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Sommario del 26/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: si costruisce un mondo migliore consolando chi soffre

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Papa Francesco continua a seguire da vicino la situazione dei terremotati del centro Italia con la preghiera e con dei segni concreti di solidarietà. Ce ne parla Sergio Centofanti:

“Consolando quanti soffrono, saremo in grado di costruire un mondo migliore”: è l’invito lanciato oggi in un tweet da Papa Francesco con il pensiero rivolto ai terremotati in Italia. Dopo i Vigili del Fuoco vaticani, subito accorsi nelle zone colpite dal sisma, il Papa ha inviato ieri anche un gruppo di Gendarmi per partecipare alle operazioni di soccorso alle vittime in accordo con la Protezione Civile. Ieri, ha celebrato la Messa a Santa Marta con le Clarisse di Santa Maria di Vallegloria, una comunità di Spello, in Umbria, duramente colpita dal terremoto del 1997, costretta a vivere per quattordici anni in un container. Si è pregato per tutti coloro che stanno soffrendo in seguito al sisma. Il Papa ha invitato le religiose a seminare la speranza, a dare Cristo agli altri con la preghiera e con la vita. Gesù – ha detto – è la vera ricchezza, anche quando non abbiamo nulla.

Da parte sua, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in visita a Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, la terra di Giovanni Paolo I, interpellato dai giornalisti sulla ricostruzione ha detto di ritenere fondamentale che ci sia "un impegno serio" che porti a fare “ciò che la gente desidera si faccia".

Intanto, i Vigili del Fuoco vaticani sono in piena operatività: ad Amatrice sono riusciti ad estrarre vivo dalle macerie un bambino di tre anni. Purtroppo non ce l’hanno fatta i genitori e la sorella di 10 anni che dormiva nella sua stanza. Hanno portato molti rosari e immagini con la benedizione del Papa. La Guardia Svizzera pontificia ha organizzato una raccolta di sangue per l’emergenza. Anche medici e infermieri del Vaticano sono pronti a partire per le zone terremotate.

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Vigili del Fuoco vaticani partecipano al salvataggio di un bimbo

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Facciamo di tutto per far sentire Papa Francesco vicino alla popolazione colpita dal sisma. Così il geometra Orlando Latini, coordinatore della squadra dei 6 Vigili del Fuoco del Vaticano, inviati mercoledì scorso ad Amatrice. Una vicinanza che si fa concreta non solo nel lavoro senza sosta per salvare quante più vite possibile, ma anche nel cercare di dare sostegno morale alla gente disperata. Mercoledì hanno partecipato al salvataggio di un bimbo di 3 anni, nella zona di Amatrice, che, purtroppo, ha perso i genitori e la sorellina di 10 anni. Sentiamo lo stesso Orlando Latini nell’intervista di Debora Donnini

R. – Su questa segnalazione fatta da uno zio - un fratello del papà morto - siamo andati alla destinazione e abbiamo iniziato a lavorare. L’intervento è stato complicato: siamo stati impegnati dalle 17.15 fino alle 21.40. Il numero totale dei vigili che lavoravano su quelle due villette era più o meno di 40 unità. Ci siamo divisi i compiti: la nostra squadra, formata da sei persone, interveniva nella parte inferiore della casa. Quando il tetto è crollato, il solaio si è diviso in due e, purtroppo, nella parte più a sud, c’era la camera da letto dei genitori, mentre i colleghi nella parte nord ritrovavano il bambino. C’è stata grande soddisfazione da parte di tutti. Noi continuavamo a cercare tra le macerie e purtroppo abbiamo ritrovato i corpi senza vita della madre e del padre. La parte dove dormiva il bambino ha comunque resistito all’urto ed ha fatto sì che questo bambino si potesse salvare. Ci hanno detto che era in buone condizioni. Era ovviamente sotto shock però lo hanno subito portato in un luogo sicuro dove è stato accudito. Proprio questo ci ha dato la forza di continuare il nostro lavoro, perché poi, ovviamente, la speranza nelle prime ore di soccorso è tanta. La sorellina di dieci anni purtroppo è deceduta. Siamo stati noi a ritrovarla e ad estrarla dai massi.

D. – “Chi salva una vita salva il mondo intero”, dice il Talmud. Salvare vite umane è un aspetto centrale del vostro lavoro …

R. – Certo, noi facciamo tutto per salvare vite umane. Tutto il nostro lavoro è dedicato a salvare vite umane. Quindi, anche se c’è una piccola possibilità, noi la percorriamo fino in fondo. Noi andiamo senza paura, facciamo vedere che siamo dei valorosi, ma non è così. Siamo spinti soltanto dalla voglia di salvare vite umane. Questa è una grande forza e penso che sia la forza più grande che ogni vigile del fuoco ha. Ci mettiamo a disposizione, mettiamo a rischio la nostra vita per riuscire a salvare anche solo una vita umana in più. La prima notte che abbiamo trascorso qui ad Amatrice abbiamo riposato un’ora, ma in quell’ora nessuno di noi ha dormito perché nonostante fossimo stanchi, non vedevamo l’ora di tornare sul luogo: ogni minuto era importante soprattutto nelle prime 24 ore e se c’era una possibilità di salvare vite umane dovevamo farlo in quelle 24-48 ore iniziali. Penso sia importante provare, provare e sperare nell’aiuto di nostro Signore.

D. – Oggi continuate a scavare. Si spera ancora di trovare qualcuno vivo?

R. – Sì, sì! Noi finché siamo sul posto lavoriamo in funzione di trovare e portare in salvo persone. Finché c’è speranza, dobbiamo continuare a cercare.

D. – Voi avete portato la carezza di Papa Francesco a queste popolazioni. Avete parlato con la gente. Cosa vi dicono le persone?

R. – Troviamo persone sotto shock ovviamente, che piangono, madri, padri di famiglia disperati … In quel caso possiamo fare poco. Stiamo vicini ovviamente, cercando di portare attraverso la nostra presenza anche un piccolo aiuto morale. Noi facciamo di tutto per far sentire la vicinanza del Santo Padre alle popolazioni colpite dal terremoto.

D. – Avete portato con voi Rosari, immagini con la benedizione del Papa. Le avete date ai sacerdoti perché li diano alle persone …

R. – Sì, è così. Una delle prime indicazioni ricevute dal Santo Padre era quella di dare un supporto morale. Durante quei pochi momenti di riposo non ci risposiamo, ma andiamo dai sacerdoti, cerchiamo la gente e doniamo questi Rosari e queste immagini benedette.

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Papa Francesco: la non violenza, stile di una politica per la pace

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«La non violenza: stile di una politica per la pace». Questo il titolo del Messaggio per la 50.ma Giornata Mondiale della Pace, la quarta di Papa Francesco. Lo ha reso noto la Sala Stampa vaticana.

“La violenza e la pace – si legge nel comunicato - sono all'origine di due opposti modi di costruire la società. Il moltiplicarsi di focolai di violenza genera gravissime e negative conseguenze sociali: il Santo Padre coglie questa situazione nell'espressione ‘terza guerra mondiale a pezzi’. La pace, al contrario, ha conseguenze sociali positive e consente di realizzare un vero progresso; dobbiamo, pertanto, muoverci negli spazi del possibile negoziando strade di pace, anche là dove tali strade appaiono tortuose e persino impraticabili. In questo modo, la non violenza potrà assumere un significato più ampio e nuovo: non solo aspirazione, afflato, rifiuto morale della violenza, delle barriere, degli impulsi distruttivi, ma anche metodo politico realistico, aperto alla speranza”.

“Si tratta – prosegue il comunicato - di un metodo politico fondato sul primato del diritto. Se il diritto e l'uguale dignità di ogni essere umano sono salvaguardati senza discriminazioni e distinzioni, di conseguenza la non violenza intesa come metodo politico può costituire una via realistica per superare i conflitti armati. In questa prospettiva, è importante che si riconosca sempre più non il diritto della forza, ma la forza del diritto”.

