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Sommario del 13/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa incontra donne liberate da prostituzione e chiede perdono

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Papa Francesco, nell’ambito dei “Venerdì di Misericordia”, si è recato ieri pomeriggio in una struttura romana della “Comunità Papa Giovanni XXIII”, fondata da don Oreste Benzi, dove ha incontrato 20 donne liberate dal racket della prostituzione e lì ospitate. Tutte hanno subìto gravi violenze fisiche e hanno in media 30 anni di età. Sei di loro provengono dalla Romania, quattro dall’Albania, sette dalla Nigeria e tre da Tunisia, Italia e Ucraina. La visita del Papa, si legge in un comunicato della Sala Stampa vaticana, è un richiamo alle coscienze per combattere la tratta di essere umani, più volte definita come un “delitto contro l’umanità ” e una “piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”. Tra i presenti anche il responsabile generale della Comunità, Giovanni Paolo Ramonda, due operatori di strada, la responsabile dell’appartamento e don Aldo Bonaiuto, assistente spirituale della Comunità, che ha raccontato le emozioni di questo incontro al microfono di Michele Raviart: 

R. – È stata una grande sorpresa, soprattutto per le ragazze che tanto hanno sofferto a causa della prostituzione schiavizzata. Quindi, il Santo Padre è venuto proprio a trovare loro, ad incontrarle, ad ascoltare la loro storia. Sono stati veramente momenti straordinari per la sofferenza, il pianto, ma anche per la consolazione che hanno ricevuto, l’abbraccio che hanno ricevuto da parte del Santo Padre. Il Papa ha usato parole molto belle, ma anche molto forti: ha chiesto perdono a nome di tutti i cristiani per le violenze e tutto il male che queste ragazze hanno dovuto subire. Le sue parole sono state veramente parole molto commoventi. Il Santo Padre ha ascoltato a lungo le storie di queste ragazze, si è commosso, le ha abbracciate ed ha parlato con ognuna di loro, anche con una ragazza arrivata ieri sera che, purtroppo, si è ritrovata a partorire sulla strada, da sola, e a vedere il suo bambino morire tra le sue braccia. Quindi storie veramente drammatiche di cui il Santo Padre ha visto, proprio con i suoi occhi, le ferite, perché le ragazze, davanti al Papa, hanno anche mostrato le ferite che hanno subito. Quindi: le botte, ragazze storpiate, ragazze con le orecchie tagliate…

D. – Queste persone, che hanno vissuto queste storie terribili, quale reazione hanno avuto all’incontro con il Papa?

R. – Loro sono rimaste meravigliate, perché non si aspettavano di incontrare il Papa. Anzi, noi avevamo proprio detto che sarebbe arrivata una persona famosa, ma avevamo cercato di “depistare”, insomma…Si capiva che ci sarebbe stato qualcosa, ma non potevano mai immaginare che arrivasse il Santo Padre. Quindi, per loro è stata davvero una grandissima sorpresa. Sono rimaste proprio scioccate, felicemente scioccate!

D. – Quale storia si portano dietro, queste donne?

R. – Si portano dietro storie, purtroppo, di violenze, di abusi, di inganni. Ci sono ragazze con problemi psichiatrici gravissimi. E quindi sono tutte donne, purtroppo, a cui nessuno restituirà più soprattutto la salute psichica, fisica. E questa salute è stata tolta loro proprio dai clienti, da coloro che pensano di avere il diritto di andare a comprare il corpo di una donna per motivi sessuali. Sulle strade, oltre centomila sono le donne che si prostituiscono.

D. – La tratta di esseri umani come una piaga dell’umanità, come una piaga di Cristo. Il Papa ha sempre parlato di questo…

R. – Una piaga, come anche sottolineiamo noi nella campagna “Questo è il mio corpo”. L’abbiamo voluta denominare proprio così. Una campagna proprio per dire che è ora di fermare la domanda, rifacendoci a quel modello nordico, che funziona, di disincentivare questa grande domanda che offre questo mercato spaventoso. È l’unico modo per cambiare anche questa mentalità orribile, maschilista, secondo la quale si pensa che una persona si possa acquistare.

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Una vittima: ero un sacco dell'immondizia, ora il Papa mi ha abbracciato

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Sarebbero almeno due milioni e mezzo gli italiani che frequentano le prostitute. Forse non sanno o fanno finta di non sapere che quelle donne hanno storie drammatiche alle spalle. Ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, la testimonianza di una giovane ragazza dell'Europa dell'Est uscita dalla schiavitù della prostituzione proprio grazie ai volontari della “Comunità Papa Giovanni XXIII” e che ieri ha avuto la gioia di abbracciare il Papa: 

R. – E’ stato un dono enorme vedere il Papa con i miei occhi: sinceramente non riuscivo nemmeno a crederci! E’ stato veramente un brivido, una cosa stupenda. Per me era soltanto un sogno poter vedere il Papa così da vicino e poter raccontare la mia storia a una persona santa come lui. Ho avuto una grande emozione, ho pianto sempre, perché non riuscivo a credere a quello che vedevo e a quello che sentivo. Ho avuto la grande grazia di potergli raccontare la mia storia e ho percepito da parte sua la massima comprensione: ho capito che lui la storia l’ha ascoltata con il cuore; si vedeva proprio nel suo sguardo che lui ne faceva tesoro nel suo cuore.

D. – Qual è la tua storia? Come sei arrivata a Roma?

R. – Io sono arrivata con l’inganno: mi avevano promesso un lavoro, mi avevano proposto di lavorare all’estero dicendo che avrei fatto l’assistente in una famiglia, tipo badante; e invece si è rivelata tutta un’altra cosa. Mi hanno portata in una città, per due settimane mi hanno tenuta chiusa in un appartamento, drogandomi, legandomi, facendo – gli uomini – con il mio corpo tutto quello che volevano; mi hanno legata, mi hanno detto quello che realmente sarei andata a fare: avrei fatto la prostituta, non l’assistente in una famiglia. Ho cercato di liberarmi, ho gridato cercando aiuto, ma purtroppo nessuno mi ha risposto. Dopo due settimane mi hanno gettata in un portabagagli, legata e imbavagliata, e mi hanno portata sulla frontiera con l’Italia. La stessa sera mi hanno gettata sulla strada dicendomi che avrei dovuto fare “quello”. E così è durata per oltre un anno; ricevevo le botte non soltanto dei “magnaccia” ma anche le violenze dei clienti: venivano dei clienti ed io ero lì, ero una macchinetta per lo sfogo dei loro bisogni e delle loro fantasie, delle loro orribilità, della sporcizia, di tutto questo … Quindi, quando stavo sulla strada, io ripeto sempre questo: io non mi sentivo né una persona né una donna né una ragazzetta di 18 anni; i miei sogni erano svaniti, il mio futuro era distrutto. Non avevo più voglia di vivere, non avevo la possibilità di dire qualcosa di contrario: dovevo fare ciò che mi dicevano e se non lo facevo ricevevo le sigarette spente addosso, i tagli con il coltello affilato sulla pelle … Dopo tutto questo, a me è andata pure bene. Perché? Perché sono viva, perché sono qui, perché ho avuto delle persone che sono venute a salvarmi e che mi hanno dato una possibilità di vita, di cambiamento, una vita, una speranza, una luce …

D. – Dove hai trovato la forza di ribellarti a tutto questo?

R. – La forza me l’hanno data dei volontari che sono venuti a darmi la possibilità in cui io all’inizio, sinceramente, non credevo, perché quando stai sulla strada non credi più a nessuno; ti senti soltanto un sacco dell’immondizia buttato lì … E invece, loro, con la preghiera, ma soprattutto con i loro volti pieni di speranza per me, che stavo lì, e mi hanno trasmesso con le parole, con semplici gesti, mettendomi in mano il rosario e facendo una preghiera insieme, ho capito che magari di questi potevo fidarmi perché erano venuti a cercarmi sulla strada e mi hanno chiesto quanto soffro, non quanto costo.

