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Sommario del 17/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: il cuore cristiano sa muoversi a compassione

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Compito dei discepoli di Gesù è essere “al servizio della vita e della comunione”, avendo un cuore capace di commuoversi per i bisogni umani. Alla catechesi dell’udienza generale tenuta in Aula Paolo VI, Papa Francesco ha commentato il Vangelo della moltiplicazione dei pani, spiegando che Cristo vuole sempre “coinvolgere” i suoi discepoli nella testimonianza della misericordia. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Il Maestro della misericordia e gli allievi della compassione. Si può leggere in sostanza così l’episodio della moltiplicazione dei pani sul quale il Papa basa la sua catechesi. Come sempre, Francesco fa rivivere la scena del Vangelo mettendo sotto la lente anzitutto il comportamento di Gesù, che vorrebbe appartarsi in preghiera ma poi si fa prendere dalla “compassione” nel vedere la folla che lo tallona a piedi dalla riva del lago che Lui sta percorrendo in barca:

“Gesù non è freddo, non ha un cuore freddo. Gesù è capace di commuoversi. Da una parte, Egli si sente legato a questa folla e non vuole che vada via. Dall’altra, ha bisogno di momenti di solitudine, di preghiera, con il Padre. Tante volte fa la notte pregando con suo Padre (...) La sua compassione non è un vago sentimento: mostra invece tutta la forza della sua volontà di stare vicino a noi e di salvarci. Ci ama tanto. Tanto ci ama, Gesù. E vuole essere vicino a noi”.

Partecipi della compassioni
Primo, una compassione che diventa concreta, smuove mani e cuore, e che in quel frangente del Vangelo si traduce nel dar da mangiare alle migliaia di persone che stanno seguendo il loro Rabbi. Secondo, il coinvolgimento. Gesù – spiega il Papa – vuole prendersi cura di chi lo segue ma insieme ai suoi discepoli:

“E’ un miracolo che Lui fa, ma è il miracolo della fede, della preghiera con la compassione e l’amore. Così Gesù ‘spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. Prendevano un pane, lo spezzavano, lo davano e il pane ancora c’era lì. Prendevano un’altra volta e così hanno fatto i discepoli. Il Signore va incontro alle necessità degli uomini, ma vuole rendere ognuno di noi concretamente partecipe della sua compassione”.

Dentro la vita con misericordia
Terzo punto su cui Francesco attira l’attenzione è la benedizione che Gesù dà ai pani e ai pesci prima che siano distribuiti alla gente. Gli stessi gesti, nota, “che ogni sacerdote compie” quando celebra l’Eucaristia”. E la comunità cristiana rinascendo “continuamente da questa comunione eucaristica”, conclude Francesco, è chiamata a essere ovunque – in famiglia, al lavoro, in parrocchia, “al servizio della vita e della comunione”:

“Vivere la comunione con Cristo è perciò tutt’altro che rimanere passivi ed estraniarsi dalla vita quotidiana, al contrario, sempre più ci inserisce nella relazione con gli uomini e le donne del nostro tempo, per offrire loro il segno concreto della misericordia e dell’attenzione di Cristo (...) Gesù vuole raggiungere tutti, per portare a tutti l’amore di Dio. Per questo rende ogni credente servitore della misericordia”.

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Vescovo Dallas prefetto Dicastero laici e famiglia. Paglia all'Accademia Vita

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Oggi è stato pubblicato il Motu Proprio del Papa che istituisce il nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Francesco ha nominato prefetto del nuovo organismo mons. Kevin Joseph Farrell, finora vescovo della Diocesi statunitense di Dallas, e mons. Vincenzo Paglia presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia. Ce ne parla Sergio Centofanti

Il nuovo Dicastero – afferma il Motu Proprio di Papa Francesco "Sedula Mater" ("Madre premurosa"), pubblicato oggi - assumerà dal prossimo primo settembre competenze e funzioni finora appartenuti al Pontificio Consiglio per i Laici e al Pontificio Consiglio per la Famiglia che cesseranno di esistere.

Si tratta – scrive il Papa – di conformare i Dicasteri della Curia Romana “alle situazioni del nostro tempo” adattandoli “alle necessità della Chiesa universale”. In particolare – sottolinea – si vuole “offrire sostegno e aiuto” ai laici, alla famiglia e alla vita “perché siano testimonianza attiva del Vangelo nel nostro tempo e espressione della bontà del Redentore”.

Mons. Kevin Joseph Farrell è nato il 2 settembre 1947 a Dublino, in Irlanda. Entrato nella Congregazione dei Legionari di Cristo nel 1966, è stato ordinato sacerdote il 24 dicembre 1978. Nominato vescovo ausiliare di Washington il 28 dicembre 2001, è stato ordinato l’11 febbraio successivo. Ha svolto gli uffici di Vicario Generale per l’Amministrazione e Moderatore della Curia (dal 2001 ad oggi). Nel 2007 è stato nominato vescovo di Dallas.

“Sono onorato che il Santo Padre abbia scelto me”: così mons. Farrell commenta la sua nomina. “Spero – scrive il presule in una nota pubblicata sul sito diocesano di Dallas – di essere parte dell’importante opera della Chiesa universale nella promozione dell’apostolato dei laici, della pastorale della famiglia e nel sostegno alla vita umana”.

Il Papa ha quindi nominato mons. Vincenzo Paglia - presidente uscente del Pontificio Consiglio per la Famiglia - nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, in deroga all’Art. 6 degli Statuti del medesimo Istituto. Preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, a norma dell’Art. 8 degli Statuti del medesimo Istituto, il Pontefice ha nominato mons. Pierangelo Sequeri, attualmente preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.

Sia la Pontificia Accademia per la Vita che il Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia sono connessi con il nuovo Dicastero, come afferma lo Statuto del nuovo organismo approvato ad experimentum dal Papa nel giugno scorso, in merito alle problematiche di loro competenza.

La deroga all’art. 6 degli Statuti del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II  di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia (1 febbraio 2011), è relativa al fatto che essi prevedono che il Gran Cancelliere della Pontificia Università Lateranense sia anche Gran Cancelliere dell’Istituto su Matrimonio e Famiglia. Quindi, il Gran Cancelliere dell’Università Lateranense, il card. Agostino Vallini, cessa dal primo settembre di essere anche il Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia. 

Mons. Paglia succede alla guida dell'Accademia per la Vita a mons. Ignacio Carrasco de Paula. Mons. Sequeri succede a mons. Livio Molina.

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Papa a mons. Paglia: chinarsi sulle ferite dell'uomo per curarle

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In un Chirografo, Papa Francesco si rivolge a mons. Vincenzo Paglia, indicandogli l’indirizzo generale del suo nuovo compito come presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia.  

“Caro fratello – scrive - in occasione della riforma della Curia Romana, mi è sembrato opportuno che anche le Istituzioni poste al servizio della Santa Sede con l'attività di ricerca e di formazione sui temi relativi al Matrimonio, alla Famiglia e alla Vita, procedano ad un rinnovamento e ad un ulteriore sviluppo per iscrivere la loro azione sempre più chiaramente nell'orizzonte della misericordia”.

“Com’è noto, dal Concilio Ecumenico Vaticano II ad oggi il Magistero della Chiesa su tali temi – scrive il Pontefice - si è sviluppato in maniera ampia ed approfondita. E il recente Sinodo sulla Famiglia, con l'Esortazione Apostolica Amoris laetitia, ne ha ulteriormente allargato e approfondito i contenuti. È mia intenzione che gli Istituti posti sotto la tua guida si impegnino in maniera rinnovata nell'approfondimento e nella diffusione del Magistero, confrontandosi con le sfide della cultura contemporanea. L'ambito di riflessione siano le frontiere; anche nello studio teologico non venga mai meno la prospettiva pastorale e l'attenzione alle ferite dell'umanità”.

Il Papa lo esorta quindi ad occuparsi delle nuove sfide che concernono il valore della vita: “Mi riferisco ai diversi aspetti the riguardano la cura delta dignità della persona umana nelle diverse età dell'esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un'autentica ‘ecologia umana’, che aiuti a ritrovare I'equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l'intero universo”.

