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Sommario del 11/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: i dottori della lettera sono chiusi a profezie e vita delle persone

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I dottori della lettera giudicano gli altri usando la Parola di Dio contro la Parola di Dio, chiudono il cuore alla profezia, a loro non importa la vita delle persone ma solo i loro schemi fatti di leggi e parole: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro dell’omelia del Papa la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui i dottori della legge accusano Stefano con calunnie perché non riescono “a resistere alla sapienza e allo spirito” con cui parla. Istigano falsi testimoni per dire di averlo sentito “pronunciare parole blasfeme contro Mosè, contro Dio”. “Il cuore chiuso alla verità di Dio – osserva il Papa - è aggrappato soltanto alla verità della legge”, anzi - precisa – “più che della legge, della lettera”, e “non trova altra uscita che la menzogna, il falso testimone e la morte”. Gesù li aveva già rimproverati per questo atteggiamento, perché “i loro padri avevano ucciso i profeti” e loro, adesso, costruiscono monumenti a quei profeti. E la risposta dei “dottori della lettera” è “cinica” più che “ipocrita”: “Se noi fossimo stati al tempo dei nostri padri, non avremmo fatto lo stesso”. E “così – spiega il Papa - si lavano le mani e davanti a se stessi si giudicano puri. Ma il cuore è chiuso alla Parola di Dio, è chiuso alla verità, è chiuso al messaggero di Dio che porta la profezia, per far andare avanti il popolo di Dio”:

“Mi fa male quando leggo quel passo piccolo del Vangelo di Matteo, quando Giuda pentito va dai sacerdoti e dice ‘Ho peccato’ e vuol dare… e dà le monete. ‘Che ci importa! - dicono loro, così - Te la vedrai tu!’. Un cuore chiuso davanti a questo povero uomo pentito che non sapeva cosa fare. ‘Te la vedrai tu’. E andò ad impiccarsi. E cosa fanno loro, quando Giuda se ne va ad impiccarsi? Parlano e dicono ‘Ma, povero uomo’? No! Subito le monete: ‘Queste monete sono a prezzo di sangue, non possono entrare nel tempio’ … la regola tale, tale, tale, tale… I dottori della lettera!”.

E Papa Francesco prosegue:

“Non importa a loro la vita di una persona, non gli importa il pentimento di Giuda: il Vangelo dice che è tornato pentito. Soltanto gli importa il loro schema di leggi e tante parole e tante cose che hanno costruito. E questa è la durezza del loro cuore. E questa è la durezza del cuore, la stoltezza del cuore di questa gente, che siccome non poteva resistere alla verità di Stefano va a cercare testimonianze, testimoni falsi, per giudicarlo”.

Stefano – afferma il Papa - finisce come tutti i profeti, finisce come Gesù. E questo si ripete nella storia della Chiesa:

“La storia ci parla di tanta gente che venne uccisa, giudicata, seppur era innocente: giudicata con la Parola di Dio, contro la Parola di Dio. Pensiamo alla caccia delle streghe o a Santa Giovanna d’Arco, a tanti altri che vennero bruciati, condannati, perché non si aggiustarono, secondo i giudici, alla Parola di Dio. E’ il modello di Gesù che, per essere fedele e avere obbedito alla Parola del Padre, finisce sulla croce. Con quanta tenerezza Gesù dice ai discepoli di Emmaus: ‘Oh stolti e tardi di cuore’. Chiediamo oggi al Signore che con la stessa tenerezza guardi le piccole o grandi stoltezze del nostro cuore, ci carezzi, e ci dica ‘Oh stolto e tardo di cuore” e incominci a spiegarci le cose”.

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Papa Francesco presiede la 14.ma riunione del C9

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Papa Francesco ha presieduto questa mattina la 14.ma riunione con i cardinali consiglieri. I lavori del “Consiglio dei Nove” proseguiranno fino a mercoledì prossimo.

I precedenti incontri del C9 hanno si sono svolti nelle seguenti date: 1-3 ottobre 2013, 3-5 dicembre 2013, 17-19 febbraio 2014, 27-30 aprile 2014, 1-4 luglio 2014, 15-17 settembre 2014, 9-11 dicembre 2014, 9-11 febbraio 2015, 13-15 marzo 2015, 8-10 giugno 2015, 14-16 settembre 2015, 10-12 dicembre 2015, 8-9 febbraio 2016.

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Nomine episcopali in India

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In India, Papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Rayagada per dismembramento della diocesi di Berhampur, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Cuttack-Bhubaneswar. Come primo vescovo, ha nominato padre Aplinar Senapati, della Congregazione della Missione, parroco e preside della scuola media a Derapathar, nell’Arcidiocesi di Guwahati. Il neo presule è nato il 28 ottobre 1960, a Surada, Diocesi di Berhampur. Dopo gli studi superiori presso il Technical High School nella sua città natale, ha studiato Filosofia all’Aquinas College di Gopalpur-on-Sea, Berhampur, come Novizio della Congregazione della Missione, e Teologia all’Università di Pune, dove ha anche ottenuto un Diploma in Psicologia e Formazione. Ha conseguito un M.A. in Economia e un M.A. in Filosofia alla Utkal University, Bhubaneswar. Ha emesso la prima professione religiosa il 10 maggio 1984 e quella solenne il 10 maggio 1989. È stato ordinato sacerdote il 28 novembre 1990, per la medesima Congregazione della Missione. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1990-1993 Vicario parrocchiale di Mohnana Parish, Aligonda, Diocesi di Berhampur; 1993-1996 Formatore e docente presso il Seminario Minore Vincenziano, Barpada, Diocesi di Berhampur; 1996-1997 Vicario parrocchiale di Alada Parish, Diocesi di Berhampur, 1997-2005 Parroco di Jubaguda Parish, Arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar; 2005-2007 Parroco di Dukuma Parish, Arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar; 2007-2008 Corso di Diploma in Psicologia e Formazione a Pune; 2008-2014 Maestro dei Novizi a Stella Maris di Gopalpur, Diocesi di Berhampur; dal 2014 Parroco della St. Vincent De Paul Parish e Presidente dell’English Medium School a Derapathar, Arcidiocesi di Guwahati.

Sempre in India, il Pontefice ha nominato vescovo della Diocesi di Dindigul mons. Thomas Paulsamy, parroco di St. Anthony's Church a Kallukuzhy, già vicario generale della Diocesi di Tiruchirapalli. Mons. Paulsamy, è nato il 2 agosto 1951, a N. Poolampatty, nella Diocesi di Tiruchirapalli. Dopo aver frequentato le scuole nel proprio villaggio, ha compiuto gli studi di Filosofia e di Teologia al St. Paul’s Seminary di Tiruchirapalli. È stato ordinato sacerdote il 25 maggio 1977 per il clero della Diocesi di Tiruchirapalli, della quale faceva parte l’attuale Diocesi di Dindigul. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1977-1979 Assistente parrocchiale di St. Mary’s Cathedral in Melapudur, Tiruchirapalli; 1979-1980 Assistente parrocchiale di Seven Dolours Church in Palaiyakoil, Tiruchirapalli; 1980-1985 Parroco di St. Aloysius’s Church in Kosavapatty, Dindigul; 1985-1986         Parroco di Church of St. Joseph the Worker in Kailasapuram, Tiruchirapalli; 1986-1992 Parroco e Vicario Foraneo di St. Joseph’s Church in Dindigul; 1992-1993 Anno sabbatico negli Stati Uniti d’America, con studi presso la Maryknoll School of Theology, a New York; 1993-1995 Parroco di St. Francis Xavier Church in Malayadipatti, Tiruchirapalli; 1995-2001 Parroco di Holy Redeemer’s Basilica in Palakarai, Tiruchirapalli; 2002-2004 Parroco di St. Mary’s Cathedral in Melapudur, Tiruchirapalli; 2004-2005 Parroco di Our Lady of Dolours Church in Nanjur, Pudukottai; 2005-2007 Parroco di Our Lady of Fatima Church in Fathimanagar, Tiruchirapalli; 2007-2015 vicario Generale della Diocesi di Tiruchirapalli. Attualmente è Parroco di St. Anthony's Church a Kallukuzhy.

