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Sommario del 31/08/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa istituisce Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

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E’ stato pubblicato oggi il Motu Proprio “Humanam progressionem” con cui il Papa istituisce il nuovo “Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale”. Francesco ha nominato prefetto dell’organismo il cardinale Peter Kodwo AppiahTurkson, finora presidente del Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Nel nuovo Dicastero confluiranno, dal primo gennaio 2017, quattro Pontifici Consigli: Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale migranti e Operatori Sanitari. In quella data, questi Dicasteri verranno soppressi. Una sezione del nuovo Dicastero si occuperà specificamente di profughi e migranti e viene posta ad tempus direttamente sotto la guida del Papa, a sottolineare la sua particolare sollecitudine per la loro situazione.

“In tutto il suo essere e il suo agire – scrive il Papa nel Motu Proprio - la Chiesa è chiamata a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato”. Il nuovo Dicastero “sarà particolarmente competente nelle questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura e le altre persone la cui dignità è a rischio”. Si occuperà inoltre di diritti umani, specialmente quelli attinenti il lavoro, incluso quello minorile, del commercio di vite umane, della pena di morte e del disarmo.

A questo scopo – si legge nello Statuto - il nuovo Dicastero offrirà la sua collaborazione alle Chiese locali, favorirà e coordinerà le iniziative delle istituzioni cattoliche e potrà intrattenere relazioni “con associazioni, istituti e organizzazioni non governative, anche al di fuori della Chiesa cattolica, impegnate nella promozione della giustizia e della pace”.

Il Dicastero è chiamato ad approfondire la dottrina sociale della Chiesa, adoperandosi “affinché essa sia largamente diffusa e tradotta in pratica e i rapporti sociali, economici e politici siano sempre più permeati dallo spirito del Vangelo”.

Vengono, quindi, costituite presso il Dicastero la Commissione per la Carità, la Commissione per l’ecologia e la Commissione per gli operatori sanitari, presiedute dal prefetto del medesimo Dicastero che è anche competente nei confronti della Caritas Internationalis secondo i suoi Statuti.

Il nuovo organismo assume anche le competenze della Santa Sede circa l’erezione e la vigilanza di associazioni internazionali di carità e dei fondi istituiti agli stessi fini.

L’organismo è presieduto da un prefetto, coadiuvato da un segretario e almeno un sotto-segretario, che possono anche essere fedeli laici.

Il Motu Proprio e il relativo Statuto,  approvato ad experimentum, sono stati approvati dal Santo Padre il 17 agosto scorso, su proposta del Consiglio dei Cardinali.

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Francesco: no a pregiudizi sulle donne, Gesù libera gli “scartati”

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Gesù salva gli scartati della società, li libera e gli ridona la dignità. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza generale in Piazza San Pietro, la cui catechesi è stata tutta incentrata sull’incontro tra Gesù e l’emorroissa. Il Pontefice ha dunque sottolineato che, anche nella Chiesa, bisogna stare attenti a promuovere visioni della femminilità “inficiati da pregiudizi”. Salutando i pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero speciale ai cristiani del Medio Oriente. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata”. Papa Francesco si è soffermato, nella sua catechesi, sulla straordinaria fede dell’emorroissa, che sente che Gesù può salvarla. Era una donna “scartata dalla società”, rammenta, alla quale Gesù dona la salute e la libertà dalle discriminazioni sociali e religiose.

No a discriminazioni e pregiudizi contro le donne, Gesù ripristina la verità
“Questo caso – è stato il suo commento – fa riflettere su come la donna sia spesso percepita e rappresentata”:

“Tutti siamo messi in guardia, anche le comunità cristiane, da visioni della femminilità inficiate da pregiudizi e sospetti lesivi della sua intangibile dignità. In tal senso sono proprio i Vangeli a ripristinare la verità e a ricondurre ad un punto di vista liberatorio. Gesù ha ammirato la fede di questa donna che tutti evitavano e ha trasformato la sua speranza in salvezza”.

Nell’incontro con Gesù, ha detto ancora, si apre per tutti, “uomini e donne di ogni luogo e di ogni tempo, la via della liberazione e della salvezza”.

Tutti siamo peccatori, ma Gesù ci perdona con la sua misericordia
Francesco ricorda che l’emorroissa era timorosa, non voleva farsi vedere, ma quando Gesù incrocia il suo sguardo non la rimprovera, ma la accoglie con “misericordia e tenerezza” e cerca “l’incontro personale con lei”, dandole dignità. Questo, ha ripreso, vale per tutti noi quando ci sentiamo scartati per i nostri peccati:

“Oggi, a tutti noi, peccatori, che siamo grandi peccatori o piccoli peccatori, ma tutti lo siamo, eh?, a tutti noi il Signore ci dice: 'Coraggio, vieni! Noi sei più scartato, non sei più scartata: io ti perdono, io ti abbraccio'. Così è la misericordia di Dio. Dobbiamo avere coraggio e andare da lui, chiedere perdono per i nostri peccati e andare avanti. Con coraggio, come ha fatto questa donna”.

La misericordia di Gesù indica alla Chiesa la via da compiere nell'incontro verso ogni persona
Ancora, Francesco ha osservato che, chi si sente scartato come i lebbrosi o i senzatetto, si vergogna e – come l’emorroissa – fa le cose di nascosto. Gesù invece ci rialza in piedi, ci dà la dignità. Quella che Gesù dona – ha ribadito – è una "salvezza totale, che reintegra la vita della donna nella sfera dell’amore di Dio e, al tempo stesso, la ristabilisce nella sua dignità":

“Gesù, ancora una volta, con il suo comportamento pieno di misericordia, indica alla Chiesa il percorso da compiere per andare incontro ad ogni persona, perché ognuno possa essere guarito nel corpo e nello spirito e recuperare la dignità di figli di Dio”.

Un pensiero speciale ai fedeli del Medio Oriente, perché la fede li sostenga sempre
Al momento dei saluti ai pellegrini, rivolgendosi ai fedeli di lingua araba ha dedicato un saluto particolare a quelli provenienti dall’Iraq, dalla Giordania e dal Medio Oriente. “Quando la speranza umana svanisce e tutto sembra impossibile – ha detto – il sole della speranza divina risorge per coloro che, nonostante il buio della prova, conservano accesa la fiamma della loro fede!”.

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Papa a cardiologi: curare tutti ma non manomettere leggi della natura

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La cura dei medici raggiunga i più poveri. Non ci siano scartati! Alla Fiera di Roma, il Papa si rivolge così, stamani, ai 35 mila medici di 144 Paesi, riuniti per il Congresso annuale organizzato dalla Società Europea di Cardiologia. Un incontro inedito quello di oggi, nel giorno in cui si chiude il più importante convegno dal punto di vista della prevenzione cardiovascolare. La Chiesa, ricorda il Papa, sostiene la ricerca scientifica ma non bisogna manomettere le leggi impresse nella natura. Dalla Fiera di Roma, il servizio di Debora Donnini

Grande protagonista del Congresso, il cuore è “il centro pulsante del corpo umano” che passa  tra le vostre mani, “pertanto la vostra responsabilità è grande!”, dice Francesco che lo definisce “un libro della vita”. Grande entusiasmo nonostante la pioggia battente. Il Magistero della Chiesa, ricorda, ha sempre sostenuto l’importanza della ricerca scientifica per la salute delle persone:

“Anche oggi la Chiesa non solo vi accompagna in questo cammino così arduo, ma se ne fa promotrice e intende sostenervi, perché comprende che quanto è dedicato all’effettivo bene della persona è pur sempre un’azione che proviene da Dio”. 

La ragione è spinta dalla fede verso una conoscenza più ampia
Dalla passerella del grande complesso della Fiera di Roma che, con 10 padiglioni e 500  espositori, ha ospitato questo Congresso di portata mondiale, Francesco ricorda che la mente umana e la natura sono creature di Dio. Quindi, lo sviluppo delle scienze filosofiche ed empiriche che servono il malato, è un servizio importante che si inscrive nel progetto divino. Nel discorso del Papa, centrale anche il rapporto fra fede e scienza:

“L’apertura alla grazia di Dio, fatta tramite la fede, non ferisce la mente, anzi la spinge ad andare avanti, a una conoscenza della verità più ampia e utile per l’umanità”.

