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Sommario del 27/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Videomessaggio del Papa al Celam: la misericordia cambia i cuori

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Il mondo ha bisogno di pastori che sappiano “trattare con misericordia”, perché questo cambia il cuore delle persone e deve essere il centro propulsore di ogni azione pastorale e missionaria. Papa Francesco sviluppa questa convinzione in un lungo videomessaggio rivolto ai vescovi della Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi (Celam) che celebra dal 27 al 30 agosto a Bogotá, in Colombia, il suo Giubileo della Misericordia. La sintesi delle parole del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis

Qual è la “sicura dottrina” dei cristiani? È semplice: il fatto che “siamo stati trattati con misericordia”. Al centro della riflessione giubilare con i vescovi del Celam, il Papa mette le parole che Paolo scrive a Timoteo, quella ammissione schietta e adamantina che Paolo – dice Francesco – fa senza volontà né di vittimismo né per giustificarsi né tantomeno per gloriarsi: Gesù “mi ha giudicato degno di fiducia”, io che in passato “ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede (…) Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io”.

Ciò su cui il Papa vuole soprattutto attirare l’attenzione è il verbo che Paolo usa e il modo. Con quell’espressione al passivo – “mi ha usato misericordia” – l’Apostolo mostra, sostiene Francesco, di essersi lasciato “misericordiare” da Cristo e che la fiducia che Gesù gli concede nonostante il suo passato di nemico gli ha letteralmente rovesciato il cuore. Questo evidenzia che “lungi dall'essere un'idea, un desiderio, una teoria o un’ideologia, la misericordia – ripete il Papa – è un modo concreto di ‘toccare’ la fragilità, di interagire con gli altri, di avvicinarsi l'un l'altro”:

“Es una forma concreta de encarar…
È un modo concreto per avvicinare le persone quando sono in un momento difficile. Si tratta di un'azione che ci porta a fare il meglio per ciascuno in modo che gli altri si sentano trattati in una tale forma da capire che nella loro vita non è stata ancora detta l'ultima parola. Trattati in una tal maniera che chi si sente schiacciato dal peso dei suoi peccati, senta il sollievo di una nuova possibilità”.

“Il Dio di Paolo – commenta il Papa – genera un movimento che va dalle mani al cuore”. Per questo, prosegue, “il nostro modo di agire con gli altri non sarà mai” una “azione basata sulla paura”, ma sulla “speranza di cambiamento” che Cristo ha per chiunque. Francesco distingue: un'azione “basata sulla paura l’unica cosa che ottiene è di separare, dividere, cercare di distinguere con precisione chirurgica un lato all'altro”. È “un'azione che sottolinea il senso di colpa, la pena, l’‘hai sbagliato’”. Al contrario, “un'azione basata sulla speranza di cambiamento sottolinea fiducia nell'apprendimento, nel progredire, sempre alla ricerca di nuove opportunità”. Per questo, asserisce il Papa, “il tratto della misericordia risveglia sempre la creatività”:

“No se casa con un modelo o con una receta…
Non sposa un modello o una ricetta, ma ha la sana libertà di spirito di cercare il meglio per l'altro, in modo che questa persona possa comprenderlo. E questo smuove tutte le nostre capacità, i nostri spiriti, ci porta fuori dai nostri confini. Non è mai inutile verbosità – come dice Paolo – che ci impiglia in controversie senza fine, l’azione basata sulla speranza di cambiamento è un’instancabile intelligenza che fa battere il cuore e mettere urgenza alle nostre mani”.

Vedendo Dio agire così potrebbe capitare, ammette Francesco, che possa acccaderci quello che è successo al figlio maggiore della parabola del figlio prodigo, di “scandalizzarci” per la tenerezza e l’abbraccio offerti al fratello che ha tradito. Questo avviene, osserva, perché “ci invade una logica separatista” che porta a ”fratturare” la realtà sociale in buoni e cattivi, santi e peccatori. E dietro ciò, soggiunge, si cela la “perdita della memoria” della verità che anche a noi Dio ha perdotato per primo:

“La misericordia no es…
“La misericordia non è una 'teoria da maneggiare': ‘Ah, adesso è di moda parlare di misericordia per questo Giubileo, e che so io, seguiamo la moda allora’. No, non è una teoria da brandire per applaudire la nostra accondiscendenza, ma è una storia di peccato da ricordare. Quale? La nostra, la mia e la vostra. E un amore di cui dare lode. Quale? Quello di Dio, che mi ha trattato con misericordia”.

Dunque, tutta l’azione della Chiesa a ogni livello si “gioca”, indica Francesco, sul saper testimoniare questo aspetto, sapendo, come Paolo, il cambiamento che può indurre:

“Pablo nos da una clave interesante…
Paolo ci offre un indizio interessante: il tratto della misericordia. Ci ricorda che ciò che lo ha trasformato in apostolo è il come sia stato trattato, il modo in cui Dio è entrato nella sua vita: ‘Sono stato trattato con misericordia’. Ciò che lo ha reso discepolo è stata la fiducia che Dio gli ha dato, nonostante i suoi molti peccati. E questo ci ricorda che possiamo avere i migliori piani, i migliori progetti e teorie nel pensare alla nostra realtà, ma se manca questo "tratto di misericordia," la nostra pastorale finirà troncata a metà strada”.

“Siamo in teoria ‘missionari di misericordia’ e molte volte siamo più ‘maltrattatori’ che di buon tratto”, riconosce Francesco. Che rilancia: nel “mondo ferito” di oggi bisogna “promuovere, stimolare, accompagnare una pedagogia della misericordia. Il “cuore della pastorale”, dice, “è il tratto della misericordia”, che si “impara sulla base dell’esperienza”, di sentirsi perdonati e quindi di saper trattare i nostri fratelli “nello stesso modo” con il quale Dio “ci tratta, con il quale ci ha trattato”:

“Aprender a tratar con misericordia…
Imparare a trattare con misericordia è imparare dal Maestro a farci prossimi, senza timore di quelli che sono stati scartati e che sono ‘marchiati’ e marchiati dal peccato. Imparare a stringere la mano a quello che è caduto senza paura dei commenti. Ogni tratto che non sia misericordioso, per quel tanto che basta, alla fine si trasforma in maltrattamento. L’intelligenza starà nel migliorare i cammini della speranza, quelli che privilegiano il buon tratto e fanno brillare la misericordia”.

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Papa a vescovo Ventimiglia: grazie per la solidarietà con i profughi

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Il Papa ha inviato una lettera a mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia, in risposta a un messaggio del presule che voleva far conoscere al Pontefice la difficile situazione della città per la presenza di numerosi migranti e profughi che aspirano a varcare il vicino confine italo-francese. Francesco si dice “spiritualmente vicino con l’affetto e la preghiera” all’intera Diocesi e a quanti “si adoperano per venire incontro alle necessità di questa gente che scappa dalla guerra e dalla violenza, in cerca di speranza e di un futuro di pace”.

Esprime la propria gratitudine “per gli sforzi” che la “comunità diocesana sta dispiegando con ammirevole carità evangelica, ponendo risorse umane, logistiche ed economiche a sostegno di questi nostri fratelli e sorelle che vivono un immenso dramma”. Incoraggia, infine, il vescovo, i sacerdoti, le persone consacrate, gli operatori pastorali e le varie realtà ecclesiali “a proseguire nel generoso impegno dell’accoglienza e della solidarietà, per diventare sempre più ‘Chiesa in uscita’, annunciatrice gioiosa del Vangelo della misericordia e testimone di speranza”.

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Tweet Papa: vento di santità percorra Giubileo nelle Americhe

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"Un impetuoso vento di santità percorra il Giubileo straordinario della Misericordia in tutte le Americhe". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

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Beatificazione di Mama Antula, apostola degli esercizi spirituali

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Oggi a Santiago del Estero, in Argentina, viene beatificata Maria Antonia de San José, nota anche come “Mama Antula”, una laica consacrata vissuta nel 1700, fondatrice della Casa di Esercizi di Buenos Aires. Dopo l’espulsione dei Gesuiti dal Paese girò di città in città nelle regioni povere del nord-est argentino promuovendo gli esercizi spirituali secondo lo spirito ignaziano, confidando unicamente nella Provvidenza. In soli 8 anni riesce a offrire gli esercizi spirituali per 70.000 persone. Ma ascoltiamo il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che presiede il rito in rappresentanza del Papa. L’intervista è di Paolo Ondarza:

R. – Maria Antonia de Paz y Figueroa, conosciuta popolarmente come Mama Antula, nacque a Santiago del Estero, in Argentina, nel 1730. A quindici anni veste l’abito di Beata Gesuita ed emette i voti privati, prendendo il nome di María Antonia di San José. Si dedica alla preghiera, alla penitenza e all’apostolato, insegnando il catechismo ai bambini e distribuendo le elemosine ai poveri.

