Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 22/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: perdono di Dio non sia autoconsolatorio, ma vinca rancori umanità

◊  

Ogni cristiano si senta chiamato ad essere testimone di misericordia, vincendo il rancore che affligge il mondo: è quanto auspica Papa Francesco in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Parolin in occasione della 67a Settimana Liturgica Nazionale, che si è aperta oggi a Gubbio. L’evento si svolge sul tema della Liturgia come luogo della Misericordia. Il servizio di Sergio Centofanti

Tutto parte “dalla consapevolezza che si è perdonati”. E’ questa coscienza - ricorda il Papa - che spinge a  perdonare. Il punto è che “si è riconciliati per riconciliare”. Infatti, “la misericordia del Padre non può essere rinchiusa in atteggiamenti intimistici ed autoconsolatori, perché essa si dimostra potente nel rinnovare le persone e renderle capaci di offrire agli altri l’esperienza viva dello stesso dono”.

Occorre, dunque, “essere testimoni di misericordia in ogni ambiente, suscitando desiderio e capacità di perdono. Questo è un compito a cui tutti siamo chiamati – sottolinea - specialmente di fronte al rancore nel quale sono rinchiuse troppe persone, le quali hanno bisogno di ritrovare la gioia della serenità interiore e il gusto della pace”.

Il Papa auspica che “maturi sempre più la comprensione della liturgia come fons et culmen di una vita ecclesiale e personale piena di misericordia e di compassione, perché costantemente formata alla scuola del Vangelo”.

Quando ci sforziamo di vivere ogni evento liturgico “con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso – afferma Papa Francesco - possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità”. Questo amore “è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù”. Tutto “in lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione”.

Come diceva Papa San Leone Magno: «Quello che era visibile [e tangibile] del nostro Redentore è passato nei sacramenti».  Un tale accostamento “aiuta a percepire tutta la liturgia quale luogo della misericordia incontrata e accolta per essere donata, luogo dove il grande mistero della riconciliazione è reso presente, annunciato, celebrato e comunicato”.

“Il dono della Misericordia - si legge nel messaggio - risplende in modo tutto particolare nel sacramento della Penitenza o Riconciliazione”. Il rito della Penitenza sacramentale – conclude – va percepito “come espressione di una ‘Chiesa in uscita’, come ‘porta’ non solo per ri-entrare dopo l’essersi allontanati, ma altresì ‘soglia’ aperta verso le varie periferie di un’umanità sempre più bisognosa di compassione. In esso, infatti, si compie l’incontro con la misericordia ricreatrice di Dio da cui escono donne e uomini nuovi per annunciare la vita buona del Vangelo attraverso un’esistenza riconciliata e riconciliatrice”.

inizio pagina

Papa a valdesi: differenze non impediscano di operare uniti per i poveri

◊  

Papa Francesco, “in segno della sua spirituale vicinanza” ha inviato il suo “cordiale e beneaugurante saluto” ai partecipanti al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi apertosi ieri a Torre Pellice, in provincia di Torino.

In una lettera a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Papa assicura “un particolare ricordo nella preghiera ed invoca dal Signore il dono di camminare con sincerità di cuore verso la piena comunione per testimoniare in modo efficace Cristo all’intera umanità, andando insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi per trasmettere loro il cuore del Vangelo”.

Il Papa auspica che “le differenze tra cattolici e valdesi non impediscano di trovare forme di collaborazione nell’ambito dell’evangelizzazione, del servizio ai poveri, agli ammalati, e ai migranti e nella salvaguardia del Creato”. Infine, invoca lo Spirito Santo affinché “ci aiuti a vivere quella comunione che precede ogni contrasto e ci ottenga dal Signore la sua misericordia e la sua pace”.

Nel marzo scorso, per la prima volta nella storia, una delegazione ufficiale delle Chiese metodiste e valdesi era stata ricevuta in Vaticano dal Papa. L’anno precedente, il 22 giugno 2015, Papa Francesco, primo pontefice della storia, si era recato in visita nel Tempio valdese di Torino.

inizio pagina

Conferenza Istituti secolari: non ripiegarsi su contesti più facili

◊  

Formazione e identità al centro dell’Assemblea generale della Conferenza mondiale degli Istituti secolari in corso a Roma da ieri fino al prossimo 25 agosto. L’appuntamento, a cadenza quadriennale, prevede l’elezione per il rinnovamento del consiglio esecutivo e del consiglio di presidenza e vede la partecipazione di oltre 140 persone provenienti da tutto il mondo. Ma cos’è un istituto di vita secolare e quali le sfide oggi? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Giorgio Maria Mazzola, consigliere di presidenza alla Conferenza: 

R. – L’istituto secolare è un istituto di vita consacrata, che riunisce laici e presbiteri, i quali accolgono il cammino dei consigli evangelici nella Chiesa, ma intendono vivere questo cammino nel mondo e - direi - a partire dal mondo. E’ una vocazione, quindi, che riunisce laici che vivono della loro professione nel loro contesto di vita, nella loro famiglia di origine, che comunque rimangono assolutamente nel loro contesto di vita consueto e sono testimoni della vita consacrata in quel contesto, per far capire come il mondo è davvero amato dal Signore tutto intero. Ogni realtà umana è un modo di dar gloria a Dio.

D. – Verginità, povertà e obbedienza: i tre pilastri…

R. – Sì, i tre consigli evangelici fondamentali sono anche quelli degli istituti secolari. Ad un membro dell’istituto secolare non è richiesto di lasciare i beni, ma piuttosto di amministrarli e soprattutto di non attaccare il cuore a quei beni. Anche in questo, quindi, può essere una testimonianza importante.

D. – Quest’anno riflettete in particolare sui temi della formazione e dell’identità. Perché questi temi sono tanto importanti?

R. – La formazione, perché come Papa Francesco ha detto: “Voi siete senza vita in comune, senza opere visibili…”. La nostra vera opera, la nostra vera e unica opera dovrebbe essere la formazione. E bisogna capire come vivere diverse realtà professionali, amministrative, politiche, da cristiani. Per quanto riguarda il tema della identità, gli istituti secolari devono in qualche modo recuperare la loro identità originaria. Anche noi, un po’ come tanta parte della Chiesa, stiamo correndo questo rischio di ripiegarci su contesti più facili, su contesti più protetti, su attività infra-ecclesiali. Naturalmente noi dobbiamo servire la Chiesa, ma il primo modo per farlo è quello di vivere davvero nel mondo e del mondo. Un’evangelizzazione che passa soprattutto dal modo di fare, più che dalle parole. Però è un’evangelizzazione importantissima, perché appunto è inserita in contesti normali: del lavoro, della politica, dell’amministrazione. Il nostro modo di evangelizzare, quindi, è soprattutto quello e direi anche quello di constatare come spessissimo la vita contenga già degli elementi di vita evangelica, che vanno solo riconosciuti, perché lo Spirito agisce dove vuole e come vuole.