Guardare l’uomo nella sua totalità, soprattutto i più disagiati
Bisogna, però, tenere presente che lo scienziato non è mai neutrale nella sua ricerca. Porta con sé il suo modo di essere e di pensare. Ci vuole, quindi, una “sorta di purificazione” che allontani le tossine che avvelenano la ragione nella sua ricerca di verità “e porti a guardare con maggiore intensità all’essenza delle cose”. La conoscenza  ha certamente bisogno di progredire trovando risposte “sull’origine, il senso e la finalità della realtà, uomo incluso”. Ma per questo non bastano le sole scienze naturali:

“Se si guarda all’uomo nella sua totalità – permettetemi di insistere su questo tema – si può avere uno sguardo di particolare intensità ai più poveri, ai più disagiati ed emarginati perché anche a loro giunga la vostra cura, come anche l’assistenza e l’attenzione delle strutture sanitarie pubbliche e private. Dobbiamo lottare perché non ci siano “scartati” in questa cultura dello scarto che viene proposta”.

Non manomettere le leggi della natura
Trentacinque mila  gli specialisti che in questi giorni si sono occupati di prevenzione rispetto a quella che è la prima causa di morte nel mondo: dal contrasto ai nemici del cuore, come sedentarietà e fumo, all’importanza delle farmacie per salvare vite e della dieta mediterranea. Ai medici il Papa ricorda che con la loro preziosa attività contribuiscono a guarire il corpo malato ma anche che ci sono leggi impresse nella natura che “nessuno può manomettere” ma solo scoprire e usare “perché  la vita corrisponda sempre più alle intenzioni del Creatore”:

“Per questo è importante che l’uomo di scienza, mentre si misura con il grande mistero dell’esistenza umana, non si lasci vincere dalla tentazione di soffocare la verità”.

A tutti arrivi sollievo dal dolore. In dono Love Cross
Infine il Papa auspica che a tutti possano arrivare “il sollievo dal dolore, una maggior qualità della vita e un accresciuto senso di speranza”. Non ci siano scartati, ribadisce, nella pienezza della vita umana. Le note dell’Ave Maria di Astor Piazzolla concludono l’incontro assieme alla consegna di due doni, uno stetoscopio e una croce composta da cuori realizzati secondo il modello delle emoticon. Cross Love, la scultura in marmo, realizzata da Michele Chiossi, riassume il senso di questa giornata: l’auspicio che la scienza si faccia servizio e amore agli ultimi.

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La gioia del Papa per l'accordo di pace in Colombia

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Papa Francesco esprime la propria gioia per la notizia della chiusura dei negoziati tra il governo colombiano e la guerriglia delle Farc-Ep (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia - Esercito del Popolo), “a conclusione di un processo intenso svolto negli ultimi anni e intende ribadire il suo appoggio all'obiettivo di raggiungere la concordia e la riconciliazione di tutto il popolo colombiano, alla luce dei diritti umani e dei valori cristiani che sono al centro della cultura latino-americana”. Lo rende noto un comunicato della Segreteria di Stato.

Il 12 agosto scorso, “il Papa aveva ricevuto l’invito a nominare un suo rappresentante che partecipasse al Comitato di selezione dei magistrati che formeranno la 'Giurisdizione speciale per la pace'. Tuttavia – si legge nel comunicato - considerando la vocazione universale della Chiesa e la missione del Successore di Pietro come Pastore del Popolo di Dio, sarebbe più appropriato che tale compito fosse affidato ad altre istanze”.

Papa Francesco affida, quindi, “il processo di pace in Colombia alla materna protezione della Santa Madre di Dio, Regina della Pace, e invoca il dono dello Spirito Santo perché illumini i cuori e le menti di coloro che sono chiamati a costruire il bene comune della nazione colombiana”.

Il governo colombiano e i guerriglieri filo-marxisti delle Farc hanno raggiunto nei giorni scorsi uno storico accordo di pace dopo 4 anni di negoziati all'Avana, ponendo fine ad un conflitto durato 52 anni che ha causato oltre 220mila morti, 45mila persone scomparse nel nulla e 7 milioni di sfollati. I guerriglieri, in tutto 7mila, s’impegnano a consegnare le armi e a trasformarsi in un movimento politico legale. Si attende ora la firma ufficiale dell’intesa a settembre e la ratifica popolare nel referendum del 2 ottobre. Il 23 giugno scorso era stato siglato il cessate il fuoco.  

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Card. Salazar: in Colombia c'è bisogno di imparare a vivere in pace

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In Colombia c’è grande attesa per i prossimi passi dopo la notizia dell’accordo di pace raggiunto tra governo e Farc. C’è speranza ma anche la consapevolezza delle difficoltà che attendono il processo di riconciliazione e di reinserimento dei guerriglieri nella vita civile del Paese. Ascoltiamo il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, al microfono di Alvaro Vargas Martino: 

R. - Stiamo vivendo un momento molto importante in Colombia, perché il governo del presidente Santos e la guerriglia delle Farc hanno raggiunto l’accordo per la fine del conflitto armato. Questo per noi è davvero importantissimo, perché abbiamo vissuto la guerra per più di 50 anni, una guerra con tutti gli orrori di una guerra. E stiamo vivendo perciò un momento di speranza, un momento in cui guardiamo verso il futuro e siamo pieni di forza per cominciare un processo di perdono, di riconciliazione, di fraternità, di solidarietà, per costruire un Paese nuovo, una nazione nuova, giusta, fraterna e solidale. Perciò tutta la Chiesa prega il Signore, perché siamo convinti che la pace è un dono, che sì dobbiamo lavorare per la pace, ma dobbiamo soprattutto aprire i nostri cuori per ricevere il dono della pace dal Signore.

D. - In questo senso la Chiesa colombiana ha insistito molto sull’importanza di una pedagogia per la pace …

R. - Sì, perché siamo abituati alla guerra in Colombia. Qui è normale, ormai la maggioranza della popolazione ha vissuto sempre sotto la guerra. Allora bisogna imparare a vivere in pace, a costruire la pace; tutti dobbiamo vivere in pace. Questo non è facile, perché le abitudini sono sempre molto forti. Questa  è una pedagogia verso una convivenza, verso un’esperienza della fraternità: tutti siamo fratelli, tutti per questo siamo chiamati a vivere nella fraternità, nella solidarietà. Le differenze di opinioni e di vedute non possono condurci alla violenza e alla guerra come è successo negli anni passati, ma bisogna imparare a vivere in pace. Questa pedagogia della pace è necessaria.

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Francesco: promuovere dignità persona nella società globalizzata

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Attenzione ai poveri e alla dignità della persona umana: è quanto chiede Papa Francesco ai partecipanti al Congresso sociale cristiano che si è aperto oggi a Doorn in Olanda sul tema “La forza della connessione”. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Papa – facendo riferimento alla Laudato si' e al "primato della persona umana in un mondo globalizzato" - ha invitato i partecipanti "a promuovere una maggiore consapevolezza della particolare dignità delle relazioni umane", all’insegna della stima e del rispetto reciproci. L’attenzione che il Papa auspica venga riservata ai poveri e agli emarginati è indispensabile - si legge nel messaggio - affinché "ogni sistema economico, politico e sociale possa servire le esigenze e il progresso di tutti i popoli e proteggere il creato, che Dio ha affidato alla cura dell'umanità".

Un ampio riferimento ai contenuti dell’Enciclica di Papa Francesco è stato fatto anche dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, nel suo contributo ai lavori. Prendendo in considerazione le sfide che la globalizzazione pone al mondo cristiano e alla Dottrina sociale della Chiesa, il cardinale Turkson ha invitato i partecipanti a riflettere sulla centralità dell’uomo nei processi di globalizzazione ed ha assicurato il sostegno della Chiesa nel promuovere un positivo sviluppo nelle relazioni tra i popoli. (S.L.)

