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Sommario del 25/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa invia anche Gendarmi vaticani nelle zone terremotate

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Papa Francesco ha inviato oggi nelle zone terremotate anche 6 uomini del Corpo della Gendarmeria vaticana perché si mettano a disposizione dei soccorritori. Un altro segno concreto della sua vicinanza alle persone colpite dal sisma dopo che ieri mattina, per sua decisione, una squadra di Vigili del Fuoco del Vaticano si era recata ad Amatrice, in provincia di Rieti. La squadra lavora in accordo con la Protezione Civile Italiana nella ricerca e nella assistenza delle vittime. Luca Collodi ha intervistato Paolo De Angelis, ufficiale coordinatore dei Vigili del Fuoco del Vaticano:  

R. – Noi siamo presenti con una squadra di sei persone; collaboriamo con il corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, quindi direttamente con il comando di Rieti. Siamo sul luogo dell’intervento, come è stato per il terremoto dell’Aquila.

D. - Quindi non è la prima volta che i Vigili del Fuoco vaticani collaborano con le autorità italiane. Ricordiamo proprio il caso di Onna nel terremoto dell’Aquila …

R. - Sì. Ricordiamo Onna, perché la prima fase del terremoto è il momento più critico dove i soccorsi devono operare in un modo preciso e veloce.

D. - Come è composta la squadra che è partita per Amatrice? Avete già avuto modo di accordarvi con le autorità della Protezione Civile Italiana? Come vi muoverete?

R. – Come dicevo, noi facciamo capo al campo base nei pressi di Amatrice. La nostra squadra attualmente è composta da sei persone con due mezzi operatori. C’è una jeep per un defender con un modulo antiincendio per poterci muovere velocemente sul territorio ed un mezzo poli-soccorso con tutta l’attrezzatura necessaria agli interventi.

D. - Questa vostra presenza sulla zona del terremoto dell’Italia Centrale rappresenta un segno concreto della vicinanza del Papa alle persone colpite dal sisma …

R. - Certo. È un segno concreto. Noi faremo tutto il possibile, perché, come le sottolineavo ricordando il terremoto di Onna, adesso scatta quella che non voglio chiamare “gara di solidarietà”, ma è il momento della solidarietà verso le popolazioni colpite. Adesso è il momento in cui bisogna dare solidarietà.

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Francesco e Benedetto XVI: un rapporto “meravigliosamente paterno-fraterno"

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“Per la Chiesa la presenza di un Papa emerito oltre a quello in carica è una novita. E poiché si amano è una novità bella”. E’ quanto scrive Francesco nella prefazione al volume “Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI”, in libreria dal 30 agosto. Autore del testo, edito da Mondadori, è Elio Guerriero che per l’occasione ha realizzato un’intervista con il Papa emerito pubblicata dall’Osservatore Romano. Nel colloquio, Benedetto XVI definisce il rapporto con il suo successore “meravigliosamente paterno-fraterno” e spiega inoltre le ragioni della sua rinuncia. Paolo Ondarza

Continuità nel segno della misericordia
“L’annuncio dell’amore misericordioso di Dio per il mondo”: è questo secondo Francesco il fine del servizio alla Chiesa che lo accomuna al suo predecessore. Il “profondo legame spirituale” e “l’amore reciproco” che lo lega a Benedetto XVI – scrive nella prefazione alla biografia del Papa emerito - è “espressione evidente” della “continuità del ministero petrino, senza interruzione, come anelli di una stessa catena”. “Con lui ho potuto sperimentare non solo reverenza e obbedienza, ma anche cordiale vicinanza spirituale, gioia di pregare insieme, fraternità sincera, comprensione e amicizia, e anche disponibilità al consiglio”. “Questo - prosegue - il popolo di Dio lo ha capito: tutte le volte che il Papa emerito, accogliendo il mio invito, è apparso in pubblico e l’ho potuto abbracciare davanti a tutti, la gioia e l’applauso dei presenti sono stati sinceri e intensi”. La presenza discreta e la preghiera per la Chiesa del Papa emerito sono per Francesco un appoggio e un conforto continuo.

Francesco: la Chiesa ha debito di gratitudine con Benedetto XVI
“Tutti nella Chiesa – spiega il Santo Padre  - abbiamo un grande debito di gratitudine con Joseph Ratzinger-Benedetto XVI per la profondità e l’equilibrio del suo pensiero teologico, vissuto sempre al servizio della Chiesa fino alle responsabilità più alte”: “fondamentale” il "contributo della sua fede e cultura a un magistero” capace di "rispondere alle attese del nostro tempo”. “Il coraggio e la determinazione con cui ha affrontato situazioni difficili – precisa – hanno indicato la strada per rispondervi con umiltà e verità, in spirito di rinnovamento e purificazione".

Benedetto XVI: con Francesco rapporto fraterno-paterno
Da parte sua nell’intervista ad Elio Guerriero, anche Benedetto XVI esprime verso il suo successore obbedienza indiscussa e sentimenti di profonda comunione e amicizia, insieme alla gratitudine alla Provvidenza per l’elezione dell’argentino Bergoglio avvenuta nel segno della cattolicità dopo due pontefici dell’Europa centrale. Il Papa emerito si dice profondamente toccato dall’umanità del suo successore che spesso gli invia piccoli doni, lettere, lo visita prima di intraprendere lunghi viaggi: “Quello che dice della disponibilità verso gli altri uomini – scrive Benedetto XVI – non sono solamente parole. La mette in pratica con me" in un rapporto “meravigliosamente paterno-fraterno”, “una grazia particolare di quest’ultima fase della mia vita”: "Che il Signore gli faccia a sua volta sentire ogni giorno la sua benevolenza. Per questo prego il Signore per lui".

Benedetto XVI: le ragioni della rinuncia
Il Papa emerito torna quindi sulle ragioni della sua rinuncia al ministero petrino e spiega di aver “sperimentato appieno i limiti della sua resistenza fisica” e la sua incapacità di affrontare in futuro voli transoceanici per il problema del fuso orario subito dopo il viaggio apostolico in Messico e a Cuba nel marzo 2012. Nell’imminenza della Gmg di Rio de Janeiro dell’estate 2013, non sentendosi in grado di “un impegno in cui la presenza fisica del Papa era indispensabile”, Benedetto XVI confida di essersi messo in preghiera davanti a Dio e di aver trovato serenità nella decisione del ritiro: “Avrei dovuto preoccuparmi – spiega – se non fossi stato convinto di essere un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”; “la Chiesa è guidata dal Signore e quindi potevo riporre nelle sue mani il mandato che egli mi aveva affidato nel giorno dell’elezione”. Tante le consolazioni spirituali ricevute, rileva il Papa emerito, ma anche le attestazioni di affetto umano e preghiera che ancora oggi continua a ricevere.

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Civiltà Cattolica pubblica colloquio del Papa con i Gesuiti polacchi

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Per aiutare le persone nella vita concreta, perché sappiano scegliere bene nelle diverse circostanze, non basta avere idee chiare, astratte, occorre capacità di discernimento. E’ quanto ha raccomandato Papa Francesco a un gruppo di Gesuiti polacchi, nel corso dell’incontro privato avvenuto il 30 luglio scosso. Si era durante il viaggio in Polonia, in occasione della Giornata Mondiale dellla Gioventù, e il colloquio, fuori programma, svoltosi nell’arcivescovado di Cracovia, era rimasto fuori dai testi ufficiali. A distanza di qualche settimana, la rivista dei Gesuiti italiani La Civiltà Cattolica propone ora una trascrizione di quel colloquio. Il Papa ha risposto anche ad alcune domande sui giovani, le Università dei Gesuiti e alcuni ricordi personali. Il nuovo numero della rivista esce oggi, giovedì 25 agosto, per una lettura integrale del testo, www.laciviltacattolica.it. Pietro Cocco ne ha parlato con il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro che ha partecipato a quell’incontro: 

D. - La saggezza del discernimento come punto cruciale per la vita di una persona ma anche per la Chiesa, cioè saper distinguere ciò che è bene da ciò che è male, le priorità della vita e, secondo il Papa, la Chiesa e i sacerdoti oggi hanno bisogno fortemente di questa capacità di crescere nel discernimento spirituale. Padre Spadaro, da cosa nasce questo invito del Papa?

R. - Papa Francesco alla fine del suo incontro con i gesuiti ha chiesto a tutti di sedersi nuovamente perché aveva qualcosa di importante da dire. Evidentemente il messaggio del Papa ha un valore molto forte per lui ed è proprio centrato sulla saggezza del discernimento. Ha affermato che la Chiesa oggi ha bisogno di crescere nella capacità di discernimento spirituale. Ha lamentato che a volte alcuni piani di formazione sacerdotale corrono il rischio di educare i sacerdoti, i pastori, alla luce di idee molto chiare e distinte e quindi di abituare le persone ad agire con criteri definiti a priori, che però non considerano in maniera adeguata le situazioni concrete. Il Papa ha parlato proprio di “non si deve fare questo, si deve fare quest’altro… “, è stato molto esplicito: si deve andare oltre questo modello; bisogna considerare la vita concreta, reale delle persone, la capacità soprattutto dei sacerdoti di discernere.

D. - Per i gesuiti il discernimento è una saggezza che si apprende attraverso gli esercizi spirituali …

R. - Sì, ed è una formazione profonda, interiore che abitua a riconoscere la presenza del soprannaturale nella nostra vita, quindi diciamo sia la presenza di Dio che quella del tentatore, della tentazione. Allora per questo è importante abituare i sacerdoti a questa vita spirituale, a questo discernimento degli spiriti per aiutare le persone a capire come Dio parla loro, cosa chiede nella loro situazione concreta. Un’espressione molto bella che ha usato il Papa è che nella vita non tutto è nero su bianco o bianco su nero; nella vita prevalgono le sfumature di grigio. Bisogna imparare a discernere, a comprendere queste sfumature di grigio dove non è chiaro e distinto. Questa è la vita reale delle persone.

D. - Il Papa ha parlato anche del suo rapporto con i giovani e ha detto che anche per loro non è semplicemente questione di offrire ricette già preconfezionate …

R. - Sì, il Papa ha detto che quando si parla con i giovani bisogna essere sinceri, veri, autentici; i giovani pongono delle domande e bisogna rispondere con la verità. Però, bisogna – appunto - evitare un rischio: quello di dare loro risposte pronte, confezionate. I giovani, a volte, hanno bisogno di sapere cosa devono fare, cosa devono dire … Invece non basta dire loro: “Fai questo, fai quest’altro”; non c’è bisogno di dare ricette pronte che comunque rimangono esteriori. Bisogna essere pronti - come ha detto il Papa - a correggere questo atteggiamento di richiesta di ricette e di risposte pronte.

