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Sommario del 08/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Amoris Laetitia. Papa: misericordia e integrazione per tutte le famiglie

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Misericordia e integrazione: questo il nucleo dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia – La gioia dell’amore”, siglata da Papa Francesco il 19 marzo e diffusa oggi. Suddiviso in nove capitoli, il documento è dedicato all’amore nella famiglia. In particolare, il Pontefice sottolinea l’importanza e la bellezza della famiglia basata sul matrimonio indissolubile tra uomo e donna, ma guarda anche, con realismo, alle fragilità che vivono alcune persone, come i divorziati risposati, ed incoraggia i pastori al discernimento. In un chirografo che accompagna l’Esortazione inviata ai Vescovi, il Papa sottolinea che “Amoris Laetitia” è “per il bene di il bene di tutte le famiglie e di tutte le persone, giovani e anziane” ed invoca la protezione della Santa Famiglia di Nazareth. L’Esortazione raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla famiglia, svoltisi nel 2014 e nel 2015. Il servizio di Isabella Piro

Cap. 1 La Parola di Dio in famiglia e il dramma dei profughi
Misericordia e integrazione: Amoris Laetitia ruota attorno a questi due assi che ne rappresentano l’architrave. Il Papa ricorda che “l’unità di dottrina e di prassi” è ferma e necessaria alla Chiesa, ma sottolinea anche che, in base alle culture, alle tradizioni, alle sfide dei singoli Paesi, alcuni aspetti della dottrina possono essere interpretati “in diversi modi”. Il primo capitolo del documento, dedicato alla Parola di Dio, ribadisce la bellezza della coppia formata da uomo e donna, “creati ad immagine e somiglianza di Dio”; richiama l’importanza del dialogo, dell’unione, della tenerezza in famiglia, definita non come ideale astratto, ma “compito artigianale”. Ma non vengono dimenticati alcuni drammi, tra cui la disoccupazione, e “le tante famiglie di profughi rifiutati ed inermi” che vivono “una quotidianità fatta di fatiche e di incubi”.

Cap. 2 La realtà e le sfide della famiglia. La grande prova delle persecuzioni
Poi, lo sguardo del Papa si allarga sulla realtà odierna, e insieme al Sinodo, tenendo “i piedi per terra”, ricorda le tante sfide delle famiglie oggi: individualismo, cultura del provvisorio, mentalità antinatalista che – scrive Francesco – “la Chiesa rigetta con tutte le sue forze”; emergenza abitativa; pornografia; abusi sui minori, “ancora più scandalosi” quando avvengono in famiglia, a scuola e nelle istituzioni cristiane. Francesco cita anche le migrazioni, la “grande prova” della persecuzione dei cristiani e delle minoranze soprattutto in Medio Oriente; la “decostruzione giuridica della famiglia” che mira ad “equiparare semplicisticamente al matrimonio” le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso. Cosa impossibile, scrive il Papa, perché “nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita assicura il futuro della società”.

Ideologia gender è  “inquietante”
Francesco ricorda poi “il codardo degrado” della violenza sulle donne, la strumentalizzazione del corpo femminile, la pratica dell’utero in affitto, e definisce “inquietante” che alcune ideologie, come quella del “gender” cerchino di imporre “un pensiero unico” anche nell’educazione dei bambini. Davanti a tutto questo, però – è il monito del Papa – i cristiani “non possono rinunciare” a proporre il matrimonio “per essere alla moda” o per un complesso di inferiorità. Al contrario, lontani dalla “denuncia retorica” e dalle “trappole di lamenti auto-difensivi”, essi devono prospettare il sacramento matrimoniale secondo una pastorale “positiva, accogliente” che sappia “indicare strade di felicità”, restando vicina alle persone fragili.

Matrimonio non è un ideale astratto. Chiesa faccia salutare autocritica
Troppe volte, infatti – afferma il Papa con una “salutare autocritica” – il matrimonio cristiano è stato presentato puntando solo sul dovere della procreazione o su questioni dottrinali e bioetiche, finendo per sembrare “un peso”, un ideale astratto, piuttosto che “un cammino di crescita e di realizzazione”. Ma i cristiani - nota Francesco – sono chiamati a “formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, così come faceva Gesù che proponeva un ideale esigente, ma restava anche vicino alle persone fragili.

Cap. 3 La vocazione della famiglia e l’inalienabile diritto alla vita
In quest’ottica, l’indissolubilità del matrimonio non va intesa come “un giogo”, e il sacramento non come “una ‘cosa’, un rito vuoto, una convenzione sociale”, bensì “un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi”. Quanto alle “situazioni difficili ed alle famiglie ferite”, il Papa sottolinea che i pastori, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere, perché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”. Se da una parte, dunque, bisogna “esprimere con chiarezza la dottrina”, dall’altra occorre evitare giudizi che non tengano conto della complessità delle diverse situazioni e della sofferenza dei singoli. Francesco ribadisce, poi, con forza, il “grande valore della vita umana” e “l’inalienabile diritto alla vita del nascituro”, sottolineando anche l’obbligo morale all’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari, il diritto alla morte naturale e il fermo rifiuto alla pena capitale.

Cap. 4 L’amore nel matrimonio è amore di amicizia
Ma qual è, allora, l’amore che si vive nel matrimonio? Francesco lo definisce “l’amore di amicizia”, ovvero quello che unisce l’esclusività indissolubile del sacramento alla ricerca del bene dell’altro, alla reciprocità, alla tenerezza tipiche di una grande amicizia. In questo senso, “l’amore di amicizia si chiama carità”, perché “ci apre gli occhi e ci permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale un essere umano”. In quest’ottica, il Pontefice sottolinea anche l’importanza della vita sessuale tra i coniugi, “regalo meraviglioso”, “linguaggio interpersonale” che guarda “al valore sacro ed inviolabile dell’altro”. La dimensione erotica dell’amore coniugale, dunque, non potrà mai intendersi come “un male permesso o un peso da sopportare”, bensì come “un dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi”. Per questo, Amoris Laetitia rifiuta “qualsiasi forma di sottomissione sessuale” e ribadisce, con Paolo VI, che “un atto coniugale imposto al coniuge…non è un vero atto d’amore”.

Cap. 5 L’amore diventa fecondo. Ogni figlio ha diritto a madre e padre
Soffermandosi, quindi, sulla generazione e l’accoglienza della vita all’interno della famiglia, il Papa sottolinea il valore dell’embrione “dall’istante in cui viene concepito”, perché “ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio”. Di qui, l’esortazione a non vedere nel figlio “un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale”, bensì “un essere umano con un valore immenso”, del quale va rispettata la dignità, “la necessità ed il diritto naturale ad avere una madre ed un padre”, che insegnano “il valore della reciprocità e dell’incontro”.

La famiglia esca da se stessa per rendere ‘domestico’ il mondo
Al contempo, il Papa incoraggia le coppie che non possono avere figli e ricorda loro che la maternità “si esprime in diversi modi”, ad esempio nell’adozione. Di qui, il richiamo a facilitare la legislazione sulle procedure adottive e di affido, sempre nell’interesse del bambino e contrastando, con le dovute leggi, il traffico di minori. Quindi, Francesco sottolinea che ovunque c’è bisogno di “una robusta iniezione di spirito familiare”, ed incoraggia le famiglie ad uscire da se stesse, trasformandosi in “luogo di integrazione e punto di unione tra pubblico e privato”. Perché ogni famiglia – è il monito del Papa – è chiamata ad instaurare la cultura dell’incontro e a rendere ‘domestico’ il mondo. Per questo, il Papa lancia “un serio avvertimento”: chi si accosta all’Eucaristia senza lasciarsi spingere all’impegno verso i poveri ed i sofferenti, riceve questo sacramento “indegnamente”.

Cap. 6 Alcune prospettive pastorali. Accompagnare gli sposi da vicino
A metà dell’Amoris Laetitia, il Papa riprende, in modo sostanziale, i temi sinodali. Ad esempio richiama: la necessità di una formazione più adeguata per i presbiteri e gli operatori della pastorale familiare; il bisogno di guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, perché “imparare ad amare qualcuno non è una cosa che si improvvisa”; l’importanza di accompagnare gli sposi nei primi anni di matrimonio, affinché non si fermi la loro “danza con occhi meravigliati verso la speranza” e siano generosi nella comunicazione della vita, guardando al contempo ad una “pianificazione familiare giusta”, basata sui metodi naturali e sul consenso reciproco; la necessità di una pastorale familiare missionaria che segua le coppie da vicino e non sia solo una “fabbrica di corsi” per piccole élites.

Preoccupante l’aumento dei divorzi. I figli non siano ostaggi
Oggi, crisi di ogni genere minano la storia delle famiglie – dice il Papa – ma ogni crisi “nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore”. Di qui, l’incoraggiamento a perdonare e sentirsi perdonati per rafforzare l’amore familiare, e l’auspicio che la Chiesa sappia accompagnare tali situazione in modo “vicino e realistico”. Certo: nella nostra epoca esistono drammi come il divorzio “che è un male” – sottolinea l’Esortazione – e che cresce in modo “molto preoccupante”. Bisogna, allora, prevenire tali fenomeni, soprattutto tutelando i figli, affinché non ne diventino “ostaggi”. Senza dimenticare che, di fronte a violenze, sfruttamento e prepotenze, la separazione è inevitabile e “moralmente necessaria”.

