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Sommario del 01/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Si è spento il card. Cottier. Il Papa: un uomo buono e di fede forte

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Si è spento ieri al Policlinico Gemelli, all’età di 93 anni, il cardinale Georges Marie Martin Cottier, domenicano, teologo emerito della Casa Pontificia. In un telegramma, Papa Francesco afferma di ricordare “con profonda gratitudine” la sua “fede forte, la sua bontà paterna e la sua intensa attività culturale ed ecclesiale”, svolta in particolare al fianco di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le esequie del porporato svizzero – nato il 25 aprile 1922 a Carouge (Ginevra) – saranno celebrate domani alle 8.30 in San Pietro dal cardinale Angelo Sodano e, come di consueto, al termine della celebrazione Papa Francesco presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Con la morte del cardinale Cottier, il Collegio Cardinalizio scende a 215 cardinali, di cui 116 elettori e 99 non elettori. Alessandro De Carolis ricorda la figura del porporato in questo servizio: 

Il papà Louis e il nonno Emmanuel sono mastri orologiai, ovvero la quintessenza dell’artigianato elvetico. Fin da subito però il giovane Georges palesa doti diverse, più a suo agio tra i libri che fra ingranaggi e molle della bottega di famiglia. Ma anche la filosofia e la teologia hanno i loro “meccanismi”, equilibri affascinanti e critici come il movimento del bilanciere di un vecchio orologio.

Gli anni della formazione
Prima la laurea a Ginevra in Lettere classiche nel 1944, poi l’ingresso nell’Ordine dei Predicatori, i Domenicani, l’anno successivo indirizzano la strada di Georges Cottier, che diventa sacerdote il 2 luglio del ’51. L’anno dopo all’Angelicum di Roma si laurea in Teologia, quindi torna alla Facoltà di Lettere di Ginevra, prosegue gli studi e nel 1959 discute la tesi di Dottorato su “L’ateismo del giovane Marx e le sue origini hegeliane”. Passare sull’altro lato della cattedra è questione di poco e per il prof. Cottier inizia nel ’62 una brillante carriera accademica.

I rischi della teologia
Si fa l’ora del Vaticano II e il 40.enne docente svizzero è uno dei tanti esperti dell’assise, diventa consultore del Consiglio per il Dialogo con i non credenti e gira l’Europa per una serie di colloqui. Nel 1986 entra nella Commissione Teologica Internazionale, nel ‘90, Giovanni Paolo II lo nomina Teologo della Casa Pontificia. A lui spetta il compito di leggere i discorsi del Papa e di verificarne la correttezza dottrinale e come consultore della Dottrina della Fede, racconterà, scopre “il genio di Ratzinger”. Quando Nell’agosto del ’93 esce l’Enciclica Veritatis Splendor” e ai nostri microfoni l’allora padre Cottier evidenzia uno dei rischi sempre incombenti della teologia:

”Esiste, da parte di alcuni teologi, la tendenza a scindere la morale dalla fede. Ed è estremamente importante affrontare questi temi, perché‚ la loro rilevanza nella vita pastorale e pratica dei cristiani è immediatamente evidente. Non si può vivere la fede senza farsi carico delle conseguenze morali, andare contro la Scrittura, contro la Rivelazione è aprire la porta ad abusi ed errori gravissimi per la salvezza delle anime”.

Teologo di tre Papi
Quando la Chiesa supera la linea del terzo millennio, il Giubileo porta altre sfide per il teologo del Papa. Come quella di presentare al mondo un inedito come la richiesta di perdono che Papa Wojtyla desidera realizzare e soprattutto far capire. Nel Concistoro del 21 ottobre 2003, Giovanni Paolo II impone la porpora e il cardinale teologo accompagna anche il ministero del Papa teologo, Benedetto XVI, fino agli esordi del Pontificato di Francesco. Sui tre Pontefici si espresse così lo scorso anno, per l’uscita del libro-intervista “Selfie”:

“Sono psicologicamente molto differenti, ma la continuità è la fedeltà al Concilio: la fonte immediata della loro ispirazione e tutte le intuizioni sono del Concilio, e sono ancora da sviluppare. Per esempio, il tema attuale della povertà: mi ricordo che al Concilio c’è stato tutto un gruppo di lavoro sulla Chiesa dei poveri. Dunque, io ritrovo il Concilio in tutti”.

“La misericordia è dottrina”
E tutti i Papi si sono ritrovati nel servizio reso da un uomo fino all’ultimo attento al rapporto della Chiesa con il mondo. Alla vigilia del secondo Sinodo sulla famiglia ebbe parole profonde sulla misericordia, criticando un certo rigorismo, che giudica senza cuore: “La misericordia è dottrina – affermò – E’ il cuore della dottrina cristiana. Solamente una mentalità ristretta può difendere il legalismo e immaginare misericordia e dottrina come due cose distinte”.

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Udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington, negli Stati Uniti, l’arcivescovo Renzo Fratini, nunzio apostolico in Spagna e nel Principato di Andorra, il Fondatore della Fazenda da Esperanza, padre Hans Stapel, e il dott. Libero Milone, revisore generale.

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Francesco su Twitter e Instagram: Gesù cambia la vita

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Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet oggi: “Quando attraversiamo la Porta Santa, affidiamoci alla grazia di Cristo, che può cambiare la nostra vita”. E ieri su Instagram, sotto la foto di un selfie con alcuni ragazzi nell’Aula Paolo VI, scrive: “Giovani, Dio scommette su di voi, crede in voi, spera in voi!”.

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Kasper: evangelizza Chiesa dalla mano tesa, non del dito puntato

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Solo una Chiesa dalla mano tesa e non del dito puntato può riannunciare con forza il Vangelo al mondo di oggi: è quanto ha detto il cardinale Walter Kasper al Congresso apostolico europeo della Misericordia che si sta svolgendo nella Basilica romana di Sant’Andrea della Valle. Il servizio di Sergio Centofanti:

Le colpe dei cristiani
Se Dio è diventato uno straniero soprattutto in Europa e nel nostro mondo occidentale – ha detto il cardinale Kasper - “i cristiani hanno una certa colpevolezza” perché “parlano spesso di Dio in un modo che non corrisponde esattamente al Vangelo, la Buona Notizia; parlano spesso non di Dio, che è un Vangelo, ma di un Dio che fa paura, minaccia, punisce”.