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Il Papa a Renovabis: testimonia il Vangelo chi è in cammino

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Si è aperto oggi a Frisinga, in Germania, il 20.mo Congresso internazionale di Renovabis, che fino al 2 di settembre riunirà circa 300 partecipanti da 29 diversi Paesi, in particolare dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale. Il tema scelto per il Congresso del 2016 è: “Testimoni del Vangelo – Architetti del mondo” e intende concentrarsi in particolare sul ruolo dei religiosi nelle diverse società europee. Nel messaggio di saluto a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Papa ricorda ai partecipanti che “essere ‘testimoni del Vangelo’ significa essere in cammino, come ci insegna Gesù”. Un insegnamento che rimane di forte attualità “in particolare per gli ordini religiosi missionari, i cui membri lasciano la sicurezza della patria, per andare fino ai confini del mondo e per portare agli uomini, con la predicazione e la preghiera, la luce del Vangelo”. “Seguire Cristo in tal modo – prosegue il messaggio – è sempre una testimonianza dell’amore di Dio per ogni creatura”. Nell’impartire la benedizione, il Papa esprime l’auspicio che la testimonianza di una vita di valori e di impegno sociale possano essere alla base della costruzione di una società rinnovata. (S.L.)

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Tweet Papa: servire con tenerezza chi ha bisogno di aiuto

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"Servire con amore e con tenerezza le persone che hanno bisogno di aiuto ci fa crescere in umanità". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.

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Nomina episcopale di Papa Francesco in Argentina

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In Argentina, Francesco ha nominato arcivescovo coadiutore dell’arcidiocesi di San Juan de Cuyo, mons. Jorge Eduardo Lozano, trasferendolo dall’ufficio di Vescovo di Gualeguaychú.

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Incontro su Madre Teresa di Calcutta nel carcere di Regina Coeli

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La figura di Madre Teresa di Calcutta al centro dell’incontro tenutosi ieri a Roma nel carcere di Regina Coeli. Interesse e commozione degli ospiti che, insieme alle autorità dell’Istituto di pena, alle religiose, al Cappellano e ai volontari, hanno assistito alla proiezione di un documentario sugli aspetti salienti della vita della fondatrice delle Missionarie della Carità. Il servizio di Davide Dionisi

Il linguaggio universale della pace e i valori di solidarietà, partecipazione e condivisione, che Madre Teresa ha promosso nel mondo: sono stati questi i temi affrontati ieri nell’incontro seminariale che si è tenuto all’interno del carcere romano di Regina Coeli. Nell’anno giubilare l’iniziativa ha rappresentato uno dei momenti forti di promozione del valore della misericordia anche a coloro che vivono in regime di restrizione. Le motivazioni dell’incontro, che ha visto la partecipazione di tanti ospiti di etnie e religioni diverse, nella testimonianza di Maria Falcone, docente del penitenziario e organizzatrice dell’evento.

R. – Abbiamo voluto organizzare questo evento per dare forza al valore della pace in un luogo come il carcere, dove la pace ha necessità e bisogno di essere rafforzata, ribadita, riproposta su più livelli e in varie forme. Dall’altra parte, abbiamo voluto fare un omaggio a Madre Teresa di Calcutta …

D. – Quale significato assume un evento, un’iniziativa come questa, all’interno di un Istituto di pena?

R. – Questi incontri hanno essenzialmente una funzione pedagogica, perché mettono le persone nella condizione di apprendere i valori universali di umanità, di solidarietà, partecipazione e condivisione che Madre Teresa di Calcutta ha esteso a tutti. All’incontro erano presenti detenuti di tutte le etnie e di tutti i credo religiosi, tutti pronti ad abbracciare quello che è stato per noi il linguaggio universale della pace. Per loro è stato particolarmente toccante, particolarmente commovente. Quello che più mi ha colpito è stato il fatto che si avvicinassero spontaneamente a salutare le suore di Madre Teresa, in segno di devozione, e questo è stato importante, perché i detenuti partono da un percorso di sofferenza.

D. – Qual è stato, secondo lei, il messaggio che ha colpito maggiormente gli ospiti di Regina Coeli?

R. – Il fatto di sentirsi una comunità; il messaggio della partecipazione, di voler essere presente, di voler dare un contributo nonostante tutto. In un posto come il carcere, ha un’enorme importanza educativa perché i detenuti sono messi a confronto con realtà positive. La persona deve necessariamente essere messa in diretto rapporto con la realtà positiva, perché il confronto dev’essere di crescita finalizzata a costruire messaggi di solidarietà, di bene, di pace; quindi, in un carcere, in un luogo dove per antonomasia ci sono le persone che hanno commesso dei reati, hanno commesso dei crimini nei confronti delle persone, delle cose, delle azioni … Il nostro lavoro non dev’essere di giudizio stereotipato, ma dev’essere di azione costruttiva attraverso iniziative culturali come questa, dove lo spirito religioso della Madre supera qualsiasi barriera e oltrepassa anche i confini dell’umanità.

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Oggi in Primo Piano



Funerali ad Amatrice. Il vescovo: ricostruzione, non sciacallaggio

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Lutto nazionale e funerali solenni pieni di commozione ieri pomeriggio ad Amatrice, nel piazzale dell’Istituto Don Minozzi. La popolazione e le massime cariche dello Stato si sono ritrovate per l’ultimo saluto a 28 vittime delle 294 accertate dal terremoto di mercoledì scorso. E’ stata la cittadinanza del piccolo borgo reatino raso al suolo a volere che il rito si svolgesse nel calore e tra gli abbracci di amici e conoscenti e non a Rieti come inizialmente stabilito per motivi tecnici. E così il dolore e la preghiera si sono fusi sullo sfondo di un paesaggio fatto ormai solo di macerie. E' stata una cerimonia toccante, a cui hanno preso parte le massime cariche dello Stato, ma anche, per volere del Papa, l’elemosiniere pontificio, mons. Konrad Krayewski, che ha consegnato alle famiglie delle vittime una corona del Rosario. Il vescovo di Rieti Domenico Pompili ha presieduto il rito. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Si è lavorato notte e giorno sfidando il maltempo e la difficile viabilità perchè i funerali delle vittime di Amatrice si svolgessero là dove ciascuno è vissuto. E così è stato. I nomi lentamente elencati dal vescovo di Rieti, sono di tutte le vittime dei paesi laziali sgretolati dal sisma, un pesante tributo di sangue che le 28 bare, adagiate sotto una tensostruttura stracolma, rappresentano. Spiccano anche due feretri bianchi, di Ivan, tre anni, e della sorellina Veralù, morti con i genitori e simbolo di tanti bambini che non ci sono più.

Il dolore delle famiglie si sfoga così sotto lo sguardo attento dei volontari che non le lasciano mai sole e davanti al volto pietoso della Madonna della Neve qui venerata e posta accanto all’altare su un cumulo di sassi, simbolo della devastazione che il vescovo, mons. Domenico Pompili, ricorda nella sua omelia: “Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio”, afferma, al contrario, “è Salvezza”:

“La domanda ‘dov’è Dio?’, non va posta dopo ma va posta prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte, come pure va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze”.

“Il terremoto ha altrove la sua genesi”, aggiunge mons. Pompili. “Esiste da quando esiste la terra e l’uomo non era neppure un agglomerato di cellule”, ha generato “paesaggi e montagne” che racchiudono in sé anche “elementi essenziali come l’acqua”:

“Il terremoto non uccide, ad uccidere è piuttosto l’opera dell’uomo”.

Quindi il forte monito sulla ricostruzione: “Non basteranno giorni ci vorranno anni” spiega il vescovo, ed è richiesta una qualità più di tutte, la “mitezza” di Gesù, distante “dall’ingenuità muscolare di chi promette tutto subito e dalla inerzia rassegnata di chi già si volge altrove”:

“La mitezza dice invece di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve medio e lungo periodo. Solo così la ricostruzione non sarà querelle politica o una forma di sciacallaggio ma far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta”.

Presente ai funerali, ed è lo stesso vescovo Pompili a dirlo al termine del rito, è, per volere espresso del Papa, l’elemosiniere pontificio Konrad Krajewski che ha consegnato una corona del Rosario a tutte le famiglie delle vittime. Ed è col pensiero rivolto alla prossima venuta del Pontefice nei luoghi del disastro che si chiude il rito:

“Ringraziamo il Papa e lo aspettiamo".