Divorziati risposati non si sentano scomunicati
Quanto a separati, divorziati e divorziati risposati, l’Amoris Laetitia ribadisce quanto già espresso dai due Sinodi: occorre discernimento ed attenzione, soprattutto verso coloro che hanno subito ingiustamente la scelta del coniuge. Nello specifico, i divorziati non risposati vanno incoraggiati ad accostarsi all’Eucaristia, “cibo che sostiene”, mentre i divorziati risposati non devono sentirsi scomunicati e vanno accompagnati con “grande rispetto”, perché prendersi cura di loro all’interno della comunità cristiana non significa indebolire l’indissolubilità del matrimonio, ma esprimere la carità.

Rispetto per omosessuali, ma nessuna analogia tra matrimonio e unione gay
L’Esortazione ricorda poi le “situazione complesse” come quelle dei matrimonio con disparità di culto, “luogo privilegiato di dialogo interreligioso”, purché nel rispetto della “libertà religiosa”. Riguardo alle famiglie con persone di tendenza omosessuale, si ribadisce la necessità di rispettare la loro dignità, senza marchi di “ingiusta discriminazione”. Al contempo, si sottolinea che “non esiste alcun fondamento” per assimilare o stabilire analogie “neppure remote” tra le unioni omosessuali ed il matrimonio secondo il disegno di Dio. E su questo punto, è “inaccettabile” che la Chiesa subisca “pressioni”. Particolarmente preziosa, poi, è la parte finale del capitolo, dedicata all’accompagnamento pastorale da offrire alle famiglie colpite dalla morte di un loro caro.

Cap. 7 Rafforzare l’educazione dei figli, diritto-dovere dei genitori
Ampio, poi, il capitolo dedicato all’educazione dei figli, “dovere gravissimo” e “diritto primario” dei genitori. Cinque i punti essenziali indicati dall’Esortazione: educazione non come controllo, ma come “promozione di libertà responsabili che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza”. Educazione come insegnamento alla “capacità di attendere”, fattore “importantissimo” nel mondo attuale dominato dalla “velocità digitale” e dal vizio del “tutto e subito”. Educazione come incontro educativo tra genitori e figli, anche per evitare “l’autismo tecnologico” di molti minori scollegati dal mondo reale ed esposti alle manipolazioni egoistiche esterne.

Educazione sessuale sia educazione all’amore e al sano pudore
Il Papa dice, poi, sì all’educazione sessuale, da intendere come “educazione all’amore” da impartire “nel momento appropriato e nel modo adatto”, insegnando anche quel “sano pudore” che impedisce di trasformare le persone in puro oggetto. A tal proposito, Francesco critica l’espressione “sesso sicuro” che vira al negativo “la naturale finalità procreativa della sessualità” e sembra trasformare un eventuale figlio in “un nemico dal quale proteggersi”. Infine, la trasmissione della fede, perché la famiglia deve continuare ad essere il luogo in cui si insegna a coglierne le ragioni e la bellezza. I genitori siano, dunque, soggetti attivi della catechesi, non imponendo, ma proponendo l'esperienza spirituale alla libertà dei figli.

Cap. 8 Accompagnare, discernere e integrare le fragilità
Riprendendo, quindi, uno dei temi centrali del dibattito sinodale, il Papa si sofferma sulle famiglie che vivono situazioni di fragilità ed afferma, in primo luogo, che “non ci si deve aspettare dall’Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Pertanto, i pastori dovranno promuovere il matrimonio cristiano sacramentale, unione esclusiva, libera e fedele tra uomo e donna; ma dovranno anche accogliere, accompagnare ed integrare con misericordia le fragilità di molti fedeli, perché la Chiesa deve essere come “un ospedale da campo”. “Non ci capiti di sbagliare strada – scrive Francesco – La strada della Chiesa è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione”, quella che non condanna eternamente nessuno, ma effonde la misericordia di Dio “a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero”, perché la logica del Vangelo dice che “nessuno può essere condannato per sempre”.

No a norma canonica generale, ma discernimento responsabile caso per caso
Integrare tutti, dunque – raccomanda l’Esortazione – anche i divorziati risposati che possono partecipare alla vita della comunità ad esempio attraverso impegni sociali o riunioni di preghiera. E riflettere su quali delle attuali esclusioni liturgiche e pastorali possano essere superate con “un adeguato discernimento”, affinché i divorziati risposati non si sentano “scomunicati”. “Non esistono semplici ricette – ribadisce il Papa – Si può soltanto incoraggiare ad un discernimento responsabile dei casi particolari, perché “il grado di responsabilità non è uguale per tutti”.

Eucaristia non è premio per i perfetti, ma alimento per i deboli
In due note a pie’ di pagina, poi, il Papa si sofferma sulla disciplina sacramentale per i divorziati risposati: nella prima nota afferma che il discernimento pastorale può riconoscere che, in una situazione particolare, “non c’è colpa grave” e che quindi “gli effetti di una norma non necessariamente devono essere gli stessi” di altri casi. Nella seconda nota, Francesco sottolinea che “in certi casi” l’aiuto della Chiesa per le situazioni difficili “potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”, perché “il confessionale non deve essere una sala di tortura” e “l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un alimento per i deboli”.

Esame di coscienza per divorziati risposati. Leggi morali non sono pietre
Per i divorziati risposati, risulta comunque utile “fare un esame di coscienza” ed avere un colloquio con un sacerdote in foro interno, ovvero in confessione, per aiutare la formazione di “un giudizio corretto” sulla situazione. Essenziale, però – sottolinea il Pontefice – è la garanzia delle condizioni di “umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa”, per evitare “messaggi sbagliati”, come se la Chiesa sostenesse “una doppia morale” o i sacramenti fossero un privilegio da ottenere “in cambio di favori”. Perché è vero che “è meschino” considerare l’agire di una persona solo in base ad una norma ed è vero che le leggi morali non possono essere “pietre” lanciate contro la vita dei fedeli. Però la Chiesa non deve rinunciare “in nessun modo” a proporre l’ideale pieno del matrimonio. Anzi: oggi è più importante una pastorale del consolidamento, piuttosto che del fallimento, matrimoniale.

Chi pone condizioni alla misericordia di Dio annacqua il Vangelo
L’ideale evangelico, allora, non va sminuito, ma bisogna anche assumere “la logica della compassione verso le persone fragili”. Non giudicare, non condannare, non escludere nessuno, ma vivere di misericordia, “architrave della Chiesa” che non è dogana, ma casa paterna in cui ciascuno ha un posto con la sua vita faticosa. E questo, in fondo, è “il primato della carità” che non pone condizioni alla misericordia di Dio “annacquando il Vangelo”, che non giudica le famiglie ferite con superiorità, in base ad una “morale fredda da scrivania”, sedendo sulla cattedra di Mosè con cuore chiuso, ma si dispone a comprendere, perdonare, accompagnare, integrare.

Cap. 9 Spiritualità coniugale e familiare. Cristo illumina i giorni amari
Nell’ultimo capitolo, Amoris Laetitia invita a vivere la preghiera in famiglia, perché Cristo “unifica ed illumina” la vita familiare anche “nei giorni amari”, trasformando le difficoltà e le sofferenze in “offerta d’amore”. Per questo, il Papa esorta a non considerare la famiglia come “una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre”, bensì come uno sviluppo graduale della capacità di amare di ciascuno. “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” è l’invito conclusivo di Francesco che incoraggia le famiglie del mondo a non “perdere la speranza”.

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Amoris Laetitia, dono per le famiglie nel segno della misericordia

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L’Esortazione post-sinodale sulla famiglia, Amoris Laetitia, è stata presentata in Sala Stampa vaticana, gremita di giornalisti di tutto il mondo. Sono intervenuti il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e i coniugi Francesco e Giuseppina Miano, che hanno preso parte ad entrambi i Sinodi sulla famiglia voluti dal Pontefice. Il servizio di Alessandro Gisotti

Uno “sguardo positivo” e “originale” sulla bellezza dell’amore coniugale e sulla famiglia. Il cardinale Lorenzo Baldisseri ha tratteggiato così il valore di Amoris Laetitia, sottolineando subito come sia, particolarmente significativo, che questo documento venga pubblicato nell’ambito del Giubileo della Misericordia.

Baldisseri: Amoris Laetitia mostra tutta la bellezza della famiglia
L’Anno Santo, ha detto il porporato, “è davvero una buona notizia per le famiglie di ogni continente, specialmente per quelle ferite e umiliate”: 

“Il titolo Amoris Laetitia è in piena continuità con l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: dalla gioia del Vangelo alla gioia dell’amore nella famiglia. Il cammino sinodale ha presentato la bellezza della famiglia parlando dell’amore: esso costituisce il fondamento dell’istituto familiare, perché Dio è amore tra Persone, è Trinità e non solitudine”.

Amoris Laetitia, ha tenuto a precisare, approfondisce dunque “il Vangelo del matrimonio e della famiglia”. Dall’Esortazione, ha ammonito, non bisogna aspettarsi una “nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Piuttosto, Amoris Laetitia “offre concreti orientamenti pastorali che, nella continuità, acquistano un valore e una dinamica nuova”.

Schönborn: leggendo l’Esortazione, nessuno si sente condannato
Dal canto suo il cardinale  Christoph Schönborn ha innanzitutto rilevato che in questo documento ritroviamo “il linguaggio e lo stile” di Francesco, le sue sono “parole che scaldano il cuore”. Non bisogna lasciarsi “spaventare” dalla sua lunghezza, ha ripreso l’arcivescovo di Vienna, nella convinzione che leggendo Amoris Laetitia si troverà “gioia nella concretezza e nel realismo” del testo. “Integrazione”, ha detto il cardinale austriaco, è la parola guida dell’Esortazione. Con questo documento viene superata “l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare”. Ed ha annotato che il Papa è “riuscito a parlare di tutte le situazioni senza catalogare”, senza “categorizzare” perché lo sguardo di Gesù “non esclude nessuno”:

“Nessuno deve sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e sinceramente nessuno”.

