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Sommario del 24/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Terremoto in Italia. Il Papa rinvia catechesi e prega Rosario per le vittime

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Da Piazza San Pietro, il Papa ha espresso il suo dolore e la sua vicinanza alle popolazioni colpite dal forte terremoto che questa notte ha scosso il Centro Italia, in particolare la zona al confine fra Lazio, Marche ed Umbria con epicentro ad Accumoli. Si contano decine di morti e si scava ancora fra la macerie alla ricerca di superstiti. Di fronte a questa tragedia, Francesco ha rinviato la consueta catechesi del mercoledì per pregare il Rosario con i pellegrini presenti. Le sue parole nel servizio di Debora Donnini

“Dinanzi alla notizia del terremoto che ha colpito il centro d’Italia, devastando intere zone e lasciando morti e feriti, non posso non esprimere il mio grande dolore e la mia vicinanza a tutte le persone presenti nei luoghi colpiti dalle scosse, a tutte le persone che hanno perso i loro cari e a quelle che ancora si sentono scosse dalla paura e dal terrore”.

Francesco ha voluto esprimere con forza il suo abbraccio e quello della Chiesa alle persone colpite dal sisma, sia con le sue parole in Piazza San Pietro sia con un tweet, e ha deciso di rimandare alla prossima settimana la catechesi prevista per l’udienza generale di questo mercoledì, che doveva essere dedicata alla vicinanza di Gesù:

“Sentire il sindaco di Amatrice dire: ‘Il paese non c’è più’ e sapere che tra i morti ci sono anche i bambini, mi commuove davvero tanto”.

Il Papa, visibilmente commosso, pensa alla commozione di Gesù davanti al dolore umano. E di fronte al dolore chiede di unirsi a Lui nella preghiera affinché Gesù “consoli questi cuori addolorati e doni loro la pace”:

“E per questo voglio assicurare a tutte queste persone nei pressi di Accumoli, Amatrice o altrove, nella diocesi di Rieti, di Ascoli Piceno e le altre in tutto il Lazio e l’Umbria e nelle Marche, la preghiera e dire loro di essere sicure della carezza e dell’abbraccio di tutta la Chiesa che in questo momento desidera stringervi con il suo amore materno, anche del nostro abbraccio, qui, in piazza”.

Francesco non dimentica di ringraziare quanti in queste ore si stanno spendendo per aiutare  le popolazioni colpite: tutti i volontari e gli operatori della Protezione civile. Invita, quindi, i fedeli alla preghiera del Rosario, che viene recitato in Piazza San Pietro con i misteri dolorosi e non gloriosi nonostante sia mercoledì. E conclude chiedendo ancora una volta unione: “Lasciamoci commuovere con Gesù”.

I fedeli in Piazza San Pietro hanno molto apprezzato la scelta del Papa di recitare il Rosario per le popolazioni colpite dal terremoto. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro

R. –  È il segno della presenza di un Papa che è molto vicino alle sofferenze della gente. E credo che questa sia l’incarnazione più bella del Giubileo della Misericordia: il Papa che è vicino alle vicissitudini delle persone e della storia.

D. – Ma in che modo si cerca anche di capire un dolore così grande come quello di un terremoto che va a colpire tante persone?

R. – Credo che l’aver pregato i misteri del dolore sia stato per il Papa anche l’aprire uno squarcio verso la Risurrezione e la speranza. Perché lo sappiamo: non tutto termina e cessa con il mistero della morte.

R. - È stato un gesto di affetto verso quelle popolazioni colpite dal terremoto, e di affidamento alla Madonna di tutte quelle famiglie e quelle persone che stanno soffrendo. Questo è proprio il senso materno della Chiesa, che vuole essere vicina a quelle popolazioni.

R. - Per me è una saggia decisione che il Santo Padre ha preso, proprio perché, in questo momento difficile per tutte le persone coinvolte nel terremoto, credo che sia più importante la preghiera per tutti coloro che sono morti, che in questo momento si trovano in ospedale o che sono rimasti senza nulla.

R. - È stata una cosa molto spontanea. Mi ha colpito la sua semplicità, il suo andare incontro alle persone che stanno soffrendo. E anche noi qui siamo uniti e vicini alle persone colpite.

R. - È stato un bel segno: la Chiesa è vicina alle sofferenze della gente. Noi stessi abbiamo vissuto il terremoto: alloggiamo in un ostello in provincia di Rieti, abbiamo sentito la scossa di questa notte, e quindi possiamo comprendere quello che hanno vissuto le persone che si trovavano proprio nei luoghi dell’epicentro, e che magari hanno perso qualche familiare”

R. - Quella del Papa è una scelta profetica, di fede. La preghiera è l’atto di fede più grande del cristiano: affidarsi a Dio, che solo può alleviare il dolore degli uomini. Dio fa proprio il dolore umano: il dolore umano è il dolore di Dio”

D. – Padre, lei accompagna un gruppo di pellegrini e questa notte eravate proprio lì. Cosa ci può raccontare di quei momenti? Cosa avete vissuto?

R. – Paura. D’istinto, siamo usciti fuori. La prima cosa che abbiamo fatto è stata pregare e affidarci al Signore. Il veder passare di continuo ambulanze, mezzi della polizia e carabinieri, ha creato un po’ di ansia, ma chi è con Dio non ha nulla da temere. Preghiamo per le popolazioni colpite.

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Papa invia i Vigili del Fuoco del Vaticano ad Amatrice

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Come segno concreto della vicinanza del Papa alle persone colpite dal terremoto, una squadra di sei membri del Corpo dei Vigili del Fuoco della Città del Vaticano si è recata in mattinata ad Amatrice, in provincia di Rieti. La squadra lavorerà in accordo con la Protezione Civile Italiana nella ricerca e nella assistenza delle vittime.