A tale scopo – osserva il Papa – è importante “favorire il dialogo cordiale e fattivo con altri Istituti scientifici e Centri accademici, anche in ambito ecumenico o interreligioso, sia di ispirazione cristiana che di altre tradizioni culturali e religiose. Chinarsi sulle ferite dell'uomo, per comprenderle, curarle e guarirle è compito di una Chiesa fiduciosa nella luce e nella forza di Cristo risorto, capace di affrontare anche i luoghi della tensione e del conflitto come un ‘ospedale da campo’, che vive, annuncia e realizza la sua missione di salvezza e di guarigione proprio là dove la vita degli individui a più minacciata dalle nuove culture della competizione e dello scarto”.

Infine, il Pontefice ricorda a mons. Paglia che le due Istituzioni da lui guidate sono collegate col nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: “Alcuni argomenti - spiega - spetteranno al nuovo Dicastero che si occuperà della pastorale sanitaria. Il tuo compito, dunque, dovrà essere svolto in armonia con entrambi i Dicasteri, nel rispetto delle reciproche competenze e nello spirito di mutua collaborazione che guida I'attività degli organismi al servizio della Santa Sede”.

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Il Papa riceve nel pomeriggio il presidente francese Hollande

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Oggi pomeriggio Papa Francesco riceverà nello studio dell’Aula Paolo VI, il Presidente della Repubblica francese, François Hollande. Si tratta di una visita privata. Il capo dell’Eliseo sarà accompagnato tra gli altri dal ministro degli Interni Bernard Cazeneuve e dall’ambasciatore francese presso la Santa Sede Philippe Zeller. Dopo lo scambio dei doni ci sarà l’incontro con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin alla Prima Loggia. 

Dopo l’uccisione dell’anziano sacerdote Jacques Hamel, sgozzato il 26 luglio scorso da due giovani terroristi francesi di origini maghrebine mentre stava celebrando la Messa nella parrocchia di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, Hollande aveva telefonato al Papa per esprimergli la sua vicinanza. Francesco, durante il volo verso la Polonia, lo aveva ringraziato “in modo speciale” per averlo contattato “come un fratello”. “Quando un prete è attaccato – ha detto Hollande - tutta la Francia è colpita”, sottolineando che “sarà fatto tutto il possibile" per proteggere le chiese in Francia.

Papa Francesco aveva già ricevuto Hollande il 24 gennaio 2014. Nel corso dei colloqui – riferiva un comunicato della Sala Stampa vaticana - era stato rilevato “il contributo della religione al bene comune” ed era stato ribadito “il reciproco impegno a mantenere un dialogo regolare tra lo Stato e la Chiesa cattolica e a collaborare costruttivamente nelle questioni di interesse comune. Nel contesto della difesa e della promozione della dignità della persona umana”, si erano passati in rassegna “alcuni argomenti di attualità, quali la famiglia, la bioetica, il rispetto delle comunità religiose e la tutela dei luoghi di culto”. La conversazione era poi proseguita su temi di carattere internazionale, “quali la povertà e lo sviluppo, le migrazioni e l’ambiente”. Ci si era soffermati, in particolare, sui conflitti in Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa, auspicando che, “nei diversi Paesi interessati, la pacifica convivenza sociale possa essere ristabilita attraverso il dialogo e la partecipazione di tutte le componenti della società, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle minoranze etniche e religiose”. A questo proposito, in una conferenza stampa Hollande aveva sottolineato che “la Francia è mobilitata, perché i cristiani rimangano là dove sono sempre vissuti per secoli e perché non prendano la strada dell’esilio. I cristiani d'Oriente devono essere ovunque sostenuti e protetti". 

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Card. Barbarin: stima reciproca vinca clima di sospetto in Francia

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Sul significato della visita del presidente francese in Vaticano per incontrare Papa Francesco e il clima che si respira oggi in Francia, Marie Duhamel ha sentito il cardinale arcivescovo di Lione Philippe Barbarin:

R. - Aussitôt après cette…
Subito dopo quell’orribile assassinio di padre Jacques Hamel, il presidente delle Repubblica ha telefonato al Papa. La conversazione è stata buona, fraterna e commovente. Penso che questa visita sia stata decisa in maniera semplice e che non abbia nulla di ufficiale: per questo si tratta di  una visita privata. Ed è anche un modo per parlarsi di nuovo, dopo un avvenimento così doloroso che ha commosso tutta la Francia. Il presidente della Repubblica ha espresso la propria sofferenza e quella di tutto il nostro Paese di fronte ad un assassinio così ingiusto e rivoltante come quello del 26 luglio a Saint-Etienne-du-Rouvray. Allora è in questo senso – credo – che questa visita ha contemporaneamente senso e tanta semplicità.

D. – Dopo l’uccisione di padre Hamel sente un clima di vendetta?

R. – Pas de désir de vengeance, en disant : «c’est la miséricorde qui doit être victorieuse…
Non c’è alcun desiderio di vendetta; diciamo: “E’ la misericordia che dovrà essere vittoriosa, la pace deve tornare …”, occorre veramente avanzare in questa direzione. Credo si tratti di uno sforzo che dobbiamo fare tutti insieme. Siamo stati tutti colpiti dal numero di musulmani che sono venuti a Messa, la domenica successiva alla morte di padre Hamel. Molti parroci mi hanno detto come i musulmani si sono presentati portando dei doni e che dicevano: “Quando ci rivolgiamo a Dio, quando lo adoriamo e quando ricordiamo la grandezza e la misericordia di Dio, vuole dire che dobbiamo guardarci come fratelli e sorelle. E’ assolutamente inammissibile che continui questa violenza omicida …”. E’ stata un’esperienza veramente nuova, che ha portato grande violenza e grande dolore, ma che poi ha dato luogo a manifestazioni di rispetto fraterno che ancora non conoscevamo.

D. – In Francia c’è ancora il dibattito sul fatto che le donne portino il “Burqini” (costume da bagno disegnato appositamente per le donne di religione musulmana, che copre tutto il corpo fuorché viso, mani e piedi ma sufficientemente leggero da consentire loro di nuotare) in spiaggia o sul finanziamento delle moschee. Non ha l’impressione che la politica debba imparare dalle religioni invece di osservarle con una certa distanza se non con sospetto?

R. – Les textes sont tout à fait clairs, dans la République Française …
I testi sono molto chiari, in realtà: la legge francese parla non solo di rispetto, ma garantisce il libero esercizio di culto, riconoscendo quindi che esso è un aspetto importante nella vita degli uomini, e quindi la legge consente a un ebreo di essere ebreo, a un musulmano di essere musulmano e a un cristiano di essere cristiano, secondo la logica propria e intrinseca della propria fede. Questo dicono i testi di legge. E quindi, in base a questi testi, non dovrà esserci alcun sospetto, anche se nei fatti poi ce n’è parecchio. La forma agghiacciante di certi atti estremamente violenti degli islamisti lasciano tanta paura. Dunque, le norme sono chiare mentre l’atmosfera non è sempre altrettanto chiara e serena; ed è in questa direzione che dobbiamo muoverci insieme. Penso che le cose cambieranno veramente solo quando ci sarà stima reciproca. Quello che veramente ci farà muovere gli uni verso gli altri sarà l’ascolto vicendevole e in questo ascolto vicendevole scopriremo qualcosa che non conoscevamo ancora e da qui nascerà quella stima che ci farà dire: “Ah, se io fossi un cristiano così fervente quanto lui è ebreo fervente o musulmano fervente, questo cambierebbe le cose nella mia vita!”.

D. – Lei pensa che questi incontri individuali possano essere d’insegnamento per quei politici che spesso si pongono soltanto obiettivi a breve termine e spesso solo in merito alla sicurezza?

