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Sommario del 12/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: nella Confessione incontriamo l’abbraccio misericordioso del Padre

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Il Papa oggi ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Nella Confessione incontriamo l’abbraccio misericordioso del Padre. Il suo amore ci perdona sempre”. Francesco ha messo al centro del suo Pontificato il grande mistero della Misericordia di Dio, esortando spesso ad incontrarla nel Sacramento della Riconciliazione. Ripercorriamo il suo magistero sull’argomento in questo servizio di Sergio Centofanti

La misericordia di Dio scandalizza
La misericordia di Dio – afferma Papa Francesco – scandalizza perché “è superiore ad ogni nostra aspettativa” come diceva padre Leopoldo Mandic. Scandalizza soprattutto se ci crediamo migliori di altri, meno peccatori o se facciamo della Chiesa più una dogana che “la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”. Gesù, invece, vuole “raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio”: tocca e guarisce i lebbrosi. Si tratta di “due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti”:

“Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio”. (Omelia per la Messa con i nuovi cardinali, 15 febbraio 2015)

Né buonismo né lassismo
Non si tratta né di buonismo né di lassismo perché la vera misericordia non è fare finta di niente, ma prendersi carico dell’altro, accompagnarlo nel riconoscimento dei peccati e nel ricominciare una vita nuova, nella consapevolezza che “nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona”, se non noi stessi rifiutandolo:

“Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla divina misericordia non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Necessità della Confessione
Il Papa invita a confessarsi perché il perdono dei peccati non è “frutto dei nostri sforzi”, ma “dono dello Spirito Santo” che ci guarisce e “non è qualcosa che possiamo darci noi”. “Il perdono si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù”:

“Uno può dire: io mi confesso soltanto con Dio. Sì, tu puoi dire a Dio ‘perdonami’, e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote” (Udienza generale, 19 febbraio 2014).

Uscire dal confessionale con la speranza nel cuore
Nella Confessione anche la vergogna è salutare - dice il Papa - ci “fa bene, perché ci fa più umili”. Però “non deve essere una tortura”. I confessori – è la sua esortazione – devono essere rispettosi della dignità e della storia personale di ciascuno. “Anche il più grande peccatore che viene davanti a Dio a chiedere perdono è ‘terra sacra’ … da “coltivare” con dedizione, cura e attenzione pastorale. “Tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza”:

“Il Sacramento, con tutti gli atti del penitente, non implica che esso diventi un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente. Al contrario, dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto possibile, il male commesso” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Confessori siano grandi perdonatori
Francesco esorta i confessori a essere dei “grandi perdonatori”, perché Dio è così. I “bravi confessori” – osserva – “sanno che sono grandi peccatori”. Invece, “i puri”, “i maestri”, “sanno soltanto condannare”.  E li invita a cercare sempre la via per perdonare e dove non è possibile accogliere in modo paterno e mai bastonare. D’altra parte, “ogni fedele pentito, dopo l’assoluzione del sacerdote – ha osservato - ha la certezza, per fede” che i suoi peccati sono stati cancellati:

“Ha la certezza che i suoi peccati non esistono più! Dio è onnipotente. A me piace pensare che ha una debolezza: una cattiva memoria. Una volta che Lui ti perdona, si dimentica. E questo è grande! I peccati non esistono più, sono stati cancellati dalla divina misericordia. Ogni assoluzione è, in un certo modo, un giubileo del cuore, che rallegra non solo il fedele e la Chiesa, ma soprattutto Dio stesso” (Discorso alla penitenzieria Apostolica, 4 marzo 2016).

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In udienza dal Papa il cardinale Filoni

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Lutero e gli ebrei: Anna Foa recensisce un libro di Thomas Kaufmann.

Visti da vicino: Claudio Strinati e Maurizio De Luca riguardo alle verità nascoste sui muri dei palazzi vaticani.

Aggiungi un santo a tavola: Giovanni Cerro sulle pratiche alimentari nel monachesimo tardoantico.

Il cardinale Jean-Louis Tauran sull’antidoto più efficace: nel magistero dei Pontefici l’urgenza del dialogo islamo-cristiano.

Appuntamento ai piedi della croce: Charles de Pechpeyrou sui preti francesi commossi dalle testimonianze di solidarietà ricevute dopo l’uccisione di Jacques Hamel.

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Oggi in Primo Piano



Thailandia, bombe in località a sud di Bangkok, almeno 4 morti

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In Thailandia, una serie di esplosioni iniziata ieri nella località turistica di Hua Hin e proseguita in altre quattro province a sud di Bangkok (Surat Thani, Phuket, Trang, Phang Nga) ha causato la morte di almeno quattro persone e decine di feriti, alcuni stranieri. Al momento non ci sono rivendicazioni. La polizia ha fermato due persone e, dopo aver escluso la pista del terrorismo internazionale, sta indagando sul separatismo islamico del sud e sugli oppositori al governo, vicini al presidente Thaksin Shinawatra. Il capo della giunta militare al potere, che da qualche giorno ha incassato il "sì" a una nuova controversa Costituzione, ha dichiarato che c’è la volontà di seminare il caos. Il servizio di Eugenio Murrali: 

Sembra esserci un disegno organizzato dietro gli attentati che da ieri sera stanno colpendo la Thailandia, a sud di Bangkok. Tutte le piste sono aperte, anche se la polizia locale escluderebbe quella del terrorismo islamico. Va ricordato, piuttosto, che quest’area è da anni oggetto di azioni da parte dei separatisti del sud. Non si può scartare, inoltre, dopo le consultazioni costituzionali di domenica, l’ipotesi di una matrice politica degli attentati, compiuti tra l’altro in concomitanza con le celebrazioni per il compleanno della regina Sirikit. Due esplosioni sono avvenute a Hua Hin, in un resort molto frequentato da turisti, ma anche da thailandesi. Una commerciante è rimasta uccisa, circa 20 i feriti, tra cui diversi turisti. Sempre a Hua Hin in una via molto centrale, altre deflagrazioni hanno causato la morte di una persona e nuovi feriti. E ancora bombe a Shurat Thani, vicino a due stazioni di polizia, a Phang Nga, a Phuket, nei pressi un chiosco della polizia, nella popolare spiaggia di Patong, e a Trang, nel sud, dove è morta una persona e altre cinque sono rimaste ferite all’uscita di un mercato. La Farnesina conferma che due italiani hanno riportato lesioni: un giovane di 21 anni, già dimesso dall’ospedale, e un uomo di 51, operato d’urgenza ma fuori pericolo.  

Carlo Filippini, esperto di politica asiatica, riflette sulla possibile matrice dei numerosi attacchi: 

R. – E’ più probabile che la matrice sia quella degli oppositori all’attuale regime, i cosiddetti Rossi, i sostenitori di Thaksin. L’alternativa, ma molto improbabile, è che siano i gruppi musulmani separatisti che vorrebbero ricongiungere le province meridionali alla Malesia e, appunto, staccarsi dalla Thailandia, che è prevalentemente buddista. Per la verità, questi gruppi separatisti non hanno mai agito al di fuori delle province, per cui è più probabile, ripeto, che sia una matrice politica interna thailandese.

D. – Domenica scorsa, si è svolto un referendum per approvare la nuova Costituzione proposta dalla giunta militare, che è al potere dal 2014. Può esserci una relazione anche con questo?

