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Sommario del 05/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: cristiani vivano in armonia non in "tranquillità"

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Non è possibile confondere l’armonia che regna in una comunità cristiana, frutto dello Spirito Santo, con la “tranquillità” negoziata che spesso copre, in modo ipocrita, contrasti e divisioni interne. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Una comunità unita in Cristo, ha detto il Papa, è anche una comunità coraggiosa. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un cuore solo, un’anima sola, nessun povero, beni distribuiti secondo bisogno. C’è una parola che può sintetizzare i sentimenti e lo stile di vita della prima comunità cristiana, secondo il ritratto che ne fanno gli Atti degli Apostoli: armonia.

L’armonia e il suo nemico
Una parola sulla quale però bisogna intendersi, afferma Papa Francesco all’inizio dell’omelia, perché non si tratta di una concordia qualsiasi ma di un dono del cielo per chi, come sperimentano i cristiani della prima ora, è rinato dallo Spirito:

“Noi possiamo fare accordi, una certa pace… ma l’armonia è una grazia interiore che soltanto può farla lo Spirito Santo. E queste comunità, vivevano in armonia. E i segni dell’armonia sono due: nessuno ha bisogno, cioè tutto era comune. In che senso? Avevano un solo cuore, una sola anima e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Nessuno infatti tra loro era bisognoso. La vera ‘armonia’ dello Spirito Santo ha un rapporto molto forte con il denaro: il denaro è nemico dell’armonia, il denaro è egoista. E per questo, il segno che dà è che tutti davano il loro perché non ci fossero i bisognosi”.

“Tranquillità”, fragile velo
Il Papa si sofferma su questo aspetto e ripete l’esempio virtuoso offerto dal brano degli Atti, quello di Barnaba, che vende il suo campo e ne consegna agli Apostoli il ricavato. Ma i versetti immediatamente successivi, non compresi dalla lettura, offrono anche un altro episodio opposto al primo, che Francesco cita: quello di Anania e Saffira, una coppia che finge di dare quanto guadagnato dalla vendita di un campo, in realtà trattenendo per sé una parte del denaro – scelta che avrà per loro un prezzo amarissimo, la morte. Dio e il denaro sono due padroni “il cui servizio è irriconciliabile”, ripete Francesco, che subito dopo fa chiarezza anche di un equivoco che potrebbe insorgere sul concetto di “armonia”. Non va confusa, afferma, con la “tranquillità”:

“Una comunità può essere molto tranquilla, andare bene: le cose vanno bene… Ma non è in armonia. Una volta ho sentito dire da un vescovo una cosa saggia: ‘Nella diocesi c’è tranquillità. Ma se tu tocchi questo problema... o questo problema... o questo problema, subito scoppia la guerra’. Un'armonia negoziata, sarebbe questa, e questa non è quella dello Spirito. E’ un’armonia – diciamo – ipocrita, come quella di Anania e Saffira con quello che hanno fatto”.

Lo Spirito e il coraggio
Francesco conclude invitando alla rilettura degli Atti degli Apostoli sui primi cristiani e la loro vita in comune. “Ci farà bene”, dice, per capire come testimoniarne la novità in tutti gli ambienti in cui si vive. Sapendo, soggiunge, che come per l’armonia, anche nell’impegno dell’annuncio si coglie il segno di un altro dono:

“L’armonia dello Spirito Santo ci dà questa generosità di non avere niente come proprio, mentre ci sia un bisognoso. L’armonia dello Spirito Santo ci dà un secondo atteggiamento: ‘Con grande forza, gli apostoli davano testimonianza della Resurrezione del Signore Gesù, e tutti godevano di grande favore’, cioè il coraggio. Quando c’è armonia nella Chiesa, nella comunità, c’è il coraggio, il coraggio di dare testimonianza del Signore Risorto”.

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Papa: terra è dono di Dio, agricoltori ricevano giusto compenso

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Un dono di Dio i cui benefici devono essere per tutti. Così Papa Francesco definisce la terra nel videomessaggio sulle intenzioni di aprile dell’Apostolato di preghiera. Il Pontefice rivolge il pensiero in particolare agli agricoltori, i quali – è il suo appello – devono ricevere il giusto compenso per il loro lavoro. Il servizio di Alessandro Gisotti

Gracias campesino. Tu aporte es imprescindible para toda la humanidad...
“Grazie piccolo agricoltore. Il tuo contributo è essenziale per tutta l’umanità. Come persona, figlio di Dio, meriti una vita degna”. Sono le parole paterne che Papa Francesco rivolge direttamente agli agricoltori nel suo videomessaggio, in spagnolo, per le intenzioni di preghiera del mese di aprile. Il Pontefice si chiede dunque se vengano “retribuiti” gli sforzi dei contadini, di chi ha solo un piccolo pezzo di terra come mezzo di sostentamento.

La tierra es un don de Dios…
“La terra – avverte Francesco – è un dono di Dio. Non è giusto utilizzarla per favorire solo pochi, privando la maggior parte dei loro diritti e benefici.” Mi farebbe piacere, aggiunge dunque il Papa rivolgendosi ai fedeli, “che tu ne tenga conto e che unisca la tua voce alla mia in questa intenzione: che i piccoli agricoltori ricevano il giusto compenso per il loro prezioso lavoro”.

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Il Papa nomina mons. Montecillo Padilla nunzio in Kuwait

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Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Kuwait e delegato apostolico nella Penisola Arabica l’arcivescovo Francisco Montecillo Padilla, finora nunzio apostolico in Tanzania.

In Montenegro, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Bar, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Zef Gashi. Al suo posto, Pontefice ha nominato il sacerdote Rrok Gjonlleshaj, del clero dell’Amministrazione apostolica di Prizren, finora parroco della parrocchia di S. Antonio in Prishtina ed economo dell’Amministrazione Apostolica di Prizren. Il neo presule è nato il 10 febbraio 1961 a Velezh, nell’Amministrazione Apostolica di Prizren. Conclusa la formazione scolastica primaria a Velezh, ha svolto gli studi filosofici e teologici nel Seminario di Rijeka. È stato ordinato sacerdote nel 1987 per l’Amministrazione Apostolica di Prizren. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto il ministero in diverse parrocchie, prima come vicario e in seguito come parroco. È stato anche Direttore di Radio Maria, emittente cattolica locale e collaboratore della rivista religioso-culturale DRITA. Attualmente è parroco di S. Antonio in Prishtina, nonché economo dell’Amministrazione Apostolica di Prizren.

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Papa, tweet: Dio ci vuole uomini e donne di verità e forza evangelica

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il Signore ci chiede di essere uomini e donne che irradino la verità, la bellezza e la potenza del Vangelo che trasforma la vita”.

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Papa insignisce Gasbarri. Becciu: esempio di servizio alla Santa Sede

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Papa Francesco ha ricevuto, ieri pomeriggio, presso Casa Santa Marta il dottor Alberto Gasbarri, accompagnato dai familiari, già direttore amministrativo della Radio Vaticana e organizzatore dei viaggi papali, per insignirlo della Medaglia di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano. Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, i cardinali Filoni, Re, Bertello e Stella, mons. Piero Marini, il prof. Navarro-Valls, mons. Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, con le Memores Domini e i colleghi coinvolti nell’organizzazione dei viaggi papali. A rivolgere il discorso per l’occasione il Sostituto alla Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu. Il servizio di Alessandro Gisotti 

“Un lavoro impegnativo ed avvincente”, “un’occupazione che lo ha portato a visitare numerosissimi Paesi”, sempre servendo la Chiesa, il Papa e la Santa Sede con “discrezione, prudenza” e “amore”. Mons. Angelo Becciu ha tratteggiato così lo straordinario servizio svolto da Alberto Gasbarri che, dal 1982 al 2016, e quindi durante ben tre Pontificati, si è occupato dell’organizzazione dei viaggi pontifici fuori dall’Italia. Nel momento di ricevere l’onorificenza da Papa Francesco, Gasbarri ha voluto accanto a sé non solo i suoi familiari, ma anche i colleghi coinvolti nell’organizzazione dei viaggi apostolici, quasi una “seconda famiglia” per il tanto tempo trascorso assieme. Un dato che il Sostituto alla Segreteria di Stato non ha mancato di rilevare quando ha sottolineato che per questo compito “è necessaria una pronta disponibilità a donare il proprio tempo, a volte sottratto a quello da trascorrere in famiglia, per seguire da vicino l’organizzazione dell’evento”.

Viaggi papali, un’avventura ogni volta nuova
Ancora, mons. Becciu ha definito i viaggi papali “un’avventura”, “una scommessa ogni volta nuova, nella quale occorre cogliere da un lato l’intento e lo spirito che anima il viaggio e dall’altra le attese, le speranze e le preoccupazioni delle autorità e dei popoli che si dispongono a ricevere il Pontefice, a partire dalla loro cultura, dalle loro tradizioni e dalla loro storia ed avendo inoltre presente il contesto politico ed ecclesiale in cui viene ad incidere la visita”.

Onorificenza a Gasbarri, riconoscimento a lealtà e professionalità
Tale onorificenza, ha proseguito, è “un riconoscimento alla lealtà ed alla professionalità dimostrate in questi decenni”. Mons. Becciu si è quindi soffermato su alcuni aspetti peculiari delle visite del Papa alle Chiese e agli Stati. Queste, ha detto, “sono sempre dense di incontri, di celebrazioni, di momenti solenni e di altri più distesi, tutti però con una loro scansione programmata quasi in ogni dettaglio ipotizzabile”. Alla buona riuscita delle visite, ha proseguito, “contribuiscono molti fattori, uno dei quali certamente è la cura e la professionalità con la quale il viaggio viene attentamente preparato dall’équipe di coloro che ne hanno ricevuto il compito”. Mons. Becciu ha quindi ringraziato il dott. Gasbarri per il suo servizio non dimenticando anche la sua “qualificata opera in qualità di direttore amministrativo della Radio Vaticana”. L'Ordine Piano (indicato anche con il nome di Ordine di Pio IX, che lo fondò nel 1847) è attualmente il primo Ordine cavalleresco regolarmente conferito della Santa Sede.