“Con questo Messaggio, Papa Francesco intende indicare un passo ulteriore, un cammino di speranza adatto alle presenti circostanze storiche: ottenere la risoluzione delle controversie attraverso il negoziato, evitando che esse degenerino in conflitto armato. Dietro questa prospettiva c'è anche il rispetto per la cultura e l'identità dei popoli, dunque il superamento dell'idea secondo la quale una parte sia moralmente superiore a un'altra. Nello stesso tempo, però, questo non significa che una nazione possa essere indifferente alle tragedie di un'altra. Significa, invece, riconoscere il primato della diplomazia sul fragore delle armi. Il traffico mondiale delle armi è così vasto da essere in genere sottostimato. È il traffico illegale delle armi a sostenere non pochi conflitti nel mondo. La non violenza come stile politico può e deve fare molto per arginare questo flagello”.

“La Giornata Mondiale della Pace – conclude il comunicato - è stata voluta da Paolo VI e viene celebrata ogni anno il primo gennaio. Il Messaggio del Papa viene inviato alle cancellerie di tutto il mondo e segna anche la linea diplomatica della Santa Sede per l'anno che si apre”.

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Istituti secolari, Papa: portate il cielo tra la gente di oggi

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“L’ala avanzata della Chiesa nella nuova evangelizzazione”. È quello che il Papa chiede di essere nel mondo ai membri degli Istituti secolari, che ieri hanno concluso a Roma la loro Conferenza mondiale. Francesco, in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha invitato ciascun Istituto a una “sintesi rinnovata” tra l’aspetto laicale e quello di consacrazione di questa particolare chiamata. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Fare unità tra consacrazione e secolarità, tra azione e contemplazione”. Non è mai cambiato l’impegno spirituale di fondo dei consacrati laici. “Voi siete – scriveva Paolo VI – ad una misteriosa confluenza tra le due poderose correnti della vita cristiana”, quella laicale e quella votata a Dio dalla professione dei consigli evangelici.

Consacrazione e laicità, stesso piano
Papa Francesco ricorda la lucidità di quelle parole, ma sposta la soglia più in là, perché essere membri di Istituti secolari nel mondo di oggi chiede, afferma nel suo messaggio, una “sintesi rinnovata” tra questi due aspetti. Un punto d’incontro, spiega, che aiuti secolarità e consacrazione a stare “insieme” senza “mai” separarsi, pena - sostiene - il vivere “in maniera formalistica” certi impegni senza frutto. E nemmeno a “subordinare un elemento all'altro”. “Non si è – sostiene Francesco – prima laici e poi consacrati, ma nemmeno prima consacrati e poi laici, si è contemporaneamente laici consacrati”. E da ciò, soggiunge, “deriva anche un'altra conseguenza importantissima: ci vuole un discernimento continuo, che aiuti a operare l'equilibrio; un atteggiamento che aiuti a trovare Dio in tutte le cose”.

"Saldare" il cielo alla terra
Per riuscirvi, ci vuole un’accurata formazione che chiarisca come, pur non “essendo richiesta” ai laici degli Istituti secolari la vita comunitaria, tuttavia “è essenziale – indica il Papa – la comunione con i fratelli”. Inoltre, prosegue, “la secolarità si muove con un ampio respiro, su vasti orizzonti” e questo spinge a chi ne fa parte di accettare da un lato “la complessità, la frammentarietà e la precarietà del nostro tempo” e dall’altro di essere creativi nell’“immaginare nuove soluzioni, inventare risposte inedite e più adeguate alle nuove situazioni che si presentano”, “vivendo – asserisce Francesco – una spiritualità capace di coniugare i criteri che vengono ‘dall'alto’, dalla grazia di Dio, e i criteri che vengano ‘dal basso’, dalla storia umana”, letta e interpretata.

Vita normale e divina come Maria
Il Papa esorta gli Istituti secolari a un’intensa “vita di preghiera”, a “essere un focolare acceso” per uomini e donne che cercano una luce e, per il fatto di essere immersi nel mondo, “testimoni del valore della fraternità e dell’amicizia”. Allora, conclude, “la sfida più grande, anche per gli istituti secolari, è quella di essere scuole di santità”, con i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza a testimoniare che si può essere liberi e umili e a servizio degli altri. “Qual è – si domanda – l'umanità che avete davanti? Persone che hanno perso la fede o che vivono come se Dio non esistesse, giovani senza valori e ideali, famiglie sfaldate, disoccupati, anziani soli, immigrati…”. Quanti “volti incrociate per la strada, recandovi al lavoro o andando a fare la spesa. Quante occasioni avete per dare ristoro, incoraggiare, dare speranza, portare consolazione!". Il vostro modello, termina Francesco, sia sempre Maria, che "conduceva una vita normale, simile a quella di tanti altri, e così colaborava all'opera di Dio".

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Parolin: Papa Luciani, un mite e fermo apostolo del Concilio

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Papa Luciani fu “apostolo del Concilio”, che incarnò soprattutto “nel concepire la prossimità della Chiesa alla gente”, in una sapienza profonda. Lo ha rimarcato ieri pomeriggio a Canale d’Agordo, paese natale di Albino Luciani, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Nel 38.mo dall’elezione del Papa bellunese è stato presentato il numero speciale della rivista “Le Tre Venezie”, dal titolo “Giovanni Paolo I – Albino Luciani, un Papa attuale”.  Il porporato che oggi celebrerà la Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Battista, ha parlato dell’humus sociale e culturale dal quale proveniva Papa Luciani ribadendo la “vitalità culturale ed ecclesiale” di questi luoghi, ma anche il sacrificio vissuto.

“Ai tempi in cui Luciani era giovane prete, portava le ferite di due guerre mondiali, che in modo particolare provocarono distruzioni, stenti e lacerazioni sociali. Un mondo rurale e operaio che conobbe l’esperienza del riscatto sociale, guidato dalla solidarietà del corporativismo. Una regione costellata di chiese e di edicole votive, ornate dalla devozione dei fedeli, terra di pellegrinaggi e di rogazioni, di pratica religiosa assidua e di opere pie”. “Terra - ha aggiunto il Segretario di Stato Vaticano - in cui i Parroci, come qui a Canale d’Agordo, erano prossimi alla gente, figure di riferimento non solo nell’ambito religioso, ma anche in quello sociale, secondo la dottrina sociale della Chiesa”.

Il porporato ha guardato poi al Conclave che elesse Giovanni Paolo I sottolineando che i “cardinali scelsero il pastore di fede sicura, che aveva vissuto nel gregge e per il gregge”, vicino ai “poveri” agli “emigranti” e che “aveva accompagnato i travagliati percorsi dei preti del suo tempo”. Luciani – ha proseguito – fu “apostolo del Concilio”, incarnandolo soprattutto “nel concepire la prossimità della Chiesa alla gente”, in una sapienza profonda. “I Cardinali di tutto il mondo avevano così voluto un padre, nutrito di umana e serena sapienza e di forti virtù evangeliche, esperto delle ferite dell’uomo contemporaneo e delle esigenze dell’immensa moltitudine degli emarginati che vivono fuori dell’opulenza. Avevano eletto il sacerdote che crede nella potenza della preghiera, capace di sfidare l’indifferenza con l’amore”. 

Ricordando poi l’ultima udienza di Giovanni Paolo I quella del 27 settembre 1978, dedicata alla carità, ha evidenziato come Papa Luciani “aveva fatto della semplicità evangelica il suo stigma”, ma non una “povertà del populismo”, “romantica e paternalistica del modesto prete di montagna, ma quella storica ed esistenziale”: “Che per Luciani, sacerdote di solida formazione teologica, affondava le radici nel mai dimenticato fondamento di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, sul modello di Cristo e della sua predilezione per i poveri, e senza la quale poco si capirebbe dello spirito di governo di Giovanni Paolo I”.

