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Sommario del 10/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la misericordia deve passare dal cuore alle mani

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“La misericordia è un cammino che parte dal cuore e arriva alle opere di misericordia”. La frase con cui Papa Francesco ha terminato l’udienza generale di oggi, in Aula Paolo VI, è la sintesi della catechesi incentrata sulla tenerezza di Gesù che prima si muove a compassione per una madre vedova, rimasta orfana del suo unico figlio, e subito si muove per restituirglielo vivo. Il servizio di Alessandro De Carolis

Una “grande folla” che entra nel villaggio e un “mesto corteo” che ne esce. Un incrocio casuale che Gesù, estraneo a ogni distrazione – come quella della gente che lo attornia e ha occhi solo per lui – ma sempre attento alla persona, trasforma in un momento di amore nei riguardi di una donna duramente provata dalla vita.

La compassione abbraccia il dolore
Notare la mamma dietro il feretro dell’unico figlio – lei che ha già perso il marito in una società che non considera le vedove – e avvicinarsi per consolarla per Gesù è tutt’uno. Il Papa assume idealmente il senso di quell’incontro – incontro della “tenerezza”, dice – e lo porta dentro il Giubileo, fino alla soglia della Porta Santa:

“Alla Porta Santa ognuno giunge portando la propria vita, con le sue gioie e le sue sofferenze, i progetti e i fallimenti, i dubbi e i timori, per presentarla alla misericordia del Signore. Stiamo sicuri che, presso la Porta Santa, il Signore si fa vicino per incontrare ognuno di noi, per portare e offrire la sua potente parola consolatrice: ‘Non piangere!’. Questa è la Porta dell’incontro tra il dolore dell’umanità e la compassione di Dio”.

“Alzati!”
E assieme a questo abbraccio della compassione di Dio al dolore umano, Francesco fa riecheggiare nella sua riflessione anche l’imperativo che Gesù rivolge al ragazzo morto, riportandolo in vita. Quell’“Alzati!”, afferma, è rivolto “a ognuno di noi”:

“Dio ci vuole in piedi. Ci ha creati per essere in piedi: per questo, la compassione di Gesù porta a quel gesto della guarigione, a guarirci, di cui la parola chiave è: ‘Alzati! Mettiti in piedi, come ti ha creato Dio!’. In piedi. ‘Ma, Padre, noi cadiamo tante volte’ – ‘Avanti, alzati!’. Questa è la parola di Gesù, sempre. Nel varcare la Porta Santa, cerchiamo di sentire nel nostro cuore questa parola: ‘Alzati!’”.

La Chiesa madre
“Fu preso da grande compassione per lei”, annota il Vangelo dei sentimenti di Gesù verso la donna. Ma il Papa coglie un significato profondo anche nel gesto successivo, quando Gesù restituisce il ragazzo alla mamma. Lei, osserva Francesco, “ridiventa madre per la seconda volta, ma il figlio che ora le è restituito non è da lei che ha ricevuto la vita”:

“Madre e figlio ricevono così la rispettiva identità grazie alla parola potente di Gesù e al suo gesto amorevole. Così, specialmente nel Giubileo, la madre Chiesa riceve i suoi figli riconoscendo in loro la vita donata dalla grazia di Dio. E’ in forza di tale grazia, la grazia del Battesimo, che la Chiesa diventa madre e che ciascuno di noi diventa suo figlio”.

Il cuore “in uscita”
L’ultima considerazione è per l’orizzonte di quel “gesto di bontà”. Gesù, come la Chiesa, hanno uno sguardo universale e dunque, conclude Francesco riprendendo poi lo stesso pensiero ai saluti finali, una volta che la misericordia di Dio rinnova il cuore, quel cuore non può rimanere statico ma “deve arrivare alle mani”:

Nel cuore, noi riceviamo la misericordia di Gesù, che ci dà il perdono di tutto, perché Dio perdona tutto, tutto, e ci solleva, ci dà la vita nuova. E anche, ci contagia la sua compassione. E da quel cuore perdonato e con la compassione di Gesù, incomincia il cammino verso le mani, cioè verso le opere di misericordia”.

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I fedeli: colpiti dalle immagini usate dal Papa nella catechesi

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Pellegrini giunti da tutti il mondo hanno riempito oggi l'Aula Paolo VI, in Vaticano, per partecipare all'udienza generale del Papa. Erano presenti fedeli provenenti dalle Isole Mauritius, in Africa, dall'Indonesia, dagli Stati Uniti, dal Messico e da Paesi sudamericani come Brasile, Argentina e Perù e ovviamente da tutta l'Europa. Molti gli italiani. Ciò che ha colpito di più sono state le immagini usate da Francesco nella sua catechesi. Salvatore Tropea ha raccolto alcuni commenti: 

R. - Le parole più importanti del Santo Padre che mi hanno colpito sono state quelle che lui ha usato quando ha raccontato l’aneddoto di un vescovo che per il Giubileo ha nella Cattedrale due porte: la prima di entrata, dove si riceve la misericordia, e la seconda di uscita, che serve a portare la misericordia all’esterno.

R. - L’opera di misericordia maggiore è quella che va dal cuore e alle mani. Penso che sia il riassunto di tutto quello che può dire la misericordia. Noi siamo della Diocesi di Padova. Di solito, d’estate facciamo un campo-famiglia e quest’anno, in cui c’era l’occasione di venire a Roma per il Giubileo, abbiamo scelto di farlo proprio qui.

R. - Ciò che ha detto sulla misericordia: che non dobbiamo tenerla per noi, ma dobbiamo portarla agli altri, soprattutto a chi soffre, per far star meglio il nostro vicino.

D. - La concretezza di passare dal cuore alle mani: quello che lui ribadisce continuamente è di non "fare" parole, ma fatti. Occorre passare di fronte alle persone che sono indigenti senza far finta di niente, ma rimboccarsi le maniche e fare, fare concretamente. Quindi, vivere questo Giubileo per noi è fare al meglio la carità quotidianamente, nel migliore dei modi.