D. – Non c’è un segno esteriore, un abito che vi contraddistingue: il vostro “essere presenti” tra la gente, porta alla luce, secondo lei, un desiderio di Dio da parte degli uomini e delle donne che incontrate?

R. – Questo dipende da quanto siamo fedeli. Se siamo fedeli, certamente sì. Devo dire che nella mia vita è successo più di una volta che delle persone avessero intuito qualcosa. Ricordo proprio delle manifestazioni di qualcuno che diceva: “Il tuo modo di fare è pacifico, sai tenere un occhio più distante, sereno, rispetto a quanto che sta succedendo”. Tra l’altro, devo dire, nella mia vita questo è successo più frequentemente con non credenti.

D. – Lo ha potuto sperimentare in ambito professionale, lavorativo?

R. – Sì, in queste persone, una volta che intuiscono che c’è questo tipo di scelta, ho notato una curiosità positiva. Queste persone sono contente della nostra presenza, semplicemente.

D. – In un mondo che tende a relegare l’aspetto religioso nel privato, che cosa vuol dire testimoniare, far parte di un istituto secolare?

R. – Questa è esattamente la questione che, se vogliamo, ha dato vita a questa intuizione degli istituti secolari, cioè quella di mostrare concretamente come fede e vita possano stare assieme.

D. – E’ quindi una vocazione fortemente legata alla realtà di oggi…

R. – Sì, è fortemente attuale. Quando uno consegna la propria vita al Signore in questo modo, consegna anche i risultati, cioè non si attende grandi ritorni. A mio modo di vedere, questa vocazione è attualissima.

inizio pagina

Papa nomina mons. Banach nunzio apostolico in Guinea Bissau

◊  

Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Guinea Bissau l’arcivescovo Michael W. Banach, nunzio apostolico in Senegal e in Cabo Verde e delegato apostolico in Mauritania.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Merkel, Renzi e Holland a Ventotene per rilanciare l'Ue

◊  

Sull’isola di Ventotene su apre il vertice tra Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande per mettere a punto il rilancio dell’Unione Europea dopo la Brexit. Sul tappeto dei colloqui di oggi pomeriggio anche crescita, lavoro, flessibilità, sicurezza, governance e immigrazione. Il servizio di Marco Guerra: 

I leader dei tre principali Paesi dell’Unione Europea si incontrano per dare una risposta alla profonda crisi di fiducia nelle istituzioni comunitarie culminata con il referendum dello scorso giugno che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. I dossier in agenda sono gli stessi del precedente incontro a Berlino: sicurezza e difesa, crescita e investimenti, la crisi migratoria. Temi che saranno discussi alla luce dei fatti recenti che hanno segnato l’estate come le relazioni Ue-Turchia, il fronte libico e l’evoluzione della guerra in Siria. Centrale sarà poi ancora la questione della flessibilità sul bilancio e dell’uscita dall’austerity. Circa 150 giornalisti imbarcati in mattinata sulla nave Garibaldi, dove alle 18 è prevista la conferenza dei tre leader. Renzi, Merkel e Hollande si sposteranno sulla portaerei della Marina italiana dopo aver visitato la tomba di Spinelli a Ventotene, il politico italiano considerato uno dei "padri" dell'Europa unita per aver redatto nel 1941 un manifesto per un’Europa federale. Per un’analisi, sentiamo Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università di Milano:

R. – Io credo che quello che sia successo negli ultimi anni, e non solo negli ultimi mesi con la Brexit, sia una riduzione dell’attenzione, anche da parte dei leader politici, alle ragioni per cui l’Europa era stata costituita. Il Manifesto di Ventotene rappresentava una proposta politica che metteva insieme le necessità che i Paesi europei avrebbero avuto, dovendo camminare insieme alla fine della guerra, e alcune soluzioni tecniche per gestire la solidarietà necessaria. Si cominciò a ragionare di integrazione economica e sociale. Anche nella retorica, non si è più detto quanto facciamo, dal punto di vista sociale, in comune. Ci siamo esclusivamente concentrati sulla retorica dell’unità monetaria e soprattutto ci siamo assolutamente allontanati nella capacità di camminare insieme per cercare delle soluzioni. Il prezzo di questo atteggiamento è stata la Brexit e lo scetticismo che in questo momento esiste intorno all’idea di Unione Europea.

D. – Quanto influirà la mancanza di Londra nelle decisioni per il futuro dell’Europa?

R. – Potrebbe non influire moltissimo. In passato, in realtà, la Gran Bretagna non ha partecipato al processo di costruzione europea: la partecipazione britannica è stata sempre un po’ a corrente alternata. È chiaro che un’Europa senza la Gran Bretagna è qualcosa di ridotto: l’Europa vede la Gran Bretagna come uno dei suoi componenti fondamentali. Tuttavia, credo che quest’Europa possa ricominciare un’azione di ricostruzione. Il problema è essere molto attenti a che un vertice a tre non sia un vertice visto per occupare delle posizioni e per dire “siamo noi quelli che contiamo” – perché questo avrebbe come effetto solo quello di un’ulteriore sensazione di esclusione per gli altri Stati – ma deve essere invece costruito e declinato in termini di: “Facciamo delle riflessioni su quale ruolo possiamo giocare per metterci al servizio di tutti gli altri”. Questo è esattamente quello che non è avvenuto quando, a partire dalla crisi greca, i Paesi più ricchi hanno detto: “Non paghiamo noi i conti di chi ha gestito male le proprie economie”. Un atteggiamento simmetricamente diverso potrebbe, viceversa, essere l’ossigeno che gli ridà un’opportunità.

D. – Nuova governance, immigrazione, rilancio dell’economia: sono tra i punti principali sul tappeto del vertice di oggi. Cosa bisogna fare e quali sono stati gli errori del passato?

R. – Effettivamente, queste sono probabilmente le tre priorità. Aggiungerei anche la necessità di mostrare come l’Europa giochi oggi un ruolo rilevante dal punto di vista sociale. Pensiamo a quante risorse sono state trasmesse negli anni attraverso i vari fondi sociali. Dal punto di vista strettamente economico, abbiamo bisogno di fare investimenti in alcune fasce sociali, mi riferisco in modo particolare al tema dell’occupazione giovanile. Abbiamo bisogno di chiarezza dal punto di vista della solidarietà finanziaria e questo è ciò che è mancato di più ed è ciò che è più assolutamente grave. Manchiamo poi tuttora di una politica comune sulla questione dei profughi e delle migrazioni. E questo è qualcosa su cui bisogna sicuramente lavorare e investire.

D. – L’Europa ha davanti a sé, sull’altra sponda del Mediterraneo, diversi focolai: Siria, Libia… Come rispondere a queste crisi del Medio Oriente?

