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Sommario del 29/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: in Europa urge rinnovare il legame con le radici cristiane

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Rievangelizzare i cristiani che hanno smarrito il legame con la propria fede. È l’obiettivo del 14.mo Simposio Intercristiano in corso da ieri e fino a domani a Salonicco, in Grecia. Ai partecipanti Papa Francesco ha inviato un Messaggio attraverso il cardinale Kurt Koch, capo del dicastero Vaticano per l’unità dei cristiani. Il servizio di Alessandro De Carolis

Battezzati che vivono come se Dio non esistesse. Una realtà diffusissima nel Vecchio continente. Persone, scrive Francesco nel suo Messaggio, che “non sono coscienti del dono della fede ricevuto, non ne sperimentano la consolazione e non sono pienamente partecipi della vita della comunità cristiana”. È nei loro riguardi che si rende necessario “il bisogno di una rievangelizzazione delle comunità cristiane in Europa”, come recita il titolo del XIV Simposio Intercristiano, cui il Papa si rivolge, definendo benemerita “l’iniziativa” promossa dall’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum e dal Dipartimento di Teologia della Facoltà Teologica Ortodossa dell’Università Aristoteles di Salonicco.

Un incontro che favorisce, sottolinea, “il confronto teologico e culturale tra cattolici ed ortodossi” con l’obiettivo di affrontare, osserva, la “sfida” di rinnovare quei legami con le “radici cristiane” che “sempre meno” sono percepite e per i quali è dunque “chiaramente” necessaria, scrive il Papa, “una nuova opera di evangelizzazione”. Auspico che il Simposio, con l’aiuto delle riflessioni e dello “scambio tra studiosi cattolici e ortodossi”, possa contribuire – conclude Francesco – a “individuare strade nuove, metodi creativi e un linguaggio adatto per far giungere l’annuncio di Gesù Cristo, in tutta la sua bellezza, all’uomo europeo contemporaneo”.

Anche il Patriarca ecumenico ortodosso, Bartolomeo I, in un analogo messaggio parla di ruolo “importante e nodale” dei cristiani in “un’epoca in cui – afferma – la collaborazione e l’unità diventano sempre più necessarie”. Il capo della Chiesa di Costantinopoli si concentra in particolare sulle ferite inferte all’Europa dai recenti attacchi terroristici. Essi, sostiene, “dimostrano l’assoluta necessità che il Continente venga rievangelizzato, perché il problema non consiste tanto nello sviluppo del terrorismo da parte di membri di una particolare religione, quanto nella estesa scristianizzazione dell’Europa che durante gli ultimi decenni segue un cammino di continuo allontanamento dai valori e delle tradizioni cristiane e sta adottando nuove teorie e costumi che si oppongono completamente alla legge di Dio”.

“L’amore per il dialogo, per la pacifica risoluzione dei contrasti e per la riconciliazione – conclude Bartolomeo I – unisce i cristiani e la consapevolezza che Cristo è la grande e unica speranza del mondo” costituisce inoltre “una dinamica che tutti dobbiamo adottare e vivere con le nostre opere e con le nostre parole”.

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Il Papa incontra Zuckerberg: al centro uso tecnologie contro povertà

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in Vaticano, Mark Zuckerberg, fondatore e capo di Facebook, che era accompagnato dalla moglie Priscilla Chan. Il Papa e Zuckerberg, si legge in una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, "hanno parlato di come usare le tecnologie di comunicazione per alleviare la povertà, incoraggiare una cultura dell'incontro e fare arrivare un messaggio di speranza, specialmente alle persone più disagiate”.

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Papa, tweet: misericordia di Dio ci sprona alla misericordia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La misericordia di Dio verso di noi ci sprona ad usare misericordia verso il prossimo”.

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Suor Prema: Madre Teresa Santa perché ha preso Gesù sul serio

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Grande attesa in tutto il mondo per l’imminente Canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, domenica prossima con una Messa in Piazza San Pietro dove è attesa una moltitudine di fedeli. La cerimonia sarà uno dei momenti culminanti del Giubileo della Misericordia, voluto da Papa Francesco. Antonella Palermo ha intervistato Suor Mary Prema, terza Superiora generale delle Missionarie della carità, dopo Madre Teresa e Suor Nirmala: 

R. - La Canonizzazione della nostra Madre è per noi un grande onore. Ci dà l’opportunità di guardare alla sua vita più da vicino, al suo lavoro e alla grande attenzione data agli altri, ma anche di guardare alle nostre di vite. Questo è davvero un momento di esame delle coscienze per vedere più profondamente come viviamo la vocazione che abbiamo ricevuto come Missionarie della Carità e, soprattuto, la nostra unione con Dio nella preghiera e la nostra unione con Gesù nei più poveri.

D. - Madre Teresa è stata insignita del Nobel per la Pace nel 1979. In un mondo che continua ad essere disseminato di focolai di guerre, come rievocare il valore di quel riconoscimento per l’oggi?

R. - Il riconoscimento del Nobel per la pace le è stato assegnato per gli sforzi nel creare l’unione di tutti i popoli, come figli di un unico Padre Celeste. Questo è un tema di grande attualità. La pace è il desiderio di ciascuno ma è il risultato del perdono e dell’impegno nell’ascolto delle persone, per poterle capire. Non bisogna sempre pretendere di essere nel giusto.

D. - Secondo lei, la Chiesa di oggi è quella che Madre Teresa desiderava?

R. - La Madre non usava il suo tempo per porre richieste del tipo: la Chiesa dovrebbe o non dovrebbe essere così…. La Madre non analizzava, ma impiegava il suo tempo a trasmettere la sua responsabilità, prendendo Gesù sul serio. La Madre diceva: “La Chiesa siamo tu ed io. Se vuoi che la Chiesa sia Santa, è tuo dovere e mio essere santi”. Lei l’ha vissuta così.

D. - Madre Teresa è diventata una sorta di ‘santino’?

R. - Noi abbiamo vissuto con lei e l’abbiamo conosciuta. Venerare la sua immagine senza cercarne un modello da imitare sarebbe ingiusto. La Madre è la vita ed è rimasta con noi. Lei prega per noi. È stata attiva nella vita di molti; ho visto questo in particolare nella sua casa a Calcutta dove le spoglie della Madre sono visitate da migliaia e migliaia di pellegrini, povera gente. Pregano e la madre ascolta le loro preghiere. E se ne tornano con la pace nel cuore, con la fiducia e la speranza che la vita possa essere migliore. La Madre non è un santino! La madre è viva, operosa, ovunque. Noi abbiamo bisogno di lei, dei suoi insegnamenti, della sua intercessione.

D. - Lei è stata capace di parlare forte e chiaro con i leader politici di ogni livello…

R. - La Madre non andava in giro a predicare o insegnare alle altre persone cosa dovessero fare. Quando lei parlava, lo faceva dalla chiarezza del suo cuore. Non importava con chi parlasse, il suo parlare era comunque con convinzione sui valori della vita: la spiritualità, la preghiera, la famiglia dove, a volte, le relazioni vanno sostenute dall’accettazione della sofferenza e dal perdono. Il valore della vita religiosa come continuazione della vita di Gesù. Lei portava con sé i valori dei più poveri tra i poveri, che sono persone grandi perché ci insegnano molto, ci insegnano ad accettare ciò che la vita ci offre. La Madre non ha mai fatto un passo indietro nel difendere la dignità delle persone.