E' il tempo della misericordia
“Oggi – affermava già Papa Giovanni XXIII - è venuto il tempo non delle armi del rigore, ma della medicina della misericordia”. “Oggi - dice Papa Francesco - è il tempo della misericordia. La Chiesa oggi è chiamata essere un ospedale di campo”.

Misericordia non è buonismo
Ma “sarebbe una semplificazione o meglio, un grave fraintendimento – osserva il cardinale Kasper -  opinare che la misericordia sia solo un certo buonismo, e dia testimonianza di un Dio per così dire solo gentile e innocuo, che non prende sul serio il male e i peccati. Non si può appiattire il concetto di misericordia” facendolo sfociare in “un cristianesimo a buon mercato”. Pertanto “è del tutto errato mettere in contrasto verità e misericordia come alcuni fanno”, perché “la misericordia non toglie le verità della fede, anzi le fonda”.

Dove non c’è misericordia vivono i demoni
“La misericordia – rileva ancora il porporato - ci apre la strada per la nuova evangelizzazione” e “ci porta all’aggiornamento dell’annuncio del Vangelo”. “Con la sua misericordia Dio è fedele - e cioè giusto - a se stesso. Dio non è legato alle nostre regole di giustizia, Egli è legato solo a se stesso e alla sua carità”. “Senza la misericordia la somma giustizia può diventare somma ingiustizia. Dove non c’è misericordia vivono i demoni, ha detto Dostoevskij”.

Una Chiesa dalla mano tesa
La misericordia – ribadisce il cardinale Kasper – non è semplice buonismo, ma incontrare Gesù “nei poveri, negli affamati, assetati, rifugiati, e in tutti i miei fratelli e sorelle bisognosi”. I santi sono quelli che hanno preso sul serio la misericordia di Dio.  E conclude: “Se la Chiesa non è richiusa in se stessa, una chiesa solo per un’élite, che si crede il Resto santo, che si distacca dalla massa cosiddetta perduta, ma una Chiesa dalle porte aperte, soprattutto una chiesa povera per i poveri, una Chiesa in uscita, una chiesa missionaria, che sa che non è possibile parlare di Dio, il cui nome è misericordia, senza vivere la misericordia”, se non è una Chiesa “del dito morale alzato, ma dalla mano tesa”, solo allora “potrà irradiare un raggio di luce e di calore nel nostro mondo”.

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Il Congresso europeo della misericordia affronta il tema della politica

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Proseguono i lavori del Congresso apostolico europeo della Misericordia nella Basilica romana di Sant’Andrea della Valle. Stamane l'intervento centrale è stato tenuto dal cardinale Walter Kasper. Tra i temi affrontati, ieri, anche il rapporto tra misericordia e politica. Il servizio di Michele Raviart

Se la politica è pensare ed ascoltare prima di agire, la misericordia è allora la chiave per trovare la verità e la giustizia necessarie per prendere una decisione in nome del “bene comune”. In questo senso è ricordata la figura del francese Robert Schuman, padre fondatore dell’Europa unita, proclamato Servo di Dio nel 2004 e di cui è in corso la Causa di Beatificazione. Il vice postulatore padre Joseph Jost:

R. – La politique cherche toujours le bien commun, cherche toujours à servir …
La politica è sempre alla ricerca del bene comune, cerca sempre di servire l’uomo nella sua vita. La caratteristica della politica è anche quella di avere un approccio all’ascolto misericordioso del prossimo. Robert Schumann diceva: “Bisogna prima ascoltare la persona fino alla fine, senza interromperlo; ascoltarlo per capire quello che vuole e poi parlare”. Purtroppo, la politica non applica questo aspetto di benevolenza, di misericordia quando si tratta di ascoltare gli altri…

Misericordia e attenzione per il prossimo sono anche alla base della “Carta per la Compassione”, un progetto ideato negli Stati Uniti e sottoscritto da 70 città in quasi cinquanta Paesi del mondo, dal Botswana al Pakitstan. Nato dalla collaborazione tra esponenti di ogni confessione religiosa, la carta promuove l’inviolabilità della persona umana, il rispetto e la condanna di ogni violenza. Tori Murden McClure, presidente della Spalding University di Louisville, nel Kentucky, una delle “città della compassione”:

R. – Compassion is difficult to define; the Latin is “pati” for suffering and “com” is “with”, …
E’ difficile definire il concetto di “compassione”; il termine latino si compone di “patior”, che sta per soffrire, e “cum”, che significa “insieme con”. Quindi, indica la disponibilità a soffrire con un’altra persona: questo è quello che significa “compassione”. La definizione di “compassione” è stata stilata da 30 leader religiosi di tutto il mondo: musulmani, indù, cristiani … e tutti hanno chiesto di porre questo concetto al centro del nostro pensiero. Non ci sono leggi che governano la compassione: si tratta di preoccuparsi della sofferenza di un altro essere umano.

Ad ospitare il Convegno europeo della Misericordia è la basilica di Sant'Andrea della Valle. Un luogo santo, vicino al martirio di San Sebastiano, dove è sepolto San Giuseppe Maria Tomasi e dove San Massiliano Kolbe fu ordinato sacerdote. Padre Marcelo Zubìa, vicario generale dei padri teatini:

R. – Nell’Anno della Misericordia, Sant’Andrea della Valle vuole essere non soltanto la "Chiesa della Tosca", ma anche un luogo per rifarci alla memoria della nostra fede e per capire che la nostra fede, dall’inizio fino adesso, è una fede che ci porta all’offerta, al servizio e alla solidarietà da queste persone. E San Massimiliano Maria Kolbe è forse la figura di maggiore spicco perché ha consegnato la propria vita al posto di un’altra persona che altrimenti sarebbe stata uccisa, nel campo di concentramento di Auschwitz.