Sotto una pioggia scrosciante ad Amatrice pregano insieme centinaia di persone. Palloncini bianchi e un applauso lunghissimo dopo la lettura dei nomi dei morti del terremoto. Il tendone montato davanti alla palestra don Minzoni raccoglie il dolore di chi qui ha perso parte della sua vita. Veronica Di Benedetto Montaccini ha raccolto alcune testimonianze: 

R. - Io piango adesso; piango perché Amatrice non la riconosco più.

R. - Ho portato un omaggio ad un bambino di nove anni e mezzo. È morto insieme ai genitori. Forse quella è l’unica consolazione: sono tutti e tre insieme.

R. - Il Telefono Azzurro è qui ormai da quasi una settimana. Soprattutto in una giornata come quella di oggi, dei funerali, l’obiettivo è stare accanto alla popolazione, ai genitori, ai bambini, agli adolescenti,…

R. - Noi siamo di qui. Bisogna ripartire da noi che siamo vivi.

R. - Adesso siamo qui per condividere un’altra battaglia.

R. - Questi morti si possono ricordare prima di tutto per gli amatriciani, che per rispetto ai morti devono battersi non tanto per ricostruire quanto per rimanere.

R. - Stiamo vicini con il cuore e con la preghiera in quanto cristiani.

R. - Come popolo di Amatrice ci riprenderemo. Siamo tenaci e testardi!

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Padre D'Amelio: ad Amatrice pensiamo a una buona ricostruzione

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E’ cresciuto il bilancio delle vittime del terremoto nel Centro Italia: stamattina le squadre dei vigili del fuoco hanno recuperato il corpo della sesta vittima sotto le macerie dell'hotel Roma ad Amatrice. Ed è morto all'Ospedale Civile di Pescara per le gravi ferite riportate nel sisma Filippo Sanna, 23enne originario di Nuoro che viveva ad Amatrice. Intanto una nuova scossa di magnitudo 3.5 è stata registrata nella zona di Macerata/Monti Sibillini ad una profondità di 10 km. E hanno preso il via oggi nei comuni terremotati le indagini e i controlli in particolare riguardo agli edifici pubblici crollati o lesionati come scuole, ospedali, chiese per verificare eventuali responsabilità umane nei lavori di costruzione o ristrutturazione degli edifici e irregolarità nell’affidamento degli appalti. A condurre le indagini sono le procure di Ascoli Piceno e di Rieti e al momento non ci sono indagati.

Sono risultate particolarmente forti, ieri ad Amatrice, le parole pronunciate dal vescovo di Rieti, durante i funerali di 38 vittime del sisma. “Il terremoto non uccide, uccidono le opere dell’uomo”, ha detto mons. Domenico Pompili che ha anche invitato a non fare di Dio un “capro espiatorio” della tragedia di questi giorni. Ma che significato dare a queste parole? Adriana Masotti ha sentito padre Savino D’Amelio, parroco di S. Agostino di Amatrice, la cui chiesa è stata distrutta dal terremoto: 

R. – Queste parole vanno meditate! Ma del resto ci sono delle verità, delle verità di fede, che sono così da  sempre: quindi, anche in questi giorni, anche noi, che stiamo celebrando tanti funerali, anche se in modo diverso lo stiamo dicendo che se Dio è bontà infinita, se è buono, non può pensare il male, non può volerlo. La natura è bellissima, ma in tutto c’è un difetto: ognuno di noi può essere bello, può essere buono, però abbiamo anche qualche difetto. E se i difetti vengono accolti, se chi ci sta vicino è capace di collaborare per migliorare questo mio difetto, si crea allora una situazione, una realtà di vita molto diversa.

D. – Lei vuol dire che bisogna anche rispettare, saper convivere con la natura, eventualmente controllarla…

R. – Penso che il senso delle parole di ieri di mons. Pompili sia proprio questo: se la natura è fatta in queste dimensioni, noi possiamo pensare che anche il terremoto sia un difetto, perché lo interpretiamo solamente secondo gli interessi nostri…

D. – Appunto, allora, guardiamo alle opere dell’uomo: stanno partendo le prime indagini e i controlli in particolare sugli edifici pubblici ad Amatrice, ad Accumuli, ad Arquata del Tronto… Che cosa pensa di questo?

R. – Penso, personalmente, che questo sia un problema, perché adesso si cercano a tutti i costi i capri espiatori: è chiaro che ci possono essere stati degli errori, certamente! E la magistratura deve fare il suo corso – però cercare a tutti i costi delle giustificazioni ad un evento che è stato del tutto straordinario– ripeto – che la magistratura debba fare il suo corso va benissimo, ma trovare a tutti i costi dei capri espiatori che debbano , tra virgolette, pagare…. E’ chiaro che è giusto che chi ruba, debba pagare!

D. – A tutti i costi trovare i colpevoli no, però se si scoprirà che non sono state seguite certe norme edilizie…

R. – Tutto questo è giustissimo! In Italia, dopo Tangentopoli degli anni Novanta, la corruzione è peggiorata in un modo eclatante e si continua a fare come se nulla fosse. E’ chiaro però che qui bisogna pensare in positivo, che bisogna pensare alla ricostruzione e non all’accanimento contro solo quelle poche persone e poi si chiude il capitolo. No, non dobbiamo mollare neanche un attimo per cominciare subito a costruire, a costruire in modo buono, in modo autentico, secondo le norme, secondo i criteri ed usando bene i fondi che ci verranno messi a disposizione.

D. – Ed è comune nelle comunità colpite la volontà di rimanere sul proprio territorio, chiedono di non essere dimenticate. Come fare perché questo non succeda nei prossimi mesi e anni e si continui a stare vicino a voi?

R. – Il nostro impegno, come Chiesa, lo stiamo già attivando; anche la parte civile, il sindaco con l’amministrazione comunale, si sta attivando affinché non siano solo chiacchiere. Al nostro impegno di crederci in questo territorio, in questa comunità, ci sia il sostegno necessario per poter far sì che possano proseguire le opere.

D. – Voi, come sacerdoti, siete molto vicini alle popolazioni, siete un punto di riferimento e state dando una bella testimonianza…

R. – Questo è accolto ed è percepito da tutti. Del resto non è che nasce adesso una relazione con queste popolazioni, con le nostre comunità: la parrocchia è una famiglia di famiglie e allora se il parroco deve essere padre, e anche madre in tutti i sensi, avendo realizzato i rapporti su questo paradigma, chiaramente adesso ci ritroviamo ad essere quello che siamo stati sempre e quindi la gente ci accoglie.

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Jihadisti dell'Is perdono terreno in Siria, Libia e Iraq

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Il sedicente Stato Islamico perde terreno. Il suo portavoce al-Adnani è stato ucciso in Siria. In Libia le forze di Misurata portano avanti la battaglia per liberare definitivamente Sirte dai miliziani dell’Is, mentre il capo del comando centrale Usa annuncia che entro l’anno sarà liberata anche Mosul, in Iraq. I terroristi stanno davvero capitolando? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Paolo Maggiolini, esperto di Medioriente dell’Istituto di Studi Politici Internazionali: 

R. – L’uccisione di al-Adnani rappresenta l’ennesima perdita di una figura carismatica e importante, che ha segnato anche la comunicazione e la rappresentazione del gruppo, dei suoi ideali, dei suoi obiettivi sin dall’inizio e quindi questa perdita segna un momento di discontinuità. E’ anche interessante come in questo caso la conferma dell’uccisione arrivi direttamente da una fonte che viene ritenuta l’organo di comunicazione del gruppo stesso.

D. – Tra l’altro, al-Adnani era una sorta di teorizzatore dei “lupi solitari”: aveva lanciato un manifesto … Che reazione può esserci?

R. – Il tipo di reazioni e i nessi di causa ed effetto immediato, secondo me, sono sempre difficili da definire. Questo anche perché poi riguardo, appunto, la questione dei "lupi solitari", di quanto siano, in alcune delle operazioni che abbiamo visto, diretti o indiretti, ispirazionali i collegamenti tra i singoli individui e il gruppo, fuori dai contesti di diretto controllo dell’organizzazione, non è cosa semplice. Sicuramente, la figura di al-Adnani è stata più volte centrale e citata, anche quella che ha mantenuto una presenza costante e continua. E’ verosimile, appunto, pensare a delle reazioni anche simboliche. Però d’altra parte, bisogna pensare che il sedicente Stato islamico è occupato dalla pressione militare sia sul fronte siriano sia sul fronte iracheno. E credo che ciò sia, in questo momento, prioritario.

