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Sommario del 09/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: se non "coinvolge" con il povero non è vera elemosina

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Perché un gesto di elemosina mostri “attenzione sincera” verso chi ci chiede aiuto, bisogna sapersi “coinvolgere con il povero”, così come ha insegnato Gesù. Papa Francesco ha parlato di questo aspetto concreto della vita di fede durante l’udienza giubilare del sabato, tenuta in Piazza San Pietro davanti oltre 40 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

Si fa guardando l’altro negli occhi, l’elemosina. E quindi con rispetto e soprattutto sincerità. Né vagliando con cinismo la povertà di chi tende la mano, come alibi per non fare nulla, né usandola come forma di autopromozione pubblica, come certi farisei del Vangelo.

Il ritornello dell’elemosina
L’udienza giubilare di Papa Francesco va dritta al punto, concreta, un prontuario del cuore prima ancora che l’indicazione pratica di come si debba compiere gesto di carità senza svuotarlo”, dice, del suo “grande contenuto”. Assieme al “sacrificio”, ricorda all’inizio il Papa, l’elemosina è un dovere “antico quanto la Bibbia”:

“Ci sono pagine importanti nell’Antico Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. E nella Bibbia questo è un ritornello continuo, eh?: il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano… È un ritornello. Perché Dio vuole che il suo popolo guardi a questi fratelli nostri”.

“Giudici” della carità
E quando si dona, soggiunge Francesco, è doveroso farlo con “atteggiamento di gioia interiore”, perché chi ci guarda dall’angolo di un marciapiede non è un ingombro da scavalcare e tirare diritto:

“Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. E quanta gente giustifica sé stessa perché non dà l’elemosina dicendo: ‘Ma, come sarà questo? Questo a cui io darò, andrà a comprare vino per ubriacarsi!’. Ma se lui si ubriaca è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto, che nessuno vede? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?”.

Non una moneta di fretta
“Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo”, recita nella Bibbia un passo del Libro di Tobia. “Sono parole molto sagge”, commenta il Papa, che “aiutano a capire il valore dell’elemosina”. Quella compiuta, osserva, con lo stile insegnato da Gesù, con discrezione, perché – afferma Francesco – “non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto”:

“Ognuno di noi può domandarsi: ‘Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?’. Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri”.

Un gesto molto gradito a Dio
Il Papa rievoca un aneddoto già raccontato, quello del povero che bussa mentre una famiglia è a tavola e dei tre figli che, desiderosi di aiutarlo, fanno subito un passo indietro quando la mamma li invita a dare ciascuno un pezzo della propria cotoletta. La vera elemosina costa un “sacrificio”, perché questo, soggiunge, vuol dire “coinvolgersi con il povero”:

“L’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto”.

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Papa: a giugno in Armenia, in autunno in Georgia e Azerbaigian

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Accogliendo gli inviti di Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, delle autorità civili e della Chiesa Cattolica, Papa Francesco si recherà in Armenia dal 24 al 26 giugno prossimi. Lo riferisce la Sala Stampa vaticana.

Allo stesso tempo, accogliendo gli inviti di Sua Santità e Beatitudine Ilia II, Catholicos Patriarca di tutta la Georgia, e delle autorità civili e religiose della Georgia e dell’Azerbaigian, il Santo Padre completerà il suo viaggio apostolico nel Caucaso, visitando questi due Paesi dal 30 settembre al 2 ottobre.

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Amoris Laetitia, famiglie: gioia dell'amore supera le difficoltà

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Tra le denine di migliaia di fedeli presenti all'udienza giubilare del sabato in Piazza San Pietro, anche tanti genitori con i loro bambini, giunti per ascoltare le parole di Papa Francesco. E proprio all’amore nella famiglia è dedicata l’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia", pubblicata ieri. Marina Tomarro ha chiesto un commento sul documento papale ad alcuni dei partecipanti all'udienza: 

R. – Penso sia molto importante, perché la Chiesa deve andare al cuore della sua fede, che è la famiglia, perché lì si fa presente Cristo, nella Chiesa domestica, soprattutto oggi, quando la famiglia passa un momento di difficoltà non essendo sostenuta dalle strutture della società. Penso, quindi, sia molto importante.

D. – Cosa l’ha colpita di più di questa Esortazione apostolica?

R. – Mi ha colpito molto questo messaggio, questa citazione, cioè di saper accogliere le famiglie per quello che sono e insieme poter fare un cammino.

R. – Mi piace molto il titolo, mi sembra proprio il riassunto, ovviamente della Esortazione, di non sentire l’amore come una fatica, ma di sentirlo sempre come una gioia. Il Papa ci invita a questo.

D. – Il Papa ha parlato anche di amicizia tra i coniugi. Lei cosa ne pensa?

R. – Sì, sono due termini che si compensano: creare quella sorta di confidenza che in un certo modo aiuta a superare situazioni che sembrano insormontabili.

D. – Il Papa vi ha invitato anche ad aprirvi verso le altre famiglie, verso il mondo. Allora, in che modo si esce fuori?

R. – Accogliendo quelli diversi da noi, quelli bisognosi. E’ molto difficile, soprattutto in questo periodo di crisi.

R. – Soprattutto il condividere le tue cose, ma non quello che è in più.

R. – Il modo migliore per la famiglia, per aprirsi al mondo, è quello di essere testimone dell’amore. Anziché vivere l’amore familiare chiusi nel proprio guscio, nella propria casa, fare testimonianza all’esterno, partecipare alla vita della comunità, alla vita della parrocchia. Essere proprio un faro, un esempio per gli altri.

D. – Il Papa invita anche i sacerdoti a essere accanto alle coppie, ad accompagnarle nel loro cammino matrimoniale. In che modo si può accompagnare una coppia prima e soprattutto dopo il matrimonio?

R. – Innanzitutto, accogliendola nei momenti più difficili. Penso che la cosa più bella che può fare un prete sia di stare accanto alle famiglie e di sostenerle soprattutto nei momenti di difficoltà, senza giudicarle, perché ognuno ha la sua storia e le sue difficoltà, come persona, come famiglia.