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Ucraina, si combatte. Il nunzio: difficile situazione umanitaria

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Nell’est dell’Ucraina, nonostante il cessate-il-fuoco raggiunto nel 2015 con gli accordi di Minsk, ci sono ancora combattimenti. Difficile anche la situazione umanitaria, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione. Dall’inizio del conflitto sono circa 9.500 le vittime, mentre sono 800 mila le persone bisognose di assistenza nelle zone in cui si combatte e nelle immediate vicinanze. Difficile è anche l’accessibilità degli aiuti umanitari in queste zone. Pochi giorni fa, per la prima volta in cinque mesi, i convogli dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, hanno raggiunto le popolazioni nelle zona non controllata dal governo nella regione di Luhansk. Sono stati distribuiti materiali da costruzione di vitale importanza per le migliaia di persone le cui abitazioni sono state danneggiate o distrutte durante il conflitto. Sulla situazione nell’est del Paese, Elvira Ragosta ha raggiunto telefonicamente il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Claudio Gugerotti

R. – Purtroppo, la situazione negli ultimi giorni è peggiorata. Sono ripresi i conflitti armati e anche le vittime.

D. – Per quanto riguarda la situazione umanitaria, quali sono le maggiori necessità?

R. – L’assistenza di coloro che vivono nella zona dove si confrontano i due contingenti: quello dei separatisti e quello dell’esercito ucraino. È una zona disseminata di mine, anche portare gli aiuti è molto difficile, perché si rischia di saltare per aria. In quella zona poi continuano i bombardamenti, molte case vengono scoperchiate e le persone sono sostanzialmente isolate. Le altre due fasce più colpite sono coloro che vivono nella zona sotto il controllo dei separatisti, perché sono soprattutto anziani. La terza fascia è quella dei profughi che sono in Ucraina, certamente più di un milione.

D. – Come per ogni guerra, le vittime più indifese sono le donne, i bambini, gli anziani: cosa si può fare per loro?

R. – Questo, infatti, è anche l’oggetto principale dell’attenzione della commissione che il Santo Padre ha istituito per distribuire il grande aiuto umanitario che ha fatto avere all’Ucraina. Esistono molte mamme che sono rimaste sole con i bambini, perché il marito o è in guerra o comunque ha lasciato la famiglia. Queste mamme naturalmente, avendo bambini piccoli, non possono generalmente avere un lavoro e quindi ne va della sopravvivenza del nucleo familiare. L’altra categoria molto a rischio è quella degli anziani, i quali non sono praticamente assistiti: hanno molto spesso la casa distrutta o gravemente danneggiata, difficoltà ad accedere al cibo e soprattutto una enorme difficoltà ad accedere ai medicinali salvavita. Quanto poi alla trasmissione degli aiuti nelle varie zone, questa è resa particolarmente difficile.

D. – Quanto è difficile l’arrivo degli aiuti da parte delle Ong, della Chiesa, in quelle zone che sono interessate dal conflitto o nelle zone di confine?

R. – È molto difficile. La parte sotto controllo ucraino ha una raggiungibilità relativamente più facile, ma nella parte della cosiddetta “zona grigia” - quella intorno alla linea di demarcazione - e soprattutto nella zona sotto il controllo delle autorità “de facto”, la cosa è molto difficile anche perché è stata cambiata la valuta. Poi c’è un meccanismo molto rigoroso per il riconoscimento delle organizzazioni che hanno il permesso di accedere e distribuire. In questa zona le difficoltà sono particolarmente gravi anche per noi: riusciamo, in qualche modo, a programmare aiuti, che dovrebbero partire alla fine di agosto, solo attraverso l’aiuto delle Nazioni Unite.

D. – Quello ucraino è un conflitto che dal 2014 ha provocato oltre 9.500 morti. Due milioni di persone hanno dovuto abbandonare la loro casa. Sembra oggi essere diventato un conflitto sopito, perché l’attenzione mediatica si è spostata su altre latitudini. Ma sicuramente, l’appello di aprile di Papa Francesco e la colletta promossa per l’Ucraina hanno riportato un po’ l’attenzione su questo Paese…

R. – Certamente. L’operazione che ha voluto il Santo Padre è anzitutto un’operazione umanitaria e la gente è molto sensibile a questo intervento del Papa, il quale ha dato anche una grossa offerta personale. E devo dire che anche l’Europa ha contribuito con una certa generosità. Indubbiamente, c’è stata una crescita dell’attenzione a quest’area. Bisogna anche dire che, per ragioni politiche, non è di moda parlare dell’Ucraina perché questa è una terra che ha peggiorato, diciamo, le difficoltà esistenti tra Stati Uniti e Europa, da una parte, e Russia dall’altra, mettendo in scacco entrambe. E quindi parlarne è come parlare dei propri fallimenti. E io non credo che questo silenzio sia totalmente spontaneo: nel senso che l’Ucraina, che evidentemente ruotava nell’area della Federazione Russa, ha deciso, anche per una pressione indubbiamente delle comunità occidentali, di rivolgersi verso Europa e Stati Uniti. C’è stato il fenomeno di Maidan, c’è stata quindi “de facto” una separazione dalla Russia con tutta la ricaduta dal punto di vista economico. Ma dall’altra parte, per varie ragioni che sarebbero lunghe da spiegare, l’Occidente non è subentrato al posto della Russia per tentare di rendere agibile la vita delle persone di qui. Per cui, in questo momento l’Ucraina ha perso su tutti i fronti. Un elemento che dà un’idea è che lo stipendio, che prima di Maidan era a 100, oggi è a 25 come valore. Quindi, al problema della guerra si aggiunge un aumento della povertà generale della popolazione in tutta l’Ucraina. E il rischio è che, se questa situazione non si sblocca, nasca una guerra tra poveri.