R. – E’ molto probabile, proprio perché l’opposizione, che non ha potuto manifestarsi durante i pochissimi giorni di preparazione al referendum, ha voluto forse con un gesto eclatante – le bombe, che purtroppo stanno diventando troppo comuni come modo di esprimere un’opposizione – mostrare la propria posizione e la contrarietà che, per la verità, per quello che si dice è della stragrande maggioranza della popolazione thailandese.

D. – Oggi, tra l’altro, è il compleanno della regina. Questo ha un valore simbolico?

R. – Probabilmente, c’è stato anche questo. Adesso non vorrei costruire troppe coincidenze. Certamente, la regina è in questo momento il vero potere, data la malattia, data la cattiva salute del re. Le voci più diffuse dicono che l’effettivo potere sia in mano alla regina e ai vecchi politici che si sono alleati con i  militari.

D. – Questi attacchi terroristici hanno provocato feriti anche tra i turisti. Che ripercussioni economiche possono esserci?

R. – La Thailandia già negli ultimi anni, proprio per l’instabilità politica, aveva perso tutta quella attrattiva economica. Sappiamo che il Paese negli ultimi decenni era stato sede di numerosissime imprese sia americane che giapponesi in parecchi settori – dall’automobilistico a quello dell’elettronica – e l’industrializzazione e lo sviluppo economico si erano basati anche su un clima di stabilità politica, che era uno dei fiori all’occhiello della Thailandia. I colpi di Stato, la contesa fra i "Gialli" – cioè i vecchi politici militari che si appellano al re, che fingono di parlare e di agire in nome del re – e i "Rossi", cioè appunto le persone, i partiti legati più a Thaksin, questa instabilità politica avevano già fatto spostare gli investimenti esteri dalla Thailandia ad altri Paesi del Sudest asiatico, ad esempio l’Indonesia, che un tempo era una dittatura e adesso è diventata sostanzialmente una democrazia abbastanza stabile. Il turismo, oltre alle industrie di cui si parlava prima, è certamente uno dei pilastri dell’economia. Colpire il turismo significa colpire l’economia e, in ultima analisi, l’attuale governo dei militari.

D. – Qual è la situazione democratica in Thailandia, negli ultimi anni?

R. – Circa dal 2000, con l’avvento di Thaksin, che ha proposto politiche populiste, ma che sostanzialmente spostavano la distribuzione del reddito a favore della stragrande maggioranza della popolazione rurale, che è ancora povera, la Thailandia ha un suo gap, che non è certamente nord e sud, ma piuttosto Bangkok e le province. A Bangkok c’è la classe media, le persone che si sono arricchite anche con la crescita degli ultimi decenni, mentre le province sono molto più povere. Ripeto: Taksin aveva iniziato una politica di redistribuzione del reddito, certamente con molti errori, con molti aspetti populisti, certamente era corrotto, ma meno della media della classe politica thailandese. Da questo è sorto lo scontro perché i militari, che avevano già fatto un colpo di Stato una dozzina di anni fa, lo hanno ripetuto e questa volta in modo molto, molto più deciso.

D. – In Thailandia c’è poi anche il problema della successione...

R. – Questo è molto importante ed è l’aspetto alla base di tutti questi problemi della democrazia thailandese, in un certo senso, in parte anche dello stesso sorgere di Thaksin. Il re attuale è molto vecchio, ha una salute cagionevole: negli ultimi tre anni è stato quasi sempre in ospedale. Ha però un potere carismatico: viene considerato quasi un semidio dai thailandesi, perché in effetti ha risolto situazioni drammatiche nei decenni passati. L’erede più probabile al trono è il figlio, che purtroppo ha una cattivissima reputazione e, in ogni caso, non è assolutamente amato dalla popolazione. Una giustificazione del colpo di Stato di due anni fa era anche questa, quella cioè di costringere il nuovo re a essere legato, se non addirittura obbediente, ai militari e alla vecchia classe politica.

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Libia, riconquistata Sirte. L'esperto: Is avviato alla sconfitta

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Duro colpo inferto al sedicente Stato islamico in Libia, che ha perso la sua roccaforte simbolica di Sirte, conquistata dai miliziani del fronte di Misurata e Tripoli. Gli uomini del Califfato sono ormai in fuga e la sconfitta dell’Is nello Stato nordafricano sembra ormai questione di settimane. Salvatore Tropea ha raccolto la testimonianza di Lorenzo Cremonesi, inviato a Sirte del Corriere della Sera: 

R. – Possiamo notare un’evidentissima vittoria avanzata delle milizie che fanno parte del fronte di Misurata e Tripoli. Queste di fatto stanno mettendo fuori gioco la roccaforte del sedicente Stato islamico: Sirte, la città cardine del sistema di Is in Libia. L’avanzata, prima in maggio e giugno, (è iniziata) dalla zona di Misurata per circa 200 kilometri fino a Sirte, e poi adesso proprio nella città. Mercoledì hanno conquistato, in modo anche abbastanza veloce e inaspettato, il centro di Ouagadougou, che è il cuore del sistema di barricate e del fuoco. E quindi, aver preso Ouagadougou accelera un po’ tutto. Fondamentali evidentemente dai primi di agosto, sono stati i raid americani, mirati, però persistenti e continui, che proprio negli ultimi tempi si sono concentrati su Ouagadougou. Insomma, la sconfitta dell’Is è molto vicina. Mi sembra che, da un punto di vista militare, della sua roccaforte, sia battuto. Poi chiaramente ci sono altre cellule che operano e ci sarà ancora il terrorismo. Ma la paura che l’Is potesse creare un enclave territoriale autonoma propria, come in Siria e in Iraq, mi sembra in questo momento battuta.

D. – I luoghi, prima sotto il controllo dei miliziani del Califfato, cosa ci rivelano del loro modo di agire, del loro addestramento e capacità militare?

R. – L’Is è composto da due teste: una è formata dal gruppo di guerriglieri che arrivano dall’estero – questa “Internazionale della jihad” che è legata ad Al Qaeda. Qui in Libia, in particolare ci sono gli algerini, i tunisini, i sudanesi e poi un po’ di iracheni e siriani, afghani. Però, c’è poi una forte componente locale: e qui, sul fenomeno Is, si è innestato il malcontento, la rabbia, la frustrazione degli ex fedeli di Gheddafi, che cercano vendetta, odiano la Nato per quanto avvenuto nel 2011. E quindi, c’è un elemento locale molto forte, che è anche un elemento politico. Con loro, quindi, in qualche modo bisogna parlare. E poi, ci rivelano un elemento ideologico molto forte: la persecuzione di chi, anche nel mondo musulmano, si oppone a loro;,l’indottrinamento. E in più c’è un elemento grave: la volontà di usare la Libia come base di espansione verso l’Italia e l’Europa.

D. – Questo duro colpo inferto all’Is può portare al rischio che i miliziani, nella fuga, si possano confondere con i civili e scappare dalla Libia?