R. – E’ molto facile incamminare le giovani coppie al matrimonio. In realtà, la parte più difficile, come dice il Santo Padre, è riaccompagnarli dopo il matrimonio. La sfida che oggi il Papa ci mette davanti come parrocchie, come Chiesa, è quella dell’accompagnamento. In fondo, è la parte più importante: evitare, appunto, di lasciare sole queste coppie e insieme camminare verso questo incontro, alla scoperta sempre più dell’amore vero.

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Spadaro: Amoris Laetitia, la dottrina è radicalmente pastorale

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Nell'ultimo numero della rivista La Civiltà Cattolica, il direttore, il padre gesuita Antonio Spadaro, illustra il significato e la struttura dell'Esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, pubblicata ieri come frutto di due Sinodi sulla famiglia. Il documento è descritto come aderente all'esperienza quotidiana e capace di superare visoni astratte della famiglia. Ascoltiamo padre Spadaro al microfono di Fabio Colagrande

R.- In fondo questa è un’esortazione che può leggere chiunque, non è riservata agli addetti ai lavori. Quindi direi che il respiro è assolutamente ampio e intriso di esperienza. Soprattutto è importante l’insistenza del Papa sull’evitare ogni forma d’inutile astrazione idealistica di cui spesso è stato intriso il linguaggio teologico. Amoris Leatitia intende ribadire con forza non l’ideale astratto della famiglia ma la sua realtà ricca e complessa. C’è un approccio assolutamente positivo nei confronti della realtà, accogliente, cordiale.

D. - Possiamo dire dunque un documento che afferma come teologicamente non esistano verità astratte ..

R. - Il Papa afferma che c’è una dottrina cristiana il cui significato deve essere radicalmente pastorale. Questo in fondo mi sembra il cuore, il motore dell’Esortazione Apostolica, cioè la dottrina è radicalmente pastorale, serve – come dice il Diritto Canonico – per la “salus animarum”, cioè la salvezza delle anime, delle persone. Se non c’è questo la dottrina diventa un insieme di pietre inutili.

D. - Sembra abbastanza chiaro che una delle parole chiave di questo documento sia discernimento. Ma quale significato assume nel cuore dell’Amoris Laetitia?

R. - Il discernimento significa - nella prospettiva ignaziana - soprattutto cercare e trovare Dio nella propria vita. Quindi è chiaro che c’è un riferimento forte alla dottrina evangelica che però poi si incarna nella mia vita concreta, quindi nella mia libertà, nella mia coscienza, nei miei limiti. Quindi il Papa concentra la sua attenzione su questo dialogo profondo tra l’uomo e Dio e su come la verità evangelica possa prendere forma all’interno di una vita umana.

D. – Questo non significa che c’è una verità ma poi nella pratica si possono fare degli strappi alla regola?

R. - Una volta il Papa disse, scandalizzando un po’, che la verità è relativa. Che cosa voleva dire? Non che la verità non sia assoluta, ma che è relativa alle persone, cioè se non c’è l’essere umano, la verità evangelica rimane sola, isolata, inutile. Quindi il discernimento consiste nel comprendere come la verità evangelica si incarna concretamente nella mia esistenza, nella mia persona.

D. - Circa la situazione delle famiglie ferite, quelle situazioni cosiddette “irregolari”, come dice Papa Francesco, il documento sottolinea  l’importanza di non porre limiti all’integrazione …

R. - Il Papa ha sempre insistito sulla necessità di integrare anche coloro che non sono in grado di vivere nella pienezza della vita cristiana. E la Chiesa madre, la Chiesa misericordiosa, è esattamente questo: una Chiesa che accoglie i suoi figli. Ciò significa che una norma canonica non può essere applicata sempre, comunque, in tutti i casi, in qualunque situazione, proprio perché esiste la coscienza. Quindi a volte ci si trova ad avere una situazione di peccato oggettivo – diremmo - dove però non c’è una colpevolezza soggettiva. Allora, un giudizio oggettivo su una situazione soggettiva non implica un giudizio sulla colpevolezza della persona coinvolta. Questo è un passaggio molto importante perché mette in risalto la coscienza e perché appunto non pone più un limite all’integrazione, neanche a quella sacramentale.

D. - In questo testo il Papa ripete un’affermazione centrale dell’Evangelii  Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”. Nell’ambito della pastorale famigliare, cosa significa?

R. - La vita famigliare è un processo di maturazione che richiede tempo e che si dispiega nel tempo. È molto bella l’immagine di questo processo che avviene nella libertà. Il Papa parla spesso di maturazione, parla di crescita, di coltivazione dell’autentica autonomia. Quindi la Chiesa non deve essere, come ogni buona madre, troppo ossessiva nei confronti dei suoi figli, come se dovesse essere spazialmente presente sempre e dovunque accanto al figlio. L’importante è che ci sia un’intenzionalità e una vicinanza di cuore, che ci sia una sintonia che poi valorizzi la crescita e la libertà delle persone.

D. - L’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa, era particolarmente mirata a vedere cosa avrebbe detto il Papa sulla questione della possibilità dell’accesso ai Sacramenti per i divorziati e risposati. Quale risposta dà questo documento?

R. - Probabilmente la domanda se i divorziati e risposati possono accedere ai Sacramenti o meno non ha più senso, perché fa riferimento all’idea di una norma generale applicabile a tutti i casi, quindi positiva o negativa. Il Papa smonta questa logica e afferma l’importanza del discernimento davanti a situazioni che sono molto differenti. Allora, innanzitutto, afferma con grande chiarezza che siamo chiamati a formare le coscienze non a pretendere di sostituirle. Quindi, dà grande valore alla coscienza che poi si deve confrontare con i pastori. È nel confronto con questi ultimi che si comprende qual è la situazione effettiva che le persone stanno vivendo, qual è il grado di responsabilità e si può capire quindi se questo accesso è possibile o meno.

D. - Il testo chiude il percorso sinodale sulla famiglia, ma apre qualcos’altro?

R. - Io non sarei così sicuro che questo testo chiuda qualcosa. Io ritengo che i testi di Papa Francesco non chiudano mai nulla. Semmai è una tappa molto importante a livello magisteriale, di alto profilo, all’interno del percorso sinodale che è stato aperto pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco ma che certamente continuerà con l’approfondimento.

