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Sommario del 03/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: continuiamo a scrivere il Vangelo con opere di misericordia

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Il Vangelo è il libro della Misericordia di Dio: Papa Francesco incoraggia tutti a leggere il Vangelo e a continuare a scriverlo con gesti semplici e concreti di amore. Questo il suo invito nella Messa presieduta in Piazza San Pietro, nella Domenica della Divina Misericordia. Il servizio di Fausta Speranza: 

“La Misericordia non si ferma a distanza”: Papa Francesco parla all’umanità, che riconosce “spesso ferita e timorosa, che porta le cicatrici del dolore e dell’incertezza”. E ricorda che “ogni infermità può trovare nella Misericordia di Dio un soccorso efficace”. L’invito di Papa Francesco è ad “attingere la Misericordia del Padre e portarla nel mondo”. Per fare questo chiede di “leggere e rileggere il Vangelo”, che definisce il libro della Misericordia di Dio. Ma anche “un libro aperto”:

“Non tutto è stato scritto, il Vangelo della misericordia rimane un libro aperto, dove continuare a scrivere i segni dei discepoli di Cristo, gesti concreti di amore, che sono la testimonianza migliore della misericordia. Siamo tutti chiamati a diventare scrittori viventi del Vangelo”.

Papa Francesco chiede “gesti semplici e forti, a volte perfino invisibili”, per portare la tenerezza e la consolazione di Dio. Ricorda che Gesù nel giorno di Pasqua, ha riversato nei cuori dei discepoli impauriti la misericordia del Padre, sottolineando il “contrasto evidente”:

“Da una parte, c’è il timore dei discepoli, che chiudono le porte di casa; dall’altra, c’è la missione da parte di Gesù, che li invia nel mondo a portare l’annuncio del perdono”.

Papa Francesco è chiaro: “Può esserci anche in noi questo contrasto”:

"Una lotta interiore tra la chiusura del cuore e la chiamata dell’amore ad aprire le porte chiuse e uscire da noi stessi”.

C’è una sola strada, chiarisce Francesco: “Uscire da noi stessi, uscire, per testimoniare la forza risanatrice dell'amore che ci ha conquistati”. Significa gesti di compassione e attenzione per “tante persone che chiedono di essere ascoltate e comprese”.  Dopo aver sperimentato che "la Misericordia di Dio è eterna; non finisce, non si esaurisce, non si arrende di fronte alle chiusure, e non si stanca mai”. 
E’ una certezza: “Troviamo sostegno nei momenti di prova e di debolezza, perché siamo certi che Dio non ci abbandona”. Non possiamo comprendere questo amore – dice Francesco – ma qui possiamo attingere perché da qui Cristo lascia la sua pace nel giorno di Pasqua:

“Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura”.

E’ la pace che non divide ma unisce - spiega Francesco – è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati. E’ la pace – ci dice il Papa – che “permane nel dolore e fa fiorire la speranza”. Infine a braccio l'invito: "Chiediamo di essere noi stessi misericordiosi, per diffondere ovunque la forza del Vangelo, per scrivere quelle pagine del Vangelo che l’Apostolo Giovanni non ha scritto".

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Appello del Papa per la pace in Ucraina e colletta per la popolazione

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Al Regina Caeli, il Papa ha rivolto il suo pensiero “a tutte le popolazioni che più hanno sete di riconciliazione e di pace” e in particolare ha lanciato un appello di pace per l’Ucraina. Il servizio di Sergio Centofanti

Papa Francesco pensa “al dramma di chi patisce le conseguenze della violenza in Ucraina: di quanti rimangono nelle terre sconvolte dalle ostilità che hanno causato già varie migliaia di morti, e di quanti – più di un milione – sono stati spinti a lasciarle dalla grave situazione che perdura”:

“Ad essere coinvolti sono soprattutto anziani e bambini. Oltre ad accompagnarli con il mio costante pensiero e con la mia preghiera, ho sentito di decidere di promuovere un sostegno umanitario in loro favore”.

A tale scopo, il Papa annuncia "una speciale colletta" in tutte le chiese cattoliche d’Europa domenica 24 aprile:

“Invito i fedeli ad unirsi a questa iniziativa con un generoso contributo. Questo gesto di carità, oltre ad alleviare le sofferenze materiali, vuole esprimere la vicinanza e la solidarietà mia personale e dell’intera Chiesa. Auspico vivamente che esso possa aiutare a promuovere senza ulteriori indugi la pace e il rispetto del diritto in quella terra tanto provata”.

Il Papa ha poi ricordato che domani ricorre la Giornata Mondiale contro le mine antiuomo:

“Troppe persone continuano ad essere uccise o mutilate da queste terribili armi e uomini e donne coraggiosi rischiano la vita per bonificare i terreni minati. Rinnoviamo, per favore, l’impegno per un mondo senza mine!”.

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I fedeli in Piazza San Pietro: un cristiano non può non perdonare

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Decine di migliaia i fedeli arrivati da ogni parte del mondo, che in questa Domenica della Divina Misericordia, hanno partecipato con gioia e raccoglimento alla Messa presieduta dal Papa in Piazza San Pietro. Su questa festa ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro

R. – La misericordia è importante, perché è sentirsi perdonati, è sentirsi accolti dalla Chiesa, dai fratelli, da chi ti vuole bene. E’ cercare di andare verso l’altro, uscire da noi stessi per accogliere il prossimo, che magari ci sembra meno vicino.

R. – La misericordia si trasmette perdonando, avendo pazienza, sopportando tante volte noi stessi e gli altri.

R. – Io vengo dall’Iraq e per noi la speranza della misericordia è molto, molto importante, specialmente in questo momento. Perché senza speranza, senza questa misericordia di Dio, non possiamo vivere. Ogni giorno viviamo nel pericolo e senza questa misericordia non ci sarebbe niente! Giorno per giorno noi viviamo veramente nelle mani di Dio: per questo continuiamo a vivere così, nonostante tutta la nostra difficile situazione.

D. – Nel tuo Paese, purtroppo, i cristiani sono perseguitati: in che modo si può perdonare?

R. – Possiamo solo perdonare, perché siamo cristiani! Non possiamo vivere senza perdonarci gli uni gli altri. Sì, è vero che siamo perseguitati, ma possiamo solo vivere nell’amore; e coloro che ci fanno male, possiamo solo perdonarli. Non possiamo fare nient’altro: possiamo fare solo così, perché siamo cristiani! Viviamo nell’amore di Dio e non possiamo fare altro…

D. – In questo momento si usa molto la parola misericordia, ma è davvero capita questa parola o è, forse, un po’ abusata?