R. – Questo è il problema. Si valuta che siano circa seimila i militanti dell’Is – uomini alleati al Califfato a Sirte – e la grandissima maggioranza di loro non c’è, lo testimoniano anche i racconti dei miliziani di Misurata con cui ero anche ieri. Alcuni sono morti, ma la grande maggioranza è scappata. Alcuni sono scappati nel deserto, altri nei villaggi – visto che sono gheddafiani, libici, quindi sono tornati a casa loro – un po’ sono andati verso il Sudan, molti sono anche di Boko Haram. E poi c’è una presenza diffusa di simpatizzanti del Califfato. A Tripoli, per esempio, sappiamo ci sono le cellule, a Sabrata, verso Derna. E quindi chiaramente questa gente si riversa ancora nel Paese. Ed è chiaro che questo è un problema per la Libia. E quindi vanno controllati.

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Aleppo, torna l'acqua. Il parroco: continuiamo a sperare

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Ce l’hanno fatta a entrare ad Aleppo 40 camion carichi di cibo nonostante i combattimenti che anche oggi si sono registrati nella martoriata città siriana, nonostante il secondo giorno di cessate-il-fuoco annunciato due giorni fa dalla Russia. La gente di Aleppo vive nella speranza della fine del conflitto, anche se in molti prefigurano presto l’inizio dello scontro decisivo tra le forze che si contrappongono. Luca Collodi ha sentito il parroco di Aleppo, padre Ibrahim Alsabagh

R. – Abbiamo tanta speranza. L’anno scorso – mi facevano ricordare ieri i miei fedeli – eravamo stati senz’acqua per tanti giorni e avevamo pregato proprio per questa intenzione: che tornasse l’acqua. E proprio alla vigilia dell’Assunta è tornata l’acqua ad Aleppo e la gioia è stata grandissima. Non c’è stato il minimo dubbio nei cuori che fosse un miracolo voluto con intenzione da parte della nostra Madre celeste. Anche quest’anno, allora, abbiamo iniziato tutti con tanta speranza, per 72 ore, un digiuno e la preghiera, e continueremo quasi tutti fino all’Assunta – lunedì - con la speranza che tutto finisca velocemente, che torni la pace e che la gente riesca a tornare alla serenità, a vivere in una Aleppo tutta rinnovata, piena di gioia e di pace per tutti gli abitanti.

D. – Non solo l’acqua, per la popolazione sembra tornata anche la possibilità di comunicare con l’esterno, grazie ad un piccolo corridoio umanitario che è stato aperto…

R. – Sì e questo può essere letto come un altro segno di speranza, nonostante nella parte ovest della città, come dicevano oggi, la strada alternativa verso Aleppo non sia ancora pronta per i civili: viene utilizzata solo dai militari e qualche volta dai camion pieni di viveri per la città. Come ho detto la scorsa volta, ci sono tanti giovani, tanti ragazzi che sono andati nei campeggi estivi con diversi sacerdoti, ma che non riescono a tornare dalle loro famiglie. Tutti, quindi, sono in attesa che questa strada si faccia più sicura e pronta ad accogliere di nuovo quelli che vorrebbero passare: da Aleppo verso l’esterno o dall’esterno verso Aleppo.

D. – Questa strada è sotto il controllo delle truppe di Assad…

R. – Sotto il controllo delle truppe di Assad. E’ una alternativa all’altra strada, che è stata chiusa per motivi di sicurezza a Ramuse, dove ci sono ancora tantissimi scontri. Non è, quindi, possibile utilizzarla né per i militari né per i civili. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno accolto le mie parole negli ultimi giorni e hanno voluto intensificare sia la preghiera che il digiuno per la pace ad Aleppo. Ho ricevuto veramente tantissimi messaggi da diversi amici, parroci, parrocchie, gruppi ecclesiastici, che hanno detto: “Ci siamo anche noi per la preghiera, per il digiuno, per Aleppo”. Grazie di cuore, continuiamo così fino all’Assunta. Siamo sicuri che il mantello della Madonna ci coprirà e che Aleppo avrà un’altra alba e un altro giorno di luce e di pace.

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Crimea, tensione Mosca-Kiev. Onu convoca Consiglio sicurezza

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Tensione altissima tra Russia e Ucraina. E’ ancora una volta la Crimea, annessa nel 2014 alla Russia, lo sfondo di possibili scenari di guerra. Proprio sulla situazione in Crimea, dove  il prossimo 18 settembre si terranno elezioni regionali e federali, sarà incentrata una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

A far scattare l’allarme è stato, nei giorni scorsi, il presidente russo, Vladimir Putin, secondo cui le forze ucraine hanno tentato di effettuare un’incursione in Crimea. Subito dopo il capo di Stato ucraino, Petro Poroshenko, ha ordinato l’allerta a tutte le unità militari dispiegate alla frontiera con la Crimea e nella regione del Donbass. Il servizio di sicurezza russo ha anche reso noto di aver sventato un articolato attacco terroristico, che sarebbe stato pianificato dall’intelligence ucraina con lo scopo di destabilizzare la Crimea. Per Kiev si tratta di accuse insensate, di un pretesto per ulteriori minacce militari contro l’Ucraina. La Nato sta monitorando la situazione e l’Onu ha già organizzato, su richiesta di Kiev, una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza. Per gli Stati Uniti, infine, non ci sono prove di incursioni ucraine e di possibili attacchi terroristici in Crimea.

Ma perché una crisi in questo momento? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Dario Fabbri, analista della rivista di geopolitica “Limes”: 

R. – In questo momento, probabilmente, ciò che ha “scatenato” questa nuova tensione riguardo alla Crimea, è il riavvicinamento tra Russia e Turchia: gli Stati Uniti in prima linea, e quindi anche l’Ucraina, intendono ricordare alla Russia – il cui riavvicinamento con la Turchia è fortemente osteggiato dagli americani – che è in una posizione strategica comunque molto fragile nel suo dossier più importante in assoluto, che è quello dell’Ucraina. Addirittura, da insidiare la Crimea che gli americani considerano da sempre nelle mani della Russia e sanno bene che non tornerà in nessun’altra situazione. Però, dopo questo riavvicinamento tra turchi e russi, evidentemente era necessario ricordare a Mosca, soltanto attraverso una provocazione, che comunque è in una posizione molto fragile.

D. – Come leggere, dunque, questo momento di alta tensione tra Russia e Ucraina?

R. – L’impressione assoluta è che siano veramente schermaglie. Siamo in un ambito soltanto di provocazioni, almeno per il momento. La Russia non ha alcun tipo di interesse a fare la guerra in questo momento in Ucraina. L’Ucraina non potrebbe sostenere una guerra con la Russia. Quindi, a livello prettamente logico, la situazione dovrebbe rimanere sotto controllo. Sappiamo, però, che non sempre è la logica a guidare ogni tipo di dinamica.

D. – Diversi osservatori fanno anche notare che questa nuova fase di crisi tra Russia e Ucraina si è aperta durante le Olimpiadi di Rio, ovvero quando l’attenzione mediatica internazionale è distratta da altri eventi. Uno scenario simile si era visto anche in occasione del conflitto in Georgia. In quel caso c’erano le Olimpiadi a Pechino …

R. – Il periodo è pressoché simile. Dobbiamo ricordarci che, comunque, quando la Russia interviene militarmente lo fa nel silenzio, più che nel clamore. Quindi, il periodo riguardante le Olimpiadi nel 2008, come questo, apparentemente sembrerebbe essere propizio per un intervento. Ma siamo veramente nell’ambito delle speculazioni. E’ impossibile stabilire, in questa fase, quali intenzioni abbia la Russia di rispondere alle “sollecitazioni” che riceve in questo momento dal fronte ucraino.