La Diocesi di Dindigul (2003), suffraganea dell'Arcidiocesi di Madurai, ha una superficie di 6.266 kmq e una popolazione di 2.068.000 abitanti, di cui 145.213  sono cattolici. Ci sono 49 Parrocchie, servite da 163 sacerdoti  (66 diocesani e 97 Religiosi), 32 Fratelli religiosi, 365 suore e 42 seminaristi.   La Diocesi di Dindigul, è vacante dall’agosto 2014, a seguito del trasferimento di S.E. Mons. Antony Pappusamy, alla Sede Metropolitana di Madurai.

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Tweet del Papa tratti dall'"Amoris laetitia”

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Papa Francesco ha lanciato alcuni tweet dal suo account @Pontifex, tratti dall’Esortazione Apostolica “Amoris laetitia”. Questi i testi: “I divorziati che vivono una nuova unione sono parte della Chiesa, non sono scomunicati”; “Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare”; “La fedeltà ha a che fare con la pazienza. Questa fedeltà piena di sacrifici e di gioie va come fiorendo nell’età”.

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Card. Turkson: visita del Papa a Lesbo per interpellare le coscienze

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Cresce l’attesa per la visita che Papa Francesco compirà sabato prossimo nell’isola greca di Lesbo come segno concreto di vicinanza a migranti e rifugiati la cui situazione si fa sempre più drammatica. La visita è anche un gesto forte per interpellare le coscienze degli europei e della comunità internazionale. E’ quanto sostiene il cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero “Giustizia e Pace”, al microfono di Alessandro Gisotti. Occasione dell’intervista, un panel sull’ecologia integrale promosso dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede al quale è intervenuto il porporato ghanese: 

R. – La visita del Santo Padre sull’isola di Lesbo ricorda in un certo senso quella che fece sull’isola di Lampedusa. È un’altra isola che riceve persone costrette a fuggire dalla loro terra. Quindi, la visita sarà di nuovo un tentativo per mettere sullo schermo globale la situazione di queste persone e al tempo stesso le sue cause, per interpellare il mondo e la coscienza globale, chiamandola a fare qualcosa per evitare tutto questo. C’è una situazione di violenza, ora in questo caso da parte dell'Is, ma prima ancora con la guerra in Siria. È necessario invece che ci sia la pace, una pace che non deve essere soltanto il frutto della diplomazia ma che si basi in gran parte sull’amicizia, l’amore e la fraternità che si possono mostrare nei riguardi di queste persone.

D. – Questa visita di Papa Francesco sull’isola di Lesbo è anche per vincere quell’indifferenza che tante volte il Papa denuncia. Certe guerre, a volte, si ricordano solo quando bussano alla porta di casa nostra…

R. – Sì, l’indifferenza. Ma forse la domanda da porsi riguarda le cause di questa indifferenza! Ossia, perché questa indifferenza? La Grecia non può certamente essere indifferente, perché è il Paese dove ora si trovano queste persone. Ma le misure attuate dell’Europa... dare una grande somma di denaro alla Turchia affinché quest’ultima fermi l’arrivo di queste persone – non so – servono l’interesse di chi? Forse l’Europa ora sarà un po’ più tranquilla, ma quanto tempo durerà questa tranquillità? Perché se queste persone non riescono ad arrivare via mare, potranno trovare altre maniere. Per giungere ad una soluzione di lungo termine, invece, dobbiamo fare tutto quello che possiamo per creare una situazione di pace in questa zona. Sembra che l’Is sia potente, ma in realtà è sempre sostenuto dai soldi, ha accesso ancora al denaro, alle armi, ecc. Queste cose vengono sempre importate, comprate… Perché non chiudiamo tutto questo? Perché non poniamo fine all’interesse per comprare il petrolio ad un prezzo basso? Ci vuole un po’ di impegno, che poi è anche sacrificio. Credo che in questa visita a Lesbo tutte le telecamere del mondo seguiranno il Papa. E l’obiettivo non dovrebbe essere soltanto quello di riprendere le persone che soffrono, ma di farci pensare un po’ a quale potrebbe essere una soluzione a lungo termine, valida per porre fine a questa situazione.

D. – Il tema dell’incontro odierno è: “Ecologia Integrale”. Quindi non solo l’ecologia della Casa comune, ma anche l’ecologia umana: vediamo come queste due cose siano molto legate...

R. – La Casa comune non riguarda soltanto l’ambiente naturale, ma anche l’ambiente, come il termine usato da Papa Benedetto, “dell’essere umano”. Quindi l’ecologia integrale ci invita a riconoscere che non si può promuovere un aspetto della vita sul pianeta, trascurando l’altro. Il desiderio è invece quello di poter tenere tutto insieme. In questo senso, si può parlare anche di un’ecologia culturale e sociale, come ha fatto Papa Benedetto. Si invita l’essere umano a capire e a riconoscere che il successo della vita umana sulla terra si raggiunge attraverso tantissimi elementi.

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Ravasi: il Brasile ha bisogno di conciliare misericordia e giustizia

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Un Paese sulla “bilancia” di un bisogno di conciliazione interna che soddisfi le necessità della giustizia. È il Brasile incontrato nei giorni scorsi a Rio de Janeiro dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nella nuova tappa del “Cortile dei gentili” sul tema “Dio, cosmo, umanità: un dialogo di frontiera”. Il porporato interviene oggi presso l’Istituto Scienza e fede della Pontificia Università Cattolica di Paranà. L’inviato Silvonei Protz lo ha intervistato: 

R. – Ho voluto sviluppare questo tema che mi era stato proposto tenendo conto di una sorta di viaggio. Il punto di partenza è uno sguardo a tre grandi immagini di Misericordia, tre grandi attori della Misericordia: Dio, Cristo e il cristiano. Poi, la seconda tappa è l’itinerario: camminare per le strade del mondo per la Misericordia. In questo caso, ho scelto storie che hanno al centro una strada, cioè la Parabola del buon Samaritano – la strada della solidarietà – e la Parabola del Figlio prodigo, che ha al centro una strada di perversione e di conversione. La mia conclusione, poi, è quella di far approdare al cuore della carità perché, curiosamente, nella Bibbia il verbo che indica la misericordia non è il cuore – come si dice in italiano “misericordia” – ma è il grembo della madre e quindi un amore appassionato.

D. – Quale Chiesa ha incontrato in Brasile?

R. – Ho trovato una Chiesa che agli occhi di un europeo si manifesta soprattutto con due volti diversi: il primo è un volto impressionante, quantitativo: il numero enorme di vescovi rappresenta una comunità molteplice dalle esperienze molto diverse, dalle personalità molto diverse e dalle origini etniche persino diverse. Dall’altra parte, un’esperienza qualitativa perché è una Chiesa molto vivace, avendo la possibilità anche di registrare dentro di sé come una sorta di mosaico dai colori molto diversi: pensiamo cosa significhi un vescovo che si trova nell’area di Rio de Janeiro, di San Paolo, e un altro che si trova invece nell’Amazzonia… È un mondo che perciò ha molto da insegnare soprattutto ora che sta attraversando un periodo anche di difficoltà e che respira però anche la crisi mondiale.