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Comastri: vi racconto Karol Wojtyla, il Papa della Divina Misericordia

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Ricorre domani l’11.mo anniversario della morte di San Giovanni Paolo II. Significativamente, quest’anno la ricorrenza cade nella vigilia della Festa della Divina Misericordia, istituita da Karol Wojtyla, proprio come avvenne per la sua morte, il 2 aprile del 2005. Sul legame tra Giovanni Paolo II e la Misericordia, cuore del Giubileo voluto da Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano: 

R.  – Vorrei partire da un episodio accaduto pochi giorni prima della partenza per il Cielo di Giovanni Paolo II. Era il 30 marzo del 2005, era mercoledì, l’ultimo della sua vita. Tutti sapevamo che il Papa si era aggravato e quindi eravamo un po’ in apprensione, stavamo tutti pregando per questo motivo. Verso mezzogiorno mi avvisano: “Si è aperta la finestra dell’appartamento!”. Io chiaramente uscii dal mio ufficio, corsi in Piazza San Pietro e a mezzogiorno vidi che il Papa si affacciò. Non riuscì a dire una parola; alzò solamente la mano destra e tracciò un grande Segno di Croce che fu il suo testamento, il suo saluto alla Chiesa, il saluto al mondo. Ho saputo dopo cosa accadde quella mattina. Appena svegliato Giovanni Paolo II ha sussurrato - perché parlava soltanto in maniera afona, appena percettibile - a suor Tobiana e a don Stanislao Dziwisz: “Oggi è mercoledì”. Ma non hanno dato peso alle parole. Passato un po’ di tempo, ha detto di nuovo: “Oggi è mercoledì”. Ancora una volta hanno ignorato le parole del Papa. Alle 10 ha detto con un tono un po’ autoritario: “Oggi è mercoledì e io mi alzo!”. Evidentemente si sono spaventati di fronte a questa decisione del Papa e hanno tentato di dissuaderlo. Il Papa in modo irremovibile ha detto: “Oggi è mercoledì ed io mi alzo perché la gente viene e io non voglio deluderla”. Stava morendo e pensava agli altri. Quando morì erano i primi Vespri della Festa della Divina Misericordia. Si potrebbe pensare laicamente si trattasse di una coincidenza, ma le coincidenze non esistono: era una delicatezza della Divina Misericordia! Il Papa che tanto aveva parlato e tanto si era speso per far conoscere questo volto bello di Dio, il volto misericordioso, veniva accolto nella Comunione dei Santi proprio nel giorno della Divina Misericordia che lui aveva voluto.

D. - In che modo secondo lei si esprimeva al meglio l’essere testimone di Misericordia in Giovanni Paolo II?

R. - La testimonianza della Misericordia di Giovanni Paolo II mi piace sintetizzarla in due lampade: quella del perdono, fino all’eroismo, e quella dell’annuncio della verità, perché perdono e verità sono due lampade che vengono dalla Misericordia. La lampada del perdono: pensate che subito dopo l’attentato, quando il Papa era in un lago di sangue, appena ha ripreso un pochino la conoscenza le prime parole che ha detto sono state: “Perdono il fratello che mi ha sparato”. Chiamare in quel momento “fratello” Alì Aĝca richiede un bel coraggio, una bella fede, una bella testimonianza. Ma non solo. Quando il Papa si è ripreso non ha organizzato proteste, scioperi, vendette … soltanto preghiera; preghiera e perdono. Qui si vede il volto bello del cattolicesimo. Ma c’è un’altra lampada: quella della verità. Giovanni Paolo II ha fatto brillare questa lampada con tre Encicliche meravigliose ma anche con tantissimi discorsi. L’Enciclica Vertitas Splendor, l’Enciclica Evangelium Vitae e Fides et ratio. Giovanni Paolo II ha gridato la verità perché la verità è un servizio di Misericordia! Perché il peccato è male e fa male! E non dimentichiamo che Gesù, il misericordioso, Colui che ha detto: “Io sono venuto per i peccatori …”, ha aggiunto anche: “… affinché si convertano”. Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di tenere accese entrambe le lampade: quella del perdono, perché Dio è sempre pronto a perdonare, come ripete molto spesso Papa Francesco, “Dio è sempre pronto a perdonare! Però attenti, il perdono di Dio ci entra dentro quando il cuore si apre”.

D. - L’uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno della Misericordia, scriveva San Giovanni Paolo II nella Dives in misericordia, la sua seconda Enciclica del 1980, dopo la Redemptor hominis. Perché secondo lei ritorna questa esigenza urgente di Misericordia, negli ultimi Pontefici in particolare?

R. - Giovanni Paolo II, proprio nella Dives in misericordia, cita il capitolo nono della Gaudium et spes dove è scritto: “Il mondo di oggi si presenta potente e debole, capace di operare il meglio ma anche il peggio mentre gli si apre davanti la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio”. Il mondo di oggi si sta rendendo conto che il pregresso realizzato dalla scienza non è sufficiente per rendere felice l’umanità. L’uomo ha bisogno di una verità che gli riempie il cuore; ha bisogno di un amore che sani le ferite, di una Misericordia che sani le sue ferite. E questo lo può fare soltanto la Misericordia di Dio. Ecco perché in questo momento è particolarmente urgente e indispensabile l’annuncio della Misericordia a questa umanità ferita, come ama dire Papa Francesco. L’annuncio che Dio è misericordioso è sicuramente una medicina straordinaria. L’uomo moderno che credeva di poter diventare superuomo, come sognava Nietzsche, invece si accorge di essere un pover'uomo che ha bisogno della mano misericordiosa di Dio. Ecco perché a mio umile giudizio è straordinariamente attuale l’annuncio della Misericordia. E Papa Giovanni Paolo II lo capiva, Papa Benedetto lo capiva, Papa Francesco ne ha fatto – possiamo dire – lo slogan del suo Pontificato.

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Indagine in Vaticano su ristrutturazione appartamento card. Bertone

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Il vice direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, ha confermato l’apertura di un’indagine in Vaticano sui finanziamenti per la ristrutturazione dell'appartamento dell'ex cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il servizio di Alessandro Gisotti

Sono due gli indagati con l’accusa di appropriazione indebita, conferma il vice-direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Bruke. Si tratta dell’ex presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Giuseppe Profiti e dell’ex tesoriere Massimo Spina. La notizia fa seguito alle rivelazioni del giornalista dell’Espresso, Emiliano Fittipaldi, sull'ultimo numero del settimanale. In un comunicato, il legale del cardinale Bertone, l’avvocato Michele Gentiloni Silveri, scrive che "la missiva inviata dal cardinale al prof. Giuseppe Profiti l'8 novembre 2013 conferma integralmente la veridicità di quanto da lui sempre affermato" e cioè che la sua volontà è quella di "nulla porre a carico" della Fondazione Bambino Gesù e di procedere lui stesso alla ricerca di finanziamenti per i lavori da espletarsi nell'appartamento. Successivamente - prosegue la nota - il porporato, non avendo ricevuto sussidio da parte di terzi, ha pagato personalmente l'importo richiesto dal Governatorato vaticano, proprietario dell’appartamento. Il cardinal Tarcisio Bertone - conclude la nota del suo legale - ribadisce di non aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione Bambino Gesù ad alcun pagamento in relazione all'appartamento da lui abitato e di proprietà del Governatorato.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Delusioni e speranze di un nunzio: Adriano Roccucci sui Diari polacchi del futuro Pio XI.

