti, l’organismo di aiuti distribuisce sementi di emergenza, così da garantire, per il prossimo autunno, un raccolto in grado di sfamare 6mila persone. In programma, inoltre, anche la distribuzione di pasti per i bambini malnutriti ed una campagna di vaccinazione per il bestiame. (I.P.)

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Alluvioni e vittime in Bihar e Assam: l'appello di Caritas India

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Oltre 150 morti e 2 milioni di sfollati: questo il drammatico bilancio delle vittime dell’alluvione che ha colpito l’India, in particolare gli Stati di Bihar e Assam, situati nella parte orientale del Paese. Dovuta alle forti piogge monsoniche cadute negli ultimi giorni, l’alluvione ha provocato danni anche nella regione occidentale indiana, facendo crollare un ponte autostradale tra Mumbai e Goa.

Interi villaggi isolati, corsa contro il tempo
Immediati i soccorsi della Caritas nazionale: come riferisce l’agenzia AsiaNews, i volontari stanno lottando contro il tempo per soccorrere interi villaggi rimasti completamente isolati o raggiungibili solo tramite imbarcazioni. Le acque hanno danneggiato, inoltre,  terreni coltivati e infrastrutture, mettendo rischio anche la sopravvivenza delle specie protette di animali nel parco nazionale di Kaziranga. Centinaia di persone sono poi rimaste bloccate lungo l’autostrada in direzione di Manali, una località turistica nell’Himachal Pradesh.

Padre D’Souza: non dimenticare i sofferenti
Un appello specifico arriva da padre Frederick D’Souza, direttore esecutivo di Caritas India, il quale esorta a non dimenticare “la sofferenza di oltre due milioni di persone che lottano contro la pioggia” in questo difficile momento. Intanto, le previsioni meteorologiche indicano ulteriori precipitazioni sull’India nei prossimi giorni, mentre alcuni monsoni si sono abbattuti anche sul Nepal e sulla Cina. (I.P.)

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Germania: Chiesa cattolica, aumentano battesimi e matrimoni

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Sono dati piuttosto positivi quelli che emergono dalle statistiche della Chiesa cattolica tedesca, pubblicate in questi giorni e relative al 2015: si registra, infatti, un aumento nelle percentuali di sacramenti come il battesimo ed il matrimonio, a fronte di un calo delle così dette “abiure”, ovvero la rinuncia ufficiale all’appartenenza alla Chiesa. 

In calo le richieste di “abiura”
“Il numero di abiure – riporta un articolo di Massimo Lavena per l’agenzia Sir - è per la prima volta diminuito in modo significativo dall’inizio dello scandalo degli abusi sessuali, il quale ha causato una gravissima crisi nei fedeli: nel 2015, 181.925 cattolici hanno abbandonato la loro fede dichiarandolo allo Stato”. Si tratta di un risultato “relativamente positivo”, considerato che “nel 2014, ben 217.716 persone decisero di abbandonare la Chiesa di Roma”.

Cattolici sono ancora comunità religiosa più grande nel Paese
Ciò nonostante, “i cattolici continuano a essere la comunità religiosa più grande della Germania con i suoi 23,7 milioni di membri, pari al 29 per cento della popolazione totale del Paese”. Interessante, inoltre, il confronto tra il numero delle richieste di ammissione nella Chiesa cattolica – 2.685 nel 2015, con una calo di 124 unità rispetto al 2014 – e il numero dei rientri di fedeli che abiurarono in passato: 6.474, cioè 160 in più rispetto l’anno precedente”.

In aumento i matrimoni in Chiesa, in calo i divorzi
Se, dunque, da una parte le statistiche rivelano numerosi “meno” – come le parrocchie, scese a 10.817, ovvero calate di 96 unità a causa dell’accorpamento di molte diocesi, o come i sacerdoti, diminuiti di 256 unità - al contempo si riscontra un aumento dei diaconi permanenti, cresciuti da 3.236 del 2014 a 3.304 del 2015. Molto confortante, poi, l’analisi statistica sui sacramenti: “Per prima volta in molti anni - prosegue l’articolo - il numero dei battesimi è leggermente aumentato con 167.226 unità rispetto ai 164.833 del 2014, così come i matrimoni in chiesa, che dopo anni di diminuzione esponenziale, presentano un incremento di 140 celebrazioni nuziali (da 44.158 a 44.298)”. Il tutto mentre, secondo il Rapporto annuale sulla famiglia realizzato dall’Ufficio federale di statistica, in Germani i divorzi sono diminuiti dell’1,7 per cento.

Card. Marx: perseverare negli sforzi pastorali
Soddisfazione per i risultati è stata espressa dal card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, il quale ha sottolineato “il desiderio attivo, da parte dei fedeli, per i sacramenti della Chiesa”. Di qui, l’esortazione del porporato a “perseverare negli sforzi pastorali”, perché la Chiesa tedesca è ancora una “forza importante, il cui messaggio viene ascoltato e accettato”. L’incoraggiamento, allora, sarà a testimoniare la fede in modo “convincente”, tenendo presente i bisogni della popolazione ed i nuovi “stili di vita”. (I.P.)

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38 anni fa moriva Paolo VI, grande timoniere del Concilio

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Ricorre oggi il 38.mo anniversario della morte di Papa Paolo VI, avvenuta il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo, proprio nella Festa della Trasfigurazione.  Giovanni Battista Montini, nato a Concesio, in provincia di Brescia, il  26 settembre 1897, viene eletto al soglio pontificio il 21 giugno 1963. Guida la Chiesa con saggezza in un periodo di grandi cambiamenti, portando a compimento il Concilio Vaticano II aperto da San Giovanni XXIII. Avvia i grandi viaggi internazionali dei Papi e promuove con decisione l'impegno ecumenico della Chiesa. Venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che Benedetto XVI ne aveva riconosciuto le virtù eroiche, è stato beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco.

Nell’omelia per la Beatificazione, Francesco ha ricordato la sua “profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa”, definendolo “grande timoniere del Concilio”, “coraggioso cristiano” e “instancabile apostolo”. Ha sottolineato come Paolo VI scrutasse “attentamente i segni dei tempi” cercando «di adattare le vie ed i metodi ... alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società» (Lett. ap. Motu proprio di Paolo VI Apostolica sollicitudo).

“Mentre si profilava una società secolarizzata e ostile” – aveva aggiunto Francesco – Paolo VI  “ha saputo condurre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore. Paolo VI ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedicando tutta la propria vita all’«impegno sacro, solenne e gravissimo: di continuare nel tempo e sulla terra la missione di Cristo» (Omelia nel Rito di Incoronazione: Insegnamenti I, 1963, p. 26),  amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse «nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza» (Lett. enc. Ecclesiam Suam, Prologo)”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 219

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.