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Sky e Ctv, lo splendore delle Basiliche papali in un film

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È stato presentato, con una proiezione in Vaticano, il film-documentario “San Pietro e le Basiliche Papali di Roma”, realizzato da Sky 3D in collaborazione con Centro Televisivo Vaticano. L’opera sarà nei cinema italiani per soli tre giorni: 11, 12 e 13 aprile. Rosario Tronnolone ne ha parlato con il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci

R. – Un’operazione come quella che sta facendo Sky è preziosa per la gente che crede di conoscere questi monumenti, ma che in realtà non li conosce e non conoscendoli, non li vede. Quindi, è una specie di aiuto alla visione ed è quello che io ho cercato di fare accompagnando il mio ideale accompagnatore –  il mio ideale studente, se così posso dire – attraverso San Pietro, cominciando dall’atrio, anzi cominciando dal grande abbraccio di pietra che Gian Lorenzo Bernini progettò e realizzò per il suo Papa, per Alessandro VII Chigi –  parlo del porticato di Piazza San Pietro. Cominciando da lì, entrando nell’atrio di San Pietro, sostando di fronte alle porte di bronzo, da quella più antica del Filarete fino a quelle novecentesche di Manzù e di Minguzzi, e poi entrando nella Basilica. La Basilica, questi due ettari quadrati, più di 20 mila metri quadrati di marmi policromi, di stucchi, di sculture, di mosaici, di pale d’altare, di bronzi, di affreschi… Quindi, cercare di orientarsi in tutto questo immenso splendore, puntando su quelli che sono gli attrattori fondamentali e quindi il Baldacchino in bronzo del Bernini, la Gloria della Cattedra che sta dietro il Baldacchino; sostare di fronte al San Pietro in bronzo, che milioni di mani hanno toccato; oppure di fronte alla Pietà di Michelangelo, che è nata proprio qui in San Pietro. Ecco, questa è l’operazione che ho cercato di fare, senza dimenticare mai che tutto, che tutta la gloria della San Pietro, che noi crediamo di conoscere, ma che in realtà non conosciamo, è nata perché circa duemila anni fa un giudeo itinerante, una specie di profeta extracomunitario diremmo oggi – Pietro, appunto –  è stato giustiziato di croce, proprio in quel punto dei Colli Vaticani e da lì è nato tutto il resto. Ecco, fare capire questo e fare capire anche la gloria dell’arte che su questa storia è nata.

D. – Ci sono anche dei luoghi, dei movimenti che lei ama in maniera particolare?

R. – C’è una basilica di Roma che io amo in particolare, dopo San Pietro naturalmente, ed è la Basilica di San Giovanni in Laterano e ho insistito molto su come sia nata la Basilica di San Giovanni: è nata nientemeno che su una caserma. Esiste ancora la Caserma dei "Milites Singulares", di questa cavalleria di mercenari che erano al servizio dell’Imperatore e che avevano lì – esattamente lì – i loro "castra" (cioè la caserma), sul colle dove adesso sorge San Giovanni in Laterano. Nella mia visita in San Giovanni in Laterano ho insistito molto sui resti archeologici dell’antico “castrum” dei cavalieri singolari, la cavalleria pretoria dell’Imperatore. Poi cosa accadde? Accade – questo racconto e questo dimostra la Basilica – che i "Milites Singulares", questo corpo militare di élite diremmo oggi, al tempo dell’Imperatore Costantino scelse la parte sbagliata: a volte succede nella storia che si mette con chi perde… Si misero con Massenzio. Massenzio venne sconfitto a Saxa Rubra e Costantino liquidò totalmente ed eliminò questo corpo militare ritenuto inaffidabile e regalò lo spazio che era stato dei "Milites Singulares" alla nascente Chiesa cristiana, che lì ha realizzato la sua basilica dedicata a Cristo Salvatore: tutto è cominciato da lì. E poi è venuto tutto il resto, di cui a lungo parlo: la grande Basilica: la Scala Santa, il Santuario che sta accanto, il grande obelisco fatto mettere da Sisto V, che celebra la gloria dell’Imperatore, ed è addirittura ancora viva la memoria del Battistero paleocristiano, in cui la leggenda dice sia stato battezzato Costantino, il primo imperatore cristiano. Ecco quante cose ci sono sepolte nella storia, nella memoria, ma anche fisicamente nella terra, quando si attraversa Roma.

D. – Un’ultima domanda, che riguarda una dimensione un po’ particolare di questo film: il fatto cioè che ciascuno spettatore ha l’illusione di visitare questa basiliche da solo, in completa solitudine, cosa che normalmente non succede perché sono sempre molto affollate…

R. – Sì, è quello l’obiettivo: far capire al visitatore che in fondo lui è il protagonista esclusivo della visita, cancellando tutto il clamore, tutto il caos, tutto il disordine frastornante che normalmente accompagna la visita di ciascuno di noi quando entriamo in un grande e celebre monumento.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Come si crea l'armonia: messa a Santa Marta.

L'Iraq nel mirino dell'Is.

Tra immagini e teologia: la recensione di Lucetta Scaraffia del libro di Giovanni Santambrogio "I volti della misericordia nell'arte" e la prefazione di Ferruccio de Bortoli.

Manciate di sale sul ring: da Tokyo, Cristian Martini Grimaldi sul sumo tra disciplina ferrea e valori etici.

Giovanni Cerro su un asceta alla corte dei re: biografia di Francesco di Paola taumaturgo e diplomatico.

Scorci quotidiani: inaugurata la mostra fotografica sulla Guardia svizzera pontificia.

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Oggi in Primo Piano



Mons. Perego: l'accordo Ue-Turchia è sconfitta dell'Europa

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Non cessano le proteste delle organizzazioni umanitarie contro l’accordo tra Ue e Turchia in materia di immigrazione che prevede l’espulsione dalla Grecia verso la Turchia di tutti i migranti irregolari arrivati dopo il 20 marzo passando attraverso il confine turco. Sono state 202 le persone espulse ieri, mentre in Germania e Finlandia sono arrivati i primi profughi, una quarantina circa, che hanno ottenuto in Turchia il diritto alla protezione internazionale. Dopo l’avvio ieri delle procedure previste dal piano, secondo le autorità greche nella giornata di oggi non ci saranno nuovi respingimenti in quanto la maggior parte dei profughi attualmente trattenuti nelle isole greche, almeno tremila, ha presentato domanda di asilo che dovranno essere valutate individualmente prima di eventuali rinvii in Turchia.

L’Onu ha garantito che non abbasserà la guardia per far sì che la dignità e la vita dei profughi vengano rispettate, ma l’accordo si profila per tanti come una vera e propria operazione di respingimento di massa. Paolo Ondarza ha chiesto il parere di mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei: 

R. – L’accordo tra l’Europa e la Turchia è anzitutto una sconfitta dell’Europa dei diritti. Non raggiungerà l’obiettivo di un ingresso regolare di richiedenti asilo in Europa e inoltre creerà una grave crisi ai confini dell’Europa stessa.

D. – Quali gli elementi di debolezza di questo accordo?

R. – Il primo elemento di debolezza dell’accordo è che si prevede il ricollocamento in Europa di 72 mila persone a fronte di altre 72 mila che vengono rimandate in Turchia.

D. – Secondo il meccanismo dell’”1 a 1”…

R. – Sì, secondo questo meccanismo. Si tratta soprattutto di siriani. E questo è già un primo elemento di grave difficoltà: ci sono già due milioni e mezzo di siriani in Turchia e solo in questi primi tre mesi sono già arrivate circa 150 mila persone in Grecia. Un secondo elemento di debolezza è che, di fatto, queste persone saranno trattenute in Grecia: nasceranno nuovi Cie, nuovi hot spot, con nuove condizioni disumane di accoglienza. Un terzo grave elemento è che la Grecia, sostanzialmente, vedrà una forte militarizzazione come risposta alla richiesta di tutele e di protezione internazionale di persone che sono in fuga – non dimentichiamolo – da guerre e da persecuzione politica e religiosa.

D. – Chiusa la rotta balcanica, ci sarà un massiccio arrivo nelle coste italiane…

R. – È un dato di fatto che sono aumentati gli sbarchi, già in quest’ultima settimana, sulle diverse coste italiane, con il rischio di una nuova destabilizzazione anche della Libia stessa, a fronte dell’arrivo di un numero significativo di migranti.

D. – Se alcune Ong hanno parlato di “espulsioni collettive” va detto che, all’indomani dell’accordo, l’Ue ha garantito che persone bisognose di protezione non potranno essere riconsegnate ai loro “carnefici”…

R. – Sono affermazioni di principio che di fatto troveranno una debolezza concreta sul territorio.

D. – Tante critiche ha sollevato anche l’intesa tra Ue e Turchia. C’è chi ha parlato di migranti trattati come “merce di scambio”…

R. – È un dato di fatto che l’accordo presenta un elemento di debolezza per quanto riguarda la possibilità di un visto di ingresso, anche per quanto concerne i turchi nell’Unione Europea. E questo porterà chiaramente anche una maggiore mobilità della Turchia verso l’Europa, soprattutto del popolo curdo: non dimentichiamo che è un popolo che sta vivendo in una situazione drammatica all’interno della stessa Turchia. Al tempo stesso, questo accordo somiglia molto a quello che fu fatto, per esempio, dall’Italia con la Libia di Gheddafi: pensando che questo possa essere una garanzia di sicurezza, sarà invece una delle debolezze più gravi che l’Europa dovrà subire nei prossimi anni.

D. – Che suggerimento si sente di dare, in questo momento, a chi può prendere decisioni, in merito al futuro, alla sorte dei tanti migranti che saranno respinti verso la Turchia?