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Oggi in Primo Piano



Turchia e Russia al lavoro sulla Siria: accordo difficile

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La crisi in Siria.Oggi a San Pietroburgo ne torneranno a parlare delegazioni ministeriali di Turchia e Russia all’indomani del vertice presidenziale Putin-Erdoan, da cui è emersa la volontà comune di raggiungere una soluzione. Ankara e Mosca sono su fronti opposti sul terreno eppure hanno parlato di un “solido meccanismo” in via di costruzione a livello militare, di intelligence e diplomatico. Ma esattamente cosa possiamo aspettarci mentre la situazione umanitaria, specie ad Aleppo, continua a degenerare? Gabriella Ceraso lo ha chiesto ad Andrea Plebani, dell’Istituto di Studi di politica internazionale: 

R. – Io non credo che questo riavvicinamento turco-russo porti delle variazioni sul fronte di guerra. Le cose potrebbero cambiare a fronte del prevalere di una delle due parti nella battaglia di Aleppo, che però tuttora è fortemente difficile da prevedere. Il file siriano rimane un file che vede Russia e Turchia schierate su posizioni differenti e l’avere riallacciato i rapporti è solo un primo passo verso una normalizzazione delle relazioni.

D. – E allora, perché parlare di meccanismi allo studio? D’altra parte, in questa guerra sono impantanate tutte e due da tanti anni… Forse non è neanche interesse loro, continuare?

R. – Sono dichiarazioni tutt’altro che innovative: per forza di cose la via negoziale, la via diplomatica, le relazioni, le discussioni rimangono fondamentali e cruciali. In realtà, a me pare difficile che Putin possa rinunciare di punto in bianco al sostegno fornito a Bashar al Assad e che dall’altra parte Erdogan possa rivedere completamente la relazione perseguita in questi anni, soprattutto alla luce delle vittorie o comunque delle importanti affermazioni ottenute, con forze a lui vicine in Siria negli ultimi giorni. Si può pensare dunque a un nuovo round negoziale, ma difficilmente si arriverà a una soluzione nel giro di questo breve tempo, anche perché Russia e Turchia sono solo due dei principali attori: non dimentichiamoci l’Iran, non dimentichiamo l’Arabia Saudita, non dimentichiamo il Qatar, gli Emirati, gli stessi Stati Uniti…

D. – Lei ha parlato di Aleppo: l’Onu ha chiesto una tregua umanitaria assolutamente urgente perché la città e la popolazione stanno morendo. Si potrebbe arrivare insieme, con questo nuovo avvicinamento, a concedere un momento di tregua?

R. – E’ fortemente auspicabile! Quello che è avvenuto, che sta avvenendo ad Aleppo, è un massacro di proporzioni immani. Ancora una volta, però, temo che sia molto difficile. Anche i corridoi umanitari che si erano aperti lì sono fortemente a rischio, se non sono stati chiusi in diversi punti. Aleppo è troppo importante: è questo, il problema. Aleppo è il cuore della contesa e temo che nessuna delle parti sia disposta a cedere in un momento che, paradossalmente, rischia di essere o potrebbe essere, importante per entrambe le parti. Se i ribelli fossero riusciti a dare continuità alla loro offensiva, sarebbe stato un colpo durissimo per il regime. D’altra parte, il regime ha chiesto e ottenuto il sostegno dei suoi alleati storici e regionali più importanti: l’Iran, in primis, ma anche l’Iraq, in particolare, con diverse milizie sciite… E questo potrebbe far cambiare gli equilibri sul campo.

D. – C’è qualcuno che ha detto: Turchia e Russia si avvicinano e cercheranno una soluzione in Siria prima che la raggiungano Stati Uniti, Arabia Saudita, curdi e soprattutto prima della probabile elezione di Hillary Clinton: lei è d’accordo?

R. – Il problema è che la crisi siriana è una crisi, oltre che locale, regionalizzata e internazionalizzata. Pensiamo al caso turco: la Turchia è, nella fattispecie, uno dei capisaldi della Nato, da sempre vicina a Washington, eppure in questo momento il suo riavvicinamento alla Russia sembra mettere in discussione molti dei suoi paletti. La relazione con Washington però è tuttora fortissima, così come con l’Unione Europea e con l’Occidente. Un riavvicinamento con la Russia non sarebbe mai pagato a prezzo di rompere le relazioni con l’Europa e con gli Stai Uniti. Quindi, sono diversi i livelli che operano in questo contesto, si gioca su più tavoli. E purtroppo, la crisi siriana è solo uno di questi tavoli, connesso a tutti gli altri…

D. – Quale elemento dovrebbe scattare per dare uno spiraglio di speranza alla Siria?

R. – Paradossalmente, l’unico spiraglio che vedo e che purtroppo è molto difficile in questo momento, è un dialogo forte, costante e protratto tra le parti, mettere allo stesso tavolo fazioni e attori che sono fortemente ostili tra di loro. E non parlo, purtroppo, solo di attori statali ma anche di attori non statuali: penso a Hezbollah, per esempio. Quindi, abbiamo davvero tanti interessi in campo.

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Yemen: dopo una tregua di 5 mesi riprendono i bombardamenti

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La coalizione militare araba guidata dall'Arabia Saudita ha ripreso, dopo una tregua di 5 mesi, i raid aerei nel centro della capitale yemenita Sana'a, controllata dai ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran. I raid giungono dopo il fallimento dei colloqui avvenuti la scorsa settimana a Kuwait City tra la delegazione del governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale, e i rappresentanti dei movimenti Houthi e delle forze fedeli all'ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh. Oggi, intanto, i sistemi di contraerea di Riad hanno intercettato due missili balistici lanciati verso le città saudite di Abha e Khamis Mushait. Da parte sua, l’Unicef ha reso noto che sono 1.121 i bambini uccisi in Yemen dal 26 marzo del 2015, quando la coalizione militare araba ha iniziato a bombardare le postazioni dei miliziani Houthi. ''I bambini stanno pagando il prezzo più alto nel  conflitto - ha detto il rappresentante dell'Unicef in Yemen Julien  Harneis - Il numero reale è probabilmente più alto''.  Sulla situazione, ascoltiamo Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Cesi, il Centro Studi internazionali, al microfono di Michele Ungolo