R. – Les hommes politiques sont des hommes; donc, de toute façon l’enrichissement d’un contact …
Gli uomini politici sono pur sempre uomini e quindi in ogni caso, l’arricchimento che proviene dal contatto umano è grande per loro come per lei e per me, per tutti. Cioè: in quanto politici, essi hanno una responsabilità e questa responsabilità bisogna ragionarla, mettere in opera, darle anche i mezzi, e io trovo che in questo si impegnano. Sfortunatamente, cosa possiamo prevedere quando ti trovi di fronte qualcuno che è pronto a sacrificare la propria vita per ucciderne altre? Questo sarebbe terribile. Non si può pensare e prevedere tutto. Come questi ragazzi che una mattina entrano in una chiesa, dove si svolge la Messa del mattino, in una cittadina della Normandia, uccidono il prete e terrorizzano le povere persone che stanno lì, nella loro semplicità ... Non possiamo far sorvegliare tutti i luoghi nei quali si svolge una Messa mattutina, perché ce ne sono ovunque. Dunque, siamo totalmente travolti da questo. Vorrei personalmente ringraziare i responsabili delle forze dell’ordine perché veramente vegliano sulla nostra sicurezza e fanno tutto quello che possono. Poi, è il cuore dell’uomo che bisogna cambiare. I fondamenti della società dipendono dal cuore dell’uomo; bisogna parlare con i ragazzi, con i loro amici, entrare in un clima di fratellanza, accettare il fatto che “l’altro” sia diverso, avvicinarsi a lui … perché è così che si fa la società …

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Rinuncia e nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Bragança do Pará, presentata per raggiunti limii di età da mons. Luigi Ferrando. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Jesús María Cizaurre Berdonces, degli Agostiniani Recolletti, trasferendolo dalla diocesi di Cametá. Il presule è nato il 6 gennaio 1952 a Valtierra, arcidiocesi di Pamplona y Tudela (Spagna).  Ha compiuto gli studi filosofici presso il Seminario Santa Rita degli Agostiniani Recolletti a San Sebastián (1968-1971) e quelli teologici nel Seminario Buen Consejo e nella Facoltà di Teologia di Granada (1972-1976). Ha emesso la Professione Religiosa nell’Ordine degli Agostiniani Recolletti il 10 settembre 1972 ed è stato ordinato sacerdote il 26 giugno 1976. Come missionario nella prelatura di Marajó ha ricoperto gli incarichi di Vicario parrocchiale a Portal (1977-1978), Parroco ad Afuá (1978-1986),Vicario a Salvaterra (1986-1987), Superiore della Missione e Rettore del Seminario di Soure (1987-1990). Poi è stato Vice-Priore e Formatore della Casa Nossa Senhora da Saúde a São Paulo (1990-1994), Priore, Parroco e Vicario Episcopale a Belém (1994-1997) e Vicario Provinciale dell’Ordine in Brasile (1997-2000). Il 23 febbraio 2000 è stato nominato Vescovo Prelato di Cametá, ricevendo l’ordinazione episcopale il 7 maggio successivo. Con l’elevazione della prelatura a diocesi il 6 febbraio 2013, è stato nominato il suo primo Vescovo diocesano. All’interno del Regionale Norte 2 della Conferenza Episcopale Brasiliana è stato Segretario (2003-2004), Vice-Presidente (2004-2007) e Presidente (2007-2015).

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Papa, tweet: nella croce tocchiamo la misericordia di Dio

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Nella croce possiamo toccare la misericordia di Dio e lasciarci toccare dalla sua stessa misericordia!”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Capaci di compassione: all'udienza generale il Papa parla del miracolo della moltiplicazione dei pani.

Istituito il nuovo dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

La fortuna di averlo incontrato: il direttore ricorda Ettore Bernabei. Con i contributi di Silvia Guidi ed Emilio Ranzato.

Intesa tra Mosca e Teheran sulla Siria.

Più poveri dei genitori: economia e nuove generazioni.

Da Parigi, un articolo di Charles de Pechpeyrou dal titolo "Dal sangue un seme di unità": nel ricordo di don Hamel e di tutte le vittime del terrorismo le celebrazioni in Francia per la solennità dell'Assunta.

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Oggi in Primo Piano



Siria: nuovi equilibri internazionali intorno a Mosca

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Nuove alleanze entrano nella crisi siriana mentre la guerra ad Aleppo non si ferma e anche oggi si contano almeno 30 vittime. E’ ormai sancito il coinvolgimento tecnico e strategico di Teheran, in asse con Mosca grazie alla condivisione della base militare di Hamadan, da cui anche oggi sono partiti aerei russi che hanno ucciso oltre 150 jihadisti nella provincia siriana di Deir El Zor. Ma c’è anche lo spazio aereo messo a diposizione dall’Iraq e l’appoggio della Cina a Damasco, in termini di addestramento e aiuti militari. Su questa nuova geografia del conflitto intorno a Mosca, sentiamo l’analisi di Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali. L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – Mosca sta facendo una partita estremamente intelligente, perché la guerra costa e l'abbassamento sensibile del prezzo del petrolio al barile ha portato Mosca ad avere una crisi economica e una capacità di poter sostenere nel lungo termine alcuni tipi di operazioni che non è più la stessa di alcuni anni fa.Ed è per questo che la Russia si avvicina alla Cina, cash importante, ma non solo: parla anche con altri attori regionali.

D. – Fatto sta che, nel risultato concreto, questa azione di Mosca facilita, accelera, gli interventi: siamo in vista di una stretta finale?

R. – La stretta finale è soltanto nell’inchiostro dei giornalisti: così non è. Basti vedere il numero di sortite aeree che si fanno contro il sedicente Stato islamico per capire quanto esse siano lontane dalle migliaia che bisognerebbe fare e soprattutto dalla necessità di avere migliaia e migliaia di soldati sul terreno. Mosca non sta combattendo l’Is al posto nostro, ma sta ridefinendo una serie di attori regionali per continuare a essere una superpotenza globale al pari degli Stati Uniti, con una presenza tuttavia forte ed importante nel Medio Oriente, l’area di suo più vicino interesse, soprattutto a seguito delle operazioni in Ucraina. L’Is è una “scusa”: quello che interessa a Mosca è il grande gioco della strategia in quella parte del mondo.

D. – Non dunque una funzione anti-statunitense…

R. – No, non si vuole perdere l’alleato Washington, ma dall’altro altro punto di vista sicuramente si vuole diventare il referente politico principale dell’area. Quindi, non una funzione anti-Washington ma certamente non si tratta neanche di amici.

D. – L’affacciarsi della Cina – lei prima ha parlato di interessi economici: senza dubbio Putin a Pechino ha firmato molti accordi commerciali importanti. Tuttavia, lei come valuta l’apparire della figura cinese in questo scenario? È una cosa di cui sorprendersi?

R. – Direi di no. La Cina è presente in Medio Oriente da molto tempo, con la tradizionale discrezione di Pechino. Al tempo stesso, la Cina ha un confronto aperto molto netto contro gli Stati Uniti e i loro alleati nel Pacifico. Ha bisogno di incrementare le proprie capacità militari, ha necessità della tecnologia russa. Ed è per questo che è disposta ad avvicinarsi a Mosca. Sono matrimoni di interesse.

D. – L’Is, che sta subendo, almeno sul terreno, una sorta di accerchiamento, non rimane silente. La minaccia è tornata a colpire l’Occidente: c’è stata una sorta di invito a entrare in azione per tutti i "lupi" solitari, sia in Europa che negli Usa. Abbiamo visto gli esiti ultimamente delle cellule impazzite. Sono credibili questi richiami?

R. – Sono drammaticamente credibili e spesso anche efficaci. Non sono attacchi in grado di creare al momento paragoni con l’11 settembre. Ma certamente sono attacchi che possono essere devastanti sulla psicologia delle persone e sul nostro modo di vivere. I servizi di intelligence e sicurezza e le Forze dell’ordine stanno facendo un lavoro straordinario. Ma chi immagina che esista una sicurezza al 100% sta parlando di un’utopia. Possono essere maglie strettissime di una rete, ma è una rete: qualcosa destinato a passare c'è sempre.