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Papa al Centro Aletti: le persecuzioni sono parte della testimonianza cristiana

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Il Papa ha celebrato ieri pomeriggio una Messa nella Cappella Redemptoris Mater, situata nel Palazzo Apostolico, in occasione del 25.mo anniversario del Centro Studi e Ricerche “Ezio Aletti”, un centro di ricerche sul Cristianesimo dell’oriente europeo, fondato dal padre gesuita Marko Ivan Rupnik all’indomani della caduta dei regimi comunisti dell’Est Europa, e nel 20.mo anniversario dell’Atelier dell’Arte ad esso collegato. Un’ottantina le persone presenti. Proprio al direttore del Centro Aletti, il gesuita padre Marco Ivan Rupnik, si deve la realizzazione dei magnifici mosaici che costituiscono la decorazione di questo luogo di culto. Il servizio di Adriana Masotti

Le letture della liturgia sono quelle del giorno: la prima propone la parte finale di quella storia della guarigione dello storpio alla Porta Bella del Tempio che aveva fatto tanto clamore a Gerusalemme e per la quale gli apostoli Pietro e Giovanni erano stati messi in carcere, rimproverati e minacciati affinché non parlassero più in nome di Gesù. Ma loro avevano scelto di obbedire a Dio dando ancora testimonianza delle cose vissute con Gesù di cui erano testimoni, affermavano, insieme allo Spirito Santo. Papa Francesco lo sottolinea: nessuno può dare testimonianza da solo, ci vuole la grazia dello Spirito Santo.

Chi testimonia la fede vive la beatitudine della persecuzione
Ma poi  un uomo saggio, Gamaliele, aveva convinto il Sinedrio di lasciarli andare, non senza prima averli fatti flagellare. E gli apostoli, dice il Papa, se ne andarono lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi a causa del nome di Gesù. Francesco afferma che, parlando "da ragioniere”, nel bilancio la testimonianza è sempre una perdita. La testimonianza porta alla sofferenza, alla persecuzione, è l’ultima delle Beatitudini: beati i perseguitati, beati quando diranno ogni sorta di cose contro di voi, mentendo, a causa mia...  allora rallegratevi. Le persecuzioni  e le sofferenze sono dunque parte della testimonianza cristiana. Qualcuno può pensare, afferma il Papa, che si tratti di una spiritualità masochista, ma è la spiritualità del Regno di Dio:

"Quando gli Apostoli chiedono a Gesù: 'Ma noi abbiamo lasciato tutto. Cosa ci aspetta?'. 'Avrete il centuplo di quello che avete lasciato, con persecuzione, cioè con sofferenza, con dolore anche con calunnie'. Anche le persone che non versano il sangue, ma che vivono silenziosamente, senza giudicare, che danno testimonianza di mitezza, sempre … perdono, sempre non guadagnano".

Non si può servire il Signore e il dio denaro
La testimonianza cristiana non è per guadagnare, continua Francesco:

"Se io seguo Gesù Cristo per guadagnare, seguo il dio denaro, l’altro padrone, con il quale non si può servire con Dio, il Signore. O l’uno o l’altro".

Il cristiano non è un arrampicatore
Del Vangelo il Papa sottolinea come, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù rifiuta il successo e preferisce di nuovo ritirarsi da solo sul monte:

"Il cammino cristiano non tollera gli arrampicatori, non è per arrampicarsi, per farsi vedere, per pavoneggiarsi, come la vanità, è per seguire Gesù. E Gesù lo si segue sempre sulla strada del servizio, della testimonianza, dell’abbassamento, della condiscendenza e questo ci dà pace e felicità".

La Madonna è il mezzo per fare scendere Gesù
Infine, il Papa racconta che a lui piace tanto recitare il Rosario davanti ad un’icona della Madonna. Nel quadro, dice, sembra che Maria sia al centro, invece, a guardar bene ha il Bambino e le mani della Madonna sono così come uno scalino e il Bambino che scende. La Madonna è lo strumento per fare scendere Gesù. Il centro è sempre Gesù che scende e la Madre è colei che ha reso possibile questo miracolo del suo abbassamento per essere uno di noi. Preghiamo gli uni gli altri, è la conclusione di Francesco, perché il Signore ci dia la grazia di dare vera testimonianza con la forza dello Spirito Santo e anche con la beatitudine della persecuzione o delle umiliazioni  e delle tante cose che il Signore ha subito nella sua vita.

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Il Papa riceverà il nuovo Presidente del Centrafrica il 18 aprile

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La Nunziatura apostolica a Bangui comunica che Papa Francesco ha accolto la richiesta del nuovo Presidente della Repubblica Centrafricana, il prof. Faustin-Archange Touadéra, di rendergli una visita di cortesia, per esprimergli, all’inizio del suo mandato, la sua gratitudine e quella del popolo centrafricano per la visita pastorale che il Pontefice ha effettuato nel Paese nel novembre scorso e per i suoi frutti positivi per il popolo centrafricano. Il presidente Touadéra è atteso in Vaticano il 18 aprile prossimo. Si tratta del primo viaggio internazionale del nuovo capo di Stato centrafricano dalla sua elezione lo scorso febbraio. 

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Lituania. Parolin inviato del Papa al Congresso sulla Misericordia

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Papa Francesco ha nominato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, legato pontificio al Congresso nazionale della Lituania sulla Misericordia, che sarà celebrato a Vilnius dal 6 all’8 maggio 2016.