D. – Nell’incontro di Papa Francesco con i gesuiti polacchi,  un’altra delle domande che gli sono state poste riguardava le università rette dalla Compagnia di Gesù. Anche qui direi che è emerso questo richiamo. Lui ha parlato dell’importanza di utilizzare il metodo degli esercizi all’interno dell’università, che pure è un luogo di confronti, di pensiero laico e di scienza …

R. – Sì, in qualche modo il Papa ha dato quasi due priorità per la Compagnia: la formazione del clero al discernimento e l’insegnamento universitario che non deve essere legato ad una fabbrica di professionisti o ad un’accademia di nozioni. Il ruolo dell’università è quello di aiutare le persone a pensare con la loro testa. In fondo il discernimento ignaziano, la lezione di Sant’Ignazio, è stato proprio questo: aiutare le persone a riflettere con la loro personalità a servizio della realtà che avevano di fronte. Il Papa ha detto: “Questa realtà è anche la Chiesa, è anche la nazione, anche questo è realtà a cui fare riferimento”. Poi ha aggiunto: “Attenzione! Perché il pensiero liberista che sposta l’uomo dal centro e mette al centro il denaro, non è l’insegnamento che noi possiamo dare”.

D. – Una capacità, quella del discernimento quindi molto moderna, necessaria, anche in un mondo laico dominato oggi forse più dal riferimento ai desideri, a una certa gelosia della libertà individuale …

R. – Il problema è non essere ideologici ed essere invece, al contrario, al servizio. L’utilità e la modernità della riflessione di Francesco in questo momento va al cuore dei problemi. Il discernimento serve esattamente per andare al cuore delle questioni, per comprendere quali sono le radici profonde dei problemi, per riflettere con la propria testa, quindi non lasciarsi condizionare da elementi ideologici. Questo è il messaggio fondamentale.

D. Ed è un messaggio che si accompagna, in Papa Francesco, a questa sua sensibilità e fraternità con le persone, alla vita concreta, quindi alle difficoltà e alle incertezze che le persone si trovano a vivere …

R. - Il compito di ogni pastore è quello di annunciare il Vangelo che non significa semplicemente  trasmettere un messaggio in maniera indiscriminata e indistinta. Significa considerare che il Vangelo poi si incarna nella vita di una persona concerta, con i suoi problemi, con le sue storie, le sue contraddizioni. È necessario avere un dialogo diretto sempre, costante e profondo con le persone alle quali ci si rivolge. Questo contenuto è valido per la vita e vale anche per la vita culturale e per la formazione culturale delle persone nel contesto universitario.

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Nomina negli Stati Uniti

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Papa Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare di Denver (U.S.A.) il Rev.do Jorge H. Rodríguez-Novelo, del clero della medesima arcidiocesi, finora Parroco della Holy Cross Parish a Denver e Professore aggiunto al Seminario arcidiocesano Saint John Vianney, assegnandogli la sede titolare vescovile di Azura. Il Reverendo Jorge Humberto Rodríguez-Novelo è nato il 22 marzo 1955 a Mérida, Yucatán, nel Messico. Ha frequentato la Roger’s Hall School, il Colegio Montejo e il Centre Universitario Montejo a Mérida.

Entrato nella Congregazione dei Legionari di Cristo nel 1974, ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana (1984), il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università di San Tommaso (1987), il Diploma in Mariologia presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum (1987), e la Licenza e il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (1990 e 1994). Ha pubblicato diversi libri e articoli in merito.
Ha emesso i voti solenni il 29 aprile 1982 ed ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 24 dicembre 1987 per i Legionari di Cristo. Come sacerdote di tale Congregazione ha ricoperto i seguenti incarichi: Assistente Accademico degli studi filosofici (1984-1987) e di quelli teologici (1987-1989), Prefetto degli studi teologici (1989-1999), Professore di Metafisica (1990-1992) e Prefetto Generale degli studi (1994-1999). È stato anche uno dei Professori fondatori dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma, dove è stato Professore di Teologia Fondamentale e Decano di Teologia (1993-1999). Ha anche prestato servizio nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe a Roma.

Nel 1999 ha inoltrato la richiesta di lasciare la Congregazione dei Legionari di Cristo, incardinandosi nell’arcidiocesi di Denver dove ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Saint Therese Parish ad Aurora (1999-2001), Vice-Direttore delle vocazioni sacerdotali ispaniche (2000-2001), Vice-Presidente dell’Istituto teologico Our Lady of the New Advent (2001-2002). Poi, ha svolto diversi ruoli nel Seminario arcidiocesano Saint John Vianney a Denver: Vice-Prefetto degli studi (2001-2002), Professore (2001-2013), Direttore dello Spiritual Year (2006-2007) e Vice-Rettore (2007-2014). Durante i suoi anni al Seminario ha prestato servizio in varie parrocchie di Denver. È stato anche Vicario parrocchiale della parrocchia Stella Maris a Roma (2002-2005). Dal 2010 è Membro del Consiglio Presbiterale e dal 2013 è Parroco della Holy Cross Parish a Denver e Professore aggiunto presso il Seminario Saint John Vianney. Conosce lo spagnolo, l’inglese, l’italiano e il francese.

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Canale d'Agordo inaugura Museo dedicato a Papa Luciani

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Sarà inaugurato, domani 26 agosto, a Canale d’Agordo il nuovo “Museo Albino Luciani”, dedicato al "Papa dell’umiltà". L’occasione è il 38.mo anniversario della salita al Soglio Pontificio di Giovanni Paolo I, che nacque nel piccolo comune bellunese. Prima dell’inaugurazione, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin presiede la Santa Messa presso la chiesa arcipretale di San Giovanni Battista. Massimiliano Menichetti ha intervistato il curatore scientifico del Museo, Loris Serafini: 

R. – L’iniziativa è partita fin dal 2006 per poter offrire qualcosa che potesse aiutare i pellegrini e i visitatori a ricostruire la vita di Albino Luciani.

D. – 380 mq destinati alla mostra ed altri 600 mq circa riservati ad un centro studi. Qual è il primo pannello che accoglie il visitatore?

R. – Il primo pannello riguarda la storia dell’ambiente di questa valle, per dare l’idea di come Albino Luciani si sia formato: da una lunga tradizione e dalla sensibilità che c’è stata in questa terra, ad esempio le problematiche sociali, di povertà e del lavoro...

D. – Un museo che un po’ prende per mano il visitatore, il pellegrino e lo fa immergere proprio in quella che è la spiritualità del Papa. Tanti i contributi audio e video…

R. – Si è cercato di puntare al coinvolgimento di tutti i sensi. E’ soprattutto un viaggio lungo il quale ci conduce per mano lo stesso Albino Luciani. Infatti, nelle varie fasi della sua vita sono state predisposte delle citazioni dai suoi stessi scritti. Poi in particolare, ci sono due momenti significativi, che sono le due grandi chiamate: quella al sacerdozio, all’età di 11 anni, dove si sente proprio la sua voce che da Papa ricorda gli anni delle elementari; e l’ultima grande chiamata, quel “sì” al Pontificato nel 1978, con il famoso Angelus del 27 agosto, in cui ricorda l’esperienza vissuta in Conclave.

D. – Possiamo dire che è un percorso nella fede?

R. – Il concetto base del museo è di “Humilitas”, motto di don Albino. La parola “humilitas” deriva dalla terra. L’humus è la terra natale del Pontefice, da cui lui ha ricavato delle caratteristiche essenziali, che sono la semplicità, la povertà, l’umiltà, che lo hanno accompagnato tutta la vita. Queste parole vogliono diventare un messaggio di fede e di spiritualità per chiunque visiti il museo, proprio per poter riflettere sulle caratteristiche di quest’uomo, di quest’uomo di Chiesa, che ha insegnato a tutto il mondo che non importa quale carica si ricopra, ma la fedeltà al proprio posto e al proprio servizio. Quello che ci verrà richiesto alla fine della vita è l’amore con cui si è ricoperto il servizio che Dio ci ha dato da svolgere nella vita.

D. – Un percorso che si vive anche attraverso oggetti concreti. Cosa vede il pellegrino, il visitatore, durante il percorso espositivo?

R. – Ci sono oggetti riguardanti ciascun periodo della sua vita. Nella parte dell’infanzia, ad esempio, c’è la valigetta con cui Albino Luciani partì per il seminario nel 1923; troviamo esposti i ricordi della sua prima Messa. Poi man mano che si passano le varie tappe - la sua consacrazione episcopale, la nomina a Patriarca di Venezia – troviamo, per ciascuna di queste tappe, oggetti come il pastorale oppure il soprabito nero, che normalmente utilizzava passeggiando per Venezia. E, infine, si giunge al Conclave e all’elezione a Papa: quindi le vesti papali e il calice utilizzato nella cappella privata in Vaticano. Tutti elementi che sono di per sé poco significanti, ma messi nel contesto acquistano un significato molto importante, relativamente al periodo che vogliono descrivere.

D. - Qual è l’ultimo pannello, l’ultimo messaggio che viene lasciato al visitatore?

R. – L’ultimo pannello è un messaggio di Papa Francesco, che raccoglie l’eredità di Albino Luciani e che indica alcuni punti salienti degli scritti e del pensiero di Giovanni Paolo I facendoli propri. Sono citazioni estratte dal libro “Il nome di Dio è Misericordia” di Andrea Tornielli, in cui Papa Francesco parla del suo predecessore. Un messaggio, quindi, che lega questi due Pontefici che non si sono incontrati a livello fisico, ma che condividono la stessa impostazione, moltissime idee e anche un modo di vedere la Chiesa che fin dal ’78 aveva Luciani. Non è un caso che lui stesso abbia detto, in seguito alla sua elezione, che avrebbe voluto votare un sudamericano come Pontefice.

D. – Con che spirito visitare questo museo, dunque?

R. – Vorrei invitare la gente, i pellegrini, i visitatori a vivere questo museo non soltanto come un momento culturale, ma come una opportunità per poter riflettere a livello spirituale sull’importanza del messaggio che quest’uomo di Dio ha lasciato al mondo.