R. – Forse molto spesso è abusata: è usata, ma non viene compresa. Andrebbe maggiormente interiorizzata e soprattutto messa in pratica, avvicinandosi agli altri con spirito più sincero e senza pregiudizi.

D. – Il Papa ci ha invitato a diventare buoni samaritani della misericordia. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Secondo me significa entrare in empatia con il prossimo.

R. – L’unica cosa che possiamo usare è la misericordia. Quando diciamo misericordia vogliamo dire che uno ha bisogno di essere amato.

R. – Vuol dire che noi dobbiamo essere vicini agli altri, aiutare gli altri, coloro che hanno più bisogno di noi, che soffrono, che sono più poveri di noi. Noi abbiamo questo dovere: essere vicini a loro, aiutarli ad uscire dalla povertà.

R. - Buoni samaritani anche quando ci sembra più difficile andare incontro al prossimo, abbandonare i nostri pregiudizi e quindi saper caricare la nostra croce e anche quella degli altri. 

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Francesco: una fede che non è capace di misericordia non è fede

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La misericordia di Dio ha tanti volti, è grande ed è un continuo crescendo: una fede senza misericordia non è fede. E’ il messaggio che Francesco ha portato alle circa ventimila persone presenti ieri sera in Piazza San Pietro per la Veglia di preghiera, alla vigilia della festa della Divina Misericordia, nella seconda domenica di Pasqua e nel ricordo di Papa Wojtyla, a undici anni esatti dalla morte. I fedeli hanno accolto festosamente il Papa, dopo aver atteso il suo arrivo cantando inni e ascoltando testimonianze su diverse esperienze di misericordia. Francesca Sabatinelli: 

Quanti sono i volti della misericordia con cui Dio ci viene incontro? Tanti e non si possono descrivere tutti, perché “la misericordia di Dio è un continuo crescendo”. Entra con queste parole il Papa nella Veglia in cui si è pregato anche per i cristiani perseguitati, per i cristiani prigionieri della mentalità mondana, per le persone abusate e sfruttate, per i profughi e gli esiliati, ed è soprattutto a loro che vanno le parole del Papa quando ci dice che abbandonare queste persone e buttarle via “non è da Gesù”. La misericordia “è qualcosa di sempre nuovo che provoca stupore e meraviglia nel vedere la grande fantasia creatrice di Dio quando ci viene incontro con il suo amore”:

“Dio non si stanca mai di esprimerla e noi non dovremmo mai abituarci a riceverla, ricercarla e desiderarla”.

Il nome di Dio è “misericordioso”, ci dice Francesco, e la sua misericordia è grande e infinita come la sua natura, tanto da risultare difficile “poterla descrivere in tutti i suoi aspetti”. La misericordia è anzitutto “la vicinanza di Dio al suo popolo” che si manifesta con aiuto e protezione. E’ una vicinanza genitoriale, Lui che come un padre e una madre “prende ciascuno di noi e ci solleva fino alla sua guancia”, come il bimbo del profeta Osea nella Bibbia:

“Quanta tenerezza contiene e quanto amore esprime! Tenerezza: parola quasi dimenticata e di cui il mondo di oggi – tutti noi! – abbiamo bisogno. Ho pensato a questa parola del profeta quando ho visto il logo del Giubileo. Gesù non solo porta sulle sue spalle l’umanità, ma la sua guancia stretta con quella di Adamo, a tal punto che i due volti sembrano fondersi in uno”.

Dio sa comprendere e compatire le debolezze umane, perché “in forza della sua misericordia Dio si è fatto uno di noi”. Ed è in Gesù che possiamo “toccare con mano la misericordia del Padre” e allo stesso tempo siamo spinti “a diventare noi stessi strumento della misericordia”:

“Può essere facile parlare di misericordia, mentre è più impegnativo diventarne concretamente dei testimoni. E’ questo un percorso che dura tutta la vita e non dovrebbe conoscere alcuna sosta. Gesù ci ha detto che dobbiamo essere misericordiosi come il Padre”.

Vicinanza e tenerezza, sono i volti della misericordia di Dio, che però è anche compassione e condivisione, consolazione e perdono. Una misericordia che “non può essere tenuta nascosta né trattenuta solo per se stessi”, perché chi “più ne riceve, più è chiamato a offrirla, a condividerla”. La misericordia provoca il cuore ad amare, a riconoscere “il volto di Gesù Cristo soprattutto in chi è più lontano, debole, solo, confuso ed emarginato”:

“La misericordia non è ferma, va alla ricerca della pecora perduta, e quando la ritrova esprime una gioia contagiosa”.

La misericordia, prosegue Francesco, “sa guardare negli occhi ogni persona; ognuna è preziosa per lei, perché ognuna è unica”:

“Quanto dolore nel cuore sentiamo quando ascoltiamo dire: 'Ma, questa gente … questa gente, questi poveracci, buttiamoli fuori, lasciamoli dormire sulle strade …'. Questo è da Gesù?”.

La misericordia, aggiunge quindi Francesco, “non può mai lasciarci tranquilli”. E non si deve averne timore, perché è un amore che ci permette “di riconoscere il suo volto in quello dei fratelli. Lasciamoci condurre docilmente da questo amore, è l’invito del Papa, e diventeremo misericordiosi come il Padre”:

“Abbiamo ascoltato il Vangelo: Tommaso era un testardo. Non aveva creduto. E ha trovato la fede proprio quando ha toccato le piaghe del Signore. Una fede che non è capace di mettersi nelle piaghe del Signore, non è fede! Una fede che non è capace di essere misericordiosa come sono segno di misericordia le piaghe del Signore, non è fede: è idea, è ideologia. La nostra fede è incarnata in un Dio che si è fatto carne, che si è fatto peccato, che è stato piagato per noi! Ma se noi vogliamo credere sul serio e avere la fede, dobbiamo avvicinarci e toccare quella piaga, accarezzare quella piaga e anche abbassare la testa e lasciare che gli altri accarezzino le nostre piaghe”.