D. – Ci sono altre ragazze che soffrono sulla strada e sono costrette però a continuare a starci...

R. – Ci sono tantissime, tantissime, tantissime ragazze; però, purtroppo tutte dicono che sono lì per loro volontà, ma non è così. Perché quando una ragazza esce dalla strada, allora è lì che viene fuori tutta la verità. Loro non possono dire assolutamente che lavorano per conto di qualcuno, che stanno lì sfruttate, che sono incatenate, che non sono libere per nulla. La verità viene fuori; perché sono minacciate, perché se dicono qualcosa mettono a rischio i propri familiari, alcune hanno figli piccolini … e nessuna mamma, nessuna figlia rinuncerebbe alla felicità dei familiari.

D. – Come vedi il tuo futuro?

R. – Il mio futuro lo vedo accanto a queste ragazze, soprattutto perché ne sono uscita. Il Papa mi ha detto una cosa: “Se qualcuno ti dice che il Cristo non è risorto, tu digli che Lui è risorto perché tu ne sei la testimonianza”. Quindi, se io ce l’ho fatta, io credo che tantissime ragazze possano farcela; però bisogna collaborare, tutti insieme, bisogna essere uniti, bisogna credere e soprattutto bisogna portare a queste ragazze una grande speranza, bisogna trasmettere loro una grande forza e dar loro la possibilità: non sputando loro addosso, non dicendo parolacce, ma portando loro il volto sorridente e il volto sofferente di Cristo che viene a salvare il povero sulla strada.

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Papa: Argentina, si ascolti grido di dolore di tanti poveri

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Papa Francesco, in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha inviato il suo saluto a quanti partecipano in Argentina all’Annuale colletta di solidarietà “Mas por menos” che si svolgerà il 10 e 11 settembre in favore dei più poveri nel Paese sul motto “Più misericordia per meno esclusione”. Il servizio di Sergio Centofanti

Nel messaggio, indirizzato a mons. Pedro Olmedo, vescovo di Humahuaca e presidente della Commissione Episcopale per l'assistenza alle regioni più povere, il Papa “incoraggia, soprattutto in questo Anno Santo della Misericordia, a fare un grande sforzo personale e comunitario per raggiungere tanti fratelli bisognosi che si sentono esclusi dalla società e per portare loro la vicinanza e l'amore di Dio”.

Francesco esorta “a essere sensibili al grido di dolore di tante persone emarginate e scartate che, prostrate nella loro povertà, cercano una mano amica che li aiuti. Che Cristo, vero volto misericordioso del Padre – conclude il messaggio – vi conceda di sperimentare la gioia di condividere il vostro tempo, i vostri beni, la vostra vita, con coloro che Dio ama con un amore di predilezione, i più poveri e abbandonati”.

L’appello del Papa giunge in un momento in cui in Argentina si è riacceso il dibattito sulla crisi. Secondo un recente rapporto dell’Osservatorio sul disagio sociale, elaborato dall’Università cattolica argentina, la situazione di vulnerabilità sociale si sta aggravando, a causa soprattutto del ristagno dell’economia, dell’alta inflazione e dell’aumento della disoccupazione. Al centro del Rapporto – ripreso dal Sir - l’emergere dei “nuovi poveri”, oltre un milione di persone, appartenenti alla cosiddetta classe medio-bassa e provenienti soprattutto dell’economia sommersa, e quindi in situazione vulnerabile.

Si tratta di una classe - sottolineano gli autori dello studio - che emerge anche in seguito alle misure di adeguamento economico decise dal nuovo governo, di una parte della popolazione che resta senza protezione di fronte a una sola variante economica negativa e che, con un 10% di perdita del suo salario reale, cade in povertà.

Nel dossier, nel quale si parla di una “povertà mulitidimensionale” che colpisce 20 milioni di argentini, ovvero la metà della popolazione, viene spiegato che il tasso di disoccupazione coinvolge il 9,5% della popolazione economicamente attiva e che i dati della fine del 2015 parlano di 4,4 milioni di persone colpite dalla fame o dal rischio di indigenza; 7,9 milioni di persone senza una adeguata assistenza sanitaria; 5,6 milioni di persone senza accesso a servizi essenziali; 7,2 milioni di persone senza una abitazione degna e 7,4 milioni di persone senza l’istruzione necessaria.

“È possibile che il governo abbia bisogno di tempo, prima che l’economia possa iniziare a crescere – affermano gli autori del Rapporto - ma saranno magri i risultati se durante questa dura transizione non si riuscirà a stabilire una distribuzione socialmente più equa dei costi causati dall’attuale adeguamento economico e delle risorse disponibili. Occorre chiedersi se si stiano distribuendo con giustizia i costi dell’eredità ricevuta”.

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Papa, tweet: la gente veda nostro amore generoso per Cristo

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Che la gente veda nella nostra vita il Vangelo: un amore generoso e fedele a Cristo e ai fratelli”.

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Parolin: crisi Venezuela, prevalgano senso del bene comune e giustizia

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha presieduto stamane la Messa per la 36.ma Tendopoli dei Giovani presso il Santuario di San Gabriele, ai piedi del Gran Sasso. All’evento, dal titolo “La misericordia si è fatta tenda”, hanno preso parte centinaia di ragazzi provenienti da Italia, Venezuela e Colombia. Il porporato ha portato il saluto e la benedizione di Papa Francesco.

Nell’omelia ha ricordato il tempo in cui era nunzio in Venezuela. “Sappiamo - ha detto - che il Venezuela si dibatte in pesantissime difficoltà sociali, politiche ed economiche, che stanno procurando grandi sofferenze” alla popolazione. Ha quindi invitato a pregare per i venezuelani e perché “i protagonisti della vita pubblica e le componenti della società siano saggi e coraggiosi per trovare soluzioni pacifiche alla presente crisi e prevalgano in tutti il senso del bene comune, della giustizia, della solidarietà e dell’amore!”.

Poi, ha esortato i giovani a seguire l’esempio di San Gabriele dell’Addolorata, “che si è fidato e ha accolto l’invito del Signore. Lo ha fatto mettendosi alla scuola di San Paolo della Croce, scegliendo di condividere la sua spiritualità, improntata a vivere con fedeltà il Vangelo e ad annunziare la potenza salvifica della Croce a tutti i fratelli. San Gabriele – ha sottolineato il cardinale Parolin - con la sua esistenza ha reso tangibile quanto la Passione di Cristo sia veramente la forza che sostiene la Chiesa e il cammino di ogni uomo. Ha scoperto che la contemplazione della Passione è il miglior modo per comprendere fino a che punto il Signore ami le sue creature. Nessuno potrà mai dubitare che quel Cuore trafitto sulla Croce sia diventato per noi una sorgente di vita. Da quella ferita giunge a noi la misericordia”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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L'abbraccio di Francesco: venerdì della misericordia con venti donne liberate dal racket della prostituzione.