L’antica indole veneta – ha detto il porporato – aveva insegnato a Luciani anche quel realismo e “la fine vena di humor” che “ridimensiona gli sfoghi delle tensioni e la superbia intellettuale”. “Mitezza”, “fermezza”, “comprensione”, “rigore”, “misericordia”, “sicurezza della dottrina” sono le parole che il cardinale Parolin vede coniugate in Papa Luciani: “La prospettiva segnata nel suo breve pontificato di apostolo del Concilio non è stata dunque una parentesi e non è riconducibile a un buon ricordo, ma è più attuale che mai. E’ nel tempo presente una forte e indeclinabile testimonianza di ciò che è l’essenza, il fondamento autentico del vivere nella Chiesa e per la Chiesa”.

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Card. Parolin a Canale d'Agordo per 38.mo elezione di Papa Luciani

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Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, paese natale di Papa Giovanni Paolo I, oggi celebra il 38.mo anniversario della salita al Soglio Pontificio di Albino Luciani, il 26 agosto del 1978. La Santa Messa di questo pomeriggio presso la chiesa arcipretale di San Giovanni Battista sarà presieduta dal cardinale Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin. Concelebreranno il vescovo diocesano mons. Renato Marangoni e il vescovo emerito, mons. Giuseppe Andrich. Dopo l’eucarestia sarà anche inaugurato il nuovo “Museo Albino Luciani”. Sul Papa dell’umiltà, del quale è in corso la causa di beatificazione, il nostro inviato Massimiliano Menichetti ha intervisto il vescovo emerito mons. Andrich: 

R. – L’ho conosciuto quando ero ragazzo e nelle parole dei miei paesani e suoi conterranei è sempre stato venerato come un vero prete: “don Albino”, “don Albino”… La parola sua era riportata con un’autorevolezza particolare, perché se diceva qualcosa lo diceva per il bene degli altri ed era molto, molto stimato in Paese.

D. – Papa Giovanni Paolo I ribadiva: “Raccomando sempre non solo la grande carità, ma le piccole opere di carità…

R. – A proposito di questo, io credo che abbia mutuato moltissimo da San Francesco di Sales, la sua spiritualità e anche la visione che occorreva avere in quel momento storico della sua vita, dell’importanza del laicato e in particolare della famiglia. Quindi, con ottimismo, con fiducia nelle persone, individuare quali erano gli atteggiamenti veramente essenziali per la vita di un cristiano e di un laico, chiamato a professare la sua fede e viverla nella secolarità.

D. – Sempre con un occhio grande verso l’amore di Dio, ribadiva: “Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile”: c’è questa grande apertura…

R. – Certo, certo. Le sue frasi erano: “Se tu tradisci l’amore di Dio, Lui non ti tradirà mai. Lui è fedele e in particolare nei confronti di quelle persone che non si accorgono più del suo amore”. Quindi, anche se magari non usava la parola misericordia, ma l’amore sconfinato di Gesù sempre fedele, nonostante qualsiasi incorrispondenza da parte dei suoi seguaci e degli uomini.

D. – Papa Luciani nel suo primo Angelus, il 27 agosto del 1978, ribadisce: “Non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni né la preparazione e la cultura di Papa Paolo”, e sottolinea: “Dovrò cercare di servire la Chiesa”, e chiede preghiere, affidandosi. Il suo motto è “Humilitas”. Veramente, tutto nel segno dell’umiltà…

R. – In quel sabato sera, quando fu annunciata la sua elezione io lo ricordo bene: ero parroco… Quelle parole che disse, l’umile richiesta che noi conoscevamo, le sentivamo così coerenti con la sua umiltà, con il suo atteggiamento, era veramente qualcosa di vero, qualcosa che anticipava anche quello che è avvenuto nell’elezione di futuri Papi, perché sentiva che il bisogno di ognuno di noi è avere quell’aiuto dall’alto per cui il Signore se dà un compito, dà anche le grazie per assolverlo.

D. – Qual è l’attualità di Papa Luciani, la sua eredità?

R. – L’umiltà che sempre ha prediletto come enunciato, ma anche come pratica di vita. E l’ascolto. L’umiltà e l’ascolto credo siano veramente una eredità da raccogliere, oggi.

D. – Qual è il segno, l’aspettativa per tutti i pellegrini e i fedeli, che partecipano oggi a questa giornata?

R. – Credo sia anche la riconoscenza, perché il Segretario di Stato che viene, che celebra, possa portare quella parola che corrisponde oggi a quello che Dio ci chiede, comunità cristiane e a noi cristiani, in un momento di grave difficoltà, soprattutto per avere fiducia in quello che viene non dalla scaltrezza umana, ma dalla Parola di Dio.

Tanta l’emozione degli abitanti di Canale d’Agordo che ogni anno ricordano il loro “don Albino”, sacerdote vescovo, patriarca di Venezia e poi Papa. Al microfono del nostro inviato, Massimiliano Menichetti, il sindaco Rinaldo De Rocco: 

R. – Mi vengono in mente tante cose... Quando “don Albino”, come noi affettuosamente continuiamo a chiamarlo, è stato eletto Pontefice, io ero un emigrante in Germania. Erano circa le 19 di sera, quando al telegiornale vidi la figura del Papa e naturalmente mi commossi al pensiero che un mio compaesano era diventato Papa.

D. – Praticamente tutti in paese lo chiamano “don Albino” e non Papa Luciani…

R. – Noi continuiamo a dire affettuosamente “don Albino”, perché eravamo abituati a chiamarlo così. Quando veniva a trovarci, predicava in Chiesa, era sempre tanto disponibile, affabile con tutti. Diceva sempre: “Bisogna parlare in maniera chiara, affinché chiunque riesca a capire quello che si dice”. Riusciva a trasmettere i suoi pensieri e quello che voleva dare sia ai bambini sia agli adulti con una semplicità estrema. E questo – la sua persona – colpiva e ha sempre colpito la gente.

D. – Grande anche la sua attenzione verso i bisognosi…

R. – Anche lui da piccolo aveva patito la fame. Durante la Seconda Guerra mondiale, aiutò i parroci affinché potessero portare aiuto alle famiglie e soprattutto agli ammalati e a coloro che ne avevano bisogno. Poi, quando era a Venezia – diciamolo francamente – non girava quasi mai vestito da cardinale o da Patriarca ma con una tonaca nera e andava a trovare gli ammalati, le persone che avevano bisogno, gli operai… Il papà fu emigrante per tanti anni e sapeva cosa voleva dire l’emigrazione: il lavorare e il sacrificarsi per poter mantenere la famiglia... E ha cercato di fare tutto quello che poteva per tutte le persone che avevano bisogno di aiuto.

D. – Papa Luciani è una figura che è nel cuore di migliaia di persone. Che cosa ha lasciato soprattutto, secondo lei?

R. – Gli scritti che ci ha lasciato e le sue testimonianze dimostrano veramente l’attaccamento alla Chiesa, con una visione anche moderna dei problemi che possono avere le famiglie. L’esempio che ci lascia è soprattutto l’obbedienza – l’obbedienza alla Chiesa e al Papa – e l’amore che deve sovrastare tutto: l’amore per Gesù Cristo e per Dio. Ci lascia una grande testimonianza di pace e amore. Sono passati 38 anni da quando salì alla cattedra di Pietro e anche da quando il Signore se lo riprese con sé. Però, in tutti questi anni non si è mai affievolito l’amore per Papa Luciani. Tanto è vero che abbiamo quaderni, quaderni e quaderni scritti dalla gente che arriva a Canale, e nei quali le persone ringraziano e chiedono suppliche.