R. – Ritornare a considerare un numero di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati certamente molto più alto rispetto ai 72 mila e ai 160 mila. L’Europa può accogliere ancora almeno un milione di persone, che possono essere distribuite nei 28 Paesi. Il come fare questa accoglienza: attraverso un corridoio umanitario europeo che vada direttamente nei Paesi da cui fuggono queste persone per riuscire a portarle direttamente in sicurezza all’interno dei nostri Paesi. Questo porterebbe certamente alla fine di tanti morti in mare, morti che stanno crescendo, e a una sicurezza maggiore per le persone, ma anche per l’Europa stessa. E questo ingresso all’interno dell’Europa sarebbe maggiormente pianificato.

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Corridoi umanitari: una speranza per i profughi siriani in Italia

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“I rinvii di migranti nell’ambito dell’accordo Ue-Turchia rappresentano un fallimento dell’Unione”. Così, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, che ieri pomeriggio alla Stampa Estera  ha presentato con la Federazione delle Chiese evangeliche il progetto “corridoi umanitari”. Un’iniziativa che ha già permesso a 97 profughi siriani di arrivare in Italia. Elvira Ragosta

Grazie ai visti concessi dall’Italia, entro fine aprile i corridoi umanitari faranno arrivare altri 150 profughi siriani che si trovano in Libano, e che in Italia potranno fare domanda di asilo. L’obiettivo di questo progetto-pilota è di garantire entro due anni il visto a 1000 profughi in condizione di particolare vulnerabilità – bambini, vittime di tratta e malati – da Marocco ed Etiopia, altri Paesi di transito, per evitare che queste persone diventino vittime di scafisti e trafficanti, e che sfidino la traversata del Mediterraneo su barconi malfermi. L’iniziativa ecumenica, ricordata anche da Papa Francesco nell’Angelus dello scorso 6 marzo come segno di impegno per la pace, è finanziata totalmente dalla Comunità di sant’Egidio e dalla Federazione delle Chiese Evangeliche con l’8 per mille alla Tavola Valdese. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:

“È un progetto altamente replicabile, perché non costa allo Stato, ma alle associazioni; è un progetto interamente fondato sui regolamenti europei. E dunque ogni Stato europeo potrebbe farlo proprio, perché si tratta di visti europei e non Schengen. Noi ci chiediamo quindi il perché di questa lentezza, vista la situazione che si è creata in Grecia e che si sta creando negli altri hotspot italiani, a cominciare da Lampedusa. Noi facciamo appello ai vari Stati europei, ma anche alla società civile, affinché prendano questo progetto che è alla portata di tutti. Qui si parla di corridoi, di vie che si aprono nella sicurezza, e non più di morti in mare; di famiglie che vengono salvate, di anziani, donne e bambini. E invece ancora vediamo immagini di muri, reti, persone che vivono accampate nel fango. E tutto questo fa male, è un dolore, quando invece ci sarebbero gli strumenti per evitare quelle scene così tristi e disumane a cui stiamo assistendo”.

Un’azione umanitaria a sostegno di persone in condizioni di vulnerabilità, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa ed etnica. I siriani fino ad ora giunti sono per il 15% cristiani, gli altri musulmani. Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, racconta l’esperienza di accoglienza ad Aprilia di un gruppo di 97 profughi arrivati in Italia:

“Abbiamo cercato una struttura che funzionava come agriturismo, di una famiglia evangelica; e, in collaborazione con le comunità locali, ma anche con le parrocchie e altre associazioni della zona, abbiamo deciso di fare lì un Centro di accoglienza di questi rifugiati. A livello della società civile, delle associazioni e delle comunità, l’accoglienza è stata per il momento assolutamente positiva”.

L’aiuto dei mediatori culturali nei corridoi umanitari è fondamentale. Asmaa è una mediatrice siriana che vive da sedici anni in Italia e che ha aiutato per la prima accoglienza a Roma dei primi rifugiati giunti:

“Sono contentissimi! Volevano imparare l’italiano, e tanti di loro già lo stanno parlando. Anche i bambini hanno tanta voglia di vivere e di stare in pace. Sono molto molto contenti!”

La procedura che ha permesso di dare vita a questi corridoi umanitari dopo la firma  del Protocollo d’intesa con il ministero degli Esteri e quello dell’Interno è l’articolo 25 del regolamento Visti dell’Unione Europea. Ce lo spiega Daniela Pompei, responsabile dei servizi agli immigrati per la Comunità di Sant’Egidio:

“Per entrare regolarmente in un Paese, non ci sono solamente Schengen o Dublino, ma c’è il regolamento europeo dei Visti. E si prevede che ogni Stato dell’Ue possa rilasciare dei visti “a territorialità limitata” per motivi umanitari eccezionali. Questo è un regolamento europeo, quindi tutti gli Stati europei lo potrebbero utilizzare. E non sono necessari nessun regolamento o norma aggiuntivi”.

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Mons. Cavina: situazione drammatica dei cristiani iracheni a Erbil

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Sono 120mila i cristiani iracheni fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive che si trovano a Erbil, in Kurdistan. La sezione italiana della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre ha organizzato una spedizione sul luogo per assistere queste persone guidata dal presidente Alessandro Monteduro. Tra coloro che hanno preso parte al viaggio, anche il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina, che ha raccontato a Maria Laura Serpico in quali condizioni vivono i cristiani iracheni che hanno trovato rifugio a Erbil: 

R. – Mi sembra che la risposta più vera sia una situazione drammatica, anche se questa parola può indicare tutto e nulla. In realtà, però, i cristiani che sono fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive vivono in una situazione di grandissima precarietà, chiusi in campi profughi, dove si trovano ad affrontare condizioni di vita che sono quasi al limite della sopravvivenza. Cito un caso di uno dei campi che abbiamo visitato – ne abbiamo visitati 7 – dove l’acqua c’è, quando c’è; la luce c’è, quando c’è… Quindi famiglie di sei, sette persone che si trovano a vivere in container di dodici metri quadrati: lì mangiano, vivono, dormono nella promiscuità più assoluta con bambini e anziani. E’ terribile vedere gli occhi di questi bambini, velati di una tristezza che veramente ferisce il cuore.

D. – Quindi sono costretti ad abbandonare l’Iraq…

R. – Tendenzialmente nei cristiani non c’è la volontà di lasciare l’Iraq. Loro, sia i profughi che i cristiani di Erbil che non hanno subito l’occupazione dell’Is,  vogliono rimanere in Iraq. Questo ce lo hanno ripetuto in tantissimi modi. Per rimanere in Iraq, però, hanno bisogno assolutamente di percepire che la comunità cristiana occidentale sia loro vicina. E questo è quanto ci ha ricordato ad esempio il Patriarca di Baghdad, che nei giorni in cui eravamo ad Erbil era presente e diceva: “Noi abbiamo bisogno di percepire che la Chiesa ci è vicina, la Chiesa universale”. Perché? Perché i musulmani ricevono tanti aiuti dall’esterno e hanno la percezione che i cristiani siano abbandonati a loro stessi. Il fatto, quindi, che ci siano vescovi, che ci siano delegazioni che dal mondo occidentale vengono a visitarci, mostra ai musulmani che noi non siamo soli, non siamo abbandonati e che dietro di noi c’è la Chiesa.

D. – Perché i cristiani iracheni sono disposti a perdere tutto pur di non rinunciare alla loro appartenenza a Cristo?

R. – Questa è veramente la cosa straordinaria che questi cristiani ci insegnano: a non avere paura, cioè, di professare apertamente la nostra fede. Loro riconoscono, e ce lo hanno ripetuto in diverse occasioni, che il Signore è la ricchezza più grande della vita. Si può perdere tutto, ma non si può perdere il Signore, perché se si perde il Signore si perde la speranza.

D. – Cosa vi ha raccontato l' arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda?

R. – Intanto, ci ha ricordato che i cristiani in Iraq vivono una serie di difficoltà che nascono dalla persecuzione, che nascono dalla crisi economica, e dice anche che proprio perché i cristiani, nonostante questa difficoltà, vogliono rimanere in Iraq, il loro modo di essere in Iraq deve necessariamente cambiare, cioè deve assumere la caratteristica della missionarietà. Per “missionarietà” intendeva dire che i cristiani in Iraq devono sentire di appartenere alla società irachena, devono porsi all’interno della società come cittadini a pieno titolo, prendere atto di una responsabilità che i cristiani hanno, anche dal punto di vista politico, sociale e civile.

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Panama Papers. Prof. Paniccia: in corso una guerra economica

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Continuano ad affiorare nomi eccellenti dall’inchiesta “Panama Papers” sulla creazione di conti in paradisi fiscali. Le rivelazioni hanno innescato proteste e l’apertura di indagini in diversi Paesi. Dal dossier emerge un mondo di potenti che sembra poter aggirare regole e fisco a proprio beneficio. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all'Università di Trieste e direttore della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia: 

R. – Emergono subito alcune considerazioni: la prima è che capiamo quanto sia difficile combattere il mondo oscuro della speculazione, dell’evasione e della corruzione, se intere classi dirigenti di decine e decine di nazioni hanno usufruito di questi vantaggi. La seconda è che vi potrebbero essere degli obiettivi che meno hanno a che fare con la ricerca della giustizia e della verità, se cominciamo ad analizzare più approfonditamente i contenuti delle carte stesse. Si tratta di ben 11,5 milioni di file, dai quali è immediatamente emerso il nome di Putin. Quindi, da un lato, capiamo che la questione è diffusa ed è veramente globale ed internazionale. Dall’altro, dobbiamo capire meglio se non vi siano anche degli obiettivi “meno nobili” nelle carte di Panama.

D. – Lo studio su questa enorme banca dati sembra legato, oltre che ad un consorzio di giornalisti, anche ad un apparato complesso…

R. – Per quanto i giornalisti del consorzio internazionale siano 190, di oltre 60 Paesi, appare difficile la conduzione di file di queste dimensioni, che hanno più il sapore di un’agenzia specializzata. E naturalmente, poiché la centrale del consorzio dei giornalisti ha un riferimento a Washington, è evidente il sospetto di un’agenzia per colpire, all’interno di una caldissima e turbolenta stagione elettorale americana, nemici storici - in questo caso Putin - ma forse anche per diffondere una serie di notizie su presunti amici o alleati.