D. – Parlando con i vescovi – ho visto che molti sono venuti a parlare con lei – qual è stata la domanda più ricorrente?

R. – La domanda più ricorrente, proprio perché il tema proposto è quello della Misericordia, è quella di vedere come equilibrare, tenendo sui due piatti della bilancia sia la giustizia che la misericordia. Il grande anelito alla giustizia che ha attraversato questo Paese è lo stesso che attraversa i Paesi dell’America Latina per le ingiustizie e la corruzione, i temi che vengono spesso sviluppati in sede sociale. Però, sull’altro piatto bisogna mettere la misericordia che è dialogo, mitezza, perdono e comprensione. Io penso sia estremante importante che il Brasile viva questa esperienza che sta attraversando, tenendo conto sempre della forza del dialogo e della misericordia.

D. – Nei giorni scorsi lei, è stato a Rio de Janeiro in un evento singolare chiamato “Il Cortile degli incontri” che segue un po’ “Il Cortile dei gentili”. Come è stata questa esperienza?

R. – È stata una grande esperienza che ha avuto l’inizio per me nell’interno di orizzonti ben precisi. Pensiamo a quelli che lavorano nel mondo dell’industria, gli intellettuali, per passare poi alla dimensione popolare, le scuole di samba per esempio, per andare poi anche all’interno dell’orizzonte persino dei bambini, con la loro esperienza così vivace, così intensa, andando anche verso quei ragazzi che vengono dalle favelas che sono stati quasi – direi - trasfigurati; pensiamo all’orchestra che comprende tra l’altro una scuola con 1200 alunni che permette perciò di prendere questi ragazzi dispersi e per farli diventare degli esecutori raffinati anche di opere musicali occidentali. Poi c’è stato il sugello nel Teatro Municipal che è stato anche sugello alla visita di Papa Francesco, dove effettivamente l’incontro ha avuto tutte le sue espressioni con una folla immensa e con un dialogo molto rigoroso, molto impegnativo, sull’etica e sulla trascendenza, temi sicuramente non quotidiani seguiti da una folla di duemila persone con una tensione impressionante e conclusi, sigillati, dal canto di Maria a Betania che è stata una forma poetica di trascendenza.

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Vatileaks 2. Maio: non ho sottratto documenti, ho subito pressioni

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"Non ho mai sospettato che i documenti fossero usati per scopi illeciti”. Così si è espresso Nicola Maio, ex segretario esecutivo di Cosea, durante l’interrogatorio dell’ottava udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Presenti in aula: mons. Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e il giornalista Gianluigi Nuzzi, assente invece l’altro cronista Emiliano Fittipaldi. L’udienza è stata aggiornata, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, a mercoledì prossimo. Massimiliano Menichetti:

Una mattinata dedicata interamente all’interrogatorio di Nicola Maio che, rispondendo alle domande dell’Ufficio del promotore di giustizia e degli avvocati di parte, ha ricostruito la sua versione dei fatti dichiarandosi in sostanza estraneo ai capi d’accusa. “Non ho mai sottratto documenti riservati" e "sospettato che i documenti fossero usati per scopi illeciti”, ha detto con tono deciso in tribunale.

Il più stretto collaborato di Vallejo
Ha ribadito più volte che il suo inquadramento professionale non gli consentiva uno sguardo d’insieme rispetto al lavoro svolto dai superiori e che le sue mansioni erano fondamentalmente di carattere “esecutivo”, nonostante fosse "il più stretto collaboratore" di “mons. Vallejo Balda. Mons. Vallejo - ha dichiarato - prendeva disposizioni direttamente dal Papa e io da lui: la catena di comando era questa”. In virtù di tale gerarchia, ha sottolineato che, “nel rispetto della legalità e delle mansioni”, ha consegnato per “visione” documenti al suo superiore.

Piena disponibilità dei documenti
L’imputato ha confermato anche di avere la piena disponibilità dei documenti vaticani relativi al suo lavoro, che poteva mandare email dal computer di mons. Vallejo e di averne inviate dal suo pc per suo conto, ma sempre tutto in presenza del prelato e sempre nel rispetto delle norme.

Il Gruppo di Contatto
In merito alle domande su una presunta “Commissione Ombra” o “Super Commissione”, espressioni queste utilizzate dallo stesso Maio in altra sede durante le deposizioni, ha parlato di dichiarazioni avvenute in stato di agitazione e ha spiegato che l’espressione corretta era “Gruppo di contatto”. Ovvero, il rapporto tra i membri di Cosea e “un gruppo di persone in Curia e figure apicali, con ruoli amministrativi ed economici, preoccupati che i lavori della Commissione potessero essere sabotati”.

Mai avuto pressioni da Chaouqui
“Percepivo questa situazione”, ha sottolineato più volte ribadendo di non aver “mai avuto pressioni dalla dott.ssa Chaouqui per la sottrazione di documenti”. Ha confermato di aver svolto attività lavorativa sia presso la Commissione, sia presso la Segreteria per l’economia “su mandato Cosea”. Ha evidenziato che la sede di lavoro era prevalentemente presso la sede Cosea, in Casa Santa Marta, stanza 127 e che “molto raramente”, contrariamente alle dichiarazioni di alcuni membri della Prefettura lette in aula, si recava presso la Prefettura degli Affari Economici.  

Rapporti Cosea Prefettura 
Ha precisato anche che Cosea non era ben vista in Prefettura proprio per il compito di riordino che aveva. Maio ha spiegato che la Commissione si avvaleva anche di due segretari esecutivi aggiunti, individuati nel gruppo McKinsey, i quali possedevano le chiavi per l’accesso in Prefettura, cosa che lui non aveva.

“Il fatto grave” – la pressione
L’imputato ha confermato le dichiarazioni della dot.ssa Chaouqui su un “fatto grave” che determinò la realizzazione di un dossier, da lui redatto, che venne - gli “dissero” - consegnato al Santo Padre. “Vista l’eccezionalità del lavoro ero perennemente in uno stato di soggezione psicologica”. Ha risposto al promotore di giustizia: “Mi dicevano: qui si fa la storia della Chiesa, qui si fa la volontà del Papa”, per cui “mi sentivo coinvolto in un impegno importante, con pathos”.  

Richieste di altre attività
Sollecitato sugli stati d’animo vissuti, ha parlato di “richieste che lo turbavano”, di attività “collaterali, diverse da quelle istituzionali” che venivano da Chaouqui e mons. Vallejo e che portarono Maio a prendere le distanze, fino ad arrivare alle dimissioni in Cosea nel momento in cui si rese conto che il suo “ruolo non era più fondamentale” per la Santa Sede. I due avrebbero proposto a Maio il ruolo di segretario di una struttura eterogenea per il coordinamento della Fondazione spagnola Santa Maria del cammino, della fondazione I Messaggeri della Pace e una fondazione russo-spagnola intitolata a San Nicola. La sede sarebbe stata in un appartamento Apsa attiguo a quello di mons. Vallejo.

L’archivio Cosea
Tornado all’archivio Cosea, ha confermato che il 27 giugno 2014 venne preso in carico dalla Segreteria per l’Economia e che lui continuò a lavorare “sul materiale contabile” fino a dicembre. I tesserini di accesso allo Stato Vaticano vennero ritirati, tranne ai segretari, in una cena di “chiusura lavori” Cosea, presso la Casina Pio IV in Vaticano.

Nuzzi, Fittipaldi, Bisignani
Rispondendo alle domande, ha detto di aver “conosciuto Nuzzi e Fittipaldi solamente alla prima udienza del processo in Vaticano” e interrogato sul pranzo con Bisignani ha detto che “partecipò una sola volta” assieme a mons. Vallejo e Chaouqui. “Prima del pasto Chaoqui parlava come se avesse dimestichezza con l’establishment politico, finanziario e ci fu un accenno ai Servizi segreti”. “Durante il pranzo - ha aggiunto - si parlava dei possibili rischi di un attacco batteriologico”.