Il Museo è frutto dell’impegno del Comune e della Fondazione “Papa Luciani, Giovanni Paolo I”. Accanto al Museo, che una volta ospitava il Municipio, c'è anche un Centro Studi che vuole essere un polo culturale a disposizione di turisti e pellegrini. Massimiliano Menichetti ha intervistato il vicesindaco Marco Arcieri, membro della Fondazione: 

R. - La Fondazione “Papa Luciani, Giovanni Paolo I” è stata istituita per volere dell’amministrazione comunale nel 2009 ed è un ente senza scopo di lucro creato per far conoscere la figura di Albino Luciani, nato il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale.

D. – Lo ricordiamo, il Comune del Papa aveva un altro nome…

R. – Sì. Originariamente il paese, ai tempi di Albino Luciani, si chiamava “Forno di Canale”. Il nome è stato cambiato in “Canale d’Agordo” negli anni Sessanta, per volere dell’amministrazione comunale. La Fondazione è riuscita a realizzare una struttura che fosse in grado di gestire i gruppi, dare il giusto ricordo al nostro concittadino, e ha collaborato con l’amministrazione comunale proprio per poter creare e gestire questo nuovo museo sulla figura, l’opera e il pensiero di Albino Luciani.

D. – Che cosa rappresenta la Giornata del 26 agosto per voi?

R. – È il traguardo per cui è stata creata la Fondazione fin dal 2009. Oggi infatti finisce un percorso di lavorazione, studio e lavoro, reso possibile solamente da un impegno costante e corale di tutti coloro che hanno sempre creduto nella realizzazione di quest’opera e si sono prodigati perché potesse essere realizzata al meglio.

D. – Che ruolo ha la Fondazione in relazione al museo?

R. – Attualmente, la Fondazione è il gestore del museo, ma più che un vero e proprio museo, si tratta di un percorso, di una storia che si vuole raccontare: un punto di partenza, soprattutto in questo difficile momento storico, perché gli insegnamenti di Papa Luciani sono quanto mai attuali.

D. – Per lei, qual è il messaggio forte che emerge dal museo e quindi dall’insegnamento di Papa Luciani?

R. – Il messaggio forte che Papa Luciani ha sempre voluto trasmettere è l’umiltà. Ed è ciò che i cittadini di Canale d’Agordo intendono ricordare. Il suo messaggio, come testimonia la statua all’ingresso della Chiesa di Canale, è che più in alto si arriva, più si deve essere al servizio dei più umili e dei più deboli. Secondo me, è questo il messaggio attuale e che deve essere recepito nel difficile contesto storico nel quale stiamo vivendo.

D. – Qual è la prossima sfida della Fondazione?

R. – L’apertura del museo è il punto di partenza per poter offrire qualcosa di nuovo ai pellegrini che già da anni vengono a Canale d’Agordo per poter vedere i luoghi natii di Luciani. La Fondazione sta costituendo un Centro studi completo, specializzato su Giovanni Paolo I, e offrirà la possibilità di consultare in forma digitale i documenti e la rassegna stampa relativi al Pontefice. Quindi, stiamo tentando di dare una visione a 360 gradi su tutto ciò che può riguardare Giovanni Paolo I. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il dialogo (finora inedito) - tratto da "La Civiltà Cattolica" - del Papa con alcuni gesuiti polacchi durante l'incontro a Cracovia, il 30 luglio scorso, durante la gmg.

La voce della luce vivente: Valentina Giannacco sulle "visioni" di Ildegarda di Bingen.

Solene Tadie su Indiana Jones e il codice di Voynich.

Perdonati per poter perdonare: Enzo Bianchi su Papa Francesco e la misericordia.

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Oggi in Primo Piano



Sisma: oltre 240 morti. Si scava ancora in cerca di superstiti

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E' di 241 morti, di cui molti bambini, e 264 feriti l'ultimo bilancio, purtroppo ancora provvisorio, delle vittime del sisma che alle 3.36 di ieri ha devastato il Centro Italia, in particolare le zone di Rieti nel Lazio e di Ascoli nelle Marche. Circa 2.500 gli sfollati, ancora molti i dispersi. Intanto, nei centri più colpiti dal terremoto si è affrontata la prima notte all’aperto. Il servizio di Giancarlo La Vella

Il numero delle vittime è purtroppo destinato a crescere. Lo afferma il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio. Prosegue, intanto, incessante l’opera di rimozione delle macerie e la ricerca dei dispersi. Impossibile stabilirne il numero preciso, data la presenza nella zona in questo periodo di turisti e persone di passaggio. Risolto però l’enigma dell’Hotel Roma, ad Amatrice. I proprietari, ricoverati in ospedale, hanno fatto sapere che gli ospiti erano 32. Per ora solo quattro sono stati ritrovati in vita, ma non si dispera. Le forze dell’ordine sono impegnate a tempo pieno, per prevenire e reprimere episodi di sciacallaggio, che comunque già sono stati segnalati, mentre gli sfollati si organizzano per cercare di recuperare dalle abitazioni danneggiate vestiti, medicinali e documenti. E si susseguono a centinaia le scosse di assestamento. Nell’ambito dello sciame sismico, ancora alcuni movimenti tellurici particolarmente intensi, che hanno superato i 4 gradi della scala Richter. E i geologi avvertono: “Tutto nella normalità del dopo terremoto, ma – sottolineano – alto ora il rischio di frane”. E quella trascorsa è stata per i sopravvissuti la prima notte dopo il sisma; non per tutti è stato possibile avere una tenda o un tetto. A nessuno è mancata l’assistenza dei volontari. Eugenio Murrali ha intervistato Giònata Fatichenti, capocampo Misericordie a S. Angelo di Amatrice:

“La notte si è svolta senza particolari emergenze, perché chiaramente queste erano state, per quanto possibile, affrontate nella prima giornata di ieri. Questo ha fatto sì che iniziassimo i montaggi dei campi di accoglienza nel pomeriggio di ieri e poi siamo andati avanti a oltranza tutta la notte. Stiamo ultimando il montaggio del campo di accoglienza nella stazione di Sant’Angelo, che andrà a ospitare circa 300 persone. Le persone più fragili hanno dormito dentro da ieri. Altre in soluzioni un po’ più di fortuna, limitando il più possibile il numero di coloro, che hanno dormito all’esterno”.

Ieri nelle zone terremotate la visita del premier italiano, Matteo Renzi, e di altre autorità. Convocato alle ore 18.00 di oggi il Consiglio dei ministri per i primi provvedimenti, la dichiarazione di stato d'emergenza e l'erogazione di 234 milioni di euro del Fondo per le emergenze nazionali. Infine, si fa sempre più concreto lo slancio solidale nei confronti delle popolazioni sinistrate da parte di ogni regione italiana. Dall’estero, Stati Uniti, Germania e Francia tra i Paesi che hanno offerto subito la disponibilità a inviare aiuti. Sul fronte legale, la Procura di Rieti ha aperto un’inchiesta per disastro colposo. Un atto dovuto, per consentire il riconoscimento e l’inumazione delle salme.

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Testimonianza di suor Mariana, salvata dalle macerie del convento

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E’ rimasta a lungo incastrata tra le macerie, suor Mariana, Ancella del Signore del Convento “Don Minozzi” di Amatrice, ma quando aveva già perso le speranze e aveva offerto la sua vita in cambio della salvezza di un’altra persona, un ragazzo è riuscito a sbloccare la porta e a condurla al sicuro. Eugenio Murrali ha raccolto la testimonianza di dolore e di fede della giovane religiosa albanese: 

R. – Mi sono accorta del terremoto verso le 4 del mattino e dalle 4 alle 4.30 ho fatto la spola tra sotto il letto e la porta della camera per chiedere aiuto. Quando mi sono accorta che era il terremoto e che crollava tutto, sono andata sotto la porta – se così si può chiamare la maceria rimasta – e mi sono vista come sopra un pinnacolo: tutto il resto era crollato, era come il cono di un gelato rovesciato. Per mezzora ho continuato a chiedere aiuto, ma nessuno mi rispondeva, facevo avanti e indietro, mentre il tetto sopra di me continuava a crollare. Avevo però il pavimento ancora stabile sotto i piedi, anche se tutto intorno a me era crollato. Anche il tetto dove si trovava l’altra suora, a un metro di distanza da me, era crollato. Allora ho cominciato a mandare messaggi alle persone più care, anche se non ai miei familiari, perché non volevo far venire loro un infarto e farli disperare. E a tutti quanti ho detto che c’era il terremoto e quello che avrei dovuto fare. Poi, dopo mezz'ora, quando mi sono resa conto che nessuno veniva ad aiutarmi, ho cominciato a fare i saluti, gli addii, alle persone più vicine, e chiedevo loro di pregare per me. Da ultimo, quando oramai avevo perso la speranza di essere salvata, ho offerto la mia vita in cambio di un’altra. In quel momento, ho sentito una voce che mi chiamava: era un ragazzo, uno dei nostri ospiti che si trovava lì e che aveva sfondato la porta per venirci a salvare. Mi ha detto di seguirlo e mi ha fatto strada, perché stava crollando tutto. Io, lì per lì, in quel momento, mi sentivo come confusa e ciò a causa della botta in testa che avevo preso: mi ero svegliata mezz'ora dopo la scossa di terremoto… Ho seguito il ragazzo, ma mentre andavo e chiedevo aiuto, ho sentito un’altra suora che chiedeva aiuto. Ho avvertito il ragazzo e lui mi ha risposto che non potevamo avvicinarci a causa delle macerie. Dopo avermi portato in salvo, siamo tornati indietro, abbiamo fatto il giro della casa, e invece di una abbiamo sentito due suore che chiedevano aiuto. Ma a quell’ora – erano le 4.30 – i soccorsi non arrivavano, non c’era nessuno ancora. Dopo – se non sbaglio – è arrivata la guardia forestale di Cittaducale, che ha tratto in salvo le altre due suore, che sono state poi portate in ospedale. Sono vive e ora le stanno curando. Dopo, verso le 8, è stata tratta in salvo un’altra signora anziana, una delle nostre ospiti, e – purtroppo – sotto le macerie ci sono ancora tre suore e quattro signore anziane. Non so se sono riusciti a tirarle fuori e se ora sono vive. Gli altri ospiti sono stati tratti in salvo dal ragazzo e si sono aiutati gli uni con gli altri per salvarsi.