Diventare gesuita: Lucetta Scaraffia sulla Compagnia di Gesù tra Cinquecento e Seicento.

Un articolo di Ferdinando Cancelli dal titolo "Sulla linea di San Michele": diario di viaggio in Cornovaglia.

Maestro del latino e del volgare: Marco Beck sulle opere minori di Dante.

La morte di Rada Krusciova.

Salvata dalla sua vigile intercessione: Manuel Nin sulla dormizione della Madre di Dio.

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Oggi in Primo Piano



Vescovo di Aleppo: una guerra con troppi interessi internazionali

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In Siria importante vittoria della coalizione arabo-curda contro i jihadisti dello Stato Islamico. Strappata agli uomini del sedicente califfato la città di Manbij, al confine con la Turchia. Salvi i duemila civili usati come scudi umani dai jihadisti in fuga verso nord per ripararsi dai bombardamenti.  Intanto si combatte ancora ad Aleppo, in violazione del cessate il fuoco annunciato dalla Russia: continuano i raid, i bombardamenti sugli ospedali e sui mercati e l’emergenza umanitaria. Alcuni camion carichi di cibo sono riusciti ad arrivare nella parte controllata dai governativi. Ascoltiamo il vescovo caldeo di Aleppo mons. Antoine Audo, al microfono di Luca Collodi:

R. – C’è una novità: la strada che abbiamo usato negli ultimi tempi adesso è chiusa. Ci sono combattimenti duri; è stata aperta un’altra strada dove la gente cerca di uscire e tornare ad Aleppo e si può di nuovo comunicare; ma si aspetta sempre la battaglia tra i due gruppi.

D. - Questa strada è una sorta di corridoio umanitario aperta dall’esercito di Assad?

R. - Sì. Questa è la parte conquistata negli ultimi tempi: la Via del Castello adesso è aperta e quindi c’è la possibilità di comunicare e di  uscire verso Homs e Damasco.

D. – Ora c’è la possibilità di far arrivare aiuti umanitari per la popolazione…

R. - Sì, sembra che adesso le cose vadano meglio. Ma è un problema enorme e la Caritas lavora molto bene per dare aiuto ai poveri.

D. - Ad Aleppo è tornata acqua e luce elettrica?

R. – Sì, l’acqua è tornata; c’è meno elettricità, meno ore di servizio, ma così la vita è di nuovo tornata.

D. - Sul piano militare si parla di uso di gas chimici. A lei risulta?

R. - È veramente una cosa molto complicata. Fino ad ora si accusavano a vicenda circa l’utilizzo di armi chimiche. Non sono in grado di dare un mio giudizio.

D. - Cosa fare per la pace?

R. - Il problema è molto complicato. Abbiamo detto e ripetuto con il Santo Padre, con tutti, che la soluzione è di carattere politico e deve venire dall’interno della Siria. I Paesi della regione non devono interferire: i Paesi del Golfo e la Turchia hanno interessi. È chiaro che ci sono poteri che vogliono sostenere certi gruppi con i petroldollari. Dietro c’è il commercio delle armi e come il Santo Padre ha detto: “Parlano della pace e vendono armi per interessi economici”.

D. - Chi sono i ribelli che in questo momento controllano una parte di Aleppo?

R. - Sono gruppi islamici estremisti. Da una parte c’è questo Daesh che porta avanti una guerra in nome della sharia. Inoltre ci sono mercenari ben pagati per fare questa guerra per interessi regionali e internazionali.

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Turismo in crescita, male Nord Africa, boom Europa del Sud

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Si spostano i grandi flussi turistici internazionali. I Paesi del Nord Africa, a causa del terrorismo, perdono un ulteriore 8% di turisti rispetto all’anno passato. Ottimi i risultati per l’Europa del Sud: la Grecia quest’anno supererà i 25 milioni di visitatori, in Portogallo e in Spagna sono previste crescite di oltre il 10%. Il servizio di Eugenio Murrali

Nonostante i problemi di sicurezza che affliggono molte mete di viaggio, l’Organizzazione mondiale del turismo (Omt) ha registrato per i primi mesi del 2016 una crescita dei flussi del 4,5%. Ma il turismo cambia volto e soprattutto cambia le destinazioni, complici i prezzi concorrenziali di alcune nazioni e, in particolare, la paura del terrorismo. E’ così che si spiega l’ulteriore calo di turisti in tutto il Nord Africa, con il caso emblematico dell’Egitto, che possiede infrastrutture per accogliere 25 milioni di visitatori, ma quest’anno ne vedrà meno della metà. Grandi crescite invece per i Paesi dell’Europa del Sud. Secondo i dati della Confederazione nazionale del turismo, la Grecia fa un balzo che le permette di prevedere un 20% degli incassi in più, circa 800 milioni di euro. In Portogallo, lo dice l’osservatorio francese Snav-Atout, le prenotazioni sono aumentate del 12%. In Spagna, il numero di visitatori supererà probabilmente i 70 milioni. Ma in questi stessi Paesi gli albergatori lamentano la nascita di un turismo low cost che non porterebbe a grandi ricavi. E per l’Italia il presidente di Federturismo Gianfranco Battisti ha dichiarato che questa è un’estate in crescita, con un incremento di circa il 10% grazie ai flussi internazionali, ma anche ai 20 milioni di italiani che hanno deciso di restare in patria.

Sulle ragioni e gli effetti di questo spostamento dei flussi, abbiamo sentito Giacomo Vaciago, docente dell'Università Cattolica di Milano: 

R. – Chi già vive in questi Paesi va anche per motivi di sicurezza il più vicino possibile. Aumentano gli italiani in Grecia, in Spagna, mentre una volta andavano in Thailandia, alle Seychelles. Quindi, c’è un intreccio più stretto nei flussi turistici tra Paesi limitrofi.

D. – Sono usciti i dati sul Pil e l’Italia la Grecia, l’Estonia portano la "maglia nera". Però per esempio, proprio in Grecia e in Italia, c’è una forte crescita del turismo. Questo può avere un effetto positivo o è soltanto una bolla di sapone?

R. – No, no. Ha avuto l’effetto di compensare, in parte, la caduta che ancora c’è nella produzione industriale. Se analizziamo i settori dei Paesi che non hanno avuto buoni risultati nel secondo trimestre del 2016, vediamo un calo dell’industria e una crescita di agricoltura e servizi. Il turismo rientra nei servizi, ovviamente. È solo indirettamente, nella misura in cui sono in grado di apprezzare i nostri prodotti manifatturieri, che poi i turisti, una volta tornati a casa, compreranno Made in Italy anche da loro. Però questo effetto è modesto. Per fortuna questo è il dato del secondo trimestre. Mi aspetto che i dati del terzo trimestre siano ancora più forti, perché rifletteranno a pieno gli effetti negativi del referendum inglese del 23 giugno scorso. Lì vedremo di nuovo una produzione industriale che soffre, un calo delle esportazioni sull’Inghilterra e altri settori che invece tengono. La svalutazione della sterlina però rende l’Inghilterra competitiva anche sul piano dell’afflusso turistico e questo può, in parte, ridurre i nostri successi in questi mesi.