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Mons. Tomasi nominato membro del dicastero Giustizia e Pace

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In Spagna, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Jaén, presentata per raggiunti limiti di età  da mons. Ramón del Hoyo López. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Amadeo Rodríguez magro, trasferendolo dalla sede di Plasencia. Il presule è nato a San Jorge de Alor, provincia di Badajoz, Extremadura, arcidiocesi di Mérida-Badajoz, il 12 marzo 1946. Entrò da giovane nel Seminario di Badajoz, dove ha svolto gli studi ecclesiastici. Fu ordinato a Badajoz il 14 giugno 1970. Negli anni 1983-1986 ha studiato alla Pontificia Università Salesiana a Roma, dove ha conseguito la Licenza in Scienza dell’Educazione (Catechetica).   Ha svolto il ministero sacerdotale come Vicario parrocchiale, Parroco ed Insegnante di Religione alla Scuola Pubblica; Direttore del Segretariato diocesano per la catechesi e Vicario episcopale per l’evangelizzazione; Professore nel Seminario e nel Centro Superiore di Studi Teologici di Badajoz; Professore associato nella Facoltà di Educazione dell’Università di Extremadura; Segretario generale del Sinodo diocesano; Segretario della Provincia ecclesiastica di Mérida-Badajoz; Canonico e Decano del Capitolo della Cattedrale e Vicario Generale dell’arcidiocesi. Nominato Vescovo di Plasencia il 3 luglio 2003, fu consacrato il 31 agosto successivo. Nella Conferenza Episcopale Spagnola è Membro della Commissione Episcopale d’Insegnamento e Catechesi dal 2003, di cui è Vicepresidente e Presidente della Sotto-commissione Episcopale di Catechesi dal 2014. Di quella per le Missioni è stato Membro nel triennio 2005-2011.

Papa Francesco ha nominato membro del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico.

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Giubileo. Mons. Viganò, Messa con i detenuti di Paliano

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Vivere il Giubileo della misericordia anche tra le mura del carcere: questa l’atmosfera che si è respirata stamani nel penitenziario di Paliano, in provincia di Frosinone, dove i detenuti hanno accolto la Croce pellegrina in occasione dell’Anno Santo straordinario della misericordia. Ad accompagnare il pellegrinaggio, anche il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò. Il nostro inviato, Davide Dionisi, gli ha chiesto quale significato assuma la presenza della Croce della misericordia in carcere: 

R. – Assume il significato di ricordare a tutti noi che nella vita c’è sempre qualche momento di fatica. D’altra parte tra noi e i detenuti non c’è molta differenza, se non semplicemente che qualche volte un peccato è anche un reato. Ma oltre la croce c’è sempre la speranza della risurrezione. Cristo è morto perchè dal nostro sepolcro anche noi potessimo risorgere alla vita di Dio.

D. – Come annunciare Cristo in un contesto in cui la libertà umana, materiale, a volte anche piscologica, viene meno?

R. – È complesso, però credo che sia molto importante il lavoro che fanno non solo gli operatori penitenziari, ma anche tutti i volontari e le persone che hanno a cuore la vita, la vicenda e la storia di uomini e di donne che in qualche modo qui passano dei mesi e degli anni. La misericordia è sapere che non c’è mai nessun peccato, nessun elemento dell’umano che non possa essere abbracciato dal Vangelo e dal Vangelo della misericordia.

D. – Secondo Lei, con l’iniziativa di oggi stiamo vivendo già un’anticipazione del Giubileo dei detenuti che si terrà a San Pietro nel mese di novembre?

R. – Sì, in qualche modo. Anche noi abbiamo attraversato una porta, la porta fisica di un penitenziario, la porta del cuore reciproco: quello dei volontari che si aprono ai detenuti e quello dei detenuti che, non in maniera scontata, si aprono a coloro che li vengono a visitare. Quindi, in questa apertura reciproca c’è l’idea di varcare una porta: la Porta Santa, la Porta del Giubileo, la porta che ci ricorda che Cristo è la Porta. Entrare attraverso Cristo vuol dire entrare in quel pascolo dove troveremo cibo in abbondanza.

Ma qual è il ruolo della religione in carcere, nella vita dei detenuti? Davide Dionisi lo ha chiesto alla direttrice del penitenziario di Paliano, Nadia Cersosimo

R. – La religione ha un ruolo educativo perché arriva al cuore delle persone che hanno sbagliato, dei detenuti. Noi non dobbiamo dimenticare che il detenuto è un uomo. Non dobbiamo pensare al reato, ma alla persona che ha commesso il reato e in questo senso nessuno può puntare il dito contro nessuno. I detenuti sono stati giudicati dalla legge, hanno seguito un percorso e adesso devono poter rientrare nella società ed esserne una risorsa. E il loro riscatto passa anche attraverso la religione, perché li fa sentire parte integrante di una comunità grande che è quella della Chiesa, una comunità che accoglie anche le persone che sbagliano. Anche noi dobbiamo chiedere perdono, non solo i detenuti. Tutti noi dobbiamo chiedere perdono e dobbiamo saperlo chiedere, perché il Signore è sempre pronto a perdonare, mentre spesso siamo noi uomini a non essere in grado di farlo.

Tra i presenti all’iniziativa, anche suor Nadia Coppa che ha animato la liturgia. Ascoltiamo la sua testimonianza: 

R. – L’opportunità che abbiamo avuto di essere qui presenti ci aiuta a riconoscere il valore della dignità di ogni persona che va al di là di quello che può aver commesso o di quello che può essere successo nella sua vita. Ognuno di noi, nel varcare la soglia di una casa penitenziaria, è chiamato a pensare anche alle tante schiavitù che si porta dentro come uomo, come donna, come credente, e al bisogno costante di sentirsi abbracciati e circondati dalla misericordia. Il nostro cuore, aperto all’altro, all’accoglienza, è lo spazio sacro che ci permette di far spazio al mistero della vita di ogni essere umano. Ed è questa la gioia che ci ricorda che la Pasqua del Signore passa dentro il cuore di ogni persona.

Centrale, inoltre, la riflessione sull’importanza di far comprendere, ai detenuti, che la pena carceraria non è una vendetta per il loro comportamento. Ma come aiutare questo processo di consapevolezza? Davide Dionisi lo ha chiesto a Stefania, volontaria  della Comunità di Sant’Egidio che opera all’interno del penitenziario di Paliano: 

R. – Con l’ascolto, l’amicizia, la misericordia, il pensare alle loro risorse e al loro futuro insieme per abbattere il muro che ci separa: il muro non c’è più nello stare qui continuamente ormai da tanti anni e pensare a cosa può essere bello fare insieme a ai detenuti. Noi, ad esempio, abbiamo avviato un laboratorio di icone. È un fatto insolito che proprio in un luogo di pena si provi a dipingere delle tavole per icone. Ma in questo modo, i detenuti superano, in un certo senso, la loro distanza dal Signore.