D. – In questo scenario sono in gioco anche le aspirazioni della Russia nella regione cruciale del Mar Nero…

R. – Il Mar Nero è da sempre una regione cruciale per la Russia perché il Mar Nero rappresenta l’accesso ai mari caldi. Attraverso il Mar Nero, peraltro, si giunge poi nel bacino principale del Mediterraneo e quindi parliamo da sempre di un quadrante strategico per la Russia. In questo momento, con il riavvicinamento alla Turchia – che è un riavvicinamento tattico e che comunque nel breve periodo avrà la sua funzionalità – la Russia estende la sua influenza sul Mar Nero: è la Turchia che controlla il passaggio dagli Stretti. La questione della Crimea, in questo senso, non è legata al controllo sul Mar Nero quanto, appunto, a ribadire al fragilità della Russia.

D. – Possono essere uno snodo cruciale le elezioni regionali e federali che si terranno, il prossimo 18 settembre, in Crimea?

R. – Questo riguarda però soprattutto la Russia, i suoi affari domestici. C’è un discreto malumore tra gli abitanti della Crimea: non perché facciano parte della Federazione russa, essendo questi in larga maggioranza russofoni – quindi si sono sempre, almeno culturalmente, considerati russi – ma perché si aspettavano condizioni economiche migliori. Nella loro volontà di ricongiungersi alla Russia c’era l’aspirazione a un benessere maggiore che invece non si è materializzato, non fosse altro perché la Russia è in condizioni economiche molto, molto difficili. E quindi sarebbe stato complesso immaginarsi un miglioramento da quel punto di vista. Queste prossime elezioni potrebbero segnalare, qualora si svolgessero del tutto liberamente, un malcontento da questo punto di vista.

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Congo: aperto dialogo nazionale per il futuro del Paese

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Dopo l’invito dello scorso mese da parte della delegazione dell’Unione Europea nella Repubblica Democratica del Congo,si è aperto ieri il dialogo politico interno chiesto anche dai vescovi durante la Conferenza episcopale nazionale, al fine di arrivare alle elezioni di novembre in maniera pacifica. Se da una parte l’attuale presidente Kabila è deciso a puntare dritto alla meta della terza elezione consecutiva, il suo oppositore Etienne Tshisekedi, presidente del "Rassemblement", una coalizione creata a giugno a Bruxelles, ha accettato il principio del “dialogo nazionale”, affinché si possano risolvere le difficoltà di ordine finanziario, politico, logistico e tempistico in vista dell’organizzazione delle prossime elezioni. Michele Ungolo ha intervistato Massimo Alberizzi, corrispondente africano per il Corriere della Sera: 

R. – Il capo del partito di opposizione, l’Unione per la democrazia e il progresso, che è Étienne Tshisekedi, ha esautorato il segretario del suo partito perché ha detto che era troppo compiacente con Kabila: Kabila è il presidente del Congo, il quale si ripresenta per le elezioni per la terza volta quindi violando la Costituzione, facendo cambiare la Costituzione… Insomma, la situazione politica è difficile, molto molto complicata e difficile. Kabila si è dimostrato molto peggio di quello che sembrava perché all’inizio, oltre tutto, è stato appoggiato da tutto il mondo, al suo primo mandato; al secondo mandato è stata “tollerata” la sua ripresentazione, al terzo mandato è stato abbandonato da tutti: ieri proprio gli Stati Uniti hanno protestato per l’allontanamento di un rappresentante di “Human Rights Watch”.

D. – Si teme che una nuova elezione dell’attuale presidente Kabila possa diventare un incarico a vita se riesce a vincere queste nuove elezioni...

R. – Se si presenta, le vince sicuramente: le elezioni sono un po’ truccate, da quelle parti, quindi è molto difficile pensare che non lo siano e che le perda. E’ il preannuncio di una presidenza a vita, e non solo quello. E' il preannuncio di un'altra guerra pesantissima da tutte le parti del Congo. Infatti, il vero problema di questo Paese, come di altri Paesi africani, che non c’è una distribuzione delle ricchezze, quindi se uno fa arricchire solo la propria tribù, il proprio entourage, i suoi amici, alla fine gli altri scatenano guerre pesanti. Il Paese è pieno di armi… E’ che il Congo è il Paese più ricco del mondo, secondo forse solo al Brasile. Quindi, gli appetiti sono tanti e grossi, sia nazionali, dei vari gruppi di potere, che internazionali, delle multinazionali.

D. – In un Paese nel quale comunque i conflitti sono molto frequenti, quali sono i problemi principali?

R. – C’è una categoria di persone ricchissime, da fare impallidire i nostri ricchi europei, e poi ci sono persone che muoiono di fame. Nello stesso villaggio, quasi, nella stessa capitale, nella stessa città. Ci sono delle favelas pesanti e ci sono le ville degli ultraricchi, di gente che mangia con le posate d’oro, per intenderci…

D. – Un Paese ricco come il Congo fa gola a un po’ tutte le maggiori multinazionali, anche per quanto riguarda l’estrazione dei diamanti dalle miniere. Molto spesso, anche i bambini vengono strappati alla loro infanzia e sono costretti a lavorare in queste miniere…

R. – Appena nascono, sono già adulti... Appena sono in grado di muovere le mani e camminare, sono già adulti, nel senso che fanno quello che fanno gli adulti, cioè: lavorano. Ci sono bambini analfabeti che rimangono analfabeti…

D. – Per l’estrazione di questi diamanti arrivano in diversi Paesi. Vengono utilizzati degli escamotage per nascondere che il lavoro comunque l’ha effettuato un minore?

R. – In America hanno delle legislazioni molto dure. Per esempio, non si potrebbero importare minerali provenienti dal Congo. Ma basta cambiare la carta d’identità dei minerali e le multinazionali li comprano lo stesso, facendo vedere che magari vengono dalla Tanzania… Poi ci sono i trucchi che si utilizzano, come le “triangolazioni”: si cambia carta d’identità di qualcosa che non può avere quella giusta. Questo succede, purtroppo, anche per gli umani.

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Fidel Castro compie 90 anni: decisivi i suoi incontri con tre Papi

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Fidel Castro compie domani 90 anni. In tutta Cuba sono previsti spettacoli ed eventi per rendere omaggio all’anziano leader. Castro si è allontanato progressivamente dalla vita pubblica da circa dieci anni, quando, dopo un intervento, aveva ceduto il potere al fratello Raúl, nominato presidente nel 2008. Da allora sono state avviate diverse riforme e la normalizzazione delle relazioni con la comunità internazionale. "Nell’apertura di Cuba al mondo e del mondo a Cuba" decisivo è stato il ruolo diplomatico della Chiesa cattolica, prima con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e poi con l'azione di Papa Francesco che ha portato alla normalizzazione delle relazioni tra Washington e L'Avana.