D. - Ancora fissa nel cuore e nella mente l’immagine delle quattro vostre consorelle massacrate lo scorso marzo in Yemen da un commando di uomini armati. “Martiri dell’indifferenza”, commentò il Papa. Guardando alle persecuzioni delle minoranze religiose tuttora in atto in varie parti del mondo, la speranza che un martirio del genere possa servire a qualcosa rischia di essere delusa…

R. - Se guardiamo con gli occhi del mondo alla morte delle consorelle, è uno spreco di giovani vite. Se guardiamo con gli occhi della fede è un grande privilegio dare la propria vita per coloro che stiamo servendo. Le persecuzioni sono state parte della cristianità fin dalle origini. Le persecuzioni sono necessarie perché arrivi il meglio dalla nostra vocazione. Le nostre suore liberamente e consapevolmente sono rimaste a servizio dei malati di Aden, in Yemen. È un grande dolore, ma allo stesso tempo un grande onore sapere che loro hanno raggiunto lo scopo della loro vocazione, che è l’unione con Dio, amando Gesù come Egli ci ha amato, perdonando quelli che non sanno cosa fanno.

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Card. Turkson: alleanza delle religioni in difesa dell’acqua per tutti

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L’acqua è un bene prezioso e anche un elemento divino, da usare con rispetto e gratitudine: così il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizie e Pace, nel discorso pronunciato oggi a Stoccolma, in Svezia, dove è in corso la Settimana mondiale dell’acqua. Il servizio di Roberta Gisotti

L’acqua non è una semplice merce
“L’acqua per lo sviluppo” è il tema della Settimana promossa dall’Istituto internazionale per l’acqua di Stoccolma, quest’anno proiettata sugli Obiettivi di sviluppo fissati dall’Onu nell’Agenda post 2015. “L’acqua non è una semplice merce”, ha sottolineato il cardinale Turkson, nel suo intervento nella sessione dedicata ai legami tra “Fedi e sviluppo”, che hanno già portato “fruttuose collaborazioni e sinergie interreligiose in diversi settori, come la sanità, la sicurezza alimentare, gli investimenti, l’educazione, la gestione delle risorse naturali, e l’assistenza ai migranti”.

La dignità umana va oltre i fattori di produzione e consumo
Se “il nostro pianeta, le sue risorse e gli ecosistemi – ha ricordato il porporato – sono un meraviglioso dono”, e “così anche la vita umana”, come insegna Papa Francesco, i capi spirituali e le moltitudini di credenti “devono costantemente sentirsi sfidati a vivere in modo consono con la loro fede e non contraddirla con le loro azioni”.

La fede ci porta infatti ad affermare la dignità umana. “Siamo molto più che informazioni o dati da misurare o rappresentare col Pil”, ha detto il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. “Non siamo semplicemente fattori di produzioni e consumo. Quando gli essere umani sono propriamente risorse umane, cessano di essere la misura del successo delle politiche”. E diventano una merce ‘usa e getta’, da buttar via, anche per “un consumo dell’acqua che dia maggior profitto”.

Una saggia gerarchia di priorità
Da qui alcune indicazioni operative per tutte le organizzazioni motivate da fedi religiose, riguardo l’uso dell’acqua, “un bene prezioso ed anche divino”, alla luce delle sacre scritture e delle tradizioni spirituali. ”Anzitutto educare i giovani alla solidarietà, all’altruismo e alla responsabilità, perché “queste virtù li aiuteranno ad essere onesti amministratori e politici”. Organizzare campagne per “recuperare fonti inquinate”, “ripulire fiumi o laghi”, favorendo “il rispetto reciproco, la pace e l’amicizia fra differenti gruppi”. “Riaffermare la dignità umana e il bene comune dell’intera famiglia umana”, promuovendo una saggia gerarchia di priorità per l’uso dell’acqua, specie dove ci sono molteplici e concorrenti richieste di acqua”. “Tutto questo contribuirà – ha concluso il cardinale Turkson – a rendere l’accesso universale e sostenibile all’acqua potabile una realtà".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Verrò a trovarvi: all’Angelus il Papa rinnova la sua vicinanza alle popolazioni dell’Italia centrale e annuncia che si recherà nelle zone colpite dal sisma.

Caterina Ciriello su quell’altare spaccato in due: la forza della fede nelle tenebre del dolore.

Un articolo di Paolo Vian dal titolo “L’ultima zattera dopo il naufragio”: la riaffermazione del trascendente nel mondo contemporaneo.

Studi siriaci e arabo-cristiani: Manuel Nin su due iniziative del Pontificio istituto orientale.

Liberati dalla paura: Ermes Ronchi su bisogno, fiducia e affidamento.

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Oggi in Primo Piano



Sisma. Bilancio sale a 291, domani funerali ad Amatrice

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Sono 291 le vittime del sisma che ha colpito il centro Italia, ma il bilancio è destinato a salire. Ad Amatrice, sotto le macerie dell’Hotel Roma, sono stati individuati altri due corpi. Sono 2.925 in tutto le persone assistite dai volontari. Intanto, la terra continua a tremare: 2.200 le scosse registrate dalla prima di martedì notte. Sempre ad Amatrice domani alle 18 si celebrerano i funerali della vittime del versante laziale alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che promette ai terremotati: via dalle tende in un mese. Il servizio di Roberta Barbi: 

Con il corpo della donna recuperato stanotte è salito ancora il bilancio delle vittime di un terremoto che non sembra finire mai. Ad Amatrice, si contano ancora 8-10 dispersi, mentre per altri due corpi si è proceduto con il riconoscimento, ma in tutta l’area, comprese le 10 frazioni coinvolte, resta altissimo il pericolo di nuovi crolli. Lavora incessantemente la macchina dei soccorsi, che qui sono ancora in quella che chiamano la prima fase, come testimonia il funzionario capo della Protezione Civile della Regione Lazio, Stefano Ancilli, al microfono dell’inviata Gabriella Ceraso:

“Noi abbiamo, in tutti i campi accoglienza, nel Palazzetto dello sport di Amatrice, e inoltre abbiamo due punti di raccolta che sono pieni, pieni, pieni di materiale di ogni genere. I Vigili del Fuoco stanno completando la fase di ricerca dei corpi, poi inizierà la fase successiva che sarà quella di cercare di recuperare i beni che sono ancora rimasti nelle case. In mezzo a queste due fasi già sono iniziate le demolizioni che sono necessarie soprattutto per ripristinare la viabilità”.

Ad Arquata del Tronto, intanto, si passa alla seconda fase dell’emergenza: quella dei controlli dei tecnici e del recupero degli oggetti necessari, ma anche delle auto e degli animali, sui quali si fonda buona parte dell’economia di queste zone.

Alla cosiddetta “seconda fase” appartiene anche il recupero dei beni artistici e architettonici che sono andati distrutti. Su questo fronte sono già operativi i carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale (Tpc), come racconta a Eugenio Murrali, da Amatrice, il colonnello Antonio Coppola:

“Abbiamo operato una serie di sopralluoghi che stanno continuando, in attesa che la settimana prossima squadre miste dei Carabinieri del Tpc e dei funzionari del Ministero, unitamente ai Vigili del Fuoco, possano poi andare nelle strutture individuate per poter recuperare quanti più beni possibili”.

Per quanto riguarda le donazioni, inoltre, oltre 10 milioni di euro sono già stati raccolti attraverso il numero solidale 45500, mentre le tendopoli traboccano di beni di prima di necessità. Sul posto, molte le realtà che stanno dando una mano, dai motociclisti enduristi che fanno la staffetta sulle strade più accidentate per trasportare i medicinali, all’Islamic Relief, un ong internazionale i cui operatori erano già intervenuti all’Aquila e in Emilia. Gabriella Ceraso, ad Amatrice, ha intervistato uno dei volontari, Jamal Rachid:

“Noi, come musulmani, abbiamo l’obbligo di dare una mano, di intervenire subito. Non ci preoccupiamo delle differenze: siamo umani, aiutiamo l’umano. Siamo andati nella palestra dove dormono i terremotati, a distribuire il cibo, a fare il caffè… Abbiamo anche incominciato a sistemare tutte le donazioni che sono arrivate… Ci sono paesini che sono un po’ isolati: abbiamo distribuito lì un po’ di aiuti e abbiamo portato anche dei telefoni e loro ci chiamano quando serve qualcosa e noi partiamo subito”.