D. – Cosa spinge un volontario a maturare questo tipo di esperienza in carcere?

R. – Posso parlare per me: fin da giovane, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, ho conosciuto le periferie ed il male. E questo male porta molte persone in carcere. Ed allora, io non posso non vederlo, non posso non ascoltarlo, non posso non pensare a come aiutare.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Capaci di guardare negli occhi: all'udienza giubilare spiega il significato e il valore dell'elemosina.

I frutti del cammino sinodale: in prima pagina, un editoriale di Gualtiero Bassetti su globalità e accoglienza nell'"Amoris laetitia"; all'interno le reazioni deli media internazionali

La prepotente responsabilità verso gli altri: Enzo Bianchi su come mettersi al servizio dei poveri

Era decisivo anche un goccio di benzina: Antonio Paolucci sulla difesa del patrimonio artistico italiano durante la seconda guerra mondiale

Fustigatore in salsa ciceroniana: Gabriele Nicolò sullo scrittore inglese Evelyn Waugh a cinquant'anni dalla morte

Per dire no a ogni barriera: intervista di Nicola Gori al cardinale Antonio Maria Vegliò sul viaggio del Papa a Lesbo

Il cardinale Pietro Parolin legato pontificio a Gniezno e Poznan per le celebrazioni del 1050 anniversario del "battesimo" della Polonia

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Oggi in Primo Piano



Brasile. Card. Hummes: gigantesca corruzione della classe dirigente

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In Brasile, continua l’inchiesta sullo scandalo legato al gigante petrolifero Petrobras che ha coinvolto molti nomi della classe dirigente del Paese, mentre si allargano la disoccupazione e la povertà. Del fenomeno della corruzione stanno parlando anche i vescovi brasiliani, riuniti ad Aparecida per la 54.ma Assemblea generale. Allo studio un documento sulla questione. Il nostro inviato Silvonei Protz ha intervistato il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, presidente della Commissione episcopale per l’Amazzonia: 

R. – E' una crisi molto grande: una crisi politica, in gran parte provocata da una gigantesca, enorme, corruzione delle classi dirigenti del Brasile, che tutto il mondo già conosce. È il fenomeno della corruzione, che ha provocato in Brasile una crisi economica e sociale molto grande, e che si riflette poi nella crescita della disoccupazione e nell’inflazione. Queste sono due conseguenze che pesano troppo sulla gente: le persone sono molto preoccupate per il loro futuro, proprio a causa della crescente disoccupazione e dell’inflazione. E poi c’è una crisi politica, che non si risolve: è veramente un momento in cui è difficile prevedere come si verrà fuori da questo imbroglio politico e anche dei partiti. L’Assemblea qui è ovviamente molto attenta alla questione: noi vescovi cercheremo anche di pubblicare una nota di incoraggiamento alla gente, affinché mantenga la speranza. Soprattutto si sottolineerà anche la necessità di non perdere i grandi valori etici e democratici: dobbiamo essere attenti affinché la crisi non sia così devastante e possa invece essere – chissà – un’opportunità per migliorare e per costruire una democrazia più autentica – come dice la stessa parola – più basata sulla volontà del popolo. Ma è anche necessario che il Paese torni a lottare contro la disoccupazione, un problema colossale in questo momento, e che si affronti la questione monetaria: ovvero che si possa lottare contro l’inflazione e che la macroeconomia possa aiutare il Brasile ad andare avanti. È questa la grande preoccupazione del momento, la Chiesa è molto partecipe, e la gente vede in essa un appoggio e una speranza.

D. – Il Brasile tornerà al centro dei riflettori anche con le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Questa crisi potrà influenzare anche le Olimpiadi, così come la questione del virus Zika? Molti se lo chiedono…

R. – Sì, potrebbe, ma si spera che le Olimpiadi vadano bene e io penso che sarà così. Già in occasione dei Mondiali si era parlato molto della loro riuscita o meno e alla fine sono andati molto bene. È vero che è un momento un po’ critico per il Brasile anche a causa del virus Zika, della Dengue e della Chikungunya; però, questo è un problema in parte mondiale e credo che non avrà un peso così forte in vista delle Olimpiadi. Credo che tutto si svolgerà nella norma e bene.

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Elezioni in Perù. Alle presidenziali Fujimori favorita

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Domani quasi 23 milioni di peruviani si recheranno alle urne per eleggere il nuovo presidente del Paese. Stando ai sondaggi, grande favorita è Keiko Fujimori, figlia dell’ex capo di Stato Alberto, che 24 anni fa si fece protagonista del cosiddetto “autogolpe” e che sta scontando una condanna a 25 anni per gravi violazioni dei diritti umani. Da lui, Keiko ha recentemente preso le distanze in forma pubblica. In lizza altri 9 candidati, dopo l’esclusione illustre dell’economista Julio Guzman. Quale la possibile previsione? Roberta Barbi lo ha chiesto ad Alfredo Somoza, giornalista argentino presidente dell’Icei, Istituto della Cooperazione economica internazionale: 

R. – L’unica previsione possibile è la sicurezza quasi matematica che ci sarà un ballottaggio, in Perú, tra l’altro come era avvenuto già nelle ultime tornate elettorali. Ricordiamo che cinque anni fa Keiko Fujimori – la candidata della quale oggi si pensa che sarà la più votata stando ai sondaggi circolati fino a pochi giorni fa – aveva perso al ballottaggio contro Ollanta Humala, il presidente uscente. Quindi, sicuramente avremo uno scenario di secondo turno con Keiko Fujimori che dovrebbe affermarsi attorno al 30% al primo turno e poi un punto interrogativo su chi sarà il contendente.

D. – Il Perù è un Paese molto giovane, in cui pochi tra gli aventi diritti al voto ricordano le vicende di Alberto Fujimori: questo potrebbe giocare a vantaggio di Keiko?