Stamane il Papa aveva telefonato al vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, che era a Lourdes in pellegrinaggio. Nel pomeriggio sarà nei luoghi colpiti dal sisma. "Alle 7 - racconta il presule - ho ricevuto una telefonata da parte di Papa Francesco. Mi ha informato di aver saputo del terremoto alle 4.15 del mattino e di aver subito celebrato la Messa pregando per le  persone coinvolte. Mi ha invitato a non avere paura, e mi ha rivolto  parole di vicinanza e di incoraggiamento che porterò alla  popolazione". Mons. Pompili, appresa la notizia del sisma, è subito ripartito da Lourdes per rientrare nel Reatino.

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Appello del Papa per l'Ucraina: risolvere conflitto e liberare ostaggi

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Dopo il Rosario, salutando i tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro, il Papa ha lanciato un nuovo appello per l’Ucraina e ha rinnovato la sua preghiera per la Francia. Ce ne parla Sergio Centofanti

In Ucraina si continua  a combattere e in queste ultime settimane gli osservatori internazionali - ha detto il Papa - hanno espresso preoccupazione per il peggioramento della situazione nelle regioni orientali del Paese:

“Oggi, mentre quella cara Nazione celebra la sua festa nazionale, che coincide quest’anno con il 25° anniversario dell’indipendenza, assicuro la mia preghiera per la pace e rinnovo il mio appello a tutte le parti coinvolte e alle istanze internazionali affinché rafforzino le iniziative per risolvere il conflitto, rilasciare gli ostaggi e rispondere all’emergenza umanitaria”.

Alla vigilia della festa di San Luigi, ha quindi pregato “per il popolo di Francia e per i suoi governanti” invitando alla speranza nonostante i timori. Ha rivolto poi un saluto agli atleti che si accingono a celebrare i prossimi giochi paralimpici a Rio de Janeiro e ai partecipanti all’assemblea generale promossa dalla Conferenza mondiale degli Istituti secolari e al Congresso che celebra i 50 anni di attività dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale.

Tutti ha esortato ad andare incontro alle necessità del prossimo:

“Noi tocchiamo Gesù quando usciamo ad aiutare i fratelli e le sorelle nel bisogno, e toccando Cristo nostro salvatore rinnoviamo la nostra vita. Dio benedica tutti”.

Infine, ricordando l’odierna festa dell’Apostolo San Bartolomeo, ha rivolto un pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli:

“Cari giovani, imparate da lui che la vera forza è l’umiltà. Cari ammalati, non stancatevi di chiedere nella preghiera l’aiuto del Signore. E voi, cari sposi novelli, gareggiate nello stimarvi e aiutarvi a vicenda”.

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Nomina in Brasile

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Parnaíba (Brasile), presentata da mons. Alfredo Schäffler, in conformità al Can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Juarez Sousa da Silva, finora coadiutore della medesima diocesi.

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Santa Sede: armi convenzionali sempre più devastanti e criminali

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Le armi convenzionali stanno diventando sempre meno convenzionali e sempre più simili alle armi di distruzione di massa per il loro crescente potere devastante che viene usato per commettere crimini di guerra e contro l'umanità: è la denuncia lanciata dall'osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, mons. Bernardito Auza, durante una sessione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il servizio di Marco Guerra: 

“Qualsiasi atto, qualsiasi arma che mira indiscriminatamente a distruggere intere città o vaste regioni, insieme con i loro abitanti, è contro ogni legge internazionale e merita la condanna inequivocabile e senza esitazioni”. Mons. Auza sottolinea che non è corretto fare alcun tipo di distinzione fra gli armamenti poiché questi, in ogni caso, provocano violenza, morte, distruzioni, instabilità e miseria.

Il presule denuncia quindi con forza il paradosso che vede la firma di trattati e convenzioni per la messa al bando di armi chimiche e biologiche e la non proliferazione di quelle nucleari, “mentre il genio umano continua a inventare nuovi modi di annientare se stessa”. “Le armi convenzionali – spiega il rappresentante vaticano - stanno diventando sempre meno convenzionali grazie a quei progressi tecnologici che elevano il loro livello di distruzione” e sono usate per commettere crimini di guerra e contro l'umanità.

Per questo motivo, la Santa Sede raccomanda di superare le tradizionali categorie e di includere nei trattati per la messa al bando delle armi di distruzione di massa anche le devastanti armi convenzionali. Armamenti questi ultimi che, fra le altre cose, “forze militari, ribelli, terroristi e gruppi estremisti utilizzano con maggiore frequenza mostrando scarso riguardo per i civili”.

Mons. Bernardito Auza ricorda infatti che “scuole, ospedali e altre infrastrutture civili sono fatti saltare con l'uso incessante di armi convenzionali di elevata potenza”. Sono poi decine di milioni i rifugiati le cui comunità sono state completamente devastate non da armi nucleari ma da armi il cui uso è consentito dagli accordi internazionali.

“Queste tragedie – prosegue – richiamano con urgenza la comunità internazionale a rivedere le classificazioni e le definizioni di ciò che costituisce un'arma di distruzione di massa”. Questo perché non vi è dubbio che la proliferazione delle armi, a prescindere dal fatto che siano convenzionali o di distruzione di massa, aggrava le situazioni di conflitto in termini di enormi costi umani e materiali, minando lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura”. “In effetti – aggiunge ancora l’osservatore della Santa Sede - la non proliferazione, il controllo degli armamenti e il disarmo sono alla base della sicurezza globale e lo sviluppo sostenibile. Senza di loro, il raggiungimento della tanto decantata Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sarà seriamente compromessa”.