D. – Cosa la spinse a diventare l’apostola degli Esercizi Spirituali?

R. – Nel 1767, dopo l’espulsione dei gesuiti dall’Argentina e da tutta l'America Latina, avvenne la svolta decisiva della sua vita. La Beata si sentì ispirata a diventare l’apostola degli esercizi spirituali, prima a Santiago del Estero e dintorni e poi a Buenos Aires, dove aprì la prima casa di esercizi nel 1780. L’affluenza dei fedeli fu subito straordinaria. Nel 1781, ad esempio, seguirono gli esercizi il Viceré del Perù, Don Manuel Guirior, e la sua sposa. Nel 1785 fondò a Buenos Aires il Beaterio destinato a dare continuità alla sua opera. Nel settembre 1785 Papa Pio VI emana il Rescritto Pontificio che concedeva l’indulgenza plenaria a tutti coloro che facevano gli esercizi spirituali. Intanto le sue lettere tradotte in italiano, francese e latino vengono conosciute e diffuse in tutta Europa a edificazione di religiosi e laici. Nel 1791 Maria Antonia estese il suo apostolato in Uruguay con gli stessi sorprendenti risultati di affluenza numerosa oltre ogni immaginazione. Sfinita dalla fatica e gravemente inferma, la Beata muore a Buenos Aires il 7 marzo 1799 a 69 anni d’età.

D. – Quale fu il metodo di questa autentica missionaria del Vangelo?

R. – Il metodo di questa pellegrina del bene era semplice ed efficace. Giunta in una città, chiedeva ai superiori ecclesiastici la licenza per organizzare corsi di esercizi. Cercava poi un ambiente capace, dove le persone potessero essere ospitate con vitto e alloggio, senza altra preoccupazione che la cura della propria anima. I testimoni sono concordi nel dire: «Niente manca agli esercitanti; hanno frutta a colazione e tre piatti a mezzogiorno, con mate di erba paraguaiana con zucchero». Invitava poi sacerdoti sapienti ed esemplari — in genere Mercedari e Domenicani, ma anche diocesani — a predicare e a infervorare i fedeli alla vita buona del Vangelo. Nei suoi numerosi viaggi la nostra Beata si spostava di città in città, chiedeva elemosine per mantenere gratuitamente gli esercitandi, confidando unicamente nella Divina Provvidenza. In tal modo il rinnovamento spirituale da lei promosso si estese da Santiago del Estero a Jujuy, Salta, Tucumán, Catamarca, La Rioja, fino a Córdoba. A Córdoba, ad esempio, all’inizio del 1778, in tre mesi e mezzo parteciparono agli esercizi, dando ottimi frutti, circa 3.000 persone, uomini e donne, giunte anche da parrocchie lontane.

D. – Cosa può dirci della sua vita virtuosa?

R. – Alla base di questo instancabile apostolato c’è una vita interiore, nutrita di grande fede in Dio e nella sua provvidenza. Maria Antonia era una innamorata di Gesù Cristo e amava profondamente l’Eucaristia. Nutriva una speciale devozione per il Bambino Gesù, il Manuelito, come lo chiamava affettuosamente. Alla provvidenza del Bambino Gesù si affidava quando aveva bisogno di legna, di generi alimentari, di denaro. Esortava i suoi collaboratori a non preoccuparsi perché a tutto avrebbe provveduto il caro Manuelito. A lui attribuiva anche la riforma dei costumi e le molte conversioni. Sembrava che in lei rivivesse lo spirito di Sant’Ignazio di Loyola. Ancora oggi sono molti coloro che la ritengono una donna forte che, sotto lo stendardo del Loyola, ha assicurato a Cristo gran parte dell’America Meridionale.

 D. – Un’altra Beata che può essere di ispirazione per i fedeli…

R. – Si. L’ammirazione della sua figura diventi imitazione delle sue virtù e del suo apostolato e soprattutto ravvivi la pratica degli esercizi spirituali, come indispensabile medicina di buona salute spirituale e di gioioso slancio apostolico dei laici, dei consacrati, dei sacerdoti.

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Card. Parolin: speranze per nuova pagina nei rapporti con la Cina

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“Sono molte le speranze e le attese per una nuova stagione di rapporti tra la Santa Sede e la Cina, a beneficio della pace mondiale”. Così in sintesi il card. segretario di Stato Pietro Parolin intervenendo oggi a Pordenone sul tema “Il ponte” creato dal cardinale Celso Costantini. Ricordando l’instancabile impegno di quest’ultimo a favore del dialogo tra la Chiesa e la Cina, il porporato ha espresso l’auspicio che sia scritta “una pagina inedita della storia, con fiducia nella Provvidenza e sano realismo”. Paolo Ondarza

Nuove relazioni in favore della pace mondiale
“Le auspicate nuove e buone relazioni con la Cina non sono fine a sé stesse o desiderio di chissà quali successi “mondani”, ma sono pensate e perseguite, non senza timore e tremore, solo in quanto “funzionali” al bene dei cattolici cinesi, di tutto il popolo cinese e all’armonia dell’intera società, in favore della pace mondiale”. Da Pordenone nella diocesi del card. Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933 e autentico costruttore di ponti, il card. Parolin esprime speranze per una “nuova stagione” nei rapporti tra Cina e Santa Sede.

Papa conosce martirio cattolici in Cina, ma anche anelito alla piena comunione
“Tutto ciò - spiega - sarà a beneficio di una ordinata, pacifica e fruttuosa convivenza dei popoli e delle Nazioni in un mondo, come il nostro, lacerato da tante tensioni e da tanti conflitti”. “Papa Francesco, come i suoi Predecessori – ricorda il segretario di Stato - conosce bene il bagaglio di sofferenze, di incomprensioni, spesso di silenzioso martirio che la comunità cattolica in Cina porta sulle proprie spalle. Ma conosce pure “l’anelito alla comunione piena con il Successore di Pietro, i progressi compiuti, e incoraggia, nel Giubileo della Misericordia, il perdono reciproco e la riconciliazione”.

Fiducia in Provvidenza e realismo per scrivere pagina inedita della storia
A tutti – aggiunge – è chiesto di accompagnare il cammino della Chiesa in Cina con vicinanza e preghiera. “Si tratta di scrivere una pagina inedita della storia, con fiducia nella Provvidenza e sano realismo, per assicurare un futuro in cui i cattolici cinesi possano sentirsi profondamente cattolici, ancor più visibilmente ancorati alla al Successore di Pietro, e pienamente cinesi”.

Card. Celso Costantini, modello di "santità del negoziato"
“I problemi – constata il card.Parolin – non mancano, ma non sono dissimili da quelli affrontati 70 anni fa da Celso Costantini, esempio di quella “santità del negoziato”, “quel sano realismo” indicato da Francesco quale insegnamento della Chiesa che rifiuta la logica del “o questo o niente” e intraprende “la strada del possibile per riconciliarsi con gli altri”. Costantini infatti – ha ricordato il segretario di Stato – schierandosi sempre a favore della Cina e fugando il sospetto che la religione cattolica fosse strumento politico a servizio delle nazioni europee, non senza difficolta segnò una “svolta radicale nell’attività missionaria in Cina” perseguendo la “decolonizzazione religiosa” in sintonia con il motto “la Cina ai cinesi”; la “plantatio Ecclesiae” con vescovi, presbiteri e religiosi locali; e l’inculturazione cristiana contro l’occidentalismo che presentava il cristianesimo in Estremo Oriente come una religione straniera. Per tutto ciò il card. Costantini – ha concluso Parolin – rimane una “fonte di ispirazione” e un modello di estrema attualità”.

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Card. Parolin: Papa Luciani ha mostrato la tenerezza di Dio

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Il centro del cristianesimo è l'amore di Dio per le sue creature. Papa Luciani era consapevole che se non si comprende questa verità si rischia di ridurre il cristianesimo a pura dottrina. Così il card. Pietro Parolin nella Santa Messa, nella piazza davanti alla chiesa di San Giovanni Battista, a Canale d’Agordo in provincia di Belluno, nel trentottesimo anniversario della elezione al Soglio Pontificio del Servo di Dio, Giovanni Paolo I. Nel paese natale di “don Albino” è stato inaugurato anche il Nuovo Museo interamente dedicato a Papa Luciani. Nel suo indirizzo di saluto, il vescovo di Belluno Renato Marangoni ha pregato per le vittime del terremoto nel centro Italia. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti

In una piazza adornata dal giallo e bianco delle bandiere vaticane e gremita di fedeli, “don Pietro”, come qui chiamano affettuosamente il cardinale Parolin, ha portato a tutti il saluto fraterno di Papa Francesco e quella prossimità indicata da Albino Luciani. Guardando la chiesa di San Giovanni Battista ha ripercorso i tanti momenti vissuti qui dal Papa dell’umiltà sin dal suo Battesimo:

“Senza dubbio, era molto legato alla sua chiesa e alla sua comunità. Non c'era momento importante della sua vita in cui non tornasse nel paese natale per fare festa insieme ai suoi”.