D. – Può essere questa inchiesta il riflesso di una “Guerra Fredda” in corso?

R. – Una guerra economica, destinata a mio parere a continuare, non solo tra potenze, tipo Guerra Fredda, ma anche all’interno delle stesse Unioni. Non vi è alcun dubbio che, seppur in una chiave più ridotta, i Paesi europei, che dovrebbero essere assolutamente alleati, coesi, si fanno una guerra molto forte e combattono spesso anche con mezzi sleali. Non a caso, ancora una volta, sono coinvolte in queste cose oscure molte banche europee, anche in Paesi che sono alla guida dell’Unione, come per esempio la Germania e il Lussemburgo. Direi che questo è un fatto su cui dobbiamo riflettere moltissimo. I punteggi - i rating - tutte queste cose con le quali conviviamo da anni, dovrebbero tenere più conto non solo dei Pil, dei debiti e di altri indicatori economici, ma anche di un indicatore etico. E allora credo che avremmo delle grosse sorprese. Spesso additiamo Paesi tra gli ultimi della classe, e poi scopriamo che i primi sono in liste come questi dei “Panama Papers”.

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Risarcimento record dalla Bp per disastro nel Golfo Messico

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20 miliardi di dollari di risarcimento a carico della compagnia Bp: è uno dei punti chiave della sentenza che chiude anni di controversie legali per il disastro ambientale più grave della storia americana: la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico nel 2010, dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della British Petroleum. 11 operai morti e cinque Stati Usa danneggiati dalla marea nera, che per tre mesi ha continuato a riversarsi nelle acque e lungo le coste del Golfo. La causa contro Bp è considerata il “processo ambientalista del secolo". Fausta Speranza ha intervistato l’esperto di ambiente Antonio Cianciullo, direttore di “Materia rinnovabile”, magazine di economia circolare: 

R. – E’ difficile avere soddisfazione di fronte ad un danno ambientale come quello creato dal disastro della Deepwater Horizon, con un incendio che ha causato la morte di 11 operai. Sono danni, quindi, che non possono essere monetizzabili. Detto questo siamo di fronte alla sentenza, dal punto di vista economico, più dura della storia nel campo dei disastri ambientali: 20 miliardi di dollari cui si dovranno poi sommare altri costi per il risarcimento di privati. Perché questi fondi andranno a risarcire solo i cinque Stati americani colpiti dalla marea nera. Nel complesso il suo esborso arriverà a 53 miliardi di dollari. Questa è una cifra che occorre tenere presente, perché quando si parla di petrolio, di investimenti a rischio in zone pericolose, bisogna sapere che a fronte di questo pericolo c’è un danno ambientale che, anche solo economicamente, ha questa misura.

D. – Ovviamente bisognerebbe prevenire ed evitare questi disastri. Ma questa sentenza, in qualche modo, può contribuire ad un percorso normativo all’altezza della situazione?

R. – Per decenni i disastri ambientali hanno avuto risarcimenti nulli o quasi. Questa sentenza è importante. Penso al disastro di Bhopal, risarcito con un pugno di lenticchie per le vittime. Penso, in Italia, alla tragedia della Eternit, con la coraggiosa sentenza di primo grado che per la prima volta ha colpito i vertici di un’azienda colpevole di un disastro che seminerà ancora migliaia di morti all’anno: si calcolano duemila morti all’anno ancora per decenni. Ebbene, la decorrenza dei termini, quindi questo limite di tipo legislativo, ha impedito alla sentenza di avere effetto reale. Per fortuna, per quanto riguarda l’Italia, l’anno scorso è passata la legge sui reati ambientali che ha modificato la decorrenza dei termini. L’ha resa più lunga e ha delineato quattro nuovi delitti ambientali: l’inquinamento ambientale; il trasporto e abbandono di materiale radioattivo; l’impedimento al controllo e il disastro ambientale. Devo dire che con questa legge in Italia ora siamo un pochino più tutelati.

D. - E, in generale, cosa dire ancora quando parliamo di ambiente e di tutela?

R. – Ci sono una serie di attività ad alto rischio che vanno messe in discussione, non solo per gli effetti drammatici evidenti nel momento di un’esplosione o di un disastro, ma anche per gli effetti di una routine. Penso, ad esempio, alla questione del nucleare con i due drammatici episodi che tutti conosciamo - Chernobyl e Fukushima - con anche, però, il problema che si sta manifestando proprio in queste ultime settimane del trasporto e della conservazione dei materiali radioattivi, che possono anche essere oggetto di attacchi terroristici e che ancora non hanno trovato una forma di smaltimento sicuro. L’altra questione è quella del petrolio. Il Mediterraneo è un mare che per lo stillicidio delle perdite delle operazioni di routine ha il più alto tasso di catrame sui fondali del mondo: 38 milligrammi per metro quadro a fronte di 10 milligrammi del Mar dei Sargassi, che è il secondo classificato in questa triste classifica. Quindi ci sono delle attività che vanno valutate in maniera certamente etica, ma anche economica. Se, infatti, i danni che producono venissero conteggiati realmente, queste attività andrebbero fuori mercato. Oggi appaiono convenienti perché una quota del rischio e una quota dei danni finisce nell’oscurità, cioè viene pagata dai privati che non utilizzano quei beni. Questa è un’ingiustizia anche economica.

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Cantelmi: sul gender psicologi "zittiti" dai loro Ordini

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La libertà di ricerca scientifica va tutelata e non può essere soggetta ad intimidazioni. Così il presidente dell’Associazione Italiana Psichiatri e Psicologi cattolici, Tonino Cantelmi, su Avvenire denuncia la vicenda di alcuni psicologi “zittiti” dai loro Ordini, a seguito di esposti, per aver espresso opinioni difformi sul tema del gender o dell’omogenitorialità. Sebbene la letteratura scientifica non abbia espresso una parola definitiva nel merito, spiega Cantelmi, alcuni professionisti rischiano la sospensione o addirittura la radiazione. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Alcuni psicologi in maniera, a mio parere, subdola preparano degli esposti abbastanza “copia e incolla” nei confronti di altri psicologi che, in alcuni dibattiti pubblici per esempio, hanno sostenuto l’inopportunità di alcuni estremi della teoria gender o qualche perplessità sull’omogenitorialità… Questi esposti arrivano poi alle Commissioni deontologiche, le quali inevitabilmente aprono dei procedimenti. C’è da dire anche un’altra cosa ancora peggiore, dal mio punto di vista, e cioè che il Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi ha sposato un documento, secondo il quale la cosiddetta teoria gender non esiste... Peccato che proprio un mese fa l’"American College of Pediatricians", (il Collegio degli Psichiatri Americani), ha pubblicato un documento critico proprio sulla teoria del gender (“Gender Ideology Harms Children”, trad: “L’Ideologia gender danneggia i bambini” - ndr).

 D. – A dimostrazione che gli studi scientifici sono tutti aperti in questo campo…

 R. – Ecco, proprio questo è il punto: io ho fatto una ricerca, analizzando un po’ tutti gli studi scientifici dagli anni Sessanta a oggi sul tema dell’omogenitorialità, e dire che la questione sia risolta mi sembra veramente superficiale e semplicistico. La cosa che mi colpisce è pensare che in qualche modo ci sia una posizione già definita e raggiunta: ecco, questo lo trovo veramente ridicolo. Tutta la scienza va avanti per ipotesi e disconferme di queste ipotesi.

 D. – Gli psicologi che sono stati ripresi con procedimenti disciplinari hanno espresso in qualche modo opinioni lesive nei confronti delle persone omosessuali?

 R. – Alcuni li conosco personalmente e sono assolutamente sicuro, anche perché poi ci sono delle videoregistrazioni, che non ci sia nulla di lesivo o nulla di ingiurioso o diffamante. Si tratta di un dibattito…

 D. – Mi faccia un esempio: che tipo di affermazione potrebbe essere soggetta a un esposto e poi ad un provvedimento disciplinare?

 R. – Colui che fa un esposto dichiara che lo psicologo ha citato soltanto alcuni studi e non altri ancora e quindi ha assunto una posizione parziale. Ma così rischiamo di sopprimere – quello che è in gioco, dal mio punto di vista – la libertà degli psicologi, la libertà di esprimersi, ma anche la libertà di fare ricerca. Se oggi io facessi una ricerca partendo dall’ipotesi – in scienza si fanno sempre delle ipotesi – che l’omogenitorialità potrebbe essere un fattore di rischio per la salute mentale, forse rischierei una campagna denigratoria contro di me, come se fosse un’ipotesi omofoba.

 D. – Professore, quindi anche lei, con queste affermazioni, potrebbe essere in qualche modo vittima di una denuncia di qualche tipo. E’ spaventato, quando rilascia queste dichiarazioni?

 R. – No, assolutamente. Credo di esprimere opinioni molto di buon senso e sono pronto anche a dimostrarlo… In realtà, questo è già avvenuto nei miei confronti: nel 2008 sono stato vittima di una campagna assurda, condotta da alcuni quotidiani, per aver affermato che laddove c’è una distonia, quindi una non accettazione del proprio orientamento, è lecito offrire un aiuto psicoterapeutico.

 D. – Qualche collega più giovane di lei potrebbe però sentirsi spaventato ad affermare cose di questo tipo…

 R. – Sono tutti molto spaventati, in realtà. Non è un clima nel quale è possibile esprimere con libertà la propria opinione. Uno psicologo mi ha telefonato ed è stato vittima di uno di questi esposti: è una persona che io conosco personalmente, una persona eccellente, accurata, sensibile… E ovviamente confidiamo nella saggezza della Commissione deontologica. Però, sono giorni di preoccupazione, di ansia, in cui una persona rischia di essere sospesa, in alcuni esposti si chiede addirittura la radiazione… Ma se diamo spazio a questo tipo di esposti, questo psicologo poi si sottrarrà a futuri dibattiti e avrà quindi difficoltà a mettersi in gioco.