R. – Noi ci siamo dati, anche istituzionalmente, una figura di esempio, di un personaggio che rappresenti l’unità della politica estera europea. Questo posto è in questo momento occupato da Federica Mogherini. Ma il problema è che è molto difficile, da parte dei Paesi più forti, superare i desideri del giocare un proprio ruolo in autonomia. E questo è l’elemento sicuramente più difficile da superare.

D. – Ventotene è una delle culle dell’Europa unita sognata dai Padri fondatori. Un sentimento di appartenenza comune deve essere alimentato anche da questi simboli…

R. – Penso di sì. Noi oggi abbiamo la tentazione di pensare che quest’identità condivisa non sia percepita o sentita dai cittadini europei. Sicuramente, abbiamo bisogno di rilanciarla. Ventotene è un simbolo positivo, anche se non so in realtà quante persone sappiano che cosa sia il “Manifesto di Ventotene”. Ora abbiamo bisogno di rilanciare questi simboli, non però cercando di far vedere che noi siamo come i nostri Padri “bravi”, ma cercando di attualizzare anche dei messaggi e dei simboli, che possano incontrare la sensibilità della gente nel momento in cui uniscono al messaggio formale anche un gesto concreto. Questo permette di costruire anche una retorica che è quella di un’Europa che è capace di accogliere: accogliere i più vulnerabili stranieri, e accogliere e fare spazio ai più vulnerabili europei.

inizio pagina

Siria. Staffan De Mistura (Onu): fermare le bombe su Aleppo

◊  

In Siria non si fermano gli scontri ad Aleppo: ieri almeno 25 persone, tra cui due bambini, sono rimaste uccise nei bombardamenti. L'Onu chiede una tregua umanitaria per la città che dal 2012 è divisa in due zone: quelle occidentali controllate dai governativi e quelle orientali occupate dalle varie fazioni ribelli. Luca Collodi ha intervistato l'inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan De Mistura, presente a Rimini per il Meeting promosso da Comunione e Liberazione: 

R. – La popolazione della città, dall’una e dall’altra parte – parliamo di due milioni di persone – ha bisogno di aiuto, ma soprattutto di una tregua. Ambedue le parti della città sono bombardate dall’una e dall’altra parte. La parte Est perché da più di quindici giorni ha la strada tagliata; la parte Ovest perché da ormai un mese è in piena zona di conflitto.

D. – Non c’è il rischio che questa tregua possa portare al riarmo le due parti in conflitto?

R. – C’è sempre questo rischio. Ed è il motivo per il quale attualmente quello che abbiamo chiesto è che non si chiami “tregua”, ma “pausa”: è una pausa dai combattimenti per 48 ore ogni settimana. Non è ancora la tregua di Aleppo, ma almeno dà respiro, ossigeno, alla popolazione; perché ci dia il tempo di organizzare una vera tregua.

D. – Le Nazioni Unite sono preoccupate per l’aspetto umanitario della città di Aleppo…

R. – Enormemente. Parliamo di due milioni di persone e di 140mila bambini: bambini come Omran. E parliamo del fatto che l’acqua era diventata e può ridiventare un problema. Siamo ancora in un clima caldo: medicinali, ospedali colpiti, cibo che non arriva nella parte Est ed è molto caro nella parte Ovest. È una popolazione che ha subito già cinque anni di guerra.

D. – L’esito del dialogo tra Russia, Turchia e Iran può cambiare il corso della guerra ad Aleppo, in Siria?

R. – Ogni dialogo è utile. Il vero problema è che finora c’erano vari dialoghi e varie agende.

D. – È possibile oggi distinguere tra ribelli e jihadisti?

R. – Si deve distinguere e sono loro stessi che devono distinguersi. 

inizio pagina

Turchia, intreccio di alleanze e inimicizie dietro nuovo attentato

◊  

Con 54 morti, molti dei quali bambini, e oltre 90 feriti, si aggrava il bilancio della strage di Gaziantep, nel Sud della Turchia, avvenuta sabato durante una festa di nozze curde. Il presidente Erdogan punta il dito contro il sedicente Stato Islamico, pur non risparmiando critiche al Partito dei lavoratori curdi, il PKK, e a Fetö, l’organizzazione legata a Gülen, il magnate turco in autoesilio negli Usa e accusato di essere dietro il fallito golpe del luglio scorso. Eugenio Murrali ha chiesto ad Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, un’analisi della complessa situazione politica turca:  

R. – La situazione è confusa. Erdogan in questo momento, secondo me, non sa da che parte guardare: dopo aver trafficato con l’Is, dopo aver creato scandali finanziari, oggi si mette dalla parte di una presunta legalità; si è legato a Putin dopo averlo accusato di essere l’origine di tutti i mali, si è avvicinato ad Assad, si è irritato molto con gli Stati Uniti, ricatta l’Europa … Insomma, che cosa vuole? A meno che, in questo momento, non abbia la sufficiente freddezza per gestire il potere. Ecco perché in un Paese fondamentale come la Turchia una situazione di stallo, con un’opinione pubblica molto spaventata, con i curdi che rivendicano anche una certa autonomia che forse avrebbero dovuto avere addirittura nel 1923 - quando gli era stata promessa - la situazione è pericolosissima. Non dimentichiamo che Erdogan è stato, dopo Turgut Özal, l’unico leader che ha teso la mano proprio a questa importantissima minoranza, almeno fino a quando è esplosa la guerra in Siria e sono esplose tante contraddizioni e soprattutto si è presentato all’orizzonte un partito curdo, ma aperto a tutte le forze del dissenso – il partito di Demirtas, l’Hdp –, che riuscendo a superare la barriera del dieci percento e con successivo ingresso in parlamento, ha calamitato molte voci del dissenso contro il suo strapotere. Quindi hanno impedito, per il momento, che si arrivasse ad una legge che dava al presidente della Repubblica i poteri di una repubblica presidenziale.

D. - Nell’attentato a Gaziantep i morti sono soprattutto curdi. Questo può essere effettivamente considerato una vendetta dello Stato islamico che si sta indebolendo sul terreno e quindi delocalizza le sue azioni per  mostrare muscoli che forse non ha più?

R. - Assolutamente sì. Qui abbiamo una situazione di guerra dove amicizie e alleanze si capovolgono, cambiano... Non sai bene più quali e dove siano i punti di riferimento. In effetti, i curdi sono i nemici primi dell’Is, perché hanno combattuto sul terreno; sono un popolo fiero, disperso in cinque Paesi e costituiscono il più grande popolo al mondo senza avere diritto al proprio Stato. Dall’altra parte è un messaggio anche nei confronti di Erdogan, il quale fino a poco tempo fa trafficava proprio con l’Is per il petrolio al mercato nero. In questo momento vedo proprio una Turchia nel vuoto dell’incapacità di avere una linea, di avere una strategia credibile e di contare soltanto sulle minacce, sul carisma di Erdogan, che però riesce a consolidarsi soltanto con un clima che non mi pare assolutamente democratico.