D. – Come donna di fede, come affronta questo momento?

R. – Quando avevo perso la speranza anche di essere salvata, a caldo, rileggendo questa parte della mia vita, ho visto, in mezzo alla morte, la vita. Perché Dio ha detto: “Vivrai”, mi ha salvato. Perché quella dove mi trovavo era l’unica parte della casa che ancora non era crollata. Io riflettevo e mi dicevo che non ero più santa io delle altre suore che erano sotto le macerie: perché io sì e loro no? E lì ho visto Dio, che non guarda la perfezione morale – il “cammina dritto, non mangiare e non bere” – ma la sua misericordia. Non è una fede fatta di precetti e di norme: ma è un credere in Gesù Cristo, che è il Dio della vita, che perdona, accoglie e salva anche quando c’è la morte, ci sono le macerie e c’è la disperazione. Perché io avevo perso la speranza di essere salvata… In questo momento non servono a niente tante parole, ma serve essere come un faro di speranza, come lo è stato il ragazzo, per dire alle persone: “Andiamo avanti, non torniamo indietro”. Perché non serve a niente tornare indietro ma solo andare avanti, perché indietro è facile tornare, per non affrontare l’avanti. Quindi bisogna andare avanti: chi può – il più coraggioso – deve andare avanti: la vita continua. Perché se torniamo indietro finisce tutto e non ha senso: non ha senso che ci siamo salvati se ora dobbiamo tornare indietro. 

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Vescovo di Ascoli tra i terremotati: ci chiedono di non abbandonarli

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Un testimone oculare della sofferenza che si respira nelle zone colpite dal sisma è sicuramente il vescovo di Ascoli, mons. Giovanni D’Ercole, che da ieri è tra i terremotati, la sua gente, aiutando, confortando e anche scavando tra le macerie. Mons. D’Ercole ci racconta la serata e la notte di ieri nell’intervista di Debora Donnini che lo ha raggiunto questa mattina al telefono: 

R. – Sono rimasto fino alle due di notte: a Pescara del Tronto abbiamo assistito le popolazioni fino a quando non hanno fatto il riconoscimento delle ultime salme che arrivavano, ma ce ne sono ancora. I parenti non volevano allontanarsi da lì, abbiamo dovuto assisterli, stare con loro ed incoraggiarli. Io poi sono andato nella tendopoli per vedere dove erano sistemati. Avevano voglia di silenzio, ma bisognava parlare con loro. Quindi sono rimasto lì fino a mezzanotte. Poi sono venuto ad Ascoli ed anche qui la gente era piena di paura, dormiva per strada.

D. - A suscitare molta commozione è stato il salvataggio dei bambini, tra cui una bambina estratta viva dalle macerie dopo più di 15 ore, ad Arquata del Tronto…

R. - Sono quegli episodi che danno tanta speranza accanto ad episodi tristi dove, per esempio, famiglie hanno sperato fino alla fine che i loro piccoli potessero essere ritrovati salvi e invece sono stati ritrovati morti. Ieri sera verso le otto c’è stato questo episodio: questa bambina scioccata, ovviamente, ma che è stata estratta viva, è un segno di speranza.

D. - Si è scavato tutta la notte nelle zone colpite dal sisma. È stato davvero impressionante il lavoro dei circa quattromila uomini della Protezione civile impegnati in tutta l’area colpita, quello dei Vigili del fuoco e dei tanti volontari …

R. - Ieri ho visto Vigili del fuoco stremati. Il loro lavoro, quello della Protezione civile, degli speleologi, il lavoro di tanti volontari è stato massacrante. Tra l'altro, sono riuscito con le mie mani a recuperare tra le macerie un Crocefisso ed ho notato, nella chiesa di Pescara del Tronto, che l’unica immagine rimasta intatta è quella del Perpetuo Soccorso: la Madonna.

D. – La gente sente la vicinanza dell’Italia, del mondo? Sente la solidarietà?

R. - La gente ha sentito tanta vicinanza. Ovunque andavo, la gente mi abbracciava mi diceva :”Grazie perché state vicino a noi”. Ovviamente non lo diceva a me, ma era verso tutti. Abbracciavano me che stavo in mezzo a loro, come pure altri sacerdoti, il direttore della Caritas don Alessio Cavezzi che insieme ai suoi volontari è stato di una generosità unica, i Frati del Mandorlo e altri che si sono messi con impegno straordinario ad aiutare. La gente ringraziava. Ieri, verso mezzanotte, quando ho salutato le persone che stavano nella tendopoli, mi hanno detto: “Grazie perché siete stati con noi in questo momento, ma non ci abbandonate”. La parola che ritorna più spesso è proprio questa: “Non ci abbandonate, perché ormai non abbiamo più nulla”. Una persona mi ha detto: “Adesso abbiamo soltanto voi”. Oggi in un certo senso sarà un po’ più triste di ieri perché c’è il dolore della gente e la speranza dei sopravvissuti che cercano i loro cari che va diminuendo. Quindi, bisognerà stare ancora più vicino a loro. Ieri sera, alle 18, la celebrazione della Messa per le salme è stata di forte impatto emotivo. L’ho celebrata nella cappella dell’obitorio dell’ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno: è stata una celebrazione che ha richiamato la morte di Gesù e la sofferenza nel veder queste persone strette ai loro piccoli. Tra l’altro c’era una bambina di 18 mesi, un ragazzo di sette anni, tra loro, padre e figlio, nonni, nipoti. E' stato uno strazio e allo stesso tempo abbiamo cercato di infondere un po’ di coraggio e di speranza. Ero circondato da sacerdoti e da seminaristi che ho visto partecipi. Qui ognuno vorrebbe fare qualcosa.

D. - Ieri Papa Francesco ha rinviato la catechesi all’udienza generale e ha pregato il Rosario. Quanto è importante pregare e aiutare la gente a pregare in questo momento di dolore?

D. - A proposito del Rosario posso raccontare due episodi: ieri  una mamma è rimasta tutto il giorno con il Rosario in mano, abbracciata ad uno dei nostri volontari. Questa donna ha perso, sotto le macerie, la madre e il figlio. Stava disperatamente sperando che potessero ritrovarli vivi, pregava il Rosario e alla fine, quando non è avvenuto il miracolo che aspettava, mi ha detto: “Così ha voluto Dio, così ha voluto Gesù”. Poi un altro piccolo episodio a proposito del Rosario: la piccola bambina Marisol,18 mesi, nella sua piccola bara bianca. Sul petto ha proprio un piccolo Rosario, in segno della fede di questa gente che pur nel dolore rimane accanto a Dio.

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Vescovo di Rieti: dov'è Dio? Dalla parte di chi soffre. E dov'è l'uomo?

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Sembra uno scenario di guerra: così mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, che si trova ad Amatrice. Nell’intervista di Debora Donnini, mons. Pompili racconta il dramma delle zone terremotate della sua diocesi: 

R. – Il dolore, lo sconcerto e direi anche l’incredulità è un po’ l’atteggiamento prevalente tra tutte le persone, che ancora non hanno ben compreso che cosa stia accadendo alla loro vita, alla nostra vita.

D. – Mons. Pompili, qual è lo scenario che si è trovato davanti stamattina?

R. – Lo scenario è quello di vedere trasformato un luogo incantevole - dove grazie anche alla bellezza di questo periodo estivo c’era veramente da rimanere estasiati per l’incanto della natura - ad un luogo di devastazione simile ad uno scenario di guerra, perché tutto è stato travolto, sbriciolato, decomposto e nel centro storico non c’è più la possibilità di riconoscere quel borgo così elegante.

D. – Di fronte a tanta morte e distruzione, sicuramente la domanda che sgorga nel cuore di tanti è: “Dov’è Dio?”

R. – Ieri sera ero ad Accumoli, nella tendopoli, e una signora mi ha fatto esattamente questa domanda. E’ una domanda che, peraltro, ci accompagna sempre nella vita, quando siamo posti di fronte alla questione fondamentale che è quella della morte. Certamente la fede ci ispira non la disperazione, ma la speranza che tutto questo possa avere un senso. Ma in questo momento certamente è difficile. Quello che è dato di credere è che sicuramente Dio è sempre dalla parte di chi sta soffrendo, in modo particolare. Accanto a questa domanda - “Dov’è Dio?” - forse bisognerebbe poi, subito dopo, collocarne un’altra: “Dov’è l’uomo?”. O meglio: “Dov’era l’uomo?”, perché la fragilità del sistema del nostro Paese è anche tale, che di fronte ad un evento certamente significativo, ci si ritrova ogni volta a contare i danni. Forse questa è l’ennesima volta in cui siamo costretti a chiederci se abbiamo fatto tutto il possibile per evitare che di fronte a questi fenomeni della natura, peraltro imprevedibili, si potesse reggere l’urto in maniera differente.

D. – Si parla di 5 mila 400 uomini impegnati per salvare persone, costruire tende, fornire assistenza. Secondo lei, questo lavoro e amore dei soccorritori fa vedere che, nonostante il male e la morte, qualcosa di Eterno, che spinge l’uomo a donarsi totalmente, esiste?

R. – Sicuramente il lavoro che stanno facendo da ieri notte tantissime persone è l’aspetto umanizzante che più fa sperare, che io mi auguro possa essere non circoscritto a queste prime fasi che sono anche emotivamente molto cariche e abbia la capacità in forme diverse di essere allungato nel tempo. Credo che ci sia la necessità da parte dell’informazione e delle istituzioni di far sì che dopo questo primo momento, questa vicinanza produca anche una progettualità nell’opera di recupero.

D. – Il Papa ha esortato ieri i fedeli presenti in Piazza San Pietro a pregare il Rosario. E’ importante invitare in questo momento le persone a pregare...

R. – Direi che è decisivo. Il rischio è che talvolta ci si concentri solo su questi aspetti, pur necessari, di ciò che fa l’uomo e che è assolutamente indispensabile, ma si dimentichi l’altro aspetto, che è quello del dolore e dell’irreparabile che può essere sostenuto e colmato solo in una prospettiva che richiama all’azione di Dio.

D. – Come state vicino alla popolazione colpita? Cosa stanno facendo i sacerdoti della sua diocesi?

R. – Stanno in mezzo alla gente. Si stanno riprendendo dall’impatto emotivo dell’altra notte, perché alcuni sono stati scossi molto fortemente. E, nello stesso tempo, anche grazie alla Caritas e a tanti gruppi di volontari, si sta provvedendo a quelli che sono i bisogni più urgenti.