E proprio al modello Emilia 2012, dove tra l’altro le aziende sono ripartite più forti di prima, il presidente del Consiglio Matteo Renzi guarda per la ricostruzione e promette agli sfollati che saranno tolti dalle tende entro un mese ed entro altri 3 o 4 saranno pronte le casette di legno in attesa che i borghi vengano ricostruiti.  

Una preghiera per le vittime e per i loro familiari, infine, è assicurata dal cardinale Bagnasco, presidente della Cei, che racconta di essersi commosso per l’immagine della statua della Madonna recuperata tra gli applausi da una chiesa crollata e smorza i toni sulla scuola di Amatrice: “Più che le polemiche – ha detto – speriamo in analisi serie”.

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Terremoto. Testimonianze dal 118 e Save the Children

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Nella notte del sisma in tanti, anche cittadini di Amatrice, si sono trovati sulla scena del disastro nei primi minuti a salvare concittadini o nei casi peggiori a estrarli già senza vita. È il caso di Mario Giovannelli, operatore del 118, quella notte in servizio. Oggi, dopo sei giorni, ricorda così quei momenti e esprime le paure sul futuro, perché il terremoto ha distrutto ogni esercizio commerciale e attività di Amatrice. L’inviata Gabriella Ceraso lo ha incontrato: 

R. – Quella notte, facevo la notte in ospedale. Mi è arrivata una chiamata per un’insufficienza respiratoria. Ho parlato con la centrale, ho riattaccato il telefono e c’è stata la scossa di terremoto. Mi hanno mandato subito verso Amatrice.

D. – Cosa ha trovato?

R. – Con l’ambulanza rotta – perché sono caduti dei massi sull’ambulanza – siamo andati dove siamo potuti arrivare. Abbiamo estratto un ragazzo che adesso è a Rieti. La moglie, che dovrebbe essere in rianimazione, e poi, per i figli – non so se conoscete la storia del gemellini – uno purtroppo era già morto quando l’abbiamo visto, l’altro non si trovava…

D. – Quindi, lei tutta la notte ha lavorato…

R. – Ho lavorato pure parte del pomeriggio…

D. – Essendo di Amatrice e vedendo quello che stava succedendo tra la sua gente… Cosa ne è di questo borgo e soprattutto cosa voi sentite di voler fare? Certo, non andar via, immagino…

R. – No, penso di no. Qui si parla di ricostruire, prima o poi si ricostruirà… Non so come però, adesso è difficile dirlo…

D. – Il sindaco ma anche il vescovo hanno detto che è il momento della speranza. Bisogna sperare, bisogna lottare…

R. – Questo sì, sono contento se viene il Papa qui, così c’è un minimo di conforto, qualcosa per andare avanti… Ho visto parecchia gente che piange e questa cosa, chiaramente, non si dimenticherà facilmente. Rimane dentro… Le immagini, i volti…

D. – E nel futuro?

R. – Non lo so, io vorrei continuare a stare qua…

Oltre 20 minori sono accolti sin da giovedì scorso nello spazio a misura di bambino che “Save the Children” ha allestito nella tendopoli del campo sportivo di Amatrice. Un luogo colorato, pieno di disegni tavolini, palloni e scaffali con oggetti di tutti i tipi. “Gli adolescenti cercano risposte anche politiche ai loro dubbi, i bambini vogliono giocare. Riusciamo a registrare grandi progressi”: così racconta al microfono di Gabriella Ceraso la coordinatrice educativa della Ong, Erika Russo: 

R. – I bambini che stiamo seguendo devo dire che hanno veramente avuto un’evoluzione positiva, nel senso che vengono volentieri, addirittura ci aspettano ancora prima che lo spazio venga aperto… Stanno esprimendo sia cose positive, emozioni positive, che anche un po’ di paure. Lo fanno attraverso i disegni, la manipolazione del Pongo…

D. – C’è il colore nei loro disegni, ci sono i sorrisi?

R. – Ci sono moltissimi sorrisi e moltissimi colori. Ci sono forse dei momenti di silenzio oppure un ritorno al bisogno di raccontare che cosa è successo, il fatto che qualcuno – per esempio – ha perso il gatto, la casa non c’è più, non c’è più la propria cameretta…

D. – Fanno domande?

R. – Fanno domande… La più comune, quella se “il terremoto tornerà quando torneremo a casa?”.

D. – Con gli adolescenti immagino che le difficoltà siano diverse…

R. – Siamo noi a chiedere loro di cosa hanno veramente bisogno, quali siano i loro desideri, cosa manca loro, ad esempio, e come possiamo noi, “Save the Children”, aiutare loro a realizzare i loro hobby, per esempio… Abbiamo messo a disposizione dei giochi da tavolo, le carte, abbiamo anche proposto dei cineforum che magari da qui in avanti potremo organizzare insieme…

D. – Loro cosa vi domandano?

R. – Hanno dubbi un po’ più da grandi: se torneranno a scuola, quale sarà anche la gestione politica della questione del ritorno in alcune abitazioni…

D. – Come vi regolerete nel momento in cui reinizieranno le scuole?

R. – Una cosa è certa, che staremo nel campo-tenda fino a quando ci saranno minori.

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Sisma. Renzo Piano: costruire edifici leggeri e riciclabili

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Ieri, a Genova, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha incontrato il senatore a vita Renzo Piano per parlare della ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto. L’architetto ha proposto edifici leggeri, vicini alle case distrutte e che si possano riciclare in seguito. Il premier, inoltre, ha scelto come Commissario alla ricostruzione, l’ex governatore dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani. Maria Carnevali ha intervistato sulle tecniche di ricostruzione, il prof. Edoardo Cosenza della rete dei laboratori universitari di Ingegneria sismica (Reluis), che stanno dando il loro contributo scientifico nelle zone colpite: 

R. – Prima bisogna vedere cosa si è conservata staticamente sicura e cosa no. Sono partiti dalle scuole, passeranno poi agli ospedali, agli edifici pubblici e poi alle singole abitazioni. Quindi, senza questa fase di conoscenza iniziale non si sa cosa va ricostruito. Certamente bisognerà aspettare e farsi un’idea precisa di che volumi sono necessari da ricostruire, cosa si può ancora riparare e rinforzare e cosa va abbattuto.

D. – Nell’incontro tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il senatore a vita Renzo Piano si è parlato di edifici leggeri, vicini e riciclabili. Con quali tecniche si possono realizzare?

R. – Si sono riferiti a edifici provvisori in legno, in attesa della ricostruzione. Perché la ricostruzione dura comunque anni. E si riferiscono a moduli abitativi provvisori in legno – che tecnicamente si chiamano “map” – e quindi certamente un materiale riciclabile. Anche gli interni e gli arredamenti verranno studiati appositamente, se questa sarà la volontà del governo per non far rimanere i cittadini in tenda. Poi, penso che si punti a ricostruire con materiali tradizionali e tecniche innovative.

D. – Come tempistiche, per realizzare questi edifici provvisori?

R. – Poche settimane o pochi mesi, perché spesso sono prefabbricati. Certamente andranno acquisiti con procedure trasparenti e quindi con procedure di gare pubbliche, seppur con i tempi minimi di legge. Oppure si possono dare i poteri commissariali. Si tratta sostanzialmente di strutture prefabbricate e sono quindi disponibili sul mercato. Ci sarà poi un minimo di lavori da fare, perché bisogna fare una sottofondazione, bisogna far arrivare i servizi acque pulite e acque nere…

D. – Come possono essere fatti in modo che siano riciclabili?

R. – Usando sia nella struttura, sia nell’edilizia generale - per il condizionamento, per l’isolamento termico, per l’isolamento acustico – sia per l’impiantistica materiali il più riciclabili possibili. Potrebbero anche essere progettati per essere smontabili e riutilizzabili in altre situazioni. Quindi, da questo punto di vista diventerebbero riutilizzabili.