D. - Quali posizioni sta prendendo Erdogan rispetto alla questione siriana?

R. - Il contrario di quello che diceva prima. I filmati dove si vedevano agenti dei servizi di sicurezza turchi che accompagnavano dei carichi di armi pesanti destinate a al-Nusra e all’Is; in quel momento Erdogan, che cosa diceva? Diceva che bisogna abbattere Assad. Oggi il fatto che Erdogan, su pressioni della Russia, è pronto a dire: “Io non sono assolutamente contro il regime di Assad; almeno per ora ce lo dobbiamo tenere e poi vedremo dopo”, ha sconcertato tutti. Anche questa può essere la ragione della vendetta dell’Is che si sente tradito e temo che non sarà nemmeno l’ultima vendetta di quest’Is indebolita sul campo ma ancora forte sulla capacità di attrarre simulazione.

D. - C’è poi la posizione di Erdogan di fronte all’Unione Europea. Quali previsioni si possono fare su questo accordo che rischia di saltare?

R. - Questa questione è veramente difficile. È chiaro che con la prudenza dell’Unione Europea nei confronti di questo golpe, che è durato meno del concerto di Bruce Springsteen, non credo sia in grado di rianimare davvero il negoziato con Turchia per il suo futuro ingresso, però ha senso la forza del ricatto che la Turchia può porre all’Europa: “Vi inondo di profughi”. Con Erdogan si dovrà discutere. È evidente che non si possono accettare ricatti, non si può dire: “Accettiamo, però, fai quello che ti pare nel tuo Paese anche se non rispetti i diritti umani”. L’Unione Europea se vuole continuare ad essere un’istituzione credibile, non può prescindere dai suoi principi: il rispetto dei diritti umani è sacrosanto! Se l’Unione Europea venisse a tradire questo principio, credo che si indebolirebbe fino ad un’autodistruzione.

inizio pagina

Guerra tra estremisti islamici: al Qaeda con i talebani contro l'Is

◊  

E' sempre più guerra tra gruppi estremisti musulmani in Afghanistan e non solo. Il leader di Al Qaeda, al-Zawahiri, esorta i suoi miliziani a combattere uniti ai talebani per sconfiggere il sedicente Stato Islamico. Sul significato di questa spaccatura che potrebbe avere risvolti importanti sul terreno, Giancarlo La Vella ha intervistato il giornalista Camille Eid, esperto di questioni arabe e islamiche: 

R. – La corsa alla legittimità jihadista non è ancora terminata e assistiamo ormai da più di due anni a un frenetico confronto tra i due maggiori gruppi: l’Is, da una parte, e al Qaeda, dall’altra, che si gioca soprattutto sugli stessi territori e si traduce con la spaccatura in due rami di quasi tutti i maggiori movimenti islamici che noi conosciamo.

D. – Ci sono particolari interessi dietro a questo confronto? Cioè, che cosa sta perseguendo al Qaeda insieme ai talebani, e dall’altra cosa sta perseguendo l’Is?

R. – Gli interessi ci sono, però, prima di tutto, viene la questione ideologica. Chiaramente, nessuno dei gruppi mette in discussione la necessità di creare un Califfato, però al Qaeda parla di priorità che l’Is non rispetta: cioè, invece di concentrarsi contro l’Occidente ritenuto miscredente e ateo, attacca le moschee sciite e le minoranze musulmane che vivono in Medio Oriente. Quindi, la lotta è soprattutto sul piano dottrinale e dopo di questo ci sono certamente gli interessi economici e di altro tenore.

D. – Questo rispecchia anche un confronto tra gli attori che in questo momento operano nel Medio Oriente allargato?

R. – Sì: tutto questo rende il quadro ancora più complesso, nel senso che abbiamo uno sdoppiamento di tutti i movimenti. Nello Yemen abbiamo un ramo che segue al Qaeda e altri che sono fedeli al Califfato; in Siria, c’è stata l’uscita di scena del mese scorso con la separazione consensuale del Fronte al Nusra che ha preso le distanze da al Qaeda; poi abbiamo Boko Haram che si è unito all’Is. La stessa al Qaeda, sia in Pakistan che in Afghanistan, ha assistito alla nascita di un gruppo fedele all’Is. Quindi, non sappiamo se poi questo sdoppiamento porterà in futuro anche a una lotta armata tra i due rami: non è da escludere …

inizio pagina

Palestina. A rischio la Scuola di Gomme, ospita 178 bambini

◊  

Rischia di chiudere, in Palestina, nel villaggio beduino di Khan al Ahmar, la Scuola di Gomme, realizzata nel 2009 dalla Ong italiana "Vento di Terra". La scuola primaria, senza fondamenta e costruita con l’utilizzo di pneumatici usati, ospita otto classi con 178 bambini, ma l’esecutivo israeliano – la cui decisione è prevista per il 23 agosto – da tempo la vorrebbe demolire e questo significherebbe per i bambini avere la struttura più vicina a 7 km di distanza e rischiare di non poterla raggiungere e perdere il diritto all’istruzione. Salvatore Tropea ne ha parlato con Serena Baldini, vicepresidente di "Vento di Terra": 

R. – Siamo tutti un po’ in attesa di sapere che cosa dirà effettivamente domani la Corte suprema, ma sicuramente si sono mosse delle cose. Il nostro Consolato, con il quale noi siamo in contatto fin dai primi giorni, ha dato il suo parere contrario allo spostamento della scuola. Questa posizione è stata confermata anche dal Ministero degli esteri. Per cui, da parte italiana si stanno muovendo delle cose. Ci è stato riferito che il nostro primo ministro dovrebbe aver fatto una telefonata al primo ministro israeliano per ribadire, appunto, la contrarietà alla decisione presa. Per cui, sappiamo che dietro alla decisione di domani della Corte suprema c’è del movimento. Tra l’altro, la decisone era prevista per lo scorso 16 agosto e nel frattempo è stata rimandata. Anche questo ci fa pensare che la pressione esercitata da parte italiana a livello del nostro governo abbia in qualche modo mosso le cose. Quello che noi stiamo facendo in loco è stare molto vicini alla comunità, perché più si muovono cose intorno alla scuola, più c’è presenza della società civile e della comunità internazionale, più si può pensare che la decisione di demolirla non venga effettivamente presa. Lo scorso 17 agosto è iniziato in anticipo l’anno scolastico. In questi giorni, in qualche modo stiamo coordinando presenza protettiva alla scuola anche insieme ad altre ong italiane, organizzazioni internazionali, però, appunto, siamo tutti in grande attesa. Qualcosa ci fa sperare che se non altro la demolizione verrà rimandata.