D. – Tra le attività economiche il turismo è anche una delle più vulnerabili...

R. – Il turismo ha fondamentali che corrispondono all’integrale delle bellezze naturali e culturali di un Paese. Dopodiché, da un anno all’altro la convenienza ad andare in un altro Paese o a restare a casa propria, dipende dalla contingenza, dal terrorismo, che è un rischio non facilmente quantificabile, perché presente in troppi Paesi. Il problema vero è che i flussi sono governati da grandi macchine, quindi da questo punto di vista si parla di industria del turismo, esattamente come di industria metalmeccanica, di aviazione. Allora è fondamentale che l’Italia sia ben tenuta presente in queste grandi macchine che muovono milioni di persone, che l’immagine che diamo del nostro Paese, di serietà, di efficienza, sia tale da attirare il turista tranquillo e che la valorizzazione dei nostri beni culturali sia sempre all’altezza.

D. – C’è un caso simbolo in Nord Africa per quanto riguarda il calo del turismo ed è l’Egitto. Che ripercussioni avrà questa situazione sul Nord Africa che, evidentemente a causa dell’instabilità politica e del terrorismo, sta subendo forse il danno maggiore?

R. – Questo è proprio l’obiettivo del terrorismo stesso: slegare questi Paesi dalla rete di interessi economici, sociali e culturali che si era creata nel tempo. Dalla frettolosa visita alle piramidi a una più lunga permanenza: stanno cancellando il turismo in Egitto.

D. – C’è poi il caso della Turchia...

R. – La Turchia era un Paese dove un regime autoritario garantiva sicurezza e tranquillità. Quindi era entrato nella domanda turistica in modo abbastanza significativo. Detto questo, non è il momento per decidere di andare a visitare Istanbul.

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Libia: dopo la riconquista di Sirte, il governo cerca unità

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In Libia la riconquista di Sirte, roccaforte dello Stato islamico nel Paese, è ormai nella fase finale. Ieri sono stati cinque i raid sulla città della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, 41 dall’inizio del mese. “I raid aerei non possono sconfiggere l’Is. La lotta deve essere condotta dai libici e realizzata con truppe di terra”, ha detto l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler. Cruciale è ora il ruolo del governo libico di unità nazionale, non riconosciuto da molte delle forze politiche in cui è frammentata la Libia, come spiega Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università cattolica di Milano, al microfono di Michele Raviart

R. – Di certo, è un’ottima notizia la sconfitta delle milizie jihadiste del sedicente Stato islamico, anche se aspettiamo a dire che sia definitiva. In realtà, infatti, l’Is era al tempo stesso una minaccia ma anche il sintomo di un disagio, perché a combattere sotto le insegne nere del Califfato vi erano gruppi che non erano per nulla jihadisti. Vi erano anche gruppi di milizie ex gheddafiane, ostili al nuovo corso. E quindi l’Is in Libia era soprattutto il sintomo di una forte disgregazione statuale. Positivo che sia stato sconfitto a Sirte, ma – attenzione – se non si risolve politicamente la situazione libica, questo disagio può riemergere e quindi vi potranno essere altri focolai di rivolta contro il governo legittimo, che è tuttora debolissimo, non riconosciuto da tutti gli attori. E quindi ci potrà essere una ripresa di forte presenza jihadista nel Paese.

D. – Qual è il futuro nella situazione politica del Paese? E la lotta all’Is poteva essere considerata un collante?

R. – Da un lato, la lotta all’Is era uno dei pochi elementi di convergenza in un Paese davvero frantumato a livello politico, tra rivalità regionali e provinciali, differenze politiche e ideologiche, ambizioni personali… Detto questo, quello che ora è fondamentale è sostenere con forza il governo Al Sarraj, nato per volontà dell’Onu, e soprattutto per il grande impegno diretto dell’Italia. Ed è fondamentale anche cercare di trovare un compromesso con tutte le forze, soprattutto con il generale Haftar, che ancora oggi si rifiutano di riconoscerlo.

D. – L’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, ha detto che la popolarità del governo si sta sgretolando per forti black-out elettrici, svalutazioni della moneta locale, mancanza di avvio dell’economia. Qual è la situazione economica, e per la popolazione civile in questo momento?

R. – La situazione è molto difficile. La Libia era un Paese in verità facile da amministrare, perché, all’indomani della caduta di Gheddafi, aveva tantissima liquidità in cassa, pochi abitanti e un’alta produzione petrolifera. Le incertezze, le lotte continue, la paralisi, hanno causato il progressivo collasso economico e della sicurezza. Per cui, nella vita quotidiana, ai libici spesso interessa poco che il primo ministro si chiami in un modo o in un altro, che sia di una corrente politica o di un’altra, ma vedono il disfacimento economico e soprattutto la mancanza e l’impunità delle bande criminali. È evidente che si può ricominciare solo se tutte le maggiori fazioni si mettono d’accordo nel riconoscere un unico governo.

D. – Quanto è importante il riavvio del ciclo di produzione del petrolio, al quale sono interessati molti dei Paesi importatori, molti dei quali fanno parte della coalizione internazionale che sta sostenendo il governo di unità nazionale?

R. – Senza flusso di petrolio la Libia non vive, non ha liquidità. Ma, oltre al flusso di petrolio, è evidente che è importante anche capire la distribuzione dei proventi derivanti da esso. Bisogna ridurre l’enorme corruzione, la dissipazione di denaro e di risorse fresche. Bisogna far sì che vi sia un centro politico capace di amministrare i proventi del petrolio e di riversarli sulla popolazione, cosa che finora non è successa.

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Forum sociale, Nigrizia: il Nord fermi sfruttamento del Sud

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Prosegue a Montréal, in Canada, il Forum Sociale mondiale che si sta svolgendo sul tema “Un altro mondo è necessario, insieme diventa possibile”. Per la prima volta l’evento, che riunisce associazioni e movimenti provenienti da tutto il mondo, si tiene in un Paese industrializzato. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con padre Efrem Tresoldi, presente al Forum e direttore della rivista comboniana “Nigrizia”: 

R. – La scelta, per la prima volta di una città nel mondo occidentale, è stata decisa per il fatto che molti dei problemi del Sud del mondo hanno le proprie radici qui, nel Nord. Direi in modo anche molto esplicito: il Canada è una delle Nazioni del Nord del mondo che ha grossi investimenti minerari nel Sud, in Africa, in America Latina … Il significato della scelta di Montréal è proprio quello di indicare che la soluzione dei problemi del Sud del mondo deve anche partire da qui, dal Nord del mondo. In una regione dove, appunto, ci sono queste grandi compagnìe che portano avanti lo sfruttamento delle risorse del Sud del mondo, lasciando poco alla gente del posto e inquinando l’ambiente, violando i diritti umani. E quindi il significato è proprio questo: creare una maggiore presa di coscienza nel Nord del mondo riguardo ai tanti problemi e conflitti, anche armati, che avvengono nel Sud del mondo dove le potenze occidentali, ma anche quelle emergenti dell’Asia, portano avanti questo sfruttamento scriteriato, violando anche i diritti ambientali. 