I cartigli nascosti sotto la sabbia della Nubia: Rossella Fabiani sulla missione di archeologi italiani e russi che hanno riportato alla luce un antichissimo basamento in Sudan.

Fernando Cancelli: Tra leggerezza e incompetenza. L’eccessivo uso di farmaci oppioidi negli Stati Uniti.

Giulio Albanese: Quelle particole nascoste in un flacone di medicine. Storie di fede cristiana nei luoghi di persecuzione.

Inserto mensile donne chiesa mondo dedicato alle donne ebree.

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Oggi in Primo Piano



Libia: Ghwell lascia Tripoli, 10 città appoggiano al-Serraj

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Dieci città della Libia, tra le quali Sabrata e Zuwara, annunciano il loro "sostegno al governo di concordia  nazionale" dopo l'arrivo nella capitale libica del Consiglio presidenziale con a capo Fayez al-Serraj. Intanto, secondo fonti di stampa, il premier Khalifa Ghwell, ostile al governo unitario, ha lasciato Tripoli per far ritorno nella sua città natale a Misurata. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo storico e scrittore Paolo Sensini esperto dell’area: 

R. – E’ uno scenario confuso. Il fatto che ci siano dieci città a dare l’appoggio a Sarraj non è garanzia di alcunché. Vi è una mutevolezza continua, cambi di schieramenti, salti da parte delle milizie. Come lo hanno fatto in precedenza possono ribaltare anche in questa occasione. Il problema è che ancora una volta si continua a voler calar dall’alto delle soluzioni per la Libia con figure non riconosciute localmente e che non possono far altro che incubare ancora di più fonti di conflitto.

D. - Quali sono le vie da percorrere per una stabilizzazione del Paese?

R. - Una soluzione – sicuramente molto complicata – è Saif-al-Isalm, il figlio di Gheddafi che si trova nelle mani della milizia di Zintan e che è l’unico personaggio che può effettivamente giocare qualche carta, perché legato al territorio ed è figura di ponte con l’Occidente essendosi formato anche in Europa. Bisogna ripartire dalla Libia, se davvero si vuole stabilizzarla; bisogna provare soluzioni interne, certamente complesse, difficili, ma sono le uniche che hanno una parvenza di concretezza.

D. - Ma la Libia di oggi accetterebbe questa figura?

R. - Sicuramente è difficile. C’è una parte di Paese, per esempio le milizie che adesso governano a Tripoli, quella parte di Khalifa Ghwell - diciamolo - è al Qaeda. Tutti coloro che oggi sono lì e che governano sono appartenenti al gruppo terroristico; pensiamo solo al sindaco di Tripoli, Mahdi al–Harati, era uno dei leader del gruppo islamico combattente della Libia: è la sezione libica di al Qaeda. Lì ci sono queste forze che sono appoggiate da Turchia, Fratelli musulmani e Qatar che ovviamente hanno tutto l’interesse a tenere un piede ben dentro le questioni libiche. E’ proprio questo il problema: mettere da parte queste forze e cercare di recuperare quel tessuto che probabilmente in Libia ancora c’è e che può assicurare una continuità rispetto al passato, questo può non piacerci rispetto ai nostri standard di democrazia, ma sicuramente lì aveva una sua stabilità ed una sua ragion d’essere.

D. - Subito dopo la caduta di Gheddafi abbiamo visto un regolamento di conti a livello clanico …

R. - Non abbiamo nessuna sicurezza su quello che accadrà in Libia. Dico che le uniche carte ragionevoli, se vogliamo davvero pensare che il Paese possa ricostituirsi come Stato unitario e con una laicità, non come un’enclave spostata rispetto al contesto del vicino Oriente dello Stato islamico, a mio avviso è quella della rappresentanza interna.

D. - C’è chi ipotizza invece di compattare la Libia di dividerla nella sua storica configurazione: ovvero Fezzan, Cirenaica e Tripolitania …

R. – Forse era uno degli intenti iniziali, dividerla a seconda dei Paesi: Francia, Gran Bretagna e Italia che sono stati i responsabili di questa operazione. In Cirenaica ci sono grandi giacimenti petroliferi ed ora è in condominio tra Francia e Gran Bretagna; l’Italia probabilmente punterebbe sulla Tripolitania dove è ben basata… Questa della divisione è una possibilità molto concreta, ma a mio avviso è una cattiva soluzione perché complicherebbe ancora di più la situazione sul campo.

D. - Il presidente degli Stati Uniti Obama e la cancelliera tedesca Merkel hanno ribadito ancora una volta che se non si risolve la quesitone libica, il Paese diventerà un covo permanete dello stato islamico …

R. - Ora si parla dell’Is ma non c’è molta differenza tra Al Qaeda o Stato islamico. Le forze di al Qaeda sono quelle che sono state favorite nella rivolta della Cirenaica spacciandole per forze democratiche. Se veramente si vuole intervenire, bisogna favorire quelle forze laiche e secolariste che c’erano e che bisogna cercare di reinsediare.

D. - Dunque il danno è stato fatto togliendo Gheddafi?

R. – Chiunque oggi lo riconosce. Poteva non piacerci il suo stile di governo, che certamente poteva migliorare; la Libia era il primo Paese per indice dello sviluppo africano e nulla aveva che fare con il caos e con l’ecatombe in cui è stato fatto cadere principalmente dall’Occidente, da quelle stesse forze che oggi si vogliono erigere a standard di nuova governance per il Paese.