D. – Come far sì che i moduli di utilizzo provvisorio scolastico siano pronti già per l’inizio dell’anno scolastico?

R. – L’inizio dell’anno scolastico è fra pochi giorni e vi sono state procedure di urgenza. Lo so, perché anche noi – come Luiss – siamo già sul campo… Bisogna accertare tutto quello che è sicuro. Bisogna fare i sopralluoghi nelle scuole per vedere quali scuole possano riaprire già adesso in sicurezza, quali possano riaprire con lavori che durano pochi giorni e quali invece sicuramente non saranno disponibili. Poi, bisogna acquisire i moduli abitativi provvisori il più rapidamente possibile e quindi suppongo che il governo voglia far usare i poteri commissariali al commissario Errani.

D. – Nell’incontro, sempre tra il presidente del Consiglio e il senatore a vita Renzo Piano, si è parlato anche di una visione internazionale. Quale contributo può arrivare dall’estero?

R. – In termini di costruzioni innovative, costruzioni in legno certamente ci possono essere contributi internazionali, così come anche nella scelta della progettazione o delle imprese di realizzazione.

D. – Come strutturare un piano per la messa in sicurezza del territorio nazionale sia per edifici pubblici che per privati?

R. – Dipende da quanto vado ad investire. La priorità deve essere date alle zone più a rischio, ma si deve dare anche una priorità strategica, che dovrebbe partire dalle scuole, dagli ospedali, gli edifici pubblici. C’è poi il grande tema degli edifici dei privati: lo Stato può intervenire con i centili…

D. – Voi, anche con il fatto che siete lì a dare il vostro sostegno, cosa proponete? Quali idee avete per la ricostruzione?

R. – La scelta è politica: quanto tempo i cittadini possono rimanere in moduli abitativi provvisori o in alberghi? Il tema è questo. A L’Aquila fu fatta la scelta, anche perché era una zona soggetta a un inverno molto rigido, di farli rimanere praticamente pochissimo e quindi si costruirono dei piccoli nuovi quartieri, un po’ impropriamente chiamati “new town”. Quindi, non c’è stata alcuna fase con cittadini in abitazioni provvisorie. Ma se si vuole ricostruire dove sono crollati gli edifici, ci vogliono anni e quindi bisogna ben essere consapevoli che i cittadini per alcuni anni dovranno vivere in moduli abitativi provvisori. La scelta è tutta qui, Ed è una scelta politica: in Italia ricostruire centri storici è difficile, perché i nostri centri storici sono pieni di vincoli architettonici.

D. – A livello tecnico-ingegneristico, si può ricostruire lì e nello stesso modo?

R. – Dal punto di vista tecnico, la risposta è sicuramente sì. Ma questa risposta non entra nel merito dei costi.

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Sisma. L'arte tra le macerie, un patrimonio da recuperare

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La priorità va alle vittime, ma il sisma che ha coinvolto il centro Italia ha aperto una ferita anche al patrimonio culturale. Soprattutto ad Arquata del Tronto, nelle Marche, gli abitanti piangono le loro chiese semidistrutte, la Sindone del 1600 che ha rischiato di essere danneggiata e la rocca medievale colpita seriamente dalla scosse sismiche. Anche il Fai ha deciso di intervenire. Veronica Di Benedetto Montaccini ha incontrato tra le tende del Campo di Arquata Cristina Baldassarre, guida turistica del piccolo Comune montano: 

R. – Il paese è completamente distrutto. La chiesa, nella quale  era conservato un Crocefisso ligneo policromo del 1200 è distrutta, uno dei più antichi della Regione Marche. Qui c’è una fortezza militare del  XIII secolo, del 1200, fortemente danneggiata anche se le mura di queste fortezze sono molto spesse, e quindi, comunque la base è rimasta. Però quel paese è completamente distrutto.

D. – Accanto al campo dove dormono in tenda 150 persone sfollate c’è la chiesa di San Francesco, meta di molti pellegrini. Ci può dire che danni ha subito?

R. – Esternamente sembrerebbe che non abbia riportato danni. Invece, mi hanno detto che all’interno c’era un soffitto a cassettoni completamente lavorato in legno. Un pezzo unico, una chiesa rarissima, anche perché è una chiesa a due navate. Il soffitto è crollato tutto; ma la cosa importante è che in questa chiesa è conservato anche un estratto importantissimo della Sacra Sindone di Torino.

D. – Per quale ragione, dopo la Sindone di Torino, questa è molto famosa?

R. – È una copia particolare perché è un capolavoro di tessitura. L’immagine è data proprio dalla lavorazione della trama e dell’ordito, unica nel suo genere in Italia.

D. – Lei è una critica d’arte, ma anche una volontaria della pro-loco. Cosa le mancherà ora in questo paese devastato?

R. – Ci occupavamo anche di portare anche le persone in visita in questi punti molto importanti per Arquata. Le chiese, che comunque sono il nostro punto di forza, sono quasi tutte danneggiate.

D. – Anche qui, come ad Amatrice, la notte del terremoto erano presenti molti turisti…

R. – Questo comune vive sicuramente di turismo, ma qui vivono tante famiglie perché qui c’era la scuola fino alle medie, qui vivono famiglie molto giovani… Noi avevamo tutto. È vero che il terremoto è avvenuto nel momento di turismo, ma qui comunque la popolazione c’è, era presente.

D. – Un centro medioevale perso, dunque. In che modo è possibile fare qualcosa per cercare di recuperare questo enorme patrimonio artistico?

R. – Io vorrei tanto che lo Stato investisse dei soldi per recuperarlo, perché credo che quello che ha l’Italia non ce l’ha nessun altro Paese al mondo. Le cose più belle sono proprio nascoste nell’entroterra più sperduto dell’Italia. Questo posto per tanti anni è stato dimenticato da tutti. Se forse qualcuno avesse avuto interesse a mantenere questo patrimonio, oggi probabilmente non ci saremmo trovati in queste condizioni.

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Libia: milizie leali a Serraj verso liberazione completa di Sirte

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In Libia, le milizie leali al governo di al Serraj sono impegnate, da ieri, in quella che potrebbe essere la battaglia finale per la liberazione completa di Sirte dal sedicente Stato islamico. Almeno 27 i miliziani lealisti morti e 180 i feriti ieri negli scontri che stanno interessando i due quartieri costieri in cui i jihadisti sono ancora presenti. Sirte, città costiera a metà strada tra Tripoli e Bengasi, dal febbraio 2015 è diventata la roccaforte dell’Is nel Paese nordafricano. Secondo i media locali nei combattimenti è stato ucciso uno dei leader tunisini dell'Is, conosciuto con il nome di Abou Omar Ettounsi. I primi scontri tra milizie governative e jihadisti risalgono a giugno scorso e dall’inizio di agosto per liberare la città sono intervenuti anche i raid aerei statunitensi. Intanto, ad Est, i militari fedeli al generale filo-egiziano Khalifa Haftar avanzano verso la mezzaluna petrolifera in Cirenaica. Sui cambiamenti che stanno interessando anche la geopolitica del conflitto in Libia, Elvira Ragosta ha intervistato Gabriele Icovino, analista del Centro studi internazionali: 

R. – E’ un cambiamento importante nello scenario libico; ma è un cambiamento solo rispetto a quei quartieri di Sirte laddove lo Stato Islamico era diventato molto forte. Il problema, però, è che il pericolo jihadista, il pericolo della radicalizzazione in Libia non proviene solo dallo Stato Islamico: una volta sconfitto lo Stato Islamico rimarranno quindi purtroppo altre problematicità legate al mondo jihadista e legate soprattutto a tutto lo scacchiere nordafricano vicino al mondo jihadista. Il pericolo viene soprattutto dalle regioni meridionali del Fezzan, laddove il controllo statale praticamente è zero e in cui tutti i movimenti jihadisti provenienti sia dalla parte del Sahel, e quindi dal Mali soprattutto, sia dagli altri Paesi nordafricani – come ad esempio l’Algeria e in parte anche la Tunisia – trovano un terreno logistico, un terreno fertile per portare avanti le proprie operazioni soprattutto per il finanziamento. Inevitabilmente questo movimento dal Sud del Paese ha avuto in passato dei riverberi nelle città costiere e quindi probabilmente – una volta sconfitto lo Stato Islamico a Sirte – questi gruppi potrebbero tornare attivi sia a Tripoli, sia anche nelle stessa Bengasi.