Francesco chiede infine che sia lo Spirito Santo a guidare i passi degli uomini, perché “Lui è l’Amore, Lui è la Misericordia che si comunica nei nostri cuori”, da seguire “docilmente sui sentieri  che Lui ci indica”. E poi conclude proponendo un’idea che lui stesso rivela essere uscita da un incontro con un’associazione di carità e cioè quella che ogni Diocesi dia vita a un’opera di misericordia:

“Che bello sarebbe che come un ricordo, diciamo, un monumento di quest’Anno della Misericordia, ci fosse in ogni Diocesi un opera strutturale di misericordia: un ospedale, una casa di riposo per anziani, per bambini abbandonati, una scuola dove non ci fosse, un ospedale, una casa per recuperare i tossicodipendenti … Sarebbe bello che ogni Diocesi pensasse: cosa posso lasciare come ricordo vivente, come opera di misericordia vivente, come piaga di Gesù vivente per questo Anno della Misericordia?”.

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Oggi in Primo Piano



Scontri in Nagorno-Karabakh: Azerbaigian annuncia tregua

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Dopo oltre 24 ore di combattimenti con i separatisti armeni dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh, l’Azerbaigian ha annunciato un "cessate il fuoco unilaterale". L’annoso conflitto a bassa intensità, che va avanti dal 1988, si  è riacceso nella notte tra venerdì e sabato. Le parti si sono accusate a vicenda di aver violato la fragile tregua e sul terreno si contano almeno 30 vittime di entrambi gli schieramenti. Appello del presidente russo Putin perché le parti cessino i combattimenti. Il servizio di Marco Guerra: 

Un portavoce del Ministero della Difesa azero ha detto che la decisione sul cessate il fuoco fa seguito ai diversi appelli internazionali a mettere fine alle violenze che ancora si registravano fino a questa mattina lungo la linea del confine. L’Azerbaigian avverte però che saranno liberati tutti i territori occupati “se le forze armene non fermeranno le provocazioni”. Lo scambio di accuse è reciproco e da entrambi i lati si contano le vittime. Nei brevi ma intensi combattimenti di ieri Baku ha registrato la perdita di 12 soldati e un elicottero e un carro armato andati distrutti, mentre i miliziani armeni hanno stilato un bilancio di 18 morti e 35 feriti. Ci sarebbero state anche vittime tra i civili. Le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione mentre il presidente russo Putin ha chiamato i capi di Stato armeno e azero per far osservare il cessate il fuoco. In campo anche la Turchia che però ha dichiarato sostegno “fino alla fine” all’Azerbaigian.

Una regione contesa
Il Nagorno-Karabakh si trova all'interno dell'Azerbaigian ma è controllato dalla popolazione di etnia armena dalla fine delle guerra separatista nel 1994, conflitto iniziato con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, di cui entrambi i territori facevano parte, e costato la vita ad oltre 30mila persone. In questi due decenni non è mai seguito un accordo di pace, così come non è mai stato definito lo status dell'enclave. L’autoproclamata Repubblica caucasica ora è sostenuta dall’Armenia. Il territorio venne infatti assegnato negli anni ’20 del secolo scorso da Stalin all’Azerbaigian che ha una popolazione a maggioranza musulmana sciita, ma la popolazione locale del Nagorno-Karabakh resta tuttora di etnia armena e di religione cristiana. Nella turbolenta regione persistono anche molti interessi economici legati al passaggio dei gasdotti diretti dal Mar Caspio all’Europa.

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Sì del Burundi a polizia Onu nel Paese ma no a forze di pace

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Il governo del Burundi accoglie, ma con cautela, il via libera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al dispiegamento di una forza di polizia dell’Onu nel Paese per fermare le violenze. Ma dice no a truppe di pace che per l'opposizione invece sono necessarie per porre fine agli scontri che dopo la contestata rielezione del presidente Nkurunziza hanno provocato in un anno oltre 400 morti e 250 mila sfollati. Sul significato della risoluzione Onu, Eugenio Bonanata ha intervistato Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane presso l'Università di Torino: 

R. – La notizia non giunge inaspettata, perché la situazione in questo Paese è andata peggiorando di mese in mese, di settimana in settimana, soprattutto a partire dall'aprile del 2015, quando il presidente in carica Pierre Nkurunziza ha annunciato di volersi candidare per un terzo mandato presidenziale alle imminenti elezioni e questo violando la Costituzione che limita, in quel Paese, a due mandati il numero di cariche che un cittadino può ricoprire. Questo ha scatenato delle proteste popolari e ha messo in agitazione l’opposizione. Da quel momento in poi la situazione è andata peggiorando, anche perché, nonostante il veto costituzionale, il presidente ha violentemente represso le proteste, andando avanti nella sua decisione: si è candidato; a luglio ha vinto le elezioni ed ora è attualmente in carica.

D. – Questo potrà portare ad un intervento militare nel Paese?

R. – Un intervento militare nel Paese è possibile, perché comunque sia l’Unione Africana, sia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, contemplano la possibilità di ingerenza – anche militare – in uno Stato sovrano, che di per sé non è ammessa, nel caso in cui ci sia un rischio di genocidio, di crimini contro l’umanità e quindi di pericolo per la popolazione. Nel caso di violazione grave dei diritti umani, il divieto di ingerenza in uno Stato sovrano passa in secondo piano, proprio perché prevale il dovere di prevenire violazioni dei diritti umani, che possano mettere in pericolo una intera popolazione.

D. – In quale misura questa decisione del Consiglio di Sicurezza potrà aiutare il Burundi?

R. – Questa è una risoluzione e mi sembra di capire che i tempi che si è dato il Consiglio di Sicurezza siano molto stretti. Quindi la sua applicazione pratica è tutta da vedere. Dobbiamo tener conto del fatto che il Burundi è uno Stato nazionale, con sovranità nazionale, e un intervento militare è un passo molto, molto serio. C’è un precedente: l’Unione Africana, tre mesi fa, aveva deciso di inviare una forza di pace – forte di 5 mila uomini – proprio per intervenire e mettere fine alle violenze, che nel frattempo continuano nel Paese: quindi repressione, violenze, con il forte rischio di tutto degeneri in un scontro etnico. Ma, nonostante questa decisione presa dall’Unione Africana, poi non se ne è fatto nulla. In un successivo incontro l’Unione Africana ha infatti deciso di non inviare queste truppe e questo proprio in seguito al fatto che il presidente aveva nettamente rifiutato la proposta, sostenendo di essere perfettamente in grado di gestire la situazione.