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Vertice su rischi nucleare a Washington: la Russia non partecipa

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“In molti Paesi, il possesso di materiale nucleare per la vendita non è un crimine”: è quanto afferma il sottosegretario Usa al controllo delle armi, Rose Gottemoeller, mentre si svolge a Washington il Summit sulla sicurezza nucleare. Sono circa 50 i leader mondiali che vi prendono parte oltre ad alcune organizzazioni internazionali e l’Unione europea. Assente la Russia, uno dei nove Stati in possesso di bombe atomiche. Dell’assenza di Mosca e delle sfide più attuali e urgenti, Fausta Speranza ha parlato con Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali all’Università Luiss: 

R. – Certamente questa è un’assenza molto pesante dovuta ai dissidi, alle tensioni ancora molto forti fra gli Stati Uniti, l’Occidente e la Russia ed è un’assenza che in qualche modo pregiudica l’intero Summit: la Russia è un attore di primissimo piano all’interno della dimensione nucleare, degli armamenti nucleari e quindi la sua assenza non permette di raggiungere nessun tipo di risoluzione significativa. Da questo punto di vista, è una sconfitta per Obama.

D. - Tanti i temi da trattare. Dalle inchieste dopo i fatti di Parigi e di Bruxelles emerge che i terroristi spiavano le centrali nucleari. Dunque ci sono anche elementi di stretta attualità …

R. - Certo, l’attualità riguarda due temi. Da un lato, la questione nordcoreana che naturalmente è di grande preoccupazione, soprattutto per gli attori dell’area asiatica orientale, e, dall’altro, la questione del terrorismo. Ci sono indiscrezioni che confermano che alcune cellule stessero studiando le centrali nucleari in Belgio e questo naturalmente è fonte di grande preoccupazione. Le centrali nucleari hanno dei sistemi di protezione, però è anche vero che un attacco di tipo terroristico forse non era stato preventivato del tutto e quindi è necessario pensare ad un rafforzamento dei sistemi di sicurezza di tutti gli impianti nucleari. È chiaro che un attacco ad una centrale nucleare avrebbe conseguenze catastrofiche.

D. - Sicuramente questo incontro voluto da Obama a partire dal 2009 è per il terrorismo, ma ci si vuole occupare anche delle armi atomiche sviluppate dagli Stati. Su questo ci sono progressi?

R. - Certamente il progresso maggiore, il successo di Obama è l’accordo con l’Iran dell’autunno scorso. Quello è l’accordo più significativo che però ancora, ad esempio, non prevede la partecipazione dell’Iran a questo summit. Il Paese continua ad essere escluso. Quello è un successo. Invece i fallimenti, naturalmente, hanno a che vedere con la questione della Corea del Nord e con il raffreddamento generale del rapporto con la Russia.

D. - Archiviata la preoccupazione sul riarmo non convenzionale di Teheran, è la Corea del Nord a rappresentare la minaccia nucleare maggiore...

R. - Certo, è sicuramente il problema più importante, più significativo anche se non possiamo escludere, da una parte, che questo sdoganamento della questione iraniana spinga i suoi competitors locali – in primis l’Arabia Saudita – ad aumentare gli armamenti - cosa che già sta succedendo - e possibilmente anche pensare all’ipotesi nucleari. Dall’altra parte, sono preoccupanti anche le dichiarazioni di Trump candidato possibile, probabile, per i repubblicani alle presidenziali americane, il quale in un’intervista ha sostenuto che sia bene che la Corea del Sud e il Giappone si dotino di armi nucleari per bilanciare sia la Corea del Nord che la Cina. Naturalmente in questo scenario le affermazioni di Trump vanno sempre prese con molta cautela, ma se lui dovesse diventare presidente degli Stati Uniti, se questo fosse il nuovo indirizzo di politica estera americana riguardo gli armamenti in Asia orientale, certamente sarebbe un cambio radicale. Gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto il riarmo nucleare della Corea del Sud e del Giappone e certamente aumenterebbe di molto la tensione nell’area.

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Nepal: a un anno dal sisma crescono povertà e corruzione

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Il Nepal sta scivolando verso una condizione di povertà estrema: questa la situazione del Paese fotografata dall’Asian Development Bank, secondo cui la crescita rallenta dal 3 all’1.5%. Anche l’indice di povertà, secondo quanto riportato dalla Banca Mondiale, si attesterebbe al 25%, un quarto della popolazione totale. Oltre al terremoto che quasi un anno fa uccise circa novemila persone e distrusse il 90% degli edifici, a incidere sulla fragile economia nazionale sono l’inflazione e l’embargo della vicina India. Per una testimonianza dal Nepal, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente Barbara Monachesi, della onlus Apeiron: 

R. – La situazione non è rosea. Al di là del terremoto, che ovviamente ha fatto danni molto ingenti, si è aggiunto a fine settembre il blocco con il confine dell’India: questo ha veramente influenzato in maniera molto negativa la ripresa della vita quotidiana. Abbiamo avuto una settimana, ultimamente, in cui sembrava che le cose fossero tornate normali, ma adesso scarseggiano ancora alcuni beni di primaria necessità, che sono indispensabili, come ad esempio il carburante, necessario per trasportare i beni che servono per la ricostruzione. Il Paese ha delle difficoltà che prescindono da quello che è stato il terremoto e da quello che è stato il blocco: ci sono villaggi come, ad esempio, quelli in cui lavoriamo noi a seguito del terremoto che sono due giorni distanti da Katmandu e quindi arrivarci è un problema comunque…

D. – L’autorità per la ricostruzione, a quasi un anno dal sisma, non è ancora entrata in funzione. Come vivono gli sfollati?

R. – Quelli che ho incontrato vivono tutti in maniera precaria, perché hanno questi “temporary shelter”, quindi rifugi temporanei, che hanno cercato di rendere il più solidi possibile, perché comunque sanno perfettamente che non saranno tanto temporanei… Il governo, però, ha fatto delle promesse: ha promesso soldi che non devono essere restituiti, la possibilità di ottenere dei mutui agevolati… In realtà, però, è ancora tutto fermo. Soltanto un mesetto fa, le persone stavano andando - solo in quel momento - a fare le foto: il governo per la prima volta andava a fare un sopralluogo, facendo le foto vicino alle macerie in modo tale queste persone potessero, poi, ottenere i prestiti, o quelli che si chiamano “grant”, quindi senza necessità di restituzione. Ma la macchina è estremamente lenta.