D. – Cosa significherà per il futuro politico del Paese la completa liberazione di Sirte?

R. – Potrebbe essere una vittoria importante sia dal punto di vista militare che dal punto di vista politico per  al-Sarraj, perché rappresenterebbe il primo risultato di un governo che fin dall’insediamento ha avuto delle difficoltà: non da ultima la non ratifica, da parte del Parlamento di Tobruk, del governo di Tripoli. Una liberazione avvenuta soprattutto grazie al supporto delle milizie di Misurata: anche in questo potrebbero esserci dei risultati, dei risvolti per il futuro per un peso di Misurata maggiore sia dal punto di vista militare che dal punto di vista politico nella prossima Libia.

D. – A proposito della geopolitica della futura Libia: mentre le milizie fedeli ad al-Sarraj cercano di liberare Sirte, i militari al comando del generale Haftar si spostano verso Est, verso la mezzaluna petrolifera. Che cosa significa questo?

R. – La mezzaluna petrolifera, la zona petrolifera della Cirenaica è sempre stata un obiettivo per Haftar. Perché? Perché è una zona ricca, è una zona importante da un punto di vista sia politico che strategico. Di fatto, finora, tutti gli impianti petroliferi sono appannaggio di una milizia che è finanziata dal Ministero della Difesa di Tripoli in questo momento. Prendere il controllo di questa parte, per Haftar sarebbe molto importante perché sarebbe molto importante, perché sarebbe una pedinata di scambio su questo drammatico tavolo da gioco della Libia per i negoziati sul proprio ruolo e su quello che potrebbe essere il peso di Haftar nel futuro della Libia, soprattutto dal momento in cui le sue milizie non sono riuscite a sconfiggere lo Stato Islamico a Sirte, ma di fatto neanche a riprendere Bengasi: le milizie fedeli ad Haftar stanno cercando da un anno e più di riprendere il controllo di Bengasi, ma di fatto non ce la fanno.

D. – E, dunque, cosa attendersi e cosa auspicare, anche in termini di tempi?

R. – Purtroppo la possibile sconfitta dello Stato Islamico da parte delle milizie fedeli al governo di Tripoli è solo un passo verso il futuro della Libia. Le problematiche del Paese sono ancora molte: di fatto la stessa divisione del Paese in due grandi aeree – quella della Cirenaica e quella della Tripolitania – rimane e lo stesso governo Sarraj non sembra, in questo momento, avere il potere, la forza di riunificare il Paese sotto la propria autorità. Anche perché rimangano interessi esterni importanti, come – ad esempio – quello dell’Egitto, che continua a non riconoscere il governo Sarraj e che va di fatto a supportare Haftar nella sua azione militare nell’Est del Paese. Quindi gli interrogativi sono tanti e tutti gli auspici – i buoni auspici – che con la formazione del governo Sarraj erano arrivati, purtroppo sembrano destinati a rimanere incagliati nelle problematiche che ancora affliggono la Libia.

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Ttip: monito di Berlino, negoziato fallito per mancati accordi

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"I negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non dobbiamo capitolare alle richieste americane". E' quanto afferma il vicecancelliere e ministro dell'Economia tedesco, Sigmar Gabriel, riguardo al negoziato per l'accordo Ttip di libero scambio commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, in un'intervista all'emittente tedesca Zdf. Causa principale del fallimento, il mancato accordo sui 27 capitoli in discussione per l’intesa commerciale. Il servizio di Marina Tomarro

Non ci sarà il Ttip, l'accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea, eredità che Barack Obama lascerà in consegna al suo successore alla Casa Bianca. La previsione viene da Berlino, dove viene dichiarato "di fatto" fallito il negoziato tra le due sponde dell'Atlantico. Intanto, l’amministrazione a Washington nelle ultime settimane ha continuato a lavorarci anche durante la pausa estiva, non si sono interrotti i contatti con la controparte europea alla luce anche del voto britannico sulla Brexit. Ma l’intesa non è stata trovata. Ma su questo trattato commerciale ascoltiamo il parere dell’economista Fabio Fortuna, rettore della Unicusano:

R. – In questi ultimi mesi, l’accordo aveva avuto uno sviluppo abbastanza rapido. Mi riferisco alla tarda primavera, quando sembrava che le cose dovessero procedere. In realtà, è sempre mancata trasparenza su ciò che stava avvenendo. Il dato di fatto è che dal 2013 ci sono stati quattordici incontri, ma manca completamente l’accordo: sono 27 i punti previsti, ma su nessuno di essi c’è un’uniformità di vedute tra Stati Uniti e Unione Europea. Probabilmente, questo si sta verificando anche alla luce di motivazioni di ordine politico. Sappiamo benissimo che negli Stati Uniti ci saranno le elezioni e sia Donald Trump che Hillary Clinton non si sono mostrati favorevoli all’accordo. La Clinton inizialmente sì ma poi, vista l’impopolarità dell’accordo, ha un po’ raffreddato il suo atteggiamento. Nel contempo, nell’Unione Europea nel 2017 sono in vista elezioni sia in Francia che in Germania. E quindi, se si procedesse in questo arco temporale che separa il momento attuale dalle elezioni in Europa, mancherebbe poi la legittimazione di coloro che subentreranno, ammesso che ci sia una sostituzione ai vertici.

D. – Concretamente, chi potrebbe avere dei vantaggi da questo e chi no invece?

R. – Questo è un accordo importante, perché – non dobbiamo dimenticare – Stati Uniti e Unione Europea, messi insieme, detengono metà del Pil mondiale e rappresentano un terzo del commercio globale. Di conseguenza, un rafforzamento dei loro rapporti potrebbe dare dei benefici in termini di potenzialità e di affermazione nel contesto globale, soprattutto in riferimento all’ascesa dei Paesi emergenti che negli ultimi mesi è venuta meno. Infatti, anche la Cina ha i suoi problemi, ci sono poi Paesi emergenti, come il Brasile e la Russia, anch’essi con problemi notevolissimi. L’India cresce ma ancora non ha una forza. Insomma, è evidente che un blocco più armonioso tra Stati Uniti e Unione Europea consentirebbe di avere un impatto maggiore nell’economia globale. Gli Stati Uniti, da una parte, sono orientati a concludere l’accordo ma dall’altra non hanno una grande convenienza, perché in questo momento gli Usa rappresentano concretamente l’unica potenza economico-finanziaria che ha uno stato di salute, direi, soddisfacente.

D. – Molto ha influito anche la Brexit, che ha creato ulteriori incertezze…

R. – Non c’è dubbio. La Brexit, a partire da giugno, ha creato ulteriori incertezze, anche se l’impatto che poteva essere notevole fin dall’inizio tale non è stato. E credo che ancora nessuno possa ben percepire quale sarà l’impatto della Brexit. È evidente comunque che gli Stati Uniti hanno visto l’uscita della Gran Bretagna come un fattore limitante nel contesto generale.