D. – Dunque dal Forum sociale mondiale si eleva questo grido, spesso di dolore e di sofferenza, del Sud del mondo. Ma il Nord del mondo è pronto a un cambio radicale, a un esame di coscienza? 

R. – Non è certamente pronto. Anche se ci sono – e continuano a lavorare – molti movimenti, organismi non governativi impegnati a promuovere questa sensibilizzazione, anche per il fatto che non è soltanto per il bene dei popoli del Sud del mondo che dobbiamo impegnarci. Dobbiamo impegnarci anche per il pianeta stesso che soffre. Quindi, le conseguenze di una economia, indirizzata solamente al profitto e al capitale, sono deleterie per tutti, non soltanto per il Sud del mondo: sappiamo come questa economia basata sulla combustione dei fossili porti veramente al surriscaldamento del pianeta con tutte le conseguenze dei cambiamenti climatici. 

D. – Qual è il bilancio a 15 anni dal primo Forum che si è tenuto nel 2001 in Brasile a Porto Alegre? 

R. – Il bilancio di questi 15 anni, dal primo World Social Forum in Brasile, è che questo mondo nuovo, questo altro mondo è possibile. Ma è necessario solo se lavoriamo insieme: questa è un po’ la parola chiave. E' questo “insieme”. Si deve, cioè, cercare di metterci in rete con tante altre organizzazioni che lavorano con lo stesso intento, al di là delle diversità di fede o di credenze. Si deve essere uniti dallo stesso ideale di un’economia sostenibile dal punto di vista dei diritti umani. Un'economia sostenibile ed equa anche per quanto riguarda le risorse della Terra. Quindi, questo “insieme” diventa un po’ un richiamo ad una maggiore collaborazione e cooperazione tra vari enti e organizzazioni impegnati per la giustizia sociale e ambientale.

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Da Sirte minacce all’Italia: piano di sicurezza per Ferragosto

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Nella città libica di Sirte, dopo l’operazione militare condotta dalle forze fedeli al governo libico che hanno ripreso il controllo del quartier generale del sedicente Stato islamico, sono stati rinvenuti inquietanti documenti. Sono state trovate, in particolare, le prove di piani per l’invio in Europa, e in particolare in Italia, di miliziani jihadisti. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Decine se non centinaia di miliziani del cosiddetto Stato islamico sono partiti – alcuni in modo legale ma molti sfruttando soprattutto il traffico illegale di migranti – per raggiungere le coste italiane. E‘ quanto emerge da un reportage del quotidiano “Il Corriere della Sera” in cui si precisa che sono stati trovati quaderni con istruzioni per la costruzione di esplosivi rudimentali. Anche sui muri di Sirte compaiono preoccupanti scritte. Una, nei pressi del porto, è un monito minaccioso: “Da qui – si legge - approderemo a Roma”. Sarebbero anche stati individuati numerosi riferimenti all’Italia, soprattutto su elementi libici, tunisini e sudanesi che si troverebbero nella zona del milanese. 

Elevato il livello di sicurezza nei porti italiani
In Italia, intanto, è stato innalzato il livello di sicurezza nei porti. Si tratta di una decisione – ha detto il capo della Polizia, Franco Gabrielli – non legata alla “situazione in Libia” ma “al contesto complessivo”. Le nuove disposizioni prevedono maggiori controlli ai varchi portuali, una percentuale più alta di veicoli e passeggeri controllati, un monitoraggio più accurato di tutte le aree degli scali. Ogni porto deve anche adeguare i propri piani di sicurezza, già adottati da tempo e diversi per ogni scalo, alle nuove disposizioni. L’intelligence, nelle scorse settimane, aveva avvisato che in agosto sarebbe aumentato il rischio di attentati in Italia.

Ferragosto, a Roma scatta il piano per la sicurezza
A questo provvedimento, che riguarda i porti, si affiancano anche specifici piani di sicurezza per il periodo di Ferragosto, come quello predisposto nella zona di Roma. Ce ne parla, al microfono di Arianne Ghersi, la responsabile dell’Ordine Pubblico presso il Gabinetto della questura di Roma, Flaminia Canevelli:

R. – Un ponte come quello di Ferragosto vedrà sicuramente uno svuotamento della città di Roma, con una preferenza da parte dei romani verso destinazioni del litorale laziale. Quindi le spiagge in particolar modo, ma anche i siti di interesse turistico o religioso, come il Colosseo e il Vaticano. Tutto il dispositivo di sicurezza, quindi, è stato rimodulato per rispondere a questa specifica esigenza. Abbiamo, dunque, previsto forte visibilità, che ha il senso di essere, da una parte, una presenza e un riferimento per i cittadini e, dall’altra, un deterrente per il compimento di atti illeciti. In questo contesto di rinforzo della presenza sul territorio abbiamo impiegato anche tutti i nostri reparti speciali. Parliamo, quindi, dei cani antisabotaggio, dei nostri artificieri e anche delle unità antidroga e - in particolare sulle arterie che conducono alle località balneari - c’è una forte intensificazione dei servizi con le pattuglie della stradale, del controllo del territorio, la polizia di Stato, i Carabinieri e la Finanza. Un ulteriore dispositivo che abbiamo introdotto è la vigilanza aerea. Nei tre giorni del ponte di Ferragosto tutto il litorale, ma anche la capitale, saranno sorvolati da elicotteri della polizia di Stato e dell’arma dei Carabinieri, che hanno la possibilità di riprendere in diretta quello che sta succedendo per poter prevenire situazioni di pericolo o reprimere evidentemente e gestire situazioni di possibile emergenza.

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Rio, Olimpiadi vissute dai carioca tra festa e distrazione

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A Rio de Janeiro sono entrate nel vivo, con l'inizio delle gare di atletica, le prime Olimpiadi della storia ospitate in uno Stato sudamericano. Il Paese è in questi giorni al centro dell’attenzione mediatica non solo per i record e i traguardi sportivi raggiunti nelle diverse discipline, ma anche per il contesto sociale che emerge – tra luci e ombre – dallo sfondo dei Giochi. Con quale spirito Rio sta accogliendo queste Olimpiadi? Luca Collodi lo ha chiesto a Massimiliano Castellani, inviato di “Avvenire” nella città carioca: 

R. – La città è distratta. Il carioca, soprattutto, guarda con molta più attenzione le partite del Brasile piuttosto che le altre discipline. Si infiamma chiaramente quando arrivano medaglie insperate. Abbiamo visto scene di euforia, però sempre abbastanza contenute. Questo è un popolo che vive principalmente per la sua passione, per il famoso “football bailado”. Quindi l’Olimpiade viene vista come una festa in cui accogliere il mondo, piuttosto che essere vissuta da veri padroni di casa.

D. – Gli investimenti sostenuti dalla città di Rio e dal governo brasiliano per le Olimpiadi stanno portando vantaggi alle favelas, alle periferie della grande metropoli brasiliana?