Il 20 settembre scorso Fidel aveva incontrato Papa Bergoglio nella sua residenza nella capitale cubana. Il comandante aveva donato al Papa una copia del libro "Fidel e la religione" di Frei Betto (1997) con una dedica: "Per Papa Francesco in occasione della sua visita a Cuba con l'ammirazione e il rispetto del popolo cubano". L’ex presidente aveva posto a Papa Francesco alcune domande riferendosi in particolare alla difesa dell'ambiente e alla situazione attuale del mondo. Fidel Castro ha incontrato Papa Wojtyla nel 1996 in Vaticano e nel 1998 a Cuba e Benedetto XVI all’Avana nel 2012. Per tratteggiare il profilo di Castro e la situazione di Cuba in questa fase di disgelo, Marco Guerra ha raccolto il commento di Roberto Da Rin, esperto di questioni sudamericane del Sole 24 Ore: 

R. – Castro arriva a 90 anni, innanzitutto lucido e in condizioni di salute discrete. Lui sta accompagnando un Paese che è profondamente trasformato, rispetto agli obiettivi che lui si era posto, anche se in realtà e nonostante le riforme, nonostante il disgelo con gli Stati Uniti, la maggior parte dei cubani continua a vivere in condizioni di ristrettezze palesi. Ovviamente, chi tra i cubani è agganciato al circuito del dollaro, e quindi del turismo, vive una situazione di privilegio, ma questa è una minoranza.

D. – Come è cambiato l’atteggiamento di Castro? C’è un socialismo reale che è si sbiadito?

R. – Dunque, il socialismo reale a Cuba non è mai esistito, semplicemente per il fatto che questo è un Paese tropicale e non è stato possibile trapiantare dei modelli economici ed esistenziali che invece hanno contraddistinto altre regioni. In questi dieci anni sono cambiate, effettivamente, delle cose, nel senso che se dal 2006, quando Fidel ha lasciato di fatto campo libero a Raúl, sono state avviate delle riforme economiche: ora ci sono più di 400 mila “cuentapropistas” – così si chiamano – ossia lavoratori autonomi che non sono dipendenti dello Stato e hanno avviato piccole attività commerciali. Questa fascia di piccoli commercianti si sta espandendo: questo è il dato più rilevante che si può constatare. Ciò che vale la pena rilevare è che sul tavolo rimangono dei problemi di carattere sostanziale: la doppia moneta è il primo; il secondo è il prosieguo delle riforme che sono affrontate ogni settimana, ma che con una potenziale vittoria di Trump – questo viene scritto nei giornali di tutto il mondo – potrebbero subire un arresto.

D. – Come ha contribuito la Chiesa cattolica all’apertura al mondo di Cuba?

R. – La Chiesa cattolica ha contribuito in maniera determinante, perché già Papa Wojtyla e l’attuale Papa Francesco – che in quel momento era arcivescovo a Buenos Aires – furono i grandi tessitori dei rapporti tra la Chiesa e Cuba, tanto che nel viaggio di Wojtyla questa missione venne preparata nei dettagli proprio dall’allora arcivescovo Bergoglio. La Chiesa ha indubbiamente svolto un ruolo rilevante. Ora, naturalmente il ruolo di mediazione che è stato svolto ha consentito il grande disgelo iniziato due anni fa, quindi con questo annuncio contemporaneo di Obama e Raúl Castro, Obama a Washington e Raúl a L’Avana, in cui si diceva: “Non siamo più nemici, ma siamo vicini”.

D. – Un dialogo, quello che Fidel Castro ha tenuto con la Chiesa cattolica fin dal disgelo, nei primi anni Novanta: un filo diretto che non si mai spezzato…

R. – Assolutamente: sì, c’è stato un filo diretto. E poi, non dimentichiamo che Fidel Castro ha studiato dai Gesuiti, che comunque Cuba naturalmente è un Paese in parte cattolico e quindi il terreno era abbastanza fertile …

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Pil, Italia ferma. Becchetti: "Scarso accesso al credito"

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In Italia pil fermo nel secondo trimestre 2016 rispetto ai tre mesi precedenti. Lo comunica l’Istat, rilevando che il prodotto interno lordo è aumentato dello 0,7% nei confronti di un anno fa. Discorso diverso nel resto dell’area euro, dove l’economia tra aprile e giugno è crescita dello 0,4%. Il servizio di Alessandro Guarasci

Economia in fase di stallo nel secondo trimestre dell’anno e se continua così l’Italia a fine 2016 sarà cresciuta di un magro 0,6%. Il dato è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell'agricoltura e dei servizi e di una  diminuzione in quello dell'industria. Nel resto d’Europa invece tira un altro vento. Eurostat dice che la Ue a 28 è crescita dello +0,4% sul trimestre precedente e l’area Euro dello 0,3%, con un aumento sull'anno dell'1,6%. A trainare la ripresa del continente la Germania, spinta soprattutto dall’export, ma anche la Spagna, oltre ai Paesi dell'est. Maglia nera: Grecia, Estonia e appunto Italia. Abbiamo sentito l'economista Leonardo Becchetti:

R. – In questo momento, la situazione internazionale non è certo positiva e il Paese ha una parte che funziona molto bene, che è quella delle medio-grandi imprese che producono su scala internazionale e, per quanto riguarda le piccole e medie, che sono in Italia, c’è un problema fondamentale strutturale di accesso al credito che, a mio avviso, non è stato risolto con le ultime riforme bancarie e finanziarie.

 D. – Secondo lei, possono avere influito le tensioni, in questo momento, a livello internazionale che abbiamo con la Russia, la Turchia e una parte del Medio Oriente?

R. – Senz’altro il quadro internazionale non è sicuramente favorevole in questo momento all’ampliamento e all’estensione dei commerci e quindi questo può avere avuto un impatto sull’export. Devo dire che c’è la speranza che il terzo trimestre sia migliore, perché i dati sul turismo, che vediamo già adesso, sono incoraggianti: c’è stato un aumento significativo delle presenze. Atre zone, infatti, sono più pericolose e quindi l’Italia è stata scelta maggiormente come meta, anche dai turisti stranieri.

 D. – Dobbiamo continuare, secondo lei, con il taglio del costo del lavoro?

R. – Per quanto riguarda l’uscita dalla crisi, è noto ormai da tempo che la cosa più importante che si dovrebbe fare è affiancare il “quantitative easing” con una politica di investimenti anche pubblica molto forte. Il problema fondamentale del Paese è la carestia dell’investimento, la mancanza di investimento, paradossalmente in un momento in cui il costo del denaro è veramente bassissimo. Quindi, dovrebbe essere un momento in cui individuare investimenti infrastrutturali importanti con tassi di rendimento, anche moderati, del 2, del 3% che sicuramente esistono e in questo modo saremmo sicuri che questo tipo di spesa pubblica per investimento diventerebbe un volano per l’economia e certamente non peggiorerebbe la situazione del debito pubblico. E’ un po’ quello che Draghi disse tempo fa: riqualificare la spesa pubblica, passando a una spesa pubblica con un moltiplicatore più elevato.

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Rapporto Goletta Verde: coste italiane inquinate in molti punti

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Oggi, nella sede nazionale di Legambiente sono stati presentati i risultati del monitoraggio effettuato sulle acque del litorale italiano da "Goletta Verde", tra Giugno ad Agosto 2016. Il bilancio rileva una situazione critica per la maggior parte delle Regioni italiane, colpite dal problema dell’inquinamento cronico. Le cause di questo sono la mancata depurazione e gli scarichi abusivi. Sardegna e Puglia si distinguono positivamente per la buona qualità delle acque. Maria Carnevali ha parlato della situazione dei mari e delle coste italiane con Serena Carpentieri, responsabile campagne di  Legambiente. 