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Oggi in Primo Piano



Yemen. Mons. Hinder: p. Tom lo credo vivo, può essere liberato

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Da oggi in vigore, nello Yemen, una tregua al conflitto civile che dal febbraio 2015 vede opposti al governo del presidente Hadi, appoggiato dai sauditi, ai ribelli Houthy sostenuti dall’Iran. Una guerra che in 14 mesi ha causato oltre seimila morti e due milioni di sfollati. E resta alta la preoccupazione per il sacerdote salesiano indiano, padre Tom Uzhunnalil, rapito il 4 marzo nella città di Aden da un gruppo islamico fondamentalista, che ha assaltato il convento delle Missionarie della Carità, uccidendo quattro suore ad altre 12 persone. Ieri il Papa, al Regina Caeli, ha chiesto la liberazione di p. Tom e di tutti i sequestrati in zone di guerra. Come è stato accolto questo appello? Roberta Gisotti ha raggiunto al telefono a Dubai mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, che ha sotto la propria cura pastorale anche lo Yemen: 

R. – Io ringrazio il Santo Padre per avere fatto questo appello perché spero che la sua voce sia ascoltata anche dall’altra parte, anche se non sappiamo quale sarà il risultato.

D. – Si ha qualche notizia che faccia ben sperare?

R. – Io sono convinto, cioè ho ragione di credere, che p. Tom sia vivo e che ci sia ancora la possibilità che sia liberato. Però, io non posso entrare nei dettagli perché è una situazione molto delicata.

D. – Eccellenza, che condizione vivono oggi i cristiani nello Yemen? Sappiamo che la situazione è molto peggiorata a causa del conflitto civile…

R. – Sì, è vero che la situazione in tutto il Paese sia molto critica – economicamente, politicamente – e c’è un problema serio, sanitario, per una grande parte, per milioni di persone della popolazione. Riguardo ai cristiani, sono rimasti in pochi: non  è possibile sapere esattamente quanti ce ne sono ora. E’ chiaro che non possono praticare pubblicamente la loro fede e poi non ci sono più sacerdoti che possano lavorare per il momento. Rimangono queste due comunità delle Missionarie della Carità a Sana’a e a Hodeidah. Gli altri cristiani sono sparsi nel Paese, però non ho notizie chiare perché è quasi impossibile contattarli.

D. – Sappiamo che proprio dalla mezzanotte scorsa è scattata una tregua. Un accordo l’Onu che ha definito “il primo passo per evitare l’abisso”…

R. – E’ vero, è urgentissimo che sia rispettata questa tregua, perché è l’unico modo di iniziare qualche passo verso una pacificazione nel Paese, perché veramente è una situazione che sfiora la tragedia. Come si è potuto leggere anche in questi giorni, ci sono milioni e milioni di persone che hanno problemi di fame, di salute... Ci sono le cose più ordinarie che non sono più accessibili come l’elettricità, il petrolio e l’acqua, che è il problema maggiore. Allora, si può immaginare la situazione in questo Paese.

D. – Eccellenza, questa vicenda tragica delle quattro suore e di altre 12 persone uccise nell’assalto di questo gruppo islamico, che poi ha rapito padre Tom, forse potrà anche servire – assieme all’appello del Papa – ad accendere un faro su situazioni così drammatiche, di cui dall’altra parte del mondo ci si dimentica?

R. – Mi sembra questo anche l’aspetto positivo dell’appello di ieri: di lottare contro la memoria breve, perché oggi la gente passa ogni giorno da un problema a un altro e dimentica subito ciò che è successo ieri. Anche per questo – soprattutto in una regione come lo Yemen, che di solito non è al centro dell’attenzione né dei media né dell’opinione pubblica – sono contento che queste suore rimangano nella memoria della Chiesa perché, secondo me, sono veramente martiri, testimoni della fede in una parte del mondo dove la stragrande maggioranza delle persone pensa che non vi siano cristiani, mentre invece ci sono, anche se non sono migliaia.

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Strage di cristiani in Siria: almeno 21 le vittime ad Al Qaryatayn

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In Siria almeno 21 cristiani sono stati uccisi da jihadisti del sedicente Stato Islamico ad Al Qaryatayn, nella parte centrale del Paese. Lo ha rivelato, in una intervista alla Bbc, il patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l'oriente, Ignatius Aphrem II, aggiungendo che in questi ultimi mesi la cittadina assiro cristiana di Al Qaryatayn ha subito pesanti devastazioni. Un antico monastero è stato ridotto in macerie. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono drammatiche le testimonianze raccolte e rivelate alla Bbc dal Patriarca siro ortodosso  Ignatius Aphrem II sulla strage di cristiani ad Al Qaryatayn. Il massacro è avvenuto prima della liberazione, la scorsa settimana, di questa strategica località da parte delle forze governative siriane, sostenute dall’aviazione russa. Secondo il Patriarca, prima della battaglia tra soldati siriani e milizie del sedicente Stato Islamico, erano rimasti oltre 300 cristiani in questa cittadina della provincia di Homs. Alcuni sono stati uccisi mentre tentavano la fuga. Altri sono stati assassinati perché si sono rifiutati di convertirsi all’Islam. Molti sono dispersi. Fra le vittime ci sono anche diverse donne. I jihadisti – ha spiegato il Patriarca siro ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente - hanno anche pianificato di vendere come schiave le ragazze cristiane superstiti. Miliziani dello Stato Islamico avrebbero infine anche progettato nuovi attacchi mirati in Libia e in particolare a sud di Sirte, dove sono stati evacuati tre siti petroliferi.

Su questo drammatico episodio Amedeo Lomonaco ha intervistato padre Ghassan Sahoui, raggiunto telefonicamente ad Aleppo:

R. – Con un forte sentimento di dolore, sento la sofferenza dei cristiani: non è accettabile che nel XXI secolo ancora ci siano queste stragi. Ho tanti amici musulmani che sempre rifiutano quello che fa l'Isis e dicono: “Questo non ci rappresenta. Il Corano non dice di uccidere”. E soprattutto, nel Corano troviamo un legame molto speciale con i cristiani: quelli che dicono “siamo cristiani” sono rispettati dai veri musulmani. E quindi non si può capire perché  ci sono persone che uccidono.

D. – Quanti sono i cristiani rimasti in Siria, e in particolare quelli ancora intrappolati in territori controllati da milizie dello Stato Islamico?