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Sisma, Misericordie: solidarietà tra i superstiti di Amatrice

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Forte e coraggioso l’impegno dei volontari. Tra loro ci sono anche le Misericordie, fino a ieri impegnate nella zona rossa e oggi nei punti di raccolta. Eugenio Murrali ha intervistato Antonella Sordelli, della Misericordia di Viterbo, che sta dando un instancabile contributo nel posto medico avanzato (pma) del campo sportivo di Amatrice: 

R. – Siamo sul campo di Amatrice, che è il campo sportivo, dove abbiamo allestito una tenda di ambulatorio medico, un piccolo Posto medico avanzato (Pma) dove ci sono medici e infermieri sia per le prime emergenze, ma anche per il quotidiano, per chi ha bisogno di medicazioni, farmaci, cure da patologie croniche. In più, un mezzo della Protezione civile gira là dove chiamano, magari anche semplicemente per portare acqua, e c'è anche un’ambulanza a disposizione.

D. – Avete abbandonato il lavoro diretto sulle macerie?

R. – Sì, sì, perché ci siamo spostati qua. Quello è stato ieri, il primo giorno, appena arrivati. L’allestimento e la base ora sono qui, anche perché poi per le persone che non hanno più una casa il punto di raccolta è questo. C’è la vita quotidiana che cerca di andare avanti nel modo migliore possibile e anche la semplice febbre della bambina fa parte dell’andare avanti. Questo Pma serve a questo.

D. – Con quale spirito un volontario affronta questi momenti?

R. – Eh... sembra paradossale, ma è la volontà proprio di fare e di dare in qualche modo un aiuto agli altri. Ci sono persone che veramente sono nell’ombra, che operano più di noi e poi vivono nel cuore la tragedia: io mi riferisco ai Vigili del fuoco che fanno veramente un lavoro ammirevole. Loro sono i primi a vivere la tragedia vera e propria e molte volte il nostro supporto, di noi volontari, è rivolto a loro: vai, porti loro una bottiglia d’acqua, un sorriso, una pacca sulle spalle… E’ proprio il saper dare anche un semplice sorriso a uno che in quel momento ha la vita distrutta. Una persona che ha perso una casa, una persona cara e quindi ha perso tutto nella vita… Non so quello che puoi fare, però quello che gli puoi dare glielo dai. Non c’è un protocollo per questo …

D. – Che atmosfera si vive, in questo momento, lì nel campo?

R. – Un’atmosfera abbastanza tranquilla, tra virgolette: sono persone tutte molto umili, pacate, tranquille, cercano di fare fronte ai dolori che hanno dentro, tutti si danno da fare nel loro piccolo in qualche cosa, tutti lavorano, sanno tutti quello che devono fare: parlo di noi, delle Misericordie, parlo della Croce Rossa, della Guardia di Finanza, di qualsiasi ente che è qui, in questo momento. E la gente qui questo lo nota, lo vede perché tutti sono molto calmi, tranquilli, pacati, ti danno il buongiorno con il sorriso, cosa che neanche ti aspetti, no?, perché la situazione è triste. Eppure, vedi che anche loro vanno avanti. Penso che siano persone da elogiare per come mantengono questa tragedia dentro di loro. E’ triste…

D. – C’è qualche sensazione particolare che prova in questo momento, qualcosa che l’ha toccata nel profondo?

R. – Ho visto un’efficienza e una grande solidarietà da parte di tutti, proprio di tutti: dai cittadini, chi aiutava questo, chi aiutava l’altro... C'è una solidarietà, una tempestività, un’unione nelle forze... Hanno veramente fatto tanto e continuano a fare tanto. In questo, forse, noi italiani siamo bravi.

D. – Che lei sappia, c’è qualcosa di cui avete bisogno in questo momento, qualche genere di prima necessità che serve, che manca?

R. – Anche qui c'è una grande solidarietà da parte delle varie farmacie, per cui i farmaci arrivano in continuazione: sono velocissimi e arrivano da tutte le parti. Magari, ecco: serve l'abbigliamento invernale, presumo, perché la sera è veramente freddo e a chi ha perso tutto il giaccone o il maglione fa comodo: sicuramente sì. Gli aiuti alimentari stanno arrivando. Poi, purtroppo, non è che finirà domani, per cui man mano che arrivano si useranno. Penso però comunque che l’urgenza del momento sia l’abbigliamento: per i bambini, giacconi, piumini, cappelli, perché la sera è freddo e poi andando avanti andremo incontro all’inverno.

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Terremoto: solidarietà e iniziative d'aiuto da tutta Italia

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45500: è questo il numero attivato dalla Protezione civile per permettere a tutti di donare subito 2 euro alle popolazioni colpite dal sisma nel centro Italia. Ma tante sono le iniziative di solidarietà promosse in tutto il Paese per portare aiuto a chi è stato colpito dalla tragedia del terremoto. Il servizio di Marina Tomarro

Una mano per alleviare il dolore e donare un po’ di  consolazione a chi è stato colpito dal sisma. Infatti, già a poche ore dal sisma si è attivata subito una rete capillare di aiuti per dare una mano concreta a chi è stato colpito dal terremoto. In primo piano, la donazione del sangue. Immediati gli appelli da parte del Centro nazionale sangue e delle diverse associazioni di donazione. Ascoltiamo Fulvio Vicerè, presidente dell’Avis regionale Lazio, al microfono di Luca Collodi:

R. – Come Associazione regionale, abbiamo allertato tutti i presidenti provinciali a effettuare una chiamata in emergenza in tutto il territorio del Lazio. In collaborazione con il Centro regionale sangue, le organizzazioni sanitarie dei servizi trasfusionali, abbiamo inviato l’appello a tutti i cittadini del Lazio secondo questa modalità: i cittadini che abitano nella città di Rieti possono rivolgersi all’ospedale di Rieti, al servizio trasfusionale di Rieti, per effettuare le donazioni. I cittadini della città di Roma possono andare a donare negli ospedali dei servizi trasfusionali più vicini al loro domicilio. Gli associati sono già in contatto con le associazioni Avis o altre per le donazioni programmabili. Invitiamo e sollecitiamo la popolazione a non fare un discorso di un giorno e basta. È una necessità che si protrae nel tempo per cui occorre una programmazione nei giorni da oggi a venire.

La Protezione Civile ha invitato tutti ad inviare un sms solidale al numero  45500 per donare subito 2 euro per le popolazioni colpite dal sisma. Anche la Croce Rossa italiana ha attivato il numero 06. 5510 dedicato proprio alle offerte. Fondamentale l’apporto della Caritas per il coordinamento degli aiuti. Ascoltiamo a questo proposito, Andrea Piscopo, segretario del Coordinamento regionale delle emergenze per la Caritas Marche, al microfono di Federico Piana:

R. – La cosa migliore è fare riferimento alle realtà che coordinano a livello locale la raccolta delle disponibilità. Quindi, sia che si tratti di associazioni di protezione civile che si tratti di Caritas, fate riferimento alle Caritas diocesane e alle protezioni civili locali. Date la disponibilità, segnalate le vostre eventuali specifiche competenze: psicologi, assistenti sociali, non sappiamo ancora… Segnalate e attendete le istruzioni, non muovetevi da soli. Una cosa che vi chiediamo invece di fare è di sostenerci con la preghiera e sostenere con la preghiera le famiglie, le persone che non ci sono più e chi in questo momento è in prima linea impegnato con il recupero. L’altra cosa è fare cultura, sensibilizzare: spieghiamo ai bambini come si vivono queste notizie, come vivere queste cose. Impariamo e approfittiamo di questa vicenda per imparare come ci si comporta, come si riducono i danni, come si riducono i rischi dei terremoti, ma soprattutto pensiamo ai più fragili. Spieghiamo ai bambini come non avere paura di questo, ma come ci si comporta e si può stare in queste situazioni.

E tutti i settori si sono mobilitati per dare il loro contributo. Tra le iniziative promosse, c’è quella di “Un amatriciana per Amatrice”, dove i ristoranti sono stati invitati a mettere un amatriciana fuori menù e destinare parte dei proventi alla città devastata. Tante le strutture alberghiere soprattutto in Romagna, che hanno messo a disposizione le loro camere, per ospitare i terremotati. E a Gioiosa Ionica un gruppo di immigrati ha deciso di devolvere il loro poket money giornaliero, ai loro fratelli colpiti dal sisma.

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Norme antisismiche e prevenzione per gli edifici storici

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Nelle ore successive al terremoto che ha colpito duramente il centro Italia, si torna a parlare di prevenzione. La costruzione degli edifici, distrutti durante il sisma, è antecedente alle norme antisismiche. Al contrario, Norcia, ricostruita dopo il terremoto del 1997, non conta vittime e i danni sono contenuti. È necessario estendere la messa in sicurezza non solo alle costruzioni nuove, ma anche agli edifici storici pre-costruiti. Riguardo alle disposizioni normative in materia antisismica, Maria Carnevali ha intervistato Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri: 

R. – Queste norme si applicano sicuramente nei casi di nuova costruzione o di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente nel caso venga cambiata la destinazione d’uso, si intervenga con sopraelevazioni o si facciano interventi di grande importanza per cui occorre rivedere la stabilità del fabbricato. Il fatto è che in questo Paese la maggior parte delle abitazioni hanno 40-50-100 e più anni, perché nel nostro Paese c’è questa tradizione di conservare fabbricati nei centri storici di interesse storico artistico, per cui il problema è imporre l’applicazione della normativa sismica a tutte quelle costrizioni esistenti e che ne hanno bisogno.

D. – Infatti c’è la legge sulle nuove costruzioni del 2009. Ma gli edifici nei Paesi epicentro del terremoto sono stati costruiti nei primi decenni del ‘900, quindi antecedentemente. Questo ha avuto riscontro doloroso sul numero delle vittime. Come poter mettere a norma edifici già costruiti? Con quali tecniche?

R. – Questo è un vanto dell’ingegneria e della tecnica scientifica italiana. Proprio perché abbiamo un grandissimo patrimonio edilizio esistente, abbiamo individuato tipologie di intervento e normative che consentono di mettere in sicurezza praticamente qualunque tipo di costruzione. Negli anni abbiamo affinato molto questi metodi anche per renderli sempre più economici, sempre più attivi. Le metodologie ci sono, le conoscenze scientifiche e tecniche ci sono, c’è una classe professionale, tecnica e scientifica che è in grado di utilizzarle... Il problema è fare in modo che i cittadini abbiano interesse a mettere in sicurezza i fabbricati, così come stanno facendo per il risparmio energetico per esempio in occasione delle compravendite quando c’è l’obbligo di esibire il certificato sull’attestato di prestazione energetica. Ora, noi vorremmo che questo si estendesse anche all’aspetto della sicurezza per avviare una conoscenza dello stato dei fabbricati che dia un vantaggio ai proprietari che vogliono intervenire e migliorare la qualità strutturale dei propri fabbricati.