R. – Potrebbe giocare a vantaggio di Keiko per motivi, appunto, anagrafici. Ma in realtà le malefatte di Alberto Fujimori – il padre di Keiko è, ricordiamo, agli arresti per una condanna a 25 anni per malversazioni, per truffa ai danni dello Stato e anche per violazione dei diritti umani, che è una cosa ancora più grave – sono ancora molto recenti e sono state spesso chiamate in causa in campagna come arma contro la candidata Fujimori, che ha dovuto dissociarsi da suo padre. Ricordiamo che cinque anni fa, invece, prometteva di liberarlo, ci disse che avrebbe chiesto un’amnistia... Invece, in campagna elettorale Keiko Fujimori ha già detto chiaramente che non si occuperà delle vicende di suo padre già, tra l’altro passate in giudicato, quindi non ci sono nemmeno livelli di appello possibili. Non farà mai qualcosa come quello che fece suo padre nel 1992, quando fece un “autogolpe” per cambiare la Costituzione e poi potersi presentare per altre due volte alle elezioni. Quindi, lei sostanzialmente ha dovuto fare una dichiarazione che in qualche modo ha ricordato a tutti i peruviani, anche chi non era nato all’epoca di Fujimori, che suo padre è stato una persona che non soltanto ha commesso gravissimi reati contro la pubblica amministrazione e ha commesso violazioni dei diritti umani, ma fondamentalmente è stato una persona che ha stravolto la democrazia.

D. – Il rispetto dell’ordine democratico e la tutela dei diritti umani, ma anche la politica sulla sicurezza sono state al centro della campagna elettorale della Fujimori…

R. – Keiko Fujimori ha fatto molto leva sulla questione della sicurezza, promettendo polso di ferro contro il crimine, promettendo di allontanare le prigioni dai centri abitati, promettendo addirittura – è un punto che non è stato confermato, ma in qualche modo è stato detto – la pena di morte per alcuni reati molto gravi, soprattutto in caso di violenza sessuale con la morte della vittima. Buona parte della sua campagna è stata concentrata su questo. Per il resto, ha fatto degli accenni molto generici su alcune questioni più di stampo nazionalista sulla protezione di alcune produzioni. Il Perú è un Paese che ha avuto negli ultimi anni una crescita economica molto forte, soprattutto perché è riuscito nella sua impresa di agganciarsi all’area del Pacifico. Adesso, sta risentendo proprio del rallentamento della Cina. Certamente, i Paesi del Pacifico americano non sono nella condizione quasi drammatica dei Paesi dell’Atlantico, comunque il Perú ha bisogno di riattivare la propria economia. Ma in questa campagna elettorale sono stati toccati più i temi della sicurezza e della democrazia che i temi dell’economia.

D. – I due principali antagonisti della Fujimori sono Pedro Pablo Kuczynski, del centrodestra, e Veronika Mendoza, di sinistra, che secondo le previsioni si aggirerebbero entrambi intorno al 15%. Chi sono?

R. – Pedro Pablo Kuczynski è figlio di immigrati europei – tedeschi e polacchi ebrei. E' stato un uomo che ha avuto un ruolo importante nel mondo delle aziende e ha avuto anche un impegno politico importante in Perú durante il governo di Toledo, nel quale è stato ministro delle Miniere, ma è stato soprattutto capo di gabinetto del governo di Toledo. È un uomo di profilo liberale, centrista, con simpatie verso alcuni movimenti nazionalisti del Perú degli anni Sessanta e Settanta, ma fondamentalmente è un uomo profondamente identificato con il mondo del “privato”. Veronika Mendoza invece è molto giovane, è psicologa, è esponente di questo “Frente Amplio”, raggruppamento di diversi gruppi della sinistra ecologista e della sinistra marxista peruviana, sul modello dell’Uruguay, e quindi stiamo parlando di quello che in Europa chiameremmo un “centrosinistra”, cioè una sinistra riformista, una sinistra moderata, non sicuramente una sinistra estremista. Due profili molto diversi, ma due profili politicamente caratterizzati, a differenza, invece, di Keiko Fujimori che è molto difficile incasellare in una categoria politica.

D. – Quali sono le sfide che il nuovo presidente si troverà ad affrontare?

R. – Fondamentalmente, quello di continuare la sfida dell’integrazione del Pacifico. Il Perú, insieme agli altri Paesi andini, ha fatto una grande scommessa sulla creazione di quest’area del Pacifico che, devo dire, effettivamente ha molto riattivato l’economia. E la sfida per chi sarà il presidente del Perú è quella di armonizzare, in qualche modo, la crescita economica – e il Perú ne ha avuto parecchia, negli ultimi anni – con l’inclusione sociale e con la lotta alla povertà.

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Omicidio Regeni, crisi diplomatica tra Italia ed Egitto

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Crisi diplomatica tra Italia ed Egitto. Roma ha giudicato insoddisfacente il colloquio con gli investigatori del Cairo, per fare piena luce sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel gennaio scorso. Ieri, a conclusione del vertice a Roma tra gli investigatori dei due Paesi, il governo italiano ha richiamato l’ambasciatore, mentre il premier Renzi ha chiesto e promesso chiarezza. Sull’atteggiamento egiziano Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di nord Africa: 

R. – Penso che la ragione fondamentale di questa mancanza di collaborazione sia che la morte di Giulio Regeni indichi un sistema di repressione di ogni tipo di opposizione all’interno dell’Egitto e dire la verità su questo caso, significa dire la verità su questo sistema repressivo.

D. - Tutto questo rischia di mettere in crisi i rapporti tra due Paesi praticamente confinanti, insomma di due sponde diverse del Mediterraneo …

R. - Sì, in effetti questo fa riflettere. L’Egitto aveva contato molto all’Italia. Vuol dire che il Paese non è certamente isolato in questo momento. Questo mi fa temere che possa - per queste ragioni - rinunciare all’amicizia con l’Italia.

D. - Alla luce di tutto questo che tipo di verità potrà venir fuori sulla morte di Giulio Regeni?

R. - Credo che verità non la conosceremo; capiremo sempre meglio che c’è un sistema che ha preso il controllo del Paese e credo che Giulio sia rimasto schiacciato in questo. È stato probabilmente arrestato perché era in contatto con degli oppositori e al regime sembrava fondamentale conoscere chi erano queste persone e Giulio non ha voluto rivelare le sue fonti. Questo giustifica il motivo per il quale è stato torturato.