R. – In Yemen, dopo il tentativo di un negoziato tra le parti in causa portato avanti dalle Nazioni Unite in Kuwait – purtroppo –  sembra che i combattimenti siano ripresi. Dopo nuovi bombardamenti aerei da parte dell’Arabia Saudita, sembra ci sia stata anche una risposta da parte degli Houthi, la controparte delle operazioni internazionali portate avanti dall’Arabia Saudita, che hanno lanciato dei missili contro il regno saudita. Quindi, di fatto, i combattimenti sono ripresi; questi vanno comunque avanti da diversi mesi e sottolineano una situazione di stallo. Da una parte, gli Houthi controllano la stragrande maggioranza del territorio – Houthi alleati con l’ex presidente Saleh – e dall’altra parte le truppe saudite, emiratine e degli altri Paesi del Golfo, della coalizione internazionale, non riescono a contenere l’avanzata Houthi, anche e soprattutto con l’aiuto dei bombardamenti dall’area, che stanno causando un altissimo numero di morti civili.

D. – I negoziati tra il governo e i ribelli si sono definitivamente interrotti: perché sta fallendo la diplomazia?

R. – Non c’è una volontà di una reale soluzione. Le parti sono ferme sulle proprie posizioni: il presidente Hadi, con il sostegno saudita e del Golfo, cerca di riprendere il controllo del Paese, ma la situazione sul campo è totalmente diversa. Gli Houthi e le truppe fedeli all’ex presidente Saleh controllano il territorio e anche dalla loro parte non vi è una grandissima apertura al dialogo, se non quella di riconoscere una situazione sul campo.

D. – Perché lo Yemen è considerato un punto strategico?

R. – Lo Yemen è un Paese importante per la sua posizione geografica: di accesso allo stretto di Bāb el-Mandeb. Ma è importante anche da un punto di vista geopolitico, perché fa parte della Penisola arabica. E soprattutto perché nel conflitto sono coinvolti gli Houthi, che pur essendo di religione zaida – una setta, una piccola parte, poco afferente, ma molto più vicina allo sciismo rispetto al sunnismo – sono considerati dalla stragrande maggioranza dei regni del Golfo degli alleati dell’Iran: un proxy iraniano. Quindi, anche in questo caso, lo Yemen viene considerato uno snodo fondamentale per gli equilibri del Golfo tra le monarchie sunnite e l’Iran sciita.

D. – Cosa comporterà la ripresa dei conflitti?

R. – Purtroppo comporterà, molto probabilmente, l’incremento del numero di morti, soprattutto civili, che nel corso degli ultimi mesi ci sono stati, in un contesto internazionale che in questo momento non vede lo Yemen come prioritario; e soprattutto non vede la soluzione del conflitto yemenita come prioritaria rispetto ad argomenti come lo stesso conflitto siriano. Anche lì, il numero di morti civili sta continuando a crescere, ma non sembra comunque esserci la volontà di cercare una soluzione negoziale. Il problema è che gli interessi politici ed economici sono tanti, e purtroppo la situazione sul campo è così fluida e difficile da risolvere che una soluzione diplomatica è ancora molto, molto lontana.

D. – In Siria, soprattutto ad Aleppo, i civili rimasti sono per lo più poveri che non hanno avuto la possibilità di scappare: sta accadendo lo stesso anche in Yemen?

R. – In Yemen la situazione – se vogliamo – è ancora più difficile, perché finora non ci sono stati rifugiati che sono scappati dal Paese, ma si sono solo mossi all’interno dello Yemen. Ampie regioni del Paese sono in conflitto o meglio vedono il conflitto svilupparsi. La stessa capitale Sana’a, soprattutto il centro storico, è ormai un ammasso di macerie. E purtroppo anche da questo punto di vista, la continuazione dei bombardamenti da parte dell’aviazione del Golfo non potrà far altro che aumentare il numero, da una parte, dei danni e dall’altra anche delle vittime civili. 

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Il sindaco Sala: a Milano una caserma per accogliere i migranti

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Per i migranti a Milano l’apertura di una caserma. E’ questa la possibile soluzione alla presenza dei profughi, all’indomani delle polemiche scatenate dalla proposta del sindaco della città, Sala, poi ritirata, di una tendopoli. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Dopo le polemiche, forse, la soluzione. E quindi, dopo l’ipotesi avanzata dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, di creare una tendopoli per accogliere i migranti, proposta che ha suscitato reazioni, arriva il possibile via libera del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, all’utilizzo di caserme, nello specifico della Montello di via Caracciolo, zona nord di Milano. “Può essere una soluzione dignitosa”, ha spiegato il primo cittadino, che però rimanda al ministro il "come" la caserma potrebbe essere trasformata in una "degna risposta". La situazione è di emergenza e strutturale, sarà il governo a decidere, ha aggiunto Sala, rispondendo così indirettamente al presidente della Regione, Roberto Maroni, che aveva chiesto a Roma di dichiarare lo stato di emergenza. Don Virginio Colmegna, presidente della fondazione Casa della Carità, al microfono di Alessandro Guarasci:

R. – Manca una risposta politica degna di un’accoglienza umana. Credo che di fatto poi si crei un corto circuito. La politica silenziosa fa piccoli cabotaggi a fronte di un problema che, invece, diventa veramente grave.

D. – Lei ha detto che la politica deve fare di più in questo caso. Ma c’è chi, in questo caso, ha anche un interesse a sottovalutare?

R. – Sì, c’è chi ha un interesse non solo a sottovalutare, ma a lasciarlo così adesso per poi protestare continuamente. Si parla di area metropolitana: ma per favore, ci si metta insieme! Abbiamo detto che l’Expo era un’area sulla quale si potevano inserire 500 persone dignitose, c’è il veto, l’ostracismo e si rimane sulla strada. Ma io direi: si vada a prendere un luogo dignitoso, si faccia il necessario per questa emergenza, si affronti poi la seconda accoglienza che è più isolata. Ma questa emergenza drammatica va risolta con qualità.