Mons. Auza conclude il suo intervento lanciando un appello alla collaborazione di tutti gli Stati affinché la comunità internazionale agisca con una sola voce per bandire tutte le armi di distruzione di massa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dolore e commozione: l’udienza generale dedicata alla preghiera per le popolazioni colpite dal terremoto che ha devastato l’Italia centrale.

Il mio legame con lui: la prefazione di Papa Francesco al libro di Elio Guerriero su Benedetto XVI (in libreria dal 30 agosto), l’introduzione dell’autore e la sua intervista a Ratzinger.

Alla ricerca dell’ozio perduto: Luciano Manicardi sull’urgenza di ritrovare se stessi e contemplare Dio.

Cinque milioni di nigeriani a rischio fame.

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Oggi in Primo Piano



Terremoto: paesi distrutti nel Lazio e nelle Marche, oltre 70 morti

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La terra ha iniziato a tremare alle 3.36 nell’Appennino centrale, provocando decine di morti, oltre 70, centinaia di feriti, crolli di abitazioni e migliaia di sfollati. "È un momento di dolore e di appello alla comune responsabilità. Tutto il Paese deve stringersi con solidarietà attorno alle popolazioni colpite", ha detto in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il punto della situazione nel servizio di Alessandro De Carolis

Terrore e polvere, un sonno spezzato e il cuore in gola mentre i muri attorno si muovono e vengono giù in pochi istanti. L’incubo di ogni terremoto questa volta ha sconvolto una vasta area nel centro dell’Appennino, zone di cittadine e piccole frazioni sparpagliate tra rocce e verde.

Appennino “ground zero”
E proprio la zona disagevole lungo la quale si è sviluppato il sisma sta rendendo complicati i soccorsi attivati dalle autorità nei territori più colpiti, Amatrice e Accumoli nel reatino, Arquata e Pescara del Tronto, in provincia di Ascoli, con il sostegno dell’Esercito e della Protezione civile, della Croce Rossa e di altre organizzazioni, con carovane di aiuti che stanno progressivamente raggiungendo da altre Regioni il ground zero della tragedia.

“Non c’è più niente…”
Chi nella notte è riuscito a sottrarsi alla morsa dei crolli si è trovato davanti distese di macerie, panico e richieste di aiuto. La prima a dare conto del dramma, citata anche dal Papa, è stata la voce del sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi. Ecco le sue parole raccolte da Federico Piana:  

R. – E’ drammatico: tre quarti di paese non c’è più! L’obiettivo è quello di cercare di salvare più vite possibile….

D. – Il centro storico in che condizioni è?

R. – Non c’è più… È una tragedia.

Il dramma in un dedalo
A quindici chilometri il piccolo paese di Accumoli, poco più di 600 abitanti, epicentro dell’apocalisse. Il sindaco, Stefano Petrucci, è distrutto come le case che non ci sono più. L’audio è di Rai News 24:

“Siamo in piena emergenza. Ci sono moltissimi crolli, abbiamo le persone sotto le macerie… Qui c’è una famiglia con due bambini piccoli sotto le macerie, non riusciamo a contattarli… Siamo ammassati in due-tre punti del paese, ma ho 17 frazioni: non è una situazione semplice da coordinare… La questione è drammatica…”.

Salvi per miracolo
Tra le lacrime di queste prime ore, in cui si aggiorna l’elenco che non si vorrebbe, spuntano a rinfrancare chi scava contro il tempo piccole storie di speranza. Quella di Irina di Amatrice, tirata via salva dopo sette ore. Quella del papà di Pescara del Tronto che arraffa sua figlia e si getta dalla finestra riuscendo a salvare entrambi. Quelle dei due fratellini, 7 e 4 anni, sempre di Pescara del Tronto, estratti vivi grazie alla nonna che li ha gettati in tempo sotto il tavolo.

Solidarietà d’Italia
Intanto, le forze sul campo ingrossano di ora in ora. “Non lasceremo nessuno da solo”, dice il premier Matteo Renzi, e la solidarietà in arrivo da tutta Italia è confortante. Ad Amatrice e Accumoli la Protezione civile ha disposto l’allestimento di due tendopoli, ciascuna di 250 persone, più altri centinaia di posti assicurati da Friuli, Molise e altri, mentre dozzine di feriti più gravi hanno già trovato un letto negli ospedali di Roma e de L’Aquila. Anche la Cei si è mobilitata sui due fronti: un milione di euro stanziati dal fondo dell’8 per mille e una colletta in tutte le Chiese italiane per il 18 settembre prossimo, in concomitanza con il 26/mo Congresso Eucaristico Nazionale.

Nessuna avvisaglia
A rendere peggiore il sisma, avvertito da Roma alla Romagna, è stata la scarsa profondità. L’ipocentro è stato individuato a soli 4 km. Un terremoto che per estensione e caratteristiche ricorda quello dell’Aquila di 7 anni fa, dice il sismologo dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia, Alessandro Amato, intervistato da Gabriella Ceraso:

R. – E’ una sequenza sismica che è iniziata con un terremoto forte; poi, decine di “after-shock” di magnitudo più piccola. La zona – lunga circa 25 km, quasi nord-sud – ha una caratteristica di movimento analoga a quella dei terremoti che abbiamo avuto nell’Appennino in precedenza e in particolare mi riferisco a quelli dell’Aquila del 2009 e quelli dell’Umbria, Marche, di Colfiorito del 1997. I terremoti superficiali danno sicuramente degli scuotimenti forti e sono terremoti dovuti all’estensione della crosta dell’Appennino, quindi sono faglie estensionali o faglie normali.