 D. – Lei su “Avvenire” scrive: “Oggi le associazioni Lgbt possono far dimettere un politico, boicottare una industria, ma non si dovrebbe impedire la libertà di ricerca scientifica”. Quindi, si prende atto di una pressione che viene esercitata a livello pubblico?

 R. – La pressione è micidiale e questo riguarda anche la stampa. Noi abbiamo visto manager costretti a dimettersi per aver urtato la comunità gay, noi abbiamo visto grandi industriali dover chiedere scusa per aver espresso un’opinione personale pubblicamente, che non corrispondeva alle attese della comunità gay… Ma – detto tutto questo – io credo che almeno nell’ambito della ricerca scientifica, dell'insegnamento, delle opinioni, si debba lasciare libertà di espressione. Non possiamo essere vittime di una pressione sociale così potente!

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Giappone. Trovati i resti di p. Sidotti "l'ultimo missionario del Sol Levante"

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Le autorità del Giappone hanno confermato ieri l’autenticità dei resti dell'Abate Giovanni Battista Sidotti (Sidoti), ritrovati circa due anni fa in uno scavo a Tokyo. Si tratta "dell’ultimo missionario nel Paese" di cui per 300 anni si erano perse le tracce. Siciliano partito da Roma, via Manila arrivò nel Sol Levante nel 1708. Fu subito catturato e dopo una serie di interrogatori che consentirono al Giappone di conoscere la religione cattolica, la geografia e la storia dell’Europa, fu imprigionato. Don Sidoti morì dopo essere stato gettato in una fossa vicino a quelle di una coppia di sposi che aveva convertito durante la prigionia. Circa 150 anni fa, fu scoperto il manoscritto che parlava di lui redatto del consigliere dello shogun, Arai Hakusek, che lo aveva interrogato. “Nell’anno del Giubileo della Misericordia splende un sole meraviglioso”, ribadisce da Tokyo fra Mario Tarcisio Canducci, che ieri ha presenziato all’incontro con i rappresentati della chiesa locale e le autorità del municipio di Tokyo-Bunkyo: 

R. – C’è stato un buio per 300 anni e poi, all’improvviso, adesso viene un sole fantastico! Sono contento! Nell’Anno della Misericordia arriva questo sole! Ho 82 anni, ma sono ringiovanito di 40!

D. – Ieri, un’ora prima della conferenza stampa, ha avuto il privilegio di vedere le ossa di Sidoti: che cosa ha provato?

R. – Ho detto al responsabile che ha portato avanti tutte le pratiche e che aveva le reliquie in una borsa: “Mettiamole sul tavolo, mi permetta di  pregare”. Ho detto in giapponese: “Ti ringrazio Signore per questo dono che ci hai dato del martire Sidoti. Grazie per averci fatto conoscere che le sue ossa sono quelle che noi veneriamo adesso”. Perché questa è una notizia enorme, bellissima, straordinaria!

D. – Le ossa vennero trovate circa due anni fa mentre era in corso uno scavo per la costruzione di un palazzo. Lei si precipitò lì…

R. – Iniziarono i lavori e subito trovarono tre tombe e le ossa. Allora dovettero chiamare la polizia, secondo quanto afferma la legge giapponese. Venni  a sapere di questa cosa all’improvviso e andai di corsa, ma quando arrivai, già avevano prelevato le ossa: forse un’ora prima del mio arrivo. Il portone del recinto – enorme – era aperto: andai con Suor Saito, anche lei francescana di 92 anni, una suora molto in gamba, e con una cattolica della parrocchia di Sant’Antonio a Tokyo dove sono io. Andammo là, e io urlai: “Permesso, permesso! Vorrei entrare!”. Era proibito entrare, dal momento che avevano recintato, ma questo era aperto e nessuno mi aveva risposto… E quindi entrai, vidi le tre buche e dissi: “Mamma mia, ma questa è la tomba di Sidoti”. La più lunga era la sua, era un uomo alto. Una cosa incredibile! E poi le ossa sono state ritrovate in un modo incredibile, perché nessuno avrebbe mai pensato che con questi lavori si sarebbero rinvenute. Quando ho visto la tomba ho detto: “Preghiamo, perché questa è la tomba dove è stato sepolto don Sidoti”. E abbiamo pregato insieme. Ho cominciato a diffondere la notizia, a richiamare l’interesse della gente. Sono contento, perché nel 1700 tutti erano scomparsi… Non c’era più neanche un prete in Giappone! Non c’era un sacerdote! Lui – l’unico, l’unico, lui, italiano di Palermo – una cosa incredibile, mamma mia!

D. – Don Sidoti, siciliano, passa per Roma, Manila, e poi il Giappone. È considerato l’ultimo missionario del Sol Levante…

R. – Nel senso che prima di lui, nel 1650-60 arrivarono dei missionari che furono subito presi. E dopo di lui non è entrato più nessuno fino ai tempi delle missioni estere di Parigi, nel 1860 circa.

D. – L'Abate Sidoti è stato sempre erroneamente considerato un gesuita…

R. – Non lo è assolutamente. Ieri ha parlato il prof. Koso, rettore dell’Università "Sophia" dei Gesuiti, dicendo che si è trattato di un grande sbaglio, era del clero secolare della diocesi di Palermo.

D. – Grazie a tre interrogatori del consigliere dello shogun, Arai Hakuseki, don Sidoti aiuterà il Giappone a capire meglio l’Europa. Hakuseki trascrisse tutte risposte ed avrebbe voluto liberare il sacerdote, ma perché entrato illegalmente il governo lo condannò ad un carcere “morbido”. Don Sodoti convertirà in carcere una coppia di sposi giapponesi e per questo i tre verranno lasciati morire in tre fosse…

R. – L’hanno tenuto in prigione per più di tre anni. Era una prigione per persone – diciamo così – “altolocate”. E nel frattempo, i due suoi servitori – erano due vecchi sposi – che avevano visto come si comportava don Sidoti gli chiesero di spiegare la fede e… è una storia bellissima… e di essere battezzati. Il governo venne a sapere quanto accaduto, battezzare era considerato un “crimine”, e allora pensò di rendere la prigionia molto più severa. Lo buttarono in un buco di 140 cm per 180 cm di larghezza, profondo più di tre metri. Anche i due sposi furono messi in due buchi. Tutti  sopra di loro avevano un coperchio e ogni giorno ricevevano una scodella di riso acquoso e basta. La prima a morire fu la donna e poco dopo morì anche il marito. Don Sidoti urlava dalla prigione: “Coraggio! Coraggio! Il Paradiso è vicino! Tenete forte la vostra fede!”. Arai Hakuseki, sentendolo urlare in questo modo dopo l’interrogatorio, disse: “E’ impazzito!”. Non poteva capire come una persona potesse morire in quel modo per fede. Per lui era incomprensibile…”

"Un evento straordinario anche in relazione al 150. esimo delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone" ribadisce l'Ambasciatore italiano a Tokyo, Domenico Giorgi, presente alla cerimonia di ieri insieme alle più importanti testate giornalistiche giapponesi: 

R. – Celebriamo quest’anno i 150 anni dello stabilimento delle relazioni diplomatiche e commerciali fra i due Paesi e proprio il ritrovamento di questi resti ha una importanza particolare, perché ci rimanda la fatto che in realtà le relazioni umane tra i due Paesi sono più antiche, vale a dire che ci riporta a quello che gli storici giapponesi chiamano il “secolo cristiano” e quindi le missioni – in particolare dei gesuiti, molti dei quali italiani – a inizio Seicento. Così come vi furono due visite giapponesi in Italia: una promossa dal gesuita padre Alessandro Valignano, con i quattro giovinetti del sud del Giappone, che vennero ricevuti dal Pontefice ed accolti nelle principali città italiane; e poi quella Tsunenaga Hasekura all’inizio del Seicento. Sidoti, temporalmente, viene quasi un secolo dopo questi eventi, ma ci riporta alle radici profonde del primo contatto fra i due Paesi.

D. – Quali, dunque,  le iniziative previste per questo 150.mo, anche alla luce di questa bella scoperta?

R. – Ci saranno diverse iniziative, come la mostra rivolta ad illustrare la missione dei quattro giovani signori feudali del sud del Giappone, nel 1582-83, in cui si ricorderà tutta questa complessa e interessantissima storia. Il ritrovamento di Sidoti ci riapre la possibilità di allargare questo approfondimento fra i due Paesi. Sappiamo che il sindaco di questo municipio di Tokyo-Bunkyo – Tokyo è divisa in 23 città – intenda organizzare una mostra dedicata a Sidoti, a tutto questo, anche perché ieri si è costatato che c’è un notevole interesse da parte della stampa giapponese: tutti i più grandi giornali e le principali televisioni erano presenti…

D. – Lei ha ribadito: “Al di là delle convenienze economiche e diplomatiche, i rapporti sono dati dalle persone”…

R. – La trama di fondo del rapporto tra Italia e Giappone è basata su aspetti di tipo culturale e sulle persone. Le faccio un esempio: subito dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche, che erano connesse a problemi commerciali ed economici specifici, la prima azione che venne svolta dal governo italiano fu di inviare in Giappone esperti di grande livello nel mondo della cultura: un architetto, uno scultore, un pittore, un incisore… che per anni hanno poi insegnato a Tokyo. I giapponesi hanno percepito l’Italia come la culla della civiltà occidentale.

D. – Quali sono oggi le sfide per l’Italia in Giappone?

R. – Anzitutto, quella di saper continuare a sviluppare, su basi così solide, il patrimonio che le generazioni precedenti hanno costruito, che soprattutto e prima di tutto è basato sulla cultura nei suoi aspetti più ampi e collegata al turismo, allo scambio delle persone, dei giovani, degli studenti. Tutto questo è essenziale e viene prima poi della capacità di sviluppare altre iniziative in altri ambiti.