R. – Tranne la Barra - che è quasi un’isola dove prima c’era soltanto vegetazione e adesso sorgono impianti e grandi quartieri residenziali - non c’è stato questo impatto. E anche questo è uno dei motivi della protesta popolare che sta crescendo e che potrebbe diventare molto pericolosa alla fine dei Giochi. Rio e il Brasile tutto, alla fine di questo mese di agosto, ma probabilmente dopo le Paralimpiadi di settembre, si troverà a fare i conti. E saranno dei conti probabilmente pesanti, come è successo un po’ in tutte le edizioni olimpiche degli ultimi 50 anni. Tra le eccezioni ci sono Atlanta, che andò in pareggio grazie alla sponsorizzazione della Coca-Cola, e Londra che ha organizzato invece delle Olimpiadi molto razionali.

D. – I brasiliani stanno riempiendo gli stadi e i luoghi dove si disputano le Olimpiadi?

R. – Si vedono dei vuoti un po’ preoccupanti. All’inizio dell’atletica ad esempio è stata scattata un’immagine di uno stadio completamente vuoto e ci sono spazi un po’ in tutti gli impianti. Questo è il risultato anche di una crisi economica molto forte che sta vivendo il Paese, oltre ad una grande tensione politica. Il governo di Temer è molto contestato e addirittura c’è stata, da parte del Cio, la disponibilità verso i brasiliani per poter anche contestare e mettere striscioni all’interno degli impianti. E questo la dice lunga sul momento difficile, anche un po’ caotico, che sta vivendo il Paese durante le Olimpiadi.

D. – Le Olimpiadi sono anche un’occasione per discipline che non sono conosciute, i cosiddetti sport amatoriali. E forse questo resta uno degli elementi interessanti che le Olimpiadi possono e hanno ancora la forza di porre all’attenzione dell’opinione pubblica…

R. – Nel mondo, ormai regolato dal business e dai risultati a tutti i costi, è chiaro che c’è bisogno di questi momenti di visibilità per poter mantenere appunto delle discipline, che nei tre, quattro anni di preparazione all’evento successivo, spesso soffrono. Soffrono non solo di mancanza di visibilità, ma soprattutto di sostentamenti necessari per portare avanti un movimento.

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RefettoRIO, mensa per i poveri delle favelas durante le Olimpiadi

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Si chiama RefettoRìo il progetto solidale promosso dall’associazione Food for Soul, in collaborazione con l’organizzazione no-profit Gastromotiva di David Hertz e sostenuto dal Ministero delle politiche agricole e dal sindaco di Rio de Janeiro. L’iniziativa mira a recuperare e trasformare in pasti il cibo in surplus del villaggio olimpico, da distribuire a beneficio delle persone in difficoltà delle favelas brasiliane. Salvatore Tropea ha intervistato lo chef Massimo Bottura, fondatore di Food for Soul e promotore dell’iniziativa: 

R. – Tutto nasce dal primo Angelus di Papa Francesco, quando sento: “Buona domenica! Buon pranzo a tutti!”. Tre parole così semplici, ma così piene di significato, per un cuoco come me, che ha avuto tutto dalla vita. È un momento nel quale attraverso la cultura, la coscienza e il senso di responsabilità, abbiamo deciso di rispondere all’Expo, alla domanda “Nutrire il Pianeta. Combattere lo spreco”. 800 milioni di persone sono malnutrite e 1,4 bilioni sono in sovrappeso. Quindi noi dobbiamo dare l’esempio: che siamo italiani e siamo sotto i riflettori. Andiamo a combattere lo spreco; 1,3 bilioni di tonnellate di cibo sono sprecate ogni anno: tra un terzo e un quarto della produzione mondiale. E questa non è una cosa accettabile nel 2016! E allora, sono i grandi cuochi coloro che devono rispondere per primi, le persone che possono dare l’esempio, che devono entrare nella mentalità dei nostri nonni e nonne e andare a non sprecare più niente, andare a recuperare anche le briciole di pane per creare dei piatti straordinari. È quello che stiamo facendo con i Frati all’Antoniano, che abbiamo fatto all’Expo, e che faremo in giro per il mondo. Daremo l’esempio a Rio, perché le Olimpiadi sono un amplificatore per questo progetto. Questo non è un progetto di “charity”, ma un progetto culturale: è completamente diverso. A Milano, infatti, abbiamo capito che attraverso il nostro refettorio, abbiamo ricostruito la dignità delle persone, perché non di solo pane si nutre l’uomo, no? È proprio la bellezza, il fare sistema con la gente che ha la visione: l’arte, il design, l’architettura… Ci mettiamo tutti insieme ad altissimo livello. Qui, nella sala principale, c’è una “Ultima Cena” di Vik Muniz dipinta con il cioccolato: l’idea è quella di fare propria la storia di Leonardo per poi ridipingere con il cioccolato e rendere quindi l’opera locale attraverso un cervello contemporaneo. Questo è l’esempio di un artista, un cuoco, un architetto, e un designer contemporaneo.

D. – Quali le peculiarità e i dettagli del progetto di Rio?

R. – Qui abbiamo trovato Gastromotiva, un’associazione culturale che aiuta le donne ad uscire dalla povertà attraverso la cultura, insegnando loro un mestiere. E quindi ci sono i volontari che arrivano dalle favelas e che sperano di imparare il mestiere di cuoco per avere così un futuro migliore. Credo che sia molto importante farsi un esame di coscienza. Soprattutto in un momento come questo, tutti i funzionari devono capire che devono mettere da parte il proprio ego per poter mettere in primo piano il progetto e la sua funzionalità. A Torino stiamo ancora aspettando una risposta: Ugo Alciati sarebbe pronto ad aprire un refettorio a Torino, ma nessuno ci dà una risposta. Così come a Palermo.

D. – Quante persone si pensa di poter aiutare in questo periodo dei Giochi?

R. – Tantissime. Qui ieri sera, al terzo giorno di servizio, erano tutti fuori in fila, e c’erano le famiglie. È stato toccante! E poi c’erano tanti viados, che dopo ritornano per strada. E allora ci siamo fermati per strada a parlare con loro; abbiamo chiesto a questi ragazzi di venire a darci una mano, così magari – abbiamo pensato – potevano riuscire a trovare un modo per fare qualcosa di diverso rispetto al vendere il proprio corpo. Certo – lo capisco – è molto difficile, anche per via della mentalità… Però, se nessuno ci prova… E invece così magari si trova una soluzione. Bisogna provare nella vita! Bisogna andare a vedere, cercare di cambiare le cose, avere un sogno. Se nessuno sogna più, non andiamo da nessuna parte, non ci evolviamo!

D. – Quali aiuti avete ricevuto dalle autorità locali?

R. – Il sindaco di Rio de Janeiro ci ha donato questo spazio, perché è un appassionato di cucina. E allora, insieme a un grandissimo architetto di San Paolo, e insieme a tutta la gente e alla cultura locale – Caetano Veloso, Vik Muniz, Paz – tutta la cultura locale ha partecipato e continua a partecipare a questo progetto. Sono qua e ci stanno dando un sostegno incredibile. Pensate che abbiamo messo insieme tutto questo in 55 giorni.