D. – I precedenti di ieri, anche nelle Eolie, potevano essere dei campanelli d’allarme?

R. – Direi proprio di no. La sismicità in Italia c’è e non c’era nessuna avvisaglia. Possiamo dire che continuerà sicuramente per molti giorni un po’ in tutta questa fascia.

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Il sindaco di Amatrice: il paese non c'è più, ma ci rialzeremo

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Subito dopo le forti scosse, tempestivi sono stati i soccorsi e gli aiuti arrivati nelle zone colpite dal sisma. Ascoltiamo a questo proposito, il commento del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, raccolta da Francesca Sabatinelli

R. – I soccorsi, oltre che su Amatrice-centro, si sono concentrati su un gruppo di frazioni che sono state interessate in maniera diretta dal movimento sismico: le abbiamo individuate con la Protezione Civile, con il ministro Del Rio. L’abbiamo chiamata “zona1” e assomma tutte le frazioni andando verso Ascoli. Di altro … il paese non c’è più. Un sisma di questo genere – noi siamo in zona sismica 1 – non c’è mai stato. Quando ho visto che è crollata la storica porta di Amatrice, che ha resistito a tutti gli eventi sismici degli ultimi 30 anni, lì ho capito che era un dramma …

D. – Un primo bilancio delle vittime: so che i numeri sono in divenire, ma adesso, in questo momento, cosa si può dire?

R. – Li conosco tutti … il dramma è questo. Il dramma c’è sempre quando c’è la morte ed è ancora più forte quando li conosci tutti.

D. – La macchina dei soccorsi?

R. – Tra le 300 telefonate, proprio alle 4, alle 4 meno 5, ho mandato un appello dicendo: “Il paese non c’è più, serve una situazione …”. Da lì, poi, dopo 10 minuti sono arrivati i primi mezzi, i primi Vigili del fuoco, per cui, ecco, la macchina della comunicazione è indispensabile e fondamentale, perché tante vite si sono salvate e penso si possano salvare perché c’è stato questo tam-tam … Alle 4 e un quarto c’era il primo gruppo dei Vigili del fuoco, stavo qui con loro … E avremo la forza di rialzarci: io ne sono convinto …

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Amatrice: la testimonianza di due sopravvissuti

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Sulla situazione ad Amatrice, uno dei paesi più colpiti dal terremoto di questa notte, il servizio di uno dei nostri inviati, Giancarlo La Vella:

Ad Amatrice si respira la polvere, quella sollevata stanotte dalla violenta scossa delle 3.36, e quella che viene sollevata in queste ore dall’opera di recupero dei tanti volontari che stanno lavorando incessantemente, qui e negli altri centri colpiti dal sisma. Tanti quelli provenienti dall’Aquila che, sette anni dopo quel terremoto che ha colpito il capoluogo abruzzese, rispondono generosamente alla richiesta di aiuto della vicina Amatrice. Una polvere che asciuga le lacrime dei tanti che rimangono in attesa, vicino alla propria abitazione crollata, che dalle macerie giunga la buona notizia del ritrovamento in vita di un parente o di un amico del quale da stanotte non si sa più nulla. E’ emergenza, drammatica, soprattutto nelle decine di frazioni della zona tra Lazio e Marche dove ancora non è arrivato alcun soccorso, anche perché spesso si tratta di aree isolate dal crollo di ponti o strade. I corpi senza vita continuano a essere estratti dalle macerie. Ma ascoltiamo due testimonianze, quella di un disabile e poi quella di una turista sarda: 

R. – La prima cosa che ho fatto è stata mettere il cuscino grande sulla testa. Mi sono vestito da solo, ho messo le scarpe, il tutore e tutto il resto, e sono sceso per le scale: stavo al secondo piano. Sono arrivato di sotto: le case tutte crollate, c’era un mucchio di sassi alto più di due metri… Mi sono seduto lì ad aspettare che qualcuno mi portasse via.

D. – Sarà possibile pensare di ricominciare in un paese come Amatrice?

R. – Ricominciare è una parola un po’ grossa! Certamente, bisogna sempre ricominciare. Però è anche necessario costruire strutture antisismiche. Solo così si può, perché è una zona altamente sismica.

D. - Lei, invece, era qui in vacanza ...

R. - Sì, siamo della Sardegna ed eravamo qui a trascorrere un po’ di vacanze. È stato drammatico! Ci siamo messi a urlare, abbiamo rotto un vetro, poi hanno sfondato le due porte e ci hanno tirato fuori. È stata una cosa bruttissima e siamo vivi per miracolo, visto quello c’è intorno…

D. – Perdere tutto in pochi secondi…

R. – Significa che la vita è un attimo e non bisogna veramente attaccarsi a niente, perché basta poco che ti viene portato via tutto, tutto!

D. – C’è l’aiuto della fede in questi momenti?

R. – Io ho pregato da subito e forse - anzi sicuramente – è quello che mi ha protetto!

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Terremoto. Mons. D'Ercole: anche i preti scavano tra le macerie

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Fin dalle prime ore dell’alba, il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni d’Ercole si è recato nelle zone colpite della sua diocesi. In mattinata è stato a Pescara del Tronto, poi si è spostato in altri paesi fortemente colpiti dal sisma. Debora Donnini l’ha raggiunto al telefono mentre era a Capodacqua,  frazione del comune di Arquata del Tronto: 

R. – Sono venuto in un altro paese, a Capodacqua, proprio mentre stanno portando via una salma: una donna di 42 anni, morta per proteggere la mamma di 82 anni, che si è salvata. Sono venuto a vedere, perché tutte le frazioni qui sono state colpite e sono tutte disastrate. Sto facendo il giro e posso dire che è una scena che chiama silenzio: chi sta soffrendo non riesce a dire una parola.