D. – A Norcia, dopo il terremoto del 1979 si è proceduto con interventi antisismici. I danni provocati dal sisma di questi giorni sugli edifici sono stati quasi irrilevanti. Solo dopo una catastrofe si costruisce a norma?

R. – Questo è un errore gravissimo. Bisognerebbe intervenire prima, anche perché riscostruire o riparare dopo l’evento sismico costa enormemente di più. Quindi, andrebbe avviato un piano di prevenzione vero che, in qualche modo, imponga ai cittadini di avviare questo percorso di adeguamento dei fabbricati.

D. – Quanto pesa la questione economica e come un ampliamento degli "ecobonus" in funzione antisismica pe le case, gli edifici pubblici e le imprese potrebbe essere una soluzione possibile?

R. – È una soluzione non sempre attuabile, soprattutto nei fabbricati a proprietà divisa perché l’intervento va fatto complessivamente da tutti i condomini. Quindi, diventa più complesso mettere insieme tante teste, avere la disponibilità economica, perché per avviare il procedimento e avere gli "ecobonus" bisogna individuare l’impresa, fare l’intervento che deve essere però esteso a tutto il fabbricato. Quindi, tutti i proprietari devono mettersi d’accordo.

D. – Voi, in quanto Consiglio nazionale degli ingegneri come pensate di intervenire per affrontare l’emergenza? Un partenariato tra pubblico e privato?

R. – Si può intervenire con una campagna di sensibilizzazione, con finanziamenti anche provenienti dall’Europa, perché il problema è il patrimonio edilizio storico di questo Paese. Il nostro non è un patrimonio dell’Italia, è un patrimonio del Europa. Il fatto che purtroppo in questo Paese ci sia il problema sismico non può essere una limitazione al fatto che l’Europa non debba ritenerlo un problema di carattere più complessivo.

D. – Perché in altri casi sismici nel mondo come in Giappone o in Cile le costruzioni tengono meglio?

R. – Evidentemente, ci sono interventi di ristrutturazione e di adeguamento che sono stati fatti per tempo. Poi Cile, Giappone hanno costruzioni e topologie più recenti. La particolarità del nostro Paese è di avere dei centri storici e delle costruzioni antiche in numero enorme; in altri Paesi si è abbattuto e ricostruito. Qui è molto più difficile intervenire.

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Colombia: accordo governo-Farc pone fine a 52 anni di guerra civile

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Il governo colombiano e i guerriglieri filo-marxisti delle Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, hanno raggiunto uno storico accordo di pace dopo 4 anni di negoziati all'Avana, ponendo fine ad un conflitto durato 52 anni che ha causato migliaia di morti. Il servizio di Sergio Centofanti

E’ la guerra civile più vecchia del mondo. Iniziata nel 1964 ora potrebbe definitivamente chiudersi con la firma ufficiale a settembre e la ratifica popolare nel referendum del 2 ottobre. Il 23 giugno scorso era stato siglato il cessate il fuoco.  

I numeri del conflitto sono agghiaccianti: oltre 220mila morti, 45mila persone scomparse nel nulla, 7 milioni di sfollati, migliaia di bambini soldato. I guerriglieri, in tutto 7mila, s’impegnano a consegnare le armi e a trasformarsi in un movimento politico legale. Per il presidente Santos è l’ora di reintegrarli nella vita civile. Non sarà facile: le Farc controllano intere regioni autofinanziandosi con il narcotraffico e i sequestri di persona: oltre 25mila in mezzo secolo.

Le ferite sono profonde: c’è tutto il capitolo dei risarcimenti e della punizione dei responsabili di crimini efferati. Ci sarà bisogno di un intervento economico mondiale per sostenere la riconciliazione. Se a livello internazionale si esulta, molti colombiani guardano ancora con scetticismo agli accordi che comunque vedono fuori un’altra organizzazione armata, quella della dell’Esercito di liberazione nazionale, sempre di sinistra ma non legata al modello sovietico.

Papa Francesco ha incoraggiato il processo di pace avvenuto con la mediazione cubana: un altro fallimento – aveva detto in uno dei suoi appelli per il Paese sudamericano – non è possibile. E ha espresso l’auspicio di potersi recare in Colombia nel 2017. Ha svolto un importante ruolo in questo cammino verso la riconciliazione la Chiesa cattolica colombiana che vuole sempre più trasformarsi in un “ospedale da campo, ovvero un luogo in cui, dopo la guerra, ci si dedica con amore a curare le ferite di tante vittime e a guardare con fiducia al futuro”.

Sull'accordo di pace in Colombia, Salvatore Tropea ha intervistato il prof. Gianni La Bella, docente di Storia Contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, membro della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – Questo accordo segna un momento storico. Si apre una stagione nuova: le Farc si trasformeranno in partito politico e si inseriranno nella normale dialettica democratica del Paese. Questo conflitto mette fine ad un periodo di violenza, insicurezza e scontro sociale, che ha fatto della Colombia per tanti anni un Paese simbolo della violenza latinoamericana. È una svolta storica, che deve anche fare da detonatore ad una pace più grande, perché l’accordo con le Farc è un accordo con una delle due grandi guerriglie che erano ancora operative in Colombia. E quindi è molto importante che anche l’Esercito di Liberazione – l’Eln – si avvii presto alla firma di un accordo di pace. È un cammino molto complesso, perché bisogna tenere conto che le Farc raccolgono uomini e donne che hanno fatto per tutta la loro vita – potremmo dire – i guerriglieri. Passare quindi da una condizione di vita nel bosco ad una di vita normale non è un’operazione facile. Esistono anche resistenze all’interno delle Farc: c’è infatti qualche fronte che non vede l’accordo con grande simpatia. In questo senso, credo che un ruolo importante lo avranno tutte le forze sociali del Paese e in particolare la Chiesa cattolica, che potrà essere veramente uno strumento di grande pacificazione nazionale. Risolvere il conflitto con le Farc significa anche affrontare i grandi temi dell’ingiustizia sociale e della distribuzione della ricchezza; e questo rappresenta l’applicazione dell’accordo di pace, che deve avvenire in fretta ed immediatamente, soprattutto dopo che il 2 ottobre il popolo colombiano darà il suo assenso definitivo, cosa che tutti speriamo.

D. – Ci sarà bisogno di un intervento a livello internazionale per aiutare questa pacificazione nei prossimi mesi?

R. – Sì, assolutamente. È molto importante che la comunità internazionale si mobiliti, – l’Unione Europea, i Paesi direttamente coinvolti, e speriamo anche il nostro Paese, l’Italia – e molto di più di quanto non sia stato fatto finora. Perché c’è ovviamente bisogno di una consistente spesa economica che aiuti il reinserimento e la sostituzione di un’economia – chiamiamola così – di guerra e di guerriglia, in una economia di pace. Perché la Colombia, da sola, non ha le forze economiche per dare un’implementazione veloce, consistente e robusta a questo processo di pace.

D. – La Chiesa cattolica ha svolto un importante ruolo ...

R. – La voce della Chiesa è una voce ascoltata. E quindi la Chiesa può operare su tre livelli: il primo è quello di diffondere una cultura della pace, perché in Colombia – purtroppo – il conflitto dura da 50 anni; il senso di vendetta è profondo all’interno del Paese, e questo deve essere invece cambiato, eradicato. La seconda dimensione è quella della diffusione di una cultura della pace in tutti gli angoli del Paese: le parrocchie, le istituzioni e le organizzazioni cattoliche possono aiutare i colombiani a credere nella pace e a pensare che questo è un momento unico nella storia colombiana: non si può tornare indietro. E soprattutto, la terza dimensione è quella di aiutare tutti coloro che sono stati toccati dalla terribile guerra durata 50 anni a capire il senso del perdono e della riconciliazione.

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Siria: Ancora armi chimiche, 28 i civili intossicati

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Ancora armi chimiche sulla popolazione siriana. La denuncia arriva dalla "Syria Civil Defence", la Protezione civile siriana, secondo la quale durante il bombardamento avvenuto nella notte del 24 agosto sulla città di Saraqeb i civili colpiti, 28 tra cui bambini e donne ora in gravi condizioni, avrebbero manifestato segni di intossicazione e odoravano di cloro. Non si tratta di un caso isolato, infatti, secondo un rapporto delle Nazioni Unite sia l’esercito siriano di Bashar al Assad sia i jihadisti hanno usato armi chimiche in Siria.In particolare, il rapporto richiesto dal Consiglio di sicurezza, e frutto del lavoro congiunto dell'Onu e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), denuncia l'uso del cloro in un attacco contro la città di Talmenes il 21 aprile 2014 e in uno contro la città di Sarmin, il 16 marzo 2015. Mentre il sedicente Stato islamico (Is) ha usato l'iprite ("gas mostarda") almeno in un'occasione, il 21 agosto 2015 a Marea, nella provincia di Aleppo. L'uso di armi chimiche è stato poi accertato in altri sei casi, ma non si è riusciti a stabilire chi le abbia adoperate. Michele Ungolo ne ha parlato con Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma “Tor Vergata”: 

R. – Qui bisogna distinguere gli attacchi chimici condotti dal sedicente Stato islamico da quelli effettuati dal regime di Bashar Al Assad. Sui primi non possiamo intervenire, perché l’Is non ha alcuna rappresentanza nelle sedi internazionali né ha alcun Paese che lo sostenga o con cui sia possibile aprire un dialogo per frenare questo tipo di orrore. Il riferimento a Bashar Al Assad è invece diverso: egli aveva accettato la distruzione del suo arsenale chimico dopo l’attacco dell’agosto 2013. Ricorderemo tutti quello che è accaduto a Ghouta, nei pressi di Damasco, dove ci fu una strage attribuita ad Al Assad, che in quell’occasione fu accusato dagli Stati Uniti di aver utilizzato le armi chimiche. Ci fu una importante crisi internazionale: gli Usa volevano intervenire con dei bombardamenti aerei su Damasco, cosa che fu poi scongiurata da un accordo tra la Russia e gli Stati Uniti, che si tradusse in una risoluzione all’unanimità del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

D. – In riferimento agli avvenimenti del 2013, era stato bandito in Siria ogni tipo di attacco chimico. Oggi, invece tale restrizione è stata violata: cosa è successo?

