Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 06/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Gesù ha aperto per tutti il tempo della misericordia

◊  

Ognuno “ha le proprie miserie”, ma la potenza del perdono di Cristo, che le ha riscattate sulla Croce, “non si esaurisce mai”. Lo ha affermato all’udienza generale Papa Francesco, inaugurando in Piazza San Pietro, davanti a circa 40 mila persone, un nuovo ciclo giubilare di catechesi dedicate alla misericordia nel Vangelo. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Poteva farlo”. Presentarsi come un re, giudicare tutti dall’alto di una santità e sapienza straordinarie. Perfino scendere dalla Croce come qualcuno, sbeffeggiandolo, arrivò a proporgli. Poteva farlo, come Dio, ma non l’ha fatto, facendosi uomo, anzi il miserabile tra gli uomini, accettando un sacrificio che ha schiuso all’umanità il tempo del perdono.

In fila tra i peccatori
È come un grande affresco di Cristo la prima catechesi del Papa sulla misericordia nel Vangelo. Francesco la rintraccia nelle cinque grandi azioni compiute da Gesù – “incontrando le folle, annunciando il Vangelo, guarendo gli ammalati, avvicinandosi agli ultimi, perdonando i peccatori” – e punta l’attenzione in particolare sul modo in cui Gesù inizia la sua missione, facendosi battezzare da Giovanni nel Giordano:

“Egli non si è presentato al mondo nello splendore del tempio: poteva farlo, eh? Non si è fatto annunciare da squilli di trombe: poteva farlo. E neppure è venuto nelle vesti di un giudice: poteva farlo. Invece, dopo trent’anni di vita nascosta a Nazaret, Gesù si è recato al fiume Giordano, insieme a tanta gente del suo popolo, e si è messo in fila con i peccatori. Non ha avuto vergogna: era lì con tutti, con i peccatori, per farsi battezzare”.

Puro, gratuito, assoluto
Fin da subito, indica Francesco, Cristo “si è manifestato come Messia che si fa carico della condizione umana, mosso dalla solidarietà e dalla compassione”. Tutto ciò che ha compiuto “dopo il battesimo – dice – è stato la realizzazione del programma iniziale: portare a tutti l’amore di Dio che salva”, “puro, gratuito, assoluto”:

“Gesù non ha portato l’odio, non ha portato l’inimicizia: ci ha portato l’amore! Un amore grande, un cuore aperto per tutti, per tutti noi! Un amore che salva! Lui si è fatto prossimo agli ultimi, comunicando loro la misericordia di Dio che è perdono, gioia e vita nuova. Il Figlio inviato dal Padre, Gesù, è realmente l’inizio del tempo della misericordia per tutta l’umanità!”.

Dalla Croce il perdono per sempre
Misericordia che raggiunge il culmine con lo strazio del Golgota, la cui portata Francesco ricorda amplificando nell’abbraccio del Colonnato le parole che hanno cambiato per sempre la condizione umana: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”:

“E’ sulla croce che Gesù presenta alla misericordia del Padre il peccato del mondo: il peccato di tutti! I miei peccati, i tuoi peccati, i vostri peccati. È lì, sulla croce, che Lui li presenta. E con esso tutti i nostri peccati vengono cancellati. Nulla e nessuno rimane escluso da questa preghiera sacrificale di Gesù”.

Non temiamo le nostre miserie
Una sola cosa basta, conclude il Papa: pentirsi e affidarsi a Dio con fiducia totale, attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Evitando la tentazione di credersi autosufficienti rispetto all’offerta del perdono di Dio:

“Ognuno di noi dovrebbe domandarsi: 'Sì, quello è un peccatore. E io?'. Tutti siamo peccatori, ma tutti siamo perdonati: tutti abbiamo la possibilità di ricevere questo perdono che è la misericordia di Dio (...) Non dobbiamo temere le nostre miserie. Ognuno di noi ha le proprie. La potenza d’amore del Crocifisso non conosce ostacoli e non si esaurisce mai. E questa misericordia cancella le nostre miserie”.

Sport, linguaggio universale che avvicina i popoli
Prima dei saluti finali, Papa Francesco ha ricordato con un pensiero la terza Giornata mondiale dello Sport per la Pace e lo Sviluppo indetta dall’Onu, che si celebra oggi:

“Lo sport è un linguaggio universale che avvicina i popoli e può contribuire a far incontrare le persone e superare i conflitti. Perciò incoraggio a vivere la dimensione sportiva come palestra di virtù nella crescita integrale degli individui e delle comunità”.

inizio pagina

Il Papa abbraccia Lizzy, la bimba che diventerà cieca e sorda

◊  

Grande commozione oggi in Piazza San Pietro, a margine dell’udienza generale, per l’abbraccio affettuoso del Papa alla piccola Lizzy Myers, affetta da una malattia genetica rara, accompagnata dalla sorellina e dai genitori, che hanno poi incontrato la stampa nella Casa Bernadette dell’Unitalsi, l’organismo che ha assistito la famiglia nel lungo viaggio dall’Ohio, negli Stati Uniti, fino a Roma per realizzare un desiderio espresso dalla bimba: incontrare Francesco. Il servizio di Roberta Gisotti: 

La storia di Lizzy, 5 anni affetta dalla sindrome di Usher tipo b - che la renderà presto cieca e sorda - era apparsa la scorsa estate sulla stampa americana. I suoi genitori avevano stilato per lei una serie di cose da vedere prima di perdere suoni, voci, forme, colori. Tra questi sogni da realizzare anche un viaggio a Roma. Lizzy, di famiglia cattolica, sa che lì vive il Papa e chiede di incontrarlo. Il desiderio di Lizzy apre una gara di solidarietà senza confini nel mondo. La Tukish Airlines offre i biglietti dei voli, l’Appia Resort offre il soggiorno e l’Unitalsi l’assistenza nel viaggio. Raccontano oggi Christine e Steve l’emozione forte di Lizzy con gli occhi sgranati davanti al Papa, a cui ha regalato una scatolina con un pezzetto di meteorite caduto nell’Ohio. Francesco l'ha abbracciata caramente, ha benedetto i suoi occhi, assicurando che pregherà per lei e la sua famiglia. “Ho avvertito un grande senso di pace”, racconta la mamma di Lizzy, ringraziando tutti gli italiani che hanno dimostrato grande affetto. La storia di Lizzy, un segno in questo Giubileo della Misericordia, che avvicina tutti al mondo della sofferenza, attraversata dalla speranza cristiana, sottolinea Emanuele Trancalini, presidente dell’Unitalsi di Roma (Unione italiana trasporto ammalati a Loudes e Santuari internazionali):

R. - Vorrei far capire che di Lizzy purtroppo, anche qui in Italia, ce ne sono veramente tantissime. Vorrei dare voce a questo, perché spesso il mondo della malattia, soprattutto quella dei bambini, è un mondo nascosto, e le persone se ne accorgono esclusivamente quando purtroppo la vivono sulla propria pelle. Noi abbiamo nove case accoglienza in tutta Italia e tutti i giorni assistiamo famiglie, casi e situazioni come quella di Lizzy.