D. – L’obiettivo è anche quello di estendere un’iniziativa simile in altre città e Paesi?

R. – Sì, assolutamente. Già il sindaco di Montréal ci ha dato uno spazio sul mercato di “Little Italy” – meraviglioso tra l’altro! – e quindi nel 2017 apriremo qui. Così come a Los Angeles. E il sogno sarebbe andare nel Bronx. Perché sono soprattutto il Canada, gli Stati Uniti – il Nord del mondo – che danno l’esempio. In tal modo, facciamo vedere e inculchiamo questo tipo di mentalità là dove si consuma e si spreca tanto. Potrebbe essere un punto decisivo. Ma l’importante è trovare dei partner locali per far vivere queste realtà nella quotidianità; come abbiamo trovato Gastromotiva qui a Rio.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XX T.O.

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Nella 20.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai discepoli di essere venuto a portare il fuoco sulla terra e vorrebbe che fosse già acceso. Poi aggiunge:

“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Pensate che sia venuto a portare pace sulla terra? No io vi dico, ma divisione”. Sembra il programma minaccioso di un politico estremista, mentre sono parole rivolteci oggi da Gesù che sorprendono solo chi conosce superficialmente il suo Vangelo. Egli offre il fuoco del suo Amore, tenace fino ad essere immerso in un abisso di sofferenze, un battesimo di dolore, per perdonarci e liberarci dai nostri peccati. Cristo e l’umanità hanno lo stesso nemico e quando il Signore si manifesta per difenderci si rivela anche il suo e nostro avversario, con divisioni, critiche e incomprensioni per ostacolarlo. Tutto ciò lo permette, provvidenzialmente, la Misericordia, per brillare in tutto il suo splendore attraverso la pazienza e il perdono e attrarre alla salvezza ogni persona. Per questo, quando un familiare aderisce a Cristo e torna nella Chiesa, sotto lo stesso tetto qualcuno può reagire male; se arriva una nuova gravidanza in casa, talvolta, la nonna s’inquieta e rimprovera; giunge una nuova realtà ecclesiale in parrocchia c’è chi, a volte, arriccia il naso e critica; un giovane sceglie la castità nel fidanzamento trova chi lo deride. La Pace di Cristo abita nel cuore paziente di chi perdona l’ostilità e non tanto sulle labbra di chi annuncia pace, per avere stima dagli uomini, ma Pace non c’è.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq, ordinati tre nuovi sacerdoti in un campo profughi di Erbil

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A due anni dalla cacciata di migliaia di famiglie cristiane da Qaraqosh, centro della piana di Ninive nel nord dell’Iraq, tre giovani originari della città hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale in un campo profughi di Erbil, nel Kurdistan irakeno. I tre neo sacerdoti sono padre Roni Salim Momika, padre Emad e padre Petros e appartengono alla comunità siro-cattolica.

Rito di ordinazione in un campo profughi
Almeno 1.500 persone – riferisce l’agenzia AsiaNews – hanno assistito alla cerimonia di ordinazione sacerdotale, svoltasi il 5 agosto in una Chiesa realizzata all’interno di un prefabbricato, situato nel campo profughi "Aishty 2", alla periferia di Erbil. Il campo ospita circa 5.500 persone fuggite nell’estate del 2014 dalla piana di Ninive, a seguito dell’avanzata delle milizie del così detto Stato islamico. A presiedere il rito è stato l’arcivescovo Yohanno Petros Moshe, capo della Chiesa siro-ortodossa di Mosul, Kirkuk e del Kurdistan irakeno.

Due anni fa, la cacciata dei cristiani dalla piana di Ninive
“Finora, questo giorno era legato a brutti ricordi perché, proprio nella notte fra il 5 e il 6 agosto 2014, lo Stato islamico – ricorda padre Momika – ha fatto il suo ingresso a Qaraqosh e siamo diventati a tutti gli effetti dei rifugiati. Ora però la nostra ordinazione ha trasformato una giornata di lutto in una giornata di festa, dando nuova speranza a tutto il nostro popolo”.

Portare Cristo alla gente per dare forza e coraggio
Dopo la chiusura forzata del Seminario di Qaraqosh, all’indomani dell’attacco degli estremisti islamici, padre Momika si è trasferito al seminario di Al-Sharfa, in Libano, dove ha potuto concludere i suoi studi. Il 19 marzo scorso, quindi, rientrato in Iraq per l’ordinazione diaconale. Ora, spera di poter continuare la sua missione proprio accanto ai profughi, perché – conclude – il suo ruolo è quello di “portare Cristo alla gente” e infondere “forza, fiducia e coraggio” alla popolazione. (I.P. _ AsiaNews)

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Africa australe. Vescovi: la tratta, fenomeno allarmante

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Un impegno concreto e una collaborazione attiva per lottare contro il traffico di esseri umani: è quanto auspicano i vescovi dell’Africa australe, riunitisi nei giorni scorsi a Maputo, in Mozambico, in occasione della prima Conferenza delle Chiese cattoliche della regione dedicata al tema della tratta. Al termine dei lavori, i presuli hanno lanciato un appello anche a tutta la società, affinché si attivi per debellare questo drammatico fenomeno che non colpisce solo l’Africa, ma tutto il mondo.

Allarme per traffico illecito di organi
“Compito della Chiesa – ha detto mons. Francisco Chimoio, presidente della Conferenza episcopale del Mozambico – è essere al servizio della vita e della dignità umana nella persona di Gesù Cristo”. Gli ha fatto eco mons. mons. Adriano Langa, presidente della Commissione episcopale per i migranti, i rifugiati e gli sfollati del Mozambico (Cemirde), affinché “ognuno faccia la sua parte”, riflettendo anche su “le nuove forme del traffico di esseri umani divenuto, ormai, un fenomeno transnazionale”. Proprio recentemente, tra l’altro, la Cemirde ha condotto uno studio riguardante il traffico illecito di organi estratti da migranti, rifugiati e sfollati, nella regione meridionale del Mozambico.

L’importanza di lavorare in sinergia
Alla Conferenza hanno preso parte rappresentanti ecclesiali di Sud Africa, Swaziland, Tanzania, Zambia, Zimbabwe e Mozambico, come pure esponenti delle istituzioni governative, delle ong e della società civile. Oltre alla Chiesa cattolica del Mozambico, il convegno è stato organizzato dalla Rete sudafricana contro la tratta e gli abusi sui minori, con il sostegno del Cafod, l’agenzia caritativa cattolica con sede in Inghilterra. La sua rappresentante, Clare Dixon, ha ribadito l’importanza di lavorare in sinergia per combattere la tratta: “Sosteniamo la lotta contro questo flagello in tutto il mondo – ha concluso – ma ogni Paese deve lavorare duramente per affrontare questo fenomeno che sta raggiungendo, ormai, proporzioni allarmanti”. (I.P.)

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Vescovi Pakistan: riscoprire la tolleranza e tutelare le minoranze

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I cittadini non musulmani “hanno giocato un ruolo vitale nella formazione del Pakistan”, non solo perché “hanno dato la vita per la libertà, ma anche perché continuano a lottare per la costruzione della nazione. Per questo le loro preoccupazioni devono essere affrontate dal governo”. Lo ha detto, in questi giorni, mons. Joseph Arshad, vescovo di Faisalabd e presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace, durante la celebrazione della Giornata nazionale pakistana per le minoranze.