D. – Lei ha visto Pescara del Tronto in mattinata. C’è tanta distruzione ovunque nella zona…

R. – E’ tutto distrutto. E’ impressionante. La gente dice che non  ha mai avuto un terremoto di questo tipo. Stavo vedendo, prima di venire a Capodacqua, i soccorritori che stavano lavorando per estrarre da una casa tre bambini e due donne. Non so… speriamo bene.

D. – Lei ha visto tanta gente darsi da fare, scavare…

R. – La solidarietà è molta e per la verità anch’io mi sono messo ad aiutarli, perché ho visto uno di questi ragazzi sotto le macerie. Direi che c’è tanta tristezza, tanta disperazione e tanta solidarietà, tutte insieme. Questa è la vita.

D. – Lei, come vescovo di Ascoli Piceno, si è recato nelle zone colpite della sua diocesi. I preti della sua diocesi l’hanno seguita? Sono presenti?

R. – Sì, sono presenti il direttore della Caritas ed altri sacerdoti. E’ importante che i pastori siano presenti fra la loro gente.

D. – Alcuni sacerdoti stanno anche scavando…

R. – C’è la collaborazione di tutti e insieme a me si sono messi a scavare anche alcuni sacerdoti. Ha scavato con me il direttore della Caritas e poi sono arrivati adesso anche alcuni frati, che abbiamo accolto e che stanno lavorando. Tutte le chiese delle frazioni coinvolte dal terremoto non solo sono inagibili, ma distrutte.

D. – Continuerete in questi giorni a stare vicino alle popolazioni colpite…

R. – Cercheremo di stare con loro. Cercheremo di condividere questo momento. La condivisione è quello che noi possiamo fare e pian piano riabituarci a vivere. 

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Terremoto, Zuppi: Chiesa bolognese vicina alle popolazioni colpite

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La Chiesa bolognese è vicina alle popolazioni colpite dal terremoto. Quattro anni fa un sisma devastò parte dell'Emilia Romana e ad oggi la ricostruzione non è del tutto completata. Di questo ha parlato l'arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Maria Zuppi, che al meeting di Cl Rimini ha ricordato le vittime di questa notte. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Il sentimento è di grande solidarietà, di grande partecipazione, di vicinanza a quelle popolazioni, al dolore, come ha detto il Papa, di commuoversi. La Chiesa è come una madre: si commuove non soltanto quando c’è un’emergenza come quella che è avvenuta questa notte. Quindi, tanta solidarietà e anche molta preghiera. Vedremo poi nei giorni prossimi le cose necessarie per aiutare le popolazioni.

D. – Le Caritas, in queste ore, si stanno muovendo; la gente sente anche questa rete di solidarietà della Chiesa …

R. – Moltissimo! Poi credo che tutti nell’emergenza ci mobilitiamo; le Caritas sicuramente sono in prima fila … Tra l’altro, io vengo da Bologna dove quattro anni fa abbiamo vissuto la stessa tragedia, nel Centese: sicuramente, con le parrocchie del Centese, di cui ancora oggi molte vivono fuori dai luoghi abituali perché c’è ancora la ricostruzione in atto; ma sicuramente faremo qualcosa per aiutare chi vive oggi quello che abbiamo vissuto quattro anni fa.

D. – Mons. Zuppi, sta vedendo un aumento di interesse nella nostra società verso gli ultimi, gli emarginati?

R. – Io credo di sì: la spinta di Papa Francesco – che poi sostanzialmente è la predicazione evangelica – è esattamente il contrario di un mondo che pensa di ignorare gli ultimi o di fare a meno degli ultimi. A parte che poi, purtroppo, ci sono degli avvenimenti come questi in cui ci ritroviamo tutti tra gli ultimi, e credo che sempre la cosa più necessaria sia proprio partire da loro. Ma c’è una grande ripresa perché la debolezza la scopriamo in ognuno e se non la affrontiamo, in realtà viviamo male.

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La Turchia attacca i curdi: un vantaggio per i jihadisti dell'Is

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Per il secondo giorno consecutivo la Turchia ha bombardato oltre confine, in territorio siriano, sia le forze dello Stato Islamico sia i curdi, alleati degli Stati Uniti ma nemici per il governo di Ankara. La preoccupazione del governo di Ankara è quella che i curdi possano incrementare la loro presenza nel nord della Siria, arrivando ad avere un controllo strategico di centinaia di chilometri lungo la frontiera. Intanto oggi c'è stato l’incontro tra il presidente turco Erdogan e il vicepresidente Usa Joe Biden. Sulla situazione tra Turchia e curdi, Salvatore Tropea ha intervistato il giornalista ed esperto dell'area Alberto Rosselli: 

R. – I recenti fatti confermano quella che è una tendenza di questi ultimi mesi, data dall’accavallarsi di due problemi: quello interno, siriano – la questione che contrappone il regime di Assad ai gruppi ribelli che combattono in Siria –; e quello esterno, ossia i rapporti tra Siria e Turchia che sono tutt’altro che chiari. E in quest’ambito si introducono altri due elementi che interessano sia la Turchia che la Siria, ma anche gli Stati Uniti, la Russia e l’Iran: il fattore Is e quello curdo. In questo frangente, l’atteggiamento della Turchia è estremamente ambiguo; perché, se da una parte ufficialmente il governo di Ankara dichiara di essere disposto ad un accordo con la Russia e gli Stati Uniti per porre fine al fenomeno Is, è altrettanto vero che vuole in qualche modo tenere a bada l’elemento curdo. Quindi bisognerà vedere se gli Stati Uniti e la Russia sono disposti a tollerare una situazione di questo tipo. La questione curda è una questione che riguarda non solo la Turchia, ma anche la Siria, l’Iraq e l’Iran. Stiamo parlando di un’entità che è composta da milioni e milioni di individui che sono disseminati in questi quattro paesi. Il nocciolo della questione è: deve o non deve esistere una nazione curda? Questo però è un problema di cui deve farsi carico la comunità internazionale, gli Usa, la Russia, l’Iran e l’Europa, che per il momento tace o si comporta in maniera un po’ troppo prudente e attendista.