D. – Una volta tanto possiamo dire che la sovraesposizione mediatica svolge un ruolo positivo, per avvicinare appunto il mondo della sofferenza a tutti…

R. – Assolutamente sì. Devo dire che questo Giubileo è proprio un’espressione di questo. Papa Francesco poi ha un’attenzione particolare al mondo della malattia e soprattutto al mondo dei piccoli, e questo è un grande segno del Giubileo.

inizio pagina

Papa, tweet: Giubileo misericordia faccia santa la nostra vita

◊  

Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex, che ha superato i 28 milioni di follower. Questo il testo: “Il Giubileo è un intero anno in cui accogliere ogni giorno la misericordia affinché diventi tutta santa la nostra esistenza”.

inizio pagina

Parolin: procreazione, rispettare dignità della donna

◊  

Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha partecipato oggi a Roma all’inaugurazione del nuovo Laboratorio dell’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana per una procreazione responsabile. Nell’occasione il porporato ha potuto vedere in funzione l’ecografo donato da Papa Francesco, “a significare l’attenzione con cui segue l’attività dell’Istituto”.

La struttura, che ha ormai 15 anni – ha sottolineato il cardinale Parolin - è “una concreta risposta” all’appello rivolto dal Beato Papa Paolo VI agli uomini di scienza perché “chiarissero più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un’onesta regolazione della procreazione umana” (Lettera enciclica Humanae Vitae). Ha quindi ricordato Benedetto XVI quando ha definito l’Istituto “esempio eloquente di quella sintesi tra verità e amore che costituisce il centro vitale della cultura cattolica” (Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 25 novembre 2005).

La recentissima partecipazione dell’Istituto al Congresso Mondiale di Endocrinologia “ENDO 2016”, svoltosi a Boston dal primo al 4 aprile – ha aggiunto – “testimonia come la qualità della ricerca che ivi si svolge, venga riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale”.

Infine, il segretario di Stato ha salutato le famiglie presenti all’inaugurazione, rivolgendo un pensiero “a tutte le coppie che si affidano all’Istituto per vedere coronato il loro desiderio di maternità e paternità. Il loro il ricorso a tale centro – ha concluso - oltre che risposta ad istanze di natura morale-religiosa, è anche una scelta appropriata per l’accesso a tecniche e metodi scientificamente molto validi e rispettosi della dignità della donna. L’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI è al servizio di tutti!”.

inizio pagina

Settima udienza per il processo Vatileaks 2

◊  

Presso l’Aula del Tribunale del Vaticano, è ripresa stamane l’udienza per l’interrogatorio degli imputati del processo in corso per la divulgazione di notizie e documenti riservati. Si tratta della settima udienza di Vatileaks 2, che riguarda gli imputati Gianluigi Nuzzi, Emiliano Fittipaldi, Francesca Immacolata Chaouqui, mons. Lucio Ángel Vallejo Balda e Nicola Maio. L’udienza odierna prosegue anche nel pomeriggio.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In fila con i peccatori: all’udienza generale il Papa ricorda che Gesù è la misericordia

Un segno sulla montagna: Prefazione di Papa Francesco al libro «Tibhirine l’héritage»

François Cheng: Con i monaci di Tibhirine

Jean-Marc Le Droff: Arrangiatevi per essere felici. La vita di padre Michel Jaouen impiegata a dare una rotta a migliaia di giovani

Ambasciatori di misericordia: Una mostra dedicata a monsignor Luigi Di Liegro a San Salvatore in Lauro

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Frontex: record di domande di asilo e di passaggi illegali

◊  

E’ crollato il numero di migranti arrivati dalla Turchia in Grecia. Le autorità di Atene riferiscono di 68 persone approdate nelle ultime 24 ore sulle isole dell’Egeo, contro le oltre 200 del giorno precedente. Intanto, sulla possibile visita di Papa Francesco nell'isola greca di Lesbo, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha detto di sperare di poter fornire "domani" qualche "elemento più preciso" circa "tempi e organizzazione". Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Il drastico calo arriva a tre giorni dall’attuazione dell’accordo Ue-Ankara, che ha visto anche il rimpatrio verso la Turchia di oltre 200 migranti tutti provenienti dalle isole di Chio e Lesbo. Rimpatri che riprenderanno venerdì a causa dell’alto numero di richieste di asilo da processare. Ed è "Frontex", oggi, a parlare di record di domande di asilo nell’Unione Europea che, nel 2015, sono state pari a un milione e 350 mila. Nella sua "Analisi dei rischi 2016", l’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue parla anche di record di "passaggi illegali" nei Paesi dell’Unione: quasi due milioni, sei volte di più del precedente record del 2014. Frontex rilancia quindi l’allarme sui possibili terroristi tra i migranti. Gli attacchi di Parigi, evidenzia ancora l’agenzia, “hanno dimostrato che i flussi di migranti irregolari possono essere utilizzati dai terroristi per entrare nell’Ue”. Due dei terroristi coinvolti, si legge nel documento, erano entrati “attraverso Leros presentando alle autorità greche falsi documenti siriani”. A Lesbo si trova l’inviato del Corriere della Sera, Andrea Nicastro, e Antonella Palermo lo ha intervistato:

R. – Oggi, sulle spiagge, invece di avere i volontari da tutto il mondo che con i cannocchiali aspettavano le imbarcazioni che arrivavano dalla Turchia, ci sono soprattutto agenti di Frontex. L’azione di Frontex è molto efficace, soprattutto perché combinata con le misure di respingimento, cominciate lunedì. Chi vuole scappare in Europa sa che la porta nord dei Balcani, via terra, è bloccata, e sa che cercare di venire in Grecia non serve, chi arriva qui, infatti, viene immediatamente rispedito in Turchia, e solo lì potrà tentare di fare domanda di asilo. Quindi, la porta meridionale-orientale dell’Europa sembra così effettivamente bloccata. Rimane quella sud, al centro: l’Italia. Vedremo come reagirà l’Europa. Il problema è che l’Europa ha delegato totalmente alla Turchia la responsabilità, anche morale, di vagliare chi abbia o meno diritto all’asilo.

D. – Hai avuto modo di raccogliere qualche prima reazione a questo probabile, imminente viaggio di Papa Francesco in Grecia?

R. – La reazione mi sembra abbastanza positiva. Certo, qui sono ortodossi e vedono il Papa cattolico un po’ da lontano. Però, piace l’idea che qualcuno venga a manifestare una vicinanza umana alle persone che sono dall’altra parte, perché da qui si vede la costa turca che è a pochissimi chilometri. Non c’è una spiaggia a Lesbo dove non ci siano relitti, pezzi di gommoni, salvagenti abbandonati, non c’è qualcuno a Lesbo che non abbia avuto a che fare con questa marea umana, disperata, che è arrivata in Europa chiedendo aiuto. E il fatto che adesso queste persone vengano respinte lascia tutti, e dico tutti, con l’amaro in bocca. Non sembra una operazione da Europa. Il fatto che il Papa venga a dire probabilmente qualcosa di diverso, come aveva fatto anni fa a Lampedusa, indubbiamente lo fa sentire più vicino alla gente di qua.

inizio pagina

Nagorno Karabakh, una tregua difficile

◊  

Regge in larga misura, il cessate il fuoco tra armeni e azeri, entrato in vigore ieri in merito al Nagorno-Karabakh, regione azera a maggioranza armena del sud Caucaso. Dopo giorni di combattimenti e oltre 70 vittime, le parti, pur accusandosi di violazioni reciproche, sono ora sotto osservazione della comunità internazionale che in un giro di incontri sta cercando di stabilizzare i termini dell’accordo. Molto ruota intorno al riconoscimento dei territori di frontiera: “obiettivo difficilissimo da raggiungere”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Marco Di Liddo, analista del Ce.S.I. ( Centro studi internazionali): 

R. – Tra Armenia, Azerbaigian e Nagorno-Karabakh, dal 1994 vige un accordo di cessate-il-fuoco, anche se non esiste un reale progetto, con contenuti politici, che cerchi di risolvere la situazione. Il punto cruciale è che l’Azerbaigian non accetterà mai una decurtazione di quello che ritiene essere il proprio territorio; da parte sua, l’Armenia – pur non riconoscendo ufficialmente il Nagorno-Karabakh per ragioni di buon senso diplomatico – spinge affinché il Nagorno-Karabakh possa “ricongiungersi” con la madre patria, ma respinge in qualche modo anche l’ipotesi di una grande autonomia all’interno dell’Azerbaigian, perché in passato purtroppo l’Azerbaigian ha dimostrato di usare il pugno di ferro nei confronti di realtà subalterne.