D. – Anche le politiche miopi del governo non hanno certo aiutato il Paese a riprendersi. Ll’embargo indiano ha causato un incremento vertiginoso dell’inflazione…

R. – Io so benissimo di essere una privilegiata, nel senso che avevo del gas per cucinare e sto usando ancora quello, ma il gas non si trova. Visitando alcune zone – ad esempio nei dintorni di Katmandu, perché nei villaggi molto spesso il gas per cucinare non lo usano, perché usano la legna – ho visto persone terremotate, che quindi hanno perso la casa, vivono in questi "shelter" temporanei, che si stavano facendo una sorta di fornellino di fango, con qualche mattone estrapolato dalle macerie – che tanto sono ancora lì – per cucinare con la legna che il governo si è messo a vendere. La situazione è veramente penosa! Diciamo che chi stava già male – che sono quelli toccati maggiormente dal terremoto, perché erano quelli che vivevano nelle case costruite peggio e che quindi hanno perso anche la loro abitazione – sono quelli che stanno soffrendo ancora di più di questa situazione.

D. – Qual è il lavoro di "Apeiron" in Nepal oggi e cosa si può fare per aiutare la popolazione?

R. – Noi abbiamo sempre lavorato principalmente con le donne. Dopo il terremoto, nei villaggi in cui eravamo già presenti erano crollate tutte le abitazioni, erano crollate tutte le scuole, e siamo entrati a far parte del processo di ricostruzione, anche se si tratta di cose semi-permanenti e questo proprio perché è difficile ottenere permessi dall’Autorità che è stata stabilita successivamente. Secondo me, bisogna tornare a trovarli: il turismo è una delle risorse maggiori che ha il Paese, che non può contare su tanto altro. E poi, ovviamente, non dimenticarsene. Ultimamente, abbiamo anche lanciato un video affinché non si dimentichi.

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Dimissioni di Guidi: "scelta opportuna" per Ceccanti e Olivetti

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Lega e Cinquestelle presenteranno una mozione di sfiducia al governo dopo le dimissioni di Federica Guidi dalla carica di ministro dello Sviluppo economico. Sotto accusa, il fatto che Guidi fosse un’imprenditrice e il suo possibile conflitto d’interessi. Alessandro Guarasci ha sentito il parere di due costituzionalisti, Stefano Ceccanti e Marco Olivetti

D. – Ceccanti, Guidi ha fatto bene a dimettersi?

R. – Il ministro Guidi ha fatto bene a dimettersi, perché dalle intercettazioni risulta che lei chiama il suo convivente e gli dice che è stato approvato un emendamento che lo favorisce. Ciò detto, però, questo è solo un pezzo della storia, perché quella infrastruttura, che consiste nel portare il petrolio dalla Basilicata alla Puglia, non è stata approvata per questo motivo. Il fatto che sia stato favorito il compagno della ministra Guidi è un fatto incidentale. Quella infrastruttura era stata sostenuta da mesi come infrastruttura strategica da parte del governo. Il presidente del Consiglio si era impegnato a Taranto e l’aveva presentata come una misura che favoriva l’occupazione, perché doveva poi sfociare in questa città. Quindi, quella decisione è stata presa non per un motivo di interessi. Però, quella telefonata rivela un conflitto di interessi.

D. – Il conflitto di interessi del ministro Guidi probabilmente viene da lontano. L’opportunità era di mettere una persona, un imprenditore, in un dicastero molto importante – il ministero dello Sviluppo economico – ma soprattutto un imprenditore che poi doveva anche gestire sovvenzionamenti, e così via. Questo è un problema?

R. – A dir la verità, però, le discussioni erano state sugli interessi familiari del ministro Guidi, della sua famiglia di provenienza per via paterna, e non del suo compagno. Invece, non si sono manifestati conflitti di interessi rispetto alla famiglia di provenienza. Ovviamente, in questo caso si tratta di un terreno delicato: bisogna sempre considerare l’opportunità di nomine del genere in questo settore. D’altra parte, però, non possiamo neanche pensare che si possano nominare a ruoli di governo esclusivamente dipendenti pubblici o pensionati.

D. – Secondo lei, in questo momento il governo Renzi è più debole, oppure si è rafforzato con le dimissioni del ministro Guidi?

R. – Secondo me, non è né più debole né più forte. C’è stato un episodio: questo portava alla non difendibilità del ministro e quindi il ministro si è dimesso. Quindi, il governo non si è rafforzato, ma non mi sembra neanche che si sia indebolito, perché così sarebbe stato se ci fosse la teoria che questa decisione sia stata presa per interesse del compagno del ministro Guidi. Ma non mi sembra che questa teoria sia al momento sostenibile. 

D. – Olivetti, c’è un reale conflitto d’interessi di Guidi, anche per via del ruolo che ha avuto come imprenditrice?

R. – I conflitti di interesse presunti sono sempre a rischio di arbitrarietà, ma gli interessi economici del ministro, della famiglia, la sua sfera di relazioni, esponevano per certi aspetti il ministro a questi conflitti. In questo caso abbiamo avuto, nella vicenda emersa ieri, un caso concreto e piuttosto evidente. Quindi, direi di sì.

D. – Ma noi manchiamo ancora di una normativa chiara sul conflitto di interessi? Insomma, le disposizioni di Frattini non reggono più?

R. – Le disposizioni di Frattini sono comunque un punto di riferimento utile per ragionare su questo argomento. Però, probabilmente occorrerebbe aggiornarle e anche liberarle dai condizionamenti della stagione del berlusconismo, nella quale hanno visto la luce. Infatti, tutto il discorso sul conflitto di interessi è stato condizionato da questa macro-vicenda, limitato da quest’ultima. Deve essere ripensato in un contesto in cui il conflitto di interessi possa assumere forme molto meno macroscopiche, ma comunque potenzialmente dannose per la qualità della convivenza civile. Detto questo, non ci sarà mai una legge che risolverà il problema in via definitiva e potranno sempre verificarsi casi come quello degli ultimi giorni, non estremamente gravi, ma comunque casi di conflitto di interessi. E quindi si tratta di casi in cui la misura adeguata è rappresentata dalle dimissioni del ministro. Casi come questi si verificano continuamente in tutte le democrazie e non è solo un caso italiano. Ma la soluzione è la decisione del ministro di dimettersi: in questo bisogna dare atto al ministro Guidi di non avere perso inutilmente tempo.

D. – Professore, il caso è venuto alla ribalta perché sono state pubblicate delle intercettazioni: fino a che punto ci possiamo spingere nel chiedere che alcuni colloqui privati poi diventino di pubblico dominio?