D. – Cosa serve al Paese?

R. – Di cosa il Paese avrebbe bisogno? In realtà non saprei neanche dire di che cosa, perché ormai questa è una situazione di fatto: il presidente è in carica, è stato eletto; l’opposizione politica se ne è fatta una ragione. Ciò che servirebbe è una iniziativa molto seria e responsabile da parte del presidente e del partito al potere, che rappresenta la popolazione di etnia Hutu. Questo per equilibrare la situazione tra le due etnie, quella Tutsi e quella Hutu; per dimostrare di essere – cosa che credo abbia anche detto, ma nei fatti però non è stato così – "il presidente di tutti": e per ribadire che, pur avendo violato la Costituzione, vuole impegnarsi per la pace e il progresso nel Paese. Però, purtroppo, la situazione al momento è ben lungi dal risolversi, anzi…

D. – Quanto è alto il rischio che la situazione in Burundi possa estendersi anche al Rwanda, per esempio?

R. – Non credo che questo sia il problema più imminente, perché il Rwanda esce da una esperienza di scontro tribale terribile, il genocidio del 1994, e da allora ha fatto passi enormi per far sì che una situazione del genere non si ripeta più. C’è un problema, però: sia in Rwanda che in Burundi, il conflitto e lo scontro sempre temibile è tra Tutsi e Hutu. Sono due Paesi confinanti e quello che può succedere - e che in realtà sta già succedendo - è che la popolazione del Burundi che si sente minacciata, oltrepassi i confini e cerchi scampo alle violenze in Rwanda, così come negli altri Paesi vicini. Quindi questo prefigura uno scenario molto preoccupante, al di là della situazione del Paese: cioè che gli effetti negativi e le conseguenze di uno scontro nel Burundi, che è un piccolo Paese, si ripercuotano in tutta l’area circostante. Come già successo in occasione del genocidio del 1994…

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Kenya. Messa a Garissa per ricordare la strage degli studenti

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Questa mattina, la Diocesi di Garissa, nel Nord-Est del Kenya, ha ricordato con una Messa nella Domenica della Divina Misericordia la strage compiuta dai terroristi di al-Shabaab il 2 aprile di un anno fa: 148 persone, quasi tutti studenti cristiani, vennero uccisi nel campus universitario dagli estremisti islamici. Nell'omelia, il vescovo di Garissa, Joseph Alessandro, ha invitato a pregare per le vittime, per i familiari e per la conversione degli assassini. Grande la partecipazione all'evento. Ma per conoscere quale sia la situazione oggi a Garissa, Lucas Duran ha raggiunto telefonicamente Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia, organizzazione che dal 1957 è presente in Kenya e che intervenne fin dal primo momento per portare soccorso alle vittime: 

R. – C’è molta frustrazione, perché gli attacchi dell’anno scorso - oltre al terribile massacro degli studenti e al numero di feriti - ha provocato degli effetti sul territorio molto importanti, perché prima dell’attacco l’85 per cento del personale sanitario veniva da altre parti del Paese, così come la metà degli insegnanti: poiché i terroristi hanno ucciso i non residenti e i non musulmani, dopo quell’attacco all’università ed altri incidenti simili con effetti meno dirompenti, molti di questi professionisti sono scappati. Nella sola contea di Garissa mancano ancora all’appello circa 800 insegnanti e un numero imprecisato di personale sanitario, per cui ci sono scuole che hanno chiuso, centri sanitari che hanno chiuso… E questo è un problema, anche perché sta creando dei forti risentimenti nei confronti di uno Stato che sembra assente, che si focalizza molto sulla sicurezza ma che non riesce a convincere altri professionisti ad esporsi a questi rischi.

D. – Rispetto al campus universitario, che è stato oggetto della strage: il campus è aperto?

R. – Il campus è stato riaperto a gennaio, però 700 studenti non locali che frequentavano l’università non sono tornati. Adesso la maggior parte dei pochi studenti che sono rientrati all’università sono solo locali. Per cui è completamente cambiata la natura stessa dell’università. La parola “Garissa” viene ormai associata ad una minaccia nei confronti dei non musulmani.

D. – C’è il timore che possano esserci anche nuovi episodi di violenza legati alle milizie al-Shabaab?

R. – La paura di nuovi attentati è sempre molto forte e in questi giorni – ovviamente – l’attenzione è molto alta, perché gli anniversari li conoscono anche i terroristi…. C’è una tendenza ad approfittare di queste ricorrenze per ribadire il loro messaggio di violenza.

D. – Ricordiamo anche il ruolo che Amref ha avuto a Garissa nel momento della strage. E qual è il ruolo che può ancora avere Amref?

R. – Il personale di Amref che era nella città di Garissa – perché lavora proprio qui – è intervenuta subito all’Università, aiutando a portare via i feriti e a portarli in ospedale. Immediatamente sono intervenuti i “flight doctor” e abbiamo portato, con le nostre ambulanze, in aereo a Nairobi, 18 feriti fra i più gravi, che abbiamo poi anche assistito successivamente nella loro riabilitazione sia psicologica che fisica. Il ruolo di Amref sul territorio è molto importante ed è molto apprezzato, proprio perché ci occupiamo di sanità, di prevenzione dell’Hiv, del rafforzamento dei centri sanitari, di assistenza alle madri, di nutrizione, di assistenza agli orfani… Per cui la presenza sul territorio è importante ed è molto importante anche perché rappresenta un segnale che si può continuare lavorare, si può continuare a fare delle cose, pur mantenendo una forte attenzione sulla sicurezza e sulla tutela del nostro personale che opera sul territorio.

D. – Ritorniamo ancora all’anniversario della strage di Garissa: ha avuto già modo di avvicinare alcuni giovani, alcuni studenti ed avere da loro la sensazione di quello che si sta vivendo, anche in occasione di questo anniversario?

R. – La ricorrenza gli studenti la vivono quotidianamente, nel senso dell’emarginazione che vivono. Ho visitato una scuola molto derelitta, una scuola elementare e quindi con studenti molto giovani, in cui la metà dei ragazzi ha smesso di frequentare la scuola per la mancanza di insegnanti, ma anche perché vedono che le scuole e le istituzioni statali sono un bersaglio: le famiglie stesse hanno paura! Per cui si vive quotidianamente questo senso di minaccia.