D. – Come stanno procedendo le attività della scuola e quale l’alternativa in caso di definitiva demolizione?

R. – In questi giorni, l’attività della scuola sta andando avanti in maniera assolutamente regolare perché, appunto, lì l’anno scolastico è ufficialmente cominciato prima proprio perché era importante che la scuola fosse piena di persone. Se la scuola venisse demolita – noi ci opponiamo proprio a questo – i bambini non avrebbero modo di andare a scuola. Quello che dicono le parti israeliane è che non verrebbe solo demolita, ma anche riposizionata in un’altra comunità, ma è già stato fatto il nome di una comunità che non è vicina, dista circa 7 km. Sappiamo che i bambini delle comunità beduine si spostano a piedi: si tratta di bimbi di scuola primaria, quindi anche piccoli, che non possono fare 7 km in un territorio dove, tra l’altro, non ci sono strade.

D. – Oltre alla scuola di gomma, attualmente qual è la situazione generale e il clima che si respira in quei territori?

R. – Arriviamo alla ragione reale per cui di fatto la scuola vorrebbe essere demolita. Ci troviamo in "Area C", un‘area della Palestina – della Cisgiordania in particolare – molto estesa. E' un’area dove vivono palestinesi ma dove l’autorità è completamente israeliana. Ed è questo il motivo dei forti vincoli che ad esempio vengono imposti. Di fatto, non si possono costruire edifici permanenti utilizzando cemento e con fondamenta. La scuola di gomma è fatta di gomme proprio per questo. L’"Area C" è di forte espansione coloniale e sono decenni che Israele sta ampliando le colonie. Attualmente tutte le comunità beduine, soprattutto dell’area intorno a Gerusalemme, sono sotto quello che viene chiamato “Forced displacement plan”, cioè un Piano di spostamento forzato. Quindi, la sensazione è che la vera ragione è che quell’area sia chiave e quindi rientri un po’ in un contesto di spostamento delle comunità beduine che ormai va avanti da decenni e che vedrebbe il loro ricollocamento in aree vicine a centri urbani. Quindi, tenderebbe a urbanizzare un po’ le comunità beduine però, appunto, vorrebbe liberare il territorio che queste occupano per favorire l’espansione coloniale. Quindi, pensiamo anche che se la scuola venisse demolita, con buona probabilità poi tutta la comunità verrebbe forzatamente spostata. Siamo molto consapevoli che si tratta di una questione chiave che riguarda un po’ in generale la situazione geopolitica della Cisgiordania oggi.

inizio pagina

Concluse le Olimpiadi di Rio. Arrivederci a Tokyo nel 2020

◊  

Dopo 17 giorni di gare e medaglie si sono concluse le Olimpiadi di Rio de Janeiro, i primi Giochi in terra sudamericana. Come è tradizione, nella cerimonia di chiusura la bandiera cinque cerchi è stata consegnata dal Brasile al Giappone, che ospiterà la prossima edizione a Tokyo nel 2020. Il servizio di Giancarlo La Vella

Le bandiere degli oltre 200 Paesi partecipanti, tutte insieme nello storico Stadio del Maracanà, a conclusione dei Giochi Olimpici del Brasile, al ritmo del samba, dei colori e dei suoni che proverbialmente caratterizzano la cultura carioca. Contro la crisi economica e politica che la Nazione sta attraversando, sono state Olimpiadi credibili, forse non epiche, senza molti record mondiali, ma per questo più umane.

Dal punto di vista agonistico, a parte i due marziani, il nuotatore statunitense Phelps e il velocista jamaicano Bolt, ricorderemo immagini particolari: la prima medaglia del Kosovo, la partecipazione del Sud Sudan, il selfie delle due atlete del Nord e del Sud della Corea, divise da un confine che esiste ormai solo nella testa dei politici, la fondista neozelandese che, durante la gara, si è fermata per aiutare l’atleta statunitense infortunata, ricevendo in premio comunque l’ammissione alla finale.

Ma ricorderemo anche gli aspetti meno positivi, come il judoka egiziano che non ha voluto stringere la mano a quello israeliano, a dispetto di quella pax olimpica che tutti vorremmo, ma che fatica oggi ad affermarsi. La chiusura, con lo spegnimento del braciere olimpico, all’insegna della continuità dei valori più alti dello sport, con il tradizionale passaggio del testimone a Tokyo, che ospiterà i prossimi Giochi nel 2020. I cinque cerchi, che rappresentano i continenti, continuano ad essere inevitabilmente legati l’uno all’altro.

inizio pagina

Pellegrinaggio mariano nazionale in Benin

◊  

Si è conclusa ieri, domenica 21 agosto, la 62.ma edizione del pellegrinaggio mariano nazionale del Benin nel Santuario di Dassa-Zoumé, uno dei maggiori appuntamenti per i cattolici del Paese. Ce ne parla Jean-Baptiste Sourou: 

Come tutti gli anni, nella domenica dopo l’Assunta, i fedeli cattolici del Benin si sono recati numerosi al Santuario di Nostra Signora di Arigbo a Dassa-Zoumé. Erano più di 15.000, molti dei quali provenienti dai Paesi limitrofi, come il Togo, la Nigeria, il Niger, il Burkina Faso, la Costa d’Avorio, e persino dalla Francia e dall’Italia.  Alcuni dei pellegrini erano lì già da venerdì scorso per prepararsi alla preghiera, all’ascolto della Parola, delle catechesi, e per la celebrazione dei sacramenti. Il tema di quest’anno è stato “Maria, Mater Misericordiae”: Maria, madre della Misericordia.

L’ospite d’onore della Conferenza episcopale del Benin è stato il cardinale Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou, in Burkina Faso. E’ stato lui a presiedere la solenne concelebrazione eucaristica di domenica, a cui hanno partecipato tutti i vescovi del Benin, il nunzio apostolico nel Benin e nel Togo, mons. Brian Udaigwe, e circa 500 presbiteri. Nell’assemblea erano presenti anche dei membri del governo, deputati e capi tradizionali.

L’omelia del cardinale Ouédraogo si è suddivisa in tre momenti: l’universalità della salvezza portataci da Cristo, le condizioni di accesso al Regno di Dio e la figura di Maria, Madre di Misericordia e Stella che brilla sul nostro cammino.

Il porporato ha ribadito che "non è l’appartenenza ad un popolo, ad una razza o a una pratica religiosa, che ci dà la garanzia di entrare nel Regno di Dio. Non ci si può avvalere di presunti legami con Gesù, come l'aver mangiato con lui, predicato nel suo nome o l'aver esercitato delle responsabilità ecclesiali. L’accesso al Regno di Dio sarà concesso solo a coloro che nella loro vita avranno fatto del bene. Rivendicare il titolo di discepoli di Gesù, dirsi cristiani, non serve a niente se non cambiamo atteggiamento, se non ci convertiamo per vivere secondo il Vangelo dell’amore e della misericordia”, ha ricordato ai fedeli. “Il discepolo, il cristiano autentico” - ha aggiunto - “è colui che si sforza di entrare dalla porta stretta, vivendo secondo i valori del Vangelo di amore e di misericordia, secondo l’insegnamento della Chiesa, la volontà di Dio e i suoi comandamenti”.