R. – Generalmente, io direi che dove ci sono milziie del sedicente Stato Islamico non ci sono più cristiani; forse ce ne sono alcuni a Raqqa che hanno obbedito alla legge islamica imposta dall'Isis. Invece cristiani si trovano nelle altre città della Siria. Ad Aleppo dovrebbero essere 30 mila e nelle altre città di più. Prima della crisi erano quasi un milione e mezzo, ma ora non ci sono stime precise. Ma non è importante il numero: anche se rimaniamo in pochissimi, c’è una bella speranza. Il Signore sta chiedendo di essere più cristiani, più veri e di portare sempre questa nostra testimonianza in mezzo alla guerra, di essere portatori di pace, uomini di dialogo, di riconciliazione, di essere pronti a donare la nostra vita…

 

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Difficile la situazione umanitaria nel Campo profughi di Idomeni

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Tensione ma senza altri incidenti nel campo di Idomeni in Grecia, il giorno dopo gli scontri con la polizia. Gas lacrimogeni e granate assordanti sono partite ieri dalla Macedonia su 500 migranti che cercavano di superare le recinzioni del confine, sbarrato da settimane. Decine i feriti, centinaia le persone intossicate, tra loro anche molti bambini e donne raggiunti nelle tendopoli dal fumo tossico per via del vento.  Nell’intervista di Fausta Speranza, il presidente di Medici Senza Frontiere Italia, Loris De Filippi

R. – La situazione è drammatica. Ricordo che da mesi queste persone sono ferme a Idomeni. Quindi c’è la rabbia e insieme la voglia di trovare una soluzione. 500 persone hanno attaccato le recinzioni. I nostri ambulatori hanno ricevuto circa 300 persone, di cui almeno 200 avevano problemi respiratori dovuti ai gas lacrimogeni. La cosa però più grave è l’utilizzo, da parte della polizia macedone, di proiettili di gomma; abbiamo avuto circa 40 persone ferite da questi proiettili, e tra queste anche alcuni bambini. Sette persone con ferite aperte o sospette fratture sono state trasferite in un ospedale locale. Quindi, è dramma per queste persone, che – ricordo – vivono da mesi in una condizione assurda: in un posto che potrebbe contenere circa 1.000 persone e che invece ne contiene 12.000. Continua a piovere di notte e la situazione diventa, di giorno in giorno, sempre più insostenibile. Ci sono 50.000 persone in Grecia che sono in questa situazione. Credo che per l’Europa sia venuto il momento di trovare delle soluzioni.

D. – Queste persone, oltre ai bisogni materiali, non sanno neanche che fine faranno…

R. – Sì, la situazione oggi è sotto controllo. Pur essendoci infatti la rabbia per quello che è successo ieri, non ci sono manifestazioni violente in questo momento. Sicuramente però rimane una situazione drammatica. Ieri, delle 300 persone arrivate, 30 avevano problemi psicologici. Sono state viste dal nostro team, e la squadra di Medici Senza Frontiere registra una dilagante situazione di frustrazione da parte di queste persone, che sanno di non poter trovare delle soluzioni nel breve periodo per poter continuare il loro viaggio. Ricordo che queste persone scappano da conflitti: conflitti gravissimi, come quello siriano, ma non solo; tra loro ci sono anche degli yazidi, degli afgani e degli iracheni… Ci sono delle persone che hanno vissuto delle situazioni gravissime e che si trovano oggi a fronteggiarne un’altra: quella di non poter muoversi da lì.

D. – Voi siete presenti insieme con altre agenzie umanitarie. La comunità internazionale, in qualche modo, c’è?

R. – Va detto chiaramente che, a parte Praxis, Msf, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, e poche altre organizzazioni umanitarie che danno un contributo fondamentale a queste persone, non c’è la presenza, o se c’è è veramente risibile, sia del governo greco che degli altri 27 Stati Membri dell’Europa, per quanto riguarda questa crisi. Quindi è una situazione incredibile! L’Europa, di fatto. non fa quasi nulla per trovare delle soluzioni, nemmeno dal punto di vista umanitario. Questo credo che sia assolutamente intollerabile.

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Perù. Elezioni, vince Keiko Fujimori, ora il ballottaggio

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In Perù, si è appena concluso il primo turno delle elezioni presidenziali. Keiko Fujimori, la figlia dell'ex presidente e dittatore Alberto Fujimori, si è imposta con il 39% e ora sfiderà al ballottaggio il liberale Pedro Pablo Kuczynski, che ha ottenuto il 24% dei voti. Terza la candidata del centrosinistra, Veronika Mendoza. Alberto Fujimori sta scontando una condanna a 25 anni di reclusione per truffa allo Stato e violazione dei diritti umani. Sulla pesante eredità lasciata dall’ex presidente Fujimori alla figlia Keiko, Daniele Gargagliano ha raccolto il commento del giornalista Maurizio Chierici, che da anni si occupa di cronache sudamericane: 

R. – Si è creato, nei dieci anni dal Novanta al Duemila, questo tipo di popolarità fatta di piccole cose, che però erano le attenzioni di un popolo che è sempre stato un po’ abbandonato. Pensiamo che nel Novanta il 60% della popolazione era in estrema povertà e che oggi è sceso al 25-30%. Quindici anni dopo Fujimori hanno portato un liberismo che ha creato, sì, una crescita, che faceva sembrare il Perù uno dei Paesi felici dell’America Latina, ma ancora in realtà un 25-30% della popolazione è alla fame e nove milioni di persone senza acqua in casa, senza i servizi igienici. Poi, c’è soprattutto una certa rilassatezza, arrendevolezza. Quindici anni dopo Fujimori, i presidenti venuti dopo non hanno saputo dare al Paese una dignità comune. Quindi, il Perù è ancora un Paese che vive due realtà parallele, come nell’America Latina di tanti anni fa. Keiko Fujimori quando è stata nominata – era una ragazza ancora – era la prima signora del Paese, accompagnava il padre: era incaricata dei rapporti con le donne ed era stata bravissima nel contattarle e anche nell’aiutarle. Keiko Fujimori, alla vigilia delle elezioni, ha annunciato che non avrebbe riconosciuto la Costituzione del padre, che gli permetteva di essere rieletto per sempre.

D. – Lo sfidante per il secondo turno è il liberale settantasettenne Pedro Pablo Kuczynski. L’elettorato peruviano è molto giovane: questo dato può incidere a favore della quarantenne Keiko?

R. – Sì, può incidere a livello popolare, ma è stata completamente dimenticata nella campagna elettorale. Non è mai apparsa nelle tv nazionali, a parte una volta. Un economista di destra, liberista, che annuncia i suoi piani che sono quelli di un liberismo assoluto, quindi una nuova emarginazione. Keiko ha vinto su questo. Anche se è inconcepibile che la figlia di un dittatore, che ha accompagnato il padre nella dittatura come figura di primo piano, possa essere rieletta. Al ballottaggio lei è la donna da battere.

R. – Il Paese negli ultimi anni viaggia ad una crescita del Pil del 3 % a fronte, come diceva, di numerose sacche di povertà ancora presenti sul territorio. Quale scenario potrebbe aprirsi, a livello politico ed economico, in caso di una vittoria di Keiko Fujimori?

D. – A livello economico, credo non ci saranno soprassalti, perché è vero che Fujimori attingeva dal populismo, però ha creato una classe dirigente che continua, che si è battuta contro Toledo, con Humala, contro tutti presidenti. Questa classe può benissimo sopravvivere con Keiko. Teniamo presente che la vita professionale di Keiko Fujimori si è svolta negli Stati Uniti, dove si è anche sposata, ha frequentato l’università, ha diretto imprese ed è stata coinvolta in avventure economiche. Dà più sicurezza una giovane che sta crescendo con il Paese o un economista che è stato banchiere a New York?

R. – L’incubo del "fujimorismo" può incidere ancora al secondo turno?

D. – Ho sentito Gustavo Gorriti, un giornalista che era stato perseguitato dal fujimorismo ed arrestato. Tutti noi eravamo lì, ci siamo mossi e siamo riusciti a liberarlo. Poi, è andato a Panama e lì ha fatto la stessa cosa contro Pérez-Balladares, accusandolo di traffico e di fatti illeciti nei Panama Papers. Lui era molto preoccupato per l’arrivo di Keiko Fujimori, era un caso speciale.