A Ventimiglia, intanto, si va verso la normalizzazione della situazione con i trasferimenti dei migranti, nessuna soluzione invece per le centinaia di persone che vengono respinte dalla Svizzera e che sono accampate a Como. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, intervistato da Luca Collodi:

R. – Direi che l’Europa intera non sa gestire questa accoglienza. Quest’anno, non siamo stati in grado di avere una progettualità che ci permettesse di ridistribuire anche i pochi che sono arrivati.

D. – Abbiamo visto che a Ventimiglia si va verso uno spostamento dei migranti in centri di accoglienza, anche e soprattutto grazie alla Caritas locale e alla Croce Rossa che operano proprio al confine con la Francia…

R. – La soluzione è quella di ridurre il più possibile le tensioni sociali che si creano e questo lo si può fare smistando i migranti che non si concentrino sul confine, anche perché il confine, essendo chiuso, rischia di creare un "effetto tappo", un "effetto bottiglia", e quindi aggravare la situazione. Quindi, questa ridistribuzione di certo aiuta, in primo luogo i migranti.

D. – La situazione invece sembra sotto pressione a Milano, soprattutto sulla tratta ferroviaria tra Milano e Como verso la Svizzera che ha chiuso la frontiera…

R. – Anche lì, questa chiusura, o comunque questa riduzione fa sì che i migranti che abbiano un loro progetto migratorio, non riescano a rispettarlo e devono bloccarsi. Ogni notte tentano il passaggio, vengono rimandati e ricominciano daccapo la loro odissea che – non dimentichiamo – è solo l’ultima parte di un viaggio, e di viaggi, che sono drammatici.

D. – Frontiere con la Svizzera chiuse, ma ci sono quelli che a un tempo venivano chiamati “gli spalloni” che portavano soldi in Svizzera, oggi invece portano uomini per farli transitare verso il nord…

R. – Sì, come al solito, se non ci sono delle vie legali, se non si regolamenta il flusso delle persone, la malavita o comunque i trafficanti prendono in mano la situazione.

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Indonesia. Gesuiti: dialogo, migliore arma contro fondamentalismo

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E’ in corso in Indonesia la quarta Conferenza dei Gesuiti dell’Asia e del Pacifico sul tema “Un appello al dialogo sulla sostenibilità della vita nel contesto dell’Asean”, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. L’evento - che si svolge presso l’Università cattolica Sanata Dharma di Yogyakarta fondata dalla Compagnia di Gesù - vede la partecipazione di oltre 150 persone provenienti da tutti i Paesi della regione e ha l’obiettivo di trovare delle basi comuni per affrontare in maniera condivisa i problemi legati all’ambiente, alla lotta alla povertà e al dialogo interreligioso. L'Indonesia è il Paese musulmano più popoloso del mondo ed è tradizionalmente ispirato ad una cultura tollerante, ma negli ultimi anni il fondamentalismo islamico sta pericolosamente entrando nella società. Sull'incontro ascoltiamo il vice-rettore della Sanata Dharma University, il prof. Ouda Teda Ena, al microfono di Stefano Leszczynski

R. – One of the issues that is being …
Uno dei temi di dibattito durante questa conferenza è quello del dialogo interreligioso. Perché nel Sud-Est asiatico la composizione della popolazione è piuttosto varia da un punto di vista religioso e con il dialogo interreligioso c’è anche la speranza che le persone possano comprendersi meglio reciprocamente. In questo modo possiamo contrastare alcuni aspetti del fondamentalismo nelle religioni.

D. – Tra i temi della Conferenza c’è anche quello del ruolo dell’educazione nella promozione del dialogo tra culture e fedi differenti…

R. – I think you are right, that one of …
Sì è vero, una delle chiavi perché ciò avvenga passa proprio per la cultura e il dialogo interreligioso. E questa è la ragione per cui questa volta la conferenza si tiene presso una istituzione universitaria come la Sanata Dharma. In questo modo abbiamo una migliore comprensione di come l’educazione dovrebbe essere promossa. Una delle proposte, ad esempio, è che nelle scuole venga promosso il dialogo interreligioso attraverso l’insegnamento di più religioni e non soltanto quella maggioritaria. In Indonesia, il nostro governo riconosce sei religioni differenti e a livello universitario nel nostro ordinamento abbiamo un corso di studi dedicato allo studio di tutte le religioni riconosciute dalla Costituzione indonesiana.

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Bagnasco: cristiani discriminati in nome della tolleranza

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"Il cristianesimo potrà essere ridotto in visibile minoranza, ma non potrà mai essere cancellato": lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco nella Messa celebrata stamane nella Cattedrale di Genova in occasione della Festa di San Lorenzo, patrono della città. Il porporato ha denunciato i tentativi di omologazione culturale da parte del cosiddetto pensiero unico. Proprio oggi il Papa ha pubblicato un tweet: “Una società con culture diverse deve cercare l’unità nel rispetto”. Il servizio di Sergio Centofanti

Il diacono San Lorenzo viene ucciso il 10 agosto 258 per ordine dell’imperatore romano Valeriano che cerca di rafforzare l’unità dell’Impero attorno al culto pagano. I cristiani sono troppo diversi dagli altri, minano l’ideologia unica dello Stato: vanno eliminati. Il cardinale Bagnasco parte da questa premessa storica per parlare delle attuali persecuzioni cristiane: “Mentre continuano quelle classiche, che conosciamo da una storia che si credeva lontana – ha affermato - oggi si aggiungono forme raffinate ma non meno crudeli, legalizzate ma non meno ingiuste". "Il nostro vecchio occidente - ha proseguito - ne è esperto, malato com'è delle proprie fallimentari ideologie: il continente dei diritti sempre più discrimina il cristianesimo” ma "nessun potente della terra potrà possedere per sempre il cuore dell'uomo attraverso la propaganda delle menzogne, con promesse truccate, democrazie apparenti".