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In vigore accordo Ue-Kosovo: sviluppi su migranti e antiterrorismo

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Una grande scommessa geopolitica per la stabilizzazione dell’area tra Europa e Medio Oriente: questo rappresenta l’Accordo di stabilizzazione e di associazione (Asa) tra l'Unione Europea e il Kosovo, entrato in vigore il primo aprile. Significa nuove opportunità di investimenti e crescita ma soprattutto il consolidamento del percorso di riforme avviato da questa regione balcanica a maggioranza albanese e musulmana autoproclamatasi indipendente dalla Serbia nel 2008, ma non riconosciuta come Stato sovrano da oltre 80 Paesi dell'Onu. Fausta Speranza ha intervistato Giandomenico Caggiano, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Roma Tre: 

R. – L’importanza politica è straordinaria, perché la situazione è particolarmente critica da tanti punti di vista; ma soprattutto data la necessità di controllare il flusso migratorio e poi alla luce degli altri aspetti che caratterizzano la crisi. Dal punto di vista giuridico, l’accordo rappresenta un insieme di obblighi che progressivamente riducono il gap tra la struttura 'statale' del Paese che viene “associato” e il principio dello stato di diritto, le condizioni della democrazia che caratterizzano l’appartenenza all’Unione Europea.

D. – Diritti e obblighi reciproci, ma anche opportunità…

R. – Sì, le opportunità sono a medio termine. Dal punto di vista economico, i dazi doganali cadono ed è più facile la circolazione delle persone. Ma è evidente che non sono i vantaggi economici a giustificare l’importanza dell’accordo, quanto il fatto che evidentemente la Serbia ha rimosso il suo veto, consentendo a Romania, Grecia e Spagna - Paesi dell’Unione Europea che non avevano riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, in tutto sono 5 (con Slovacchia e Cipro, ndr) - di procedere. E in cambio la Serbia ha avuto l’accesso allo status di “Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea”. Non mi sento di esaltare gli immediati aspetti economici di questo accordo, ma piuttosto quelli di carattere politico e, in particolare, quelli relativi ad eventuali flussi migratori che avrebbero potuto deviare verso il Kosovo. E poi comunque deve essere ricordato che il Kosovo è un Paese a quasi totale presenza di popolazione islamica, ancorché ci siano dei monumenti e delle chiese ortodosse. Insomma, questa presenza in maniera ordinata e coordinata con l’Unione Europea esclude o comunque riduce il rischio che vi siano attacchi. La stampa dice anche che ci sono alcune zone del territorio del Kosovo dove vi sono delle forme di jihadismo che occupano militarmente parti del territorio. Ma se questo fosse vero, l’accordo accresce comunque la possibilità di sostegno alla Repubblica indipendente del Kosovo.

D. – Come si è arrivati a questo accordo?

R. – Ci si è arrivati in un momento in cui la situazione, dal punto di vista del diritto internazionale, era piuttosto confusa, perché molti Stati non riconoscevano l’indipendenza del Kosovo: ci fu una vera e propria spaccatura, ancorché la Corte internazionale dell’Aja avesse detto che la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo non infrangeva il diritto internazionale. In questa fase così complicata, senza un accordo specifico, ha operato in Kosovo una missione chiamata “Eulex”, che ha aiutato le autorità a combattere la corruzione, a organizzare gli appalti, e soprattutto ad accrescere il controllo degli atti a livello giudiziario: questo con un certo numero di magistrati italiani. Quindi, questo è il riconoscimento che il Kosovo non parte da zero, come era nel 2008, in un isolamento internazionale e rispetto alla Serbia. Il Paese ha già compiuto una parte del processo di democratizzazione che adesso sarà perseguito in maniera più intensa sotto il controllo della Commissione europea e degli organi di associazione, creati per un controllo sui singoli dossier che comprendono l’integrazione tra l’Unione Europea e il Kosovo, piccola, ma importante realtà politica.

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Immigrazione: in aumento arrivo in Italia di minori non accompagnati

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La chiusura della rotta balcanica e la persistente instabilità economico-politica che interessa i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente hanno intensificato l’arrivo sulle coste italiani di minori non accompagnati spesso in condizione di particolare vulnerabilità psicologica ed esposti a rischio di marginalità sociale. Dell'argomento si è discusso al seminario "Minori stranieri non accompagnati: accoglienza e inclusione", organizzato a Roma dall'Ismu, l'Istituto per lo Studio della Multietnicità. Il servizio di Francesca Di Folco

Soli, con un viaggio estenuante davanti. Sono soprattutto eritrei, egiziani, gambiani e somali i giovanissimi che attraversano in solitudine il Mediterraneo per giungere in Italia. Secondo i dati ufficiali diffusi dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, su 154 mila migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2015, oltre 16 mila erano minori e di questi ben 13 mila risultavano essere non accompagnati. I minori non accompagnati sono per lo più accolti nelle regioni italiane interessate dagli sbarchi: oltre 1000 le presenze in Sicilia, Calabria e Puglia. A far riflettere ancor più è il dato relativo ai minori che risultano irreperibili: sia nel 2014 che nel 2015 per 6 mila si è segnalato un allontanamento dalla struttura di accoglienza. A quali pericoli vadano incontro, lo abbiamo chiesto alla prof.ssa Carmela Canta, esperta di politiche migratorie dell'Università Roma Tre:

“Il problema più drammatico riguarda non i presenti, perché questi ultimi si trovano nelle strutture, ma gli irreperibili, perché non sappiamo dove sono. Vanno incontro a problemi terribili, perché alcuni di questi minori – i cosiddetti 'minori economici', soprattutto gli egiziani – vengono in Italia perché le famiglie investono su di loro. E quindi questi minori hanno necessità di lavorare per poter inviare soldi alle famiglie. Ciò significa che fanno i lavori più pericolosi; sono coinvolti nel mondo della prostituzione, della droga… Ma è possibile che facciano anche altro: qualcuno parla di espianto, vendita di organi”.

Dal punto di vista normativo, sono molte le necessità specifiche per i minori secondo Ennio Codini, giurista all'Università Cattolica di Milano:

“La prima criticità riguarda la stessa individuazione della persona come minore. Sovente queste persone non hanno documenti per le circostanze che li hanno indotti anche a lasciare il loro Paese; quindi vi sono delle incertezze, anche perché la maggior parte dei minori non accompagnati non sono bambini sugli 8-10-12 anni, ma sono ragazzi, adolescenti, sui 16-17-18 anni, quindi vicini alla maggiore età. La prima difficoltà è quella di stabilire con certezza chi è la persona minore, anche perché non sempre quest’ultima ha interesse ad essere identificata come minore, e qualche volta invece vuole essere identificata come minore senza esserlo. Poi, c’è l’esigenza di accoglierli: in Europa abbiamo scelte diverse: in Italia storicamente si è molto puntato sulle strutture specifiche di accoglienza e meno per esempio sulle famiglie; fino a quanto puntare ancora sulle strutture di accoglienza o invece considerarle sussidiarie rispetto all’idea di privilegiare le famiglie, come luogo dell’accoglienza e dell’integrazione? Poi un punto veramente molto delicato è costituito dal fatto che, in realtà, molti minori stranieri non accompagnati sfuggono al sistema di accoglienza: o non vengono intercettati o vengono identificati ma poi si sottraggono alle misure di accoglienza o entrano nel circuito dell’accoglienza e poi lo lasciano, semplicemente abbandonando le strutture stesse. E questo ci segnala tra l’altro anche delle criticità circa il funzionamento di queste strutture. Questo è un aspetto davvero drammatico, perché quando noi parliamo di accoglienza rischiamo di parlare in Italia, e anche in Europa, di un sistema che riguarda non la maggior parte, ma una minoranza dei minori stranieri che vengono a trovarsi sul territorio”.