R. – Abbiamo appena concluso il nostro monitoraggio lungo tutte le coste italiane, campionando 265 luoghi e il bilancio non è positivo. Abbiamo infatti riscontrato delle cariche batteriche superiori a quelle consentite dalla legge sulla balneazione, nel 52% dei casi. C’è da dire che, di questo inquinamento microbiologico, la gran parte – l’88% – si concentra presso le foci di corsi d’acqua che scorrono sulle nostre spiagge e arrivano in acqua. E spesso questi luoghi sono anche frequentati dai bagnanti. “Goletta Verde” vuole denunciare i problemi che vive il nostro Paese sul fronte della mancata depurazione e degli scarichi illegali, che sono i principali imputati di questo tipo di inquinamento.

D. – Nel vostro Rapporto, si legge che c’è un punto inquinato ogni 50 kmi di costa. Quali sono le criticità? Si parla di mancata depurazione, scarichi abusivi… E cosa suggerite per far fronte a tali insufficienze?

R. – Batteri fecali nell’acqua si incontrano lì dove ci sono, evidentemente, carichi non sufficientemente depurati. La nostra è una denuncia che facciamo per tutta l’Italia. E di certo sono dati più che noti: nel nostro Paese, il 25% degli italiani non è sufficientemente coperto da un adeguato servizio di depurazione. Anche l’Unione Europea, ad esempio, ha già emesso due condanne a nostro carico, perché nonostante siano passati 11 anni dalla normativa sul trattamento dei reflui moltissimi agglomerati urbani del nostro Paese non si sono ancora adeguati. Quindi, la mancata depurazione in tutta Italia è uno dei principali nemici del nostro mare e dell’inquinamento. Bisogna, di conseguenza, mettere in campo tutte le soluzioni possibili che vadano a fare degli interventi mirati sul sistema della depurazione.

D. – La legge sugli eco reati può contribuire a migliorare la situazione?

R. – Certo, a partire dai reati che vengono dall’illegalità e che si consumano a danno del mare. Noi non ci fermiamo solo alla denuncia e sicuramente questa nuova legge consentirà non solo di incrementare i controlli, ma soprattutto di punire chi scarica illegalmente i liquami non depurati in maniera, speriamo, più che esemplare.

D. – Nel Rapporto, parlate di “inquinamento cronico”: cosa si intende con questa espressione e quali sono i siti in cui lo avete riscontrato?

R. – Parliamo di “inquinamento cronico” perché abbiamo fatto un’elaborazione dei nostri dati – di "Goletta Verde" – dal 2010 al 2016. Abbiamo visto che un punto su cinque tra quelli monitorati è risultato fuori i limiti di legge per almeno cinque volte. Tutte le Regioni hanno almeno un punto “malato cronico”, ma quelle che ne hanno di più sono sicuramente le Marche, la Liguria, il Lazio, la Campania e la Calabria.

D. – Funzionano le attività di controllo e monitoraggio dei Comuni?

R. – C’è da dire che quello che non funziona, e che i Comuni dovrebbero far funzionare meglio, è senz’altro l’informazione in spiaggia. Ad esempio, nelle aree che sono vietate alla balneazione per le autorità preposte ci dovrebbero essere dei cartelli di divieto di balneazione. I nostri tecnici, girando lungo le coste, hanno invece attestato che questi cartelli sono assenti nel 74% dei casi. A questi ultimi dovrebbero provvedere i Comuni, così come i Comuni dovrebbero provvedere ad apporre delle cartellonistiche sulla qualità delle spiagge balneabili. Quindi, quello che diciamo a tutti i Comuni costieri è, da un lato, di ottemperare all’obbligo di legge perché i cittadini hanno diritto ad essere informati, dall’altro lato il nostro appello va anche al Ministero della salute, perché esso deve in primis tutelare la salute dei bagnanti avviando una seria campagna informativa.

D. – Quali sono le eccellenze italiane che avete riscontrato?

R. – Quelle migliori – a nostro avviso – sono la Sardegna e la Puglia. Ovviamente, non riusciamo a fare una classifica omogenea, perché i punti di campionamento sono diversi, così come le caratteristiche delle coste sono profondamente diverse.

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Olimpiadi. Il "selfie" delle ginnaste riunisce le Coree

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Continua a suscitare interesse e commenti una delle foto simbolo delle Olimpiadi di Rio, quella del selfie scattato da due atlete coreane, una del Nord e l’altra del Sud, e definito da più parti la “l’icona dell’unità” tra due Paesi nemici da oltre 60 anni. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il gioco di parole viene facile: ciò che il 38.mo parallelo divide, due parallele asimmetriche hanno unito, assieme a qualche migliaio di pixel come un buon selfie impone. La foto che si scattano insieme contente due atlete formalmente “nemiche”, a loro volta immortalate da un fotografo in servizio tra le pedane dell’Arena di Barra a Rio de Janeiro, è l’icona che sgretola nello spazio di un flash gli effetti di tanti proclami guerrafondai e di provocazioni muscolari a colpi di test missilistici ed esercitazioni militari congiunte.

Perché se le prime a non ricordarsi, o forse a ignorarlo di proposito, di doversi comportare come le obbligherebbe il peso di 60 anni di storia e di separazione sono due ragazze, una anzi poco più che ragazzina, allora il mondo ha davvero speranze di futuro migliori di quelle soffocate dal pessimismo allarmato che oggi dilaga.

A ben guardarli, i visi accostati di Lee Eun-ju, sudcoreana, 17 anni, e di Hong Un-jong, 27 anni, nordcoreana e campionessa olimpica, e soprattutto il loro sorriso non di facciata, ci raccontano senza bisogno di acuti commenti che, nel loro caso, né la strategia dell’odio di regime inculcato di padre in figlio né la retorica dello “rogue-State” hanno avuto la forza di avvelenare due ragazze “diversamente coreane” che anzi incontrandosi sotto i cerchi olimpici invece di ignorarsi, come fossero state in divisa invece che in tuta, si sono avvicinate cordiali per stringersi la mano, come si fa tra amici.

E quando la più giovane, ginnasta ancora agli inizi, ha proposto il selfie alla collega celebre e pluridecorata, nessuna delle due deve aver pensato – e il piacere di farsi il selfie lo dimostra – di essersi stretta al fianco della rappresentante di uno “Stato-canaglia” piuttosto che dell’imperialismo occidentale. Più probabilmente, saranno state soprattutto contente di ritrovarsi, da coreane, a difendere in mezzo a dozzine di atlete di tutto il mondo l’onore sportivo del loro Paese, che solo una striscia su un mappamondo e troppo filo spinato e una ostilità continuamente alimentata a freddo si ostina a volere spaccato a metà.