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Mons. Ginami tra i cristiani cacciati dall'Is: qui fede è roccia

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A non molta distanza ci sono le postazioni dell’Is. Ma ne campo profughi, tra  i container, le famiglie dei profughi, molti cristiani, non perdono la speranza che pure i jihadisti hanno cercato di spezzare due anni fa scacciandoli dalla Piana di Ninive in Iraq. A visitarli in questi giorni c’è mons. Luigi Ginami, a nome della “Fondazione Santina onlus”. Luca Collodi lo ha raggiunto telefonicamente in quella zona: 

R. – Mi trovo in un piccolo villaggio, si chiama Arade, vicino alla città di Duoq, a pochi chilometri di distanza da Mosul e dalla Piana di Ninive.

D. – Perché la Fondazione caritativa “Santina onlus” si trova in Iraq?

R. – Perché in questi luoghi, due anni fa, dal 6 all’8 agosto 2014, l’Isis ha fatto uscire da Mosul e dalla Piana di Ninive tutti i cristiani, pena la morte o una tassa molto forte sulle case sulle quali veniva messo il nome “Nazir”, che significa “nazareno”, quindi cristiano; oppure la fuga. Molti sono fuggiti e sono in questi campi profughi che sto visitando. Ne ho appena visitato uno con 900 container nei quali vivono famiglie di yazidi. Essere cristiani qui è veramente impegnativo ed è un martirio: è cambiare completamente la propria vita per il nome di Gesù, cioè fuggire. Ieri, in serata, ho incontrato un giovane, vittima di questa espulsione; ha visto in faccia i soldati del “califfato”, ha visto la morte in faccia e mi ha raccontato storie bellissime che sto raccogliendo per portarle in Italia. Come quella di due anziani che a Mosul rifiutano di convertirsi al “califfato”; vengono sollecitati diverse volte e alla fine, con una fede grande e valorosa, vengono buttati fuori da Mosul al confine con la Piana di Ninive. Sono testimonianze forti, che fanno riflettere molto noi, in Occidente, in Europa, dove essere cristiani è più facile, ed essere cristiani significa spesso vivere una vita all’acqua di rose. Povertà, miseria, persecuzioni sono i colori dell’essere cristiano qui, in Iraq, al confine con la Siria, al confine con la Turchia e non lontani dall’Iran.

D. - Come vivono i sacerdoti e le parrocchie nella piana di Ninive?

R. – Prima di tutto, anche le chiese risentono di questa povertà e quindi i sacerdoti, spesso, non hanno gli stipendi, come in Italia l’8 per mille garantisce i nostri bravi sacerdoti; vivono in grande ristrettezza e cercano di portare aiuto e consolazione a queste famiglie fuggite. Ricordo che molti di questi container sono piantati nelle proprietà delle parrocchie: nei campi sportivi, nelle attrezzature delle parrocchie. Così i sacerdoti cercano di stare vicini, con la preghiera ma anche con la consolazione e l’aiuto, a queste famiglie che mancano di tutto. Molte di queste famiglie, poi, fuggono da qui, dall’Iraq, perché il ritorno in questi luoghi è davvero difficile e veramente la paura si sente forte. Ricordiamo che a 45 minuti di auto da qui c’è l’Isis, territori dove il “califfato”, dove “Daesh”, è presente. Quindi la paura di “Daesh” c’è, in queste terre. E anche questa è un’altra componente che forse dovremmo un po’ sperimentare sulla nostra pelle: avere vicino, sentire il respiro di chi non la pensa come noi e che vuole annientarci. “Quando siamo deboli, è allora che siamo forti”: questa frase di Paolo mi sembra che qui sia particolarmente vera e particolarmente significativa.

D. – Mons. Ginami, chi vive nei campi profughi ha ancora speranza di una vita normale?  

R. – La speranza è quella della redenzione del dolore: quando si soffre, quando si lascia tutto per il Signore, Gesù ci dice che ci ridarà 100 volte tanto. E’ la fiducia proprio in questo: “Chi avrà lasciato casa, fratelli, sorelle, madre, figli, campi in nome mio, avrà 100 volte tanto in questa terra di eredità eterna”. Gesù questo lo dice ai suoi discepoli, ma noi lo possiamo anche trasferire qui, vicino alla Piana di Ninive, dove sto vivendo in questi giorni. Essere cristiani qui significa perdere tutto, essere disposti a perdere tutto. Rilancio una domanda a chi ci sta ascoltando in questo momento: tu che stai ascoltando, saresti disposto a perdere tutto per il Signore Gesù? Se non recuperiamo questa identità profonda cristiana, anche il nostro confronto con “Daesh” in Iraq o altrove sarà perdente. Dobbiamo riscoprire profondamente la nostra identità cristiana, coltivarla con la conoscenza, con la testimonianza e con la carità.

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Australia, Chiesa: proteggere i rifugiati sull'isola di Nauru

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Un’indagine di Amnesty International e Human Rights Watch ha svelato i gravissimi abusi nei confronti di uomini, donne e bambini che cercano rifugio in Australia. Proprio oggi il governo ha accettato di chiudere il campo di detenzione nell’isola di Manus, ma resta aperto quello nella sperduta isola-nazione di Nauru, dove chi cerca asilo viene trasferito forzatamente e costretto a trattamenti disumani, di abbandono e in condizioni sanitarie precarie, spesso celati da un muro di segretezza e omertà. Anche la Chiesa locale è preoccupata e ha lanciato un appello al ministro dell’Immigrazione, Peter Dutton, affinché “agisca immediatamente per ridurre la sofferenza umana dei profughi di Nauru. Salvatore Tropea ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: 

R. – I trasferimenti avvengono quando le persone raggiungono la terraferma australiana, altre volte vengono intercettate in mare e a seguito di un accordo tra Australia e Nauru c’è questa modalità di detenzione offshore, che costa all’Australia un miliardo e 200 milioni di dollari ogni anno e che consente in questo modo al governo australiano di non avere sul suo territorio persone di cui dover gestire la richiesta di asilo politico. Sono centinaia, in buona parte minori non accompagnati e anche molte donne. Ci sono stati periodi in cui il centro ha ospitato anche più di mille richiedenti asilo.

D. – Da quali Paesi arrivano, i richiedenti asilo e quali percorsi seguono per arrivare via mare fino in Australia?

R. – Sono persone che provengono da Paesi asiatici e dunque si imbarcano via mare dove è possibile, lungo i mari del Sudest asiatico, spesso dalla Thailandia o anche dal Pakistan… Ma ci sono anche mediorientali, siriani, ad esempio, iraniani, iracheni, altri che arrivano dall’Afghanistan… Sono tutte persone che nel corso di questi anni hanno mostrato, in ragione della loro provenienza, di avere pieno titolo ad avere asilo politico, ad avere una procedura con delle garanzie, dignitosa, che rispetti i loro diritti. E invece sono trattenute in questa sorta di parcheggio in mezzo al mare, un’isola che sarà grande forse anche meno dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, in condizioni che costituiscono detenzione vera e propria. Con quanto è emerso poi tanto dalle ricerche fatte sull’Isola da Amnesty International e da Human Rights Watch a luglio, e successivamente da documenti resi pubblici dal quotidiano inglese “Guardian”, riguardo a numerosi casi di violenza sessuale nei confronti dei minori che – lo ricordo – sono minori soli, non accompagnati, e anche nei confronti di donne, da parte del personale che gestisce questo centro di detenzione. L’Australia ha dato al mondo un esempio molto negativo, e purtroppo c’è anche in Europa chi vorrebbe imitarlo, cioè quello di non consentire l’ingresso sul territorio e di affittare, pagare qualcuno affinché trattenga queste persone e gestisca le richieste di asilo politico. Sono anni che questo appello perverso viene presentato in Europa come un modello possibile, quando invece bisogna assolutamente contrastarlo, perché nega i diritti fondamentali delle persone.

D. – Come è stato possibile scardinare il muro di segretezza che copre questi abusi e cosa si può fare di più per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica?