Riferendosi al Vangelo delle beatitudini ha parlato della misericordia richiamando l’importanza dell’Anno Santo straordinario indetto da Papa Francesco, “un tempo da vivere” ha sottolineato, quindi ha tracciato un ponte con il Papa dell’umiltà:

“Giovanni Paolo I ha mostrato al mondo la tenerezza di Dio, la sua misericordia, la sua compassione. E’ stato una manifestazione particolarmente luminosa e trasparente della misericordia divina tra gli uomini, un segno tangibile dell'amore del Padre nei confronti dell'umanità. Offrendo la sua vita a Cristo è diventato strumento dell'infinità bontà di Dio in mezzo a noi”.

“La piccolezza, l'umiltà e la semplicità - ha proseguito il segretario di Stato - sono state le caratteristiche principali di Albino Luciani”. “Lo stesso motto scelto per lo stemma episcopale, 'Humilitas',  esprime al meglio questa sua attitudine abituale”. “Ogni  progresso spirituale - ha spiegato - ogni opera di bene compiuta, ogni gesto realizzato a favore del prossimo vengono da lui ricondotti alla bontà di Dio”.

“E' stato l'uomo della fiducia completa nel Signore, dal quale si sentiva amato e cercato. Ha sempre considerato ogni sua esperienza spirituale come un dono della misericordia divina. Grazie a questa certezza, aveva imparato a riconoscere la mano di Dio anche negli eventi più imprevisti e pieni di difficoltà”.

“Nella consapevolezza di aver ricevuto un dono dall'alto - ha proseguito - Luciani crebbe sempre più nella virtù dell'umiltà, considerandosi solo un servo inutile nelle mani del Signore”:

“Questa umiltà nascondeva la sua grande cultura, che aveva messo al servizio del Regno di Dio. Da uomo colto qual era riusciva a farsi comprendere da gente di ogni estrazione sociale. Aveva il dono della comunicazione”.

Sottolineando che in Albino Luciani “non vi era alcuna contrapposizione tra quello che predicava e quello che viveva”, il porporato ha spiegato che “era il primo a dare l'esempio di quanto i valori del Vangelo fossero autentici e fonte di vita per gli uomini”. Poi ha parlato di don Albino “catechista” nel “vero senso etimologico del termine", "istruire a voce”. “Insegnare cioè a piccoli e adulti il Vangelo e il Magistero della Chiesa. Con uno stile paterno, affabile, limpido e al tempo stesso, avvincente”:

“Aveva la capacità di far arrivare la sua parola a tutti e di sintetizzare i dogmi della fede e i precetti rendendoli familiari. Evitava lunghi ed elaborati discorsi e interpretazioni difficili. Il suo obiettivo era di formare i battezzati e farli maturare nella fede. Egli era un catechista nell'anima e anche da Vescovo non perse mai occasione di raccomandare ai suoi sacerdoti di occuparsi del catechismo”.

Albino Luciani - ha evidenziato il cardinale Parolin - “aveva un'empatia innata, il dono di immedesimarsi negli altri”, “una sintonia che si nutriva dall'amore di Dio che divenne fonte di amore verso il prossimo”. “Sentiva fortemente la responsabilità di essere stato chiamato da Dio a pascere il gregge a lui affidato e umilmente non si sentiva all'altezza”. L’essere sacerdote, vescovo di Vittorio Veneto, Patriarca di Venezia e Papa per Albino Luciani fu sempre “un atto di amore di servizio nei confronti dei fratelli a lui affidati”:

“Sentiva questa paternità come una missione a cui il Signore lo chiamava. Non poteva sottrarsi alla richiesta di Dio, perché era convinto che se era stato scelto, la grazia divina non gli sarebbe mai mancata per portare a compimento il suo dovere. Il ministero sacerdotale era, quindi, per lui, la massima espressione dell'amore verso i fratelli. Era la risposta libera e responsabile di un uomo che aveva accolto il dono del sacerdozio come un continuo atto di fiducia e di amore in Cristo".

Ciò che alimentava Papa Luciani era “la convinzione che il centro del cristianesimo è l'amore di Dio per le sue creature”:

“Papa Luciani era consapevole che se non si comprende questa verità si rischia di ridurre il cristianesimo a pura dottrina. E' con questa certezza che Giovanni Paolo I continua ancora oggi a invitare tutti noi a sentire vivamente presente l'amore di Dio”.

Poi l’auspicio per il Museo dedicato a Papa Luciani, affinché “sia un faro per illuminare il mondo con la scintilla della carità e con il messaggio” che il Pontefice “ci ha lasciato”.

In centinaia sono giunti a Canale D'Agordo, nel cuore delle Dolomiti, per manifestare il proprio affetto a Giovanni Paolo I. Ascoltiamo alcune testimonianze:

R. – Era uno di noi, uno di casa … Era cordiale, aveva quel sorriso affettuoso … sembrava uno dei nostri nonni …

R. – Era un Papa buono …

R. – Gli voglio bene: io gli sono molto affezionata. Sia per la sua umiltà, sia per il suo sorriso … Avrebbero dovuto farlo santo già prima …

R. – Papa Luciani è stato ricoverato all’ospedale di Treviso quando era malato … il viso era sempre pieno di luce, due occhi meravigliosi …

R. – Io lo conosco bene, Papa Luciani: quando ero ragazzo facevo il chierichetto e lui quando era vescovo a Vittorio Veneto, dove il Papa veniva in vacanza, già alle 4 e mezzo del mattino andava in chiesa a leggere il breviario.

D. – Che cosa la colpiva?

R. – La sincerità. Papa Francesco è molto simile al “nostro” Papa …

D. – Che cosa la colpiva di più del Papa?

R. – Il suo viso, la bontà, la genuinità delle nostre montagne …

R. – La bontà.

R. – Sono della Diocesi di Vittorio Veneto, della quale lui è stato vescovo quando io ero bambina. Mi ha subito colpito il suo modo di fare catechismo: alla portata di tutti, spiegato con molta semplicità. Poi per me in particolare è “il mio Papa” perché in un momento di grande sconforto l’ho invocato e grazie alla sua intercessione ho avuto una grazia grande.

R. – Io sono di Venezia e quindi Papa Luciani è stato il mio Patriarca. Ha avuto un amore grandissimo per tutte le esperienze post-conciliari, soprattutto nei confronti dei movimenti sorti dopo il Concilio. E ha portato molta, molta, molta umiltà, semplicità e molto discernimento.

R. – Ho sempre avuto tanta devozione per Papa Luciani. Era sempre sorridente. E’ forte, è forte: è stato un grande!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il saluto alle vittime del terremoto fra preghiera e promesse.

Voce del verbo misericordiare: il Papa per il giubileo continentale americano.

Il gatto con gli stivali e il cane di Pavlov: Carlo Maria Polvani sulla psicologia sperimentale.

Phyllis Zagano su biotecnologie e cultura dello scarto.

Un articolo di Arturo Alcantarsa Arcos dal titolo "Lo squalo e i gesuiti": storia di un avvistamento cominciato nel XVIII secolo.

A Pordenone il cardinale segretario di Stato su Celso Costantini e il ponte con la Cina.

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Oggi in Primo Piano



Funerali vittime sisma. D’Ercole: con l’aiuto di Dio ci rialzeremo

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Profonda commozione oggi ad Ascoli dove stamani si sono tenuti i funerali di 35 delle vittime marchigiane, giunte a 50 proprio mentre si celebrava la Messa, del terremoto che ha scosso il Centro Italia. Alle esequie, in forma solenne, presiedute dal vescovo locale, mons. Giovanni D’Ercole, nella palestra della città, hanno preso parte le più alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi, i presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso. La Messa è stata concelebrata da mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, l’area maggiormente devastata dal sisma di mercoledì scorso. Dal canto suo, il cardinale Pietro Parolin, in visita a Pordenone, ha affermato che Papa Francesco continua a pregare ogni giorno per le vittime del terremoto. Il servizio di Alessandro Gisotti

Le foto dei bambini accanto alle loro bare sono l’immagine più commovente dei funerali di 35 delle quasi 300 vittime del terribile terremoto che ha ferito il cuore dell’Italia. Un dolore che, sottolinea anche il vescovo D’Ercole, non sembra aver risposta. Dolore, dunque, commozione, ma anche compostezza, una testimonianza di dignità che colpisce. Significativo il luogo dei funerali: la palestra di Ascoli, uno spazio che richiama immediatamente l’allegria di ragazzi che giocano e che, invece, oggi è il luogo del dolore, dell’ultimo commosso saluto ad una madre, un padre, un figlio.

D’Ercole: e adesso che si fa? La domanda che rivolgiamo anche a Dio
Dolore e sgomento. Anche un vescovo, ammette mons. D’Ercole durante l’omelia, si pone angosciato delle domande di fronte ad una tragedia simile, domande che non può non rivolgere al Signore:

“Questa notte, preparandomi a parlare a voi e a tutte le persone convenute, ho rivolto questa domanda a Dio: ‘E adesso che si fa?’. Gli ho presentato l’angoscia di tante persone, e gli ho detto: ‘Signore, ma queste persone che hanno perso tutto, che sono state strappate alla loro famiglia, che sono state sventrate dal terremoto, ora che fai? Che fai?”.