D. – L’inasprirsi del conflitto tra Turchia e curdi può portare al rischio che entrambi distolgano l’attenzione dalla lotta all’Is, e quindi quasi favorire quest’ultimo?

R. – Certamente. La conflittualità turco-curda favorisce l’Is, anche perché – sappiamo benissimo fin dai tempi del famoso assedio di Kobane – che l’elemento curdo-peshmerga soprattutto è stato fondamentale nella lotta contro l’Is. Chi ha combattuto veramente in questi ultimi mesi, in maniera decisiva contro l’Is, sono stati sicuramente i curdi: sono loro che hanno ottenuto i risultati maggiori sul campo, e sono addirittura riusciti a strappare all’Is delle grosse roccaforti.

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Corea del Nord lancia missile balistico nel Mar del Giappone

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Dopo i recenti test militari avvenuti il 23 aprile e il 9 luglio la Corea del Nord ha lanciato ancora una volta un missile balistico da un sottomarino. Il Comando del Pacifico degli Stati Uniti ha rintracciato il missile caduto al largo delle coste giapponesi, sul Mar del Giappone. Da quando il leader Kim Jong-un è salito al potere nel 2011, la nazione ha testato più di 30 missili. Il premier giapponese Shinzo Abe definisce l’iniziativa della Corea del Nord “una grave minaccia alla nostra sicurezza nazionale; è un atto oltraggioso che compromette gravemente la pace e la stabilità nella regione”. Si tratta, dunque, dell'ennesimo lancio effettuato dalla Corea del Nord in aperta violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite contro l'impiego da parte del regime di Pyongyang di questo tipo di tecnologia militare. Secondo alcuni esperti, il lancio del missile potrebbe essere collegato anche all’attività annuale di esercitazioni militari che vedono impegnate le forze sudcoreane e Usa, che solitamente provocano proteste da parte nordcoreana. Michele Ungolo ha sentito Antonio Fiori, professore associato del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali all'Università degli studi di Bologna: 

R. – Bisogna guardare naturalmente anche allo scenario complessivo che ci dice che in questo momento nella zona ci sono un paio di appuntamenti particolarmente densi di significato. Il primo: gli esercizi militari che i coreani del Sud assieme agli americani nella zona  non vedono di buon occhio perché li considerano come delle prove di attacco a loro danni. Il secondo riguarda questo incontro trilaterale che Giappone, Corea del Sud e Cina stanno tenendo e che naturalmente viene visto con timore da Pyongyang, perché è naturale che quando persino i cinesi incontrano gli altri Paesi dell’area per parlare eventualmente anche della pericolosità della Corea del Nord, questa reagisce in questo modo.

D. - Si tratta di una provocazione oppure è una strategia adottata dalla politica nordcoreana per far comprendere che la nazione è lì e non teme nessuno?

R. - Si tratta di una strategia. Si tratta della solita strategia “vi faccio vedere che io non temo quello che state facendo”, neanche quando si tratta di nazioni che stanno acquisendo nuovo equipaggiamento militare come la Corea del Sud, che ha ovviamente da poco avuto la conferma della disponibilità del sistema antimissile da parte degli Stati Uniti. La Corea del Nord ovviamente reagisce a tutti questi elementi di disturbo cercando di far capire agli altri attori che non teme alcun tipo di provocazione, anzi, di essere militarmente preparata a qualunque tipo di sollecitazione.

D. - In che modo si possono descrivere le azioni estreme messe in atto dai leader nordcoreani che si sono susseguiti negli anni?

R. - Fondamentalmente le chiavi di lettura sono riferibili a due binari paralleli naturalmente: la percepita minaccia esterna - e questa è facilmente rinvenibile se si pensa alle azioni che in particolare modo hanno messo in atto nei confronti della Corea del Nord, cioè azioni soprattutto volte a isolamento del Paese. Quindi il Paese vuole uscire in qualche maniera da quel tipo di isolamento che per Pyongyang è particolarmente dannoso dal punto di vista della vivibilità  -, e dall’altra parte invece c’è una minaccia interna legata a doppio nodo con la minaccia esterna perché nel caso in cui dovesse in qualche maniera avverarsi questa sorta di minaccia esterna, cioè prendere forma con un attacco ai danni della Corea del Nord, l’indiziato principale che potrebbe in qualche maniera pagarne le conseguenze è la famiglia Kim.

D. - Come si può fronteggiare la politica estrema di Pyongyang?

R. - Ci sono molti studi che non fanno altro che creare scenari futuri che naturalmente sono molteplici; potrebbe esserci una riproposizione di quello che è avvenuto in Iraq, potrebbe essere un attacco improvviso degli Stati Uniti dei loro alleati. Altri scenari futuri potrebbero essere quelli che vedono gli altri Paesi attuare una politica diversa da quella che ormai si sta attuando da diversi anni e cioè quella dell’isolamento e del frazionamento della Corea del Nord che, secondo me, non è assolutamente pagante. Invece si dovrebbe, a mio avviso, andare verso un maggiore coinvolgimento della Corea del Nord a livello internazionale e un maggiore avvicinamento alla Corea del Nord.