R. – Io credo che il fatto che Amnesty International e Human Rights Watch siano riusciti a rimanere per 12 giorni e in modo assolutamente legale, cioè con il consenso delle autorità, sia un segnale positivo. In secondo luogo, questi documenti che sono trapelati all’inizio di agosto e che ha pubblicato il “Guardian” e che stanno facendo un enorme giro nei mezzi di informazione di ogni parte del mondo hanno danneggiato profondamente la reputazione del governo australiano. Qui si parla di 8 mila pagine già pubbliche di un totale di 2.000 documenti in cui si parla di violenze efferate nei confronti dei minori, di casi di autolesionismo per disperazione, di violenza sessuale contro le donne… E’ una specie di Abu Ghraib in mezzo al Pacifico… Quindi, io credo che questo già sia un buon risultato. Ora sta all’Australia prendere provvedimenti nell’immediato nei confronti delle persone che sono implicate come responsabili di questi terribili fatti di violenza. L’Australia è un Paese ricco che dà un contributo purtroppo minimo alla soluzione della crisi globale dei rifugiati e quel contributo minimo che dà lo dà nel modo che viola i diritti umani nella maniera più evidente.

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Congo, Nord Kivu: proteste a Beni contro massacri dei civili

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Nella Repubblica democratica del Congo resta fortemente instabile la situazione nella zona del Nord Kivu, dopo l’ennesimo massacro, nei giorni scorsi, in cui gruppi armati hanno ucciso 50 civili. Kinshasa accusa delle violenze un gruppo islamista ugandese. Per la popolazione, alcune responsabilità sono da ricercare anche da parte del governo. Oggi, a Beni, la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro centinaia di manifestanti. Protestavano per la mancata reazione delle autorità alle ultime violenze. All'Angelus per la Festa dell'Assunta Papa Francesco aveva lanciato un accorato appello di pace per la Repubblica Democratica del Congo: "Il mio pensiero – aveva detto il Pontefice – va agli abitanti del Nord Kivu recentemente colpiti da nuovi massacri che da tempo vengono perpetuati nel silenzio vergognoso, senza attirare neanche la nostra attenzione. Fanno parte purtroppo dei tanti innocenti che non hanno peso sulla opinione mondiale". E' di ieri, inoltre, la notizia secondo cui tre volontari della Caritas locale sono stati rapiti nella regione, a 125 km dal capoluogo Goma. Elvira Ragosta ha chiesto a Giusy Baglioni, esperta dell’area e membro dell’Associazione "Beati costruttori di pace", chi siano i gruppi che operano nella regione: 

R. – Non c’è una matrice chiara. Secondo il governo, il colpevole è questo gruppo di ribelli chiamato "Adf" di origine ugandese e di matrice islamista. Secondo altri sarebbero coinvolte le "Fdlr", i vecchi combattenti rwandesi scappati accusati di genocidio. Secondo la popolazione locale, ci sarebbero invece delle responsabilità occulte da ricercarsi addirittura dalla parte del governo che avrebbe degli interessi nel fomentare l’insicurezza nella regione.

D. – Questo in una regione con forti interessi dal punto di vista economico perché è una regione estremamente ricca...

R. – Ricchissima nel sottosuolo... Ricordiamo in particolare il coltan, minerale fondamentale per i nostri cellulari e per tutta l’elettronica.

D. – Anche Papa Francesco nell’Angelus dello scorso 15 agosto ha ricordato i dolori della popolazione del Nord Kivu vittima di questo conflitto dimenticato e ha lanciato un appello per la pace. Un conflitto, questo, che destabilizza tutta le regione…

R. – È una regione fortemente instabile da decenni. Parliamo di una zona al confine tra Uganda e Rwanda. Dal 1994 in poi, ma anche molto prima, ci sono sempre state stragi, c’è insicurezza, ci sono gruppi armati... E' una situazione molto complessa e intricata. In particolare quello che sta avvenendo a Beni dall’ottobre 2014 è molto trascurato, non se ne parla, Tuttavia, per la regione sta creando una tensione molto forte. La popolazione adesso si sta ribellando perché accusa sia il proprio governo che la comunità internazionale di non fare nulla, di essere supini davanti agli eventi. Addirittura, secondo alcuni della zona, di essere complici. Ricordiamo anche che c’è una forza molto ingente delle Nazioni Unite che la popolazione locale accusa di non fare niente per frenare i massacri.

D. – I dati parlano di 650 morti nella zona di Beni dal 2014. Altissimo anche il numero degli sfollati. La popolazione di fronte a questi massacri è costretta ad abbandonare le proprie case, i propri villaggi…

R. – Esatto ed è proprio una tecnica che viene utilizzata: terrorizzare la popolazione. 650 morti purtroppo possono sembrare un numero piccolo rispetto alle notizie che ci arrivano da altre parti del mondo. Quello che però impressiona è la efferatezza con la quale queste persone vengono uccise. Non c’è rispetto per gli anziani, per i bambini, donne incinte… Vengono massacrati in maniera davvero indicibile. Questo provoca il terrore nella popolazione. La gente si sposta e secondo alcuni analisti sarebbe voluto per liberare delle zone: sostanzialmente, fare andare via la popolazione per poter occupare e sfruttare più agilmente questo località.

D. – Nei giorni scorsi, il presidente Kabila ha incontrato il suo omologo ugandese Museveni per coordinare una risposta militare. Che passi avanti sono stati fatti?

R. – Dopo l’incontro con Museveni, c’è stato l’incontro con il presidente ruandese Kagame. Anche questo è un evento perché le relazioni diplomatiche si erano interrotte nel 2012 e ora sono state riaperte. In che direzione si trovano questi incontri è difficile dirlo perché a livello ufficiale ovviamente ci sono dei resoconti che non si sa quanto corrispondano davvero ai colloqui privati che sono intercorsi tra i presidenti. Si parla di sicurezza di passi avanti nella lotta a queste formazioni che imperversano nella zona. Tuttavia, fa riflettere il fatto che proprio subito dopo questi incontri ci sia stato l’ultimo massacro di cui stiamo dando notizia.

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Colombia: stop a gender nelle scuole dopo imponenti manifestazioni

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In Colombia, il governo ferma il progetto di revisione dei libri scolastici contenente la promozione e l’implementazione dell’ideologia gender. È stata, quindi, ascoltata la voce della gente scesa in piazza con manifestazioni imponenti in tutto il Paese e anche quella della Chiesa cattolica che in diverse occasioni aveva difeso la libertà di scelta dei genitori in campo educativo e la tutela della famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna. Il servizio di Isabella Piro

Risultato positivo, dopo le manifestazioni di piazza
Soddisfazione: questo il sentimento espresso dai vescovi della Colombia in una nota ufficiale diffusa dopo che il governo ed il Ministero nazionale dell’Educazione hanno stabilito di fermare la revisione dei libri di testo scolastici con riferimenti alla cosiddetta “ideologia gender”. La decisione dello Stato arriva dopo che, nei giorni scorsi, si sono svolte numerose manifestazioni nazionali in difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e della libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni morali. In particolare, i presuli si congratulano per la massiccia adesione alla manifestazioni di piazza, in particolare per quella svoltasi il 10 agosto in diversi punti del Paese.

Alla base della sana convivenza, c’è il rispetto per l’altro
Ribadendo l’importanza della famiglia, “cellula fondamentale della società”, i presuli sottolineano che “un valore fondamentale per la sana convivenza è il rispetto per ogni essere umano, indipendentemente da razza, sesso, orientamento sessuale, nazione o famiglia di provenienza, lingua, religione ed opinione politica”. Poi, la Chiesa di Bogotà sottolinea di non essere contraria alla revisione dei libri di testo scolastici di per sé, purché essa avvenga “nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni educative e con la partecipazione di presidi, docenti, genitori, studenti e tutto il settore educativo”.

Non attentare alla dignità della persona umana
L’obiettivo, infatti, deve essere quello “di costruire ambienti liberi da violenze e discriminazioni che attentano alla dignità della persona umana”. Di qui, il richiamo ai genitori ad “assumersi, con vera responsabilità, la missione di essere i primi educatori dei loro figli secondo coscienza, ed a partecipare attivamente a tutti processi collegati con la loro formazione”.