Abbiamo perso tutto, ma non il coraggio della fede
Anche Giobbe, prosegue il vescovo, richiamando la Prima Lettura, era un uomo giusto che sembra abbandonato da Dio, ma anche nel momento più duro non smette di rivolgersi a Lui:

“Se appena voi guardate oltre le lacrime, voi scorgerete qualcosa di più profondo. Anche voi con me oggi, potete testimoniare che il terremoto, con la sua violenza, può togliere tutto – tutto! – eccetto una cosa: il coraggio della fede”.

Il vescovo, sottolinea, è un padre e per questo deve stare in mezzo alla gente, soprattutto quando soffre. Un’esperienza, ricorda, che ha già vissuto nel dopo terremoto dell’Aquila quando era vescovo ausiliare. Oggi anche mons. Petrocchi, pastore del capoluogo abruzzese, devastato dal terremoto del 2009 è presente come anche il sindaco della città, Cialente. La fede, sottolinea ancora mons. D’Ercole, è la scialuppa di salvataggio in un mare in tempesta.

Le nostre campane torneranno a suonare, Dio non ci abbandona
Racconta dunque del Crocifisso presente nella palestra, recuperato proprio da mons. D’Ercole in una chiesa distrutta ad Arquata. Proprio poco distante da quella chiesa, racconta commosso il vescovo, i vigili del fuoco ritrovano due bambine abbracciate tra loro, due sorelle: una ce l’ha fatta, l’altra è morta stringendo a sé la sorella, come a farle da scudo dalla morte che l’ha strappata via:

“Amici, le torri campanarie dei nostri paesi, che hanno dettato i ritmi dei giorni e delle stagioni, sono crollate, non suonano più. Ma un giorno, esse continueranno a suonare, riprenderanno a suonare; e sarà il giorno della Pasqua. ‘Al tuo Dio, don Giovanni, importa nulla se noi moriamo?’, mi ha detto un giorno. Dio – sì, è vero – pare tacere. Le nostre sembrano delle chiamate che non hanno risposta. Dio però – lo so, lo sento – è un padre; e un padre non può mai rinnegare la sua paternità”.

La fede ci aiuterà a superare il terremoto
Mons. D’Ercole si rivolge in particolare ai giovani, li esorta a non avere paura, ad avere speranza nella ricostruzione:

“I sismologi tentano in tutti i modi di prevedere il terremoto, ma solo la fede ci insegna come superarlo. La fede, la nostra difficile fede, ci indica come riprendere il cammino. E io ve lo indico con due immagini: con i piedi per terra e il volto rivolto verso il Cielo”.

Ora non abbandonateci, noi non perderemo il coraggio
Il vescovo di Ascoli ha quindi ringraziato il Papa, i vescovi, le istituzioni, i volontari, tutti coloro che hanno stretto in un abbraccio le comunità sconvolte dal terremoto. Ha invitato le istituzioni a non abbandonare i terremotati. Un impegno che lui stesso prende come pastore del suo gregge:

“Diversi di voi mi hanno detto: ‘Non ci abbandonare’. Per quanto mi riguarda, finché vivrò, non vi abbandono. Non abbiate paura. Non abbiate paura di creare la vostra sofferenza. Ne ho vista tanta, ma mi raccomando: non perdete il coraggio, perché solo insieme potremo ricostruire le nostre case e le nostre chiese!”.

L’abbraccio di Mattarella ai familiari delle vittime
In un silenzio colmo di commozione, è stata poi la volta del toccante momento della lettura dei nomi delle vittime. Una lettura che è parsa interminabile. Conclusa la Messa, dunque, un altro momento commovente: il vescovo e il presidente della Repubblica hanno abbracciato uno per uno i familiari delle vittime presenti. Un abbraccio prolungato, spesso rotto dalle lacrime che, attraverso Sergio Mattarella e Giovanni D’Ercole, è diventato il segno di una fraternità che neppure il più terribile dei terremoti può spezzare.

Nella palestra di Ascoli piceno si sono raccolte migliaia di persone per l’ultimo saluto alle vittime marchigiane. Tristezza, incredulità e commozione per i morti sotto le macerie arrivano dagli abitanti che si sono salvati ad Arquata e Pescara del Tronto ma anche da Roma e da tutta Italia per portare solidarietà alle zone terremotate. Ascoltiamo alcune delle voci raccolte da Veronica Di Benedetto Montaccini

R. – Quello che possiamo vedere è che tutte le persone vogliono starci vicino oggi, in questa giornata, anche se non sono di qui. La palestra è piena.

R. – Io e la mia famiglia ci siamo salvati anche se abbiamo perso tutto. Però stando qui e ricordare amici e parenti … non riesco più a parlare.

R. – Vengo da Roma e siamo venuti qui perché siamo parenti della piccola Giulia.

R. – Sono di Ancora e sono venuto per testimoniare la gravità di questo momento e per dare solidarietà alle famiglie e  alla popolazione di questi luoghi che avranno sicuramente di fronte a loro un periodo lungo e difficile. Oggi è il momento della commozione.

R. - Noi siamo gli scout della zona picena ed oltre; siamo qui a prestare il nostro servizio in questa situazione veramente devastante per noi anche perché noi conosciamo un po’ tutte le persone rimaste coinvolte in questa tragedia.

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Mattarella ai terremotati: non vi lasceremo soli. Pm: sabbia nelle case

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"Non vi lasceremo soli": è quanto ha detto alle popolazioni terremotate il presidente Mattarella, recatosi in visita ad Amatrice ed Accumoli prima di prendere parte ai funerali delle vittime marchigiane ad Ascoli. Intanto, è salito a 290 morti il bilancio complessivo del terremoto: 388 feriti, circa 2100 gli sfollati, 238 le persone salvate dalle macerie. E la terra continua a tremare: oltre mille finora le scosse. Il servizio di Marco Guerra: 

Silenzio ed emozione di fronte ai cumuli di macerie, tante strette di mano, il ringraziamento ai soccorritori e le parole di conforto alle popolazioni colpite dal sisma presenti nelle tendopoli. Questa è stata la mattinata del presidente Mattarella in visita ad Accumoli e Amatrice prima di spostarsi ad Ascoli. Nel capoluogo piceno dopo i funerali ha visitato i feriti in ospedale ribadendo a tutti che di stare tranquilli “perché lo Stato non abbandonerà nessuno”. “Ci siamo e ci saremo sempre”, così anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi si è rivolto ad alcuni sindaci parlando del sostegno alle aree colpite. Il punto su cui premier e amministratori locali concordano è far ripartire l’attività delle scuole il prima possibile.  

Intanto il soccorso alpino ha terminato tutte le attività. Si scava ormai solo ad Amatrice, la più distrutta dal sisma, dove è ancora incerto il numero di eventuali dispersi. Proseguono anche i lavori del genio per bypassare il ponte ‘Tre Occhi’ che porta al Paese del reatino. Tra tre giorni sarà pronto, assicura la Protezione civile.

Sul fronte delle indagini si registra l’apertura di un fascicolo anche alla procura di Ascoli Piceno per individuare responsabilità relative alla costruzione e al consolidamento sismico degli edifici. Il procuratore di Rieti Giuseppe Saieva sostiene che in alcune palazzine ci sarebbe stata “più sabbia che cemento”. “Amatrice deve essere rasa al suolo e ricostruita” afferma poi il sindaco Pirozzi, mentre il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha garantito ai presidenti delle Regioni coinvolte che non saranno costruite new town come all'Aquila. Infine sono stati già superati i sei milioni di euro nella raccolta fondi della Protezione civile grazie al numero solidale 45500.

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Protezione civile e Caritas: come aiutare i terremotati

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Migliaia sono gli aiuti di beni di prima necessità inviati da ogni parte d’Italia nelle zone colpite dal sisma. Proprio per evitare l'accumularsi di generi alimentari non necessari, è stato deciso al momento, da parte della Protezione Civile e della Regione Lazio, uno stop all’invio di nuovi aiuti. Intanto si iniziano a mettere nuovi punti fermi alla macchina dei soccorsi. Infatti tutte le operazioni saranno coordinate da un centro allestito all'aeroporto Ciuffelli di Rieti. Il servizio di Marina Tomarro

Stop al momento all'invio di nuovi aiuti, soprattutto generi di prima necessità, nei comuni colpiti dal sisma. È quanto è stato deciso, dopo la grande gara di solidarietà scattata già poche ore dopo la tragedia, che ha fatto giungere alle zone terremotate numerose quantità di generi alimentari, capi di vestiario, fino ai prodotti igienici e medicinali. Il commento di Francesca Maffini della Protezione Civile:

R. – Non è uno stop, ma rispettare la capacità di ricezione dei territori colpiti. Come sempre lo slancio di generosità degli italiani, ma anche di molti cittadini stranieri, porta a voler donare tutto ciò che si ha. Il punto è che ci sono diverse fasi nella gestione delle emergenze. Quindi non tutto serve subito. Per questo motivo le due regioni, Lazio e Marche, hanno attivato due indirizzi mail ai quali, prima di far arrivare sul territori, sul campo, ciò che si vuole offrire lo si segnala con la richiesta di attendere una risposta da parte del territorio sulla quantità e necessità dei beni e servizi offerti. L’indirizzo mail per la Regione Lazio è: sismarieti@regione.lazio.it, mentre per la Regione Marche è: prot.civ@regione.marche.it.