R. – È difficile dirlo. Confesso che per me è molto difficile immaginare che Bashar Al Assad possa oggi utilizzare le armi chimiche. Questo sarebbe per lui un comportamento molto dannoso – assolutamente scriteriato – per la semplice ragione che Al Assad ha quasi completamente riconquistato la Siria e non ha bisogno di utilizzare le armi chimiche. E soprattutto, se lo facesse, metterebbe in grandissimo imbarazzo Putin, che a suo tempo spinse verso un accordo con gli Usa in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per la distruzione dell’arsenale chimico siriano. Putin in questo momento è l’uomo che garantisce alla comunità internazionale che Bashar Al Assad non farà più uso delle armi chimiche. Se davvero Assad avesse fatto una cosa del genere, il suo potrebbe essere definito come un comportamento politicamente folle.

D. – Quali sono gli effetti di queste armi sulla popolazione?

R. – Terribili, perché in genere sono armi che non lasciano segni evidenti sul corpo, ma le persone muoiono in preda alle convulsioni. Si tratta quindi di una morte lenta, sicuramente peggiore di una morte causata dal lancio di un missile, che è in genere un tipo di morte piuttosto immediata, a meno che non si rimanga ad agonizzare sotto le macerie.

D. – L’Is ha fatto della sua imprevedibilità l’arma più pericolosa. È davvero difficile comprendere dove e come avverrà un nuovo attacco, ma soprattutto, come si può contrastare questo nemico?

R. – Le notizie con riferimento all’Is, per quanto riguarda il fronte occidentale, sono piuttosto positive. L’Is ha ormai i mesi contati. La ragione per cui quest’ultimo continua d esistere in Siria è semplicemente dovuta al fatto che le grandi potenze non si sono messe d’accordo su quello che sarà della Siria dopo la distruzione dell’Is. Sembra però che si vada incontro a questo accordo: se non ci saranno battute d’arresto dal punto di vista politico, esso dovrebbe essere stretto in un volgere di tempo relativamente breve.

D. – Lei ha definito l’Is come “l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo”: quali sono gli avvenimenti del passato che l’hanno portata a questa conclusione?

R. – Io ho analizzato tutte le conquiste dell’Is in Siria, in Iraq e in Libia e quello che ho trovato è che l’Is è il “nulla che avanza nel niente”: è l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo, in primo luogo perché la sua ascesa si è verificata in presenza di un processo di disfacimento dell’esercito siriano e di quello iracheno. Sono stati fortunati perché sono nati nel posto e al momento giusto. La seconda grande fortuna dell’Is è stata la divisione tra la Russia e gli Stati Uniti. La ragione per cui l’Is continua a esistere è perché non c’è stato un accordo tra i due Paesi per combatterlo seriamente o comunque in maniera definitiva. Diciamo che la Russia e gli Stati Uniti sono stati più impegnati a combattere tra di loro per conquistare Damasco, che a coalizzarsi per liberare Raqqa dalla presenza dell’Is e in particolare da quella del suo leader Al Baghdadi.

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Meeting di Rimini 2016, il bilancio di Emilia Guarnieri

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Chiude oggi i battenti il Meeting per l'amicizia tra i popoli promosso a Rimini come ogni anno da Comunione e Liberazione. Il tema di questa edizione "Tu sei un bene per me" ha portato a riflettere sui valori della misericordia e dell’accoglienza nell’anno del Giubileo, con tanti ospiti e testimoni. Il nostro inviato Alessandro Guarasci ha chiesto un bilancio alla presidente della Fondazione del Meeting, Emilia Guarnieri

R. – Il tema del “tu”, come dire, si è diffuso tra tutti coloro che hanno partecipato come relatori, come organizzatori di mostre e nel pubblico con una unanimità. E’ stato un grande coro che è come se avesse riscoperto la inevitabilità del “tu”.

D. – Quante persone sono venute agli incontri e quanti personaggi avete ospitato?

R. – Sono sostanzialmente confermati i dati dello scorso anno (800 mila, ndr). Per quanto riguarda il numero dei personaggi, siamo come sempre su alcune centinaia.

D. – Quanto ha cambiato la vostra agenda il terremoto? Insomma, anche i terremotati sono un “tu” per voi...

R. – Assolutamente sì. Direi, in questo momento, siano quasi il primo “tu”, perché dolore e sofferenza sono la provocazione della realtà più immediata. Come ha cambiato la nostra agenda? Io penso che la prima cosa sia stata che ognuno di noi ha pregato appena lo ha saputo. Anche perché il terremoto, qui a Rimini, la notte lo abbiamo sentito. Quindi è stata una preghiera nei confronti di chi è maggiormente nella sofferenza, perché poi la cosa non è finita. Ha cambiato l’agenda nel senso che abbiamo coinvolto il pubblico su questo, con un  momento di preghiera, quindi, di silenzio all’inizio di ogni incontro; abbiamo dato la disponibilità e ovviamente lanciato l’invito a coinvolgerci nelle iniziative che verranno proposte e la colletta proposta dalla Conferenza episcopale.

D. – Questa edizione si è aperta con il capo dello Stato, che ha invitato anche ad un’Europa più solidale. Questo messaggio come è stato recepito dal pubblico del Meeting e da voi?

R. – Il pubblico del Meeting tendenzialmente è un pubblico europeista. Quindi un invito come quello del presidente Mattarella è stato recepito con un grande plauso. Peraltro, ieri, il presidente Prodi ha sottolineato il tema che l’Italia è stata lasciata da sola, quando c’è stato il grande panel sull’immigrazione. Direi che ha sottolineato ulteriormente questa esigenza che l’Italia non sia lasciata da sola. Il presidente Mattarella aveva aperto questa grande questione.

D. – Il Papa parla sempre di una società che deve essere più solidale con i poveri. Lei vede un cambiamento nella nostra società in questo momento?

R. – In questa direzione di solidarietà con i poveri direi che ci sono segnali, però non diffusi, non popolari, perché con la crisi e con la difficoltà che si vive oggi, la parte più immediatamente egoista dell’uomo tende ad emergere. E’ solo una coscienza di sé, del proprio limite, del proprio essere "fatti" da Qualcun altro, che genera una capacità di guardare all’altro come qualcuno che può avere anche bisogno. Quindi direi che, ancora una volta, sia una questione di educazione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia, le speranze dei vescovi per l'accordo governo-Farc

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È con speranza che la Conferenza episcopale della Colombia (Cec) guarda all’accordo di pace tra governo e Farc, le Forze armate rivoluzionarie) siglato ieri a L’Avana e che verrà sottoposto a referendum popolare il prossimo 2 ottobre. In una nota diffusa sul loro sito web, i presuli di Bogotà scrivono: “Accogliamo con speranza l’opportunità che si apre ora di porre fine al conflitto armato che ha segnato la storia del nostro Paese per oltre 50 anni”.

Occorre clima di dialogo e di rispetto per costruire la pace  
Ribadendo, poi, la necessità di spiegare l’accordo di pace alla popolazione, “in modo che tutti possano capirne la portata e prepararsi, così, a partecipare consapevolmente al referendum”, i vescovi colombiani esortano i politici, le organizzazioni civili, i mass media e l’intera società a “promuovere una riflessione serena” sulla consultazione popolare, “in un clima di dialogo e di rispetto, sempre animato dall’impegno per la costruzione della pace e in favore del bene del Paese”.

Referendum del 2 ottobre sia libero, responsabile e democratico
In quest’ottica, la Cec invita i cittadini a partecipare al referendum con un voto “responsabile, informato e di coscienza, che esprima liberamente la loro opinione, come esercizio effettivo della democrazia e nel dovuto rispetto della maggioranza”. Tutti i cattolici, inoltre – diocesi, parrocchie, congregazioni religiose, seminari, gruppi e comunità ecclesiali – vengono invitati a “intensificare la preghiera per la pace nel Paese ed a discernere la luce della Parola di Dio nel cammino che porta ad essere operatori di pace”. Un ultimo appello viene rivolto a tutti gli uomini e le donne “di buona volontà”, affinché “raccolgano la sfida di contribuire al superamento di ogni forma di violenza ed a lavorare, uniti, alla costruzione di una Colombia riconciliata ed in pace”.

I punti centrali dell’accordo tra governo e Farc
Tra i punti centrali dell’accordo di L’Avana ci sono il cessate-il-fuoco; la consegna delle armi da parte delle Farc in cambio della loro  trasformazione in un movimento legale, la creazione di una commissione speciale per sostenere la riconciliazione nazionale, il risarcimento per le vittime e l’istituzione di un tribunale speciale per perseguire e punire i responsabili dei crimini commessi durante il conflitto armato. Per essere valido, il referendum del 2 ottobre dovrà raggiungere il quorum del 13% degli aventi diritto al voto. (I.P.) 

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Siria, Patriarchi: cancellare sanzioni, peso solo per la gente

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Cancellare le sanzioni internazionali che “ostacolano l’ingresso e la distribuzione di cibo e di aiuti” in Siria, “fermare l’assedio al popolo siriano” e permettere al Paese e ai suoi cittadini di “vivere in modo dignitoso”, godendo dei “diritti di base come nel resto del mondo”. È questo l’appello lanciato da tre Patriarchi cristiani di Damasco alla comunità internazionale e a tutte le nazioni coinvolte nel conflitto in Siria. Una guerra che, in cinque anni, ha già causato decine di migliaia di morti e milioni di sfollati, generando una grave tragedia umanitaria.

Aumentano le sofferenze del popolo siriano
L’appello, intitolato “Stop all'assedio del popolo siriano! Abolire le sanzioni internazionali contro la Siria” e riportato dall’agenzia AsiaNews, è firmato da Giovanni X Yazigi, Patriarca della chiesa greco-ortodossa di Antiochia, Gregorio III Laham, Patriarca cattolico greco-melchita e Mar Ignatius Aphrem II, Patriarca siro-ortodosso. Nel documento, i leader cristiani ricordano che “sin dall’inizio della crisi in Siria, nel 2011, l’impatto delle sanzioni economiche e finanziarie” si è fatto sempre più significativo “sulla vita quotidiana dei cittadini”. Le sanzioni, spiegano i Patriarchi, “acuiscono le sofferenze del popolo siriano” e rappresentano “un ulteriore aspetto della crisi” perché “accrescono la pressione” del conflitto “sui singoli individui, le istituzioni, le compagnie e, di conseguenza, sull’intera popolazione”.