Appello a dialogo sereno e rispettoso, in nome del bene comune
Infine, in risposta all’appello al dialogo lanciato dal capo dello Stato, Juan Manuel Santos Calderón, i vescovi colombiani ribadiscono di essere “sempre disposti al confronto sereno, riflessivo e rispettoso con le istituzioni statali” ed esortano tutti i colombiani ad impegnarsi nella costruzione di “un ideale comune per il Paese, una visione chiara della nazione in cui tutti si possano identificare”.

Gli appelli di Papa Francesco contro le “colonizzazioni ideologiche”
Da ricordare che anche Papa Francesco, in diverse occasioni, ha messo in guardia dalla “ideologia di genere”. L’ultimo appello, in senso cronologico, risale al 27 luglio scorso. Papa Francesco è in viaggio apostolico in Polonia e incontrando i vescovi polacchi nella Cattedrale di Cracovia, sottolinea: “In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste - lo dico chiaramente con “nome e cognome” - è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti”.

Inquietante imposizione del pensiero unico
Un altro richiamo si trova nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia” in cui, al numero 56, il Papa scrive: “E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini”.

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L'Ucoii al ministro Alfano: pronti a formare gli imam in Italia

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Si lavora per agevolare un modello di imam che abbia una formazione per poter operare in Italia. E’ uno dei passaggi dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Angelino Alfano, con la quale il ministro dell’Interno passa in rassegna alcune delle questioni più delicate riguardante i cittadini di religione islamica e le regole in Italia. Alla formazione degli imam ci lavoriamo da anni, spiega il presidente dell’ Ucoii, l'Unione delle comunità islamiche in Italia, Izzedin Elzir, intervistato da Francesca Sabatinelli

R. – E’ il risultato di un cammino che abbiamo chiesto noi come comunità islamica: fare dei corsi di aggiornamento per i nostri imam, perché crediamo che uno dei requisiti di un imam debba essere quello di conoscere la lingua italiana, così come la cultura, la Costituzione e la legislazione italiane. Sono diversi anni che lavoriamo su questa strada, con l’Università di Padova, con diverse università del Nord, e spero che il Ministero (dell’Interno ndr) dia il suo appoggio perché noi da soli non possiamo coprire il territorio nazionale. Iinsieme, invece, credo ci si possa riuscire. Ci tengo a precisare che questi corsi per i nostri imam non riguardano la religione islamica, sono piuttosto centrati sull’educazione civica e sulla lingua italiana.

D. – Privilegiare degli imam che abbiano una formazione in Italia escluderebbe di fatto, però, tutti gli altri. Questo non potrebbe rappresentare un problema?

R. – Rientra negli accordi con il ministro che non dovrà essere discriminante il fatto che un imam non frequenti questi corsi di aggiornamento. Certamente, chi fa questi corsi avrà parecchi vantaggi: la possibilità di essere nominato dalla comunità come ministro di culto, il fatto di poter ottenere l’approvazione del Ministero dell'interno per poter andare in modo ufficiale, secondo la legge sui culti ammessi, a trovare i detenuti, i malati. Verrebbe inoltre riconosciuto lo status di pubblico ufficiale e quindi la possibilità di celebrare l’atto matrimoniale, che è una cosa che a tutt’oggi nessun imam può fare.

D. – Quello che si nomina da più parti è il rischio della radicalizzazione, formare un imam in Italia potrebbe arginarlo?

R. – Certamente, può essere un aiuto ulteriore. Infatti, noi lo consideriamo un valore aggiunto. Il radicalismo ha diversi modi e diverse strade, purtroppo. Sappiamo come anche nella nostra realtà italiana, ma soprattutto in quella europea, questa radicalizzazione avvenga fuori dalle moschee. Se noi formiamo i nostri imam con questi corsi di aggiornamento, li aiutiamo anche a uscire fuori dalla moschea per andare a trovare la comunità là dove questa si trova: nella piazza, nella strada, ai bar, nei circoli… Questo è l’obiettivo di questi corsi: fare uscire l’imam dalla moschea per andare a trovare la comunità, dove abbiamo verificato che realmente il radicalismo può nascere.

D. – E’ importante anche che le comunità islamiche – sempre seguendo il percorso dell’intervista rilasciata dal ministro – favoriscano l’emersione delle moschee occulte, come quelle che vengono create nei garage…

R. – Noi da anni chiediamo luoghi degni della comunità islamica in questo Paese. Purtroppo, i nostri appelli, i nostri inviti sono stati tutti invano. E poi abbiamo sentito il parere del ministro: noi siamo più che disponibili! Questa è la nostra richiesta: quella di uscire da luoghi non degni come garage o scantinati per andare in luoghi degni della nostra comunità islamica e di questo Paese, il Paese della bellezza, dell’arte e della cultura.

D. –  Circa i divieti attuati in Francia, ultimo tra tutti quello che riguarda il burkini, il ministro Alfano ha tenuto a precisare che in Italia non esistono e non verranno applicati. Secondo lei, questi divieti contribuiscono ad alimentare una risposta violenta da parte di alcuni elementi della comunità islamica?

R. – La comunità islamica è una comunità saggia, chi risponde alla provocazione può essere soltanto una persona ignorante. La comunità islamica in Francia, quando è stato negato l’uso del velo alle ragazze, ha risposto con le scuole private islamiche e oggigiorno le scuole islamiche francesi sono le migliori in Francia. I governi italiani sono stati saggi nel non voler seguire la realtà francese che ha voluto creare una nuova religione, che non è la laicità ma il laicismo, che non aiuta i musulmani ma nemmeno i cittadini autoctoni.

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Migranti, Caritas di Como: "Allarme per minori non accompagnati"

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A Como, da quasi un mese, 500 migranti sono accampati nei giardini vicino alla stazione. Sono, per lo più, giovani ragazzi provenienti dal Corno d’Africa che sperano di passare il confine con la Svizzera e arrivare nel Nord Europa. Il governo ha inviato unità abitative. Oggi l’incontro tra il sindaco Mario Lucini e il prefetto Bruno Corda per definire il luogo in cui posizionarle. Eugenio Murrali ha chiesto al direttore della Caritas di Como, Roberto Bernasconi, quali siano le attese e i problemi di fronte a questa emergenza: 

R. – Ci siamo accorti subito che era una situazione non sostenibile in stazione, per cui abbiamo immediatamente richiesto la possibilità di un campo con dei container per poter ospitare queste persone. Speriamo che questo si riesca a concretizzare, perché c’è una burocrazia grossissima, non tanto sui container, che sono stati trovati, quanto sul sito dove posizionarli. Ci sono stati dei veti incrociati rispetto ad alcuni siti. Spero che oggi questo si possa risolvere, altrimenti non abbiamo più tempo, perché si avvicina la fine di agosto e se il tempo qui cambia è un disastro.

D. - Qual è la situazione? Quali sono le emergenze?

R. - La situazione è ancora abbastanza tranquilla. Credo per poco però, perché essendo liberi in uno spazio, c’è gente che vuol bene loro, altri meno. Non vorrei arrivare alle manifestazioni di Ventimiglia. Per quello che è il carattere sanitario, igiene personale, mangiare e vestiario la situazione è abbastanza sotto controllo. Siamo riusciti a far partire questa mensa che fornisce più di 500 pasti al giorno e tutte le mattine diamo loro la colazione. Il Collegio Gaio, che è una scuola cattolica, ci ha messo a disposizione le docce della loro palestra, per cui tutti i giorni diamo la possibilità a più di 200 persone di farsi una doccia, di cambiare biancheria e abiti. La situazione sanitaria è altrettanto sotto controllo proprio perché c’è un presidio fisso della Croce Rossa. Inoltre, in questo momento, sta partendo, in modo organizzato, una mediazione culturale, che è la cosa più importante, perché bisogna riuscire a far capire a queste persone dove sono e quali sono le opportunità per loro per un futuro in Europa: tante volte esse non corrispondono a fuggire dall’Italia e cercare a tutti i costi di arrivare nei Paesi del Nord Europa.