Invece per quanto riguarda gli aiuti economici è stato ribadito l'invito a effettuare donazioni solo attraverso canali ufficiali, come la Protezione Civile e la Regione Lazio. Ascoltiamo ancora Francesca Maffini:

R. – Chiaramente le donazioni in denaro sono un altro tipo di discorso. Le donazioni in denaro possono essere effettuate attraverso il numero solidale 45500 e i conti correnti che sono stati aperti e le segnalazioni che sono state fatte dalle istituzioni, perché con il denaro - ovviamente i territori in un modo inevitabilmente trasparente danno conto a coloro che hanno donato - potranno andare incontro alle esigenze di ricostruzione che insieme con i cittadini e con i sindaci dei comuni colpiti si definiranno.

D. – Finita l’emergenza, quali aiuti serviranno un domani?

R. – Quello dipenderà dalle indicazioni che verranno dal territorio, in base a quello che verrà registrato alle esigenze che verranno segnalate dai cittadini, dai sindaci, dalle autorità territoriali. Allora poi sarà cura del sistema che si è attivato richiedere a chi ha proposto delle offerte di portarle e comunicare di che cosa c’è bisogno.

Particolarmente importante è il ruolo della Caritas, in questo momento delicato di gestione degli aiuti. Lo sottolinea Paolo Beccegato, vicedirettore della Caritas Italiana:

R. –  Queste prime fasi, come spesso accade, vedono veramente una grandissima solidarietà da tutta l’Italia e oserei dire da tutto il mondo, tanto che abbiamo ricevuto segnali di vicinanza praticamente da tutti, dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia, dal Medio Oriente... Il problema è che queste prime fasi sono molto brevi; poi i riflettori si spengono e il lavoro - si sa per esperienza - durerà tantissimo. Quindi forse adesso, bisogna un attimo "fermare" questa solidarietà, soprattutto per quanto riguarda i generi umanitari. Quello che sarà necessario sarà un lavoro di lungo periodo e quindi una raccolta fondi che possa poi permettere di mirare le risposte sui bisogni, su quello che occorre.

D. - Ma allora che cosa bisogna fare in questo momento?

R. - Per quanto riguarda gli aiuti in termini di ogni tipo di genere umanitario è importante fermarsi un attimo perché i magazzini sono pieni, le vie di accesso sono inagibili e ci sono problemi di stoccaggio di questi materiali. Questa è una fase delicata, sono i primissimi giorni e non occorre in questo momento spedire ulteriori cose. Sarà necessario successivamente, invece, continuare gli aiuti, ma in modo coordinato con gli altri. La parola d’ordine è “coordinamento” dalla Protezione Civile a tutti gli attori coinvolti; noi, come Caritas, ci coordiniamo con tutti gli altri e vediamo il da farsi. Quello che sarà certamente l’impegno più consistente e più oneroso dal punto di vista economico è quello della ricostruzione dove, da sempre, ci siamo impegnati. Per questo motivo la raccolta fondi, la colletta del 18 settembre in particolare, sarà molto importante proprio per avere tutto il tempo di ricostruire ciò che è necessario ricostruire.

D. - Proprio a proposito del 18 settembre: cosa vuol dire questo gesto?

R. – La colletta è stata indetta dal Conferenza episcopale italiana: è un gesto che si fa sempre in queste circostanze. Per cui oltre alla preghiera e alla vicinanza anche del volontariato che è molto numeroso - sono centinaia i volontari sul posto proprio per quel lungo lavoro di cui parlavo prima - è necessario poi raccogliere anche dei fondi con la solidarietà concreta che si esprime in un’altra maniera ed è quella dei progetti a medio e lungo periodo. La colletta vuole unire il senso di una Chiesa vicina a chi ha più bisogno in una maniera estremamente concreta e tangibile.

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Casa Italia. Nencini: intervenire al più presto nei comuni terremotati

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Positivi i commenti di architetti, ingegneri e geologisul provvedimento "Casa Italia", varato dal governo - dopo il sisma che ha sconvolto il Centro Italia - per un sistema di prevenzione infrastrutturale: dalle bonifiche al dissesto idreogeologico, dalla prevenzione sismica all'efficienza energetica. Alessandro Guarasci ha intervistato il viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini

R. – Mettere a regime una cornice organica di interventi per il territorio a partire naturalmente dalla soddisfazione dei tanti bisogni che si sono aperti nei comuni terremotati.

D. – Concretamente, secondo lei, quando possiamo partire e soprattutto con quali fondi visto anche il Patto di stabilità?

R. - Si è già partiti. Noi andiamo a vedere molto spesso i fondi che sono messi in evidenza direttamente per l'intervento post terreomto. Però, nel tempo, per l’edilizia residenziale pubblica, per il recupero di alloggi pubblici, per gli interventi che riguardano l’edilizia scolastica e per quanto riguarda il dissesto idrogeologico già sono stati stanziati intorno ai quattro, quattro miliardi e mezzo. Naturalmente vanno tutti messi a regime. Da dove si prendono i soldi? Dalla Bei, Banca Europea degli investimenti e da buon utilizzo dei fondi europei soprattutto, nel Mezzogiorno in Italia.

D. - Questo progetto riguarderà anche luoghi che non sono a forte rischio sismico, ma che vi potrebbero in qualche modo far parte aggiornando anche le varie mappe?

R. - Ci sono circa 22 - 24 milioni di italiani che vivono in zone a rischio - attenzione, lo sottolineo – che non sono nella condizione dei comuni che sono stati colpiti recentemente dal terremoto, altrimenti si genera una preoccupazione e confusione illimitata e non va bene. Ma l’Italia ha zone sismiche. Intanto bisogna intervenire su quelle naturalmente prioritarie.

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Terremoto: i maggiori eventi sismici italiani dal Friuli a oggi

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Dal 1900 a oggi in Italia si sono verificati 31 terremoti con una magnitudo superiore a 5,8 gradi sulla scala Richter. Il più potente, nel 1908, distrusse Messina e Reggio Calabria e causò la morte di circa 120 mila persone. La sismicità dell’Italia è dovuta al fatto che essa si trova al margine di convergenza tra la placca africana e quella euroasiatica. Tanti eventi sismici, dunque, ma negli anni ben diversa è stata, nelle varie regioni, la maniera in cui si è fatto fronte all’emergenza e alla ricostruzione. Ecco un breve resoconto di Eugenio Murrali dal terremoto del Friuli a oggi: 

Friuli Venezia Giulia - 6 maggio 1976, la terra trema, una scossa di 6,4 gradi Richter con epicentro nella zona a nord di Udine colpisce 111 comuni, causa la morte di 989 persone, 19 mila abitazioni distrutte, 100 mila sfollati. La ricostruzione successiva è considerata anche oggi un modello da seguire. Efficace fu l’azione legislativa e straordinari i sindaci nella gestione delle risorse. In meno di dieci anni la ricostruzione era completa.

Irpinia - 23 novembre 1980, grado 6,9 Richter, 90 secondi di scossa, 2914 morti, 250 mila senta tetto tra Campania e Basilica. I soccorsi arrivarono in ritardo. Pertini, recandosi sul luogo, riuscì ad accendere i riflettori su una catastrofe che anche i media avevano sottovalutato. La ricostruzione ha rappresentato uno dei maggiori scandali italiani, la camorra fece affari d’oro. L’inchiesta della commissione guidata da Scalfaro mostrò un quadro desolante di ruberie e corruzione. Nel 2015 a Cave De’ Tirreni ancora 53 famiglie erano nei container e solo in questi ultimi mesi sono state, in buona parte, collocate.

Umbria e Marche - 26 settembre 1997, due scosse di 5.8 e 6.1 gradi Richter causano la morte di 11 persone. Crolla una vela della volta superiore della Basilica di San Francesco ad Assisi. L’Umbria è un altro esempio di cui si parla in questi giorni, per come fu recuperato il patrimonio artistico, ma anche in riferimento a Norcia, ricostruita con rigorosi criteri antisismici dopo il terremoto che la colpì nel 1979.

L'Aquila - 6 aprile 2009, scossa di 6,3 gradi Richter, 309 morti, 65 mila sfollati. Oggi L’Aquila è un cantiere a cielo aperto, la normalità è ancora lontana. Gli sfollati oggi sono ancora più di 8000. Le “new town” sono considerate da molti un esempio da non seguire. Il centro storico dell’Aquila è ricostruito solo al 50%.