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Aborto. Consiglio d'Europa si contraddice sull'obiezione di coscienza

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Controversa pronuncia del Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa sull’aborto in Italia. Secondo il Comitato, sulla base di un ricorso presentato dalla Cgil, le donne incontrerebbero difficoltà nell'accesso ai servizi pubblici d'interruzione della gravidanza. L'Italia violerebbe, quindi, ciò che viene definito "diritto alla salute", “forzandole” a rivolgersi a strutture private o all’estero. Roma è accusata anche perché discriminerebbe medici e personale sanitario non obiettore in materia di aborto. Paolo Ondarza ne ha parlato con Luca Volontè, direttore generale dell’associazione “Novae Terrae”: 

R. – Il Consiglio che vigila sulla questione della Carta Sociale europea, che è stato interessato negli ultimi anni da questo ricorso della Cgil, non ha valutato con attenzione i dati che emergono annualmente sull’attuazione della 194 in Italia. Tra l’altro questo giudizio, sbagliato nel merito e nel metodo, è in contraddizione con il pronunciamento che era stato fatto sulla obiezione di coscienza, nel 2010, dal Consiglio d’Europa. Pronunciamento, nel quale non solo si invitavano gli Stati membri a tutelare innanzitutto il diritto all’obiezione di coscienza per tutti, ma anche – in quella sede – si era valutata la posizione italiana e si era preso atto che essa non era solo corretta, ma contemperava, da un lato, i diritti della donna e, dall’altro, i diritti degli obiettori di coscienza. 

D. – Eppure proprio gli obiettori di coscienza finiscono un po’ sotto la lente di ingrandimento con questa pronuncia, perché si legge che, considerata l’urgenza delle procedure richieste, in alcuni casi le donne che vogliono un aborto sono forzate, costrette, ad andare in altre strutture, rispetto a quelle pubbliche, in Italia o addirittura all’estero…

 R. – Ma, anche questa, è una parte del pronunciamento sconcertante. Proprio il Consiglio d’Europa, nella sua assemblea plenaria, approvò una risoluzione nella quale si dice esattamente che, appunto, da un lato, deve essere tutelata l’obiezione di coscienza da parte di tutti e, dall’altra, gli ospedali e i medici possono, e devono in alcuni casi, indicare altre cliniche per l’aborto. Non capisco questo accanimento, da parte non solo della Cgil, che ha mosso questo ricorso, ma anche questa ignoranza da parte della Commissione che valuta l’attuazione della Carta Sociale europea, nei confronti del nostro Paese, che – ripeto – è stata valutata come eccellente, come un esempio importante da seguire proprio dall’assemblea parlamentare quattro anni fa. 

D. – Eppure questa notizia creerà dibattito e farà opinione… 

R. – Purtroppo sì, perché l’Italia è un Paese, come purtroppo nel resto d’Europa, in cui non si fa memoria storica dei pronunciamenti europei. Verrà probabilmente strumentalizzata e spero che da parte del governo venga difesa la posizione italiana. 

D. – Che peso ha un pronunciamento come quello del Consiglio d’Europa? 

R. – Il testo della Commissione, che valuta l’attuazione della Carta Sociale europea, assolutamente nullo. Certamente è un segnale che ci dice come anche all’interno di istituzioni prestigiose come il Consiglio d’Europa si tenda a valorizzare pronunciamenti di organismi secondari e non si valorizzino a sufficienza i pronunciamenti, per esempio dell’assemblea parlamentare che, come ho detto, nell’ottobre del 2010 aveva detto tutt’altro e con una maggioranza ben qualificata tra i Paesi membri. 

D. – Nell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, il Papa ribadisce  che la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore dell’aborto e, in un altro passaggio, ribadisce che l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza, per chi opera nelle strutture sanitarie, deve essere tutelato…

 R. – Sì, il Papa ha ripetuto con entusiasmo, e con un approccio personale, la Dottrina della Chiesa su questi punti; ha ribadito un diritto umano fondamentale, che è quello dell’obiezione di coscienza, della libertà di coscienza, riconosciuto da moltissimi strumenti internazionali.

 D. – Un diritto laico?   

 R. – Assolutamente, è un diritto laico per tutti i cittadini di qualsiasi fede, religione, ed è un diritto che viene prima di molti altri, perché riguarda la persona in sé, cioè la dignità della persona, il proprio pensiero e la propria coscienza.

 D. – Perché si sta puntando a indebolire il diritto dell’obiezione di coscienza? Perché si sta ancora una volta chiedendo all’Italia di rivedere la propria normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, di aborto?

 R. – Per molte ragioni. Già nel 2010 era partita questa pressione internazionale da parte di gruppi di interesse che hanno e fondano il loro interesse proprio sul numero di aborti e sul guadagno che si ha dal numero di aborti che viene praticato nei singoli Paesi. Oggi si vuole far pressione sull’Italia, perché ci si è resi conto, da parte di queste lobby, che se dovesse passare una legge che sdogana il matrimonio omosessuale, allora perché non tentare una legge che porti l’aborto ad una pratica “à la carte”, senza nessun limite, senza nessun restringimento. D’altronde, dobbiamo considerare anche un altro aspetto: le cliniche Ippf ('International Planned Parenthood Federation") in molti Paesi stanno chiudendo e vivendo, dunque, esclusivamente del loro guadagno hanno bisogno di espandere il proprio mercato. Così stanno tentando di fare anche in Irlanda. C’è un aspetto ideologico, quindi, e un aspetto economico: entrambi devono essere presi con adeguata attenzione, quando si discute di questi temi.

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Al via petizione per la definizione di famiglia nei trattati Ue

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Redigere un regolamento comunitario che definisca il significato del matrimonio e della famiglia come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio o la discendenza e la filiazione. È quanto propone la petizione europea ‘Mun Dad and Kids’, lanciata il 4 aprile dai movimenti pro-family di sette Paesi membri dell’Ue. L’iniziativa è stata presentata oggi in Italia, presso il Senato a Roma, dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli promotore dei due grandi Family day di giugno e gennaio scorsi. Per noi era presente Marco Guerra: 

I testi dei vari organismi dell’Unione Europea hanno sempre più frequentemente menzionato la famiglia. In alcuni casi, questi testi hanno perfino definito la famiglia - anche se tali definizioni differiscono l’una dall’altra e creano problemi normativi di cruciale importanza. I più importati movimenti pro-family europei hanno quindi lanciato una raccolta firme per definire nei Trattati europei una visione antropologica della famiglia che non sia soggetta a punti di vista sempre più divergenti e ideologizzati. L’iniziativa, in Italia, è stata raccolta dal Comitato Difendiamo i nostri figli. Per comprenderne il significato e gli scopi sentiamo il membro del Comitato l’avvocato Simone Pillon:

“Purtroppo, ultimamente, grazie anche al diffondersi delle ideologie individualiste, in molti Paesi si è allargato ad una definizione di famiglia che non rispecchia più la realtà. Ci sono, quindi, alcuni Paesi che intendono come famiglia anche tre, quattro persone che vivono insieme, legate magari da una relazione di poli-amore. Se tutto è famiglia, se ogni relazione è considerata familiare, a quel punto anche le politiche sociali non possono più andare a incidere efficacemente. E guardate che non manca molto perché si arrivi ad un totale stop delle politiche familiari. E’ chiaro, infatti, che se la mano pubblica deve andare incontro, di fatto, a tutti i soggetti, perché tutti si ritengono famiglia, a quel punto non ci saranno più le risorse per andare a fare politiche selettive per quel nucleo sociale e relazionale che è la famiglia”.