D. – In qualità di primo cittadino, cosa vuole dire ai pellegrini e ai tanti turisti che arrivano a Canale d’Agordo?

R. – Spero che i pellegrini che continuano ad arrivare, specialmente adesso con il nuovo museo, trovino soddisfazione, ma proprio nel loro cuore dei momenti di pace, affinché coloro che pregano, vengono e chiedono una grazia, possano riceverla. E possano portare con loro, quando escono da Canale d’Agordo, questa pace, gioia e amore che Papa Luciani può dare loro.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Con l'humilitas del catechista: il cardinale segretario di Stato a Canale d'Agordo ricorda Giovanni Paolo I a trentotto anni dall'elezione.

 Francesco Scoppola su responsabilità e progetti di fronte alle calamità naturali. 

Sogni e apparizioni: Fabrizio Bisconti sull'immaginario collettivo nell'arte cristiana della tarda antichità.

Umorismo e spiritualità: Charles de Pechpeyrou su un prete in fuga.

Gabriele Nicolò sull'umidità e gli inglesi.

Nel buio, madre Teresa: il camilliano Anthoni Jeorge Kunnel tra i disperati dell'India.

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Oggi in Primo Piano



Sisma: 268 morti, 238 le persone estratte vive dalla macerie

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Prosegue incessante il lavoro della squadre di soccorso nelle zone del centro Italia colpite dal sisma. Finora sono 238 le persone estratte vive dalle macerie, mentre è salito a 268 il bilancio provvisorio delle vittime, di cui 219 tra Amatrice e Accumoli e 49 ad Arquata e Pescara del Tronto sul versante ascolano. Intanto la terra trema ancora: una scossa di magnitudo 4.8 questa mattina ha causato nuovi crolli nel reatino. Domani i funerali delle vittime nelle Marche che si celebreranno nel Duomo di Ascoli Piceno alla presenza del premier Renzi e del presidente Mattarella. Martedì 30 agosto i funerali ad Amatrice delle vittime nel reatino. Il servizio di Marco Guerra: 

E’ una corsa contro il tempo per trovare gli ultimi possibili sopravvissuti al sisma. Si scava ancora nei vari comuni colpiti. Ad Amatrice le ricerche sono concentrate presso quel che è rimasto dell’Hotel Roma. Smentita la notizia circolata su voci di persone sotto le macerie dell’albergo, dove secondo i vigili del fuoco i dispersi sono sei. E il computo totale di tutti dispersi resta ancora incerto per la presenza dei tanti turisti nelle zone colpite. Numerosa anche la comunità di cittadini rumeni, 17 dei quali mancano ancora all’appello fa sapere il ministero degli Esteri di Bucarest. Il ponte Tre Occhi è gravemente danneggiato e resta chiuso al traffico dopo la forte scossa di questa mattina; il Genio militare sta realizzando un bypass provvisorio alternativo per raggiungere il comune reatino. “Amatrice è da radere al suolo completamente e da ricostruire sullo stesso posto e con la stessa estetica” ha detto il sindaco Pirozzi spiegando che non è possibile riparare alcun edificio.

Domani i funerali delle vittime nelle Marche ad Ascoli Piceno
La situazione sembra stabilizzarsi nel versante marchigiano. Domani nel Duomo di Ascoli Piceno il vescovo Giovanni D'Ercole celebrerà i funerali delle vittime del comune di Arquata e Pescara del Tronto, alla presenza di Mattarella e Renzi. E stamani il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), mons. Nunzio Galantino, ha visitato Amatrice e altre località distrutte dal terremoto. “Dobbiamo lavorare tutti uniti” ha detto il segretario dei vescovi italiani. Martedì 30 agosto, alle ore 18:00, ad Amatrice sarà celebrato un rito funebre per le vittime del versante laziale. Dal canto loro, le varie organizzazioni impegnate nell’assistenza hanno fermato le raccolte di generi di prima necessità. Servono soldi e donazioni per la ricostruzione ha spiegato la Protezione Civile. E il governo ieri ha firmato lo stato di emergenza, che prevede il blocco delle tasse nelle zone terremotate, e ha stanziato 50 milioni di Euro per i primi interventi. Intanto la procura di Rieti ha aperto un fascicolo per l'ipotesi di "disastro colposo". L’inchiesta farà luce anche sulla scuola di Amatrice e il campanile di Accumoli, crollati dopo recenti ristrutturazioni.

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Il sindaco di Acquasanta Terme: c'è tanto da fare e si farà

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Ad Acquasanta Terme, paese vicino ad Arquata del Tronto nelle Marche, il terremoto ha risparmiato la popolazione ma non le case. Sulla situazione, il nostro inviato Alessandro Guarasci ha sentito il sindaco della cittadina, Sante Stangoni

R. – Fortunatamente non abbiamo morti, però abbiamo avuto crolli, tante case inagibili. Dovevamo riaprire la scuola elementare come da circolare ministeriale il 15 settembre ma oggi non abbiamo la possibilità di ospitare alunni all’interno delle classi. Le chiese sono lesionate, fino a ieri pomeriggio c’erano dei paesi isolati perché ci sono state delle frane provocate dal sisma. Stiamo cercando di affrontare l’emergenza nel migliore dei modi.

D. - Come sta rispondendo la macchina della Protezione civile? Sentite l’aiuto della Regione?

R. - Devo ringraziare innanzi tutto la regione Marche per la disponibilità, perché ci sta aiutando e la Protezione civile regionale sta lavorando altrettanto bene; ci sta mettendo in condizioni di aiutare la popolazione. La situazione, il dramma che si è creato è enorme; è di un’entità importantissima a livello del terremoto dell’Aquila, quindi ci sono cadaveri, case lesionate ma penso che nella zona di Arquata - perché da geologo me ne rendo conto - anche coloro che sono sopravvissuti non hanno una casa. Allora si deve andare avanti nell’emergenza. C’è tanto lavoro da fare, ma sicuramente si farà.

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La testimonianza di un sacerdote a Pescara del Tronto

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Pescara del Tronto è uno dei paesi della Marche più colpiti dal terremoto. Un sacerdote di Ascoli, padre Daniele de Angelis, si recato è nella cittadina per dare il suo aiuto. Alessandro Guarasci ha raccolto la sua testimonianza: 

R. – Soprattutto essere presenti, ascoltare … ascoltare le sofferenze, i dolori, le fatiche delle persone che abitavano qui … abbiamo portato questa mattina un po’ di giochi per i più piccoli, assistenza ai più anziani, alle fasce più deboli …

D. – Che cosa leggete nello sguardo di queste persone?

R. – Certamente dolore, sofferenza ma dignità, tanta dignità, perché comunque ogni minuto che passa arrivano notizie brutte: hanno perso parenti, hanno perso amici … però, vedo che c’è in loro tanta forza, vogliono ricominciare nonostante tutto … hanno perso tutto!

D. – Questa è una regione molto laboriosa. Queste persone hanno anche in queste ore, nonostante tutto, un po’ di fiducia nel futuro, secondo lei?

R. – Adesso è difficile, perché i pensieri sono talmente centrati sulle relazioni, le vite umane … adesso per loro è difficile pensare al futuro. Però sono certo che mano a mano che passerà il tempo, ricominceranno …

Anche un giovane residente a Roma si è recato a Pescara del Tronto: 

R. - Io sono venuto da Roma questa notte perché ho visto i miei amici disperati. Ho preso la macchina alle due e mezzo di mattina e sono arrivato qui. Questo ragazzo che siede qui al tavolo della mensa ha perso la casa, i genitori hanno perso il lavoro, hanno perso la macelleria. Quella era la macelleria … questo ragazzo guarda fisso nel vuoto ed è una cosa veramente terribile. È una delle cose più brutte che abbia mai visto in 20 anni di vita.