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Nella Chiesa e nel mondo



India, Giornata martiri. Vescovi: mai più violenze anticristiane

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Le vittime delle violenze anticristiane di Kandhamal, nello Stato indiano dell’Orissa, “devono essere riconosciute come martiri”. Lo afferma mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, che parla del processo di Beatificazione degli oltre 100 cristiani trucidati nel 2008 dagli estremisti indù. Quest’anno, riferisce l’agenzia AsiaNews, la Chiesa cattolica dell’India ha avviato la loro Causa beatificazione e ha istituito la “Giornata dei martiri”, che si terrà il prossimo 30 agosto.

Mai più violenze simili nel mondo
Per questo, mons. Barwa invita tutti – fedeli, istituzioni, associazioni – a unirsi alle preghiere in ricordo della drammatica persecuzione contro la minoranza cristiana avvenuta in India. Quanto più la partecipazione sarà massiccia, afferma, “tanto più verrà diffuso il forte messaggio che mai più, in nessuna parte del mondo, dovranno accedere simili atroci violenze”. “Spero che la questione di Kandhamal diventi parte integrante della Chiesa indiana – sottolinea il presule – ciò aiuterà il processo di Beatificazione dei martiri e lo renderà più veloce”.

Sensibilizzare l’opinione pubblica
“L’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar ha creato un gruppo per studiare la questione – spiega – ma ciò che più conta è che essa deve diventare un sentimento comune delle persone”. L’obiettivo, aggiunge ancora mons. Barwa, è “far sì che le vittime siano riconosciute da tutti e sia data loro importanza in quanto martiri”. Infine, il presule ricorda che tra le richieste della Chiesa al governo indiano ci sono il risarcimento per i feriti e le vedove, un aiuto per la ricostruzione degli edifici di culto e delle case religiose andate distrutte e la fine delle conversione forzate all’induismo.

Le origini delle violenze, divampate nel 2008
Divampate tra il 2007 ed il 2008, in seguito all’omicidio del leader indù Laxamananda Saraswati e di quattro suoi seguaci, le violenze anticristiane a Kandhamal, distretto nello Stato indiano di Orissa, hanno provocato circa 100 vittime ed oltre 50 mila sfollati. Per la “Giornata dei martiri”, indetta dai vescovi, è stata scelta la data del 30 agosto perché giorno successivo al martirio di San Giovanni Battista. (I.P. – AsiaNews)

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Vescovi Filippine: speranza per i negoziati governo-guerriglia

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La Chiesa cattolica nella Filippine esprime “speranze e fiducia” per gli imminenti colloqui di pace tra il governo filippino e il "Fronte Democratico Nazionale" (Ndf) in corso fino al 28 agosto a Oslo, in Norvegia. Il Ndf rappresenta le organizzazioni politiche e militanti della ribellione comunista che attraversa il Paese fin dalla sua indipendenza e che negli ultimi 40 anni ha causato numerose vittime, solo tremila nell'ultimo decennio. 

Occorro seri sforzi per raggiungere la pace
In una nota citata dall’agenzia Fides, l'arcivescovo di Cagayan de Oro, Antonio Ledesma, apprezza "che le due parti si siedano a discutere di pace e sospendano le operazioni di combattimento. Sarebbe contraddittorio parlare di pace, mentre prosegue il conflitto. Occorrono seri sforzi per raggiungere la pace”. “È bene – ha aggiunto – che le parti si conoscano e stabiliscano una certa familiarità: la pace comincia con l'amicizia".

Passi avanti incoraggianti
I colloqui sono stati preceduti da passi incoraggianti, tra cui una tregua tra il governo filippino e i ribelli comunisti. Il nuovo presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, aveva infatti annunciato il “cessate il fuoco” unilaterale dell'esercito nel suo recente discorso sullo stato della nazione, pronunciato a fine luglio davanti al Congresso. I guerriglieri hanno confermato la tregua, in vista dell'avvio del negoziato, dopo la scarcerazione di due importanti leader comunisti, Benito e Wilma Tiamzon, che parteciperanno ai negoziati. Altri due leader comunisti, Alfredo Mapano e Pedro Codaste, sono stati liberati su cauzione e fungeranno da "consulenti" nei colloqui di pace.

In esame, l’amnistia per prigionieri politici
"Il cessate-il-fuoco andrà avanti il tempo necessario per garantire la pace e il successo dei negoziati", ha detto il consigliere del capo dello Stato. Nel vertice di Oslo si definiranno, tra l’altro, una road map per la tregua, la fine delle ostilità e il processo dei negoziati. In programma anche l’esame della possibilità di un’amnistia per il rilascio di oltre 500 prigionieri politici detenuti e di una dichiarazione congiunta sulla sicurezza e sulle garanzie di immunità. In agenda, infine, vi sono le riforme socio-economiche nel Paese. (I.P.)

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Nicaragua. I vescovi: alle politiche voto sia libero e trasparente

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I vescovi del Nicaragua esortano tutti i cittadini a votare liberamente secondo coscienza senza farsi condizionare da pressioni esterne alle prossime elezioni politiche fissate per il 6 novembre prossimo. In un messaggio diffuso lo scorso 22 agosto a Managua, al termine dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale incentrata sulla situazione del Paese alla vigilia del voto, in presuli esortano i credenti a prepararsi all’appuntamento elettorale con il necessario discernimento spirituale e nella preghiera.

Decidere in coscienza
“Votare – affermano – è un diritto e alla luce del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa un cattolico deve decidere in coscienza se con la sua scelta sta collaborando alla costruzione di una società più giusta, favorendo il bene comune di tutta la popolazione e contribuendo al rafforzamento del sistema politico democratico e pluralista nel Paese”.