Enorme criticità è il passaggio all'età adulta, il momento di transito dei minori verso la maggiore età. Ascoltiamo ancora Codini:

“Una criticità giuridica, e non solo tale, riguarda il passaggio all’età adulta: cioè la transizione dalla minore alla maggiore età. Perché comunque lo status giuridico della persona cambia al diciottesimo anno: se la persona ha ottenuto lo status di rifugiato, può continuare a soggiornare ed è protetta. Se invece si tratta di minori non accompagnati che non hanno ottenuto lo status, perché non lo hanno chiesto, perché gli è stato rifiutato, allora al diciottesimo anno cambia la situazione giuridica e quello può essere un momento davvero critico. Addirittura c’è il rischio che la persona diventi un immigrato irregolare, con le conseguenze drammatiche del caso. In generale, comunque, c’è un problema giuridico di qualificazione della persona quando diventa maggiorenne”.

Oltre ai problemi giuridici notevoli sono quelli all'accompagnamento: l'assistenza è garantita a coloro che restano dentro il sistema, ma la preparazione alla vita adulta di successo in un paese come l'Italia è in buona misura carente.

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Gravina. Il vescovo apre la sua casa a poveri e migranti

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E’ stato inaugurato a Gravina, in Puglia, con il nome di Philoxenia, un centro d’accoglienza notturna per offrire ospitalità a persone in difficoltà e migranti. La struttura, su iniziativa di mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Gravina-Acquaviva delle Fonti, è stata adibita al primo piano dell’Episcopio, comprende 15 posti letto e vuole essere un segno permanente del Giubileo della Misericordia, come chiede Papa Francesco. Ascoltiamo mons. Ricchiuti al microfono di Tiziana Campisi

R. – Ho lanciato questa proposta, questa idea: quella di adibire a centro di accoglienza notturna il primo piano dentro al Palazzo vescovile, perché il problema riguarda persone che ad esempio dormono in macchina tutte le notti o qualche marito separato che non aveva dove poter dormire. Queste notizie le avevo anche attinte visitando la mensa della Caritas qui a Gravina; e così abbiamo fatto una richiesta a Caritas italiana per venirci incontro e riadattare questi ambienti.

D. – Da un’ala dell’episcopio di Gravina a "Philoxenia"…

R. – Ho preso la parola dalla Prima Lettera dell’Apostolo Pietro, quando quest’ultimo invita i cristiani ad essere ospitali gli uni verso gli altri. "Philoxenia" etimologicamente significa: “Amico del forestiero”. Abbiamo inaugurato questo centro dopo il restauro anche sulla base delle normative vigenti. Il centro di accoglienza notturna è al momento riservato agli uomini; poi in futuro si penserà anche ad altro.

D. – Come funziona questo centro di accoglienza?

R. – Lo abbiamo affidato ad una associazione che si chiama “Il buon samaritano”. Ho voluto che, a cominciare dalla casa del vescovo, ci fosse un segnale per venire incontro a non poche necessità: un appello rivolto sia ai religiosi presenti con le loro strutture qui in diocesi sia alle famiglie.

D. – I fedeli come hanno accolto "Philoxenia"?

R. – L’eco è stata molto bella. Penso che tutto questo contribuirà anche ad aprire le porte delle case, non dico per un’accoglienza notturna, perché forse in molte case non c’è questa possibilità; ma per cercare davvero di accogliere, soprattutto nei nuclei familiari, questi bisogni ed esigenze. Perché è necessario coinvolgersi un po’ di più personalmente, senza delegare alle mense o all’Emporio della carità. Sì, queste ultime sono strutture molto belle perché donano talvolta anche privacy e discrezione, ma sarebbe auspicabile e molto bello se le nostre case, proprio quelle delle nostre famiglie, cominciassero ad aprirsi un po’ di più a questa modalità di fare la carità.

D. – Quante persone fino ad ora si sono accostate al centro di accoglienza notturna?

R. – Fino ad oggi abbiamo ricevuto otto domande. Queste stanno aumentando di giorno in giorno, ma oltre le 15 non possiamo andare, perché il centro non può contenerne di più. Le stanzette sono molto belle, confortevoli, dotate di tutti i servizi: bagno, doccia e anche servizi per portatori di handicap, con bagni a norma. Molti di loro sono immigrati che vivono in case fatiscenti e in condizioni non proprio belle e per questo hanno fatto richiesta. Adesso il “Buon samaritano”, insieme ai loro collaboratori, stanno esaminando le richieste cosicché si cominci ad accogliere. Il centro di accoglienza notturno dà ospitalità dalle 20 della sera alle 8 del mattino. Si offrirà la colazione; in genere poi sono anche persone che vanno a lavorare e a mezzogiorno trovano la mensa della carità. Anche per i loro bisogni, come gli indumenti, c’è l’Emporio della carità sempre qui a Gravina. Insomma, abbiamo messo su questa rete – davvero – di carità.