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Sisma. Ingenti danni al patrimonio artistico, Mibact si attiva

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Il sisma ha provocato gravi danni anche al patrimonio artistico di Lazio, Marche e Umbria. I Carabinieri specializzati in tutela del patrimonio che presidiano i siti, per evitare furti, hanno stilato una prima lista dei danni: 293 edifici lesionati, di cui almeno 50 in modo gravissimo. Secondo il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), solo ad Amatrice, dove sono crollate 8 chiese, sarebbero presenti 3.000 opere di valore culturale e artistico. Eugenio Murrali ha intervistato il segretario generale del Mibact, Antonia Pasqua Recchia, coordinatrice dell’unità di crisi che si è riunita ieri: 

R. – I danni molto gravi sono quelli prodotti dai crolli – integrali o parziali – che hanno scoperchiato le chiese, i palazzi, fatto crollare i musei – il Museo civico di Amatrice – e quindi messo a rischio anche tutto l’apparato decorativo che era contenuto dentro: gli affreschi si sono sicuramente sbriciolati, le opere d’arte sono danneggiate. Man mano che passa il tempo emergono una serie di danni non evidenti a una primissima ricognizione, che richiedono però interventi importanti. Una prima mappatura fa emergere questi danni enormi nel centro di Amatrice, ad Accumoli, ad Arquata del Tronto, qualcosa anche a Norcia. Però, man mano che passano i giorni si capisce che quest’area è molto più larga. Certamente i danni più rilevanti sono quelli delle centinaia di borghi intorno ad Amatrice, oltre che nella città stessa naturalmente. Abbiamo emergenze molto diffuse e molto numerose. I nostri tecnici sono già all’opera con le squadre di rilevamento in tutte le regioni, però noi ci muoviamo solo quando ci dà il via libera la Protezione Civile nelle aree più a rischio. Nelle altre stiamo già effettuando i controlli. In particolare, tutti i Comuni della Regione Abruzzo, che hanno risentito del terremoto, sono già oggetto di verifiche puntuali e anche, soprattutto nelle Marche, i Comuni più lontani dalla zona di Arquata del Tronto. Ad Arquata non possiamo andare.

D. – Come state preparandovi per il momento in cui invece potrete accedere a queste aree?

R. – Da un lato, con l’organizzazione, quindi la predisposizione delle squadre. Oggi e domani le squadre saranno composte dal personale tecnico delle strutture territoriali, quindi segretariati e sovraintendenze territoriali. Da lunedì cominceremo a fare l’elenco del personale tecnico di tutte le strutture italiane che, sicuramente, si candideranno, e quindi si costituiranno queste squadre miste, integrate ciascuna con almeno un vigile del fuoco, perché senza la presenza del vigile del fuoco noi non accediamo ai luoghi più a rischio, naturalmente. Le attrezzature in parte già le abbiamo e in parte le stiamo acquisendo: dispositivi individuali dei tecnici, attrezzature informatiche, attrezzature di rilevamento, macchine fotografiche digitali, computer e così via. E stiamo avviando proprio l’acquisizione dei teli di copertura che dobbiamo utilizzare da subito per i beni che hanno perso la copertura o comunque sono anche crollati. Le macerie delle chiese, infatti, dei portali, delle pareti affrescate sono tutti pezzi che vanno salvaguardati e trasportati. Quelle macerie, però, non possono essere spostate come se fossero appunto semplici macerie, devono invece essere identificate anche come appartenenza, quindi correlate all’area edilizia di pertinenza, in modo che poi si possa provvedere a quella ricostituzione dei borghi che tutti vogliono, in particolare le popolazioni colpite.

D. – Come procederete alla schedatura?

R. – L’anno scorso, ad aprile 2015, il ministro ha diramato una direttiva proprio per le operazioni di emergenza, a seguito di catastrofi naturali. Quindi, abbiamo degli apparati schedografici ben precisi, costituiti da una scheda speditiva, che si riempie proprio sul posto, corredata naturalmente da foto prese anche con strumenti non professionali, e che viene poi inviata all’unità centrale dove viene inserita nel sistema informativo. Si provvede successivamente a una ricognizione più puntuale, con delle schede di dettaglio, dalle quali poi, anche con un processo di parametrizzazione, si arriva a una quantificazione dei costi.

D. – Il restauro delle opere di Assisi resta un modello a cui ispirarsi?

R. – Certamente. Assisi resta un modello per come si è recuperato il patrimonio. Dobbiamo evitare, però, il gravissimo errore fatto quando – ricordiamolo tutti – a seguito proprio di un sopralluogo nella fase ancora di sciame sismico, si arrivò alla morte di persone dentro la Basilica di Assisi.

D. – C’è stata qualche negligenza nel passato?

R. – Noi, nell’attuazione dei programmi di intervento sui beni culturali mettiamo come linea guida, nella selezione degli interventi, la messa in sicurezza e l’intervento sui beni particolarmente degradati. E’ chiaro che il patrimonio italiano è vastissimo. Credo che gli interventi  fatti finora, e fatti bene, hanno dato prova di mettere in salvo il patrimonio. Il patrimonio culturale dell’Umbria ha resistito molto bene. Questo risulta anche dagli altri interventi che si sono fatti dopo i sismi vari. Penso che dovremmo rafforzare ancora di più le priorità, questo sì. Quindi non solo dobbiamo individuare le grandi strutture monumentali, come oggetto di verifiche sismiche – cosa che abbiamo fatto e stiamo facendo – ma ampliare di più il tema delle verifiche sismiche. Anche questo terremoto, come quello dell’Emilia, ha messo in evidenza come la tipologia più fragile sia quella degli edifici ecclesiastici.

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Proteste dei minatori in Bolivia, ucciso il viceministro dell’Interno

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La Bolivia di nuovo alla ribalta della cronaca internazionale con la protesta dei minatori in sciopero da giorni per chiedere al governo maggiori diritti, concessioni e più rappresentanza sindacale. Nella notte, alcuni lavoratori hanno sequestrato e ucciso il viceministro dell’Interno, Rodolfo Illanes. Immediata la reazione della polizia che è scesa in strada arrestando 100 persone non lontano da La Paz dove il viceministro si era recato per trattare con loro. “Questo ennesimo crimine non resterà impunito”, ha assicurato il capo della Difesa, ma intanto il governo di Evo Morales sembra in forte difficoltà. La Bolivia è uno dei Paesi più poveri dell’America Latina, anche se potenzialmente ricchissimo per le risorse naturali come gas e petrolio. Fino a poco tempo fa, tali risorse erano quasi esclusivamente in mano alle grandi multinazionali straniere, ma oggi le cose sono cambiate grazie a una serie di riforme volute dal presidente Evo Morales, il primo indio a salire sulla poltrona presidenziale boliviana, ottenendo nell’ottobre del 2014 il suo terzo mandato quinquennale. Sul piano internazionale, l’avvento di Morales ha comportato un affrancamento del Paese dall’influenza statunitense e un progressivo avvicinamento alle posizioni del Venezuela. Oltre la povertà e i conflitti sociali, resta l’annosa questione della coltivazione della coca e della produzione della cocaina che foraggia il narcotraffico, rendendo la Bolivia il terzo Paese produttore di questa droga. Cecilia Seppia ha chiesto un’analisi a Luis Badilla, giornalista esperto di questioni latinoamericane: 

R. – Quello con i minatori è un conflitto che dura da parecchie settimane. Negli ultimi giorni, è venuto fuori sulla stampa interna e internazionale in maniera più prepotente per via dell’uccisione, l’altro ieri, di due minatori nel corso delle proteste. La Chiesa, i vescovi hanno fatto proprio ieri una dichiarazione nella quale parlano di questa tragedia e parlano del conflitto in concreto – conflitto delicato, complicato – e chiedono dialogo tra i minatori e il governo. Il tutto nasce da una nuova legge – la famosa Legge 356 – che regola in Bolivia la dinamica e l’istituzionalità delle cooperative. Fra le tante cose che i minatori non accettano vi è la sindacalizzazione nelle cooperative e questi piccoli proprietari cooperativisti rifiutano questa parte della legge – anche altre, ma soprattutto questa – perché dicono che significa la chiusura delle loro piccole imprese.