D. – Allora in nome di che cosa si dice che le due parti si starebbero accordando?

R. – Si staranno accordando, probabilmente, in questo momento, per abbassare le tensioni, per evitare cioè che ci possa essere una escalation e questo perché la guerra ha un costo economico molto alto: siccome i due Paesi hanno difficoltà economiche, probabilmente temono quelli che possono essere gli effetti, qualora la campagna militare non vada come previsto o come auspicato. Si tratta di un mosaico veramente molto intricato. L’unico elemento stabilizzante, offerto dalla diplomazia russa, che ha interesse affinché il Caucaso sia pacificato, è che il conflitto rimanga almeno congelato.

D. – L’azione del gruppo di Minsk dell’Osce. In queste ore ci sono una serie di riunioni: può avere un ruolo diverso rispetto al passato?

R. – Il grande problema è che per quanto il gruppo di Minsk, dell’Osce, lavori davvero con buona volontà, l’Azerbaigian sostiene che il gruppo di Minsk sia eccessivamente pro-armeno, in quanto i Paesi che lo co-presiedono - cioè Russa, Francia e Stati Uniti - hanno al loro interno delle grandi diaspore armene, che quindi permettono loro di fare lobby politica. In realtà, l’Azerbaigian è un Paese che tradizionalmente in politica estera è molto unilaterale ed ha una postura alquanto assertiva in questo momento. Se aggiungiamo che negli ultimi anni ha potuto ricostituire completamente l’apparato militare, capiamo che il mix è esplosivo. Non dobbiamo mai dimenticare che, nel ’94, gli azeri la guerra l’hanno persa con l’Armenia: quindi c’è anche un senso di revanche storica che cova all’interno dell’élite di potere.

inizio pagina

Amnesty su esecuzioni: è il numero più alto da oltre 25 anni

◊  

Il 2015 ha segnato il numero più alto di esecuzioni da oltre 25 anni. E’ il drammatico dato diffuso oggi da un rapporto di Amnesty International, che però rileva anche che 102 Stati, e quindi la maggioranza nel mondo, risultano abolizionisti per tutti i reati. Francesca Sabatinelli

Iran, Pakistan, Arabia Saudita: nessuna novità ai primi posti della lista dei Paesi con il più alto numero di esecuzioni, da soli, questi tre, sono stati responsabili di quasi il 90% delle morti conosciute, a seguire gli Stati Uniti. Nessuna novità neanche per i reati che prevedono la pena capitale: traffico di droga, corruzione, adulterio e blasfemia. 1634 i prigionieri messi a morte nel 2015, il doppio rispetto all’anno precedente, il numero più alto registrato dal 1989 ma, purtroppo, un dato per difetto, perché non comprende la Cina, dove si ritiene che le esecuzioni siano state migliaia ma tutte secretate. Si continua, quindi, in molti casi, a ritenere che la pena di morte renda il mondo più sicuro, “un falso assunto”, spiega Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, che però precisa come fortunatamente gli Stati che ancora eseguono condanne a morte siano una minoranza, in quattro nell’anno passato hanno abolito la pena capitale:  Figi, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo e Suriname.

Resta però il fatto che chi la mantiere ancora, continua a farlo in modo massiccio e, spesso, al termine di processi farsa, iniqui e irregolari. Il numero dei Paesi in cui si è proceduto ad esecuzioni è salito dai 22 del 2014 ai 25 dell’anno scorso, tra quelli che le hanno riprese anche il Ciad, dove non si registravano da oltre dieci anni. A questo si aggiunge un considerevole aumento in Egitto e Somalia. “Il 2015 è stato un anno di estremi – conclude Shetty – abbiamo assistito a sviluppi inquietanti ma anche a passi avanti che danno speranza”. La maggioranza del mondo, è quindi la conclusione, ha bandito la “più orribile delle pene”, chi ancora persegue nella pena di morte  deve rendersi conto che si trova “dal lato sbagliato della storia”.

inizio pagina

Pakistan, Paul Bhatti: anche dopo Lahore c'è speranza per i cristiani

◊  

Non si placa in Pakistan l’eco dell’attentato di Lahore, che il giorno di Pasqua ha causato la morte di 72 persone in un parco cittadino. L’attacco, rivendicato da una frangia dei talebani, ha colpito indistintamente la comunità musulmana e la minoranza cristiana. Spesso discriminati, i cristiani pakistani hanno tra i loro simboli Shabaz Bhatti, ministro per le Minoranze assassinato nel 2011 e Asia Bibi, in carcere dal 2009 con l’accusa di blasfemia. Sulle reazioni nel Paese dopo l’attentato, Michele Raviart ha intervistato Paul Bhatti, fratello e successore politico di Shabaz, ospite di un convegno dell’Università Gregoriana di Roma su “Asia, terra dei martiri”: 

R. – E’ chiaro che l’attentato di Lahore è stato un grande shock per tutti quanti noi che, in quel giorno, celebravamo la Santa Pasqua in tutto il Pakistan. Questo è un parco molto frequentato da cristiani. Noi eravamo illusi che fossero finiti gli atti terroristici, non solo contro i cristiani ma contro qualunque persona a noi cara. D’altra parte, però, se devo essere onesto questo attentato ce lo aspettavamo, perché un mese prima era stato impiccato l’assassino di Salman Taseer, il governatore del Punjab che difendeva Asia Bibi, amico anche di mio fratello. Noi siamo contro la pena di morte, ma abbiamo visto che in Pakistan esiste la giustizia. La Corte suprema ha sentenziato la pena di morte e il governo ha mantenuto la sua promessa. La condanna è stata eseguita nonostante tutte le minacce, tutte le pressioni degli estremisti sul governo e sulla gente.

D. – L’attentato si è svolto il giorno di Pasqua, ma ha causato più vittime musulmane che cristiane. Che ripercussioni può avere nei rapporti fra la stragrande maggioranza musulmana del Paese e il 2% dei cristiani in Pakistan?

R. – Io penso che questa sia stata una delusione di Stato. Molti musulmani si sono arrabbiati, perché sono stati loro, principalmente, le vittime: su 72 vittime, 50 sono state musulmane e ci sono stati più di 300 feriti. Tanti hanno protestato e molti giornalisti musulmani in televisione hanno dichiarato: “Da oggi in poi non vogliamo più sentire la parola minoranza, perché loro sono come noi, e finché non se ne verrà fuori noi saremo con loro”. Questa è stata una bella testimonianza.