Coniugi Miano: in Amoris Laetitia si coglie la famiglia in cammino
La lettura di Amoris Laetitia, hanno affermato da parte loro i coniugi Miano, è stata “un momento di grande commozione e di profonda gioia”. E la gioia è stato il sentimento che hanno condiviso, “per un testo magisteriale che nel parlare della famiglia riconduce all’essenziale, a quello che più conta; e lo fa con un linguaggio diretto, semplice, per tutti”. Dunque, non un “testo per addetti ai lavori”, ma “per addetti alla vita”. Quindi, hanno messo l’accento sulla dimensione del cammino, fondamentale per capire il Sinodo ma pure la famiglia. La riflessione di Giuseppina Miano:

“La categoria del cammino è fondamentale per capire il senso della vita della famiglia che traspare da queste pagine. Che la vita della famiglia sia un cammino viene ripetuto con chiarezza; un cammino in cui non bisogna stancarsi di guardare avanti, di avere grandi orizzonti, non bisogna smettere di sognare, e di cui imparare a gustare ed apprezzare ogni passo senza temere il divenire, le trasformazioni che il cammino porta con sé, avendo piuttosto il senso dell’imperfezione e della crescita”.

I coniugi Miano hanno quindi evidenziato quanto il Papa richieda alle famiglie di credere nella cultura dell’incontro, a non chiudersi “nell’individualismo del piccolo nido” ma ad avere un cuore grande che sappia ritrovare “il gusto di relazioni autentiche”.

Schönborn: non c’è rottura, ma sviluppo organico della dottrina
Dal canto suo, il cardinale Schönborn – rispondendo alle domande dei giornalisti – ha ammonito a non concentrare l’attenzione esclusivamente sulla questione, pur importante, dell’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati. Si è però soffermato su quanto affermava Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio:

“San Giovanni Paolo parla di tre situazioni diverse. La terza è il caso nel quale i risposati hanno moralmente la convinzione che il loro primo matrimonio non sia valido. Non ha tirato la conclusione su questo fatto, ma io penso che ci siano delle situazioni in cui non sia possibile trovare una soluzione canonica, ma in cui – nella certezza morale che questo primo matrimonio non sia sacramentale e con la coscienza della quale parla Papa Giovanni Paolo e cioè che sono convinti che non siano sposati sacramentalmente - ammetterli ai Sacramenti era già una prassi da lungo tempo e che né Papa Giovanni Paolo, né Papa Benedetto hanno esplicitamente messo in dubbio”.

Dunque, ha affermato il porporato, non c’è rottura tra Amoris Laetitia e il magistero dei Pontefici precedenti sulla famiglia. Non c’è cambiamento, ha ripreso, ma innovazione, sviluppo organico della dottrina: un’innovazione nella continuità. Al tempo stesso, è stato il suo suggerimento, bisognerebbe "ridiscutere" la prassi dei Sacramenti, non solo per i divorziati risposati ma in generale.

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Schönborn, le parole chiave: amore, accompagnamento e discernimento

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Il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, durante la presentazione  della Esortazione apostolica di Papa Francesco “Amoris Laetitia” in Sala Stampa, si è soffermato sulle parole chiave del documento. Asdoltiamo il porporato al microfono di Sergio Centofanti

R. – La parola chiave è amore: Amoris Laetitia. E’ significativo che il Papa non parli della carità, ma dell’amore. Tutta la pienezza dei sentimenti, degli atteggiamenti nella coppia e nella famiglia, infatti, tutta questa ricchezza è al centro. Io direi che questo documento è anzitutto un grande inno all’amore familiare e nel centro del testo, geograficamente nel centro, ma anche spiritualmente nel centro, si trova il IV capitolo. So che tutti leggeranno l’VIII capitolo dove si trattano le questioni difficili, controverse, ma il IV capitolo è veramente il cuore del testo, perché è una lunga meditazione sull’Inno di San Paolo, nel XIII capitolo della Prima Lettera ai Corinzi, sulla carità e sull’amore. E questo è il nucleo. San Giovanni dice: “Abbiamo creduto nell’amore”. Papa Francesco crede nell’amore, nella forza attraente dell’amore, e per questo può essere abbastanza sfiduciato, critico nei confronti di un atteggiamento che vuole regolare tutto con delle norme, di chi pensa che basti accordarsi alla norma. No, dice il Papa: “Questo non attira; ciò che attira è l’amore”. E questa per me, da domenicano, è la posizione classica di San Tommaso d’Aquino. Io spero che, dopo la pubblicazione del documento, si faccia uno studio per mostrare quanto questo documento sia in linea con il grande San Tommaso d’Aquino. E’ l’autore più citato in tutto il documento tra i teologi, i maestri, i Padri della Chiesa. E la profonda convinzione di San Tommaso è che solo il bene ci attira. L’orientamento nell’agire umano si fa attraverso l’attrazione del bene, della felicità. E questo ideale della famiglia cristiana, della coppia, non è un ideale astratto, è il profondo desiderio dell’uomo. Ma questa meta, questa finalità, si raggiunge passo passo, mano a mano. E per questo l’altra parola chiave del documento è ”accompagnamento”: l’accompagnamento che fanno i genitori con i loro figli, che fanno i pastori con i fedeli, che fa il Papa con la Chiesa. Accompagnamento su una strada in cui sono tutti. Ed io, che vengo da una famiglia molto ferita, da una cosiddetta “patchwork family”, ho sofferto da giovane di questa quasi separazione che si fa spesso nella Chiesa: qui sono quelli “in ordine”, che si comportano bene, e qui sono gli altri che sono irregolari; qui i buoni, quelli in regola, e qui gli altri che sono un problema. Papa Francesco, nella linea di Gesù, della Bibbia e del Nuovo Testamento, ci mostra che noi siamo tutti in cammino, tutti, senza eccezione. Anche quelli che hanno la fortuna di vivere in una situazione di pace familiare, serena, nella fede e che camminano bene, anche loro hanno bisogno di conversione, anche loro hanno bisogno di misericordia. E, dunque, accompagnare è la parola chiave per i pastori, per le comunità cristiane. E’ importante, perché il Papa invita le comunità a questo accompagnamento. E poi, terza e ultima parola chiave, dopo amore e accompagnamento, è discernimento. “Discernimento” è molto ignaziano. Il Papa è gesuita e formato dagli Esercizi di Sant’Ignazio. Il discernimento è ciò che ognuno di noi deve fare: cosa Dio vuole da me nella vita quotidiana, nelle grandi scelte della vita, eccetera. Discernimento anche nelle situazioni difficili. E qui c’è un punto che si deve fortemente sottolineare: questo è in continuità con San Giovanni Paolo II, perché questo documento è basato in gran parte sulla “Familiaris Consortio”. Dobbiamo mostrare in dettaglio quanto sia nella linea della “Familiaris Consortio”, cosa fa il Papa, che ha già fatto il Sinodo dello scorso ottobre. Nel 1984, nella “Familiaris Consortio”, San Giovanni Paolo II diceva: i pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere le situazioni. E poi enumera tre diverse situazioni di rottura del matrimonio, ma sono molto diverse. E cosa vuol dire? Papa Francesco ci mostra che questo discernimento vuole anche un accompagnamento diverso: non fa una casistica dell’accompagnamento, ma piuttosto una scuola dell’attitudine del pastore e della comunità, che accompagnano con uno sguardo attento alla realtà – il Papa lo dice parecchie volte nel documento – le situazioni come sono, le famiglie come sono: un accompagnamento variegato. E in una piccola nota aggiunge che questo aiuto della Chiesa può esserci, in certi casi, anche con i Sacramenti; non dice di più. Forse alcuni diranno: “Non basta”. Lui dice: “Fate un buon discernimento”.

D. – Questo documento ha, secondo lei, anche un nuovo linguaggio?

R. – Direi che questo documento è un “evento di lingua”, come già è stato l’”Evangelii Gaudium”. È un “evento”, una freschezza, un’immediatezza di linguaggio, che colpisce, perché a volte dobbiamo ammettere – umilmente! – che i nostri documenti ecclesiastici non sono tanto leggibili… Si sente che il Papa è un uomo che ha insegnato la letteratura, che ama i poeti, gli scrittori. Ha un linguaggio con un sapore di vita, di freschezza, di immagini. E parla delle realtà della vita con una vicinanza alla gente, che si sente: si sente che è un uomo che è stato tanto vicino alla gente. Ma non bisogna dimenticare, anche qui, la continuità: leggendo tutto il quarto e il quinto capitolo, penso alle catechesi di San Giovanni Paolo II sulla teologia del Corpo, ma è molto più ampio: la vita della coppia anzitutto. Papa Francesco è, secondo me, in forte continuità con questo approccio molto concreto, vivo, della realtà quotidiana. Forse lui include un po’ di più ciò che lui chiama la “famiglia allargata”; parla dei nonni, degli zii, dei cugini: di tutta questa ricchezza dell’ambiente familiare che forse è un po’ mancata nei documenti ecclesiastici sulla famiglia.