D. – Quale messaggio vuole dare ai suoi fedeli attraverso queste opere?

R. – Il messaggio è che la diocesi e la Chiesa che è qui devono dare una testimonianza semplice, ma efficace, trasparente, di quanto celebra nell’Eucarestia: condividere, spezzare il pane, che è Cristo – pane per la nostra vita cristiana – che deve essere accompagnato da una condivisione soprattutto con i più poveri e i più bisognosi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ucraina: sempre più drammatica la situazione della popolazione

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L’appello del Papa per l’Ucraina arriva in un momento in cui si parla poco di questa crisi. Ma la situazione resta drammatica. Hanno bisogno di aiuti 800.000 persone lungo la linea che separa i territori sotto controllo del governo ucraino e 2 milioni e 700.000 nelle zone al di fuori del controllo governativo ucraino. 500.000 persone hanno urgente necessità di cibo. I maggiori bisogni sono nel settore sanitario. Sono particolarmente a rischio le donne incinte e partorienti, mentre il pericolo delle diffusione di AIDS e tubercolosi è molto alto. Mancano  gli anestetici e l’insulina. Spesso le operazioni vengono eseguite senza anestesia. Per 1 milione e 300.000 persone l’accesso all’acqua potabile è a rischio, mentre gas ed energia elettrica sono erogati senza continuità. 2 milioni e 300.000 persone hanno urgente bisogno di medicine e cure. Sono 200.000 i bambini che hanno trovato rifugio nelle regioni dell’Ucraina al di fuori delle aree colpite. 1 bambino su 4 è dunque un rifugiato.

I cattolici, che in Ucraina sono circa il 10% della popolazione, pur essendo una piccola minoranza nell’area colpita hanno strutture efficienti e si mobilitano per l’assistenza ai bisognosi. L’aiuto che il Papa invita a raccogliere sarà distribuito soprattutto attraverso le comunità religiose, e sarà ovviamente destinato a tutte le persone in necessità, senza distinzioni. Per questo si intende promuovere un coordinamento della distribuzione, gestito dai capi delle varie confessioni religiose. La raccolta dei fondi e la gestione di essi sarà curata dal Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

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Siria: alawiti lanciano appello per una transizione democratica

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La comunità alawita siriana chiede un nuovo corso e una cambio al vertice in Siria, dopo il lungo e incondizionato sostegno al presidente Bashar al-Assad. L’iniziativa è stata messa nero su bianco dai vertici di questa minoranza religiosa, di cui fa parte la stessa famiglia Assad, in un documento in 35 punti reso noto dai quotidiani La Repubblica, Welt e Le Figaro. Il testo potrebbe rappresentare una svolta nei colloqui di pace con l'opposizione e aprire ad un corso di pacificazione con la componente sunnita della popolazione. Presentato come una "Dichiarazione di riforma dell'identità", chiede la costituzione di uno Stato laico e democratico.

"Non siamo contro Assad come persona - hanno spiegato i promotori dell’iniziativa - siamo contro l'attuale sistema. Non possiamo salvare lo Stato se lui si dimette subito. Ma con lui al potere non ci saranno riforme. Così abbiamo bisogno di un cambiamento per fasi, monitorato dalla comunità internazionale".  “I nostri capi religiosi possono negoziare un accordo e garantire la protezione della famiglia Assad”, dice poi il documento che individua così una "via di uscita per il regime" e propone di "disegnare una road map per la pace".

Intanto, secondo Mosca, sul terreno nelle ultime 24 ore sono state almeno sette le violazioni del cessate il fuoco e nell'ultima settimana 12 civili sono stati uccisi e altri 21 feriti nella zona di Aleppo. Mentre la stampa turca riferisce di spari dell’artiglieria di Ankara contro postazioni del sedicente Stato islamico nel nord della Siria. E anche la Commissione suprema per la negoziazione, principale alleanza delle opposizioni, ha denunciato il pericolo di un collasso totale della tregua e pesanti difficoltà nel portare avanti il dialogo politico. Infine, a Palmira, da poco riconquistata dalle truppe lealiste, suscita orrore il ritrovamento di una fossa comune con 40 corpi, molti dei quali di donne o bambini.

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Bruxelles: riapre aeroporto, arrestato terzo complice attentatori

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Con tre voli diretti verso altrettante località europee oggi ha ripreso la sua attività l’aeroporto Zaventem di Bruxelles, lo scalo che 12 giorni fa è stato colpito da un duplice attacco kamikaze. Da domani tornerà al 20% della sua operatività per poi arrivare al normale servizio entro la fine dell’anno. Alzato il livello dei controlli: sarà vietato arrivare in auto ai terminal delle partenze, nella cui area avranno accesso solo i passeggeri muniti di biglietto. I bagagli saranno controllati all'entrata.

Intanto, sabato nella capitale Belga si sono registrate nuove tensioni a piazza della Borsa, dove la polizia ha caricato gruppi di estrema sinistra che presidiavano il memoriale delle vittime per impedire un’annunciata manifestazione dei gruppi nazionalisti che poi non ha mai avuto luogo.

Dopo il blitz degli hooligans della scorsa settimana, le autorità hanno deciso di vietare qualsiasi assembramento a Bruxelles. A Molenbeek si sono comunque riunite circa 400 persone e subito il clima si è surriscaldato con lanci di pietre e bottiglie alla polizia, che ha impedito loro di dirigersi verso il memoriale delle vittime del 22 marzo.

Infine, sul fronte delle indagini, si segnala che la Procura ha confermato l'arresto di un terzo complice degli attentatori: si tratta di  Yassine Alami, belga di 34 anni, senza fornire ulteriori dettagli "nell'interesse dell'inchiesta". E' poi emerso che Ibrahim El Bakraoui aveva affittato con una falsa carta d'identità portoghese l'appartamento da cui è partito per farsi esplodere all'aeroporto. Mentre un dipendente della rete ferroviaria belga è stato licenziato per contatti con il reclutatore del gruppo Khalid Zerkani.

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Colombia: vescovi ottimisti su apertura negoziati governo-Eln

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I vescovi colombiani sono ottimisti sull’accordo raggiunto per l’apertura di trattative tra il governo e i guerriglieri dell’Eln (Esercito di Liberazione Nazionale) con l’obiettivo di arrivare ad un accordo di pace. In questo senso si è espresso il presidente della Conferenza episcopale (Cec), mons. Luis Augusto Castro, arcivescovo di Tunja. I futuri negoziati si affiancano alle trattative con il più importante gruppo guerrigliero, le Farc, ormai prossime ad una conclusione positiva.

Chiesa colombiana invitata al tavolo dei negoziati
“La nostra speranza – ha detto mons. Castro citato dalle agenzie Fides e Sir – è che il gruppo Eln arrivi, come risultato di questo cammino, ad integrarsi con la società, in modo che finisca questa guerra insensata”. Il presule ha reso noto di aver ricevuto nei giorni scorsi una lettera dell’Eln nella quale si chiedeva alla Chiesa colombiana di essere presente al tavolo dei negoziati, una volta che questi siano pubblici. “Dopo aver consultato il presidente della Repubblica e la Commissione per la pace – ha spiegato mons. Castro - abbiamo risposto positivamente e si cercherà di appoggiare in tutto quello che è possibile tale dialogo, sperando di fornire un apporto positivo”.