D. - Quindi il volontariato ha un ruolo chiave in questo momento?

R. - In questo momento il volontariato ha un ruolo chiave e posso dire una cosa bella per la nostra città: c’è stata una risposta altissima delle persone. Tutti i giorni, 500 persone girano proprio nei vari servizi. Questo ti fa dire però che se non ci fosse stato il volontariato, che comunque è parte integrante della nostra società, le cose sarebbero state più difficili. 

D. - È percorribile secondo lei la strada di un accordo con la Svizzera?

R. - La Svizzera non fa altro che quello che fanno altri Stati europei in questo momento. Non è che ha chiuso completamente le porte, ma dà dei contingenti giornalieri dai 50 ai 100: oltre non passano. Le persone arrivano a Como anche per questo, perché sanno che, comunque, qualcuno riesce a passare e riesce ad avere poi possibilità di asilo là oppure un passaggio verso la Germania. Comunque io credo che sia un problema europeo da rivedere in modo ampio, non vivendolo come un’emergenza, ma come, oramai, un fatto strutturale di cui dobbiamo tener conto.

D. - La Commissione Europea dice di monitorare la situazione. Cosa sta facendo?

R. - Io credo molto poco, perché si fa molto in fretta a monitorare sulle carte. Per monitorare seriamente bisognerebbe avere in mano la realtà concreta e forse non ce l’hanno fino in fondo. Sono molto sincero su questo: forse non ce l’hanno fino in fondo. Dovrebbero invece davvero fidarsi di più delle persone, delle associazioni che quotidianamente si spendono per questa umanità affaticata.

D. - C’è poi la questione dei minori non accompagnati …

R. - Questo è un problema gravissimo. Qui il 30, 35 percento è composto da minori non accompagnati. Ci sono ragazzini di 12 anni … con tutti i problemi che questo comporta. Questi ragazzi sono un po’ allo sbando perché, in teoria, il Comune - e in questo caso il Comune di Como - dovrebbe farsene carico. Però, si capisce che nel giro di due settimane farsi carico di 500 ragazzi, che poi non vogliono neanche stare nelle strutture dove al limite potrebbero essere collocati, diventa una cosa impossibile. Credo che in questo momento sia un problema irrisolvibile. Noi mettiamo dei pannicelli caldi su questi ragazzi. Loro vengono respinti alla dogana, io li porto in una parrocchia dove vengono rifocillati, dove hanno la possibilità di una doccia e poi loro scappano di nuovo, tornano alla stazione e ritentano la strada. Qualcuno riesce a passare, qualcuno tenta un’altra strada, altri tentano magari per due, tre, quattro volte e vengono sempre rimandati indietro. È un problema grosso, anche perché, poi, alla stazione adesso sta girando un po’ di gente, per cui io credo che siano merce a buon prezzo per il discorso della prostituzione, piccoli spacci e azioni non molto corrette. Con le possibilità che abbiamo oggi, però, noi possiamo solo monitorare, fare in modo che non delinquano in modo grosso insomma.

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Al Rossini Opera Festival il "bel canto" di Juan Diego Flórez

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Juan Diego Flórez festeggia i suoi vent’anni di presenza al Rossini Opera Festival con un concerto in programma venerdì 19 agosto, “Flórez 20”, già esaurito da mesi. Il tenore peruviano è stato anche protagonista de “La donna del lago” andata in scena in un allestimento firmato da Damiano Michieletto e diretto con grande passione e chiarezza da Michele Mariotti. Il servizio di Luca Pellegrini

Opera affascinante, “La donna del lago”: è stata un trionfo, l’apice del bel canto rossiniano, la “liquidità” delle ornamentazioni che si addensano poi sulle brume musicali più romantiche e che Rossini fa proprie, con la sua vena creativa, il suo genio assoluto. A Pesaro lo spettacolo era evocativo, un rituale della memoria, la compagnia di canto superba. Tra le nuove personalità di artisti ai quali si è aperto un orizzonte di successi, tornava al Festival il tenore Juan Diego Flórez, che ha ancora una volta ammaliato il pubblico, dando al personaggio di Giacomo V un vigore romantico sorretto da una vocalità adamantina, insuperabile nelle languide profferte d’amore, nelle vorticose agilità vocali. E’ nato a Lima, lì ha vissuto i suoi primi anni, poi è diventato uno dei cantanti più famosi e amati della scena internazionale. Lo abbiamo incontrato dietro le quinte, al termine di una osannata recita:

R. – Ricordo che mi sono avvicinato al canto lirico a scuola, dove il nostro professore amava molto la zarzuela. Facevamo molti spettacoli e io imitavo il canto lirico che lui faceva, avevo 15 anni. Poi mi sono interessato al genere musicale; inizialmente facevo pop. Così ho imparato un paio d’arie, sono entrato al conservatorio, mi è piaciuto e ho deciso di fare lirica. Dopo di che sono andato a studiare negli Stati Uniti. Dopo sei anni di studi ho debuttato qui.

D. – Torna in Perù qualche volta? Quando torna, qual è il suo sentimento?

R. – Lì ho una fondazione, la “Fondazione sinfonia per il Perù”. Mi occupo di circa quattromila bambini. Ci sono tantissime orchestre e centri musicali in tutto il Perù. Torno in Perù principalmente per questo.

D. – Un incontro fondamentale nella sua vita è stato proprio quello con Ernesto Palacio...

R. – Esatto. Nel 1994 ero ancora studente a Philadelphia. Lui mi disse: “Voglio che tu faccia carriera”. Dopo di questo mi ha invitato a fare un disco al Festival di Gerace, ho fatto il "Tutore burlato". Nel 1995 abbiamo fatto un altro disco, “Le tre ore dell’agonia” di Zingarelli. Studiavo con lui e da lì è iniziato un rapporto maestro-studente che mi ha aiutato molto in modo particolare all’inizio della mia carriera.

D. – Qual è stato l’insegnamento più importante che le ha dato Ernesto?

R. – Cantare con l’espressione e con la chiarezza. Diciamo che lui non è un maestro di canto, ma quello che ti dice è più importante.

D. – Che ricordo ha di quella fatidica Matilde del 1996?

R. – Ricordo che ero semplicemente immerso nello studio delle note – avevo imparato tutto in pochi giorni – e ho cantato quasi senza coscienza. Alla fine, quando sono andato a prendere gli applausi che non mi aspettavo, è arrivato questo applauso enorme e mi sono spaventato! Mi sono detto: “Ma che cosa è?”. Dopo di questo è iniziata la mia carriera.

D. – Sono passati 20 anni. Che cosa ha significato Rossini per lei in questi anni non soltanto come artista?

R. – Rossini è un po’ un maestro di vocalità, no? Per me tornare a cantare Rossini almeno una volta all’anno mi mette in un buon ordine di cose, nel senso che vocalmente mi rimetto in sesto, ricomincio la stagione con il piede giusto.

D. – Questo concerto “Flórez 20” cosa significa per lei?

R. – È una grande soddisfazione che il Festival abbia voluto festeggiarmi, in un certo senso, con questo concerto. Canterò pezzi delle dieci opere che ho cantato qui.

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Nella Chiesa e nel mondo



Bangladesh. Vescovi condannano omicidio di imam a New York

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“Condanniamo l’omicidio nel modo più duro possibile. Quelli che spargono l’odio contro le religione devono essere fermati”: così mons. Mons.Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace del Bangladesh, condanna l’omicidio di un imam e del suo assistente, avvenuta a New York il 13 agosto.

Arrestato un sospetto
Le vittime - Maulana Alauddin Akonjee  di 55 anni, e Thara Uddin, di 64 – erano entrambe originarie del Bangladesh e sono state freddate a colpi di arma da fuoco nei pressi di Ozone Parks, nel Queens. La polizia ha arrestato un sospetto: si tratta di Oscar Morel, 35enne di Brooklyn. Ancora da chiarire il movente.

Non diffondere odio e discriminazioni contro le religioni
“Siamo molto scioccati e dispiaciuti per l’incidente, che condanniamo nel modo più duro possibile – continua mons.Rozario, citato da AsiaNews - e condanniamo allo stesso modo tutti coloro che diffondono l’odio e la discriminazione contro le altre religioni”. Anche il Ministero degli Esteri del Bangladesh ha espresso il suo cordoglio per l’omicidio, bollato come “un atto di codardia”.