Clima di isolamento
La mancanza di “nuovi investimenti” e il “bando ai voli internazionali” sulla Siria, così come “le restrizioni sulle importazioni” e la black-list di aziende siriane che non possono operare a livello internazionale rafforzano il clima di “isolamento” che si respira in Siria. Inoltre, proseguono i Patriarchi, la chiusura di molte ambasciate occidentali e il ritiro del personale diplomatico “limitano le relazioni” e “l’interazione con l’estero”. Non solo: l’appello congiunto sottolinea che il divieto di operazioni bancarie internazionali mette “le persone in una condizione di grave crisi finanziaria. Si impoveriscono i cittadini, minacciando di levare loro anche il pane quotidiano, privandoli della dignità umana”. E la naturale conseguenza “è l’aumento dei prezzi per i generi di prima necessità”, il crollo del potere di acquisto della valuta locale e l’emergere di “nuovi problemi” sul piano sociale.

Guardare alla Carta dei diritti umani
Anche se lo scopo delle sanzioni “è di tipo politico”, avvertono quindi Patriarchi, a subirne le conseguenze “è l’intero popolo siriano”, in particolare “i poveri e i lavoratori delle classi più umili”. Intanto, la realtà “peggiora” sempre più e le sofferenze sono “in continua crescita”. Per questo, prosegue il testo, “noi Patriarchi residenti a Damasco, che sentiamo con chiarezza le sofferenze della popolazione […] chiediamo con forza la rimozione delle sanzioni” nella speranza che vengano prese “misure straordinarie” basate sulla Carta dei diritti umani e sugli altri trattati internazionali.

Sostenere l’operato delle organizzazioni ecclesiali ed umanitarie
A conclusione dell’appello, i tre Patriarchi sottolineano che le sanzioni favoriscono solo le mire di “gruppi che non vogliono il bene comune del Paese”; di contro, la loro cancellazione “aiuterebbe il lavoro delle organizzazioni ecclesiali e umanitarie attive sul territorio nel portare aiuti e distribuire cibo e medicinali”. (AsiaNews)

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Nigeria, vescovi: no a programmi anti-vita mascherati da aiuti

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“La Nigeria deve respingere gli incentivi contro la vita, offerti incessantemente sotto forma di aiuti da parte dei Paesi esteri”: lo scrivono chiaramente i vescovi della Provincia ecclesiastica di Ibadan nel comunicato conclusivo della loro seconda Assemblea plenaria del 2016, svoltasi il 15 e 16 agosto nella diocesi di Ondo. In particolare, i presuli condannano la recente decisione del ministro dell’Educazione, Isaac Adewole, di “implementare la cultura della contraccezione e, di conseguenza, dell’aborto” nel Paese, presentandola come “un miglioramento delle cure sanitarie per le donne”.

Rispettare la sacralità della vita 
In realtà, sottolineano i vescovi, si tratta di “una decisione ingannevole per la popolazione e dannosa per i valori morali della Nigeria” ed è per questo che la Chiesa di Ibadan chiede di “respingere” tale proposta. “I nostri giovani – scrivono i presuli – hanno bisogno di cibo, acqua potabile, strade, infrastrutture e accesso all’istruzione piuttosto che di contraccettivi”. Poi, il discorso dei vescovi nigeriani si allarga sulle tante minacce alla vita perpetrate nel Paese: conflitti etnici, rapine a mano armata, rapimenti, linciaggi e suicidi. Di qui, il richiamo a “rispettare la sacralità della vita umana”, della quale solo Dio può disporre, perché da Lui creata.

Collaborazione tra Stato e Chiesa  
Sempre riguardo al settore educativo, i vescovi puntano il dito, in generale, contro la situazione attuale, definendola “degenerata”: “C’è bisogno – spiegano – di un aggiornamento globale delle strutture e di una riabilitazione morale di insegnanti e studenti”, un’area in cui “la Chiesa è la più adatta” a intervenire. Per questo, “per l’ennesima volta”, i presuli chiedono allo Stato di “rivolgersi incondizionatamente alle scuole cattoliche, affinché possano contribuire pienamente a restaurare l’integrità del settore educativo”. “Il popolo nigeriano – infatti – ha sempre amato l’educazione integrale e merita il diritto di riceverla da chi ne è competente”.

Lotta sistematica alla corruzione
Ma la plenaria dei vescovi di Ibadan ha affrontato anche altri temi, come la lotta alla corruzione nel Paese: in particolare, i presuli chiedono al governo federale di “avviare politiche e strategie sistematiche e istituzionali” per combattere questa piaga. Vicini, poi, ai nigeriani “in questi tempi difficili”, i vescovi si appellano all’esecutivo e a tutti i datori di lavoro affinché “paghino salari e pensioni”. “Si tratta di una questione di giustizia”, sottolineano, esortando al contempo i nigeriani ad essere “solidali gli uni con gli altri in caso di necessità”.

Prossime elezioni: appello alla non-violenza ed alla correttezza
Guardando, poi, alle prossime elezioni negli Stati di Edo ed Ondo, in programma rispettivamente a settembre e novembre, i vescovi lanciano un appello “alla non-violenza ed alla correttezza” della campagna elettorale e dello svolgimento delle consultazioni, in nome “della democrazia e del bene comune”. “Ciascuno voti secondo coscienza – ribadiscono i presuli – evitando ogni forma di corruzione”. Infine, la Chiesa di Ibadan richiama tutti i nigeriani ad “una vera conversione del cuore”. (I.P.)

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Appello di Caritas Ghana contro l'accaparramento delle terre

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“Smascherare l’accaparramento di terre in Ghana, restaurare i mezzi di sussistenza, aprire la strada ad obiettivi di sviluppo duraturo”: questo il tema del Forum conclusosi ieri ad Accra, in Ghana, e promosso dalla Caritas locale. Una sessantina i partecipanti alla due giorni di lavori – informa una nota dell’organismo caritativo – tra cui rappresentanti istituzionali, membri della Commissione episcopale Giustizia e pace e del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), così come operatori dei mass media.

Accaparramento terriero, un “cancro” in crescita in tutta l’Africa
“Nel corso dei lavori – si legge nella nota – i partecipanti hanno analizzato i risultati di un’indagine sull’accaparramento terriero in Ghana e sulle migliori pratiche possibili nell’utilizzo delle terre”. “L’accaparramento dei terreni – prosegue il testo – consiste nell’acquisizione di terreni su larga scala a fini economici. E ciò che provoca lo spostamento o l’esproprio di popolazioni che di quegli stessi terreni sono le originarie proprietarie”. Si tratta di “un fenomeno in crescita in Africa – evidenzia la Caritas Ghana – e che è in procinto di diventare ‘un cancro’ che mina lo sviluppo duraturo ed impoverisce le popolazioni rurali” dell’intero continente.

I giovani migrano perché privi di speranza
Tutto ciò, nota ancora la Caritas, rappresenta “una delle principali cause di sfollamento e migrazione dei giovani che non vedono speranze per il loro futuro”. L’indagine sull’accaparramento delle terre ha evidenziato, quindi, “la necessità di un cambiamento di mentalità e di pratica” nei confronti degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile.

Dialogo e collaborazione tra Stato e Chiesa per tutelare ambiente
A fare da sfondo al Forum, naturalmente, l’Enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, in cui si pone l’accento sulla salvaguardia del Creato e sulla necessità di dialogo e collaborazione tra Chiesa e Stato per la tutela dell’ambiente. I risultati dell’incontro – conclude la nota – “devono servire a rilanciare  lo sviluppo di un programma di lavoro a lungo termine, per affrontare il problema dell’accaparramento terriero del Ghana”. (I.P.)

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Caritas Lahore: non dimenticare le vittime della strage di Pasqua

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Vivono ancora nella difficoltà e nel disagio le famiglie colpite dalla “strage di Pasqua”, l'esplosione nel parco di Lahore, in Pakistan, che il 27 marzo scorso ha provocato 81 morti. Per questo, la Caritas locale sta mettendo in campo ogni sforzo per aiutare i familiari delle vittime ad affrontare la quotidianità e a recuperare una forma di sostentamento giornaliero. E proprio con questo obiettivo, la Caritas di Lahore ha distribuito quattro “rickshaw”, piccoli mezzi a motore che fungono da mini-taxi, alle persone coinvolte nella strage.

Promuovere fraternità e pace nel Paese
A consegnare personalmente i “rickshaw” alle famiglie – riferisce l’agenzia Fides - è stato l'arcivescovo di Lahore, mons. Sebastian Francis Shaw. In tal modo, i sopravvissuti alla strage potranno avviare una piccola attività economica per consentire il mantenimento della comunità familiare. "Con questo piccolo gesto, vogliamo dimostrare che la Chiesa cattolica è accanto alle vittime in questo periodo difficile”, ha detto il presule, che ha poi ringraziato le istituzioni pubbliche e l’intera società civile che “stanno continuando ad aiutare le persone ancora ricoverate in ospedale”. “Ogni cittadino di questa splendida terra – ha concluso mons. Shaw – deve contribuire alla promozione della fraternità e della pace”.

La popolazione resti unita
Dal canto loro, i responsabili della Caritas locale, ovvero Amjad Gulzar, direttore esecutivo nazionale di Caritas Pakistan, e Rojar Noor Alam, coordinatore dei programmi caritativi nella diocesi di Lahore, hanno incoraggiato la popolazione a “rimanere unita e determinata in ogni situazione difficile, confidando sempre nella Provvidenza di Dio”.

Tanti bambini tra le vittime del 27 marzo
La strage del 27 marzo, compiuta da un kamikaze che si è fatto esplodere tra la folla radunata al Gulshan-e-Iqbal Park di Lahore, è stata una vera e propria strage di famiglie: almeno 51 delle 81 vittime, infatti, facevano parte di nuclei familiari cristiani che stavano festeggiando la Domenica di Pasqua. Ma ad essere colpiti sono stati anche tanti musulmani che passavano la giornata all’aperto. Fra i morti, anche una trentina di bambini, che nel momento dello scoppio stavano utilizzando i giochi e le attrezzature sportive del parco. (I.P. – Fides)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 238

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.