R. – Ancora una volta, sono i magistrati – i pubblici ministeri – e i giudici coloro che devono valutare se ricorrere o meno alle intercettazioni come mezzo di ricerca di prova all’interno di un procedimento penale. Quello che è anomalo è il fatto che tutto sia sempre incondizionatamente pubblicato sulla stampa: anomalia che riscontriamo anche in questo caso. Chi ha passato ai giornali i testi di quelle intercettazioni? Ciò non è chiaro. E anche qui, dovremmo dire, c’è un conflitto di interessi. Quindi, nello stesso modo in cui siamo esigenti verso i politici nel richiedere che le regole sul conflitto di interessi, anche quelle non scritte – quelle che emergono inevitabilmente dalla multiformità della vita concreta – portino ad assunzioni di responsabilità chiare come quella che ha condotto alle dimissioni del ministro Guidi, dovremmo richiedere che anche questo conflitto di interessi sia chiarito. Spesso, c’è un conflitto di interessi tra una parte della stampa, una parte delle Procure che indagano e i modi in cui questi materiali giungono ai giornali.

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Disabilità: negli ospedali italiani ancora molte barriere

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Negli ospedali italiani sono molteplici e diffuse le barriere sanitarie per i pazienti con disabilità. Solo il 36 per cento dei nosocomi prevede un trattamento prioritario. E’ quanto emerge dalla prima “Indagine nazionale sui percorsi ospedalieri per le persone con disabilità”, realizzata dalla Cooperativa “Spes contra spem” in partenariato con l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Netto, anche in questo ambito, il divario tra Nord e Sud. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Cosa succede a una persona disabile durante una visita o un ricovero in ospedale per una patologia non inerente alla sua disabilità? A questa domanda risponde la prima indagine in Italia che cerca di far luce, in modo sistematico, sulla disparità dei trattamenti sanitari tra persone con e senza disabilità. Lo studio, presentato stamani durante un convegno nella sede dell’Istituto Superiore di Sanità, certifica anche un ennesimo divario tra Nord e Sud: per persone con disabilità cognitiva, ad esempio, sono previsti percorsi sanitari nel 29 per cento degli ambulatori e dei reparti del Nord Italia contro il 6,5 per cento di quelli del Mezzogiorno. L’indagine, che ha preso in esame 814 strutture ospedaliere, individua diverse criticità.

Flussi prioritari e punti accoglienza
Complessivamente, in Italia, solo in poco più di un terzo delle strutture è previsto un percorso prioritario per pazienti disabili che devono usufruire di prestazioni ospedaliere. Solo il 16,8% delle strutture, inoltre, ha un punto unico di accoglienza per persone con disabilità.

Percorsi tattili e display luminosi per persone con deficit uditivo
Nessuna struttura ha mappe a rilievo per persone non vedenti. Solo il 10,6 per cento è dotato di percorsi tattili, assenti invece negli ospedali monitorati nelle regioni meridionali. Display luminosi sono presenti nel 57,8 per cento dei nosocomi. La percentuale scende a poco più del 40 per cento in quelli del Mezzogiorno.

Locali e percorsi ad hoc
Solo il 12,4 per cento delle strutture di Pronto Soccorso – e nessuno nell’Italia meridionale – ha locali o percorsi adatti per visitare pazienti con disabilità intellettiva. Ambulatori e reparti attrezzati, da questo punto di vista, sono invece oltre il 20 per cento.

Su questa indagine si sofferma Alessandro Solipaca, responsabile scientifico dell'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma: 

R. – Gli ospedali che hanno risposto all’indagine non sono attrezzati per accogliere persone con disabilità nelle loro strutture. Non hanno un’organizzazione tale, ad esempio, in grado di ascoltare anche le associazioni familiari… Quindi è un dato, in generale, abbastanza negativo.

D. – A proposito della situazione generale, le città italiane presentano già molte, insormontabili barriere per disabili. La cosa sorprendente è che questa lacuna si ripete anche in molti ospedali …

R. – Quello che noi vediamo negli ospedali non è altro che la fotografia di quello che accade giornalmente nelle strade, negli uffici: seri problemi sia di accessibilità sia di inclusione.

D. – E' anche evidente il divario negli ospedali tra Nord e Sud…

R. – Purtroppo gli ospedali del Mezzogiorno, generalmente, presentano indicazioni ancora peggiori. Un divario Nord-Sud che si ripete anche in questo ambito.

D. – Ci sono diverse barriere sanitarie. Alle barriere materiali si aggiungono quelle organizzative e culturali. Mancano, spesso, anche figure professionali specializzate …

R. – Soltanto il 61 per cento degli ospedali che hanno risposto hanno un “case manager”. L’ospedale quindi non è attrezzato per accogliere queste persone nelle loro strutture.

D. – Quali le priorità per ridurre le barriere sanitarie e anche il divario tra Nord e Sud in questo ambito?

R. – Credo che basterebbe far prendere coscienza a chi dirige queste strutture che esiste il problema. Si deve far conoscere loro la Carta dei diritti delle persone con disabilità negli ospedali in maniera tale che si conoscano in modo migliore i bisogni di queste persone e, quindi, si possa organizzare il lavoro nelle strutture che dirigono in maniera più adeguata.

D. – Cosa dice questa Carta?

R. – Questa Carta individua tutti i bisogni di queste persone. Sono bisogni legati sia alla mobilità sia alle relazioni. Molte disabilità – per esempio, quelle di tipo intellettivo – hanno bisogno di un approccio con questo tipo di pazienti un po’ diverso da quello utilizzato per pazienti senza disabilità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Egitto: vademecum sulla protezione delle chiese

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Veicolare un messaggio di pace, convivenza e rispetto tra l’islam e le altre religioni. È quanto si propone di fare il Consiglio supremo per gli affari islamici, organismo governativo egiziano, attraverso la pubblicazione di un libro-vademecum sul tema della “protezione delle chiese nell’islam”. A riportare la notizia è l’agenzia di stampa Fides che ha citato l’annuncio ufficiale, avvenuto lo scorso 30 marzo, da parte del ministro egiziano per le dotazioni religiose, Mohamed Mokhtar. Il capo del dicastero ha assicurato che il documento andrà in stampa entro un mese.