La solidarietà del Congresso ebraico mondiale 
E solidarietà per l’accaduto arriva anche dal Congresso ebraico mondiale che, tramite il suo presidente, Ronald Lauder, esprime vicinanza alla comunità musulmana di New York. “Le persone di ogni fede devono essere libere di vivere senza timore di violenza e odio” dichiara Lauder, citato dall’agenzia Sir, appellandosi poi a tutta la società affinché garantisca che “le persone di tutte le fedi rimangano sicure e libere di vivere la propria vita come vogliono”. (I.P.)

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India. Card. Gracias: Chiesa sia agente di riconciliazione

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“La Chiesa cattolica dell’India continua a giocare una parte importante nella costruzione della nazione e nella costruzione di una comunità umana di libertà e amicizia, uguaglianza e giustizia”: lo scrive il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, nel messaggio diffuso in occasione della Festa dell’indipendenza del Paese, celebrata il 15 agosto.

Promuovere dignità umana, senza discriminazioni di casta o di credo
“La Chiesa cattolica – sottolinea il porporato, citato dall’agenzia AsiaNews - ha contribuito a costruire la nazione indiana e ha dato un apporto significativo al suo progresso ed al suo sviluppo”, in particolare nei campi dell’istruzione, della sanità, della politica e della cultura “senza discriminazione di casta o credo”. Ha dato un prezioso contributo servendo “con amore i più poveri fra i poveri”. Soprattutto – aggiunge il card. Gracias – “la Chiesa cattolica dell’India è sempre stata in grado di promuovere la dignità umana”, con “un rispetto non negoziabile per la vita e per i principi etici del cristianesimo e con una visione olistica” dell’uomo. 

Chiesa è una comunità in dialogo
In quest’ottica, il porporato ricorda la prossima canonizzazione della Beata Madre Teresa di Calcutta, in programma il 4 settembre in Vaticano, ed annuncia che una delegazione “ad altissimo livello” del governo indiano parteciperà alla cerimonia. Poi, guardando alla realtà “multi-religiosa e multi-culturale del Paese”, il card. Gracias ribadisce che “la missione della Chiesa è quella di essere una comunità in dialogo”, in modo che “anche che i cattolici divengano agenti di riconciliazione e pace fra i vari gruppi”, combattendo contro “incomprensioni, odio, discordia e discriminazioni”.

Appello alla tutela della libertà religiosa
Centrale, poi, l’appello dell’arcivescovo di Mumbai alla tutela della libertà religiosa: “La Chiesa difende sempre il diritto del singolo a professare la propria religione – scrive il porporato – e allo stesso tempo denuncia il proselitismo attuato con misure opinabili come frodi, forza e inganno”. Infine, la preghiera del card. Gracias va a Maria, affinché interceda per la pace nel Paese ed aiuti la popolazione a “vivere in armonia nella diversità di culture, costumi e credo”. (I.P. – AsiaNews)

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Corea Sud. L'arcidiocesi di Seul promuove iniziative di pace

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Uno sforzo di sensibilizzazione, di preghiera, di opere concrete per promuovere la pace: è l'intento con cui, in occasione della 71.ma Giornata della liberazione della Corea, il 15 agosto, l'arcidiocesi di Seul ospita una serie di eventi. Lo scopo è di esortare i giovani e i leader religiosi, provenienti da diverse nazioni colpite da conflitti, a testimoniare l'anelito a costruire la pace in tutto il mondo.

Pellegrinaggio di giovani al confine tra le due Coree
Il primo evento in calendario – riporta l’agenzia Fides – è organizzato dal Comitato per la Riconciliazione del popolo coreano. E' rivolto ai giovani e si intitola “Il vento della Pace". Si tratta di un pellegrinaggio, in corso dal 13 al 19 agosto, nella zona demilitarizzata al confine tra le due Coree, da Goseong fino a Imjingak. I partecipanti sono 91, inclusi quelli provenienti da Paesi che hanno sperimentato la guerra come Serbia, Slovenia, Libano e Sud Sudan.

Essere operatori di pace
Alla cerimonia di apertura del pellegrinaggio, il 13 agosto, hanno partecipato e offerto messaggi di incoraggiamento il card. Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul, e Hong Yong-Pyo, ministro dell'Unificazione nel governo della Corea del Sud. “Grazie a questa opportunità, spero che i giovani diventino operatori di pace nel futuro, facendosi promotori di riconciliazione e cercando di risolvere le controversie, piccole e grandi”, ha rimarcato p. Chung Se-teok, presidente del Comitato per la Riconciliazione del popolo coreano.

Tanti i Paesi al mondo che vivono guerre e conflitti
A conclusione della marcia, si terrà a Seul uno speciale “Forum per la pace nella penisola coreana: un percorso di pace”, che vedrà la partecipazione, tra gli altri, di ospiti come il cardinale libanese Boutros Béchara Rai, Patriarca maronita di Antiochia, il cardinale Vinko Puljic, della Bosnia-Erzegovina, l'arcivescovo Stanislav Hocevar di Belgrado. Tutti Paesi che hanno sperimentato, nella loro storia, guerre e conflitti.

Il ruolo della Chiesa cattolica per la pace nel mondo
Al Forum saranno presenti leader cattolici, teologi, intellettuali, esperti impegnati in regioni che soffrono per guerra civile o attacchi terroristici. Si confronteranno sulle vie e sulle strategie per ottenere una riconciliazione duratura in Corea e nel mondo. Il seminario prevede tre sessioni: la prima è incentrata sul ruolo della Chiesa cattolica per la pace nel mondo; la seconda è dedicata agli sforzi internazionali per la risoluzione delle controversie; la terza è incentrata sulla realtà della penisola coreana: diagnosi e soluzioni.

Mai rinunciare alla speranza della pace
“Nel mio cuore avvertivo la pesante realtà della situazione tra Nord e Corea del Sud", afferma il cardinale Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul, spiegando il senso di queste iniziative. “Oggi siamo di fronte a tensioni militari in Asia orientale, a guerre civili in tutto il mondo, a fenomeni di terrorismo indiscriminato. Nonostante la grave situazione - ha concluso - preghiamo perché non potremo mai rinunciare alla speranza di una vera pace". (P. A.)

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Chiesa in Brasile: è l'ora della famiglia

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“Misericordia nella famiglia: dono e missione”. E' il tema della Settimana nazionale della famiglia  che si sta svolgendo, in ogni parrocchia e diocesi del Brasile. In programma fino al 21 agosto, l’iniziativa è proposta dalla Commissione episcopale per la vita pastorale e la famiglia,della Conferenza dei vescovi brasiliani.

Evento inserito nel contesto Giubilare
L’obiettivo della Settimana, spiega padre Jorge Filho, presidente della Commissione, è quello di aiutare le famiglie a vivere la spiritualità e a riflettere sulla vita familiare. “Celebriamo questa Settimana nazionale – sottolinea – ricordando che stiamo vivendo, con tutta la Chiesa, l’Anno giubilare della misericordia”. Durante questo anno - aggiunge padre Jorge Filho - “la Chiesa è invitata a riscoprire la misericordia di Dio per la vita degli uomini e ad annunciare questa misericordia”.

La Chiesa sostenga la famiglia, strumento di evangelizzazione
A fare da sfondo alla Settimana c’è l’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”, siglata da Papa Francesco quest’anno, dopo i due Sinodi sulla famiglia, svoltisi nel 2014 e nel 2015. “Questo Anno della misericordia – continua ancora padre Filho – è il momento ideale per riflettere su questo documento pontificio e per comprendere che la famiglia ha davvero bisogno del sostegno e dell’impegno della Chiesa affinché diventi sempre più uno strumento di evangelizzazione per la nostra società”.

È l’ora della famiglia
In occasione dell’evento, la Commissione episcopale per la vita e la famiglia ha elaborato un sussidio informativo intitolato “L’ora della famiglia”, che presenta riflessioni su temi specifici, insieme con suggerimenti e indicazioni di preghiera. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 230

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