Non perdere la speranza
Riferendosi alle tensioni che hanno segnato il Paese in questi mesi preelettorali e che rischiano di indebolire la credibilità e la competitività del voto favorendo l’assenteismo, i presuli esortano i cittadini a un confronto pacifico nel rispetto delle scelte di ciascuno, ma anche a non perdere la speranza. “Mantenere viva la speranza – ammoniscono – non è incrociare le braccia, non è rassegnarsi, ma è impegnarsi a vivere e testimoniare i valori del Vangelo nella storia”.

Il 6 ottobre, Giornata di preghiera e digiuno per il Paese
Il messaggio si conclude quindi con un invito ai fedeli a pregare in questo Anno della misericordia “per il presente e il futuro del Nicaragua”. In particolare, i vescovi nicaraguensi esortano i fedeli a recitare il Rosario, soprattutto nel mese di ottobre, per chiedere a Maria di accompagnare popolo nicaraguense. In vista del voto, inoltre, i vescovi hanno indetto per il 6 ottobre una speciale “Giornata di preghiera e digiuno”.

Le richieste dei vescovi a Ortega
In questi mesi, i presuli nicaraguensi hanno chiesto a più riprese al capo dello Stato, Daniel Ortega, che si candida per la settima volta alla guida del Paese, di impegnarsi per garantire un processo elettorale trasparente, invocando, tra l’altro, la presenza di osservatori internazionali. (L.Z.)

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Elezioni in Sudafrica, vescovi: cittadini vogliono cambiamento

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“Il pacifico svolgimento del voto è di buon auspicio per la stabilità del nostro sistema politico”. I vescovi sudafricani salutano così l’esito delle elezioni comunali del 3 agosto. Un voto che si è svolto nella calma, dopo le tensioni che hanno segnato la campagna elettorale.  

Elezioni libere e corrette
“La popolazione del Sudafrica può prendersi il merito del fatto che le elezioni locali sono state definite da tutti come libere e corrette. La democrazia ha vinto”, si legge in un messaggio ripreso dall’agenzia Fides, nel quale i presuli elogiano il lavoro della Commissione elettorale indipendente ed esprimono la loro gratitudine alla Commissione Giustizia e pace e ai diversi osservatori della Chiesa che hanno seguito il processo elettorale. “Ringraziamo Dio – scrivono – per la crescente maturità della nostra democrazia e lodiamo tutti i partiti politici per aver accettato il risultato”.

Dal voto uscita rafforzata l’opposizione
Dalla tornata elettorale è uscito rafforzato il principale partito dell’opposizione, la Democratic Alliance (Da), mentre l’Anc (African National Congress), lo storico partito di Nelson Mandela, al potere dal 1994, ha subito un forte arretramento. “Il risultato – scrivono i vescovi – potrebbe essere l’annuncio di una nuova fase nella storia della nostra democrazia con governi di coalizione, un’opposizione che sappia fare proposte realistiche e una maggiore responsabilità nell’esercizio del potere”.

I politici si occupino dei drammatici problemi sociali del Paese
Per questo si chiede ai diversi partiti di non cedere alla tentazione del “vincitore-piglia-tutto”, ma di occuparsi piuttosto dei drammatici problemi sociali del Paese, come disoccupazione, ineguaglianza, razzismo, violenza, abuso di droghe e famiglie lacerate, ricordando che “la qualità della vita della nazione è misurata dall’attenzione data ai poveri, ai bambini di ogni età ed a tutte le persone emarginate”.

Con il voto del 3 agosto, il popolo ha chiesto un cambiamento
“In queste elezioni la nostra popolazione ha parlato: chiede un cambiamento, aspetta un servizio ed è stanca di corruzione, cattiva amministrazione e di essere ignorata. Dio sarà con noi – concludono i vescovi – se creiamo un futuro fondato sul rispetto della dignità umana”. (L.Z.)

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Regno Unito: aumentano pellegrini al Santuario di Walsingham

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“Sono circa 300 mila all’anno i pellegrini che arrivano a Walsingham. Il numero è andato aumentando, nel corso degli anni, ed è particolarmente alto in quest’anno del Giubileo della misericordia”. È quanto afferma Julian Foord, responsabile del coordinamento dei pellegrinaggi, sulle presenze al Santuario mariano più frequentato della Gran Bretagna, che ha recentemente ottenuto da Papa Francesco il titolo di “Basilica”.

Il Santuario originale raso al suolo, nel 1538, per volere di Enrico VIII
La chiesa situata nel Norfolk, regione a due ore a nordest di Londra, divenne famosa a partire dal 1061, quando la Madonna apparve a una nobildonna sassone del posto, Richeldis de Faverches, e le chiese di costruire una replica della casa della Sacra Famiglia di Nazareth. Raso al suolo, nel 1538, per volere di Enrico VIII, il luogo di culto ha ripreso a vivere alla fine dell’800 non nel posto originario, del quale rimangono soltanto rovine, ma nella cosiddetta “Cappella della ciabatta”, là dove i pellegrini si toglievano le scarpe per arrivare scalzi alla Chiesa.

Il recente riconoscimento dello status di basilica
“Si tratta di una delle cappelle più antiche del mondo dedicate alla Vergine Maria”, spiega mons. John Armitage, rettore di Walsingham, citato dall’agenzia Sir, secondo cui “lo status di Basilica è un riconoscimento importante, un’affermazione, da parte della Santa Sede, di questo luogo di culto soprattutto per chi non conosce Walsingham”. “Costruiremo anche - conclude Foord - un Centro per ritiri spirituali che abbiamo deciso di chiamare ‘Casa della dote’ perché, nella tradizione cristiana, l’Inghilterra viene chiamata ‘la dote della Madonna’”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 237

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.