D. – Proteste, conflitti, interessi diversi, minatori che vengono uccisi durante le manifestazioni e c’è anche l’uccisione del viceministro degli Interni proprio da parte di minatori in sciopero…

R. – Sì, è successa anche questa cosa terribile che va condannata, perché non si può prendere in ostaggio, neanche per buone ragioni, un funzionario del governo e per di più ucciderlo. Tra l’altro, la Confederazione nazionale delle cooperative ha condannato energicamente questo crimine. La tensione è alta…

D. – Che Paese è oggi la Bolivia e quali sono le difficoltà maggiori che questo Paese si trova a dover affrontare giorno dopo giorno?

R. – Direi sostanzialmente sia un Paese con un’altissima conflittualità sociale, perché non è in vita solo questo conflitto, ce ne sono altri nel campo dell’agricoltura, dei lavoratori dell’impiego pubblico, nelle università. Ma al tempo stesso, è un Paese povero che affronta con molte difficoltà la crisi economico-finanziaria internazionale. Anche il Papa quando è andato in visita ha potuto constatare il livello di povertà. Un Paese dove la coscienza politica è cresciuta moltissimo e quindi c’è un grande movimento rivendicativo che chiede diritti giusti negati per secoli. Un Paese, infine, segnato dalla piaga del narcotraffico.

D. – Conflittualità sociale molto alta, ma anche una politica estera regionale governata da interessi economici, soprattutto – questi – energetici, perché non dimentichiamoci che la Bolivia comunque è un Paese ricco di risorse naturali. Penso al gas, al petrolio…

R. – Ma questo è il problema di tutti i Paesi emergenti, che sono Paesi molto ricchi dal punto di vista delle risorse naturali, delle materie prime, però non hanno né i capitali né la tecnologia. In questo, il presidente Evo Morales ha cercato in modo abbastanza coraggioso di coniugare le due cose: la sovranità, l’indipendenza, la libertà del Paese con la presenza di interessi economici e finanziari stranieri, pensando allo sviluppo e alla crescita materiale della nazione. Ma non sempre è possibile, perché la logica di uno Stato, di un insieme di comunità locali – come in questo caso la Bolivia, che è un Paese anche dal punto di vista etnico e sociale molto complesso – e gli interessi delle holding, delle corporation, non sempre si possono mettere insieme. Spesso, infatti, la logica degli interessi delle multinazionali è lo sfruttamento selvaggio, rapace, senza badare a cosa rimane dopo, e cioè nulla.

D. – Evo Morales è salito sulla poltrona presidenziale della Bolivia per il suo terzo mandato nell’ottobre del 2014. Come dicevi tu, ha iniziato un’epoca di riforme anche in favore delle fasce più deboli, tra le quali comunque ha un alto indice di popolarità. Però tutte queste proteste non rischiano in qualche modo di minare la sua figura, il suo ruolo, il suo carisma anche?

R. – Lui affronta da parecchio tempo, da diversi anni, una perdita di consenso sociale notevole, in parte per politiche specifiche di fronte a questioni diverse, ma soprattutto per uno stile di governo – in particolare del suo partito – che è uno stile che ha un volto leggermente autoritario. E quando un governo è autoritario tende a stabilire – come direbbe Papa Francesco – dei muri e non a rinforzare la politica dei ponti.

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Yemen: Kerry propone un governo di unità nazionale per la pace

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In Arabia Saudita, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha incontrato ieri i rappresentanti di Riad, della Gran Bretagna e degli Emirati Arabi Uniti per proporre un piano di pace per lo Yemen. L’ accordo prevede l’inclusione in un governo di unità nazionale dei ribelli sciiti Houthi, a condizione che questi ultimi consegnino a una parte terza le armi pesanti in loro possesso. Forte è la preoccupazione per la situazione umanitaria e per le numerose vittime del conflitto. Maria Carnevali ne ha parlato con Eleonora Ardemagni dell’Istituto Studi di politica internazionale (Ispi): 

R. -  Il piano di pace per lo Yemen riprende in larga parte le misure già proposte dall’inviato dell’Onu che fino a pochi giorni fa ha tentato di trovare una sintesi politica tra le parti in campo. Da un lato ci sono gli Houthi, gli Ansarullah, quindi i ribelli sciiti del nord dello Yemen che hanno occupato la capitale Sana’a dal gennaio 2015 e ancora la controllano. Dall’altra invece c’è il governo di transizione del presidente Hadi che raggruppa le principali componenti tribali sunnite dal Paese tenute insieme soprattutto dall’ostilità nei confronti degli sciiti del Nord. Questo piano di pace deve tenere in considerazione il fatto che la partita interna, in questo momento, si gioca soprattutto tra Houthi, quindi i ribelli del nord, e Arabia Saudita. Qui andrà trovato il nodo della questione e si potrà trovare una possibilità di accordo.

D. - È realizzabile un gioveno di unità nazionale che comprenda i ribelli sciiti Houthi?

R. - Questo è il tentativo che è sempre fallito, perché le due parti non sono state capaci di trovare una sintesi politica, i ribelli Houthi e i fedeli dell’ex presidente Saleh chiedevano un governo di transizione subito, mentre il governo riconosciuto del presidente Hadi chiedeva prima l’applicazione della Convenzione Onu 2216 che chiede proprio il ritiro dei ribelli dalle zone occupate e la restituzione delle armi sottratte all’esercito.

D. - Tenendo in considerazione i numerosi interessi in gioco e le reazioni geopolitiche dei diversi attori coinvolti, crede che possa funzionare un tale accordo?

R. - Arrivare a un accordo nazionale per lo Yemen che possa essere applicato sul campo diventa sempre più difficile mese dopo mese, perché lo Yemen non è più un Paese unitario, uno Stato nazionale, nessuno ha più il controllo del territorio e ad emergere e a tenere le redini di ciò che succede a livello locale sono invece le milizie che hanno un forte radicamento territoriale ma che non sono espressione di partiti nazionali. In questo senso, più il tempo passa più lo Yemen diventa un Paese frammentato e la guerra civile diventa difficile da superare con un accordo che sia complessivo.

D. - Qual è l’interesse degli Stati Uniti sottostante alla volontà che il conflitto termini?

R. - L’interesse degli Stati Uniti è contrastare al Qaeda nella penisola arabica e le cellule che si richiamano al sedicente Stato islamico che nel sud del Paese sono sempre più forti e hanno conquistato numerosi territori che nelle ultime settimane sono state invece riportati sotto il controllo di milizie locali legate al governo legittimo. La sfida però è mantenere questi territori sotto il controllo del governo. Grazie anche alle alleanze tribali con le popolazioni del luogo al Qaeda sarà in grado di tornare ad occupare questi territori. Per gli Stati Uniti la priorità è trovare un accordo politico a livello nazionale per poter iniziare una seria lotta alle formazioni jihadiste.

D. - Perché i precedenti negoziati in Kuwait sono falliti? Perché questo dovrebbe essere diverso?

R. - Il conflitto in Yemen non ha mai visto prevalere una delle due parti in gioco, perché sia i ribelli del nord sia il governo riconosciuto non sono riusciti a vincerlo militarmente. Questo ha impedito la realizzazione di veri negoziati politici proprio perché entrambe le parti credevano di poter vincere sul campo e di andare poi a negoziare politicamente da un punto di vista migliore. Cosa cambia adesso? Sicuramente,, c’è una situazione di logorio dovuta a questo anno e mezzo di guerra che ha fatto comprendere a entrambe le parti che arrivare ad una vittoria militare sarà difficile e richiederà ancora ulteriori perdite umane.