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Papa: un'opera di misericordia è come un abbraccio di Dio

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Compiere un’opera di misericordia verso chi è in stato di bisogno è un modo di irradiare nel mondo l'abbraccio e la smisurata “bontà di Dio”. È quanto sottolineato da Papa Francesco nel suo discorso ai membri della Papal Foundation, una organizzazione cattolica che da quasi trent’anni sostiene nel mondo progetti caritativi a nome del Papa. Il servizio di Alessandro De Carolis

Ogni anno al cospetto del Papa del quale sono nel mondo ambasciatori di solidarietà concreta – dalla fornitura di cibo per gli affamati di un villaggio ucraino o di un gruppo di profughi siriani in Libano alla costruzione di una scuola in Burkina Faso o di una casa per ragazzi di famiglie rurali in Honduras. Sono centinaia i progetti portati a termine dalla “Papal Foundation” – e oltre 110 i milioni di dollari erogati – da quando Giovanni Paolo II la istituì nel 1990. E dozzine sono in corso di attuazione nei vari continenti.

Spirito di generosità
È dunque un grazie sincero quello che Francesco riserva agli oltre 220 rappresentanti della Fondazione ricevuti in Sala Clementina. “Vi dico grazie – afferma Francesco – a nome di tutti coloro che ricevono assistenza mediante il vostro impegno di carità”, sottolineando come l’incontro del 2016 cade nel mezzo del Giubileo, cioè di un tempo speciale in cui compiere opere di misericordia:

“Siamo chiamati da Cristo a condividere questa misericordia con coloro che sono spiritualmente e materialmente nel bisogno mediante le opere di misericordia spirituali e corporali, con quello spirito di generosità e tenerezza che riflette l’incommensurabile bontà di Dio”.

Misericordia è gioia
Questa bontà prende forma e “si irradia nel mondo”, riconosce Francesco, portando con sé – oltre alla soluzione di un bisogno – anche “gioia, serenità e pace”:

“Le opere di misericordia sono al cuore della vostra missione. Mediante il vostro generoso aiuto ai progetti diocesani, parrocchiali e delle comunità, come pure attraverso l’offerta di borse di studio, voi assistete molte persone perché rispondano efficacemente ai bisogni presenti nelle loro comunità e portare avanti in modo sempre più proficuo le opere di misericordia”.

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Papa e Bartolomeo a Lesbo. Metropolita Zervos: solidali con i profughi

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Fervono i preparativi sull’isola greca di Lesbo dove il prossimo 16 aprile si recherà il Papa che - insieme al Patriarca Bartolomeo e al Primate della Chiesa ortodossa greca Hieronymus II - incontrerà i profughi che fuggono soprattutto dalle violenze in Medio Oriente. Massimiliano Menichetti ha intervistato il metropolita ortodosso Gennadios Zervos, rappresentante del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli in Italia e Malta: 

R. - È un’occasione straordinaria, felice, cristiana, e umana, per dimostrare l’amore verso ogni uomo che è icona di Dio. La presenza del Papa e del Patriarca Bartolomeo in Grecia, invitati da Sua Beatitudine il Primate di Grecia Hieronimus, è veramente un avvenimento storico, perché non è mai successo prima. Possiamo quindi dire: “Grazie a Dio” e aspettare pieni di speranza e di gioia questo avvenimento.

D. – Un segno di un cammino concreto verso l’unità, anche nei confronti dei più bisognosi...

R. – È veramente un grande peccato contro Dio vedere tante persone che vivono in questa tragica situazione. Sono nostri fratelli e non dobbiamo lasciare che rimangano in queste difficoltà. Dobbiamo invece, tutti uniti in un solo corpo e in una sola anima, salvarli. Preghiamo continuamente: preghiamo per la missione di Papa Francesco e preghiamo per il nostro Patriarca ecumenico Bartolomeo. Essi ci mostrano cosa, noi fedeli, dobbiamo fare. Tracciano una strada, una luce verso questi nostri fratelli che soffrono e hanno bisogno del nostro aiuto e del nostro amore.

D. – La parola di questo viaggio, declinata in tante valenze e significati, sembra essere “incontro”…

R. – Credo che questo sia un incontro veramente umano, pastorale, spirituale, ecclesiastico, che aiuta molto i cristiani a capire dove andare e chi seguire. Perché molti politici e tanti altri parlano di chi ha le colpe, ma non fanno niente per i nostri fratelli, che sono la presenza di Dio che soffre. Invece l’impegno deve essere quello di aiutare i profughi. E’ un nostro dovere e tutti dobbiamo essere sensibilizzati a questo affinché si fermi questo momento tragico per l’umanità.

D. – Quindi agire…

R. – Non dobbiamo soltanto parlare, rimanere in questa confusione, in questo caos, dobbiamo agire. Quando parliamo soltanto e non siamo “operai” di questo amore di Dio, che vuole che siamo vicini a questi uomini che soffrono, il risultato è il nulla.  

D. – Lei ha detto: “Grande è la gioia per questa presenza sull’isola” il prossimo 16 aprile…

R. – Il Patriarca Bartolomeo e Papa Francesco sono la nostra gioia. Come la Madonna per la nostra umanità ha detto “sì” all’arcangelo Gabriele, nell’Annunciazione, allo stesso modo anche loro hanno detto: “Sì, dobbiamo venire qui, perché dobbiamo sensibilizzare tutti, per far capire che è un grande peccato discutere solamente e non agire per questi nostri fratelli che soffrono e che hanno bisogno del nostro aiuto per vivere”.

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Il Papa nomina mons. Gianrico Ruzza ausiliare di Roma

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, i cardinali Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, e Dominique Mamberti, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

Papa Francesco ha nominato vescovo ausiliare di Roma mons. Gianrico Ruzza, del clero romano, finora parroco della parrocchia di San Roberto Bellarmino. Il neo presule è nato a Roma il 14 febbraio 1963. Ha compiuto gli studi presso il Seminario Romano Maggiore. Il 16 maggio 1987 è stato ordinato Presbitero per la diocesi di Roma. Ha conseguito la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana e si è iscritto al corso di Dottorato presso la Pontificia Università Lateranense. Ha frequentato lo Studio Rotale sostenendo tutti gli esami. Ha svolto i seguenti uffici e ministeri: Assistente del Pontificio Seminario Romano Maggiore dal 1987 al 1990; Vice Rettore dello stesso Pontificio Seminario Romano dal 1991 al 1997; Segretario della Missione Cittadina dal 1996 al 1999; Segretario del Consiglio Pastorale Diocesano, Segretario del Comitato locale per il Congresso Eucaristico Internazionale dell’anno 2000 e Segretario della Missione cittadina di Roma. Direttore dell’Ufficio del Clero del Vicariato di Roma dal 2001 al 2006; Assistente Spirituale dell’Apostolato Accademico Salvatoriano (2003); Assistente delle Comunità Eucaristiche (1996);  Rettore della Chiesa di San Lorenzo de’ Speziali in Miranda dal 2000 al 2006; Presidente dell’Istituto dei S. Spirituali Esercizi per uomini presso Ponte Rotto dal 1997 al 2006; Parroco della Parrocchia di San Roberto Bellarmino dal 2006. Dal 2010 è Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero e dal 2011 Prefetto della VI Prefettura.

In Colombia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Puerto Gaitán, presentata da mons. Luis Horacio Gómez Gonzáles, in conformità al canone 401 – PAR. 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, ha nominato il sacerdote Raúl Alfonso Carrillo Martínez, del clero di Zipaquirá, parroco e moderatore della Curia. Mons. Carrillo Martínez, è nato il 22 settembre 1964 a Ubaté, Diocesi di Zipaquirá. Ha svolto la preparazione al sacerdozio, sia filosofica che teologica, nel Seminario Maggiore San José de Zipaquirá, tra gli anni 1984 e 1990. È stato ordinato sacerdote il 14 maggio 1990, incardinato nella Diocesi di Zipaquirá. Ha svolto, poi, i seguenti incarichi pastorali ed amministrativi: 1990-1991: Vicario parrocchiale a Nuestra Señora de los Dolores (Zipaquirá); Missionario e Vicario Parrocchiale a Santa Cruz di Mompox (Diocesi di Magangué); 1991-1994: Missionario e Parroco a Santa Cruz (Diocesi di Magangué); 1994-2000: Parroco di Nuestra Señora de Lourdes (Zipaquirá); Delegato diocesano per la Pastorale Missionaria; 2000-2002: Licenza in Teologia Pastorale presso la Pontificia Università Lateranense, in Roma; 2002-2007: Formatore e Economo nel Seminario Maggiore San José de Zipaquirá, Membro del Consiglio diocesano per gli Affari Economici; dal 2008: Parroco di Nuestra Señora de la Asunción (Zipaquirá), Moderatore della Curia, Membro del Consiglio diocesano per gli Affari Economici e Vicario foraneo della Santisima Trinidad. Il Vicariato Apostolico di Puerto Gaitán  (1999), ha una superficie di 50.500 kmq e una popolazione di 129.500 abitanti, di cui 82.700 sono cattolici. Ci sono 10 parrocchie servite da 27 sacerdoti (22 diocesani, 5 religiosi), 3 suore e 6 seminaristi maggiori.