D. – In Libia si prepara la battaglia finale a Sirte. Ecco: stanno perdendo realmente terreno?

R. – Stanno perdendo realmente terreno, però, sia nel contesto libico che nel contesto siriano-iracheno, le ragioni dell’affermazione dell'Is non sono da ricercare solo nella forza o nell’efficacia dell’organizzazione stessa, ma in tutta una serie di problemi che aveva da tempo avvolto i Paesi: problemi politici e di tenuta che anche in questo momento, in cui c’è un nemico comune contro il quale si combatte, rimangono aperti. In Libia è tutto da verificare quello che può essere il dopo-Sirte: la possibilità che una parte dei miliziani sia ormai uscita dal contesto urbano di Sirte e si stia riposizionando nella parte sud, altri – soprattutto quelli di estrazione tunisina – potrebbero cercare di rientrare nel Paese e infatti ci sono già stati alcuni arresti …

D. – In Iraq c’è stata la vittoria a Qayyara e il capo del comando centrale Usa ha detto che entro la fine dell’anno riusciranno a prendere anche Mosul: è verosimile questo programma che si dà la coalizione?

R. – La vittoria ottenuta sul fronte Sud, quindi con Qayyara, che dovrebbe diventare un punto nevralgico per le operazioni future, a Mosul, è una vittoria importante. La storia dell’offensiva su questa città è abbastanza lunga, nel senso che si era annunciata già una possibilità nel 2015, poi è stata posticipata. Dopo la vittoria di Falluja, invece, ha ripreso corpo. Anche nella dimensione irachena, però, un po' come in Libia, sappiamo che le forze in campo, oltre al supporto aereo degli Stati Uniti, vedono sia i curdi che una parte nelle milizie sciite. Definire esattamente, poi, quali saranno le forze che combatteranno su Mosul sarà importante, anche per capire l’efficacia in quella che, sicuramente, sarà una battaglia molto dura: è la capitale ideale dell’organizzazione in Iraq, è la città che in qualche modo ha lanciato l’organizzazione anche all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. E la questione centrale è capire effettivamente come le operazioni poi verranno affrontate nel rapporto con gli abitanti della città e di quest’area, ancora sotto il controllo dell’organizzazione, cercando di evitare che si inneschino poi ancora nuove conflittualità. Ho la sensazione che più di un’operazione di liberazione sia in qualche modo “di punizione” …

D. – Il rapporto Onu ha registrato in Siria l’uso di armi chimiche anche da parte del sedicente Stato islamico, in particolare del cosiddetto “gas mostarda”. Quanto sono pericolosi? Quanto potrebbero riorganizzarsi dopo questi ultimi colpi che abbiamo visto su più fronti?

R. – Chi è attento in ambito militare ha sottolineato come effettivamente un impegno militare congiunto e deciso in sé avrebbe potuto aver ragione anche all’inizio della potenza dello Stato islamico. E’ chiaro che, in questa fase di ripiegamento, la violenza può aumentare e soprattutto la decisione di ricorrere a qualsiasi tipo di tattica o di strumento è quasi pressoché naturale, o comunque non si può escludere.

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Siria, Hassaké: mons. Hindo, serve tutto, aiuti senza distinzioni

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Una città sotto assedio, piagata dai combattimenti, circondata da ogni parte, dove il poco cibo a disposizione ha un prezzo inaccessibile per la popolazione. È Hassaké, nella parte nord orientale della Siria, descritta da mons. Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi. Il presule, la cui arcidiocesi comprende anche Raqqa, la “capitale” del sedicente Stato Islamico, in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre ha denunciato la drammatica situazione della zona, per la quale la fondazione pontificia ha stanziato a metà agosto un contributo di un milione e 500 mila euro, da destinare anche alle popolazioni in difficoltà di Aleppo. Giada Aquilino lo ha raggiunto telefonicamente ad Hassaké: 

R. – Anche se adesso le cose sono migliorate, perché fino a domani è in vigore un cessate il fuoco, purtroppo nelle strade le cose non sono cambiate.

D. - Lei dice che in questo momento c’è il cessate il fuoco ma, una volta finito, la situazione potrebbe tornare ad essere quella di prima?

R. - Forse, non si sa. La gente è angosciata, qualcuno ha lasciato già la città per andare a Kamishlié, 90 km più a nord. La battaglia che è durata otto giorni si è svolta qui, nel quartiere delle cinque chiese, dove vivono i cristiani. Io stesso all’arcivescovado sono stato sfiorato da un tiro di un cecchino: il colpo mi è passato a 40 centimetri di distanza ed ha fatto un buco profondo tre o quattro centimetri nel muro.

D. - A combattere sono le forze curde e siriane: questi scontri cosa comportano per la popolazione?

R. - I curdi vogliono prendere la città, quindi non avremo più scuole, non abbiamo già per esempio il passaporto perché hanno sequestrato e occupato l’ufficio che rilascia i passaporti e le carte d’identità. Di fronte alla porta dell’arcivescovado abbiamo un check point curdo. Siamo circondati dai curdi: e succede che l’esercito spara, loro sparano a loro volta e noi ci troviamo in mezzo.

D. - Gli aiuti non arrivano: perché?

R. - Perché siamo circondati da Daesh, dalla Turchia e dai curdi dell’Iraq. La frontiera curda dell’Iraq è chiusa perché i curdi dell’Iraq sono contro i curdi che si trovano qui; poi l’altra frontiera tra l’Iraq e la Siria è nelle mani dell’Is; a nord c’è la Turchia e lì è tutto chiuso; a sud c’è ancora Daesh. Quindi possiamo viaggiare solamente con l’aereo, da Kamishlié fino a Damasco, ma in macchina non si può andare. Tutto è chiuso, Daesh impedisce l’arrivo di tutto.

D. - Cosa serve più urgentemente?

R. - Tutto! Io ho dovuto distribuire per tre giorni di seguito pane alla popolazione del nostro quartiere che subisce questa guerra. Un forno ci ha fatto del pane, che ho distribuito ai cristiani, ai musulmani, a tutti, perché non c’era più niente da mangiare.

D. - Senza differenze…

R. – Non distribuisco il pane solamente ai cristiani, ma a tutti: perché tutti siamo figli di Dio. Quando aiuto, aiuto tutti.

D. - I suoi appelli per aiutare la popolazione a chi sono andati e a chi vanno in questo momento?

R. - Ho parlato con l’esercito siriano: mi ha detto che è pronto a lasciare la città. Ho parlato con i curdi e con il capo dell’esercito curdo: mi hanno promesso la stessa cosa e che non ci saranno più persone che porteranno armi nella zona. Fino a questo momento però sono ancora lì, sembra si stiano preparando per un’altra battaglia tra di loro.

D. - A novembre lei sarà in Italia per la presentazione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Quale messaggio porterà?

R. - Sarà un messaggio di pace. Noi chiediamo la pace. Mi farò 'mendicante di pace'.

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Sudan: in due mesi più di 800 migranti arrestati dalla polizia

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Arrestati in Sudan più di 800 migranti africani in fuga dai Paesi in guerra, volevano raggiungere l'Europa attraverso la Libia. Nel periodo che va da giugno ad agosto, sono ben 816 i migranti fermati della polizia sudanese, 347 eritrei, 130 etiopi e 90 sudanesi, bloccati al confine con la Libia, mentre cercavano di entrare nel Paese. Situata a 300 km dalle coste europee, la Libia rappresenta ancora la speranza per chi scappa dalla guerra, il punto di congiunzione tra l'inizio di una nuova vita e la fine di tante atrocità per interessi politici ed economici, in molti cercano di oltrepassare le linee di confine per affrontare successivamente la lunga traversata del Mediterraneo. Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo, fondatore e presidente dell'agenzia Habesha per l'accoglienza dei migranti africani, è intervenuto al microfono di Michele Ungolo: 

R. – Si scappa ancora. E purtroppo, anche lungo il percorso di fuga, queste persone trovano degli ostacoli da superare. Tra questi ci sono anche gli arresti, che sono frutto dell’accordo che l’Unione Europea ha stretto con questi Paesi nel Processo di Khartoum, e poi successivamente nell’accordo di Malta, che ha esternalizzato i propri confini dell’Europa sempre più a sud dell’Africa subsahariana, chiedendo a Paesi come il Sudan, ma anche il Niger e il Ciad, di fare da gendarmi, così da poter bloccare le persone che tentano di venire verso l’Europa. Gli arresti poi procurano condizioni di sofferenza, abuso, violenza nei confronti di queste persone già in fuga dai loro Paesi di origine. E ci sono più di dieci milioni di persone colpite dalla carestia solo nel Corno d’Africa. C’è poi anche chi fugge dalla morte certa, da fame, sete, e così via. Quindi, lungo il percorso si trovano queste situazioni: persone che finiscono nelle mani della polizia, dei predoni o dei trafficanti che le sequestrano, approfittano di loro, e chiedono soldi come riscatto. C’è infatti anche questo giro di business che una parte della polizia corrotta svolge.