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Rio de Janeiro, il card. Ravasi per il Cortile degli Incontri

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Si intitola “Il Cortile degli Incontri” la tappa brasiliana del “Cortile dei Gentili”, che si svolge da domani a venerdì prossimo a Rio de Janeiro. Protagonista, l’etica, considerata come valore cardine attorno al quale imperniare ogni forma di agire sociale. L’inviato nella metropoli brasiliana, Silvonei Protz, ne parla con il l’arcivescovo della città,  il cardinale Orani João Tempesta

R. – Quando abbiamo avuto quest’idea del “Cortile degli Incontri” non era ancora il momento che viviamo adesso in Brasile: problemi relativi ai tanti scontri e problemi che riguardano la politica, sociali, della mancanza di lavoro… Insomma, tanti problemi di questo tipo. Ora, però, è proprio il momento per parlare di questo: in un Paese così diviso, in due parti, credo sia un momento molto importante per dire e riaffermare l’importanza del dialogo e dell’incontro.

D. – Un momento “profetico” possiamo dire allora…

R. – Sì, un momento che è chiesto da Dio, perché Dio ha provveduto a tutto questo. Infatti, quando pensavamo e abbiamo scelto l’idea non c’erano tutti i problemi che ci sono adesso. Però, certo, ora è il momento giusto per parlare di tutto questo in Brasile: come riaffermare l’etica in un mondo che non vuole vivere davanti a Dio, che non vive il problema della fede... L’etica di cui tanti brasiliani necessitano in questo momento.

Come nello stile del “Cortile”, il programma prevede numerosi incontri con i vari settori della società brasiliana, dall’ambito del dialogo interreligioso a quello del confronto con il mondo della cultura e dell’arte. Lo sottolinea il vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, mons. Paulo Cesar Costa. L’intervista è di Silvonei Protz

R. – Vogliamo portare avanti la cultura dell’incontro che Papa Francesco ha lasciato al Teatro Municipale qui a Rio De Janeiro. Vogliamo portare avanti questa proposta di Papa Francesco che è convinto che la cultura dell’incontro faccia la differenza nella vita della società; è convinto che le persone, gli uomini, le donne di una società devono essere capaci di incontrarsi e, insieme, trovare vie d’uscita per i grandi e i piccoli problemi della vita di una società. È questa la cultura che vogliamo portare avanti nella nostra città di Rio De Janeiro e nel nostro grande Paese, il Brasile.

D. – Questo “Cortile degli Incontri” che messaggio porterà a Rio De Janeiro?

R. – Porterà il messaggio dell’etica e della trascendenza. Quello etico è un discorso molto importante per noi in questo momento storico. Il Brasile vive un momento difficile dal punto di vista politico e in quest’era di cultura postmoderna vogliamo parlare dell’etica, domandandoci però se senza di essa vi sia consistenza. Pensiamo che nella religione Dio porti veramente consistenza al discorso etico. Nell’uomo, se c’è una tendenza per il bene, c’è anche una tendenza per il male. San Paolo diceva che tante volte facciamo il male che non vogliamo. Questo significa che la grazia di Dio e la religione sono molto importanti nella scelta del bene e nel condurre la mente dell’uomo a scegliere il bene e a fare il bene. Quando proponiamo il tema etica e trascendenza vogliamo che ognuno si domandi: “Da dove viene la mia etica? Qual è la consistenza della mia etica?”. Vogliamo che tutti riflettano su questo, perché in questo momento l’etica è un tema importante nella vita della società e del nostro Paese. La Chiesa in questo momento vuole dare il suo contributo.

D. – Parteciperà anche il cardinale Ravasi, che nei prossimi giorni sarà presente a Rio De Janeiro…

R. – Sì, sarà il personaggio centrale di questi incontri. Verrà e parlerà di etica e trascendenza al Teatro Municipale, dove ha parlato Papa Francesco. Sarà presente in tutti gli incontri che promuoveremo in questi giorni; incontri con artisti, con persone del mondo del samba, avrà un momento con le altre religioni… Vogliamo veramente dire alla società e alla nostra città l’importanza dell’incontro: gli uomini e le donne attraverso l’incontro possono riflettere e trovare soluzioni per i piccoli e per i grandi problemi della vita nella nostra società.

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Pronta prima edizione italiana del Talmud, grande testo ebraico

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Per la prima volta nella storia, è stata pubblicata la traduzione del Talmud in italiano, testo sacro dell’ebraismo e dalla storia tanto travagliata. La presentazione della prima edizione oggi a Roma, all’Accademia dei Lincei, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Francesca Sabatinelli: 

Una raccolta di norme e di interpretazioni: si potrebbe semplificare così la spiegazione di cosa sia il Talmud, ma che è molto di più. Il Talmud, di cui oggi una parte è tradotta in italiano dall’aramaico, è l’essenza fondamentale dell’ebraismo, è la legge orale, un dibattito aperto su qualsiasi questione. Quello appena tradotto è un primo volume di circa una trentina che ne seguiranno, editi da Giuntina di Firenze, ed è il "Trattato di Rosh haShanà", Capodanno in ebraico. Coordinatore del progetto è il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:

R. – Il Talmud è il pilastro della cultura ebraica dopo la Bibbia. Sostanzialmente è la seconda Bibbia del popolo ebraico. E’ un’opera di dimensioni enormi e di difficile comprensione che, malgrado questa difficoltà, rappresenta comunque il cuore dello studio, che è un dovere per la religione ebraica, e della formazione religiosa. Oltre alla religione, in senso stretto, affronta problemi di vario tipo: dalla scienza alle questioni giuridiche, alla storia, all’interpretazione della vita. E’ quindi un patrimonio del popolo ebraico e, indirettamente, dell’umanità. Hanno cominciato a tradurre questo testo nel secolo scorso in varie lingue europee, prima in tedesco e poi ci sono state edizioni in inglese, con strutture sempre più affinate e accurate dal punto di vista tipografico, con a fronte il testo originale. Questo tipo di traduzione mancava in italiano e farla è stata una grande impresa. Abbiamo messo a punto un sistema che ha cominciato a produrre un primo trattato e vogliamo presentare questo primo risultato.

D. – E’ stato tradotto in inglese e in tedesco, ma la comunità ebraica italiana non è tra le più grandi e quindi, in Italia, a chi può essere diretto questo testo?

R. – Intanto, anche se non c’è confronto tra le dimensioni della comunità ebraica italiana e quella che parla inglese, comunque c’è sempre un certo numero di persone dentro la comunità che possono usufruire di quest’opera. In ogni modo, questo è qualcosa che non rimane chiuso dentro la comunità, ma serve come riferimento culturale per un pubblico molto vasto. Non dubito che ci sarà molto interesse da parte di molte persone, soprattutto provenienti da altri mondi religiosi. Stiamo dando uno strumento di consultazione, prima di tutto, e di studio, dando così una possibilità di accesso molto larga.

D. – Il Talmud è stato anche all’origine di scontri tra ebrei e cristiani. Questa versione tradotta in italiano, in qualche modo, darà una spiegazione a ciò che è accaduto nel passato?

R. – Gli scontri, nel senso di persecuzioni contro il testo, sono dovuti a motivi pretestuosi, sostanzialmente. Ci sono qua e là, sparse nel Talmud, delle frasi polemiche nei confronti della società circostante che, a sua volta, non era tenera nei confronti dell’ebraismo, ed estrapolando questi brani dal contesto, tra l’altro solo alcuni brani qua e là sparsi, ma che in tutto non compongono più di due pagine su un patrimonio di migliaia di pagine, contengono dei riferimenti strani, con nomi che possono ricordare i protagonisti evangelici, ma che non è affatto detto si riferiscano a loro. Comunque, in base a questo pretesto, il Talmud è stato condannato e bruciato nelle pubbliche piazze. Non per questi riferimenti, però, che potevano essere spurgati, come infatti è successo in edizioni successive, ma perché il Talmud rappresentava il cuore dell’ebraismo. Se tu vuoi colpire l’anima, le bruci proprio le cose essenziali. Per questo motivo c’è stata una persecuzione contro l’essenza della cultura. Questo spiega, dunque, le grandi difficoltà storiche attorno a questo testo. Ora si presenta chiaro in italiano, con tutte le questioni ben tradotte, in cui ciascuno potrà giudicare se effettivamente questo sia un testo pericoloso o invece un testo pilastro  della storia della cultura universale.

Il progetto “Traduzione Talmud Babilonese” nasce nel 2011, ed è da allora che un team di traduttori e non solo, lavora a questa edizione che si avvale della collaborazione della presidenza del Consiglio, del ministero dell’Istruzione, del Cnr e dell’Ucei, Unione delle comunità ebraiche italiane. La prof.ssa Clelia Piperno è il direttore del Progetto:

"E’ la prima volta che un progetto di una lingua antica come l’aramaico viene tradotto, accompagnato da un software creato ad hoc che si chiama Traduco, creato dal Cnr attraverso la sua struttura dell’Istituto di Linguistica Computazionale di Pisa. E’ per tutti gli italiani e tutte le persone che nel mondo amano la lingua italiana, perché è  una traduzione in lingua italiana non ritradotta da un’altra lingua, ma dall’aramaico, con capacità, quindi, di rendere accessibile questo testo così complesso. La lingua scientifica e la lingua poetica, ovvero la lingua dell’informatica e la lingua talmudica, sono finalmente insieme".

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: ritrovate le reliquie di Mar Elian nel santuario devastato dall'Is

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A Qaryatayn, la città siriana da poco tornata sotto controllo dell'esercito siriano, i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh) se ne sono andati lasciando macerie e devastazione nel santuario di Mar Elian, dove fin dai primi giorni di occupazione, nell'agosto 2015, avevano profanato brutalmente la tomba del Santo, per cancellare quello che anche ai loro occhi rappresentava il cuore del complesso monastico. Ma le reliquie di Mar Elian, sparse intorno al sepolcro del Santo - riferisce l'agenzia Fides - non sono andate perdute: potranno essere raccolte e ricomposte, e intorno a esse potrà di nuovo raccogliersi la vita e la devozione dei cristiani della regione.