In Venezuela, Francesco ha nominato vescovo di San Carlos de Venezuela il sacerdote Polito Rodríguez Méndez, del clero della diocesi di Barinas, finora sottosegretario della Conferenza Episcopale del Venezuela. Il nuovo presule è nato a Santa Bárbara, diocesi di Barinas, il 13 agosto 1967. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Seminario Maggiore della Fraternità dei sacerdoti operai diocesani. Ottenne la Licenza in Filosofia e la Licenza in Teologia presso l’Università “Santa Rosa de Lima” di Caracas (Venezuela); la Licenza in Teologia Morale presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma; e il Master in Docenza Universitaria e il Dottorato in Scienze dell’Educazione presso l’Università “Fermín Toro” di Venezuela. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 31 luglio 1999, incardinandosi nella diocesi di Barinas. Ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale e Parroco della Parrocchia “Santo Domingo de Guzmán” a Ciudad Bolivia, Parroco della Parrocchia “San Miguel Arcángel” a El Cantón, Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora del Carmén” a Punta de Piedra, Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora del Rosario” a Barinas, Parroco della Cattedrale di Barinas, Direttore diocesano per la Pastorale dei giovani e delle vocazioni, Vicario Diocesano per la pastorale, Professore e Rettore del Seminario diocesano “Nuestra Señora del Pilar”, e, dal 2015, Sottosegretario della Conferenza Episcopale del Venezuela.

In Spagna, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ciudad Real, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Antonio Ángel Algora Hernando. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Gerardo Melgar Viciosa, trasferendolo dalla sede di Osma-Soria. Mons. Melgar è nato in Cervatos de la Cueza (Palencia) il 24 settembre 1948. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici nel Seminario di Palencia. È stato ordinato a Palencia il 20 giugno 1973. Nel 1976 ha conseguito la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha ricoperto i seguenti incarichi: Economo di vari villaggi a Palencia (1973); Coadiutore di San Lazaro a Palencia (1976); Formatore (1977-1982) e poi Rettore (1982-1987) del Seminario Minore di Palencia a Carrión de los Condes; Vicario Parrocchiale (1987-1993) e poi Parroco moderatore (1995-2005) di San José in Palencia; Vicario per la pastorale (1993-1999); Delegato Diocesano per la Pastorale Familiare (2000-2005); Vicario Generale (2005-2008); Amministratore Apostolico sede vacante (gennaio-settembre 2006). È stato nominato Vescovo di Osma-Soria il primo maggio 2008 e fu consacrato il 6 luglio successivo. Nella Conferenza Episcopale è stato Membro della Commissione Episcopale per l’Apostolato dei Laici, e dal marzo 2014 è Membro della Sotto-commissione per la Famiglia e la Difesa della vita.

Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato Militare per il Canada, presentata da mons. Donald Thériault, in conformità al can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il padre Scott McCaig, C.C., Superiore Generale dei Companions of the Cross (Canada). Il neo presule è  nato  a  Duncan  ( British  Columbia)  il 12 dicembre 1965. Ha intrapreso gli studi universitari nelle seguenti istituzioni accademiche: Cariboo College di Kamloops (1985-1987), University of Victoria (1988-1989), Carleton University (1989-1990) di Ottawa, conclusi con una licenza universitaria in Storia. Dopo un anno di prova, nel 1990 ha emesso le “first promises” nei Companions of the Cross e ha intrapreso la formazione al presbiterato frequentando i corsi al St Augustine’s Seminary di Toronto. Li ha conclusi con un Master in Divinity. E’ stato ordinato diacono il 30 ottobre 1994 e sacerdote il 3 giugno 1995. E’ stato incardinato ad Ottawa fino al 2003, quando i Companions of the Cross sono stati approvati ed eretti dall’Arcivescovo di Ottawa, S.E. Mons. Marcel Gervais, in Società di Vita Apostolica, ottenendo la facoltà di incardinare. Ha esercitato il mistero pastorale in diverse parrocchie. Dal 2000 al 2006 è stato membro del consiglio esecutivo dei Companions e Direttore della formazione. Nel 2006 è stato eletto superiore generale e riconfermato nel 2012 fino ad oggi.

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Papa, tweet sull'Esortazione apostolica "Amoris Laetitia"

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Papa Francesco ha lanciato due tweet dal suo account @Pontifex ispirati all'Esortazione apostolico poast-sinodale "Amoris Laetitia". Il testo del primo messaggio è "La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”, mentre il secondo "La famiglia è il luogo dove i genitori diventano i primi maestri della fede per i loro figli".

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Mons. Gudziak: tutti gli ucraini grati al Papa per il suo aiuto

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Papa Francesco parteciperà con una “consistente somma di denaro” alla colletta pro-Ucraina del 24 aprile, da lui stesso lanciata al Regina Caeli di domenica scorsa. A riferire della decisione del Papa è una nota di “Cor Unum” che precisa che il contributo del Pontefice andrà “a beneficio dei residenti nelle zone colpite e degli sfollati interni” del Paese europeo. “Cor Unum”, si precisa nel comunicato, “è incaricato di valutare ed approvare la gestione tecnica dei fondi, secondo progetti vagliati localmente da una apposita Commissione”. Inoltre, conclude la nota, “per la fine del mese di aprile è prevista una missione in Ucraina” del segretario di “Cor Unum”, mons. Giampietro Dal Toso. Mario Galgano ha raccolto un commento sulla colletta europea del vescovo ucraino greco-cattolico a Parigi, mons. Borys Gudziak, portavoce dei vescovi bizantini dell’Ucraina: 

R. – Tutti gli ucraini sono molto riconoscenti al Santo Padre per questo gesto e questa intenzione, che hanno un valore e materiale e morale. Cinque milioni di cittadini ucraini sono toccati direttamente dalla guerra. Due milioni e 500 mila sono rifugiati – due milioni in Ucraina – e tutta la struttura economica-sociale è traumatizzata. L’infrastruttura industriale, per esempio, nel Donbass è distrutta: la perdita si misura in forse 50 miliardi di euro… Dunque, non c’è lavoro c’è una svalutazione della valuta ucraina per due terzi e questo vuol dire che per due anni tutto il Paese ha solo una terza parte del salario. C’è povertà: gli ucraini fino adesso hanno portato questa sfida con grande dignità, ma c’è una stanchezza e una esasperazione crescenti. C’è questa crisi umanitaria, ma la crisi è causata dalla guerra e la solidarietà materiale che aiuti i poveri diventa anche uno spunto per la pace. Certamente, per noi cristiani la preghiera cambia i cuori e la solidarietà spirituale di tutta l’Europa cattolica, alla quale ha fatto appello Papa Francesco, è molto importante in questo tempo di sfida grande.

D. – Qual è la situazione della sua Chiesa, soprattutto nel Donbass, ma anche nella Crimea annessa dalla Russia?

R. – In Crimea, tutte le confessioni oltre la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca sono in difficoltà. La maggioranza dei preti greco-cattolici sarebbero dovuti partire, alcuni sono stati arrestati, alcuni picchiati… Ci sono altri sacerdoti che vengono dall’Ucraina per qualche mese, ma senza la registrazione – che è stata cancellata – c’è il problema legale dell’esistenza della comunità e della presenza dei pastori… Anche le comunità latine hanno diversi problemi. La comunità particolarmente perseguitata è quella dei musulmani, che sono gli abitanti originali della Crimea. I capi della comunità tartara sono stati espulsi, non possono entrare in Crimea. I media, la comunicazione, sono stati proibiti, la tv chiusa… Anche la comunità ortodossa del Patriarca di Kiev subisce tante repressioni e confische. Nel Donbass, c’è grande paura: tanti di questi cosiddetti separatisti sono ex prigionieri che avevano una vita criminale, ci sono “gang” che hanno lottato tra di loro e che cercano di sfruttare la gente… Mancano le medicine, l’insulina per i malati di diabete, non ci sono gli strumenti necessari per operare… Anche le scuole non funzionano in maniera normale. Le università, alcune, sono chiuse, altre sono trasferite in altre parti dell’Ucraina… Dunque, c’è una profondissima dislocazione sociale.

D. – Cosa possono fare, concretamente, gli europei per l’Ucraina, oltre alla colletta del 24 aprile per l’Ucraina?

R. – E’ molto importante essere informati. Adesso, il problema principale è fermare l’armamento di questi separatisti. Se ci fosse, in Europa, una coscienza chiara e piena della situazione, i governi farebbero una pressione che potrebbe portare alla pace. Tanti pensano che la guerra in Ucraina sia finita, che non ci sia la guerra, che tutto sia stato pacificato. Invece, quasi ogni giorno qualcuno è ucciso e la sofferenza continua.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per il bene di tutti: in prima pagina, un editoriale del direttore sull’Esortazione apostolica “Amoris laetitia” che raccoglie e rilancia i frutti dei due Sinodi sulla famiglia tenuti nel 2014 e nel 2105. All’interno gli interventi di presentazione svolti dai cardinali Christoph Schönborn e Lorenzo Baldisseri.

Rotta inversa: ripreso il trasferimento dalla Grecia alla Turchia mentre nei campi profughi la situazione resta critica.

Il rischio di una generazione perduta: Mario Draghi mette in guardia sugli effetti della disoccupazione giovanile in Europa.

Notti bianche a Parigi: dalla capitale francese, Charles de Pechpeyrou sulla protesta dei giovani francesi.