D. - Quindi una verità mediata, quella che potrà arrivare tenendo conto che c’è una famiglia che vive nel dolore …

R. - Una famiglia per altro che mantiene una grande dignità. Credo che sia la stessa che abbia voluto mantenere il figlio Giulio. Sono convinto che il ragazzo non abbia voluto collaborare e questa è stata la causa della morte. Non si riesce ad annientare un movimento politico forte come lo era quello dei Fratelli musulmani senza una repressione di massa. Giulio è stato parte di questo sistema.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella terza Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risorto appare ai discepoli sul mare di Tiberìade invitandoli a gettare di nuovo le reti dopo una notte passata senza pescare nulla. La pesca si rivela miracolosa. Poi Gesù domanda per tre volte a Pietro se lo ami. Pietro dice:

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore».

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Nel tempo pasquale Gesù risorto appare in diverse circostanze, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti, i discepoli che hanno condiviso le fatiche della sua ascesa a Gerusalemme, per donare loro pace e rafforzarne la fede. Oggi Cristo, dapprima irriconoscibile, appare nel fallimento di Pietro e dei suoi compagni, nella penombra di un’alba di sudore e di delusione per una notte di pesca infruttuosa, con l’invito a gettare di nuovo le reti, sulla sua parola. Ed ecco il frutto dell’obbedienza: un’abbondanza di grossi pesci ed un incontro inaspettato, un sussulto del cuore: È il Signore! Da qui il dono della missione, l’invito ad avere cura delle pecore affidate a Pietro, invito reiterato tre volte, cioè solenne e irrevocabile, rivolto al discepolo che nel proprio tradimento ha conosciuto il cuore misericordioso del suo Maestro e Dio. Questo stesso discepolo, che non sa dire apertamente al suo Salvatore: “Ti amo!”, ma solo: “Ti voglio bene…”, è costituito in autorità, posto a capo della missione di tutta la Chiesa. Gettiamo di nuovo le reti con lui, là dove abbiamo fallito e peccato, incontreremo l’affetto misericordioso del Padre e del Figlio, uniti allo Spirito, ci guideranno a testimoniare la Risurrezione che rigenera ogni uomo, e ad essere lieti, se necessario, di subire incomprensioni e oltraggi a causa del Suo Nome.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: aiuti Caritas agli alluvionati nel nord del Paese

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Sono almeno 66 i morti e 61 i feriti provocati dalle alluvioni avvenute nei giorni scorsi nel nord del Pakistan, nel territorio di Gilgit-Baltisan. Oltre 900 le abitazioni distrutte del tutto o parzialmente, mentre i soccorsi hanno difficoltà ad operare. “Si tratta di un’area geografica molto difficile da raggiungere anche per la conformazione del territorio", spiega all’agenzia Fides Victor Shad, laico cattolico e direttore della Caritas di Islamabad-Rawalpindi, che aggiunge:. "Solo l’esercito è in grado di farlo, spesso solo con gli elicotteri, e sta provvedendo a portare aiuti alle popolazioni colpite”.

Interventi da pianificare
La Caritas informa che per ora non ha pianificato interventi, solo in una seconda fase si potrà valutare se entrare in campo per soccorsi o per altre opere di aiuto. Le piogge sono cadute abbondanti nel nord del Paese, incessanti per diversi giorni, facendo straripare numerosi corsi d'acqua che hanno travolto interi villaggi e campi, distruggendo abitazioni e colture e mettendo la popolazione a rischio sopravvivenza e a rischio epidemie.

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Accoglienza dei migranti al centro dell'assemblea della Cerna

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Il tema dei migranti e la loro accoglienza: questo il nucleo dell’Assemblea della Conferenza dei vescovi della Regione Nord dell’Africa (Cerna) svoltasi a Tangeri, in Marocco, dal 3 al 6 aprile. Nel comunicato finale diffuso al termine dei lavori e siglato da mons. Paul Desfarges, presidente dell’organismo, viene innanzitutto scattata un’istantanea delle singole Chiese: in Tunisia, si sottolinea come la Chiesa guardi “con fiducia al cammino del Paese dopo la rivoluzione del 2011”, nonostante “le difficoltà e le prove” affrontate, come l’attentato al museo nazionale del Bardo, avvenuto a marzo 2015. In particolare, la Chiesa tunisina prosegue il suo lavoro nei settori dell’educazione e della carità, in solidarietà con i migranti che arrivano nel Paese.

In Marocco, il centenario di Charles de Fuoucald
La Chiesa in Marocco, invece, guarda “la dialogo interreligioso” e punta su “iniziative pastorali” rivolte ai giovani e sui servizi per “le persone in difficoltà”, senza dimenticare che “la comunità cristiana locale si evolve anche con la nuova presenza dei migranti”. Quanto all’Algeria, la Cerna ricorda le difficoltà del Paese di fronte al crollo del prezzo del petrolio e le attese della Chiesa che dal 2015 non ha un arcivescovo titolare ad Algeri, né un nunzio apostolico. Centrale, poi, la celebrazione del centenario della morte di Charles de Foucald, che ricorrerà il primo dicembre prossimo, così come il ventennale della morte dei monaci di Tibhirine, scomparsi nel marzo 1996.

Le difficoltà della Libia
Per quanto riguarda la Libia, dove si sta lavorando con difficoltà a un governo di unità nazionale, la Cerna sottolinea che proprio a causa della crisi del Paese, nessun presule è potuto intervenire all’Assemblea. Tuttavia, tramite corrispondenza i vescovi nordafricani sono stati informati sulle problematiche che sta vivendo la Chiesa libica “in questo tempo di crisi”, con “la partenza di molti lavoratori espatriati e la situazione precaria che vivono i migranti”. “Qualche comunità religiosa prosegue coraggiosamente il suo servizio – si legge nel comunicato – sperando che le parti in causa arrivino a restaurare la pace e la stabilità e che per il Paese e la Chiesa locale sia possibile un nuovo corso”.

Critiche all’accordo Ue-Turchia su migrazioni
Segnali positivi arrivano, invece, dalla Mauritania dove la diocesi di Nouakchott si appresta a celebrare il 50.mo anniversario di fondazione e la comunità cristiana è in crescita. Da ricordare che all’incontro della Cerna ha presto parte anche mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, in Sicilia, il quale ha informato i presenti sul lavoro delle istituzioni ecclesiali italiane nei confronti dell’accoglienza dei migranti e ha presentato “uno sguardo critico sull’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia”, che prevede l’espulsione dalla Grecia verso la Turchia di tutti i migranti irregolari arrivati dopo il 20 marzo passando attraverso il confine turco. Critiche alle quali si unisce la Cerna, che esprime “indignazione davanti alle gravissime conseguenze di questa politica sui nostri Paesi e, soprattutto, sulla vita dei migranti”.