Scopo dell'iniziativa
L’iniziativa nasce dalla necessità di documentare come il messaggio trasmesso dal Corano rappresenta già all’interno delle comunità islamiche egiziane un riferimento positivo per la convivenza e il rispetto tra le diverse religioni presenti nel Paese. Il libro segue la scia di un altro progetto editoriale promosso dal Governo: un manuale–enciclopedia che mira a destrutturare tutte le false convinzioni che circolano sull’Islam. Uno strumento utile per combattere il terrorismo, come dichiarato dal Ministro durante la presentazione, in cui ha annunciato la prossima pubblicazione del documento di tolleranza sulle chiese.

Nel 2014 la distruzione di numerose chiese e scuole cristiane
​Nell’agosto del 2014 la reazione di alcuni gruppi fondamentalisti islamisti alla repressione condotta dall’esercito regolare portò alla distruzione di numerose chiese e scuole cristiane presenti in tutto il territorio egiziano. Nei roghi andarono in fiamme più di quaranta luoghi di culto prima di essere presi d’assalto e saccheggiati dai rivoltosi. Una recente sentenza di un tribunale amministrativo del Paese ha stabilito che le chiese, poiché luoghi sacri, non possono essere demolite. Il pronunciamento si deve alla richiesta fatta dal proprietario di una chiesa, venduta dal Patriarcato greco-ortodosso, di potere buttare giù al suolo l’edifico religioso per costruirci sopra una nuova struttura. (D.G.)

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Chiesa canadese riconosce errori su diritti degli aborigeni

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La Chiesa canadese ribadisce il suo forte e determinato impegno a sostegno dei diritti delle popolazioni autoctone del Canada, riconoscendo anche le proprie responsabilità storiche per le sofferenze inflitte in passato dagli europei alle Prime Nazioni del Paese. Lo fa in due importanti documenti pubblicati dalla Conferenza episcopale (Cnbb/Cecc), insieme alla Conferenza dei religiosi del Canada (Crc), al Consiglio autoctono del Canada e all’Organizzazione cattolica canadese per lo sviluppo e la pace.

La risposta all’”Appello all’azione numero 48”
Il primo è una risposta all’”Appello all’azione numero 48” della Commissione di Verità e riconciliazione incaricata dal Governo di Ottawa di accertare le responsabilità degli abusi e maltrattamenti perpetrati su più di 150mila bambini nativi sottratti con la forza alle loro famiglie tra il XIX e XX secolo per essere “rieducati” nelle scuole residenziali finanziate dallo Stato e gestite dalle Chiese cristiane. Un anno fa la Commissione ha pubblicato un elenco di 94 appelli all’azione a favore delle popolazioni native. Tra questi il 48° che, appunto, chiede specificamente a ogni confessione religiosa canadese di pubblicare entro il 31 marzo 2016 una risposta ufficiale in cui indicare come intende applicare le norme e i principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 2007 sui diritti dei popoli indigeni, con riferimento in particolare alla libertà religiosa.

L’impegno della Chiesa per la promozione dei diritti delle Prime Nazioni
Nella sua risposta la Chiesa cattolica canadese ribadisce l’appoggio “esplicitamente” espresso, in più occasioni, Dichiarazione Onu,  sia dalla Santa Sede che dai vescovi canadesi, ricordando, da un lato, che la Chiesa rifiuta ogni forma di coercizione religiosa, contraria alla dottrina cattolica,  e dall’altro, apprezza “lo sviluppo di una spiritualità autoctona cattolica e di un’espressione autoctona del cattolicesimo”. Inoltre, il documento richiama i numerosi appelli e l’azione concreta da essa intrapresa insieme ad altre confessioni cristiane per la tutela e promozione dei diritti delle Prime Nazioni, a cominciare da quello alla terra. La dichiarazione conclude quindi con un appello a tutti i cattolici a fare propri otto impegni per continuare “a camminare insieme ai popoli nativi e costruire così una società più giusta, dove siano coltivati e onorati i loro doni e quelli di tutta la società” . Tra questi, quello a proseguire il lavoro educativo delle scuole cattoliche per ristabilire la verità storica sulle popolazioni native in Canada e quello di promuovere una cultura dell’incontro, coinvolgendo anche insegnanti autoctoni nella formazione del clero e degli operatori pastorali. 

La Chiesa non ha mai avallato le dottrine della scoperta e della terra nullius
Il secondo documento, preparato dall’Organizzazione cattolica canadese per lo sviluppo e la pace, chiarisce la posizione della Chiesa circa l’antica controversia sui concetti legali conosciuti come la “dottrina della scoperta” e della “terra di nessuno” (“terra nullius”), addotti dalle potenze coloniali europee per giustificare l’occupazione di territori appartenenti ai popoli autoctoni. Concetti spesso ricondotti a diverse bolle papali del XVI secolo durante la colonizzazione spagnola e portoghese delle Americhe. Il testo di 15 pagine respinge con forza questa tesi e con un’ampia documentazione storica allegata, afferma che la Chiesa non ha mai riconosciuto ai cristiani il diritto di appropriarsi di terre appartenenti a non cristiani. (A cura di Lisa Zengarini)

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Sud Corea: il settimanale Catholic Times diventa digitale

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Si chiama “The Catholic Times”, ha ben 89 anni ed è il più antico settimanale cattolico della Corea del Sud. Per celebrare degnamente il suo “compleanno”, la testata ha deciso di lanciare, da oggi, 1.mo aprile, una versione digitale ed un nuovo sito Internet, raggiungibile all’indirizzo http://e.catholictimes.org/Inoltre, grazie alla collaborazione con l’agenzia Ucanews, il nuovo sito sarà consultabile non solo in inglese, ma anche in lingua cinese.

Strumento adatto alla nuova evangelizzazione dell’era digitale
“La Chiesa universale – spiega l’editore di The Catholic Times, padre Yi Ki-soo – riconosce già la proclamazione della Buona Novella attraverso i media digitali come una missione per la nuova evangelizzazione in una nuova era”. “Auspico – conclude padre Yi Ki-soo – che The Catholic e-Times, ovvero la versione elettronica del nostro settimanale, sia uno strumento utile per questa nuova epoca e per la nuova evangelizzazione”.

Disponibile anche un’apposita App
​Oltre alle notizie presenti nell’edizione cartacea, la nuova testata on line offrirà ulteriori materiale multimediale, come videoclip e gallerie fotografiche. Da segnalare, infine, che a partire dalla metà di aprile, il settimanale digitale sarà consultabile anche tramite Smartphone ed Android grazie ad un’apposita App. (I.P.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 92

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.