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Oggi in Primo Piano



Immigrazione: l'Austria minaccia di chiudere il Brennero

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Proseguono i rimpatri di migranti dalla Grecia verso la Turchia. Sono complessivamente 124 le persone rimandate dalle isole greche di Lesbo, Samos e Kos, nell'ambito del piano concordato dall'Ue con Ankara. Lo indicano le autorità locali per la gestione della crisi. Una prima imbarcazione con a bordo 45 pakistani, partita da Lesbo, è già approdata sulla costa turca di Dikili. Intanto, incontro a Roma tra il ministro dell'Interno Angelino Alfano il suo omologo austriaco Johanna Milk Leitner. Al centro del vertice la questione migranti e la possibile chiusura della frontiera del Brennero da parte di Vienna, che teme che dall’Italia arrivino 300 mila persone. E di immigrati si è parlato anche nella telefonata di oggi tra il presidente della Commissione Jean Claude Juncker e il premier Renzi. Sulla situazione nell’area, Giancarlo La Vella ha intervistato il direttore di Caritas Bolzano-Bressanone, Paolo Valente: 

R. – La Caritas è impegnata in prima linea nell’attività di accoglienza secondo il piano di distribuzione nazionale; circa la metà dei richiedenti asilo ospitati in Alto Adige sono in strutture gestite dalla Caritas diocesana; altre sono gestite dall’Associazione “Voluntaris”, che è anche un’associazione di ispirazione cattolica, con cui collaboriamo strettamente. Quindi direi che la Chiesa locale è in prima linea su questo versante, così come anche sul versante dell’accompagnamento delle persone che transitano attraverso la ferrovia verso il Brennero. I migranti erano molti di più in autunno e oggi sono ridotti a poche decine al giorno. Questo è il motivo per cui ancora la paventata chiusura del Brennero non ha avuto luogo. Però, adesso l’Austria fa altre previsioni.

D. – Si parla di 300 mila migranti: l’Alto Adige è pronto a un eventuale arrivo del genere?

R. – Direi assolutamente no; nessuno è pronto a gestire numeri di questo tipo. Queste sono le previsioni che il ministro degli Esteri austriaco, che oltretutto ieri era qui a Bolzano, fa delle persone che sarebbero pronte ad attraversare il Mare Mediterraneo per dirigersi verso l’Italia. Quindi questa sarebbe la ragione per cui – se ciò avviene – le frontiere austriache potrebbero essere chiuse. Che poi queste 300 mila persone passino veramente il Mediterraneo è tutto da vedere. Ed è anche molto dubbio che, se lo fanno, si concentrino tutte a ridosso del confine austriaco. In ogni caso, per eventuali gruppi di persone, anche consistenti, lungo al via del Brennero, la provincia di Bolzano sta elaborando un piano d’emergenza da affidare poi alla gestione della Protezione civile.

D. – Come mettere insieme il criterio dell’accoglienza con quello, poi, dell’organizzazione reale delle persone sul terreno?

R. – Direi che tutta questa questione dei confini non ha tanto a che fare con l’accoglienza, quanto con la politica estera, con la politica economica, con l’idea di Europa, con il rapporto dell’Europa con il mondo. Cioè, il confine del Brennero è solo la materializzazione del confine tra mondo ricco e mondo povero; cioè, il confine del Brennero è lo stesso confine che troviamo a Lesbo, dove andrà il Papa, è lo stesso confine che troviamo a Lampedusa, è lo stesso confine di Idomeni … Noi stiamo semplicemente trasferendo questo confine da una parte all’altra, senza capire che il confine va superato nel ripensare i nostri rapporti all’interno del pianeta, e soprattutto la distribuzione delle risorse.

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Birmania, governo rilascia decine di prigionieri politici

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A una settimana dal suo insediamento, come promesso dalla leader birmana, Aung San Suu Kyi, il governo del Myanmar ha liberato una settantina di prigionieri politici, arrestati un anno fa, tramite un provvedimento di amnistia. Maria Laura Serpico ha chiesto al presidente dell'Associazione Amicizia Italia-Birmania, Carlo Ferrari, quale significato abbia questo gesto all'interno del processo di democratizzazione del Paese: 

R. – E’ stato il primo atto ufficiale di Aung San Suu Kyi nella sua nuova veste di "State Councilor" e credo sia direttamente in linea con quanto è stato affermato nel discorso di insediamento del nuovo presidente, Htin Kyaw, quando ha parlato del punto principale dell’azione del nuovo governo: la riconciliazione nazionale. Questo necessariamente deve portare ad una risoluzione del problema dei prigionieri politici che, tra l’altro, negli ultimi mesi del governo precedente ha avuto qualche recrudescenza.

D. – Molti arresti sono frutto del regime precedente. La liberazione dei prigionieri rischia di irrigidire il rapporto con le Forze armate particolarmente influenti sul piano economico?

R. – Sicuramente, il percorso di Aung San Suu Kyi è un percorso molto difficile. Da un lato, lei ha sempre sostenuto la riconciliazione nazionale e ha sempre sostenuto che l’esercito è una parte fondamentale del Paese e deve essere al servizio del Paese. Ciò detto, sappiamo che la Costituzione, che è stata promulgata dal governo precedente, ha diversi aspetti che non sono compatibili con la Costituzione di uno Stato democratico, tra cui questo ruolo affidato ai militari: o il 25% dei seggi del parlamento di nomina e non dovuti a elezioni libere, o anche il fatto che i militari abbiano per Costituzione il Ministero della difesa, dell’Interno e delle Frontiere. Inoltre, uno dei due vicepresidenti del governo deve essere un militare. Sostanzialmente, nella nuova situazione c’è un governo democraticamente eletto al potere politico, ma il potere economico è largamente in mano ai militari. Io credo, però, che il nuovo governo si stia muovendo molto bene ed è essenziale che questi gesti vengano seguiti in modo sostenibile, senza avere degli scontri. E’ chiaro che c’è molta attenzione a quello che è il riscontro dei militari. L’abbiamo visto quando con il primo provvedimento del nuovo presidente – la creazione di questo "State Councilor" – il 25% dei militari presenti in parlamento hanno dimostrato un certo irrigidimento. La situazione, però, per il momento pare andare nella giusta direzione.

D. – Proprio in questi giorni, il ministro Gentiloni è in visita in Birmania e ha dichiarato di apprezzare la decisione di mettere in libertà i prigionieri. L’Italia è, quindi, sempre in primo piano nel sostenere il cammino verso la democratizzazione…

R. – Io credo che la visita del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sia molto importante. Avviene a sei giorni dall’insediamento di Aung San Suu Kyi come "State Councilor" in Birmania ed è un segnale forte che viene dato alla priorità che il Ministero degli esteri italiano assegna alla situazione della Birmania. Ricordiamo che la Birmania è all’interno di un’area, quella del Sudest asiatico, che ha avuto i più grandi tassi di crescita negli ultimi anni. E’ un’area a cui, dal punto di vista economico, molti stanno guardando come possibile area di grande sviluppo, considerando che la Cina sta un po’ rallentando il passo e l’India non è mai veramente decollata, nonostante tutti se lo aspettassero. Ci sono anche dei segnali: i Paesi del Sudest asiatico si stanno unendo in un mercato comune, quello dell’Asean, e stanno ragionando in termini di valuta unica. Quindi, è sicuramente un’area molto, molto interessante. Il fatto poi che il ministro Gentiloni abbia formalmente affermato, nelle dichiarazioni della conferenza stampa al termine dell’incontro, che l‘Italia appoggerà ogni sforzo per conseguire la pace e l’unità del Paese, chiaramente è un avallo della posizione di Aung San Suu Kyi. Un appoggio seguito, poi, anche da accordi bilaterali di cooperazione in vari ambiti: scientifico, tecnologico e di fornitura di tecnologia. E vorrei sottolineare anche questo aspetto, che è interessante anche per la peculiarità dell’Italia, che è la cooperazione in ambito culturale.

D. – Qual è il ruolo della minoranza cristiana, presente in Birmania?

R. – Credo sia fondamentale. E’ una minoranza che arriva al 6-7% della popolazione – quindi parliamo di qualche centinaia di migliaia di persone – ma è estremamente attiva nella gestione dei conflitti etnici e religiosi all’interno del Paese. La Chiesa in questo momento è in prima linea per supportare lo sforzo di Aung San Suu Kyi per la riconciliazione nazionale e la costruzione della pace. Ci sono state già dichiarazioni della volontà del governo di creare uno Stato di stampo federalista e un governo in cui tutte le varie minoranze, sia etniche che religiose, possano trovare il loro spazio.

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Mons. Galantino: giusta la protesta su Porta a Porta

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“Le politiche di chiusura non portano da nessuna parte”. E’ il commento di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, dopo che l’Austria ha minacciato di chiudere il Brennero. Ma mons. Galantino, a margine di un convegno sulle tossicodipendenze, è stato molto duro anche nei confronti della puntata di Porta a Porta che ha ospitato il figlio di Riina. Il servizio di Alessandro Guarasci

La puntata di Porta a Porta, che ha ospitato il figlio di Riina, fa indignare mons. Nunzio Galantino Il vescovo definisce sacrosanta la protesta nei confronti della Rai:

“Al limite si può anche far andare il figlio di Riina o di altri in televisione, però non devono essere loro a guidare le danze. Bisogna avere giornalisti intelligenti, non inginocchiati. Qualora venissi chiamato a “Porta a Porta” non ci andrò, proprio per non andare sulle stesse poltrone: lo dico con grande chiarezza. Non ci andrò mai lì dentro, perché – ripeto – non si possono fare queste cose per dare spettacolo. Perché quello alla fine diventa uno spettacolo”.

Altro tema che preoccupa Galantino sono le chiusure di alcuni Paesi europei, in tema di immigrazione:

“Non si fermano il dramma, la sofferenza e la disperazione delle persone né con i muri né con i fili spinati. Il dramma e la disperazione, purtroppo, hanno la meglio sui muri”.

Per questo la visita del Papa a Lesbo ha un grande significato:

“Lesbo sta diventando, insieme anche a Calais e ad altri posti, il luogo riconosciuto dalla vergogna per tutti quanti noi. Ecco, andare lì, andare lì a dire: “Questo è il luogo di vergogna, questo luogo non può e non deve esistere, evidentemente vuol dire guardare in faccia chi permette queste situazioni e dire questa situazione non è giusta”.