D. – I migranti comunque devono affrontare diverse difficoltà, sia per quanto riguarda i viaggi estenuanti, ma anche le difficoltà incontrate con il governo, i guerriglieri e anche i contrabbandieri…

R. – C’è chi priva della libertà queste persone per guadagnarci, perché i trafficanti le sequestrano, negano loro la libertà di movimento e di scelta, vendendole come fossero delle merci: il tutto a scopo di guadagno. C’è chi limita o nega la loro libertà sulla base di accordi fatti tra Paesi, sia africani, ma anche tra l’Africa e l’Europa. E anche lì di mezzo ci sono sempre i soldi, perché l’Unione Europa ha promesso una pioggia di milioni a diversi Paesi africani a questa condizione, ossia qualora impediscano e neghino la libertà di movimento alle persone: purché queste persone non arrivino in Europa. Non importa infatti perché e da cosa stanno scappando; si preferisce far pagare il prezzo più salato a queste povera gente.

D. – Tenendo presente questi dati, qual è il destino di chi scappa?

R. – Purtroppo, il destino sta diventando sempre più pericoloso, perché tutti gli ostacoli messi lungo il percorso stanno aggravando e aumentando i rischi per la vita di queste persone. Molti perdono la vita nel deserto, nel mare, e ci sono tantissime altre persone che la perdono nelle carceri. I centri di detenzioni sono pieni di persone spogliate della loro dignità.

D. – Chi non ha la possibilità di fuggire, perché comunque – ricordiamolo – è un costo importante, come riesce a sopravvivere in questa situazione?

R. – Sopravvive riducendosi quasi ad uno stato di schiavitù. Spesso il 97% dei profughi rimane vicino casa - quindi nei Paesi limitrofi - e sopravvive o con i pochi aiuti che riesce a ricevere dalle varie organizzazioni internazionali; e spesso lavorando quasi per sopravvivere, giusto per aver in cambio un piatto di pasta o di riso. Pur di sopravvivere, queste persone fanno una vita proprio da schiavi.

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Egitto: approvata la legge sulla costruzione delle nuove chiese

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E’ stata approvata ieri dal parlamento egiziano la nuova legge che regola  la costruzione di nuove chiese, rendendola più semplice. Secondo fonti ufficiali nazionali, il presidente del parlamento,  Ali Abdel-Al, ha riferito che hanno dato il proprio consenso più dei due terzi dei 596 parlamentari, appartenenti per lo più alla maggioranza che sostiene il Presidente al Sisi. Tra i punti fondamentali della legge quello dove è previsto che i governatori delle province  debbano rispondere entro quattro mesi a ogni richiesta di costruzione di nuovi luoghi di culto cristiani e che, in caso di rifiuto, debbano motivarlo. La costruzione di nuove chiese era finora osteggiata dalle autorità locali, che spesso ignoravano la richiesta  di permesso, mentre altre volte la respingevano per il timore di  reazioni violente da parte della comunità musulmana. Ma ancora tante le perplessità delle comunità cristiane su questa normativa. Ascoltiamo il commento di mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh raccolto da Marina Tomarro: 

D. – Proporre un disegno di legge relativo alla costruzione delle chiese è una buona cosa, già menzionata nella Costituzione, dopo anni di difficoltà per costruire e riconoscere le chiese che erano già state costruite. Abbiamo lottato tantissimo per arrivare fino a questo punto; e ieri erano molte le persone contente del fatto che questo disegno di legge fosse stato proposto. Questo è già un passo in avanti. Ma devo in realtà dire che, come ogni legge umana, c’è sempre qualcosa da dire in proposito: la legge deve essere chiara, precisa, con termini che non ammettano due o tre diversi significati. Questa legge invece è piena di tali termini. E quindi adesso bisognerà vedere come sarà applicata, e allo stesso tempo se la sua applicazione farà emergere i problemi previsti oppure no.

D. – Eccellenza, quali sono le sue perplessità al riguardo?

R. – Per esempio, c’è un articolo relativo alla dimensione della chiesa, che deve essere proporzionata alla popolazione. Ma questo chi può dirlo? Chi può precisare questo dato, se non l’autorità ecclesiastica stessa o il richiedente della chiesa, ossia colui che vuole costruire la chiesa? E invece in questo disegno di legge ciò non è chiaro. Ci sono poi tanti altri punti. Si richiede l’applicazione di una legge specifica sulle costruzioni: una legge che è tuttavia applicata solo nelle città, dove le strade sono ampie, ma non nei villaggi, dove non si può adottare. Per il riconoscimento delle chiese che già esistono ci sono altri punti di vista che pongono delle difficoltà. Inoltre il permesso è lasciato al volere del governatore, senza dire quali siano i criteri in base ai quali lui debba decidere sì o no. Perché questo deve avvenire solo per la costruzione delle chiese e non degli altri stabili?

D. – Intanto, sono state archiviate le dieci regole della vecchia legislazione ottomana, dove veniva vietata la costruzione di chiese vicino le scuole e gli ospedali…

R. – Intanto dobbiamo aspettare che la legge sia promulgata: solo allora potremo dire che queste regole sono state realmente archiviate. Ma ci sono delle cose all’interno della nuova legge che un po’ assomigliano alle dieci regole. Prima di tutto, il fatto che la legge si applichi soltanto nelle città; o la documentazione che chiede un titolo di proprietà senza precisare quale. Nei villaggi è infatti difficile trovare un terreno registrato al Catasto civile; e questa sarà una difficoltà per costruire le chiese. Ma vorrei essere comunque ottimista e dire che è già un buon passo il fatto che ci sia una legge. Questa poi può sempre essere modificata: il Parlamento può farlo qualora emergano le condizioni per farlo.

D. – Eccellenza, invece qual è la situazione attuale dei cristiani in Egitto?

R. – Sicuramente migliore rispetto al passato. Penso che i cristiani abbiano pagato senza parlare: quando i Fratelli Musulmani si sono sentiti sconfitti, questi ultimi hanno riversato la loro rabbia sulle chiese, bruciando e distruggendo molti stabili – tra i 50 e i 60 almeno – tra chiese e opere che appartengono alle chiese. In quel caso la Chiesa non ha aperto bocca, perché sapeva che questo era il prezzo da pagare per trovare la sua identità nel Paese. E finalmente ora l’abbiamo acquistata, anche se a un gran prezzo. La Chiesa e i cristiani hanno dimostrato la loro appartenenza a questa patria; quindi nessuno può dire che sono degli intrusi, anzi: i cristiani sono gli abitanti originari dell’Egitto. Sono loro che tengono duro. Qualche volta vengono accusati di chiedere aiuto all’estero, ma noi non abbiamo mai pensato che i Paesi esteri potessero appoggiare la nostra causa: questa, al contrario, deve essere supportata all’interno del Paese. Noi chiediamo invece un aiuto tecnico, materiale; e ciò non solo per noi, ma anche per l’Egitto, affinché percorra la strada giusta, questo sì. Dobbiamo arrivare ad ottenere la piena cittadinanza – tutti – senza guardare alla religione. Dobbiamo superare quest’ostacolo. Finora l’appartenenza religiosa si trova nella carta d’identità, anche se – è vero – non nel passaporto. La Costituzione chiede di istituire un Consiglio contro tale distinzione. E ciò aiuterà tantissimo a cambiare un po’ le cose, al fine di abolire la discriminazione attuale, e di dare uguali opportunità a tutti gli egiziani, senza distinzioni di razza, colore della pelle, credenza: qualsiasi cosa che possa distinguere un essere umano dall’altro. 