D. – Dopo l’azione politica di suo fratello, e quella che lei ha continuato, c’è bisogno ancora oggi di un ministro per le Minoranze in Pakistan?

R. – Mio fratello aveva fatto varie cose, riforme, con questo Ministero per le minoranze. Era un voce, infatti, nel gabinetto dei ministri, una voce nel parlamento, un punto di riferimento per tutte le minoranze, per gli indù con i loro tanti problemi. Quando venivano con i loro leader religiosi sapevamo quello che vivevano e potevamo esporre i loro problemi al governo, al parlamento, e si potevano trovare soluzioni. Non avendo un punto di riferimento, a questo punto, le minoranze soffrono. Noi tuttora vogliamo questo. Infatti, stiamo cercando di dialogare con il primo ministro pakistano di queste cose, dicendo che vogliamo vari cambiamenti e il cambiamento della Costituzione che vieta a un appartenente ad una minoranza di diventare primo ministro. Vogliamo che tutte queste cose vengano eliminate. Ci sono problemi anche di riconoscimento del matrimonio tra gli appartenenti alle minoranze. Poi, ci sono anche problemi durante le elezioni, perché queste minoranze non partecipano a un sistema elettorale equo. Non vengono mai eletti, infatti, visto che la maggioranza della popolazione non li vota. Il risultato è, dunque, che non arrivano mai in parlamento. E’ un sistema di selezione che non garantisce che ci siano rappresentanti delle minoranze e un ministro in rappresentanza delle minoranze è molto importante per discutere di queste cose.

D. – Qual è adesso la situazione dei cristiani in Pakistan, le condizioni materiali: è migliorata, è peggiorata, vi sentite più vicini alle istituzioni, al di là chiaramente di questi attacchi terroristici?

R. – Credo che la situazione dei cristiani o di altre minoranze sia direttamente proporzionale alla situazione generale del Pakistan. Se in Pakistan c’è la pace, anche i cristiani stanno bene, se in Pakistan non c’è la pace, i cristiani, che sono più deboli ed emarginati dalla società, soffrono di più. Ma, attualmente, la mia sensazione è di speranza. Vedo una speranza, perché ci sono atti concreti da parte dei militari, da parte del governo, da parte dei politici per eliminare questo terrorismo: hanno eliminato tantissime scuole religiose, hanno eliminato tantissimi luoghi dove venivano fabbricate le armi, hanno chiuso tantissimi centri terroristici estremisti e tantissime persone cominciano a parlare di cambiare la Costituzione a favore delle minoranze. Questo allora è un passo positivo, è un cambiamento.

D. – Lei ha incontrato più volte Papa Francesco. Lo sente vicino al Pakistan?

R. – Ho visto il Santo Padre cinque volte. La prima volta, quando ero al governo, in occasione della sua elezione. Sono venuto a congratularmi da parte del governo pakistano, con una delegazione. Lui è vicino ai cristiani perseguitati e molto vicino al Pakistan. Poi, ho visto anche Papa Benedetto XVI e la prima volta che l’ho incontrato lui mi ha detto subito che mio fratello era un martire. Mi ha detto: “Non preoccuparti, perché lui ti aiuta da lassù”.

inizio pagina

L'Aquila, 7 anni dal sisma: la lenta "primavera" della città

◊  

309 rintocchi della campana della chiesa di Santa Maria del Suffragio, a L’Aquila, sono rintoccati la notte scorsa, alle 3.32, in ricordo delle vittime del terremoto del 6 aprile di sette anni fa. I nomi delle vittime erano risuonati ieri sera nella Basilica di San Giuseppe Artigiano, dove l’arcivescovo metropolita, Giuseppe Petrocchi, ha celebrato la Messa in suffragio delle vittime del sisma. Sulle sfide che vive la popolazione aquilana oggi, Fabio Colagrande ha intervistato don Luigi Epicoco, responsabile del servizio per la Pastorale universitaria della diocesi, scampato al terremoto del 2009: 

R. – Dopo sette anni, la sfida è renderci conto che la storia per noi non è chiusa ma sta continuando, e sta continuando in mezzo a tante fatiche, a tante difficoltà che vorremmo trasformare in opportunità, ma non sempre riusciamo a farlo. Dico questo perché l’attenzione dei media ormai è sempre più rara e questo non aiuta. Non tanto perché i media potrebbero portare una soluzione, ma perché in certi momenti si ha il bisogno di non sentirsi soli.

D. – Si parla di 14 miliardi di euro spesi finora nel cantiere del centro storico. Visitando L’Aquila oggi, sembra davvero che quella parte – la più ferita della città – stia molto lentamente rinascendo. Qual è la sua impressione?

R. – La mia impressione è che le periferie siano state recuperate in maniera significativa e tanta gente nelle periferie sia tornata a vivere nelle proprie case. Per il centro storico, il discorso è diverso. Non è semplicemente uno scrigno di arte: il centro storico, per la città dell’Aquila, era il cuore pulsante, il cuore antropologico, sociale della città. Quelle strade, quel corso, quelle chiese, quelle piazze rappresentavano un po’ l’identità, ma anche il vissuto quotidiano di un aquilano e il fatto di non essere ancora tornati lì, di non aver ri-abitato ancora quella fetta di città, significa non avere una socialità che funziona. Il centro è ancora incapace di ospitare anche la vita dei giovani, dei ragazzi, anche se diversi locali hanno riaperto. C’è sempre una convivenza stringente e stridente tra le macerie e i locali che hanno avuto il coraggio di riaprire nel centro storico.

D. – Nella fiaccolata che c’è stata nella notte tra il 5 e il 6 aprile all’Aquila, settemila persone hanno chiesto verità e giustizia per la strage del 6 aprile di sette anni fa. Che senso hanno queste parole – “verità” e “giustizia” – tra l’altro nell’Anno giubilare straordinario dedicato alla Misericordia?

R. – La misericordia non si contrappone né alla verità, né alla giustizia: non è l’alternativa alla giustizia. La misericordia è un modo di applicare la giustizia. Ma se la misericordia rinunciasse alla verità e alla giustizia, diventerebbe buonismo, sentimentalismo. Invece, mentre da una parte gli aquilani tentano di far pace con questo dolore, dall’altra parte è giusto che si domandi luce e chiarezza su quello che è accaduto. A volte, c’è il rischio di cercare un capro espiatorio, ma non in questo caso. Qui c’è la ricerca di una verità che serve anche a onorare le persone che alla fine non ce l’hanno fatta. Dire una parola chiara su quello che è accaduto fa bene a tutti.

D. – Lei è parroco di San Giuseppe Artigiano, una delle due sole chiese del centro storico su 14 che oggi sono agibili. La vostra comunità sta rinascendo, nonostante tutto?

R. – La mia chiesa è stata riaperta 18 mesi dopo il sisma, con un restauro per il quale dovremmo sempre ringraziare la Fondazione Roma che ha aiutato a ripristinare lo spazio della nostra comunità. La cosa che mi ha sempre colpito, fin dall’inizio, è che ogni domenica nella nostra chiesa ci sono cinque Messe e sono sempre molto frequentate, come se gli aquilani si arrampicassero fino al centro storico, arrivassero qui in mezzo a tantissime difficoltà per giungere in chiesa... Partecipare alla Messa lì significa riprendersi il centro storico, riprendersi la città. E quindi è un modo alternativo, silenzioso, forse anche spirituale per dire: “Noi ci siamo e vogliamo tornare”. E quindi rimane un avamposto di speranza. Aperto, in mezzo alle macerie, ma comunque aperto.