Emilia Romagna - il 20 e il 29 maggio, scosse di 5,9 e 5,8 gradi causano la morte di 27 persone, circa 19 mila sfollati, danni ingenti al patrimonio culturale e mettono in ginocchio l’economia della pianura padana emiliana, che pure sta cercando di rialzarsi anche grazie agli sforzi dei privati. A gennaio scorso nei container c’erano ancora 450 persone. La ricostruzione è in corso. Su 60 comuni 25 hanno terminato i lavori. Lo stato di emergenza sarà attivo fino al 2018.

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Siria. Sfumano le trattative, Parolin: accordo è urgente

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Si è concluso con un nulla di fatto il round di negoziati sulla Siria che hanno portato a Ginevra il segretario Usa Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov. “Chiarezza” è stata fatta sui punti di maggiore divergenza – emerge – ma di fatto ancora nessuna tregua ad Aleppo. “È urgente e indispensabile che si riprendano le trattative”, ha detto da Pordenone il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, sottolineando che il Papa “continua a insistere nella sua azione diplomatica internazionale perché si riesca a trovare un accordo”. Roberta Barbi ne ha parlato con il prof. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell’Islam, dell’Università Cattolica di Milano: 

R. – Quello che mi pare evidente è che ci sono molte potenze mondiali, ma anche regionali, che dovrebbero in qualche modo trovare una soluzione per quello che succederà, soprattutto dopo la fine di questa guerra; ma gli interessi, gli orientamenti sono talmente divergenti che questa guerra purtroppo continua da anni. Stiamo arrivando alla distruzione quasi totale di città come Aleppo e gran parte della Siria e non si vede ancora una luce in fondo al tunnel. Questo è veramente impressionante: l’impotenza delle grandi diplomazie di dare una speranza a questa popolazione ormai sfinita.

D. – Tra i punti in discussione a Ginevra, anche la possibilità di un accordo sul coordinamento delle operazioni militari in contrasto all’Is. In che modo ha cambiato le cose l’intervento turco?

R. – Secondo me le ha complicate, nel senso che si è visto benissimo che i turchi sono intervenuti soprattutto non contro l’Is, ma per impedire ai curdi di avere una continuità territoriale ai loro confini. Se ognuno, in questa già drammatica e complicata vicenda, entra con i suoi ulteriori obiettivi, che non siano quelli di pacificare finalmente questo Paese martoriato, ho paura che la soluzione si allontani piuttosto che avvicinarsi.

D. – Sulla tregua raggiunta l’altro giorno a Daraya tra governativi e ribelli, l’inviato speciale dell’Onu de Mistura ha sottolineato l’estraneità delle Nazioni Unite, che non sono state consultate. Questo che cosa significa, per gli equilibri in gioco?

R. – Purtroppo, l’Onu e le altre agenzie internazionali hanno perso molta della loro credibilità non facendo nulla o arrivando troppo tardi, non avendo più una voce “autorevole”. Le persone che sono sul campo talvolta tendono ad accordarsi tra di loro, senza badare troppo a queste sigle prive di senso, ormai.

D. – Al centro delle trattative c’è la situazione di Aleppo dove, secondo l’Unicef, oltre 100 mila bambini restano intrappolati nella parte est della città; l’altra faccia di questa guerra sono i bambini che giustiziano prigionieri curdi nell’ultimo, scioccante video diffuso dal sedicente Stato islamico …

R. – Purtroppo, non mi pare che sia la prima volta e bisogna ricordare, anche se atroce, che in Africa e in altri contesti di guerra, i bambini vengono addirittura armati di kalashnikov e drogati per essere mandati in combattimento, e quindi la sproporzione tra un bambino e l’arma micidiale che ha in mano ci fa capire il grado di barbarie e di follia a cui possiamo arrivare. Evidentemente, per spaventare e per diffondere ancora più terrore, queste sproporzioni sono addirittura ovviamente studiate, scelte a tavolino …

D. – Sembra che i bambini, tra l’altro, fossero di cinque nazionalità diverse, quindi si può parlare addirittura di foreign fighters minori …

R. – Forse più che foreign fighters, sono bambini raccolti durante le loro campagne, ma il messaggio che vogliono trasmettere è che questi bambini stanno dalla parte di chi ha ragione e quindi hanno il diritto e il dovere di uccidere i nemici, indipendentemente dalla loro origine etnica e addirittura dalla loro appartenenza religiosa, perché temo che siano bambini musulmani che hanno ucciso comunque i curdi, che sono per la maggior parte musulmani: uno snaturamento totale delle appartenenze etniche e religiose per una scelta ideologica di morte.

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Presidenziali in Gabon: è sfida tra Ali Bongo e Jean Ping

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Elezioni presidenziali oggi in Gabon, Paese situato nel cuore dell'Africa centrale, quarto produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana e 37.mo produttore mondiale. L’attuale presidente, Ali Bongo, candidato per un secondo mandato ed erede di una dinastia che detiene il potere da oltre 40 anni, vede come avversario e candidato unico dell'opposizione, il suo ex ministro degli Esteri ed ex presidente della Commissione dell'Unione Africana, Jean Ping, 74 anni, di origini cinesi. L’opposizione denuncia la difficoltà anche solo di mettere in piedi una campagna elettorale, ma  soprattutto una condizione del Paese disastrosa: povertà dilagante e disoccupazione alle stelle. In questo contesto, che scenario può aprirsi per il Paese? Paola Simonetti lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia africana all’Università di Torino: 

R. – È uno scenario delicato, perché nel Paese c’è un’opposizione abbastanza consistente che negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, si è coalizzata attorno ad un candidato importante, un personaggio politico di levatura internazionale. Il problema è il modo in cui il Paese si sta avviando al voto: sono state già individuate delle notevoli discrepanze negli aventi diritti al voto registrati. In un paesino, per esempio, dove, stando all’ultimo censimento, gli aventi diritto dovrebbero essere 43, quelli registrati sono 946: questo dà un’idea di come si è mossa finora la commissione elettorale. Questi e altri problemi sono stati denunciati e prefigurano quello che è spesso il destino delle elezioni in Africa: ossia brogli vistosi, senza ritegno, soprattutto da parte di chi detiene il potere e ha in mano molte reti e mezzi per manipolare il voto prima, durante e dopo la giornata elettorale.

D. – L’opposizione, peraltro, segnala come la popolazione sia vistosamente stanca della dinastia Bongo; però – ovviamente – in una condizione come quella che lei descrive la popolazione ha poco peso…

R. – La popolazione ha poco peso. Spesso gli africani quando sono stanchi, sfiduciati, non vanno a votare, pensando che tanto non cambierà niente e che soprattutto il loro voto, in una situazione del genere, sarà irrilevante, perché poi vincerà chi deve vincere. L’aspetto sconcertante e particolarmente doloroso di questa situazione è che il Gabon è un piccolo Paese – non arriva a due milioni di abitanti –; produttore di petrolio, è rientrato a far parte dell’Opec i primi di luglio. E difatti la dinastia Bongo – il padre dell’attuale presidente che ha guidato il Paese dal 1967 al 2009, quando è morto lasciando in eredità la carica al figlio – ha accumulato, è cosa risaputa, una fortuna grazie al petrolio del suo Paese. Per cui la situazione è quella di un Paese con un terzo degli abitanti che è sotto la soglia di povertà, ma con un Prodotto interno lordo (Pil) che è invece tra i più elevati del continente africano: questa è veramente una situazione paradossale. Il 35 per cento dei giovani non ha lavoro; la disoccupazione è complessivamente al 20 per cento. E questo – ripeto – con una ricchezza che poi non è soltanto quella del petrolio. Inoltre vorrei aggiungere un’altra ricchezza fondamentale: una popolazione giovane. L’età media dei gabonesi è di 21 anni: anche questa, se fosse ben amministrata, è una risorsa enorme.

D. – Invece l’Unione Africana, che – lo ricordiamo – è l’organizzazione internazionale che comprende tutti gli Stati africani ad eccezione del Marocco, può giocare un ruolo ora?

R. – Dovrebbe averlo. Fa proprio parte dei suoi compiti, attraverso l’invio degli osservatori, monitorare lo stato del Paese dal punto di vista democratico, con la facoltà, nel caso, di sospendere dall’organismo un Paese in cui si verifichi un deficit vistoso di democrazia. Di fatto però questo non succede, perché dell’Unione Africana fanno parte – come ha detto giustamente – praticamente tutti i Paesi africani, e forse fra poco rientrerà anche il Marocco. Questo vuol dire che ci sono decine di leader che si trovano in una situazione analoga o che immaginano di potervi rientrare. Di conseguenza, al di là poi di dichiarazioni ufficiali, questi ultimi sono molto prudenti nel prendere di mira un collega sapendo di potersi ritrovare, a loro volta, nel mirino dell’organizzazione.