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Birmania: al via storica Conferenza di pace. Il ruolo della Chiesa

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E’ iniziata oggi in Birmania la Conferenza di Panglong del XXI secolo, la più grande assemblea di pace organizzata dal 1947. I lavori sono stati aperti dall’intervento del Segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki Moon. L’obiettivo del governo, guidato dalla Lega per la Democrazia, il cui segretario è il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è quello di garantire la fine dei conflitti interni in un Paese da decenni teatro di scontri tra i diversi gruppi etnici e, in particolare, di demilitarizzare i gruppi armati garantendo loro più partecipazione alla gestione del Paese tramite un sistema federale. Salvatore Tropea ha intervistato Carlo Ferrari, presidente dell’Associazione per l’Amicizia Italia-Birmania.  

R. – Questa conferenza inizia un percorso di riconciliazione nazionale che era dichiarato da Aung San Suu Kyi, come obiettivo primario del nuovo governo. E’ una conferenza che si riallaccia idealmente alla Conferenza che era stata indetta dal padre di Aung San Suu Kyi, Aung San, il Padre della Patria birmana, e che era stata il prologo all’indipendenza della Birmania. E’ una conferenza che mira a rappacificare quasi 70 anni di conflitto etnico: sappiamo che la Birmania è un Paese diviso in una pluralità di etnie; ci sono alcune etnie principali, ma il numero delle etnie supera i 130. E una buona parte di queste etnie, soprattutto quelle al confine con la Cina e con l’India, sono in un conflitto armato che le impegna ormai da diversi decenni.

D. – La presenza del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, potrà favorire il dialogo tra le parti?

R. – La presenza di Ban Ki-moon e anche di Kofi Annan nella commissione è proprio un segnale che il governo attuale della Birmania vuole dare del fatto che si tratti di un problema internazionale; si riallaccia anche a delle dichiarazioni che ha fatto Sung San Suu Kyi, del fatto che la Birmania, dopo una dittatura lunghissima, deve recuperare uno status internazionale e quindi, giustamente, ha dato – con l’arrivo di queste persone – uno status internazionale a questa Conferenza. Chiaramente, questo non ci deve fare illudere che i problemi siano di facile soluzione: sappiamo che la situazione, in alcune aree del Paese, è decisamente difficile, non soltanto a causa dei conflitti etnici ma anche per quelli religiosi. Quindi è un primo passo a cui si è voluto dare un rilievo internazionale.

D. – Quali i punti più importanti per un avvicinamento e favorire la pacificazione?

R. – C’è la nuova volontà del governo di perseguire a tutti i costi la pacificazione nazionale: questo è stato dichiarato a più riprese sia dallo State Counsellor, Aung San Suu Kyi, sia dal Presidente Htin Kyaw; c’è un discorso legato anche alla nuova situazione internazionale, quindi recentemente Aung San Suu Kyi è stata a colloquio in Cina, c’è crescita a livello di pil e grandi possibilità a livello di turismo; si apre per il Myanmar una possibile prospettiva di crescita che, se ben condotta, potrebbe portare anche nelle aree marginali del Paese un livello di vita e di welfare decisamente maggiore. Ecco, questi sono gli argomenti del nuovo governo del Myanmar porterà alla conferenza per indurre anche i gruppi etnici che sono stati in questi anni in conflitto armato, a cambiare l’atteggiamento. In questa ottica si lega anche l’arrivo di una delegazione parlamentare italiana che sarà capitanata da Pierferdinando Casini nella sua qualità di presidente della Commissione Esteri, che incontrerà Aung San Suu Kyi a Naypyidaw. L’Italia ha un interesse forte a supportare il processo democratico in Birmania e quindi saranno ulteriormente rafforzati i rapporti in essere e anche l’aiuto e l’ausilio che può dare l’Italia al processo di pace. Infine, al Chiesa birmana e direttamente il card. Charles Maung Bo, ha attualmente un ruolo forte nel processo di pace e si è visto a più riprese in questi mesi che può agire come collante tra le diverse etnie, tra le diverse religioni, ed è in prima linea sicuramente nel supporto a questo processo di pace del nuovo governo.

D. – Quali sono invece i punti per i quali c’è ancora maggiore distanza, e cosa si deve ancora fare?

R. – C’è questa volontà da parte di diversi di questi gruppi etnici, di cercare di capire se sia veramente possibile una riconciliazione perché vedono, in questo momento, un interlocutore più affidabile di quello che avevano avuto negli ultimi anni. C’è un ruolo dell’esercito, che peraltro non è sotto il controllo del governo attuale perché la Costituzione birmana dà ai militari tre ministeri chiave, tra cui gli Interni, il controllo delle frontiere, per cui … E’ sulla forza di questo processo che si giocherà nei prossimi mesi anche la partita sul ruolo dell’esercito e di come risponderà a questa partita.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giornata del Creato: messaggio del Patriarca Bartolomeo I

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“La rovina e la distruzione di un monumento culturale di un Paese ferisce l’eredità universale dell’umanità”. E’ dedicato anche alla protezione dell’eredità culturale di un Paese il messaggio che quest’anno il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha inviato per la Giornata di preghiera per la salvaguardia del Creato che si celebra domani, 1 settembre. Bartolomeo - riferisce l'agenzia Sir - è conosciuto nel mondo come il “Patriarca verde” per il suo impegno a favore dell’ambiente che da anni lo porta sui fronti più “caldi” del pianeta.

Ambiente e cultura sono uniti e di uguale valore e interscambiabili
Il messaggio 2016 affronta un tema particolare: Bartolomeo ricorda il Beato Simeone lo Stilita, “grande colonna della nostra Chiesa, il cui monumento – scrive -, come altri meravigliosi siti archeologici in Siria e in tutto il mondo, come quello famoso dell’antica Palmira, annoverati a livello mondiale, tra i principali monumenti di eredità culturale, hanno subito la barbarie e gli orrori della guerra”. Alla minaccia  e alla distruzione della natura, il Patriarca sottolinea così “un pari problema significativo: la crisi della cultura, che durante gli ultimi anni risulta mondiale. D’altra parte – riflette Bartolomeo -, ambiente e cultura sono uniti e di uguale valore e interscambiabili”.

Proteggere l'eredità culturale mondiale minacciata dai “conflitti bellici
Il Patriarca ecumenico si rivolge a “tutti i responsabili” e ad “ogni uomo” perché proteggano “parallelamente” sia “l’ambiente naturale”, “in pericolo, a causa dei cambiamenti climatici” sia “l’eredità culturale mondiale minacciato dai “conflitti bellici”.  E osserva: i tesori culturali,  come monumenti religiosi e spirituali, espressione bimillenaria della mente umana, appartengono a tutta l’umanità e non esclusivamente ai paesi dentro i cui confini si trovano”.

Rafforzare le misure di protezione e di conservazione ininterrotta dei propri monumenti
“E’ dovere e compito di ogni essere umano, in modo particolare tuttavia di ogni Paese civile, di rafforzare le misure di protezione e di conservazione ininterrotta dei propri monumenti. Così è indispensabile che ogni Stato di diritto e di legalità costituito, eviti azioni, che colpiscono l’integrità dei suoi ‘monumenti universali’ e che alterano i valori intangibili che ognuno di essi rappresenta”. (R.P.)

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Siria: Wadi al-Nasara, rifugio per 210 mila sfollati cristiani

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Si chiama Wadi al-Nasara (Valle dei Cristiani) e si trova al confine con il Libano, a 50 chilometri da Homs, in Siria: è qui che negli ultimi cinque anni un numero crescente di profughi cristiani sta cercando rifugio dalla guerra.