Mons. Monsalve:  colloqui siano accompagnati da impegno per la verità
Dal suo canto, il Ministero degli Esteri colombiano ha annunciato che i colloqui si svolgeranno in Ecuador, Venezuela, Cile, Brasile e Cuba. Il presidente Juan Manuel Santos ha precisato, da parte sua, che essi inizieranno solo dopo che alcune “questioni umanitarie saranno risolte”, tra le quali la fine dei rapimenti da parte dei ribelli. Sul dialogo di pace è intervenuto anche l’arcivescovo di Cali, mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, secondo il quale le trattative devono essere accompagnate da “un serio impegno per la verità”. Secondo mons. Monsalve, questa nuova trattativa è un’opportunità per consolidare i progressi che si sono sviluppati a L’Avana durante le trattative con le Farc.

Nel 2014, primi contatti fra governo colombiano e Eln
I primi contatti fra governo colombiano e ELN risalgono al 2014, ma a causa delle azioni violente del gruppo guerrigliero, si sono concretizzati solo in questi giorni. L'Eln infatti è stato autore delle azioni più sanguinose negli ultimi tempi della storia colombiana. Nato nel 1964, il gruppo guerrigliero conterebbe più di 2mila uomini. (L.Z.)

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Zambia. Presidenziali: vescovi preoccupati per clima di violenza

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I vescovi dello Zambia sono preoccupati per il clima di crescente violenza che sta segnando il Paese con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del prossimo 11 agosto e ed esortano i partiti politici e candidati al dialogo. 

Convocato un incontro con i leader politici per fermare le violenze
Notizie di scontri e incidenti tra i militanti del  Partito unito per lo sviluppo nazionale (Upnd) al potere e le formazioni dell’opposizione sono all’ordine del giorno. Per fermare questa spirale, su invito del presidente Edgar Lungu, la Conferenza episcopale (Zec) ha organizzato in questi giorni un incontro con i dirigenti dei diversi partiti. I partecipanti sono pervenuti ad un accordo circa la necessità di modificare l’attuale normativa sull’ordine pubblico, con riferimento all’azione delle forze di polizia, spesso accusate dall’opposizione e dalla società civile di parzialità e di reprimere la libertà di espressione e riunione. Inoltre, essi hanno riconosciuto che le violenze non sono attribuibili solo a una parte politica e che il governo non fa abbastanza nell’azione di prevenzione dei disordini.

Le Chiese sorveglieranno il processo elettorale
Da parte sua, dopo l’incontro, la Conferenza episcopale ha avvertito che riterrà i leader politici responsabili di qualsiasi atto di violenza politica e ha annunciato la costituzione di un “gruppo di sorveglianza” formato dalle Chiese cristiane che controllerà il corretto svolgimento del processo elettorale. “Saremo vigilanti su tutto quello che i politici dicono e ogni volta che diranno una cosa contraria al loro impegno, convocheremo una riunione per chiedere chiarimenti”, ha dichiarato la Zec. (L.Z.)

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L’Onu proclama il Decennio di azione per porre fine alla fame

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Dal 2016 al 2025 si svolgerà il “Decennio d’azione delle Nazioni Unite sulla nutrizione”: a proclamarlo, l’Assemblea Generale dell’Onu che ha adottato una specifica risoluzione al riguardo. Il documento, informa una nota, si propone di intensificare l’impegno per porre fine alla fame e alla malnutrizione nel mondo, garantendo l’accesso ad un’alimentazione più sana e più sostenibile per tutti.

Fissare obiettivi nazionali sulla nutrizione
La risoluzione invita i governi a fissare obiettivi nazionali sulla nutrizione da attuare entro il 2025 e tappe intermedie sulla base di indicatori concordati a livello nazionale. Il documento dell’Assemblea Generale invita, inoltre, Fao e Oms a guidare l’attuazione del Decennio di azione, in collaborazione con Unicef, Programma alimentare mondiale (Pam) e Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad).

Soddisfazione della Fao: passi avanti nella lotta contro la fame nel mondo
Soddisfazione, naturalmente, è stata espressa dalla Fao che ha definito la decisione “uno scatto in avanti nel dare vigore alla lotta contro la fame nel mondo e a favore di una migliore alimentazione”. Ricordando, poi, che ad oggi 800 milioni di persone rimangono cronicamente denutrite e oltre due miliardi soffrono di carenze alimentari, il direttore generale dell’organismo, José Graziano da Silva, ha ribadito: "Questa risoluzione mette la nutrizione al centro dello sviluppo sostenibile e riconosce che migliorare la sicurezza alimentare è essenziale per raggiungere un programma di sviluppo sostenibile entro 2030”.

Tutelare i bambini
Fondamentale, poi, la tutela dei minori: “I bambini – ha sottolineato da Silva - non possono godere dei benefici dell’istruzione se non hanno di che nutrirsi”. Non solo: “Le economie emergenti non possono raggiungere il loro pieno potenziale se i lavoratori sono debilitati a causa di una dieta sbilanciata”. Di qui, l’auspicio della Fao che il Decennio di azione abbia successo. (I.P.)

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Vescovi della Nigeria: comunicazione autentica dipende dal cuore

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La comunicazione autentica dipende dal cuore umano, non da un uso eccessivo delle tecnologie: così, in sintesi, si è espresso padre Chris Anyanwu, direttore  delle Comunicazione sociali per il Segretariato cattolico della Nigeria (Cns), intervenendo, in questi giorni, alla prima Assemblea generale dell’Associazione dei direttori diocesani dei comunicatori cattolici nel Paese.

Incontro tra comunicazione e misericordia
L’evento è stato dedicato al tema “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, lo stesso scelto da Papa Francesco per il suo messaggio per la 50.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che ricorrerà domenica 8 maggio. Padre Anyanwu ha osservato, in particolare, che i social media potrebbero facilitare le relazioni e promuovere il bene della società. Tuttavia, quando se ne abusa, essi possono portare alla polarizzazione e alla divisione tra individui e gruppi.

Dare risalto alla dignità della persona
Di conseguenza, gli operatori delle comunicazioni sociali hanno la responsabilità di promuovere l'uso corretto dei mass-media per dare risalto alla dignità della persona umana. Infine, padre Anyanwu ha sottolineato che la comunicazione è “un invito ad amare” e deve essere orientata “verso la costruzione di una comunità di amore e di misericordia”. (I.P.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 94

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.