D. – Si può parlare di una nuova primavera che sotto le macerie sta covando?

R. – Certamente. Dobbiamo parlare di questa nuova primavera perché la primavera, come tutte le cose belle, innanzitutto nasce senza essere immediatamente visibile. però, si ha un po’ la sensazione che qualcosa stia venendo fuori, no? Ecco: io credo che ci sia una primavera che stia premendo sotto tutto questo terreno di macerie e di problemi. Ma tutto questo non verrà dalle istituzioni, non verrà da una legge, non verrà da una giurisprudenza particolare, da un diritto, non verrà dall’ingegneria. Verrà dal fatto che ciascuno di noi, ciascuna delle persone che abitano all’Aquila, prenda sul serio questa primavera e se ne faccia un po’ missionario.

inizio pagina

Armando Rigobello: la vita e il pensiero come testimonianza

◊  

Si sono tenute nel primo pomeriggio nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina, a Roma, le esequie del filosofo Armando Rigobello, originario della provincia di Rovigo, morto ieri all'età di 92 anni. Tra i massimi rappresentanti italiani del personalismo di ispirazione cristiana, ha insegnato filosofia morale all’Università di Perugia e poi a Roma, negli atenei de "La Sapienza", di Tor Vergata e alla Lumsa, di cui è stato anche il primo rettore. Rigobello ha intrattenuto rapporti con quasi tutti i più grandi pensatori del Novecento e ha avuto una nutrita schiera di allievi, divenuti poi affermati studiosi. Tra questi, Paolo Nepi, docente di Filosofia morale all'Università Roma Tre e alla Lumsa. Adriana Masotti ha chiesto a lui un ricordo personale del filosofo scomparso: 

R. – Io ero studente a Perugia con il professor Rigobello e di lui apprezzavamo molto la sua capacità di far dialogare le varie correnti filosofiche: non era un pensatore rigido su un autore o su una corrente… E poi, soprattutto, era una persona molto disponibile con gli studenti – non aveva famiglia – e la sua famiglia era un po’ la famiglia degli studenti dell’Università, con cui magari usciva insieme anche a pranzo… Era veramente una persona anche umanamente molto significativa per noi. Io non so, ma sono venuto e ho trovato in treno degli amici dei tempi dell’Università che hanno sentito proprio, non so neanche il dovere, ma in un certo senso il piacere di dare l’ultimo saluto a un uomo al quale abbiamo veramente voluto bene, sentendo di essere ricambiati in questo.

D. – Armando Rigobello è considerato uno dei maggiori rappresentanti in Italia del “personalismo” di ispirazione cristiana. Al centro, dunque, della sua ricerca si colloca il concetto di persona…

R. – Sì, lui è stato, in Italia, l’interprete di un vasto filone del pensiero filosofico del Novecento – cioè il “personalismo” – che in un primo momento ha difeso la persona rispetto alle degenerazioni politiche anche dei regimi totalitari. Infatti, il “personalismo” è nato nel contesto degli anni Trenta. Ma oggi, in tempi di democrazia, qual è il suo significato? Nella democrazia, il “personalismo” comunque va riproposto perché la democrazia rischia l’appiattimento: rischia un modo di vita “consumistico”, una concezione tecnocratica. Cioè, all’ideologia politica si può sostituire una ideologia, per così dire, utilitaristica, individualistica... Mentre il “personalismo” rivendica la persona in tutto lo spessore, anche, delle sue relazioni con gli altri.

D. – Ecco, questo è molto attuale, come molto attuale è anche il discorso del rapporto tra fede e scienza, che Rigobello ha approfondito…

R. – Sì, certo, per lui la fede non è una forma – come dire – “integrale” di conoscenza, perché certamente la fede dà gli orientamenti di fondo, le verità essenziali, indica la meta finale, ma non indica tutti i tratti del percorso. I tratti del percorso possono – anzi, devono essere – trovati dagli esseri umani anche attraverso l’impegno della ragione. La fede e la ragione sono due strumenti essenziali: la ragione senza la fede cade nel razionalismo presuntuoso e assurdo, la fede senza la ragione cade nel fideismo fanatico, nel fideismo dogmatico e quindi anche nell’intransigenza. Quindi, la scienza è intesa come questo apporto che la ragione umana deve dare a una fede e, come la fede dà un apporto alla ragione per individuare le traiettorie di fondo della sua ricerca, però anche la fede non può fare a meno della ragione che è un dono che Dio ha fatto agli uomini perché lo possano utilizzare veramente.

D. – Rigobello lascia un’idea fondamentale, che è anche un messaggio: quello della vita come testimonianza, della ricerca dome testimonianza. Che cosa significa?

R. – Questo è un tema, sì, che lui ha sempre trattato. Come dire: anche la filosofia non è un discorso puramente speculativo. Si richiamava, questo, a una definizione di Platone, cioè “la vita teoretica”. La vita teoretica è spesa per il pensiero, ma questo pensiero dev’essere capace di generare rapporti umani, relazioni, amicizie… Quindi, in un certo senso, è una testimonianza. Quindi, non è un pensiero isolato, un pensiero aristocratico, ma un pensiero – come dicono i francesi – “engagé”, cioè impegnato nella vita. E anche questo è uno dei frutti, mi sembra, della stagione del “personalismo”, di Mounier, di Maritain, che sono stati pensatori che però hanno saputo, con il loro pensiero, incidere nella storia, nella vita politica, nella vita pubblica.

inizio pagina

In Italia ancora difficile l'integrazione delle comunità islamiche

◊  

Capire come vivono le comunità islamiche in Italia, in che modo si sono integrate nelle differenti città, come vengono cresciuti i loro figli.  Sono questi alcuni aspetti che vengono affrontati nel libro “Comunità islamiche in Italia. Identità e forme giuridiche”, presentato ieri pomeriggio a Roma alla Lumsa, la Libera Università Maria Santissima Assunta. Il testo, che raccoglie ricerche fatte da diversi docenti universitari, è stato curato dal giurista Giuseppe Dalla Torre, e dal costituzionalista Carlo Cardia. Marina Tomarro ha raccolto il commento del professore Dalla Torre: 

R. – L’idea di questo libro nasce dal fatto che, come noto, negli ultimi anni vi è stato un processo di immigrazione da Paesi di religione e di cultura islamica numeroso, che ha creato una serie di problemi, anche tante forme di solidarietà, ma – certo – un problema di accoglienza, di integrazione, e problemi di carattere giuridico notevoli. Qui siamo di fronte ad una religione davvero diversa, e questo pone una serie di problemi: dagli usi ai costumi, ai principi morali: pensiamo ad esempio in materia matrimoniale, sessuale, di rapporti tra uomo e donna, e quant’altro. Di fronte ad una realtà che è variegata, non si è riusciti ad andare in porto, fino adesso, con il sistema previsto dalla nostra Carta costituzionale: ossia il sistema delle intese e degli accordi tra le confessioni religiose. Perché l’Islam non è strutturato in un’istituzione, ci sono più Islam, e quindi non si sa bene chi rappresenta chi. D’altre parte è necessario, non solo per i problemi di carattere religioso, ma anche per tutti gli altri aspetti, come la materia del vitto, il problema dei carcerati, i bambini nelle scuole ecc., provvedere ad un’evoluzione del nostro ordinamento giuridico che permetta una migliore integrazione di questi stranieri nell’ambito del nostro Paese.