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Perdonanza Celestiniana. Vescovo dell'Aquila: vicini ai terremotati

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All’Aquila si svolge questa domenica la 722.ma edizione della Perdonanza Celestianiana con l’apertura della Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio. Quest’anno l’evento sarà celebrato con il pensiero alle vicine popolazioni del Lazio e delle Marche colpite dal terremoto. Mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell'Aquila, è nato ad Ascoli e ha concelebrato oggi i funerali delle vittime marchigiane nel Duomo della città. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. – Siamo pienamente partecipi del dolore che ha colpito le popolazioni sorelle del reatino e dell’ascolano. È un dramma che L’Aquila conosce bene, perché lo ha vissuto nelle sue forme più sofferte. Ed è questo il motivo per cui l’amministrazione civile ha deciso di chiudere le manifestazioni di tipo culturale e ricreativo e di lasciare solo quelle specificamente religiose, celebrate in una forma sobria ed essenziale. È un modo per essere in sintonia di mente e di cuore con quanti in questo momento passano attraverso una Croce severa.

D. – Quale senso profondo assume la Perdonanza alla luce di questo terribile terremoto?

R. – Io direi che la Perdonanza consente di mettersi in rapporto con questi eventi con un’anima cristiana, illuminata dalla fede, percorsa dalla carità. Un’anima che si apre alla speranza, perché noi sappiamo che la morte non ha l’ultima parola. Nella Pasqua di Gesù la morte è già morta: quindi ogni passaggio, da questo mondo alla Casa del Padre, va vissuto come un entrare nella vita e non come uno sprofondare nel nulla. La Perdonanza ci pone nel cuore stesso della rivelazione cristiana. La Perdonanza è come un pozzo che Celestino V ha scavato fino a raggiungere una falda freatica profonda, dove scorre l’acqua viva del Vangelo. È una grazia che ci viene data: non siamo noi ad averla riversata dentro il pozzo, ma sta a noi attingerla, per potersi dissetare e poterla distribuire. La Perdonanza è la capacità di accogliere la Misericordia di Dio: la Perdonanza è innanzitutto farsi perdonare, lasciarsi riconciliare, come dice Paolo.

D. – Questo tragico evento ha coinvolto emotivamente tutto il mondo, ma in particolare L’Aquila, ancora scossa e ferita dal tremendo terremoto – lo ricordiamo – del 2009…

R. – Io sono di origine ascolana. Per tredici anni sono stato parroco in montagna, proprio nell’area adesso colpita dal terremoto. La comunità dove sono stato si chiama Trisungo e dista due chilometri e mezzo da Arquata del Tronto, che è stata rasa al suolo. Appena ho saputo di questi eventi, sono andato proprio nel paese dove ho vissuto come parroco per incontrare la gente. E ho ritrovato gli stessi volti smarriti, gli occhi disorientati, la gente bisognosa di una prossimità affettiva oltre che di aiuti materiali. Le dico fraternamente che ho vissuto questa tragedia che sono congiunti: quello aquilano, dove oggi sono vescovo; e quello ascolano e amatriciano, dove ho vissuto anni importanti del mio ministero. Quindi è una tragedia che sento confitta al centro del mio cuore.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXII T.O.

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Nella 22.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone  il Vangelo in cui Gesù è a pranzo a casa di uno dei capi dei farisei e nota come tutti cerchino i primi posti. Racconta quindi una parabola per esortare a mettersi all’ultimo posto:

“Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

“Chiunque s’innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato”. Gesù ha pienamente vissuto questa verità nella sua carne. Pur essendo Figlio di Dio, glorioso e senza macchia, ha assunto liberamente la natura umana di creatura limitata, accettando di essere considerato un peccatore bisognoso del battesimo. Accusato, infine, come oppositore della Legge mosaica e nemico del Tempio, si sottopone alla condanna più atroce. Da questo atto di somma umiltà e di tenace amore, con la sua Risurrezione è scaturita la nostra salvezza: l’annuncio e il dono della Misericordia che distrugge la morte e ci trasforma in figli di Dio. L’ignominia del suo “ultimo posto” ha generato per noi la possibilità della primogenitura eterna. Tutto ciò che ci umilia ci salva, perciò il Signore desidera concedere, anche a noi, la capacità di “essere ultimi” confessando i nostri peccati, chiedendo perdono per primi, accettando incomprensioni e oltraggi senza pretendere giustizia e riconoscenza. Cristo può guarirci dalla superbia e dall’impazienza e donarci di vivere nascosti in Lui in questo mondo. Così, anche dalla nostra povertà può scaturire, la testimonianza che porta alla libertà coloro che l’accolgono. Già questa è beatitudine per chi attende la vita del mondo che verrà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Dolore negli Usa per l'uccisione di due suore in Mississippi

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È “un’eredità di dedizione alla vita consacrata e di profonda compassione per il prossimo” quella lasciata da suor Margaret Held e suor Paula Merrill, trovate uccise a coltellate, nei giorni scorsi, nella loro casa a Durant, in Mississipi. Così le ricorda mons. Joseph Kurtz, presidente dei vescovi degli Stati Uniti, in una nota ufficiale in cui chiede ai fedeli di pregare per le due suore tragicamente scomparse, affinché “possano riposare in pace”.

Condanna dei vescovi per l’atto di violenza
Gli fa eco l’arcivescovo di Milwaukee, mons. Jermone Listecki, lodando il “servizio esemplare” prestato da suor Margaret e suor Paula. “Ogni atto di violenza è sempre una tragedia per l'intera comunità -  dice il presule - Ma quando viene colpito qualcuno che ha dedicato la sua vita alle opere di bene ed al servizio della comunità nel nome di Gesù, allora la violenza viene amplificata ulteriormente”.

Due suore al servizio dei poveri e dei bisognosi
Impegnate nell’aiuto ai più poveri, Sr. Paula e Sr. Margaret, entrambe 68enni, prestavano servizio anche come infermiere presso il Lexington Medical Clinic. La prima apparteneva alle Suore della Carità di Nazareth, la seconda alle Sorelle di San Francesco. “Queste sorelle erano amatissime nella comunità, per il loro servizio ai più bisognosi - sottolinea anche mons. Joseph Kopacz, vescovo di Jackson - Piangiamo con la popolazione di Lexington e Durant e preghiamo per le loro comunità e le loro famiglie”.

Una rapina il possibile movente del delitto
Al momento, non è ancora chiaro il movente dell’omicidio. La polizia ipotizza che le suore siano state uccise da un rapinatore che poi è fuggito a bordo della loro auto, ritrovata abbandonata in una strada appartata ad un miglio di distanza dal luogo del delitto. (I.P.)

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Bolivia. Uccisione viceministro, appello dei vescovi al dialogo

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Dolore, indignazione, appello al dialogo. Così la Conferenza episcopale della Bolivia commenta i recenti fatti di sangue avvenuti nel Paese, scenario della protesta dei minatori, in sciopero da giorni per chiedere al governo maggiori diritti. Ieri, alcuni lavoratori hanno sequestrato ed ucciso il viceministro dell’Interno, Rodolfo Illanes. L’omicidio ha portato all’arresto di cento persone.

La morte di ogni essere umano è un grido di dolore al cielo
“La morte di ogni essere umano è un grido al cielo – scrivono i vescovi boliviani in una nota diffusa sul loro sito web – a maggior ragione quando la morte non è inevitabile, ma causata da scontri e violenze tra esseri umani”. Di qui, la sottolineatura del dolore e dell’indignazione provati dalla Chiesa e “la denuncia della spirale di violenza che inghiotte il Paese”.

Serve sincera volontà per un dialogo responsabile
“In nome di Dio fermatevi!", continua la nota. "Non possiamo  - prosegue - cedere irresponsabilmente alla logica perversa della violenza, con pressioni irrazionali, attacchi criminali, scontri e rappresaglie", mentre il Paese “chiede urgentemente alle autorità ed a tutti i settori coinvolti una sincera volontà e capacità di dialogo responsabile”.

Indagini della giustizia sia trasparenti ed obiettive
Allo stesso tempo, i presuli ricordano agli amministratori della Giustizia “la grande responsabilità” di indagare sulle violenze “con trasparenza, competenza ed obiettività”.  Auspicando, infine, il perdono e la riconciliazione in Bolivia, soprattutto in questo Anno giubilare della Misericordia, i vescovi pregano per le vittime, per i feriti e per i loro familiari, affinché trovino “conforto nella giustizia di Dio”. (I.P.)

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Vescovi Usa e ayatollah iraniani uniti contro il terrorismo

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Promuovere una cultura dell’incontro, della tolleranza, del dialogo e della pace, rispettando le diverse tradizioni religiose: questo l’appello contenuto in una dichiarazione congiunta pubblicata in questi giorni dalla Conferenza episcopale statunitense e da alcuni leader religiosi iraniani. “La fede nell’unico Dio unisce ebrei, cristiani e musulmani – si legge nel documento, riportato dall’agenzia AsiaNews - servire Dio richiede il lavorare per il benessere di tutte le sue creature e per il bene comune dell’umanità”.