Sempre più giovani emigrano dalla Valle perché senza casa e lavoro
La Valle ospita attualmente 210mila cristiani, di cui 8mila famiglie sfollate, alle quali si stanno aggiungendo 3mila nuove famiglie. Nel corso di questi anni, tuttavia, 75mila giovani hanno lasciato l’area diretti all’estero per mancanza di prospettive di lavoro e di case. Per questo un comitato composto da laici e religiosi sostenuto dalle Chiese cattolica greco-melchita e ortodossa, ha deciso di lanciare un vasto programma di urbanizzazione nella regione. “Le giovani coppie hanno prioritariamente bisogno di uno spazio di vita per fondare una famiglia”, spiega il padre gesuita Ziad Hilal, che partecipa alla realizzazione del programma insieme ad alcune ong.

L’Ouvre d’Orient tra le ong impegnate a sostenere i cristiani della Valle
Tra queste l’Oeuvre d’Orient, l’organizzazione cattolica francese con sede a Parigi impegnata da oltre un secolo nell’aiuto dei fedeli d’Oriente e oggi diretta da mons. Pascal Gollnisch. L’Opera sostiene in particolare un progetto per la costruzione di una fabbrica di case prefabbricate, un‘iniziativa particolarmente utile, considerando che la maggior parte delle imprese di costruzione di Aleppo e Damasco sono state distrutte dal conflitto. Il costo di produzione di ciascuna stanza è di 533 dollari e la spesa totale per il progetto è stimata in circa 273mila dollari.

L’appello di mons. Gollnisch ad offrire donazioni per la Valle dei Cristiani
Nel piano figura anche la costruzione di altre imprese, tra le quali un allevamento di polli e una fabbrica di mobili. “Serve ai bisogni dei locali e creerà molti posti di lavoro”, spiega il padre paolino  Walid Eskandafi, coordinatore sul posto del progetto umanitario. “Questi progetti vitali per fare restare i giovani hanno bisogno di essere finanziati al più presto!”. Per questo mons. Gollnisch ha pubblicato recentemente sul sito dell’Opera http://www.oeuvre-orient.fr un appello ad offrire donazioni a favore della Valle dei Cristiani “Insieme – scrive - possiamo offrire ragioni di speranza a quelle e quelli che hanno perso tutto e che vogliono restare “

Aiuti anche dal Patriarcato di Mosca
Anche la Chiesa ortodossa russa sta contribuendo con aiuti umanitari alle popolazioni del Wadi al-Nasara. Esse soffrono di una grave mancanza di acqua, cibo, carburante e elettricità segnala il Patriarcato di Mosca. (A cura di Lisa Zengarini)

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Filippine: card. Tagle contro omicidi extragiudiziali e aborto

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Gli omicidi extragiudiziali preoccupano, “ma spero che possiamo preoccuparci allo stesso modo anche dell’aborto. Perché sempre meno persone parlano contro l’interruzione di gravidanza? Anche questa è una forma di omicidio!”. Lo ha dichiarato l’arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, a Radio Veritas. Il presule - riferisce l'agenzia AsiaNews - è intervenuto così nell’annosa questione che sta dividendo il Paese: la lotta alla droga “con ogni mezzo” lanciata dal Presidente Rodrigo Duterte.

Lotta agli spacciatori trasformata in una mattanza di presunti criminali
La “tolleranza zero” nei confronti degli spacciatori e dei drogati, promessa in campagna elettorale, si è trasformata in una mattanza di presunti criminali. Le vittime accertate sono oramai più di 2mila – e alcuni gruppi della società civile parlano del doppio – mentre non si registrano inchieste contro poliziotti o vigilantes che hanno aperto il fuoco contro queste persone spesso disarmate. Il capo della polizia nazionale ha persino invitato i tossicodipendenti a “dare fuoco” alle case dei “signori della droga” e ha promesso loro impunità: “Voi siete le vittime, non sarete puniti”.

Il porporato invoca il rispetto della vita umana che è sacra
Contro questa deriva è intervenuto in più occasioni il presidente della Conferenza episcopale filippina, l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan mons. Socrates Villegas, che ha presentato un appello “all’umanità delle forze dell’ordine” e ha pubblicato una preghiera “per sanare le ferite della società”. Oltre a lui si sono espressi molti altri leader cattolici, cui si aggiunge il card. Tagle. Secondo l’arcivescovo della capitale, la questione è inclusiva: “Dobbiamo promuovere sempre il rispetto della vita umana, che è sacra. Va protetta in ogni condizione e ad ogni stadio della sua evoluzione”.

Il card. Tagle condanna il narcotraffico
Con la stessa durezza, il presule condanna il mercato della droga: “Vendere queste sostanze illegali e spingere i giovani verso il vizio è un’altra forma di omicidio: si uccidono i loro sogni, le loro menti e le loro relazioni sociali e familiari”. Davanti a un colpevole, ha concluso, “ci si deve sforzare perché abbia una nuova vita e la possibilità di rialzarsi in piedi”. La posizione dell'arcivescovo di Manila chiarisce quella della Chiesa cattolica filippina, che alcuni commentatori nazionali avevano definita "spaccata" sulla posizione da assumere nei confronti di Duterte. 

L'appello dei religiosi delle Filippine
Anche l'Associazione dei Superiori maggiori nelle Filippine, che riunisce i leader delle congregazioni religiose cattoliche maschili e femminili, si dice allarmata per le continue esecuzioni extragiudiziali, che sembrano andare avanti incontrollate, senza processo o indagine. "In quanto persone religiose e consacrate, riteniamo che la giustizia debba fare il suo corso seguendo procedure corrette ed entro i limiti previsti dalla legge" e non deve essere "giustizia sommaria". Per questo si invita il governo a "fermare i vigilantes che compiono azioni illegali". I religiosi di impegnano sempre, in sintonia con il Vangelo, per la "inviolabilità e sacralità della vita umana". (R.P.)

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Ecuador: dopo il terremoto studenti nelle aule di bambù

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“Vogliamo la nostra scuola, non vogliamo andare a studiare in un’altra scuola, altrimenti smettiamo di studiare o saltiamo l’anno”: queste le richieste degli studenti della scuola gestita dalle Siervas del Hogar de la Madre, a Playa Prieta, andata distrutta dal terremoto che ha colpito la costa dell’Ecuador la notte del 16 aprile, al momento di pensare al nuovo anno scolastico che sarebbe iniziato a luglio. Il sisma ha causato centinaia di morti, tra cui una religiosa e cinque postulanti della comunità, e migliaia di feriti e senzatetto.

L'aiuto delle famiglie per riaprire la scuola
Le madri degli studenti incoraggiavano le suore: “contate su di noi per qualunque cosa, per fare da mangiare, per preparare la malta, per passare i mattoni, per qualunque cosa. La scuola la tiriamo su, tra tutti ce la possiamo fare, vedrete...”. Del complesso scolastico che ospitava gli studenti dalla materna alle superiori, era possibile utilizzare solo la scuola materna e l’aula magna, tutto il resto doveva essere demolito e ricostruito, anche il terreno andava rafforzato perché presentava sprofondamenti e spaccature.

La famiglie hanno dato tutto per far riaprire la scuola
“È stato impressionante vedere quante persone si sono messe a pregare, hanno dato tutto quello che avevano, persino i loro risparmi, si sono dimenticate dei loro problemi o del loro dolore per unirsi al nostro” racconta una religiosa. Tanti hanno dimostrato il loro sostegno senza avere molti mezzi economici. Professionisti hanno messo a disposizione il loro lavoro o i loro macchinari, volontari hanno sacrificato il loro fine settimana per aiutare, madri di famiglia hanno lasciato le loro faccende quotidiane per dare una mano in ciò che veniva chiesto loro...

Continuano i lavori per la ricostruzione del complesso scolastico
​Il 27 giugno è stato il primo giorno di lezione per le scuole superiori, mentre il giorno dopo è arrivata una squadra di volontari della ditta Telefonica da Quito, con un camion carico di canne di bambù per la costruzione di quindici aule destinate ad ospitare provvisoriamente i 360 alunni iscritti. Il 15 luglio si è svolta una piccola cerimonia di consegna delle aule agli studenti, felici di essere “tornati a casa”, “alla loro scuola”, mentre intorno a loro continuano i lavori per la ricostruzione definitiva dell’Unità Educativa Sacra Famiglia, che comprenderà aule, cappella, sala computer, aula magna, casa per i volontari e casa delle suore. (S.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 244

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.