Secondo il regolamento delle petizioni europee deve essere raccolto almeno un milione di firme entro 12 mesi in tutti gli Stati membri, e una quota minima di sottoscrizioni deve essere raggiunta in ogni singolo Paese, circa 54 mila in Italia. Ciò è necessario perché la Commissione Europea prenda in considerazione la proposta al termine della raccolta delle firme. Ancora l’avvocato Pillon:

“Tecnicamente, la Commissione Europea deve dare una risposta alla petizione. Abbiamo visto, però, purtroppo che in passato la Commissione Europea ha sbrigativamente messo nel cassetto altre proposte come ‘One of us’ sull’aborto, senza dare una risposta convincente e sostanziosa. Questo noi non lo potremo accettare! Ecco perché come obiettivo ci diamo quello di dare un numero di sottoscrizioni molto superiore a quello previsto dal regolamento, per dare proprio il segnale forte che i popoli europei tengono alla famiglia. Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto, per cui non intendiamo assolutamente permettere che questa petizione venga messa nel cassetto, è che le istituzioni europee da troppo tempo stanno latitando sul tema. Non è più possibile, però, restare in questa situazione, nella confusione, che tra l’altro si traduce in un disservizio per le famiglie, che tutti i giorni devono portare i bambini all’asilo nido piuttosto che a scuola; che hanno l’anziano, il disabile, il malato in casa; che si prendono cura del coniuge che magari è disoccupato. Tutto questo non può più essere lasciato al caso. Le politiche familiari devono tornare ad essere nitide, chiare, selettive e soprattutto in grado di essere sussidiarie e in grado di sostenere le famiglie europee, che ogni giorno mandano avanti questo straordinario continente”.

La raccolta firme è quindi un’occasione non solo per respingere l’attacco indiscriminato ai diritti delle famiglie e dei bambini ma anche per riaprire un dialogo diretto tra i cittadini del continente e le istituzioni europee. Un strumento per ribaltare la formula del “ce lo chiede l’Europa” come spiega Jacopo Coghe, esponente del direttorio del Comitato promotore del Family day:

“I cittadini sono stanchi di sentirsi dire come giustificazione che queste leggi sulle unioni civili, sull’inserimento del gender nei programmi scolastici, sono un’imposizione che viene dall’Europea, che è qualcosa che ci chiede l’Europa. Con questa iniziativa penso che i cittadini, per la prima volta, possano loro chiedere qualcosa all’Europa. C’è un ribaltamento quindi: non è più l’Europa che ce lo chiede, ma è il popolo che chiede all’Europa che venga inserita la definizione del matrimonio come unione tra un uomo e una donna”.

La raccolta delle firme dunque è cominciata in tutti i 28 gli Stati membri dell’Ue il 4 aprile 2016 e terminerà il 3 aprile 2017. La petizione europea ‘Mamma, papa e figli’ (Mum, Dad and Kids) può essere sottoscritta on line all’indirizzo www.mumdadandkids.eu e su carta (il modulo può essere scaricato dal sito internet e spedito all’indirizzo indicato sul modulo per ogni Paese). Ulteriori informazioni possono essere reperite sul sito www.difendiamoinostrifigli.it .

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Giornata mondiale del Parkinson: 1,2 milioni di malati nell'Ue

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Solo negli Stati dell'Unione Europea sono 1,2 milioni le persone affette dal morbo di Parkinson. Il dato emerge nel quadro dell’odierna Giornata mondiale del Parkinson. Maria Laura Serpico ha chiesto a Patrizia Ciolli, coordinatrice della sede fiorentina dell’Associazione italiana parkinsoniani (Aip), se sia sufficiente la rilevanza data alle problematiche che le persone affette da questa patologia, assieme ai loro familiari, devono affrontare: 

R. – No, secondo me non viene fatta abbastanza informazione, perché le persone che vengono anche alla mia Associazione sono piuttosto disinformate sulla malattia. Io posso dare i miei suggerimenti avendo, purtroppo, 34 anni di esperienza con mio marito malato di Parkinson e 20 anni di Associazione. Però, anche i medici stessi dovrebbero informare.

D. – Quali sono le implicazioni per coloro che assistono le persone colpite da questa malattia?

R. – Per quanto riguarda la mia esperienza personale, essendosi ammalato mio marito a 37 anni – io avevo 30 anni – non ho lavorato e mi sono dedicata completamente a lui. All’inizio, lui ha potuto continuare a lavorare però dopo otto anni ha dovuto lasciare e quindi la famiglia è coinvolta completamente: i figli, il “caregiver”, più che altro, che lo deve assistere, dopo tanti anni, anche giorno e notte. Quindi, le implicazioni sono tante. E aiuti non ce ne sono. Al 100% di invalidità hanno l’accompagnamento e questo è il loro aiuto.

D. – E’ possibile prevenire il Parkinson?

R. – So che fanno le analisi del sangue e possono vedere se uno è soggetto oppure no ad avere il Parkinson in futuro. Però, io personalmente non lo vorrei sapere: anche perché non esiste una cura. Finché non esiste una cura, io non so quanto una persona voglia sapere se le potrà venire oppure no.

D. – Perché è importante dedicare una giornata al Parkinson?

R. – Perché è una malattia debilitante che coinvolte tutti, principalmente il malato e i familiari. Purtroppo, ancora adesso non si conosce: pensano a un tremore, a un tremore essenziale. Invece no, la malattia consiste anche nei blocchi motori, consiste anche – dopo gli effetti collaterali dei farmaci – nei movimenti involontari, incontrollabili, persone che con i blocchi non riescono a bere né a mangiare. Il morbo di Parkinson non è soltanto il tremore e basta.

D. – Cosa simboleggia, invece, la “Run for Parkinson’s”?

R. – Vuole far vedere che il malato può partecipare anche a questi eventi: camminando con le racchettine o con il deambulatore. Noi la facciamo, questo è già il quarto anno che la faremo… E poi, anche questo: per far conoscere la malattia, per farci vedere... Ci siamo anche noi! Non bisogna escludere le persone, anzi.

D. – In cosa consiste il lavoro svolto dalla vostra Associazione?

R. – L’Associazione, prima di tutto, è importante perché tanti malati tendono a chiudersi in sé stessi, a chiudersi in casa, a non voler uscire, a non voler vedere più nessuno. Quindi, l’Associazione è un ritrovo anche per tutti noi: familiari, parkinsoniani, per scambiare le nostre esperienze, a volte utili, anche. E poi abbiamo il gruppo di sostegno con i teologi, abbiamo la Giornata della danzaterapia una volta a settimana, la logopedia una volta a settimana – sempre di gruppo – e poi abbiamo iniziato lì da noi anche l’attività fisica adattata.

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Nella Chiesa e nel mondo



India. Rogo al tempio Puttingal, salgono le vittime. Aiuti dalla Chiesa

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È salito a 112 vittime il bilancio del tragico incendio avvenuto ieri al tempio Puttingal di Paravur, in Kerala. I feriti sono oltre 350, trasportati d’urgenza al Trivandrum Medical College della capitale statale. Il tempio era affollato di fedeli, circa 15mila persone, che stavano festeggiando l’inizio del Nuovo anno indù. Le forze dell’ordine hanno arrestato cinque persone e registrato il caso a carico dei due appaltatori che erano incaricati dei fuochi d’artificio. Le autorità - riferisce l'agenzia AsiaNews - stanno valutando azioni anche contro l’amministrazione del tempio, colpevole di aver violato un’ordinanza distrettuale che vieta giochi pirotecnici. I cinque arrestati, invece, avrebbero esploso dei fuochi senza autorizzazione.

L'esplosione è avvenuta nel capannone dove erano custoditi i fuochi d'artificio
L’incidente è avvenuto ieri mattina, intorno alle 3.10 (ora locale). I fedeli stavano assistendo a dei giochi pirotecnici per festeggiare il capodanno, quando all’improvviso si è verificata un’esplosione nel capannone (“Kambapuram” in hindi) dove erano accatastati i fuochi. In pochi minuti il magazzino è stato avvolto dalle fiamme ed è esploso, collassando su se stesso e seppellendo chiunque si trovasse al di sotto. Le squadre di soccorso hanno faticato ad estrarre i feriti, e l’identificazione delle vittime, in condizioni irriconoscibili, potrà avvenire solo attraverso l’esame del Dna.