Proseguendo l’omelia, il cardinale Ouédraogo ha ribadito che “l’universalità del dono della Salvezza va di pari passo con l’esigenza di rispondere alla chiamata di Dio con una vita di abbandono alla grazia. E in questo senso tutto l’insegnamento della Parola di Dio di questa domenica si condensa nella figura della Beata Maria, Nostra Signora di Arigbo, che egli ha chiamato 'Madre della Misericordia, Stella che brilla sul nostro cammino'”.

Il celebrante ha esortato i pellegrini a “donare, sull’esempio di Maria, agli uomini del nostro tempo la possibilità di contemplare e sperimentare attraverso le opere di misericordia, quella presenza amorevole di Dio che cambia la vita, come ci raccomanda il Santo Padre, in maniera particolare durante questo Giubileo della Misericordia”.

Le offerte sono state portate all’altare in una processione di danze e canti tradizionali, offrendo cosi un tocco d’inculturazione. Al termine della Messa, animata da vari cori in diverse lingue, provenienti da tutte le diocesi del Benin, molti fedeli si sono fermati per le devozioni personali o comunitarie fino a tarda serata.

inizio pagina

La Settimana teologica del Meic dedicata alla corruzione

◊  

Dal 22 al 26 settembre, al monastero di Camaldoli, si svolgerà la Settimana teologica promossa dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic). Il tema scelto nell'anno del Giubileo è la corruzione: “La ruggine della vita, la piaga della società: nessuna speranza per corrotti e corruttori?”. I lavori si propognono di indagare come il credente possa affrontare questa piaga sociale, diventata purtroppo un diffuso malcostume sociale. Maria Carnevali ha intervistato Giuseppe Elia, presidente del Meic: 

R. – La Settimana teologica del Meic è un’iniziativa che ripetiamo ogni anno e ogni volta è dedicata a un tema differente. Quest’anno, è dedicata al tema della corruzione che sarà esaminato da vari punti di vista: sotto il versante teologico nella prima giornata, poi quello biblico e della spiritualità. Poi, ci sarà una riflessione di natura teologico-morale e infine una lettura di tipo politico sociale.

D. – Perché quest’anno è stato scelto il tema della corruzione? Come è legato all’indizione dell’Anno della Misericordia?

R. – A noi pareva importante affrontare questo tema per il fatto che la questione della corruzione è diventata molto rilevante all’interno della realtà del nostro Paese e che è stata ampiamente richiamata da Papa Francesco in molti suoi interventi. Ci sembrava importante riflettere su questo tema proprio in questo Anno dedicato alla misericordia perché è solo riconoscendo la complessità del problema che si può poi avviare un vero percorso di riconciliazione e di misericordia.

D. – Come affrontare la tematica della corruzione dal punto di vista della fede? Come curare spiritualmente questa piaga della società?

R. – Noi abbiamo deciso di affrontare questo tema anche per una ragione: il rischio della corruzione è un rischio sempre presente nella vita di ogni persona e nella vita di ogni cristiano. Quindi, credo che una forte riflessione, anche a partire dai grandi temi della spiritualità, ci possa aiutare a comprendere fino in fondo i pericoli che noi corriamo e anche individuare dei percorsi che siano di conversione nelle nostre comunità, delle nostre associazioni e anche percorsi di conversione personale.

D. – La corruzione troppo spesso entra nelle pratiche di vita quotidiana, così come nelle dinamiche istituzionali e pubbliche. Qual è l’origine del comportamento corrotto?

R. – Credo che il problema della corruzione abbia cause molto, molto complesse che vanno indagate nel fatto che le persone hanno scarsa sensibilità dal punto di vista delle relazioni interpersonali e quindi la tendenza fortissima anche all’individualismo, alla preminenza della soggettività rispetto alla dimensione comunitaria, porta a comportamenti che sono legati anche alla corruzione. Credo però che il problema sia più complesso perché dietro, oltre i comportamenti di tipo personali, ci sono delle situazioni di corruzione più ampie che riguardano le stesse istituzioni e le forme di vita comunitaria.

D. – Di quali armi il credente si deve dotare per affrontare situazioni in cui le scorciatoie sembrano inevitabili o in cui è vittima di corruzione?

R. – Io credo che il credente abbia in sa un’arma potentissima: il valore profondo della sua fede, della fede cristiana. Credo che, mantenendo fede a questa nostra originaria vocazione, noi possiamo trovare, individuare, identificare le armi per superare e per vincere anche le tentazioni di corruzione.

D. – Come questo fenomeno può derivare dalla secolarizzazione e dal non riconoscere più Dio come un Padre che provvede?

R. – Certamente, certi fenomeni di secolarizzazione che noi vediamo sono in qualche misura all’origine della corruzione. Ritengo che anche nel mondo laico ci sia una forte esigenza di recuperare quei valori di solidarietà che, quando mancano, si favoriscono questi fenomeni di corruzione.

D. – Avete delle proposte politico-sociali per combattere la corruzione a tutti i livelli?

R. – Questo è un aspetto che credo indagheremo maggiormente nella Settimana teologica. Occorre un lavoro molto, molto forte anche sul piano culturale, educativo. Credo che questi siano terreni su cui bisognerà misurarsi nel prossimo futuro. Attraverso delle norme o leggi più severe non si può risolvere un problema che invece può essere anche molto radicato all’interno della vita quotidiana e appartenere a modi di vita che devono essere profondamente e riformati.

inizio pagina

Meeting Cl, una mostra racconta il dramma dei migranti

◊  

Una mostra sui migranti non per fare sociologia ma per guadare direttamente i visi di chi si imbarca nel dramma di uno spostamento senza garanzie e dallo sguardo a questi volti sentirsi coinvolti e interrogati. Sono alcune delle intenzioni di fondo con le quali, al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini, è stata allestita l’esposizione dal titolo "Migranti, la sfida dell'incontro”. L’inviato al Meeting, Luca Collodi, ne parla con il curatore, Giorgio Paolucci

R. – Sì, non avevamo la pretesa di offrire ricette e soluzioni di fronte a un problema davanti al quale le cancellerie internazionali, i governi, i partiti, l’opinione pubblica, gli esperti sono divisi. Avevamo solo una pretesa: quella di offrire uno sguardo e una posizione umana che è quella che ci indica Papa Francesco quando dice che dietro al problema dei migranti, al problema dell’immigrazione, ci sono anzitutto nomi, volti, storie. Quindi, prima che numeri ci sono persone da guardare in faccia. Se incominciamo da questo sguardo, è possibile costruire delle soluzioni.