D. – Come sta andando l’integrazione in Italia delle comunità musulmane, anche alla luce dell’integrazione negli altri Stati europei?

R. – Credo che la nostra esperienza, da un lato sia un handicap, ma dall’altro un vantaggio. Nel senso che non siamo tentati, come invece accade ed è accaduto altrove, dall’idea dell’assimilazione, e a tal proposito penso al modello francese; né dall’idea della segregazione o della ghettizzazione, e penso a ciò che è accaduto in Belgio, in quartieri che sono completamente islamici, in qualche modo quasi una città nella città, un Paese nel Paese. Noi abbiamo poi anche il grande vantaggio di una società civile forte, animata essenzialmente dalle realtà del mondo cattolico che ha delle forti tendenze alla solidarietà. Credo che questo possa essere un buon presupposto.

D. – I recenti episodi di terrorismo quanto hanno reso più difficile questa integrazione?

R. – Non c’è dubbio che questo ha creato un allarme sociale e un atteggiamento di diffidenza. E tuttavia dobbiamo fare delle distinzioni, vedere al fatto che si tratta di minoranze che appartengono ad una determinata comunità nazionale ormai da due o tre generazioni. Quindi non sono coloro che vengono appena oggi sul nostro territorio, sul continente europeo; ma sono persone che sono nate, cresciute, che sono state educate nelle nostre scuole, nelle nostre – nel senso di europee – università. E quindi è un fenomeno un po’ diverso. Comunque la nostra è una ricerca che vuole conoscere non tanto dal punto di vista sociologico o statistico, ma da quello giuridico – il che significa leggi, ma anche contratti di lavoro, rapporti di carattere sindacale, e così via – che cosa abbiamo fatto, che cosa manca, in quale misura ci sono ancora passi da fare. 

Ma il cammino per l’integrazione delle comunità islamiche in Italia, soprattutto dal punto di vista legislativo, è ancora molto lungo, come spiega il costituzionalista Carlo Cardia, anche lui curatore del testo:

R. – Non si sono integrati in Italia. Vivono in Italia. Alcuni hanno fatto dei passi in avanti per un’integrazione; ci sono degli esponenti molto attenti, rispettosi delle nostre leggi. Quindi ci sono le condizioni per l’integrazione, ma questa non c’è stata, perché non si sono organizzati in confessione religiosa. Non hanno questa idea di fare uno Statuto, come chiede l’art. 8 della Costituzione.

D. – Allora in che modo si può cercare di favorire questa integrazione?

R. – Lo Stato potrebbe intervenire offrendo il sostegno proprio per fare gli Statuti insieme. Il problema è che quando si fa lo Statuto, si devono riconoscere i diritti e i doveri dei fedeli; si devono riconoscere i diritti previsti dalla Costituzione e dalla Carte internazionali, a cominciare dal rapporto uomo-donna.

inizio pagina

Brasile: Plenaria dei vescovi su laici nella Chiesa e nella società

◊  

Inizia oggi ad Aparecida, in Brasile, la 54.ma Assemblea generale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, Cnbb, che ha come tema centrale, "Laici cristiani nella Chiesa e nella società - sale della terra e luce del mondo". La riflessione sul tema è iniziata nel 2014, durante la 52.ma Assemblea Generale. In questa Assemblea il testo di lavoro sarà approfondito e potrà essere approvato come documento. Da Aparecida, Silvonei José Protz. 

Questo è il più grande raduno dell'episcopato brasiliano. Sono attesi circa 320 vescovi attivi ed emeriti di 18 regioni della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Ogni giorno, i lavori dell'Assemblea generale inizieranno con la celebrazione della Messa presso il Santuario nazionale di Aparecida, trasmessa in tutto il Paese tramite le radio e le televisioni cattoliche.

La Messa di apertura dell'Assemblea generale oggi sarà presieduta dall’arcivescovo di Brasilia, mons. Sergio da Rocha, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile.

Il vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale dei vescovi brasiliani, mons. Leonardo Steiner, si è incontrato nel primo pomeriggio di ieri con i giornalisti, presso il Centro eventi Padre Vitor Almeida Coelho, ad Aparecida, dove si terranno i lavori.

Mons. Leonardo, durante la conferenza, ha evidenziato il programma e le questioni da affrontare durante l'Assemblea generale. Parlando della programmazione, oltre al tema centrale, ha sottolineato i temi della "Liturgia nella Vita della Chiesa"; la 14.ma Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi; la situazione politica e sociale nel Paese e il messaggio "Pensare Brasile: crisi e soluzioni" e i cambiamenti nel quadro religioso del Paese.

"L'Assemblea è un momento molto prezioso per la nostra Conferenza episcopale, ha detto mons. Steiner, e per le nostre Chiese particolari. Si tratta di un spazio di preghiera, di condivisione, di studio e di convivenza fraterna. In questi giorni, rafforziamo la comunione tra noi vescovi ", ha detto.

Durante i 10 giorni di lavori, i vescovi brasiliani dovrebbero anche fornire una guida per le prossime elezioni comunali di ottobre. Secondo mons. Leonardo, il messaggio sulle elezioni cercherà di guidare i fedeli al momento del voto. "Questo orientamento non ha nulla a che fare con i partiti politici, ma con le opzioni politiche. La Chiesa deve sempre avere un'opzione per la democrazia e la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile ha sempre cercato di essere fedele agli orientamenti e motivazioni del Santo Padre", ha detto il segretario generale.

I lavori dell'Assemblea si svilupperanno in quattro sessioni, due di mattina e due di pomeriggio. Durante il prossimo fine settimana, sabato 9 e domenica 10, il ritiro dei vescovi, con la predica quest'anno del presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, il card. Gianfranco Ravasi. Il lavori di questa Assemblea si concluderanno il 15 aprile.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Nel 2015 sono tornate a crescere le spese militari

◊  

Le spese militari nel mondo sono cresciute dell’1% nel 2015, portando il totale a circa 1700 miliardi di dollari. Una fetta consistente di queste spese avviene in Asia, con Cina e Arabia Saudita ai primi posti nella classifica mondiale. E’ quanto emerge dal rapporto diffuso ieri dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), specializzata in queste statistiche. Il Sipri - riferisce l'agenzia AsiaNews - fa notare che l’incremento di quest’anno avviene invertendo una tendenza che durava dal 2011. La crescita è consistente in Asia e Oceania, nell’Europa centrale e in Medio Oriente, ma diminuisce in Europa occidentale, in Africa e in America latina.

Primato degli Usa ma anche Cina, Arabia Saudita e Russia
Gli Stati Uniti rimangono al primo posto nelle spese militari, con 596 miliardi di dollari, e pur avendo ridotto del 2% il budget. La Cina ha speso 215 miliardi, con un aumento del 7,4%; l’Arabia Saudita segna una crescita del 5,7% con 87,2 miliardi, prendendo il terzo posto nella classifica, davanti alla Russia, la cui crescita è stata del 7,5% con 66,4 miliardi.