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Rom e sinti in Italia: piani di inclusione in grave ritardo

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E’ un quadro non confortante quello che emerge dal Rapporto annuale sulla condizione di rom e sinti in Italia, presentato stamani in Senato dall’Associazione 21 luglio nel giorno in cui si celebra la Giornata internazionale dei rom. Nel dossier si sottolinea che, malgrado i ripetuti richiami di organismi internazionali e gli obiettivi fissati nella strategia nazionale di inclusione, l’Italia continua a seguire politiche di discriminazione finanziando la costruzione di nuovi campi. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La Strategia nazionale di inclusione delle comunità rom e sinti presenti in Italia prevede il superamento della “politica dei campi”. Ma nel 2015 si sono continuati a registrare piani, anche se in numero minore rispetto agli anni precedenti, mirati alla costruzione di nuovi insediamenti. Sono stati anche programmati interventi di manutenzione straordinaria nei campi esistenti. Questi interventi – si legge nel Rapporto – coinvolgono in Italia circa 1.780 persone per un impegno economico superiore a 14 milioni di euro.

Clima di intolleranza e di ostilità verso rom e sint
Uno dei principali ostacoli, per l’efficacia delle politiche inclusive, è costituito poi dal proliferare del clima di intolleranza e di ostilità verso rom e sinti, sempre più spesso bersaglio di stereotipi e di pregiudizi alimentati anche da rappresentanti politici e istituzionali. Il Rapporto offre anche un focus, in particolare, sulla situazione a Roma, dove circa 8 mila persone vivono in baraccopoli e in insediamenti formali e informali. Nel 2015, nella capitale, le autorità locali hanno fatto eseguire 80 sgomberi forzati facendo registrare un incremento del 135% di questi provvedimenti rispetto all’anno precedente. Tali azioni coercitive – si ricorda nel Rapporto – hanno coinvolto a Roma 1.470 persone per un costo complessivo di quasi 2 milioni di euro.

Ue: i rom “non devono essere lasciati in disparte”
In occasione dell’odierna Giornata internazionale, l’Unione Europea ricorda inoltre, in una nota, che i rom “non devono essere lasciati in disparte”: esclusione, disuguaglianza e discriminazione “sono in netto contrasto con i valori fondamentali dell’Unione”. La Comunità di Sant’Egidio chiede infine “una moratoria dell’argomento rom a fini politici”: l’utilizzo strumentale della questione rom fomenta “gli istinti peggiori della cittadinanza” mettendo a rischio l’equilibrio, spesso precario, della convivenza.

Sui principali dati del Rapporto si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia: 

R. – Il Rapporto fotografa la realtà dei rom e dei sinti in Italia. E' una situazione stabile rispetto agli anni precedenti: sono circa 180 mila unità distribuite sul territorio nazionale, di cui un quinto vive la cosiddetta emergenza abitativa, all’interno di insediamenti formali e informali. Circa 35 mila sono i cittadini rom, che vivono in questi insediamenti, di cui 20 mila nei 145 insediamenti creati, progettati dalle istituzioni, e altri 15 mila, soprattutto in prevalenza rom romeni, negli insediamenti informali. Il Rapporto fotografa anche le politiche, nel corso del 2015, attuate nei confronti delle comunità rom e sinti, politiche sia locali sia nazionali. Il 2015, nel Rapporto, viene definito l’anno del congelamento, ovvero l’anno in cui si è fatto poco. Si poteva fare molto di più.

D. – Quali comunque le luci di questo Rapporto sulle condizioni dei rom in Italia?

R. – Abbiamo segnalato esempi virtuosi, anche se non si può parlare ancora di buona pratica. Una buona pratica è tale dopo un’analisi che copre un arco temporale da tre a sei anni. Noi abbiamo rimarcato, come nel 2015, alcune città – pensiamo ad Alghero, Messina,Torino e Padova – stiano andando in una direzione di superamento dei campi, attraverso dei tentativi non sempre pienamente riusciti, ma comunque basati su buone intenzioni. C’è poi da notare - anche questo è un segno di luce - come l’onda di crescita della costruzione di nuovi campi si sia arrestata e si stia andando verso un graduale superamento dei campi. Questo riguarda soprattutto la città di Roma. C’è proprio una infografica all’interno del Rapporto che descrive come, negli ultimi due o tre anni, ci sia una tendenza che va verso la chiusura dei campi, proprio perché piano piano sta maturando, anche negli amministratori, la consapevolezza che questi luoghi vadano superati.   

D. – Come il mondo della politica italiana, dei partiti italiani condiziona e influenza, in particolare, il possibile passaggio da ogni forma di discriminazione all’inclusione sociale?

R. – Quasi ogni giorno si registra una frase di incitamento all’odio e alla discriminazione, pronunciata in prevalenza da politici nel nostro Paese. Quindi il fenomeno mediatico che si pone contro i rom e sinti, in maniera molto discriminatoria e stereotipata, è ancora molto vivo e condiziona fortemente poi le politiche degli amministratori.

D. – Come superare gli stereotipi legati al mondo dei rom, questioni che vengono strumentalizzate per fini politici?

R. – Anzitutto, ricollocando tutta la questione rom non su un livello etnico, ma su un livello di problematica sociale. Non bisogna differenziare le politiche attuate verso i rom dalle altre politiche. Ci sono rom, quattro quinti, che vivono in condizioni “normali”, cioè ordinarie, e ci sono un quinto dei rom che vivono all’interno di insediamenti formali e informali. E’ errato, sbagliato e strumentale sovrapporre la condizione di questo quinto alla condizione di tutti quanti i rom e, quindi, identificare il rom come colui che vive necessariamente in una condizione di povertà, di miseria all’interno dei cosiddetti campi nomadi.

D. – La creazione di una cultura rom, con radici prettamente italiane, può favorire il processo di integrazione?

R. – Da una parte può aiutare, dall’altra parte è anche molto pericoloso. Da una parte ogni cultura va sostenuta, ogni minoranza va sostenuta. Dall’altra , però, è molto pericoloso farlo con determinate modalità. Esasperare troppo la questione culturale può essere pericoloso, proprio perché ricadiamo nella trappola della etnicità. Non dimentichiamo che i campi nomadi nascono nel momento in cui si è voluto sottolineare l’aspetto culturale delle persone, identificandole come nomadi. Quindi va mantenuto un sano equilibrio tra ciò che è il valore di una cultura, l’importanza di salvaguardarla, e l'attitudine invece ad esasperare questo aspetto attuando, poi, politiche differenziate.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giornata dei rom. Vescovi europei: no ad odio ed esclusione

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“Incoraggiamo le nostre comunità cristiane in Europa a continuare a sostenere il benessere dei rom e a lavorare attivamente per porre fine a discorsi di odio e all’esclusione sociale. Dobbiamo camminare insieme”. Lo affermano in una nota congiunta, alla vigilia della Giornata internazionale dei rom (8 aprile), i segretari generali della Conferenza delle Chiese europee (Cec) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Lo riferisce l’agenzia Sir.

Accogliere e riconoscere dignità di tutti gli emarginati
“Ci appelliamo – si legge nel documento - a tutti affinché gli emarginati siano accolti e sia riconosciuta la loro dignità umana in quanto dono di Dio. I rom, con la loro tradizione, fede e cultura unica, sono anche chiamati a portare i loro valori all’interno della società europea, in quanto cittadini responsabili”. Cec e Ccee affermano ancora: “I rom hanno un secolare senso di identità europea condivisa e di libera circolazione attraverso i confini politici, culturali e religiosi. Sono una delle popolazioni indigene dell’Europa che non gode però di un trattamento di uguaglianza in termini di rispetto e onore tra le altre”.

Discriminazione e persecuzione dei rom, vergogna dell’Europa
“Il fatto che essi vivano in circostanze di continua discriminazione e addirittura persecuzione è una vergogna per i Paesi europei – concludono Cec e Ccee  La via d’uscita principale a queste difficili condizioni dei rom e delle loro famiglie passa attraverso la conoscenza, il lavoro, la fede. La loro inclusione è una necessaria indicazione del nostro impegno per una identità europea condivisa e la libera circolazione delle persone, dei beni e delle idee in Europa”. (I.P.)

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Giornata Onu genocidio in Rwanda: mai più simili atrocità

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“Un genocidio non è un evento isolato. È un processo che richiede tempo e preparazione. La storia ha dimostrato che nessuna parte del mondo ne è immune. Uno dei segnali di allarme è la diffusione della retorica dell’odio nella dimensione pubblica e nei media contro specifiche comunità”. Cosi il Segretario generale delle Nazioni unite, il sudcoreano Ban Ki-moon, nel messaggio per la Giornata internazionale di riflessione sul genocidio in Rwanda. 

La riconciliazione è possibile anche dopo una simile tragedia
“Nel 1994, oltre 800mila persone vennero sistematicamente uccise in tutto il Rwanda. Si trattava per la gran parte di Tutsi, ma tra le vittime vi furono anche Hutu moderati, Twa e altri. Oggi ricordiamo tutti coloro che morirono nel genocidio, e rinnoviamo la nostra determinazione affinché simili atrocità non si ripetano più, in nessuna parte del mondo”. “Tutti dovremmo farci ispirare dal coraggio dei sopravvissuti – spiega il Segretario generale Onu – nel dimostrare che la riconciliazione è possibile anche dopo una simile tragedia”. 