Oggi – ha detto l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei – “in nome di valori come l'uguaglianza, la tolleranza, i diritti, si pretende di emarginare il cristianesimo e si vuole creare un ordine mondiale senza Dio, dove le diversità da una parte vengono esaltate e dall'altra vengono schiacciate”. Esiste “la volontà prepotente di omologare, di voler condizionare le visioni profonde della vita e dei comportamenti, il sistematico azzeramento delle identità culturali”. Non è “un cammino rispettoso verso un' Unione Europea armonica e solidale, certamente necessaria, ma piuttosto verso una dannosa rifondazione continentale che i popoli sentono pesante e arrogante, dove il cristianesimo viene considerato divisivo perché non si prostra agli imperatori di turno". Ma "la storia attesta che quando i potenti si concentrano sulla propria sopravvivenza per ambizioni personali, e rinunciano alla res publica, è l'ora della decadenza".

“La crisi del mondo - ha spiegato - è innanzitutto una crisi spirituale” e “il nostro continente, di fronte alle sfide odierne, balbetta perché è smarrito e intimorito, perché non sa più chi è, avendo tagliato le sue origini culturali e religiose, fino a sentire vergogna delle proprie tradizioni, dei propri simboli e dei propri riti”.

Parlando di San Lorenzo, il porporato ha quindi ricordato che "il martire non è colui che perde la vita nel tentativo di toglierla ad altri, ma colui che offre la sua vita perché altri l'abbiano". Come ricorda il Vangelo di questa memoria liturgica: “Se il chicco di grano muore, produce molto frutto", e “i frutti veri sono vita non morte. La vita umana è sacra perché viene da Dio – ha concluso il cardinale Bagnasco - pertanto va sempre rispettata e nessuno la può togliere a sé o agli altri".

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia. Card. Salazar: Stato non imponga ideologia gender a scuola

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“L’ideologia di genere distrugge la società”: è la forte denuncia del card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, in Colombia, in risposta alle direttive del Ministero dell’Istruzione riguardante la revisione dei libri di testo nelle scuole. “Noi respingiamo la promozione dell’ideologia di genere nell’educazione nazionale – ha spiegato il porporato in conferenza stampa – perché si tratta di un’ideologia che distrugge l’essere umano, privandolo del contenuto fondamentale della complementarietà tra maschio e femmina”.

Sostenere la famiglia, cellula fondamentale della società
Ribadendo, poi, il rispetto che la Chiesa ha nei confronti delle persone con un orientamento sessuale diverso, il porporato ha sottolineato che tuttavia “i diritti individuali non possono andare contro i diritti della comunità. Si deve avere profondo rispetto per tutti, ma senza imporre alcuna ideologia”. Di qui, l’invito a sostenere maggiormente la famiglia, in quanto “cellula della vita sociale”.

Rispetto per tutti è base della convivenza sociale
Da ricordare che, nei giorni scorsi, la Conferenza episcopale colombiana (Cec) aveva già diffuso un comunicato riguardante la questione della revisione dei libri di testo. Nel documento, i presuli affermano di riconoscere “come valore fondamentale” per la convivenza sociale “il rispetto per ogni essere umano, senza distinzione di razza, sesso, orientamento sessuale, provenienza, lingua, religione o opinione politica”. Di qui, il rammarico di come il Ministero dell’Educazione stia promuovendo l’ideologia di genere nella società, travisando anche la definizione di famiglia contenuta nella Costituzione.

Non imporre ideologie nella società
Tale atteggiamento – scrive la Cec – va “contro la famiglia come istituzione fondamentale della società, contro l’autonomia didattica delle scuole, contro la libertà religiosa, contro il diritto dei genitori di scegliere il tipo di educazione da impartire ai propri figli e contro la libertà di coscienza”. Naturalmente, continuano i presuli, “è assolutamente necessario promuovere il rispetto di tutte le persone in tutti gli ambiti della vita sociale, ma ciò non può comportare l’imposizione dell’ideologia di genere come norma affinché il rispetto dovuto sia garantito”.

Numerose le manifestazioni in difesa della famiglia
I presuli fanno, poi, appello a tutti i sacerdoti del Paese affinché “accompagnino la formazione della coscienza dei fedeli su questa tematica”. Infine, la Chiesa di Bogotà chiede al governo nazionale di “ascoltare la voce di milioni di persone che, senza distinzione di credo, stanno manifestando pubblicamente nel Paese, rifiutando l’imposizione di tale ideologia”. Proprio oggi, 10 agosto, infatti, in varie regioni del Paese, sono previste numerose manifestazioni in difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e di una società “libera da ideologie”. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi argentini a confronto su educazione e programmi Caritas

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Un dibattito sull’educazione cattolica e una proposta della Caritas per avviare nuove convenzioni di assistenza sociale sono stati i temi affrontanti dalla Commissione permanente della Conferenza episcopale argentina, riunita dall’8 all’11 agosto nella sede dell’episcopato. Dopo il consueto scambio di opinioni sul lavoro pastorale nelle proprie diocesi, i vescovi hanno riflettuto sul alcuni aspetti della realtà nazionale, come il grave problema della disoccupazione, la trasparenza nella gestione di fondi provenienti da donazioni, ma anche la commemorazione del 40.mo anniversario della morte di mons. Angelelli e la recente celebrazione del Bicentenario dell’Indipendenza del Paese.

Nuove scuole gratuite e formazione tecnologica
Il Consiglio superiore di Educazione cattolica ha presentato lo sviluppo del progetto di apertura di scuole gratuite e di formazione tecnologica per le attività in rete. La Commissione ha proposto anche la revisione e l’aggiornamento del documento “Educazione e progetto di vita” che, nell’ultimo decennio, è servito da guida per l’educazione cattolica. In sostanza, si tratta di enfatizzare l’umanesimo cristiano nella formazione scolastica e di presentare in maniera adeguata la visione che la Chiesa ha dell’uomo.