D. – La mostra propone storie umane dei migranti…

R. – Sì, propone storie umane proprio perché è a partire dalla conoscenza di queste storie e non da un giudizio generico, sociologico, politico o statistico che è possibile immaginare e incominciare a costruire delle soluzioni: a partire da questa dinamica dell’incontro che Papa Francesco continua a proporci. E sono le esperienze e le storie che attraverso i video, i pannelli, attraverso le persone che abbiamo invitato anche in questa mostra, vengono offerte ai visitatori.

D. – Entrando nella mostra, il visitatore diventa un migrante…

R. – Sì. Proponiamo quello che abbiamo chiamato un percorso di immedesimazione, cioè vogliamo immedesimarci e capire perché scappano, da dove vengono, cosa cercano e che cosa siamo in grado noi, realisticamente, di offrire a queste persone.

D. – La mostra riprende il messaggio del Papa al Meeting?

R. – Sì, lo riprende in molti spunti. Anche se l’abbiamo costruita prima, abbiamo visto che il messaggio che Papa Francesco ha mandato al Meeting è molto sintonico con le cose che avevamo immaginato, perché dice appunto che abbiamo bisogno dell’altro per capire di più chi siamo noi. La vera identità non è qualcosa di chiuso, di autoreferenziale, di statico, ma è qualcosa che si costruisce nell’incontro con l’altro. Scoprendo l’altro io sono indotto a scoprire di più chi sono io.

D. – La mostra sui migranti del Meeting manda anche un messaggio politico all’Europa…

R. – L’Europa, in questo momento, sta andando in ordine sparso: ogni Stato sta facendo una politica diversa rispetto al problema dell’immigrazione. C’è chi ha sospeso il Trattato di Schengen, c’è chi ha chiuso le frontiere, c’è chi ha alzato muri, c’è chi invece si dimostra più accogliente, come il nostro Paese o come la Grecia. Sta fallendo, però, un meccanismo di solidarietà e perché sta fallendo? Perché l’Unione Europea sta dimenticando i fondamenti da cui è nata, che sono grandi ideali di solidarietà, di accoglienza e di libertà e che sono i motivi per cui tanta gente aspira a vivere tra noi: perché non trova questi ideali realizzati nel suo Paese.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Filippine. Appello dei vescovi: no alla pena di morte

◊  

“Ribadire la scelta in favore della vita”: si intitola così il volume pubblicato dalla Pastorale carceraria della Conferenza episcopale filippina e dedicato alla giustizia ripartiva, contro la pena di morte. In 88 pagine, il libro offre informazioni di base, punti di vista ed analisi sui problemi legati alla pena capitale e sugli aspetti positivi, invece, della “giustizia che risana”.

Campagna educativa della Chiesa in favore della vita
“Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma della pena di morte – spiega Rodolfo Diamante, segretario esecutivo della Commissione episcopale per la Pastorale carceraria – Ci troviamo di fronte alla sfida di intensificare la campagna educativa della Chiesa in favore della vita”. Nelle Filippine, infatti, è in vigore un dibattito sulla pena di morte, rilanciato dall’elezione di Rodrigo Duterte a capo dello Stato. Il neo-presidente, infatti, si è impegnato a ripristinare la pena capitale per impiccagione, abolita nel 2006, per i reati di traffico di droga, stupro, omicidio e furto, così come ad autorizzare la polizia a sparare per uccidere nelle operazioni contro il crimine organizzato.

Un libro all’insegna della speranza
Il libro curato dalla Pastorale carceraria riporta anche diversi discorsi pronunciati del Papa Francesco contro la pena di morte ed in favore di trattamento più umano dei detenuti: l’auspicio, spiega Diamante, è che possa contrastare la “cultura della morte” dilagante nel Paese. Stampato in 3mila copie, il volume verrà distribuito presso tutte le istituzioni pubbliche. Da ricordare che non è la prima volta che la Chiesa filippina elabora un sussidio sulla pena di morte: già nel 1966, infatti, venne pubblicato un libro specifico, in occasione dell’approvazione della pena capitale, tramite iniezione letale, per i colpevoli di crimini efferati. (I.P.)

inizio pagina

Nigeria: inaugurato Centro interconfessionale “Pace e armonia”

◊  

Documentare sistematicamente le relazioni interreligiose per informare le politiche nazionali ed internazionali: è questo uno degli obiettivi del Centro Internazionale Interconfessionale Pace e Armonia (Centre for Inter-Faith Peace and Harmony, ICIPH) inaugurato venerdì scorso a Kaduna, in Nigeria, dal Consiglio cristiano della Nigeria e dal Jama’atu Nasril Islam. L’idea, riferisce il portale del Consiglio ecumenico delle Chiese (COE), è nata due anni fa da un forum tenutosi ad Abuja cui hanno preso parte una quarantina di leader musulmani e cristiani.

Un centro promosso da diversi leader religiosi
A promuovere il centro diverse personalità, fra cui il principe Ghazi di Giordania e il card. John Olorunfemi Onaiyekan che ha definito la struttura un potenziale modello per la risoluzione di conflitti in altre parti del mondo. All’inaugurazione, che ha avuto inizio con una preghiera musulmana e si è conclusa con una preghiera cristiana, ha preso parte il reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del COE. “Siamo venuti qui come pellegrini, musulmani e cristiani, a cercare la volontà di Dio per la giustizia e la pace - ha detto -. Questo potrebbe essere tra i luoghi di grande importanza storica per la nostra fede. Anche i luoghi in cui la santità della vita è minacciata, possono essere luoghi santi. Siamo oggi nella città a molti nota per scontri con connotazioni religiose. Ma ora Kaduna – ha aggiunto – sarà una città nota per la sua testimonianza di pace e l'armonia interreligiosa”. A Kaduna, nel corso degli ultimi decenni, più di 20.000 persone hanno perso la vita in vari conflitti, ma per il reverendo Tveit oggi la città “può essere un luogo sacro in un modo nuovo, portando una nuova visione e una nuova realtà di persone di fede che vivono insieme”.

Raccoglierà dati e informerà circa storie di violenza per dar voce a tutti
Per il Centro Internazionale Interconfessionale Pace e Armonia il COE e il Royal Aal al-Bayt Institute for Islamic Thought (RABIIT) cercheranno partner per raccogliere informazioni e dar vita ad un archivio – virtuale e in Nigeria – al fine di facilitare la condivisione di storie, permettere a quanti non hanno voce di essere ascoltati e registrare dati precisi circa episodi di violenza, online o telefonicamente. Il segretario generale del COE ha definito il centro non semplicemente un edificio “ma un catalizzatore per il cambiamento e speranza per il futuro”. Moustafa Elqabbany, rappresentante del principe Ghazi di Giordania, ha invece sottolineato quanto sia importante costruire la pace per e con le donne e i giovani, specificando che la violenza non riguarda soltanto i giovani per singole morti, ma che una cultura della violenza provoca cicatrici in tutta una generazione di giovani colpendo la loro psiche. (T.C.)

inizio pagina

Bulgaria: cattolici sperano nella costruzione di una Chiesa a Gabrovo

◊  

“Per troppo tempo queste persone sono rimaste senza contatti con la Chiesa che praticamente non era presente nella loro città e ora pian piano iniziano a tornare”: è quanto racconta al Sir don Strahil Kavalenovil, attuale parroco a Gabrovo, in Bulgaria, nella prima parrocchia della diocesi di Nicopoli, fondata dopo la caduta del comunismo nel 1995 dal padre passionista Marco Partenza. Qui, nella periferia città, i fedeli ogni domenica si riuniscono per la Messa in un ex bar, trasformato in cappella, perché una chiesa non c’è ancora.