Cristiani e musulmani impegnati in difesa della vita
“I leader religiosi – prosegue la nota - devono fornire una guida morale e parlare in modo netto contro l’ingiustizia e contro tutto ciò che nuoce all’umanità”. Nel richiamare, poi, “l’impegno comune” di cristianesimo e Islam “all’amore e al rispetto per la vita, alla dignità e al benessere di tutti i membri della comunità umana”, i firmatari “respingono le ingiustizie e si oppongono con forza a tutte quelle azioni che mettono in pericolo la vita, la salute, la dignità o il benessere degli altri”.

Terrorismo e armi di distruzione di massa sono immorali
E ancora: la dichiarazione sottolinea “l’impegno comune volto alla coesistenza pacifica e al rispetto reciproco”, definendo “immorali” gli atti il terrorismo e le armi di distruzione di massa. Di qui, l’appello “a tutte le religioni perché smettano di comprare questo tipo di armi” e l’invito a quanti le possiedono “a liberarsi di armamenti chimici, biologici e nucleari”. Allo stesso modo, i firmatari si dicono “contrari a ogni atto di terrorismo”, soprattutto quelli che “finiscono per colpire direttamente civili innocenti”, e respingono “con forza le sanzioni indiscriminate e le altre politiche che infieriscono e sono fonte di dolore per civili innocenti”.

No alle espulsioni forzate delle popolazioni
Sostegno, poi, viene espresso per “il diritto legittimo all’auto-difesa” di uno Stato, purché secondo “un uso proporzionato e discriminato della forza per proteggere il proprio popolo dalle violazioni e per il pieno ristabilimento dei diritti di ciascuno”. Al contempo, i firmatati condannano  “le espulsioni forzate di persone dalla propria terra” e affermano “il diritto di ritorno”, sottolineando che è “compito della comunità internazionale agevolare il rispetto dei diritti”.

Contrastare ideologie estremiste, perversioni dell’autentico credo religioso
“Preoccupati”, inoltre, per “il diffondersi di ideologie estremiste, spesso alimentate da letture superficiali ed erronee dei testi religiosi, che negano il valore intrinseco e la dignità di ciascuna persona, a dispetto della fede religiosa professata”, i leader religiosi di Usa e Iran chiedono alle singole comunità “di contrastare il diffondersi di questo tipo di ideologie che favoriscono la violenza”. “L’estremismo violento e il terrorismo – si legge ancora nella dichiarazione congiunta - sono perversioni del credo religioso più autentico. La colpa degli atti terroristici non deve ricadere sui fedeli di un’intera religione, di una nazione, di una cultura, di una razza o di un gruppo etnico”.

Pace si basa su equità e giustizia. Promuovere dialogo interreligioso
Di qui, la sottolineatura del fatto che “la lotta al fondamentalismo richiede una determinazione ferma e la collaborazione di tutti per contrastarne le cause sin dalla radice”, tra cui “la povertà, la disoccupazione, l’idolatria del denaro, l’ignoranza, la discriminazione, l’occupazione armata, l’ingiustizia, e le culture dilaganti di intolleranza, supremazia e impunità”. Infine, auspicando una “coesistenza pacifica fondata sull’equità e sulla giustizia”, i firmatari si impegnano a sostenere il dialogo interreligioso e chiedono a tutti di “lavorare per lo sviluppo di una cultura dell’incontro, della tolleranza, del dialogo, e della pace che sappia rispettare le tradizioni religiose altrui”.

I firmatari del documento
La dichiarazione congiunta è stata firmata  da mons. Oscar Cantú, presidente della Commissione episcopale internazionale di Giustizia e pace della Chiesa Usa; dal card. Theodore McCarrick, membro del medesimo organismo; dall’ayatollah Ali-Reza A’araf, membro anziano della Society of Qom Seminary Scholars e presidente della Al-Mustafa International University; e da Abdul-Majid Hakim-Elahi, direttore del dipartimento affari internazionali della Society of Qom Seminary Scholars. (I.P.)

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Colombia: incontro della rete ecumenica Chiese e miniere

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I grandi progetti minerari del continente latinoamericano saranno al centro del terzo incontro della rete “Iglesias y Minería – Chiese e miniere”, in programma in Colombia, a Bogotà, dal 2 al 6 settembre. Ospitato dal centro di spiritualità “Francisco Palau”, nel quartiere della Soleda, l’evento vedrà la partecipazione di  almeno quarantacinque rappresentanti, provenienti da dodici Paesi, che ascolteranno le testimonianze di comunità spesso vittime delle attività estrattive, analizzeranno le cause e le conseguenze dei conflitti minerari in America latina, approfondiranno aspetti dell’ecoteologia e definiranno, al termine, strategie per la cura e la difesa della casa comune.

Rafforzare collaborazione tra Chiese impegnate nella cura del Creato
“Questo terzo incontro – spiega padre Dario Bossi, uno dei principali responsabili della rete, citato da L’Osservatore Romano - rafforzerà il lavoro di collaborazione con le Chiese impegnate sul terreno della salvaguardia ambientale, della cura della casa comune, come raccomanda l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco”. “L’esperienza – aggiunge - ci mostra che queste riunioni rafforzano la mistica, la resistenza e la ricerca di alternative nelle comunità che, in diversi territori, soffrono gravi violazioni dei loro diritti socio-ambientali e, in molti casi, vengono addirittura criminalizzati perché difendono la vita”.

Sostenere le piccole comunità più bisognose
Di qui, il richiamo a vescovi e pastori affinché siano “sempre più sensibili nell’appoggiare le piccole comunità colpite dalla logica dei grandi progetti. Lo sviluppo che promettono le società minerarie, alleate degli Stati nazionali, non favorisce la vita dei poveri”. Da ricordare che la rete “Iglesias y Minería” è uno spazio ecumenico composto da comunità cristiane dell’America latina, equipe pastorali, congregazioni religiose, gruppi di riflessione teologica, laici, vescovi e pastori che cercano di rispondere alle sfide condotte dagli impatti e dalle violazioni dei diritti socio-ambientali causati dalle attività estrattive nei territori.

Approfondire e diffondere la “teologia ecologica”
“Ci unisce e ci ispira — dichiarano gli organizzatori dell’incontro — la fede e la speranza nel Dio creatore della vita e della madre natura; un Dio che ci chiama a costruire un mondo dove tutte le persone vivono con la dignità dei figli e delle figlie di Dio, in perfetta armonia con tutto il creato”. Fin dalla sua nascita, nel 2013, questa organizzazione è impegnata a lavorare per potenziare le comunità colpite dalle attività estrattive, ad approfondire e diffondere una teologia e spiritualità ecologica, a rendere pubbliche le violazioni provocate dalle megaindustrie del settore, la resistenza delle comunità interessate così come le loro proposte e alternative orientate alla “vita buona”.

L’importanza del dialogo ecumenico
Di rilievo è il dialogo con le Chiese, a tutti i livelli gerarchici, in modo da incidere concretamente sulle azioni in difesa delle comunità e dei territori a volte devastati dagli impianti estrattivi. Fanno parte di “Iglesias y Minería” più di settanta fra organismi ecclesiali, Caritas, diocesi, servizi e istituti religiosi. (I.P.)

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Arriva a Roma “Laudato”, il pulmino ecologico per disabili

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Un viaggio in Italia all’insegna dell’ecologia e dell’aiuto alle persone disabili: è quello che sta compiendo un furgone elettrico, gestito dall’Unitalsi di Bolzano. Inizialmente diesel, il mezzo di trasporto è stato trasformato in veicolo non inquinante, adattato al trasporto di disabili e ribattezzato “Laudato”, in omaggio alla Laudato si’, l’Enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune.

Il 31 agosto, attesa la benedizione di Papa Francesco
Partito dal Passo del Brennero per un viaggio all'insegna del rispetto, della tutela del creato e dell'abbattimento di ogni barriera architettonica e culturale – informa l’Unitalsi – il pulmino ha già raggiunto Bolzano, Verona, Carpi e Rimini, e poi si sposterà a Loreto, Gualdo Tadino e, infine, Roma. Qui, il 31 agosto, il veicolo verrà accolto e benedetto da Papa Francesco nel corso dell’Udienza generale in Piazza San Pietro.   

Tecnica al servizio di un progresso più umano
“L'evento eccezionale – informa l’Unitalsi - è promosso per la prima volta anche da un cartone animato, che racconta l'iter della trasformazione da veicolo inquinante a mezzo elettrico”. “La mobilità delle persone disabili – dichiara Enrico Broccanello, presidente dell’Unitalsi di Bolzano - è una priorità per la nostra Associazione, così abbiamo voluto offrire un ulteriore servizio abbattendo i costi e riducendo l'impatto ambientale”. L’intento è anche quello di “rispondere all'auspicio di Papa Francesco, che nell'Enciclica Laudato si' parla di una tecnica messa al servizio di un progresso più umano, più sano, più sociale ed integrale”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 240

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.