D. - Com’è la situazione sociopolitica in Yemen? Il conflitto dura ormai da 17 mesi, ha provocato oltre novemila vittime e numerosi sfollati…

R. - La situazione umanitaria dello Yemen era già drammatica perché lo Yemen è il Paese più povero del Medio Oriente e del Nord Africa e lo era già prima dell’inizio del conflitto. La guerra non ha fatto che peggiorare una situazione già critica, l’accesso dalle agenzie umanitarie, la distribuzione dei beni di prima necessità che molto spesso sono stati difficoltosi. Inoltre, ricordiamo che la coalizione a guida saudita ha imposto un embargo sullo Yemen, quindi ha bloccato tutti gli accessi anche via mare per quello che riguarda l’ingresso delle merci, per impedire che l’Iran inviasse armi a sostegno dei ribelli del nord. Questo però ha peggiorato ulteriormente la situazione umanitaria proprio perché lo Yemen è un Paese totalmente dipendente dalle importazioni per quello che riguarda l’alimentazione. Ci sono alcune città che sono ancora oggetto di un assedio che dura ormai da mesi.

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Mons. Massafra: Madre Teresa, modello per cristiani e non

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Avrebbe compiuto 106 anni, Madre Teresa. La prossima Santa, che verrà canonizzata il 4 settembre, era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, in Albania, da una famiglia di origine kosovara. La Chiesa albanese si è preparata a questo anniversario con particolare cura e con emozione attende che la “matita di Dio” venga riconosciuta ufficialmente per ciò che già è per cristiani e non, un modello straordinario di carità per gli ultimi degli ultimi. Don Davide Djiudjaj ha chiesto una riflessione a mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari: 

R. – Un messaggio che noi albanesi, sia cattolici che non, ereditiamo da questa grande donna albanese santa è il suo amore a Cristo, e per chi non è cristiano di amore, di servizio ai fratelli più bisognosi proprio in nome di Dio. Perché altrimenti – dice Madre Teresa – potremmo essere come operai sociali, mentre tutto ciò che facciamo lo facciamo in nome di Dio, in nome di Cristo, per cui questo dà valore anche alle nostre attività.

D. – Mons. Massafra, Papa Francesco ha voluto fortemente la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta proprio nell’Anno del Giubileo, come esempio per tutti i credenti e gli uomini…

R. – Papa Francesco ha scelto questa data in questo Anno della Misericordia perché Madre Teresa dal secolo scorso serve oggi, con le suore e i fratelli che vivono la sua spiritualità, le persone più povere tra i poveri, con sacrifici per gli altri. Questo dimostra appunto come l’uomo oggi abbia bisogno di questa spiritualità, per cui vivere l’amore di Cristo concretizzato nel servizio ai più poveri è l’impegno che dobbiamo assumere in quest’anno, cercando di vivere le opere di misericordia spirituali e corporali sull’esempio di Madre Teresa.

D. – Madre Teresa è stimata e rispettata da tutti i credenti senza distinzione: non solo dai cattolici ma anche dai musulmani, non solo in Albania ma in tutto il mondo. Questa dimensione della sua spiritualità cosa rappresenta per il mondo albanese e per il mondo intero oggi, come valore?

R. – Certamente, con la proclamazione a Santa di una delle sue figlie più gloriose, dimostra che il nostro popolo, un piccolo popolo che nei secoli passati è sempre stato oppresso, ha consapevolezza dei diritti e doveri di reciprocità dei doni che hanno i popoli gli uni riguardo agli altri, ognuno secondo la propria fede, insieme a tutti gli altri può e deve creare una nuova umanità. Ed è quello su cui sta insistendo da tempo Papa Francesco: è possibile essere fratelli e sorelle, tutti siamo figli dell’unico Dio il quale vuole che siamo una grande famiglia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Stati Uniti. Vescovi del New Mexico: no alla pena di morte

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No alla pena di morte, “una pratica moralmente insostenibile”: i vescovi del New Mexico, negli Stati Uniti, si schierano contro la proposta avanzata dalla governatrice Susana Martinez di rintrodurre nello Stato la pena capitale, abolita nel 2009. La proposta arriva dopo l’uccisione di un poliziotto in servizio ad Hatch, a metà agosto.

La vita è sacra, difenderla dal concepimento e fino alla morte naturale
“L’abrogazione della pena di morte – scrivono i presuli in una nota pubblicata sul sito dell’arcidiocesi di Santa Fe – è stata una pietra miliare che ha permesso al New Messico di passare dalla cultura della violenza alla cultura della pace, della giustizia e dell’amore”. I presuli, poi, ribadiscono l’insegnamento della Chiesa sulla sacralità della vita, da proteggere “dal concepimento nel grembo materno e fino alla morte naturale”.

Giustizia sia riparativa, non meramente punitiva
“È sempre tragico e triste – continua la nota episcopale – quando viene ucciso un membro della comunità. Ma tali atti insensati devono essere evitati attraverso un cambiamento sistematico della società, a partire dai più piccoli”. “Il crimine, infatti – affermano i presuli – può essere prevenuto investendo nel capitale sociale”. Di qui, l’appello ad una giustizia che sia davvero ripartiva e non meramente punitiva.

Sempre più Stati hanno abrogato la pena capitale
“Ci uniamo Papa Francesco ed ai suoi predecessori – si legge ancora - nel suo continuo richiamo a porre fine alla pratica della pena di morte”. Infine, i presuli ricordano che “negli ultimi cinque anni, cinque Stati americani hanno approvato una legge per abrogare la pena di morte. Ci opponiamo, quindi, alla proposta di Susana Martinez di ripristinare la pena capitale e chiediamo al legislatore di respingere la normativa”. (I.P.) 

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Australia: chiude campo profughi di Manus, Chiesa soddisfatta

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Chiuderà il campo-profughi di Manus Island, in Papua Nuova Guinea, struttura gestita dal governo australiano, al centro di forti polemiche per il trattamento disumano riservato ai migranti che intendono raggiungere le coste australiane, provenienti perlopiù dai Paesi asiatici limitrofi. La decisione, annunciata dal Primo Ministro di Papua Nuova Guinea, Peter O'Neill, e dal ministro australiano per l'Immigrazione, Peter Dutton, ha generato soddisfazione nella Chiesa cattolica australiana e nella società civile, che in passato più volte avevano criticato le condizioni di vita nel campo.

Chiesa pronta ad offrire assistenza a profughi e rifugiati
“La Chiesa accoglie con favore la decisione di chiudere il centro, dove si trovano persone in detenzione da oltre tre anni", dice padre Maurizio Pettena, Direttore dell'Ufficio per i migranti nella Conferenza episcopale australiana, citato dall’agenzia Fides. “Molti gruppi religiosi e comunità cattoliche in Australia sono pronti a offrire assistenza a quanti si trovano in condizioni di rifugiati – continua - Esortiamo il governo a fare tutto il possibile per trovare rapidamente un insediamento per queste persone.”

Dignità della persona sia sempre al primo posto   
“Siamo preoccupati – aggiunge padre Pettena - perché quanti sono stati individuati come veri rifugiati potrebbero non trovare un paese che li accolga. La Chiesa cattolica si oppone a un campo di detenzione a tempo indeterminato e a risposte politiche che non rispettano la dignità delle persone bisognose di aiuto”. “È imperativo che la dignità della persona umana venga sempre al primo posto – conclude il sacerdote, esortando il governo australiano a modificare le attuali politiche migratorie.

Vivere cultura dell’incontro e dell’accoglienza
Sulla stessa linea anche mons. Vincent Nguyen Van Long, delegato della Conferenza episcopale australiana per la pastorale dei migranti e rifugiati: “In questo Anno della Misericordia – scrive il presule in un messaggio diffuso sul sito web dei vescovi australiani - dobbiamo vivere una cultura dell'incontro, dell’accoglienza e dell’accettazione, a livello personale e comunitario”. Di qui, il richiamo all'esempio di Papa Francesco, dopo aver visitato l’isola di Lesbo, il 16 aprile, “ha portato con lui 12 rifugiati siriani, musulmani, che avevano visto le loro case distrutte dalla guerra”.