Tema dell'odierna Giornata: Combattere l'ideologia del genocidio
”Commemorare le vittime del genocidio in Rwanda significa – continua Ban Ki-moon – lavorare per la giustizia e per l’assunzione di responsabilità. Il modo migliore di garantire che il genocidio e altre oltraggiose violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale non si ripetano più è riconoscere la nostra comune responsabilità e il nostro impegno a intraprendere azioni collettive a tutela di quanti siano esposti ai rischi”. “Quest’anno, il tema della ricorrenza – conclude il Segretario dell'Onu – è ‘Combattere l’ideologia del genocidio’. E’ fondamentale che governi, sistemi giudiziari e società civile si oppongano con fermezza alla retorica dell’odio e a coloro che fomentano divisione e violenza. Dobbiamo promuovere inclusione, dialogo e stato di diritto per creare società pacifiche e giuste”. (R.P.)

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Russia: diocesi cattoliche ricordano 25° della loro ricostituzione

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“Guardiamo avanti e rendiamo grazie a Dio per tutto il bene degli ultimi 25 anni! Viviamo una novena di ringraziamento e recitiamo una preghiera di gratitudine in modo che la gioia e la riconoscenza non si raffreddino nei nostri cuori”: così scrivono i vescovi delle quattro diocesi della Federazione russa che il 13 aprile ricordano il 25.mo anniversario della loro ricostituzione.

Il ricordo di persecuzioni crudeli, una ‘Via Crucis’ durata 70 anni
In una lettera scritta anche in occasione del Giubileo straordinario della misericordia - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi ripercorrono, quindi, “la Via Crucis di settanta lunghi anni”, le “persecuzioni più crudeli” e la distruzione delle strutture, “le pagine tragiche ma gloriose della storia della Chiesa” russa. Lo “storico incontro” tra Papa Giovanni Paolo II e Gorbaciov aveva poi reso possibile l’arrivo a Mosca del rappresentante della Santa Sede, mons. Francesco Colasuonno: “Il Vaticano ha agito rapidamente e con sicurezza – sottolineano i presuli, citati dall’agenzia Sir - e il 13 aprile 1991 la Chiesa cattolica in Russia e nelle repubbliche dell’Asia centrale, dopo 70 anni di clandestinità, ha trovato una nuova vita nelle strutture restaurate della Chiesa”.

Custodire la memoria dei martiri del XX secolo
L’invito “ai credenti del XXI secolo” è, allora, quello di “custodire la memoria dei martiri e confessori del XX secolo”. Nella Federazione russa si contano l’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, guidata da mons. Paolo Pezzi; la diocesi di san Clemente a Saratov con a capo mons. Clemens Pickel; la diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk, affidata a mons. Joseph Werth, e la diocesi di san Giuseppe a Irkutsk, sotto la responsabilità di mons. Kirill Climovic, che si estende fino al confine estremo con la Cina. (I.P.)

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Chiesa Sud Sudan: difendere primo accordo di pace con i ribelli

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“Questo è il primo accordo di pace di questo tipo raggiunto in uno dei 28 Stati del Sud Sudan” ha sottolineato mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, nel suo discorso alla cerimonia della firma dell’accordo di pace tra il governo di Juba e il South Sudan National Liberation Movement (Ssnlm), un gruppo ribelle locale operante nello Stato del Western Equatoria. Il conflitto tra l’esercito sud sudanese e il gruppo ribelle - riporta l'agenzia Fides - era esploso nel maggio 2015.

La Chiesa in prima linea per far raggiungere l'accordo
Mons. Kussala, è a capo dell’Inter-Faith Council for Peace in Western Equatoria State, organismo inter-religioso che si è speso incessantemente per raggiungere l’accordo firmato il 2 aprile, sulla base delle intese preliminari firmate il 16 novembre 2015. Anche questo Accordo Preliminare di Pace era stato raggiunto grazie al lavoro dell’organismo presieduto da mons. Kussala.

Il compito di ricostruire dopo la distruzione causata dalla guerra
Dopo aver ringraziato tutti coloro che hanno contribuito al raggiungimento dell’accordo di pace, il vescovo di Tombura-Yambio, non nasconde che “ora viene l’arduo compito di ricostruire ciò che è stato distrutto, le relazioni, la fragile economia, le infrastrutture sociali e politiche dei nostri Stati e dell’intero Paese”, sottolineando il ruolo non solo degli aiuti materiali ma anche di quelli spirituali per riconciliare gli animi.

Le speranze per la pace in tutto il Sud Sudan
​Mons. Kussala ha poi ricordato che l’accordo di pace nel Western Equatorian va inquadrato nel più ampio sforzo di riportare la pace in tutto il Sud Sudan, dopo la guerra civile che ha opposto il Presidente Selva Kiir e l’attuale Primo Vice Presidente Riek Machar. A questo proposito un importante passo in avanti per l’attuazione dell’accordo di pace comprensivo per il Sud Sudan è l’arrivo nella capitale, Juba, di 800 uomini fedeli a Machar, che dovranno garantirne la sicurezza. (L.M.)

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Gaza: rovine chiesa bizantina distrutte per costruire Centro commerciale

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Le rovine di una antichissima chiesa bizantina, riaffiorate dal sottosuolo di Gaza durante i lavori per la costruzione di un centro commerciale, sono state rimosse dai buldozer senza che le autorità locali abbiano messo in atto alcun intervento per tutelare il prezioso sito storico-archeologico venuto alla luce. L'episodio di grave incuria, avvenuto la settimana scorsa - riporta l'agenzia Fides - ha provocato forti reazioni di biasimo di alcuni cristiani palestinesi, rilanciate dalla stampa israeliana.

Distrutti i resti di una chiesa bizantina di 1500 anni fa
Gli operai, con le loro scavatrici, secondo le ricostruzioni fornite dalle fonti locali, avrebbero ritrovato i resti di una grande chiesa bizantina di almeno 1500 anni fa, ma avrebbero continuato la loro opera di scavo per predisporre le fondamenta del centro commerciale in costruzione nell’area di piazza Palestina, senza che nessuno disponesse la sospensione dei lavori. 

Le proteste della chiesa anglicana palestinese
​A protestare in particolare è stato padre Ibrahim Nairouz, sacerdote anglicano palestinese residente a Nablus, che ha denunciato l'episodio in due lettere inviate al Primo Ministro dell'Autorità palestinese, Rami Hamdallah, e al Ministro palestinese per le Antichità e del Turismo, Rula Maayah. "Se avessero trovato i resti di una moschea o di una sinagoga o di qualsiasi altra struttura antica” si è chesto tra l'altro padre Nairouz in dichiarazioni riportate dalla stampa israeliana, “avrebbero affrontato la situazione nello stesso modo?” (G.V.)

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Noto: cerimonia del restauro della cattedrale barocca. Presente Mattarella

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“La ricostruzione della cattedrale la pensiamo simbolica di una più ampia ricostruzione, che fa pensare a possibili cammini di liberazione per il nostro Sud … nella consegna della cattedrale c’è un modo di essere Stato e di essere Chiesa maturato nella nostra storia come una grande opportunità di crescita del Paese”. Con queste parole mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto, ha aperto stamani, nella cittadina siciliana, la cerimonia di inaugurazione della cattedrale di San Nicolò, crollata 20 anni or sono, il 13 marzo del 1996. All’evento, che celebra il definitivo recupero del gioiello barocco, è stato invitato il Presidente della repubblica Sergio Mattarella che ha definito il recupero del luogo di culto “un segno di positiva energia che la Sicilia esprime”, “della sua capacità di riscatto nel reagire ad un disastro come quello del crollo, con una capacità di progettazione artistica e culturale straordinaria”.

I lavori di ricostruzione e il ripristino delle decorazioni interne
I lavori di ricostruzione della cattedrale di Noto hanno avuto inizio nel 2000 con maestranze locali, addestrate per l’occasione nell’utilizzo della pietra calcarea e di antiche tecnologie, all’interno di un cantiere in cui si è coniugato tradizione e innovazione. Terminato nel 2007 il restauro architettonico, una commissione nominata dal governo ha cominciato a lavorare per il ripristino delle decorazioni interne. Tra i componenti il vescovo della diocesi e il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Artisti contemporanei di fama nazionale ed internazionale hanno curato gli affreschi sulla cupola e la realizzazione delle tele ad olio destinate agli altari del transetto e delle sculture da collocare nelle nicchie delle navate laterali, rispettando lo stile della cattedrale, che il 21 gennaio del 2012 Benedetto XVI ha elevato a basilica minore. 

Grande attenzione del Sud per l'accoglienza dei migranti
​“Stato e Chiesa hanno collaborato per riconsegnare a tutti un monumento, che è al tempo stesso la cattedrale di questa chiesa netina e un elemento importante di un più ampio composito urbanistico - ha aggiunto mons. Staglianò -. Celebriamo oggi il migliore Sud che alza la testa, si mette insieme, coltiva speranza, accoglie i migranti: li accogliamo a casa nostra con il progetto 'Rifugiato a casa mia', rispondendo all’appello di Papa Francesco … Li accogliamo per generare umanità nuova nella convivialità delle differenze, della mensa comune”. 

Mons. Staglianò non ha dimenticato i problemi sociali
Il presule, infine, non ha dimenticato la realtà sociale che ha visto rinascere la cattedrale di San Nicolò: “Restano certo gravi i problemi, a iniziare da quello drammatico della disoccupazione, ma li vogliamo affrontare con quella lucidità e lungimiranza che la bellezza dei monumenti e della vita alimenta. Ritrovando nella cultura e nell’arte, non una parentesi alienante, ma la possibilità di elaborare tutto e tutto ripensare in prospettiva”. (A cura di Tiziana Campisi)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 99

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.