Approccio comunitario al problema delle dipendenze
Il presidente di Caritas Argentina, mons. Oscar Ojea, ha proposto un approccio comunitario al problema delle dipendenze (tossicodipendenza, ludopatia ed altro) con la creazione di Centri di assistenza di quartiere che potrebbero essere finanziati da cooperative e da organismi internazionali. Dal suo canto, il direttore della Caritas, Horacio Cristiani, ha presentato un nuovo programma per affrontare l’emergenza abitativa, così da permettere l’accesso e il miglioramento delle condizioni degli alloggi destinati alle famiglie povere che non possono godere di agevolazioni statali.

Campagna per combattere l’emergenza abitativa
In pratica, si tratta del proseguimento della campagna “Ricostruire con speranza”  iniziata nel 1998, come segno di inclusione sociale e aiuto reciproco dopo le inondazioni provocate dal fenomeno del “El Niño”. L’iniziativa è continuata fino a oggi attraverso diverse convenzioni della Caritas con il Ministero per lo Sviluppo sociale e altri enti statali e municipali in tutto Paese. Il nuovo programma presentato dai vescovi mira ad ampliare il raggio di azione con il recupero di aree sociali, come piazze, giardini e centri sanitari, con la partecipazione della Segreteria per l’habitat e lo sviluppo umano del nuovo governo.

Mama Antula e Cura Brochero verso la santità
Nella seconda giornata di lavori, i vescovi parleranno delle celebrazioni in programma per la Beatificazione di María Antonia de Paz y Figueroa, conosciuta popolarmente come "Mama Antula", il prossimo 27 agosto a Santiago del Estero, e per la Canonizzazione del Beato José Gabriel del Rosario Brochero, noto come Cura Brochero, il 16 ottobre a Roma. Durante i lavori della Commissione, verranno presentate anche due nuove pubblicazioni: la ristampa della Bibbia del Popolo di Dio e del Codice di Diritto Canonico.

L’Esortazione "Amoris Laetitia" al centro della prossima Assemblea Plenaria
Infine, i presuli argentini decideranno le tematiche della prossima Assemblea plenaria che si svolgerà dal 7 al 12 novembre. Al primo posto, la riflessione sull’Esortazione apostolica postsinodale "Amoris Laetitia" di Papa Francesco, ma anche i primi passi verso il secondo Incontro nazionale di giovani, che avrà luogo a Rosario, provincia di Santa Fe, a ottobre del 2017. Un resoconto del recente Congresso eucaristico nazionale e la nuova Liturgia delle Ore completano l’agenda episcopale. (A cura di Alina Tufani)

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Libano. Patriarca Raï: si elegga presidente per stabilità Paese

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Ancora nulla di fatto, in Libano, per la 43.ma sessione parlamentare, tenutasi in questi giorni a Beirut, per l’elezione del capo dello Stato, carica vacante da maggio 2014, quando è scaduto il mandato di Michel Suleiman. Il presidente della Camera Nabih Berri ha sospeso la seduta, aggiornandola al 7 settembre, a causa del mancato raggiungimento del quorum necessario per il voto.

Appello all’unità nazionale del Libano
Intanto, dal patriarca maronita, il card. Béchara Boutros Raï - citato da AsiaNews - arriva un nuovo appello all’unità nazionale ed un invito ad uno sforzo comune per porre fine all’attuale instabilità politica del Paese. Intervenuto alla cerimonia di inaugurazione di un anfiteatro a Bzommar, dedicato al Beato Ignazio Maloyian, martire armeno, il patriarca ha esortato “i gruppi parlamentari ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica”, così da “preservare i valori” fondamentali del Paese.

In Siria e Iraq, cristiani vittime di un nuovo genocidio
Poi, il pensiero del porporato maronita si è allargato a tutto il Medio Oriente, commemorando, in particolare, “il nuovo genocidio” patito oggi dai cristiani “soprattutto in Siria e in Iraq”, a causa di “movimenti fondamentalisti ed organizzazioni terroristiche”. Di qui, il richiamo del patriarca ad una caratteristica specifica del cristianesimo, ovvero la sua “apertura verso il prossimo per edificare un’umanità migliore”. Per questo – ha detto – “la presenza dei cristiani in Medio Oriente è un fattore vitale ed essenziale per questa stessa regione”.

Collaborazione con musulmani per proteggere Oriente da fondamentalismo
Allo stesso tempo, ha spiegato il card. Raï, “consideriamo l’islam una necessità per il nostro mondo arabo, a condizione però che esso conservi moderazione e apertura, mettendo fine alle organizzazioni terroristiche che ricorrono alla violenza in suo nome”. Insieme ai musulmani, ha esortato quindi il Patriarca maronita, i cristiani sono “chiamati a proteggere l’Oriente dal rigetto della diversità, dalle differenze confessionali, etniche e linguistiche”, perché “i cristiani d’Oriente hanno avuto un ruolo essenziale nel rafforzare la diversità culturale e religiosa”. (I.P.)

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Giappone. Caritas: aprire i cuori per creare vera famiglia umana

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Aprire il cuore alla vita, per vedere in ogni persona il riflesso di Dio e creare, così, una vera famiglia umana: questo, in sintesi, l’appello lanciato da mons. Tarcisio Isao Kikuchi, vescovo di Niigata, in Giappone, e presidente di Caritas Asia. Nei giorni scorsi, il presule ha diffuso un messaggio per commemorare le vittime della strage avvenuta il 26 luglio in un centro per disabili a Sagamihara, vicino Tokyo: un uomo armato di coltello ha ucciso almeno 19 persone, ferendone numerose altre, alcune in modo grave.

Non spetta all’uomo misurare il valore della vita umana
Esprimendo cordoglio per l’accaduto e vicinanza ai familiari delle vittime, mons. Kikuchi ha ricordato che non spetta all’uomo “misurare il valore di una vita umana. Soltanto Dio, che ha creato la vita e ce l’ha donata, ha il diritto di farlo. Chi ha il diritto di vivere, chi sia degno di sopravvivere sono giudizi che non possiamo pronunciare”.