Chissà ora come nei loro Paesi – soprattutto a Pyongyang, si chiedono preoccupati in tanti sui social – verrà presa questa mancanza di aggressività e questa istintiva manifestazione di amicizia tra due nemiche che non sanno di esserlo o non ne vogliono sapere. La speranza è che chi passa il tempo a fare complessi calcoli geopolitici per anticipare a oggi il potere che avrà in futuro si lasci per una volta contagiare dalla levità dei volteggi di cui queste due ragazze sono maestre e riesca a vedere, nella filigrana di una foto bella e “impossibile”, come realmente i giovani, non solo coreani, vorrebbero il loro mondo di domani.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi California: sì a riforma su riabilitazione detenuti

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Il prossimo 8 novembre, i cittadini dello Stato della California saranno chiamati a votare l’approvazione o meno della così detta “Proposizione 57” relativa alla pubblica sicurezza ed ai percorsi di riabilitazione dei detenuti. Se approvata, tale iniziativa apporterebbe alcune riforme nel sistema giudiziario penale, sia minorile che per adulti.

Cosa chiede la Proposizione 57
Riguardo al primo settore, la Proposizione 57 abrogherebbe ai procuratori distrettuali la possibilità di giudicare un minore alla pari di un adulto. Al contrario, la decisione di come perseguire un giovane tornerebbe al Tribunale minorile. Riguardo agli adulti, invece, la proposta permetterebbe al Dipartimento californiano per la riabilitazione di avviare una sorta di “crediti temporali” per i detenuti: in pratica, coloro che hanno una buona condotta ed ottengono risultati positivi nel percorso di riabilitazione, vedrebbero ridotta la loro pena. Inoltre, i condannati per reati non violenti avrebbero la possibilità di godere della libertà vigilata, dopo aver scontato la pena relativa al crimine principale commesso.

Al centro del sistema giudiziario ci sia la persona, non la punizione
Questo, dunque, il progetto proposto, al quale la Conferenza episcopale cattolica della California (Ccc) offre il suo sostegno. “La punizione di per sé non è mai una risposta adeguata al crimine – si legge in una nota diffusa dai presuli sul loro sito web – perché al centro del sistema giudiziario ci deve essere la persona”. “Ogni giorno – prosegue la nota – nelle nostre parrocchie, assistiamo all’impatto devastante della criminalità sulle nostre comunità. Le vittime, le cui vite sono spesso andate in frantumi, cercano risposte; i familiari dei colpevoli rimangono soli, nell’angoscia e nella paura di chiedere aiuto, mentre i detenuti perdono la speranza, perché i programmi che offrono la possibilità di una riabilitazione sociale vengono scartati, per lasciare spazio alla costruzione di costose carceri”.

Incentivare la giustizia riparativa
La Chiesa cattolica ed i suoi fedeli fanno già molto per aiutare “tutte le persone colpite dalla criminalità”, ma – è l’appello della Ccc – “possiamo e dobbiamo fare di più”. In quest’ottica, la Proposizione 57 “è un primo passo”; l’attuale politica, infatti, “include molti elementi per la punizione” dei colpevoli di reati, “ma ciò non è sufficiente per prevenire la criminalità, guarire le vittime e ripristinare l’armonia sociale”. Di qui, il richiamo ad “incentivare modelli di giustizia riparativa che affrontino non soltanto come una violazione della legge”, ma guardando alla persona, perché “riconoscere ed apprezzare la dignità umana permette di costruire comunità più forti e più sicure”.

Spezzare il circolo continuo tra crimine e detenzione
Poi, la Ccc guarda all’attuale contesto carcerario e ne elenca le principali difficoltà: “La mancanza di risorse per la prevenzione della criminalità – spiega – ha portato solo al sovraffollamento delle prigioni, con alti tassi di recidivi e comunità insicure”. Si tratta di politiche scaturite “dalla paura, in risposta alla violenza”, sottolineano i vescovi. Al contrario, l’appello è ad agire “in modo più costruttivo” per sviluppare politiche “appropriate, come appunto la Proposizione 57, che creino comunità effettivamente più sicure, piuttosto che un circolo continuo tra crimine e detenzione”.

Il 6 novembre, in Vaticano, Giubileo dei carcerati
Guardando, inoltre, all’attuale Giubileo straordinario della misericordia, indetto da Papa Francesco, i vescovi californiani esortano tutte le parti in causa ad “affrontare le difficoltà che caratterizzano il sistema giudiziario penale” ed incoraggiano i cittadini dello Stato ad approvare, nel mese di novembre, la Proposizione 57. Da ricordare, infine, che il prossimo 6 novembre, in Vaticano, Papa Francesco celebrerà il Giubileo dei carcerati. (A cura di Isabella Piro)

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Messico: Chiese aperte per accogliere sfollati dall'uragano Earl

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Cresce il numero delle vittime per il passaggio dell'uragano Earl che si è abbattuto sul Messico. Stando all'ultimo bilancio diffuso dalle autorità del Paese, i morti sono almeno 45, mentre nei due Stati più colpiti, Puebla e Veracruz, situati nella regione centro-orientale del Paese, si affievoliscono le speranze di trovare ancora dei sopravvissuti.

Generosità e carità nei confronti dei bisognosi
Intanto, la Conferenza episcopale locale (Cem), guidata dal card. Francisco Robles Ortega, esprime “vicinanza, preghiera e sostegno” a tutte le vittime della catastrofe naturale e porge le sue condoglianze ai familiari dei defunti. Al contempo, i presuli auspicano che scaturiscano “nel popolo messicano” sentimenti di “carità e generosità nei confronti di coloro che stanno soffrendo”. Infine, la preghiera della Cem va alla Vergine Maria, affinché “benedica il lavoro dei soccorritori e di quanti partecipano all’opera di ricostruzione del Paese”.

Le Chiese accolgano gli sfollati
La “macchina” degli aiuti, infatti, si è già messa in moto: nella diocesi di Cordoba, ad esempio, la Caritas locale è entrata immediatamente in azione per portare soccorso alla popolazione, mentre l’arcivescovo di Puebla, mons. Víctor Sánchez Espinosa, ha esortato tutti i sacerdoti dello Stato ad aprire le porte delle Chiese per accogliere gli sfollati e consentire le operazioni di soccorso. Da ricordare, infine, che anche Papa Francesco ha manifestato la sua vicinanza e la sua solidarietà alla popolazione messicana, tramite un messaggio a firma del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato. (I.P.)

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Argentina, torna la Colletta per l’evangelizzazione

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Con il tema “ciò che è difficile per uno è possibile per tutti. La missione è nostra”, l’arcidiocesi argentina di Resistencia organizza, per il 13 e 14 agosto, l’annuale colletta per l’evangelizzazione. In particolare – riporta l’agenzia cattolica Aica – “si invita la comunità a partecipare alla campagna per il sostentamento della missione evangelizzatrice della Chiesa” dando il proprio contributo. “Dei fondi raccolti in ogni parrocchia – continua la nota – il 25% resterà a disposizione delle singole comunità, mentre il restante 75% andrà ad unirsi al così detto Fondo per l’opera evangelizzatrice”.

La missione della Chiesa ha bisogno di tutti
La colletta si realizzerà nelle cappelle e nei collegi cattolici argentini e, nei luoghi più lontani, proseguirà fino alla fine del mese di agosto. “La comunione è un dono di Dio che richiede una nostra risposta generosa – si legge ancora nell’invito dell’arcidiocesi – Affinché la Chiesa possa compiere la sua missione, c’è bisogno dell’aiuto di tutti”. Dal suo canto, mons. Enrique Eguía Seguí, presidente del Consiglio economico della Conferenza episcopale nazionale, sottolinea la necessità di “avere una maggiore consapevolezza dell’importanza di offrire il proprio contributo affinché l’evangelizzazione si possa attuare”.