Aprire il cuore alla compassione
Per questo, mons. Van Long invita i fedeli “ad aprire il cuore alle sofferenze degli altri", all'insegna della “compassione, che letteralmente significa ‘soffrire con’ ed è il segno distintivo del cristianesimo”, sentimento da riscoprire e “vivere nell'Anno giubilare della Misericordia". (I.P. – Fides) 

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India, ddl contro utero in affitto. Vescovi: tutelare la vita

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Impedire lo sfruttamento del corpo femminile a scopo commerciale: con questo obiettivo il governo indiano ha presentato un nuovo disegno di legge che regola la pratica della maternità surrogata. Il “Surrogacy Regulation Bill 2016”, che deve essere ancora discusso in Parlamento, prevede che solo le coppie sterili indiane possano ricorrere alla surrogazione di maternità e che la gravidanza debba essere portata a termine da una parente stretta dei coniugi, la quale non dovrà percepire alcun compenso.

Esclusi single, omosessuali e stranieri. Forti sanzioni per i trasgressori
Se la proposta verrà approvata, la pratica dell’utero in affitto non includerà in alcun modo i single, gli omosessuali e gli stranieri, mentre le cliniche che operano nel settore dovranno essere registrate. Prevista, infine, la detenzione fino a 10 anni e multe fino a un milione di rupie (oltre 13mila euro) per chiunque sfrutti in maniera illegale le madri o manipoli gli embrioni.

Pontificia Accademia per la vita: passo avanti, ma non basta
“Si tratta di un passo avanti verso i valori tradizionali della famiglia - commenta all’agenzia AsiaNews Pascoal Carvalho, medico cattolico e membro della Pontificia accademia per la vita - la surrogazione è una manipolazione di embrioni e rappresenta una minaccia al valore intrinseco della dignità umana”. Naturalmente, resta ancora molto da fare in difesa della vita, dice mons. Savio Fernandes, presidente della Commissione per la famiglia nella regione occidentale della Conferenza episcopale indiana, che ribadisce: “La vita di ogni essere umano deve essere rispettata e trattata con dignità fin dal momento del concepimento”, per questo “la procreazione di una nuova persona dovrà essere il frutto e il segno della mutua donazione personale degli sposi, del loro amore e della loro fedeltà”.

Mons. Fernandes ribadisce l’importanza dell’adozione
A prescindere dalle migliorie normative, quindi, il presule sottolinea che la proposta di legge è del tutto “inaccettabile per la Chiesa cattolica, perché non afferma il rispetto e la dignità degli embrioni”. “La Chiesa cattolica – continua mons. Fernandes - conosce a fondo il dolore e la sofferenza delle coppie che scoprono di essere sterili”, ma ciò non vuol dire che la maternità surrogata sia la scelta migliore, piuttosto il presule ricorda la possibilità di adottare migliaia di bambini che vengono abbandonati in India.

Fermare il commercio del corpo femminile
Da ricordare che, in India, la pratica dell’utero in affitto ha creato un vero e proprio mercato, accentuato anche dai costi “contenuti” delle gravidanze rispetto ai Paesi occidentali: tra i 18mila e i 30mila dollari, ovvero un terzo del prezzo negli Stati Uniti, di cui circa 8mila spettano alla donna che porta in grembo gli embrioni donati dalla coppia. (I.P. – AsiaNews) 

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Perù. Vescovi: no alla pillola del giorno dopo

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La Conferenza episcopale del Perù si schiera nettamente contro la contraccezione orale di emergenza (Aoe), conosciuta anche “pillola del giorno dopo”, in seguito alla decisione, temporanea del Tribunale di Lima di avviarne la consegna gratuita nei centri sanitari del Paese. “Rifiutiamo la misura cautelare emessa dal giudice della Prima Corte Costituzionale di Lima – scrivono i presuli in una nota ufficiale - perché è chiaro che il presunto bene da raggiungere con l'uso della pillola non è superiore alla vita del concepito”.

Ribadire il valore della vita umana, sin dal concepimento
Riaffermando, quindi, “il valore della vita umana”, i presuli puntano il dito contro “le manipolazioni ideologiche” che mirano a ridefinire i concetti relativi all'inizio della vita, al concepimento ed alla gravidanza. Dai vescovi peruviani arriva anche il rammarico per il fatto che là dove “la tolleranza viene evidenziata come un valore, si manifestano poi l’intolleranza e il pregiudizio verso la partecipazione di sacerdoti, medici e avvocati cattolici in difesa della vita e della famiglia i quali, pur basandosi su argomenti scientifici o legali”, vengono accusati di “utilizzare solo argomenti di fede” e vengono “etichettati come fondamentalisti”.

Anche il nascituro è soggetto di diritto e va tutelato dalla legge
La Cep chiede, quindi, di “difendere la vita del nascituro che, non avendo voce, deve essere protetta dalle leggi peruviane, come soggetto di diritto”. Da ricordare che il 22 agosto, la Prima Corte Costituzionale di Lima ha emesso una sentenza temporanea, lasciando 30 giorni di tempo al governo per distribuire, gratuitamente, in tutte le strutture sanitarie statali, la così detta “pillola del giorno dopo”. Ma questa decisione, sottolineano i vescovi, è contraria alla sentenza del 2009 della Corte Costituzionale del Paese, che vieta allo Stato di distribuire il farmaco per il suo potenziale abortivo. (I.P.) 

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Uganda: diocesi annuncia campagna contro violenza domestica

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“La sfida principale che dobbiamo affrontare oggi è la violenza domestica, perpetrata in quasi tutte le famiglie del territorio”: lo afferma, in un’intervista all’agenzia cattolica africana Canaa, mons. Emmanuel Obbo, arcivescovo di Tororo, in Uganda. “Ne vediamo di ogni genere e nessuno viene risparmiato – dice il presule – bambini, ragazzi, madri, padri, tutti vivono la violenza domestica”. Di qui l’invito a lavorare insieme, all’interno della comunità, per affrontare tale questione. Mons. Obbo denuncia anche i casi di incesto, mentre “le ragazze non sono libere di vivere nella società”.

La Chiesa non può tacere
La violenza domestica “è una preoccupazione per la famiglia, per la società e soprattutto per la Chiesa – continua l’arcivescovo ugandese – non possiamo tacere”. In particolare, il presule mette in luce come, purtroppo, le violenze tra le pareti di casa siano divenute un vero e proprio “stile di vita”, derivante non solo da casi di estrema povertà, ma anche e soprattutto dalla mancata accettazione delle condizioni personali. “Le persone sono sempre in competizione le une con le altre, vogliono sempre il meglio, ma poiché non riescono a vedere miglioramenti in se stesse, si sentono frustrate” e quindi reagiscono con la violenza.

Istituite apposite cappellanie nelle diocesi
Per affrontare questa piaga sociale, l’arcivescovo di Tororo ha istituito una cappellania per la violenza domestica in ogni decanato dell’arcidiocesi, stabilendo appositi comitati parrocchiali. “La gente sta accogliendo positivamente questa campagna contro le violenze in casa. Incontriamo famiglie che hanno vissuto queste situazioni e ne sono uscite, guarite e riconciliate tra loro”. E sono proprio queste famiglie che oggi “offrono la loro testimonianza agli altri, raccontando la propria esperienza” all’interno della diocesi.

Collaborazione con le forze dell’ordine
Non solo: l’arcidiocesi di Tororo si affida anche a programmi radiofonici per riflettere sulle sfide poste dalla violenza domestica e coinvolgere le forze dell’ordine nella prevenzione. Mons. Obbo rivolge, infine, un ringraziamento a tutto il clero, i religiosi ed i catechisti diocesani che stanno moltiplicando gli sforzi “per vedere la violenza domestica ridotta a zero”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 239

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.