Dati influenzati da crisi regionali e calo del prezzo del petrolio
Il Sipri fa notare che ad influenzare i dati vi sono due fattori: il primo è legato alle situazioni di tensione in Est Europa, in Medio oriente, nel Mar Cinese meridionale; il secondo è il prezzo del petrolio che dal 2014 è cominciato a scendere riducendo gli utili per molti Paesi produttori. A causa dell’abbassamento del prezzo del greggio, in modo vistoso hanno ridotto le spese militari il Venezuela (meno 64%) e l’Angola (meno 42%), ma vi sono anche riduzioni in Bahrain, Brunei, Kazakhstan e Sud Sudan. Nonostante la riduzione degli introiti dal petrolio, diversi Paesi esportatori hanno continuato ad aumentare le spese militari. Fra questi vi è l’Algeria, la Russia, il Vietnam, e soprattutto l’Arabia Saudita il cui intervento militare in Yemen le è costato finora 5,3 miliardi di dollari.

Crescita delle spese militari in Iraq
​Il Sipri avverte che per diverse nazioni del Medio Oriente non è possibile avere dati precisi. Per le nazioni i cui dati sono disponibili, per il 2015 si calcola un aumento delle spese militari del 4,1%. Fra tutti, l’Iraq è quello che ha avuto il maggior incremento. Nel periodo dal 2006 al 2015 le spese militari in Iraq sono cresciute del 536%: il più grande aumento al mondo per quel periodo. (R.P.)

inizio pagina

Siria: a Sadad tornano i cristiani espatriati in Europa

◊  

Nella città siriana di Sadad si registrano i primi ritorni di famiglie cristiane che erano espatriare in Eutropa per sfuggire alle violenze del conflitto. Lo riferisce ai media russi Suleiman al Khalil, sindaco della città situata nella provincia di Homs. “I cristiani che avevano lasciato la Siria per l'Europa cominciano a tornare a Sadad e anche in altre città” riferisce Khalil, aggiungendo che i ritorni sono favoriti dalla fiducia suscitata dal successo delle operazioni militari sostenute dalla Russia e dalla perdurante tenuta del cessate il fuoco concordato a Monaco di Baviera il 12 febbraio.

A Sadad compiuti massacri. Trovate fosse comuni
Sadad prima del conflitto era una città di circa 12mila abitanti, perlopiù cristiani assiri e siro ortodossi. Negli anni di guerra, almeno mille di loro erano fuggiti fuori dalla Siria, compreso l’arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama. Secondo fonti ecclesiastiche locali, nell'ottobre 2013 durante la temporanea conquista della città da parte dei jihadisti di al Nusra, sarebbero stati compiuti massacri sulla popolazione civile, confermati dal ritrovamento di una fossa comune con almeno 30 cadaveri. Lo scorso novembre, anche i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh) avevano provato a riconquistare la città, attaccando i posti di blocco dell'esercito siriano.

Il rientro dei cristiani
Negli ultimi tre mesi – riferisce il sindaco Suleiman al Khalil – almeno cento cristiani di Sadad fuggiti fuori dalla Siria hanno fatto ritorno alle proprie case, e si attende presto il rientro di altri duecento. La città si trova a 14 chilometri dalla strada che unisce Damasco a Homs, ed è disseminata di ben 15 chiese. (G.V.)

inizio pagina

Chiesa siro-ortodossa: umiliante il fermo del metropolita Swerios

◊  

La Chiesa siro-ortodossa considera “offensivo” il modo in cui la polizia palestinese ha fermato il metropolita Swerios Malki Murad, vicario patriarcale a cui è affidata la guida della comunità dei cristiani siro-ortodossi presenti in Terra Santa. Tale fermo di polizia – avvenuto nella serata di sabato 2 aprile e durato poche ore – rappresenta “una umiliazione per tutti i fedeli della Chiesa siro ortodossa sparsi nel mondo”. Così si legge nel comunicato diffuso dal Segretariato generale del Santo Sinodo siro ortodosso, riunitosi presso il monastero di Mor Jacob Baradaeus a Atchaneh, in Libano, il 4 e 5 aprile.

“Grande dispiacere” per le modalità in cui il vescovo è stato arrestato
Il Patriarcato – riferisce il comunicato ripreso dall'agenzia Fides – ha espresso “grande dispiacere” per le modalità in cui il vescovo è stato arrestato. Analoghi giudizi di riprovazione per l'operato della polizia palestinese sono stati espressi anche dal vescovo greco ortodosso palestinese Atallah Hanna, secondo il quale il trattamento inferto al Metropolita siro ortodosso è stato “degradante, ingiustificato e inaccetabile”.

Dalle autorità giudiziarie palestinesi nessuna spiegazione sui motivi del fermo
La polizia palestinese aveva fermato il metropolita siro-ortodosso Swerios Malki Murad nella serata di sabato 2 aprile prelevandolo dal convoglio di auto che accompagnavano l'alto ecclesiastico verso Gerusalemme, dopo una visita da lui effettuata presso il villaggio palestinese di al-Khader. Il metropolita era stato rilasciato su cauzione dopo essere stato sottoposto a un breve interrogatorio. Le autorità giudiziarie palestinesi non hanno finora fornito spiegazioni sui motivi che hanno portato a disporre il fermo temporaneo del vescovo. Indiscrezioni circolate nella rete web - e attribuite a Basem Badawi, a capo della Procura di Betlemme - fanno riferimento a una denuncia presentata contro il metropolita da una donna cristiana siro-ortodossa. (G.V.)

inizio pagina

Chiese Uganda: no a registrazione delle confessioni religiose

◊  

Dopo il Kenya anche l’Uganda intende procedere alla registrazione delle cosiddette Organizzazione fondate sulla fede (Faith Based Organizations Fbo), ovvero le confessioni religiose. Un provvedimento, sponsorizzato dal dipartimento per le questioni religiose ed etiche dell’Ufficio Presidenziale, che è fortemente contestato dalla Chiesa cattolica e dalle altre confessioni cristiane.

La Chiesa cattolica considera sospetta l'iniziativa
“Se quello che stiamo facendo è buono, allora perché dobbiamo essere registrati? Perché una fede che esiste da secoli necessita di una licenza per operare?” si chiede mons. John Baptist Kauta, segretario generale della Conferenza episcopale dell’Uganda, che descrive questa iniziativa governativa come sospetta. Mons. Kauta si chiede in effetti quali siano le reali intenzioni delle autorità politiche nell’adottare un simile provvedimento.

Gli anglicani si chiedono qual'è la logica sottesa alla registrazione delle religioni
Mons. Macleod Baker Ochola, vescovo anglicano emerito di Kitgum, e membro della Acholi Religious Leaders Peace Initiative (Arlpi), si chiede come un governo al potere da 30 anni possa regolamentare delle confessioni religiose che esistono da secoli: “Come fa un bambino a dire al padre come guidare una famiglia? Siamo qui da decenni. Quale è la logica sottesa alla registrazione di religioni ben conosciute?”.

Le ragioni delle autorità ugandesi
Il rev. Canon Aaron Mwesigye, direttore del dipartimento per le questioni religiose ed etiche dell’Ufficio Presidenziale, ha replicato alle critiche sottolineando che la registrazione mira a risolvere le dispute religiose, a combattere la corruzione e ad accrescere la collaborazione tra il governo e le confessioni religiose. (L.M.)

inizio pagina

Bolivia: vescovi denunciano piaga del narcotraffico

◊  

Domani i vescovi della Bolivia si riuniscono in Assemblea a Cochabamba. Ieri - riferisce l'agenzia Fides - sono iniziati gli incontri dei gruppi di lavoro delle Commissioni della Conferenza episcopale boliviana (Ceb) e oggi, nel pomeriggio, la riunione del Consiglio di Coordinamento Pastorale definirà l'agenda della 101.ma Assemblea dei vescovi della Bolivia. Molto probabilmente non mancheranno riferimenti alla drammatica situazione del narcotraffico e alla diffusione della droga persino nelle strutture di governo, come hanno denunciato i vescovi nella loro Lettera pastorale pubblicata la settimana scorsa dal titolo "Oggi metto davanti a te la vita o la morte", che ha generato tensione tra la Ceb e il Presidente Morales.