D. – Se salta questo trattato rimane comunque l’accordo Ceta con il Canada?

R. – Credo di sì, anche se quell’accordo è stato oggetto di forti critiche e forse non ha prodotto i benefici sperati.

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Giornata contro i test nucleari: oltre 2300 dal 1945

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Ricorre il 29 agosto la Giornata internazionale contro i test nucleari, come proclamato dall'Onu con una Risoluzione del 2 dicembre 2009. L’obiettivo, si legge in una nota, è di promuovere il principio che “ogni sforzo dovrebbe essere fatto per porre fine ai test nucleari e sventarne così gli effetti devastanti sulle vite della gente”. Il Trattato di bando complessivo dei test nucleari (CTBT) è stato adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 settembre 1996, ma non è ancora entrato in vigore, per mancanza del numero minimo di ratifiche previsto dal trattato stesso. Non lo hanno ancora ratificato Stati Uniti, Cina, Egitto, Iran, Israele; tre non lo hanno mai firmato: Corea del Nord, India e Pakistan. Dal 1945 ad oggi sarebbero stati compiuti oltre 2300 test nucleari, nell'atmosfera, sotterranei o negli oceani: gli Usa oltre 1100, l’Unione Sovietica-Russia oltre 900, la Francia oltre 200, la Cina una cinquantina, il Regno Unito oltre 40. Dopo il 1996 hanno effettuato test nucleari India e Pakistan. Israele non ha condotto test nucleari ufficiali. Ad oggi solo la Corea del Nord effettuerebbe esperimenti atomici. I danni all’ambiente e alla salute umana sono considerati ingenti. Michele Ungolo ne ha parlato con il profFabrizio Battistelli, presidente  e  cofondatore dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo: 

R. – Mentre i test sotterranei caratterizzati da forti misure di prevenzione sono dal punto di vista teorico possibili, il Trattato di non proliferazione prescrive a tutti, a cominciare proprio dalle grandi potenze, di procedere più che all’ampliamento e perfezionamento dei sistemi nucleari al loro progressivo smantellamento. Quindi il fatto che Stati Uniti e Russia prima di tutti, in parte anche la Cina e altri, continuino ad operare in questo senso anziché precedere nella riduzione delle testate nucleari, rende più difficile poi chiedere ai Paesi non nucleari di evitare di dotarsi di una tecnologia di questo tipo.

D. - Quale impatto possono avere questi test sull’ambiente, ma anche sul genere umano?

R. - I test anche se apparentemente legali, perché condotti in condizioni di relativa sicurezza - per esempio nella profondità terrestre quindi sotterranei - tuttavia comunque possono sempre dare vita a dispersioni di radioattività e - augurandoci che non accada nulla del genere -  dare vita ad incidenti. In ogni caso costituiscono un gigantesco falò di risorse nel momento in cui continua la tecnologia nucleare bellica in genere ad essere alimentata da spese tutt’ora enormi.

D. - La Corea del Nord non tiene conto delle restrizioni imposte dalle Nazioni Unite …

R. - Veramente è una vera e propria politica della provocazione quella di Kim Jong-un, che così ha guadagnato l’isolamento totale del suo Paese a livello internazionale e anche una certa freddezza del suo principale sponsor che resta la Cina. Si muove con questo atteggiamento provocatorio per evidenti motivi di politica interna di rafforzamento del regime dittatoriale, però è un gioco estremamente pericoloso. Lanciare, per esempio, un vettore, quindi non dotato di alcun ordigno nucleare, cioè un missile, in direzione del Giappone, è un avvertimento lanciato dal dittatore nei confronti della Corea del Sud e soprattutto degli Stati Uniti, due Paesi che insieme recentemente hanno compiuto una delle classiche esercitazioni militari che di quando in quando vedono impegnate truppe americane nella Corea del Sud.

D. - Quanto siamo lontani dall’abolizione delle armi nucleari?

R. - La possibilità di abolire il nucleare è purtroppo abbastanza remota, nel senso che una tecnologia militare avanzata, una volta messa a punto, difficilmente si riesce ad eliminare per sempre; è un po’ come il genio che è quasi impossibile ricacciare nella lampada. Detto questo non bisogna smettere di monitorare qualunque forma di proliferazione nucleare orizzontale - cioè da parte di Paesi che non hanno neanche il diritto formale delle Nazioni Unite che è riconosciuto ai cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza - e contemporaneamente è necessario impedire la proliferazione verticale consistente nell’affinamento e la sofisticazione crescente dei sistemi nucleari sia a livello di testate sia soprattutto a livello di vettori. Le grandi potenze invece non cessano di seguire e alimentare una corsa agli armamenti sul piano non tanto del numero delle testate o della loro potenza, quanto piuttosto nella loro sofisticazione tecnologica.

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25.mo della morte di Libero Grassi, eroe di civiltà

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Ricorre oggi il 25° anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, imprenditore siciliano assassinato a Palermo da Cosa nostra, dopo essere stato un precursore nell’opporsi al racket del pizzo. Grassi, che fu freddato la mattina del 29 agosto con quattro colpi di pistola mentre si recava a piedi a lavoro, attirò le ire della criminalità organizzata anche e soprattutto quando ebbe il coraggio di denunciare pubblicamente le estorsioni sulle pagine del Giornale di Sicilia. Numerose oggi le commemorazioni, a partire da questa mattina, nel luogo dell’agguato, in via Alfieri, fino a questa sera quando sarà proiettata una docufiction nella Biblioteca Comunale, in contemporanea con la messa in onda su Rai1. Un esempio, quindi, che continua ad essere vivo e fonte di coraggio per molti. Salvatore Tropea ha intervistato Daniele Marannano, presidente di “Addiopizzo”: 

R. – La sua storia ci insegna che non si può chiedere a commercianti ed imprenditori di denunciare se il contesto rimane indifferente, se dall’alto di chi governa e amministra a vario livello questo Paese non proviene il buon esempio. Ma se soprattutto dal basso di chi vive in questo Paese non vengono praticati comportamenti virtuosi, al di là di giornate significative come quella di oggi.

D. – La sua azione 25 anni fa, però, non ricevette un grande appoggio. E’ cambiato qualcosa da allora? Il suo sacrificio non è stato vano?

R. – Noi pensiamo che non sia stato vano, perché si sono create – rispetto a 25 anni fa – le condizioni per le quali commercianti e imprenditori possono maturare la forza e il coraggio di denunciare, senza essere lasciati soli e isolati come accadde, purtroppo, a Libero Grassi. Sono oramai centinaia le storie di operatori economici palermitani che hanno fatto questa scelta e che continuano a lavorare laddove hanno sempre vissuto. E’ chiaro, però, che c’è un rovescio della medaglia: sono ancora molti coloro che si piegano alle estorsioni e tanti che collaborano solo dopo che vengono convocati delle Forze di Polizia, a dimostrazione che la denuncia non è ancora una prassi di comportamento diffusa e dominante nel nostro tessuto sociale ed economico.

D. – Come si sta muovendo lo Stato in questi anni e come il mondo dell’associazionismo per continuare a contrastare questa piaga?

R. – Lo Stato – attraverso, in particolare, l’apparato repressivo – riesce ad assicurare un controllo tale del territorio che ha fatto si che si creassero le condizioni per cui imprenditori e commercianti possano decidere di denunciare: attraverso un’azione costante, quotidiana di prevenzione e di repressione del crimine organizzato. Dal basso, ci sono associazioni e movimenti – come “AddioPizzo” – che stanno accanto a quei commercianti e a quegli imprenditori che maturano la scelta di denunciare, evitando ciò che è accaduto a Libero Grassi, evitando cioè che chi compie questa scelta possa ritrovarsi in uno stato di isolamento e di solitudine. Quindi, il senso del nostro impegno è quello di stare a fianco di chi compie questa scelta, ma soprattutto di stimolare i cittadini comuni a fare la propria parte, necessaria per un cambiamento radicale e definitivo.

D. – Cosa bisogna fare per sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica affinché si comprenda che questa battaglia riguarda tutto il territorio nazionale e tutti i cittadini onesti?