Ogni vita umana è creata ad immagine e somiglianza di Dio
Inoltre, ha aggiunto il presidente di Caritas Asia, “Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza; dunque ogni vita umana ha la sua importanza e il suo valore, in quanto immagine divina. Questo è ciò che noi chiamiamo dignità umana”. Di qui, il richiamo a non dimenticare tutti “i deboli” della società, non solo le persone che hanno una disabilità fisica, ma anche “coloro che sono discriminati perché diversi o stranieri, coloro che hanno difficoltà economiche, che sono malati, che affrontano gli ostacoli del sistema sociale, delle barriere culturali e di altro tipo”.

Appello alla solidarietà ed al sostegno reciproco
“Siamo chiamati ad aiutarci gli uni con gli altri – ha sottolineato il vescovo di Niigata - e dobbiamo sostenerci a vicenda. Se non lo facciamo, non saremo in grado di sopravvivere come razza umana”. Infine, l’auspicio del presule è che “attraverso questo triste e terribile avvenimento di Sagamihara, tutti noi in Giappone possiamo avere un’altra possibilità di ripensare al significato delle nostre vite e al valore della vita umana. Spero e prego che resti saldo nel nostro cuore il valore del mutuo sostegno, al fine di creare una vera e unica famiglia umana”. (I.P.)

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Singapore. appello dei vescovi a non dimenticare i poveri

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Nonostante i grandi progressi economici, politici, tecnologici e sociali ottenuti da Singapore nei suoi primi 51 anni di vita, la città-Stato non potrà dire “di avere successo finché non sarà conosciuta per essere piena di compassione e di misericordia”. È il fulcro del messaggio rivolto alla nazione da mons. William Goh, arcivescovo di Singapore, in occasione della festa nazionale in cui il Paese celebra l’indipendenza ottenuta dalla Malaysia il 9 agosto del 1965.

Grandi i progressi raggiunti, ma non dimenticare i poveri
Negli ultimi 50 anni, scrive l’arcivescovo citato dall’agenzia AsiaNews, “insieme con i nostri leader ci siamo impegnati a costruire una società progressista con un governo trasparente e infrastrutture adeguate. Di conseguenza, Singapore è cresciuta a livello economico, tecnologico e politico. Nel Paese ci sono uguaglianza, giustizia e armonia. Possiamo essere orgogliosi delle nostre conquiste”. Dopo aver ringraziato Dio per aver donato alla nazione dei leader “responsabili, con la testa sulle spalle e dai forti valori morali”, mons. Goh sottolinea che “nel nostro successo non dobbiamo mai dimenticare i più poveri e svantaggiati del nostro Paese e del mondo, in modo speciale dell’Asia. In questo Anno della misericordia, siamo sfidati come nazione ad uscire da noi stessi e concentrarci sul bisogno del prossimo”.

Attenzione speciale per anziani e disabili
In primo luogo, scrive il presule, “ci sono i poveri che abbiamo dietro casa. Non dobbiamo mai pensare che povertà e sofferenza siano state eliminate dalla nostra società. Molti soffrono per mancanza di beni primari e di assistenza medica”. Migliaia di anziani “sono abbandonati dai figli e vivono nella solitudine, dimenticati”. Altri “non possono permettersi dei pasti adeguati ogni giorno”. Oltre ai bisognosi dal punto di vista materiale, l’arcivescovo invita anche all’attenzione “nei confronti dei disabili e di coloro che soffrono per malattie mentali, di perdita di memoria. Il nostro cuore è con loro quando pensiamo alla loro sofferenza, che non è solo la fame o il dolore fisico, ma psicologica ed emotiva”.

Aiutare le famiglie in difficoltà, senza giudicarle
Ma la sfida della misericordia – afferma ancora mons. Goh - non si ferma ai confini di Singapore, perché la carità va portata “alle nazioni più povere attorno a noi. Ce ne solo molte che sopravvivono nell’essenziale, senza educazione e igiene”. I giovani di queste nazioni “sembrano non avere futuro a meno che qualche nazione ricca sia disposta ad aiutarli ad uscire dalla povertà attraverso l’istruzione”. L’arcivescovo lancia quindi un appello affinché anche le famiglie siano aiutate, soprattutto nelle situazioni di difficoltà “di chi è divorziato o affronta momenti complicati. Nei loro confronti dobbiamo mostrare compassione invece che giudicare troppo”.

Misericordia ed evangelizzazione
Nemmeno la misericordia per se stessa, però, basta. Mons. Goh scrive infatti: “La carità senza la verità non può salvare del tutto una persona. La verità della Buona Novella di Gesù Cristo deve essere annunciata senza compromessi”. Se non proclamassimo “la misericordia di Dio attraverso la sua parola, i sacramenti – in special modo la confessione e l’unzione degli infermi – sarebbe come ingannare la nostra gente”. Se i singaporiani porteranno Cristo agli altri con le loro vite, conclude l’arcivescovo, “allora la nostra nazione potrà essere davvero chiamata grande e saggia”.

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Portogallo, incendi: appello dei vescovi alla solidarietà

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Continua l'emergenza in Portogallo, dove centinaia di incendi da giorni stanno mettendo in ginocchio il Paese. Almeno tre i morti a causa delle fiamme divampate nell’Isola di Madeira, mentre oltre mille persone sono state evacuate da case ed alberghi. Più di quattromila i Vigili del fuoco impegnati a spegnere oltre 700 roghi divampati, in particolare, nel nord del Paese e nei boschi di pini ed eucalipti, riarsi dalla mancanza di pioggia e dalle temperature elevate.

Portare aiuti nelle zone più disagiate
A tutti coloro che sono coinvolti nella lotta agli incendi è giunto il ringraziamento di mons. Antonio Francisco dos Santos, vescovo di Porto, il quale ha poi espresso cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti gli sfollati. “La situazione è preoccupante”, ha detto il presule, ribadendo la disponibilità della Chiesa cattolica a portare aiuto nelle zone più disagiate.

Chiesa pronta ad accogliere gli sfollati
“La Chiesa è disponibile ad aprire le sue porte per accogliere gli sfollati e per rispondere alle difficoltà della popolazione”, ha concluso il vescovo di Porto, invitando la popolazione alla solidarietà con “tutti coloro che soffrono”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 223

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.