La notizia confermata da padre Jacques Murad
All'agenzia Fides la notizia del ritrovamento viene confermata con commosso entusiasmo da padre Jacques Murad, il priore della comunità monastica - affiliata al monastero di Deir Mar Musa al Abashi - che negli ultimi anni aveva fatto rifiorire l'antico Santuario del V secolo, collocato alla periferia di Qaryatayn. Padre Jacques Murad era stato lui stesso preso prigioniero da un commando di jihadisti che il 21 maggio 2015 aveva fatto irruzione nel santuario e lo aveva sequestrato, e ha potuto ritrovare la piena libertà soltanto lo scorso 11 ottobre.

Padre Murad: che le reliquie non siano andate perdute è un segno grande
“Davanti a tutto quello che è successo e che sta succedendo” rimarca padre Murad “preferisco stare in silenzio, perchè oggi proprio il silenzio mi appare come la parola più giusta e adeguata”. Poi, con poche parole semplici, esprime il consolante sguardo di fede con cui lui e i suoi compagni hanno vissuto anche questo tempo travagliato. “Che le reliquie di Mar Elian non siano andate perdute” confida a Fides padre Jacques “è per me un segno grande: vuol dire che lui non ha voluto lasciare quel monastero e quella terra santa. Sappiamo che i santi sono in cielo, e noi possiamo sempre invocarli e chiedere il loro aiuto. Ricordo che il 9 settembre, nel giorno della memoria liturgica di Mar Elian, avevo celebrato la Messa con gli altri cristiani a Qaryatayn, mentre eravamo sotto il dominio del Daesh. Avevo detto loro: non è importante che il monastero sia distrutto, non è importante nemmeno che la tomba sia stata distrutta. L'importante è che portiate Mar Elian nel vostro cuore, dovunque andrete, anche in Canada, o in Europa, perchè lui vuole rimanere nel cuore dei suoi fedeli”.

Padre Murad ha riconosciuto le reliquie del santo
Adesso, la speranza cristiana di padre Jacques già assapora di veder rifiorire la carità di Cristo anche nel luogo da dove lui stesso e i suoi amici monaci erano stati strappati a forza: “ieri” racconta padre Murad all'agenzia Fides “mi hanno mandato le foto delle ossa che hanno trovato intorno alla tomba devastata di Mar Elian. Negli anni passati, io stesso avevo fatto delle ricognizioni su quelle reliquie, così ho potuto riconoscerle subito da dei segni inconfondibili, come le parti di pelle mummificata che ancora rivestono una mano e i piedi”.

Le reliquie saranno raccolte e portare ad Homs dove verranno custodite
​Nella giornata di domani, un sacerdote della arcieparchia siro-cattolica di Homs, insieme a alcuni monaci di Dei Mar Musa, andranno a Mar Elian per verificare le condizioni in cui versa il santuario. “Ho chiesto loro” riferisce ancora a Fides padre Jacques “di raccogliere le reliquie e di portarle a Homs per custodirle. Sappiamo che il vecchio santuario è stato raso al suolo, che il sito archeologico è stato devastato, mentre la chiesa nuova e il monastero sono state incendiate e in parte bombardate. Quando, in futuro, torneremo a lavorare a Mar Elian, rimetteremo anche le reliquie del Santo al loro posto. Intorno alla memoria dei santi fiorirà di nuovo la vita di grazia. E sarà un grande segno di benedizione, per tutta la nostra Chiesa”. (G.V.)

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Iraq. Vescovi caldei: i cristiani siano coinvolti nel nuovo governo

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La richiesta di includere anche politici cristiani nella compagine governativa, l'invito ai fedeli a non lasciarsi convincere da chi promuove la loro fuga dall'Iraq, e una netta affermazione di sostegno verso tutte le compagini militari nazionali impegnate nella lotta contro i jihadisti dell'autoproclamato Califfato Islamico: sono questi alcuni dei punti emersi dalla riunione tenuta dai vescovi iracheni nella mattinata di oggi, sotto la presidenza del Patriarca Louis Raphael Sako, per valutare gli sviluppi della situazione in territorio iracheno e in tutto il Medio Oriente. 

Soddisfazione dei vescovi per le vittorie delle forze irachene contro l'Is
L'incontro si è tenuto a Ankawa, sobborgo di Erbil dove sono concentrate le comunità cristiane della capitale del Kurdistan iracheno. Nel comunicato finale, ripreso dall'agenzia Fides, i vescovi iracheni esprimono il proprio “orgoglio” per le vittorie e i successi ottenuti nella lotta alla “Organizzazione terroristica” del sedicente Stato Islamico dall'esercito iracheno in collaborazione con le milizie curde Peshmerga, le forze di auto-difesa e le tribù sunnite. I vescovi caldei esprimono anche l'augurio che si arrivi presto alla liberazione di Mosul e della Piana di Ninive.

Appello alle autorità islamiche a mettere da parte privilegi e interessi personali
I vescovi inoltre, si appellano alle “sagge autorità islamiche” per contribuire insieme alla stabilizzazione e alla sicurezza della Nazione, promuovendo “i diritti umani” e mettendo da parte “privilegi e interessi personali, partigiani e settari, nella consapevolezza che la riconciliazione nazionale si può ottenere solo attraverso una reale partnership politica, “lontano da ogni favoritismo e dal sistema delle quote di potere da spartirsi su base settaria”. (G.V.)

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Patriarca Raï: misericordia per il Libano e il Medio Oriente

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Il Libano non potrà uscire dalla sua attuale crisi politico-istituzionale ed economica e le guerre in Medio Oriente non si fermeranno senza la misericordia di Dio. E’ il concetto centrale espresso domenica scorsa dal Patriarca di Antiochia dei Maroniti Béchara Raï durante la Santa Messa per Festa della Misericordia.

Senza la misericordia il Libano non si potrà salvare
“E’ inutile sperare di salvare il Libano se la misericordia non abita nei cuori dei nostri dirigenti”, ha detto nell’omelia il cardinale con riferimento allo stallo politico che da quasi due anni ormai impedisce l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.  Anche una soluzione politica dei conflitti in Palestina, Iraq, Siria e Yemen e quella della crisi dei rifugiati potrà venire solo dalla misericordia, ha aggiunto il Patriarca Raï, sottolineando che la fede cristiana deve riflettersi nelle opere.

Vertice intercristiano a Bkerké sulla situazione in Libano e Medio Oriente
La situazione in Libano e in tutta la regione è stata al centro del vertice intercristiano convocato ieri a Bkerké, sede del Patriarcato maronita, con l’obiettivo di definire una posizione comune delle comunità cristiane libanesi sulle  varie  questioni sul tavolo, a cominciare da quello della vacanza presidenziale. Tra i punti all’ordine del giorno, riferiscono il quotidiano L’Orient-le-jour e l’agenzia Apic: la difesa dell’unità nazionale del Libano; i diversi focolai di violenza in Medio Oriente; la lotta contro l’estremismo religioso e il terrorismo; il preoccupante deterioramento dei rapporti con i Paesi arabi; la questione palestinese; l’accoglienza dei rifugiati.

Urgente l’elezione del nuovo presidente. L’esodo dei cristiani un genocidio
Nel comunicato finale della riunione, i leader cristiani libanesi ribadiscono l’urgenza dell’elezione del nuovo Presidente, sottolineando che il “vuoto presidenziale grava pesantemente sul funzionamento delle istituzioni dello Stato”. Inoltre, essi denunciano ancora una volta l’esodo dei cristiani dalla Siria e dall’Iraq, che paragonano al genocidio degli armeni sotto l’Impero ottomano. Quanto all’emergenza rifugiati – che ormai hanno superato la cifra record di due milioni, tra siriani, iracheni e palestinesi - le Chiese cristiane libanesi invocano una soluzione politica che permetta il loro ritorno  nei rispettivi Paesi, in quanto il Libano non è più in grado di accoglierli.

No alla divisione della Siria
A preoccupare i leader cristiani è anche il rischio che il conflitto in Siria possa portare a una divisione del Paese in entità etniche e religiose  separate, che avrebbe inevitabili ripercussioni sul Libano, unica realtà multiconfessionale della regione. Una preoccupazione ribadita in questi giorni ad alcuni esponenti politici libanesi ed anche dal Patriarca greco-melchita siriano Gregorios III Laham. (A cura di Lisa Zengarini)

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Appello Caritas Svizzera per i rifugiati: no a fili spinati

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La Caritas Svizzera lancia un nuovo pressante appello alla Confederazione elvetica a fare di più a favore dei rifugiati siriani e punta il dito contro la politica delle chiusure delle frontiere.

Politici incapaci di rispondere a una situazione catastrofica
“Le persone che fuggono cercano soltanto di sopravvivere e non sono le frontiere, i fili spinati, il mare o l’irrigidimento delle leggi sull’asilo a fermarlo”, afferma una nota ripresa dall’agenzia Apic, in cui si denuncia l’incapacità dei leader politici di fare un’analisi pragmatica e concreta della crisi che permetterebbe di trovare soluzioni a una situazione definita “catastrofica”.  “Contrariamente a quanto sostengono alcuni – si legge – nessuno chiede né all’Europa, né alla Svizzera di accogliere tutti i richiedenti asilo siriani”. In realtà l’80% della popolazione siriana, che conta 23 milioni di abitanti, è rimasta nel Paese, anche se è in fuga. Circa 5 milioni hanno trovato rifugio nei Paesi vicini, ossia in Turchia, Libano, Giordania e Iraq. “A confronto - si osserva - i circa 1,5 milioni fuggiti verso l’Europa non rappresentano che un piccolo 0,2% della popolazione europea che conta 650 milioni di persone!”