L’importanza della testimonianza
In generale, poi, la Chiese nordafricane sottolineano che, “in termini statistici, i nostri numeri sono insignificanti e i battesimi e i matrimoni sono poco numerosi”. Tuttavia, le testimonianze di vita cristiana, gli incontri ed i servizi portati avanti “insieme agli amici musulmani” dimostrano che “il Regno di Dio è all’opera”. Riguardo, quindi, alle situazioni politiche “complicate” che si vivono nella regione, i presuli sottolineano che la missione della Chiesa “non è di prendere posizioni di principio, ma di porsi accanto a coloro che soffrono, che cercano aiuto per vivere in modo degno”, in spirito di fraternità.

Aprirsi alla fraternità
“La vocazione della Chiesa – sottolinea ancora la Cerna – non è incentrata unicamente sul sostegno spirituale dei suoi membri, ma vuole anche testimoniare la carità di Cristo per tutti ed entrare in relazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani. E non è facile, a causa di pregiudizi e di un certo razzismo”. Se, dunque, “le migrazioni interpellano e comportano rischi e sofferenze”, allo stesso tempo i vescovi nordafricani evidenziano “l’importanza spirituale della mobilità per mettersi all’ascolto dell’altro e di Dio stesso ed aprirsi alla fraternità”.

Accogliere in maniera dinamica
Quindi, la Cerna ricorda che l’Europa non è l’unica meta di arrivo delle migrazioni, perché “non c’è un Paese africano che non accolga, a sua volta, sfollati, rifugiati ed immigrati”. Di fronte, poi, ai timori di chi pensa alla “islamizzazione dell’Europa”, la Cerna si domanda: “Vivere come una cittadella assediata è davvero il modo migliore di reagire?”. O piuttosto, “forti della fede”, bisogna “accogliere in maniera dinamica il nuovo mondo che viene”, perché “tutto passa, ma la carità non passa mai?”. Infine, il comunicato rende noto che la prossima Assemblea della Cerna si terrà in Senegal alla fine del gennaio 2017. (I.P.)

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Messico. L’impegno dei vescovi dopo la visita del Papa

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“Mettercela tutta. Rassegnarsi mai” è il titolo del messaggio dei vescovi messicani presentato ieri, a conclusione della loro Assemblea plenaria. Due mesi dopo la visita di Papa Francesco nel Paese, i presuli sottolineano che “il messaggio del Pontefice è calato nel profondo e ci ha lasciato delle sfide che dovremmo affrontare”, ribadendo poi il loro impegno ad andare avanti con coraggio di fronte alle difficoltà che “oscurano, deprimono e distruggono” la nazione. La risposta dei vescovi è un invito a non sprecare il grande patrimonio culturale e la diversità di risorse del Paese e di lavorare insieme “senza egoismo” in un progetto comune.

Uniti nell’essenziale, cioè la fede stessa
Durante la conferenza stampa per la presentazione del messaggio conclusivo della Plenaria, si è riflettuto sul discorso rivolto ai vescovi da Papa Francesco nel corso del suo viaggio apostolico nel Paese, lo scorso febbraio. Un discorso dai toni netti che il rieletto presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Francisco Robles Ortega, ha affermato sia stato accolto dall'episcopato non "come un rimprovero”, e che se "anche così fosse, il Papa ne avrebbe comunque il diritto, in quanto massima autorità della Chiesa”. E ancora il porporato ha detto: “Le parole del Papa ci sfidano ad una riflessione sui nostri atteggiamenti nella missione che portiamo avanti”. Anche il neosegretario generale dell’episcopato, mons. Alfonso Miranda, ha affermato che sebbene ci siano delle “differenze” tra i vescovi come indicato dal Pontefice, “queste sono piuttosto una ricchezza che non intacca l’unità, perché il corpo episcopale è unito nell’essenziale, cioè la fede stessa”.

Non possiamo costruire muri tra di noi
“Il Messico deve essere costruito come una famiglia dove nessuno è di troppo”, afferma l’episcopato nel suo messaggio, invitando a lavorare e ad impegnarsi insieme, in comunione di fede. “Non possiamo costruire muri tra di noi, né per altri - si legge nel testo - Siamo un popolo che sa darsi una mano a vicenda e costruire ponti al di là delle differenze: riconoscerle e parlarne faccia a faccia ci fa crescere nella verità e nell’unità”. “Mettercela tutta” - la frase usata da un giovane e ripresa più volte dal Papa durante il suo viaggio in Messico - è per i vescovi “un vero criterio cristiano per far fronte alla tentazione di credere nella vittoria della morte e di pensare che la corruzione, la droga, il narcotraffico, la violenza, l’impunità e il consumismo siano le offerte da proporre”. I vescovi, quindi, dicono "no" alla “rassegnazione” e al “vivere inginocchiati davanti al male”, perché non si può “calpestare la speranza di vivere in una società giusta e fraterna”.

La marijuana per uso medicinale
A proposito del dibattito sulla possibile legalizzazione dell’uso della marijuana, il presidente dell’episcopato messicano, interpellato dai giornalisti, ha dichiarato che i vescovi “non demonizzano” l’uso di tale erba a scopo medicinale, ma sono contrari a una legislazione che ne permetta l’uso ludico. Il cardinale Robles ha spiegato che, nonostante la Chiesa non sia stata invitata a partecipare ai cinque dibattiti organizzati dal governo sull’argomento, essa ha presentato la sua posizione il mese scorso, durante un incontro organizzato dalla Pontificia Università del Messico. “Spetta alla scienza analizzare fino a che punto questa sostanza sia un bene per l’uomo e quali siano i rischi del suo utilizzo”, ha detto il porporato, sottolineando che non si tratta di “legalizzare o autorizzare con leggerezza” l’uso della marijuana, ma di capire, ad esempio, i danni che la dipendenza da essa provoca sui giovani, sulle famiglie e sulla società. (A cura di Alina Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 100

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.