Giornata istituita nel 2009 da Shahbaz Bhatti
Nel 2009, spiega l’agenzia AsiaNews, grazie all’opera del compianto Shahbaz Bhatti, allora ministro per le Minoranze, il governo pakistano decise di istituire la Giornata delle minoranze per onorare il servizio e il sacrificio resi alla nazione dalle comunità indù, cristiane e sikh.

Intolleranza religiosa crea disperazione
“Sappiamo che il Pakistan sta attraversando una fase difficile della sua storia", ha aggiunto mons. Arshad. "L'’intolleranza religiosa e le disattenzioni politiche nella società hanno creato un senso di disperazione fra la gente”. Di qui, il suo appello affinché le minoranze siano “inserite a tutti gli effetti nel complesso della società”.

Messaggio dell’arcivescovo di Lahore
Anche mons. Sebastian Shah, arcivescovo di Lahore, è intervenuto sul tema attraverso un messaggio pubblicato sulla rivista diocesana. Nel suo scritto, il presule ha ricordato che il fondatore del Pakistan, Mohammad Ali Jinnah, “assicurò ai leader cristiani che ogni persona, nel Paese, avrebbe avuto una vita libera secondo la propria religione”. In quest’ottica, mons. Shah ha esortato quindi a riflettere su “quale direzione stia prendendo la nazione pakistana”. (I.P. – Asianews)

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Etiopia. Paese in crisi, appello dei vescovi al dialogo

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Sono momenti drammatici per l’Etiopia: il Paese, infatti, deve affrontare una grave crisi umanitaria dovuta alla siccità, e un forte crisi politica causata da numerose proteste della popolazione Oromo, represse nel sangue dalle Forze dell’ordine. Non si conosce con sicurezza il numero delle vittime, ma oltre 50 manifestanti sono stati uccisi nei giorni scorsi, mentre sarebbero centinaia le persone arrestate.

Le origini della crisi
Alle origini delle proteste, il piano di sviluppo dell’area di Addis Abeba, annunciato nel novembre 2015 dalle autorità locali. Si tratta di un progetto che prevede l'espropriazione di parte delle terre degli Oromo, etnia vittima di discriminazione nel Paese. Attualmente, il governo ha bloccato il piano di sviluppo previsto, ma la protesta degli Oromo prosegue, per denunciare l'emarginazione e l'esclusione dalla vita economica e politica etiope.

Promuovere la pace e lo sviluppo
Di fronte a tale drammatico scenario, i vescovi cattolici del Paese lanciano un forte appello al dialogo ed alla pace tra tutte le parti in causa. In una dichiarazione presentata ai media dal card. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, presidente della Conferenza episcopale etiope ed eritrea, i presuli sottolineano, innanzitutto, che l’Etiopia è un Paese con una lunga storia di convivenza “rispettosa e pacifica”, un aspetto che va “mantenuto e incoraggiato”, di fronte al caos che rappresenta “un ostacolo alla crescita ed allo sviluppo del Paese”. “L’Etiopia è su una strada consolidata verso lo sviluppo – sottolinea il card. Souraphiel – Bisogna continuare a impegnarsi per continuare questo percorso, così da cambiare la storia di povertà del Paese e mantenere una crescita economica costante”.

Cooperare alla costruzione di una società senza odio
Esprimendo, poi, cordoglio per le vittime degli scontri e vicinanza alle loro famiglie, il porporato chiede “a tutte le parti in causa di cooperare nella costruzione di una società libera dall’odio, anche per le generazioni future”. Di qui, l’invito del porporato a tutte le persone di buona volontà, affinché diventino “strumenti di pace”, mentre i fedeli, i sacerdoti, i religiosi ed i vescovi del Paese vengono esortati a “pregare per la pace, soprattutto in occasione della solennità dell’Assunzione della Vergine Maria”.

Appello ai giovani: lavorare per il bene dell’Etiopia 
Infine, il card. Souraphiel si rivolge ai giovani, appellandosi al loro sentimento patriottico: “Cari giovani – dice – ci auguriamo che riceviate da noi un’Etiopia sviluppata e pacifica e non un Paese in pieno caos. Vi invitiamo a ricordare che voi avete il diritto e il dovere di prendere in consegna una nazione di pace e di speranza, così da portarla al pieno sviluppo”. E questo, conclude il porporato, è un obiettivo per il quale “bisogna lavorare”. (I.P.)

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El Salvador: Giubileo per i 100 anni dalla nascita di mons. Romero

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“La Chiesa salvadoregna proclama ufficialmente, in occasione del centenario della nascita del Beato Oscar Romero, che ricorrerà nel 2017, un Anno giubilare che inizierà il prossimo 15 agosto, con una Santa Messa nella Cattedrale Metropolitana”. Questo l’annuncio dell’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, di fronte a una folla di migliaia di fedeli radunati davanti alla cattedrale dove sono custodite le spoglie del presule. Mons. Escobar, presidente della Conferenza episcopale salvadoregna, ha scelto il 6 agosto, solennità della Trasfigurazione del Signore e chiusura delle Feste patronali del Divino Salvatore del Mondo, per invitare i fedeli a vivere con fiducia e devozione quest’anno di grazia e riconciliazione con il Signore.

Anno giubilare in attesa della canonizzazione del beato Romero
Durante il suo discorso, mons. Escobar ha suscitato una grande ovazione quando ha espresso il desiderio di tutti: “Speriamo che per la fine del Anno Giubilare, mons. Romero sia già stato dichiarato Santo”. Infatti, la Causa di canonizzazione di mons. Romero, il primo Beato salvadoregno, è già stata aperta a Roma, in attesa dell’approvazione di un miracolo compiuto per sua intercessione. Il Beato Romero nacque il 15 agosto 1917, solennità dell’Assunzione, nella Città Barrios, di El Salvador. Spese la sua vita come pastore zelante del suo gregge, difensore dei poveri e coraggioso combattente contro ogni abuso dei diritti umani, in particolare durante il conflitto armato. Fu assassinato il 24 marzo 1980 ed è stato dichiarato martire e beatificato il 23 maggio 2015.

Processioni e pellegrinaggi per il centenario
Diverse associazioni ed istituzioni parteciperanno alla commemorazione del centenario della nascita del Beato. L’Associazione "Cultura Romeriana" ha organizzato un pellegrinaggio a Citta Barrios, luogo natale del Beato, che partirà domenica 14 agosto, vigilia della sua nascita, dalla cattedrale di San Salvador. Il “Comitato nazionale Mons. Romero” ha convocato una giornata di solidarietà per sabato 13 agosto, con i pazienti dell’Ospedale Divina Provvidenza, nella cui cappella fu assassinato mons. Romero mentre celebrava la Santa Messa. Contemporaneamente, inizierà una campagna dei medici della Associazione "Fosalud", che offriranno visite gratuite alle persone bisognose. Anche le comunità salvadoregne in diverse città del mondo celebreranno il centenario con diverse iniziative ecclesiali e civili.  (A cura di Alina Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 226

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.