Gli aiuti della Svizzera insufficienti
La nota richiama quindi la comunità internazionale alla necessità di garantire la creazione di spazi umanitari in Siria sotto la protezione dell’Onu e punta il dito sulle “responsabilità delle potenze regionali e della grandi potenze impegnate nel conflitto che rifiutano di mettersi d’accordo”.   Quanto alla Svizzera -  si rileva – il suo contributo su questo fronte è di appena 50milioni di franchi all’anno, la metà della cifra necessaria. In questa prospettiva, secondo l’organizzazione caritativa cattolica sono “del tutto irrealistici” i tagli proposti in Parlamento agli aiuti per la cooperazione e lo sviluppo. 

No alla chiusura delle frontiere e al respingimento dei rifugiati
Da parte sua, la Caritas Svizzera ha finora stanziato 18 milioni di franchi svizzeri per il suoi programmi di aiuto in Siria, Iraq, Giordania e Libano, ai quali vanno aggiunti 2,8 milioni per la rotta dei Balcani, in particolare alla Grecia. Cifre ottenute in gran parte grazie alla generosità  di donatori privati svizzeri che “dimostrano al mondo politico cosa è la solidarietà”. Di qui, in conclusione, il reiterato appello affinché la Confederazione elvetica accolga i rifugiati e rifiuti “categoricamente” di impiegare l’esercito per respingerli alle frontiere. (L.Z.)

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Il Nepal cancella il Natale dalle feste nazionali

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Il governo del Nepal ha deciso di rimuovere la festività del Natale dal calendario delle celebrazioni nazionali, suscitando le proteste dei cristiani che ne chiedono l’immediato ripristino. All'agenzia AsiaNews, il ministro dell’Interno Shakti Basnet dice: “Siamo stati costretti ad eliminare il Natale dalle feste pubbliche per controllare l’aumento delle festività nazionali. Ad ogni modo, garantiremo ai dipendenti pubblici di fare vacanza”. Il pastore CB Gahatraj, segretario generale della Federazione nazionale dei cristiani, denuncia: “I cristiani non lavorano solo per il governo. Se il Natale non sarà festa nazionale, i lavoratori del settore privato non potranno celebrarlo. Il governo accorda l’esistenza di 83 feste per gli indù e le altre comunità, ma nessuna per i cristiani”.

Il Natale ha attirato anche i fedeli di altre comunità religiose
Il Natale era stato inserito tra le feste nazionali otto anni fa, quando il Nepal è diventato un Paese laico. Da allora, la festa della nascita di Gesù ha attirato anche i fedeli di altre comunità religiose. Quest’anno la celebrazione ha assunto un significato particolare, portando speranza alla popolazione afflitta dall’embargo dell’India. Il pastore Gahatraj teme che le autorità di Kathmandu siano state “influenzate da tendenze anti-cristiane. Il governo sta tentando di ignorarci e sopprimere i nostri diritti”.

Gruppi interreligiosi e organizzazioni di attivisti schierati al fianco dei cristiani
Ieri un gruppo di leader cristiani si è riunito per contestare la decisione e ha redatto una petizione che consegnerà al primo ministro KP Sharma Oli e a quello degli Interni. L’Inter-religious Council-Nepal, altri gruppi interreligiosi e organizzazioni di attivisti si sono schierati al fianco dei cristiani. Il pastore aggiunge: “Siamo pronti a sacrificare noi stessi per la nostra fede e per proteggere la libertà di culto. Domandiamo con forza di ripristinare la festa e di ritirare la decisione entro una settimana. Se il governo non accoglierà la nostra richiesta, faremo proteste in tutto il Paese”. I leader religiosi chiedono pure che si fermino i tentativi di soffocare le minoranze in Nepal e vogliono che siano applicati gli accordi raggiunti negli anni scorsi tra cristiani e governo sui luoghi di sepoltura dei cristiani.

Con la legge anti-conversione i preti rischiano il carcere
Infine le personalità criticano il nuovo articolo 156 del Codice civile, che vieta ogni conversione e le attività correlate. Il pastore Gahatraj commenta: “L’articolo 156 colpisce in particolare i sacerdoti cristiani. Implica che in futuro il governo potrà imprigionare i preti attraverso questa legge anti-conversione”.

Il contributo dei cattolici nelle attività produttive e nel campo dell’educazione
Secondo il censimento ufficiale del 2011, cattolici e protestanti sono circa l’1,5% della popolazione. Nel 2006 erano solo lo 0,5%. In sei anni i cattolici sono passati da 4mila a 10 mila unità. Il loro contributo è fondamentale nelle attività produttive e nel campo dell’educazione, dove gestiscono circa 100 scuole (di cui 20 cattoliche). (C.S.)

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Kaiciid: formazione sul dialogo interreligioso nei social

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Prevenire la violenza in nome della religione e promuovere il dialogo interreligioso tra i giovani in Medio Oriente attraverso i social media. Con questo obiettivo Kaiciid, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale Kaiciid “Re Abdullah Bin Abdulaziz”,  fondato nel 2012 con il contributo della Santa Sede, organizza un ciclo di cinque corsi di formazione rivolti  specificamente giovani leader religiosi  della regione.

Contrastare la propaganda degli estremisti religiosi sui social media
Il primo seminario di tre giorni, è iniziato domenica scorsa ad Amman, in Giordania, con la partecipazione di 300  giovani provenienti dal Libano, Palestina, Siria e Giordania, tra i quali anche esponenti della società civile impegnati nel dialogo interreligioso. I partecipanti alle sessioni saranno incoraggiati a promuovere le loro iniziative e campagne sui social network nelle proprie comunità e presso le istituzioni. L’idea alla base dell’iniziativa è di contrastare la propaganda degli estremisti religiosi che usano le nuove piattaforme sociali per disinformare, diffondere pregiudizi e reclutare nuovi affilati. In Medio Oriente, infatti, otto persone su dieci usano i social media che sono un potente strumento di formazione delle opinioni. “La nostra esperienza - spiega Fahad Abualnasr, direttore generale del Kaiciid  - ci dice che i giovani non vogliono sentire prediche da figure di autorità. Per questo stiamo cercando di coinvolgere giovani donne e uomini già attivi nei social media  e interessati a promuovere la pace e la convivenza. Vogliamo dare ad essi i mezzi per raggiungere i loro coetanei perché possano incoraggiare un dibattito onesto sulla convivenza e la coesione sociale”. 

Uniti contro la violenza in nome della religione
La nuova iniziativa del Kaiciid si iscrive nell’ambito della mobilitazione lanciata a Vienna il 19 novembre 2014 dalla conferenza “Uniti contro la violenza in nome della religione” in cui i leader religiosi del Medio Oriente hanno indicato nell’adozione del dialogo lo “strumento principale e più potente per risolvere conflitti e disaccordi”  e si sono impegnati a sostenere “iniziative e istituzioni che considerano il dialogo il metodo migliore per costruire la pace, la coesistenza e per promuovere una cittadinanza comune”. I prossimi quattro corsi si terranno al Cairo (Egitto), a Erbil (Iraq), a Tunisi e a Dubai (Emirati Arabi Uniti)  (L.Z.)

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RossoArte: la donazione del sangue e l'arte dei Musei Vaticani

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Rendere noto come ovunque la mancanza di sangue sia un'emergenza cronica per le realtà ospedaliere e sensibilizzare i cittadini alla donazione di sangue. Risponde a queste esigenze la nuova iniziativa RossoArte che vede i Musei Vaticani, il Policlinico e la Cappellania di Tor Vergata e l'Associazione di volontariato In Punta di Piedi incentivare la donazione di sangue offrendo a tutti i donatori che si presenteranno presso il Centro trasfusionale di Tor Vergata un voucher personale per un ingresso ai Musei Vaticani, senza fila, ad una tariffa davvero speciale (euro 4,00), da utilizzare entro il 31 dicembre 2016.

Un attestato verso chi compie un atto di profondo senso civico e solidaristico
Attraverso la proposta simbolica di accompagnare alla gioia del donare l’emozione di ricevere stupore e conoscenza dall’ammirazione dei capolavori custoditi nei Musei del Papa, RossoArte vuole essere un attestato di gratitudine verso la scelta di tutti coloro che, con un atto di profondo senso civico e solidaristico, periodicamente, anonimamente e responsabilmente donano il sangue. Il progetto verrà presentato dal prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e dal prof. Gaspare Adorno, direttore Uosd Medicina Trasfusionale del Policlinico di Tor Vergata il prossimo giovedì alle ore 15.30 nella sala Conferenze dei Musei Vaticani.

Donare il plasma indica una reale e fattiva attenzione al prossimo
Nel promuovere l'iniziativa, le istituzioni coinvolte intendono riconoscere in cultura la sensibilità che le persone mostrano sottoponendosi alla donazione e, sulla scia delle parole di Papa Francesco pronunciate durante il Giubileo dei donatori "i vostri interventi sono segno di uno zelo, di una fantasia nella carità che deriva da un cuore pulsante, di cui è motore l'amore per l'uomo in difficoltà", la suggeriscono, in questo particolare Anno Giubilare, come opera di misericordia corporale. Donare il plasma indica una reale e fattiva attenzione al prossimo. Un dono che realmente salva la vita. 

Un'alleanza tra il sangue che alimenta la vita e l'arte che regala felicità
"È bella questa alleanza - commenta Antonio Paolucci - fra il sangue che genera e alimenta la vita e l'arte che ci regala consolazione e felicità. Come direttore dei Musei Vaticani sono orgoglioso di ospitare una iniziativa che, sotto il titolo assai bene scelto di RossoArte, favorisce insieme la donazione del liquido più prezioso del mondo e la conoscenza privilegiata del Museo più stupefacente, più emozionante di Roma". A testimonianza di quello che gli enti promotori auspicano avvenga nei prossimi tempi, terminata la conferenza stampa di presentazione, ad un primo gruppo di donatori sarà offerta una visita alle collezioni dei Musei del Papa. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 96

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.