Aiuti per le parrocchie più bisognose
“Si tratta – aggiunge – dell’opportunità di crescere nella comprensione del bisogno che la Chiesa ha di tutti i fedeli. Per questo, tutti siamo invitati a porre al servizio della Chiesa i nostri talenti, il nostro tempo, il nostro contributo economico possibile”. I fondi raccolti serviranno a sostenere l’adeguata formazione degli agenti pastorali, le parrocchie più bisognose e contribuiranno al restauro delle strutture necessarie alle attività pastorali. (I.P.)

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Scozia: fede non sia emarginata da vita pubblica

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“Alla fede deve essere consentito di svolgere il suo ruolo nella vita pubblica”: lo scrive Anthony Horan, neo-direttore dell’Ufficio parlamentare cattolico della Scozia. Nominato a fine luglio, Horan si trova ora alla guida dell’organismo incaricato dei rapporti tra la Chiesa cattolica ed il Parlamento scozzese.

La fede contribuisce a sviluppo umano e rinnovamento della società
In una nota pubblicata sul sito web dei vescovi scozzesi, il neo-direttore evidenzia come, attualmente, sulla stampa e i social media siano sempre più numerosi “gli appelli a cancellare la religione e la fede dalla vita pubblica”. Ma “la fede, in sé e di per sé – continua Horan – è importante per lo sviluppo umano ed il rinnovamento della società, la quale può prosperare meglio se alla fede viene concessa la libertà di offrire il suo contributo, che è unico”.

Appello alla libertà religiosa
Richiamando, poi, i tanti appelli di Papa Francesco alla libertà religiosa, Anthony Horan ribadisce che “l’eredità del cristianesimo è di sostenere le rispettive competenze della sfera spirituale e della sfera temporale”. A dispetto di quanto si pensi – nota inoltre Horan – “a livello globale, la Chiesa cattolica continua a crescere. E in Scozia, attualmente, ci sono più seminaristi di quanti ce ne siano stati negli ultimi dieci anni, così come, tra il 2001 ed il 2011, è aumentato il numero dei cattolici”.

Impegno della Chiesa cattolica per il bene comune
Guardando, poi, al suo nuovo incarico, Anthony Horan sottolinea che la sua missione sarà quella di “promuovere la fede cattolica e la Dottrina sociale della Chiesa in modo da coinvolgere positivamente la società secolare in cui si vive”. In particolare, il neo-direttore auspica di riuscire a lavorare insieme ai giovani, “mettendo a frutto le loro energie ed il loro entusiasmo, perché essi sono il futuro della Chiesa cattolica e del Paese”. Di qui, l’auspicio di incontrare, quanto prima, “i politici e le parti interessate all’avvio di relazioni positive ed amichevoli, con l’obiettivo di sviluppare modi per promuovere l’insegnamento della Chiesa nel contesto politico”, in quanto “la Chiesa cattolica si dedica al bene comune ed ha a cuore il benessere di tutti”.

Tutelare vita, famiglia, giustizia sociale e Creato
Ricordando, quindi, “l’impegno dei cattolici a testimoniare Cristo nella vita quotidiana, sia pubblica che privata”, il direttore Horan ribadisce che lavorerà insieme ai vescovi scozzesi, “alla persone di tutte le fedi ed ai non credenti”, “rispettando e sostenendo la dignità di ogni persona, in particolare dei più deboli e vulnerabili; promuovendo il valore della vita umana dal concepimento e fino alla morta naturale; coltivando la famiglia come cellula fondamentale della società; sostenendo la giustizia sociale ed economica per tutti e custodendo il Creato, casa comune dell’umanità”. “La fede può svolgere un ruolo importante nel costruire la Scozia del futuro – conclude Horan – e per questo deve essere accolta e valorizzata, senza timori”. (I.P.)

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Malta: sacerdoti contro il degrado edilizio

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I sacerdoti delle parrocchie di Sliema e Balluta, sull’isola di Malta, esprimono preoccupazione per i numerosi progetti di edilizi relativi alla zona, lanciando l’allarme per il rischio di degrado. “Evitiamo l’uso della parola ‘sviluppo’ – si legge in una nota congiunta, pubblicata sul sito della Conferenza episcopale maltese – perché riteniamo che ciò che si sta facendo in questa località non meriti questo nome”.

Sviluppo autentico guarda a qualità della vita, non a guadagno economico
“Parlare di sviluppo autentico, infatti – proseguono i firmatari - significa ‘verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone’, come afferma Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune (n. 147)”. I sacerdoti ricordano, poi, le numerose proteste dei residenti contrari alle nuove costruzioni; proteste che, tuttavia, “sono cadute nel vuoto”, mentre i permessi per costruire rimangono validi, nonostante “la mancanza di un piano di sviluppo integrale e l’assenza di rispetto per la qualità della vita dei residenti”.

Dare priorità al bene comune
In particolare, i sacerdoti lamentano la realizzazione di strutture che impediscono l’accesso alle persone anziane e disabili; gli altri costi delle infrastrutture; le difficoltà logistiche causate dai cantieri; la mancanza di spazi aperti. Di qui, l’auspicio dei firmatari affinché il rilascio di permessi edilizi venga valutato in base all’impatto che essi avranno sulla qualità della vita dei residenti, piuttosto che pensando al guadagno economico, perché - ricorda la nota congiunta - come si legge nella Laudato si’ al n. 109, “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale”. Per questo, la nota congiunta ribadisce “la necessità di riflettere e valutare le priorità alla luce della tutela del bene comune” e della “giustizia sociale”. (I.P.)

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Hong Kong: incontro dei giovani asiatici promosso da Taizé

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Circa 300 giovani da tutta l’Asia dell’Est hanno dato il via all’incontro proposto dalla comunità monastica di Taizé sul tema “Il coraggio della misericordia”. Il raduno, cominciato ieri, si concluderà il 14 agosto ed è tenuto sull’isola di Cheung Chau, presso la sede del Ming Fai Camp della Caritas. Vi partecipano giovani da Hong Kong, Macao, Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone. Fra i giovani cinesi presenti – riferisce l’agenzia AsiaNews - ve ne sono provenienti da diverse regioni della Cina, come Guangdong, Hebei e Pechino.

Approfondire la comunione con Dio
Secondo gli organizzatori, l’incontro ha lo scopo di approfondire la comunione con Dio, attraverso la preghiera personale e comune, i canti, il silenzio, riscoprendo il significato della vita nella riflessione e la condivisione con gli altri. Per risvegliare “il coraggio della misericordia”, la proposta è di soffermarsi su cinque punti: affidare se stessi a Dio che è misericordia; perdonare di continuo; farsi vicino a una situazione di difficoltà, da soli o insieme a qualcun altro; diffondere la misericordia anche a livello sociale; la misericordia per tutta la creazione. Attraverso queste piste, si vuole educare i giovani a divenire portatori di pace e fiducia nella loro vita di tutti i giorni.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 225

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.