I vescovi daranno una risposta al Presidente Morales
"Non credo che dobbiamo preoccuparci di qualche ultimatum quando viviamo in tempi di democrazia" ha detto Erwin Bazan, portavoce della Ceb, in risposta al Presidente Evo Morales che aveva affermato che i vescovi della Bolivia devono dare i nomi dei sospetti trafficanti di droga legati al governo. Bazán, in una conferenza stampa, ha informato che l’Assemblea dei vescovi sarà lo spazio adeguato per dare una risposta congiunta al Presidente Morales.

Il carattere pastorale della Lettera dei vescovi sul narcotraffico
In riferimento alla Lettera Pastorale, il portavoce ha sottolineato: "Non dobbiamo perdere la prospettiva: è una lettera puramente pastorale e ha un messaggio eminentemente pastorale, perché parte dalla preoccupazione del popolo. In questo contesto, si dovrebbero piuttosto creare spazi di dialogo per trovare una soluzione a questa piaga che sta causando un danno enorme alla società”. (C.E.)

inizio pagina

Filippine: autorità intimano alle Chiese di non aiutare i contadini

◊  

Il governo della provincia di Cotabato ha minacciato di portare in tribunale il vescovo metodista di Kidapawan, accusato di nascondere nella sua chiesa alcuni agricoltori sfuggiti agli scontri dello scorso 1 aprile. Una lettera firmata dalla governatrice Emmylou “Lala” J. Talino-Mendoza e recapitata al presule recita: “La sua decisione di dare rifugio a questi manifestanti illegali è punibile dalla legge. Se lei non collabora con noi saremo costretti ad agire contro di lei”. Il vescovo, Ciriaco Francisco della Chiesa metodista unita - riferisce l'agenzia AsiaNews - non ha commentato.

Agricoltori chiedevano un intervento delle autorità a causa della siccità
Le violenze sono esplose lo scorso 1 aprile dopo giorni di proteste e manifestazioni promosse da circa 6mila contadini. Questi, per la maggior parte di etnia lumad, chiedevano al governo un intervento più deciso contro la siccità provocata da El Nino, che li sta portando alla fame, e accusavano le autorità di aver deviato i fondi destinati alla coltivazione diretta. In risposta sono stati impiegati diversi reparti della polizia in tenuta anti-sommossa: il bilancio complessivo delle violenze è di due vittime e decine di feriti.

La Chiesa cattolica ha condannato la repressione della polizia
La Conferenza episcopale delle Filippine e i Redentoristi di Manila hanno condannato con forza questi atti, definiti “criminali” e “inaccettabili”. A loro si uniscono le Missionarie rurali delle Filippine, che in un comunicato puntano il dito contro il governo Aquino: “Riteniamo l’esecutivo responsabile di questo atto terribile. I contadini, colpiti dalla siccità e spinti dalla disperazione, chiedono aiuto. In cambio vengono ripagati con la violenza”. (R.P.)

inizio pagina

Polonia: conferenza cattolici-ebrei sulle migrazioni

◊  

“L’approccio biblico nei confronti dei profughi sembra essere più ‘elastico’ della legge positiva di oggi”: è quanto ha osservato mons. Stanislaw Gadecki, presidente dei vescovi polacchi, inaugurando ieri a Varsavia la conferenza dedicata al fenomeno delle migrazioni e organizzata dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani insieme alla Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei, e dal Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose.

Rafforzare vincolo di amicizia tra ebrei e cattolici
“Diverso nella tradizione ebraica e cattolica: i profughi nel mondo d’oggi” è il titolo dell’incontro il cui obiettivo, come ha affermato il card. Kurt Koch citato dall’agenzia Sir, è “di rafforzare i vincoli d’amicizia tra ebrei e cattolici”. Nel corso della conferenza l’ambasciatore dello Stato d’Israele in Polonia, Anna Azari, ha sottolineato che “le relazioni con la Chiesa cattolica polacca sono una grande festa”, aggiungendo che gli ebrei “hanno molti amici tra i cattolici in Polonia”.

Cattolici polacchi di esempio per il mondo
Anche il rabbino capo di Polonia, Michael Schudrich, ha rilevato l’importanza dei legami tra ebrei e cattolici polacchi evidenziando che nell’ambito delle relazioni interreligiose “i sacerdoti e i cattolici polacchi possono essere d’esempio per il mondo”. Al termine della conferenza, domani 7 aprile, è prevista la pubblicazione di un comunicato congiunto. (I.P.)

inizio pagina

Vescovi Scozia: lettera in tutte le parrocchie per elezioni 5 maggio

◊  

In una lettera che sarà letta sabato e domenica prossima in tutte le 500 parrocchie cattoliche della Scozia, gli otto vescovi del Paese esortano la comunità cattolica a “partecipare attivamente” alla costruzione di “una società migliore” e a non essere “semplici spettatori passivi” del processo politico in vista delle prossime elezioni che si svolgeranno in Scozia il prossimo 5 maggio.  Il messaggio dei vescovi  agli “elettori cattolici” è: “Solo se si usa il tuo voto si può fare la differenza e influenzare i nostri leader politici”. 

Parlamento avrà maggiori responsabilità sulla legislazione in materia di aborto
“È dovere di ogni cattolico – scrivono i vescovi – cercare di influenzare la società in meglio. I vescovi vi chiedono, quindi, di esercitare questo diritto democratico e responsabilità andando a votare alle prossime elezioni parlamentari scozzesi”. I vescovi - riporta l'agenzia Sir - invitano anche a considerare che “il Parlamento scozzese ha ora più poteri rispetto a prima ed ha una maggiore voce, di conseguenza, nel determinare il benessere della società”. In particolare – osserva l’episcopato scozzese – al Parlamento è stato dato “un maggiore controllo dell’economia” e avrà anche maggiori responsabilità sulla legislazione in materia di aborto in Scozia.

In queste elezioni portare i benefici della visione della fede cristiana
L’invito dei vescovi è quello di far conoscere i propri punti di vista a candidati e partiti. E visto che nel sistema elettorale scozzese i voti sono due, i vescovi esortano i cattolici a valutare – nel voto al candidato – chi si sceglie perché sia “la persona più compatibile” con le proprie visioni; e nel voto al partito di controllare chi dei candidati è stato messo tra i primi nomi della lista. “Portate – è l’esortazione finale contenuta nella lettera – in queste elezioni i benefici della visione della fede cristiana”: i vescovi fanno riferimento alla “dignità di ogni persona, in particolare i più deboli e più vulnerabili”; al “valore di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale”; alla “famiglia come unità fondamentale della nostra società”; alla “giustizia sociale ed economica per tutti” e alla “cura della casa comune in cui viviamo”. “Per promuovere questi valori, si potrebbe anche prendere in considerazione la pena di aderire ad un partito politico. Non lasciamo che siano gli altri a determinare il futuro della Scozia”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 97

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.