Segnali incoraggianti in un ambiente secolarizzato
“Abbiamo messo il Crocifisso sulla facciata ed abbiamo fatto qualche lavoro per rendere questa casa, con un piccolo giardino, più idonea - spiega don Kavalenov - Siamo l’unica realtà cattolica nell’intera regione e il territorio della parrocchia si estende per decine di chilometri quadrati”. Ma i segnali sono incoraggianti: “Negli ultimi anni – aggiunge infatti il sacerdote - il numero dei fedeli è cresciuto: prima venivano soprattutto donne anziane, adesso la maggioranza sono famiglie con figli, gli eredi dei primi cattolici insediatisi a Gabrovo”, anche se l’ambiente resta “secolarizzato, lontani dalle loro radici”.

Catechismo via Skype per facilitare i giovani
Fortunatamente, la tecnologia può essere un valido aiuto: per facilitare i ragazzi che vivono lontano dalla parrocchia, infatti, gli incontri di catechismo si tengono via Skype: “È un modo innovativo e interattivo – sottolinea don Kavalenov – che attira l’attenzione dei giovani ed elimina il problema del viaggio per venire in parrocchia”. Il sogno più grande per i cattolici di Gabrovo resta, comunque, quello di poter avere un vero edificio di culto, in cui celebrare: “Confidiamo nel Signore – conclude don Kavalenov - e magari un giorno anche questo si avvererà”. 

inizio pagina

Uruguay. Vescovi: annunciare il Vangelo con gioia

◊  

“Andate per le città e per i villaggi!”: su questo tema, il 21 agosto la Chiesa dell’Uruguay ha celebrato la Giornata nazionale del catechista. Per l’occasione, mons. Carlos Maria Collazzi, presidente del Dipartimento episcopale per la catechesi, ha diffuso un messaggio. Nel testo, in primo luogo il presule esprime gratitudine per “il servizio e la dedizione” di tutti coloro che si impegnano ad “annunciare il Vangelo ed a formare le comunità cristiane” del Paese. In secondo luogo, mons. Collazzi ribadisce che in questo Anno giubilare, “tutti siamo chiamati ad annunciare la misericordia di Dio” e ad essere “misericordiosi come il Padre”.

Uscire da se stessi per andare incontro all’altro
“Preghiamo il Signore – ribadisce l’arcivescovo – affinché tutti sperimentiamo il Suo amore misericordioso e, lasciando da parte le nostre comodità, andiamo incontro ai nostri fratelli, là dove si trovano”. Ricordando, poi, quanto scritto nel Documento di Aparecida, che nel 2007 concluse la quinta Conferenza dell’episcopato latinoamericano, l’arcivescovo sottolinea che è compito fondamentale della Chiesa mostrare la sua capacità di “promuovere e formare discepoli missionari che rispondano alla vocazione ricevuta e comunichino a tutto il mondo, con gioia e gratitudine, il dono dell’incontro con Cristo” (n.14).

I catechisti, mediatori dell’incontro con Cristo
“La vocazione del catechista – conclude il presule – è una chiamata a servire i fratelli, ad essere mediatori dell’incontro con Cristo”. Di qui, l’appello a tutti i fedeli affinché rispondano “generosamente alla chiamata del Signore ed annuncino esplicitamente il Vangelo attraverso la catechesi”. (I.P.)

inizio pagina

Cile: pranzo per 250 senzatetto nella Cattedrale di Santiago

◊  

Per la prima volta nella storia, la Cattedrale di Santiago del Cile si è trasformata in una grande sala da pranzo. Ma a scopo benefico: la Conferenza episcopale locale, infatti, nell’ambito del Giubileo straordinario della misericordia e del Mese della solidarietà, ha organizzato un pranzo per 250 persone senza fissa dimora. L’evento, svoltosi nei giorni scorsi, ha visto la presenza dell’arcivescovo della città, card. Ricardo Ezzati Andrello, insieme ai vescovi ausiliari, ai vicari ed ai rappresentanti di varie opere di carità diocesane.

La vera felicità è condivisione
“Spero che questo gesto – ha detto il porporato – si moltiplichi in tutte le comunità cristiane e sociali del Cile, perché i poveri sono i nostri fratelli e devono essere accuditi con dignità”. “Nella nostra società – ha aggiunto – in cui sembra prevalere l’individualismo e l’interesse è l’unica cosa che conta, vogliamo ribadire che ciò che costruisce realmente la felicità è condividere la vita come un dono, giorno per giorno”.

L’attenzione della Chiesa per i poveri e gli emarginati
L’iniziativa, preceduta nei giorni scorsi dalla visita dei vescovi locali nelle mense e nella case di accoglienza della Chiesa cattolica, così da invitare personalmente i senza tetto, ha visto anche il passaggio della Porta Santa per tutti i partecipanti al pranzo di solidarietà, i quali hanno ricevuto anche un kit igienico-sanitario e generi di prima necessità, come segno di attenzione ed amore da parte dei vescovi cileni. (I.P.)

inizio pagina

Seminario di Erice: modelli matematici per le emergenze planetarie

◊  

Verificare i modelli matematici per affrontare le emergenze planetarie: questo lo scopo dei Seminari di Erice, gli incontri annuali organizzati dalla Fondazione e Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana”, presieduta dal prof. Antonino Zichichi. I seminari, in corso fino a domani, vedono impegnati cento tra i più grandi esperti del mondo sui problemi che minacciano il futuro della Terra.

Il legame che c’è tra le emergenze planetarie
“Bisogna far capire all’opinione pubblica mondiale – sottolinea il prof. Zichichi - qual è il legame che esiste tra tutte le emergenze” del pianeta, come ad esempio  “il clima, l’energia, la difesa dagli oggetti cosmici e le malattie infettive”. Ed “il legame è la matematica”, perché “volendo descrivere in termini rigorosi una qualsiasi di queste emergenze, viene fuori un risultato estremamente interessante: la matematica è la stessa”. Di qui, il richiamo  a porre “sotto verifica sperimentale i modelli matematici costruiti per le emergenze planetarie, anche per evitare lo spreco di miliardi di euro”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 235

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.