R. – Bisogna comprendere che dalla battaglia contro le mafie dipendono le sorti sociali ed economiche del nostro Paese e non solo del Mezzogiorno. Oggi – ma oramai da tempo, da anni – assistiamo a un fenomeno di migrazione che non riguarda soltanto chi viene da Paesi in stato di guerra o di povertà, ma anche cittadini – ragazzi – che dal Mezzogiorno si spostano verso il nord, anche perché il peso del crimine organizzato è talmente forte che purtroppo impedisce a chi vive nelle regioni del sud di potersi realizzare. Se al nord il fenomeno della criminalità organizzata è così diffuso nel tessuto sociale ed economico, allora è chiaro che si tratta di tempi, di questioni e di problematiche per le quali il cittadino, l’opinione pubblica, deve assolutamente sensibilizzarsi e sentire la necessità di dover fare la propria parte, perché dalla propria parte dipende un cambiamento reale ed effettivo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Premier Modi: Madre Teresa santa è un orgoglio per l’India

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Il premier indiano Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party), ha reso omaggio a Madre Teresa per il suo “servizio a favore del poveri dell’India” e ha detto che “gli indiani devono essere orgogliosi per la sua canonizzazione”. Le dichiarazioni ufficiali del capo del governo dell’Unione hanno però suscitato malumori nella base nazionalista radicale del suo partito, che ha contestato l’apertura nei confronti della suora cattolica. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dice all'agenzia AsiaNews che gli attacchi dei nazionalisti indù alla figura della beata, già numerosi in passato, “non ci sorprendono”. Il leader cristiano afferma inoltre: “I riflettori internazionali sono puntati sull’opera di amore e pace svolta da Madre Teresa. Il Gcic accoglie con favore e apprezza la stima del nostro premier nei confronti della futura santa”.

La Beata è venerata anche in India
Madre Teresa verrà proclamata santa il prossimo 4 settembre a Roma. Infaticabile servitrice dei “più poveri tra i poveri”, il suo contributo è riconosciuto a livello mondiale. Anche in India la maggior parte della popolazione venera la Beata, mentre i radicali indù hanno più volte tentato di oscurare la sua figura.

Le proteste degli ultranazionalisti hindu
Il premier Modi ha riconosciuto il valore della Madre nel suo discorso radiofonico settimanale “Mann Ki Baat”. Ma subito dopo Surendra Jain, segretario generale del Vhp (Vishwa Hindu Parishad, gruppo ultranazionalista e paramilitare), ha dichiarato: “La canonizzazione di Madre Teresa preannuncia maggiori conversioni al cristianesimo. Il primo ministro Narendra Modi avrebbe dovuto considerare questo problema, prima di decidere di inviare una delegazione in Vaticano”. 

Commenti non insoliti per gli esponenti radicali hindu
Sajan K George dice che questi commenti non sono insoliti per gli esponenti indù. Fin da quando Modi è stato eletto nel 2014, “i radicali di destra affiliati che sostengono la zafferanizzazione hanno spinto in avanti l’ideologia dell’Hindutva, che comprende programmi di ghar wapsi (‘ritorno a casa’, riconversione all’induismo), molestie e intimidazioni di pastori, interruzione delle preghiere. Vengono anche gettati sospetti contro la minoranza cristiana vulnerabile”. (N.C.)

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Argentina: aggredite suore di Madre Teresa. Profanato il tabernacolo

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Le suore Missionarie della Carità residenti a Mar del Plata, sono state aggredite e picchiate nella loro casa. I criminali hanno anche profanato il tabernacolo della cappella e sono riusciti a rubare 50 pesos, tutto quello che avevano in contanti le religiosa. Secondo la notizia diffusa dalla diocesi e ripresa dall'agenzia Fides, il crimine è stato commesso la sera del 25 agosto, e le suore sono state intimidite e maltrattate, inoltre i malviventi hanno saccheggiato i pochi beni della casa. 

Le religiose assistono i malati di Aids
Le suore fondate da Madre Teresa di Calcutta si trovano a Mar del Plata da circa 20 anni e svolgono la propria attività assistendo i malati terminali di Aids e svolgendo un intenso lavoro di promozione umana e di assistenza in tutto il vasto quartiere dove si trova la loro casa. (S.L.)

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Giornata del Creato: la preghiera delle Chiese cristiane

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Insieme, cristiani di tutte le chiese presenti in Europa, in preghiera per il Creato. E’ quanto invitano quest’anno a fare il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e la Rete cristiana europea per l’ambiente (Ecen) in una dichiarazione comune diffusa oggi dal titolo: “Tempo per la Creazione – Preghiamo insieme per apprezzare e avere cura del dono della creazione”. La Dichiarazione - riferisce l'agenzia Sir - è firmata da padre Heikki Huttunen, segretario generale della Kek, mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee, e dal rev. Peter Pavlovic, segretario dell’Ecen.

Offrire preghiere per il dono della Creazione
“Ci troviamo ad affrontare sfide urgenti – scrivono i responsabili dei tre organismi europei – in termini di degrado ambientale e cambiamento climatico e, incoraggiati dalle parole della lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’, a riconoscere la nostra responsabilità condivisa. Invitiamo calorosamente tutti i cristiani europei, le Chiese membri della Kek e le conferenze episcopali del Ccee, le parrocchie, le comunità ecclesiali e ogni persona di buona volontà ad aderire al Tempo per la Creazione, a celebrare insieme il Tempo per la Creazione nell’ambito delle nostre rispettive tradizioni liturgiche, e a sostenere la comune fede cristiana in Dio Creatore. Vi esortiamo, ognuno nel proprio ambiente, a offrire preghiere per il dono della Creazione”. 

Rispettare la creazione significa anche esprimere rispetto per gli esseri umani 
“Secondo il Vangelo – fanno notare le Chiese -, la responsabilità nei confronti dell’ambiente non può mai essere separata dalla responsabilità verso gli altri esseri umani: verso il nostro prossimo, verso i poveri, o i dimenticati, il tutto in un vero spirito di solidarietà e di amore. Rispettare la creazione non significa soltanto proteggere e salvaguardare la terra, l’acqua e le altre componenti del mondo naturale. Consiste anche nell’esprimere rispetto per gli esseri umani che condividono quei doni e ne portano la responsabilità”. 

Il Messaggio del Consiglio Mondiale delle Chiese
Dal canto suo il rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), in un video messaggio che è stato diffuso oggi in occasione della Giornata mondiale del Creato afferma che “Come cristiani, abbiamo speranza. Crediamo che Dio non abbandona la creazione e che noi stessi possiamo diventare fari di quella speranza diffondendo i semi di un futuro diverso”. “Facciamo appello ai nostri governi – prosegue Tveit – perchè ratifichino l’accordo di Parigi; chiediamo indicatori alternativi di crescita che misurino meglio la salute delle comunità e degli ecosistemi. Possiamo disinvestire nei combustibili fossili e reinvestire in fonti alternative sostenibili”. (R.P.)

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Mongolia: la gioia della giovane Chiesa per il primo prete autoctono

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“Ringrazio il Signore che mi ha chiamato a servirlo attraverso il sacerdozio. Sono anche grato a tutte le persone che mi hanno aiutato a rispondere a questa chiamata. Spero che ci siano presto altre vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata tra i giovani della Mongolia": sono le parole pronunciate da padre Joseph Enkh, ancora emozionatissimo, durante la celebrazione di ordinazione sacerdotale tenutasi ieri, 28 agosto, a Ulaanbaatar. "E' stato un giorno indimenticabile nella storia della Chiesa cattolica in Mongolia", riferisce all'agenzia Fides padre Prosper Mbumba, missionario congolese che opera nel Paese asiatico, raccontando dell’atmosfera di grande gioia e di intensa preghiera vissuta dalla comunità locale. "L'ordinazione di padre Joseph Enkh ci rende più consapevoli della grazia di Dio che opera nella nostra giovane chiesa della Mongolia”, ha proseguito.

Il primo giovane mongolo ordinato al sacerdozio è per la Chiesa locale come un parto
Il vescovo Wenceslao Padilla, Prefetto apostolico nel Paese, che ha seguito con costanza la crescita spirituale del giovane Joseph e della intera Chiesa in Mongolia, rinata 24 anni fa, dice a Fides: “Avere un primo giovane mongolo ordinato al sacerdozio è per la Chiesa locale come un parto: è una giovane madre che dà alla luce il primo figlio. Preghiamo e confidiamo che padre Joseph Enkh sia fedele alla sua vocazione, prenda la sua croce giorno dopo giorno e segua sempre Cristo, in ogni circostanza della sua vita”. 

Il Signore ha reso possibile ciò che sembrava essere impossibile
Nella sua omelia, il vescovo Wenceslao Padilla si è infatti soffermato sul brano evangelico scelto da padre Enkh per l'ordinazione: "Rinnega te stesso, prendi la tua croce ogni giorno e seguimi" (Lc 9, 23). E ha ricordato che "il Signore ha reso possibile ciò che sembrava essere impossibile”, invitando l’assemblea “a continuare a confidare in Dio”.

L'omaggio dei buddisti locali
Oltre 40 i sacerdoti concelebranti, mentre più di 1.500 persone hanno partecipato allo storico evento, tra i quali funzionari, autorità civili e diplomatici. Presente anche l'abate Dambajav, del monastero buddista di Dashi Choi Lin, che ha rivolto parole di incoraggiamento al novello sacerdote, confermando che “i buddisti hanno buoni rapporti con i cattolici. Impariamo da loro, e loro imparano da noi. Siamo felici che uno di noi mongoli sia diventato un prete in questa chiesa”. Il leader buddista ha poi posto una stola di seta blu intorno al collo del sacerdote appena ordinato, che, nella tradizione buddista, simboleggia il cielo e significa dunque purezza, buona volontà, buon auspicio e compassione: il gesto è stato applaudito da tutti i partecipanti. Don Joseph ha celebrato oggi la sua prima Messa nella stessa cattedrale di San Pietro e Paolo a Ulaanbaatar. (P.A.)

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Brasile. Pastorale della terra: il Paese è senza legge

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Il Brasile è diventato una “terra senza legge, dove tutto è permesso”. A denunciarlo,  in un comunicato con questo titolo, è la Commissione per la pastorale della Terra della Conferenza episcopale brasiliana (Cpt). Secondo l’organismo dei vescovi, la flessibilizzazione del lavoro e il progressivo smantellamento in atto in Brasile delle reti di protezione sociale e delle misure a tutela dell’ambiente sono altrettanti passi indietro “che ricordano il periodo della dittatura militare”.

La quantità di terra sottratta alle foreste aumentata del 97% rispetto al 2015
“I grandi proprietari, i fazendeiros e l’agrobusiness  continuano la loro avanzata nella foresta amazzonica con un’intensità mai vista”, afferma il comunicato diffuso in questi giorni. I dati rilevati dall’Istituto dell’uomo e dell’ambiente dell’Amazzonia (Imazon) indicano infatti che la quantità di terra sottratta alle foreste nel 2016 è aumentata del 97% rispetto al 2015.

In aumento le violenze contro indigeni e afro-brasiliani nelle aree rurali
Un altro fenomeno preoccupante legato a questo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, è l’aumento delle violenze contro le popolazioni rurali, in particolare i quilombolas (i discendenti degli schiavi africani, ndr) e le popolazioni indigene.  Se nel 2015 si sono registrati 50 omicidi legati ai conflitti per la terra, i dati parziali di quest’anno indicano un trend ancora peggiore. Ad agosto si è già arrivati a quota 40, mentre i tentativi di omicidio sono cresciuti del 58% rispetto allo stesso periodo l’anno scorso.

Le responsabilità delle autorità brasiliane
Nel comunicato i responsabili della Cpt chiamano in causa anche le responsabilità delle autorità giudiziarie, a loro avviso colluse i latifondisti e l’agrobusiness. Inoltre denunciano l’accresciuta repressione e criminalizzazione dei movimenti per i diritti dei contadini da parte delle forze dell’ordine. Secondo i leader del Cpt questa escalation di violenze e prevaricazioni è legato al cambio della guardia alla presidenza del Brasile, dopo l’avvio della procedura di impeachment contro Dilma Roussef  per la sua presunta implicazione nello scandalo di corruzione 'Lava jato'.

La Cpt da 41 anni a fianco dei contadini brasiliani
La Commissione per la Pastorale della Terra — attualmente guidata da mons. Enemésio Ângelo Lazzaris, vescovo di Balsas — è nata nel 1975 per sostenere i contadini oppressi dai grandi latifondisti, dai loro uomini armati e dall’esercito. L’opera dei sacerdoti, religiosi e laici coinvolti nella pastorale della terra si svolge in una realtà dura e spietata, fatta di precarietà, soprusi, rivendicazioni. C’è anche chi ha pagato con la vita la missione di stare vicino ai più poveri e oppressi, come è accaduto 11 anni fa a suor Dorothy Stang, la religiosa statunitense della Congregazione di Notre Dame uccisa a bruciapelo con sei colpi di pistola il 12 febbraio 2005 nello Stato del Parà. (A cura di Lisa Zengarini)

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Egitto: perplessità dei cristiani su legge costruzione delle chiese

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Suscita ancora forti perplessità nelle comunità cristiane egiziane la proposta di legge sulla costruzione delle chiese in Egitto allo studio da lungo tempo e ancora in attesa di essere approvato dal Parlamento.  L’ultima versione emendata del testo, frutto di una lunga fase istruttoria, ha ottenuto nei giorni scorsi la sofferta approvazione del Sinodo della Chiesa copta ortodossa, ma non convince molti cristiani.

Mons. Antonios Aziz Mina: il nuovo testo presenta ancora molte lacune
A loro avviso, gli emendamenti introdotti finiscono per complicare il quadro di riferimento legislativo e lasciano la porta aperta alle manovre di chi, a livello locale, fosse eventualmente intenzionato a impedire la costruzione di nuove chiese. In questo senso si è espresso all’agenzia Fides anche mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh: “La proposta di legge, dopo più di dieci bozze – afferma - appare piena di lacune e entra troppo in dettagli tecnici, permettendo a chiunque di usare ancora pretesti per impedire la costruzione di nuove chiese. Ad esempio, in un articolo si dice che la larghezza dell'edificio di culto non può superare più di una volta e mezzo quella della strada adiacente più grande. Ma questa regola può andar bene nelle città, non certo nei villaggi, che magari hanno strade larghe un metro e mezzo.

Anche molti musulmani critici verso la legge
Anche sui necessari consensi richiesti da parte delle forze di sicurezza - aggiunge mons. Aziz Mina - si dice che il Patriarcato copto ortodosso abbia ricevuto rassicurazioni verbali che tale disposizione non verrà applicata in maniera rigida. Ma c'è chi non si fida di tali rassicurazioni. E anche molti musulmani stanno criticando la legge, e propongono semplicemente che le regole per la costruzione delle moschee vengano applicate anche alla costruzione dei luoghi di culto cristiani”.

La legislazione esistente ostacola la costruzione di nuove chiese cristiane
La nuova legislazione, nelle attese dei cristiani egiziani, avrebbe dovuto portare alla totale archiviazione delle cosiddette “10 regole” aggiunte nel 1934 alla legislazione ottomana dal Ministero dell'interno, che vietavano tra l'altro di costruire nuove chiese vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. In molti casi, l'applicazione rigida di quelle regole ha impedito di costruire chiese in città e paesi abitati dai cristiani, soprattutto nelle aree rurali dell'Alto Egitto. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 242

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.