Sotto accusa l'amministrazione del tempio
Il premier Narendra Modi, accorso sul luogo, è rimasto senza parole di fronte alla scena. Visitando poi i feriti in ospedale, ha commentato: “Tutto questo è straziante e scioccante”. Sotto accusa vi è l’amministrazione del tempio che, secondo le informazioni diffuse dalla stampa indiana, era a conoscenza di possibili pericoli legati alla sicurezza della manifestazione. Nonostante tutto, ha dato il via libera allo spettacolo, che è incominciato intorno alla mezzanotte, sebbene la Corte suprema avesse vietato i fuochi d’artificio oltre le 10 di sera.

Messaggio del Papa e offerta di aiuto dalla Chiesa indiana
Papa Francesco, appreso dell’incidente, ha inviato ieri un messaggio di cordoglio per le vittime. Dal canto suo “la Chiesa cattolica dell’India offrirà assistenza medica agli oltre 350 feriti durante l’incendio del tempio Puttingal di Paravur, in Kerala”. Lo dice ad AsiaNews il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Ccbi), esprimendo profondo “dolore e sofferenza per la tragica perdita di vite umane”. (N.C.)

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Chiesa Terra Santa: condanna ripresa dei lavori Muro di Cremisan

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La costruzione del Muro di separazione nella zona di Cremisan, all’inizio di questo mese di aprile 2016, è entrata nella fase operativa. Nell'area squadre di operai con scavatrici, gru e bulldozer sono all'opera per erigere, uno dopo l'altro, i pannelli di cemento alti otto metri, nella terra di una valle dove un tempo erano saldamente piantati alberi di ulivo secolari.

Delusione e condanna del Patriarcato latino di Gerusalemme
Il Patriarcato latino di Gerusalemme, in un comunicato diffuso attraverso i suoi canali ufficiali, ha ribadito delusione e condanna per l'operazione condotta da parte delle forze israeliane. “La costruzione di un Muro di separazione e l’ingiusta confisca delle terre appartenenti alle famiglie cristiane di Beit Jala” si legge nel comunicato, “sono una violenta offesa contro il processo di pace”.

No al Muro anche da Corte dell'Aja, Onu e Corte Suprema israeliana
Nel comunicato patriarcale si ricorda che già il 9 luglio 2004 la Corte Internazionale di giustizia dell'Aja aveva definito come illegale la costruzione del Muro e ne aveva chiesto lo smantellamento. Dello stesso parere era stata anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nell'aprile 2015 anche la Corte Suprema israeliana aveva riconosciuto che la barriera non ha alcuna giustificazione in ordine alla sicurezza di Israele. (G.V.)

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Iraq. Patriarca Sako: la Chiesa ha bisogno dei giovani

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I giovani sono chiamati a essere “testimoni coraggiosi” della fede, perché questa è “la vostra vocazione e missione”. È quanto ha affermato il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, in un incontro con i giovani di Baghdad, che si è tenuto nel fine settimana all’Hindyia Club nel contesto degli eventi ancora in programma per la Pasqua. Nel messaggio ai giovani cristiani della capitale e di tutto il Paese, ripreso dall'agenzia AsiaNews, il Patriarca ha invitato a “prendere in seria considerazione” la scelta di “donare la vita a Dio” tramite il sacerdozio e la vita consacrata. E ha aggiunto che “la vostra Chiesa in Iraq sta soffrendo e, per questo, ha ancora più bisogno di voi”. 

All'incontro presente anche il nunzio in Iraq
Alla serata, che si è tenuta l’8 aprile scorso, erano presenti il vescovo ausiliare di Baghdad Basilio Yaldo, padre Amer Gammo, padre Meyassar Behnam, padre Majid Maqdassi e suor Ghufran, che hanno lavorato a lungo per preparare l’evento, dal punto di vista spirituale e culturale. Fra le personalità invitate il nunzio apostolico in Iraq mons. Alberto Ortega Martin e il segretario, mons. George, oltre al numero due del patriarca nella capitale, mons. Shlemon Warduni.  L’incontro fra Sako e i giovani ha registrato la presenza di almeno 350 fra ragazzi e ragazze provenienti dalle diverse parrocchie di Baghdad, insieme a sacerdoti, suore e religiosi. 

I giovani devono mantenere viva la fede, la speranza e la volontà di cooperare
Rivolgendosi ai giovani, Sako ha ricordato che essi “rappresentano il futuro della Chiesa e della società”, per questo è importante prestare attenzione affinché crescano “nel modo giusto”. Per questo essi devono “mantenere viva la fede, la speranza, la determinazione e la volontà di cooperare”. Inoltre, devono prepararsi “all’ambiente in cui lavorano”, costruire “una personalità forte basata sulla verità e l’amore” e raggiungere una piena maturità attraverso “la comprensione, l’analisi e il confronto”. 

Sako ai giovani: non lasciatevi trascinare dalla cultura del sospetto
Sottolineando il bisogno di una piena “armonia e integrazione” fra l’interno e l’esterno, il Patriarca Sako esorta ragazzi e ragazze a “istruirsi e formare una mente aperta”, che non si faccia trascinare “nelle chiacchiere e nella cultura del sospetto”. “Ponetevi degli obiettivi - sottolinea il capo della Chiesa caldea - e lavorate duramente per raggiungerli”, con “fiducia e saggezza”. Infine, il Patriarca caldeo ha ricordato l’importanza di una partecipazione quotidiana alla vita della Chiesa e la testimonianza costante della fede attraverso l’ascolto della parola di Dio, la preghiera e la partecipazione alle attività in programma. 

La Chiesa caldea chiede la liberazione dei territori occupati dall'Is
Intanto i vertici del Patriarcato caldeo hanno diffuso una nota per precisare la posizione della Chiesa sulle “deportazioni” dei profughi cristiani e l’esodo in atto nella comunità. Sottolineando la grande opera compiuta per gli sfollati di Mosul e della piana di Ninive, Mar Sako e i vescovi auspicano una “cooperazione internazionale, regionale e nazionale” per la “completa liberazione” dei territori ancora nelle mani dello Stato islamico. A questo potrà seguire “il rientro di tutte le famiglie nei territori di origine”. 

Appello a sacerdoti e uomini di Chiesa: non favorire la fuga dei cristiani
Analizzando l’emergenza rifugiati nel recente incontro della Chiesa caldea, tenuto ad Ankawa (Erbil, nel Kurdistan irakeno) il 5 aprile, il patriarca e i vescovi hanno chiesto a sacerdoti e uomini di chiesa di non farsi coinvolgere nei progetti che favoriscono la fuga dei cristiani. Essi condannano inoltre quanti favoriscono la tratta per motivi economici, politici, mediatici, pur lasciando libera scelta a ciascun fedele o gruppo familiare di “emigrare attraverso i canali legali e istituzionali”. (J.M.)

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Ecuador. Appello vescovi: il Paese ha bisogno di dialogo

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Un appello al “dialogo” ed alla “leale cooperazione” è stato lanciato dalla Conferenza episcopale dell’Ecuador (Cec), al termine della sua 139.ma Assemblea plenaria, svoltasi a Quito dal 4 all’8 aprile. Nel messaggio finale dei lavori, i presuli ribadiscono la necessità di affrontare, “in modo efficace e con senso di responsabilità”, la situazione critica in cui versa il Paese, in particolare nel settore sociale ed economico.

Preoccupazione per la crisi socio-economica del Paese
“Siamo preoccupati – sottolinea la Cec – per l’impatto che tale situazione potrà avere sulla vita della popolazione, soprattutto sui giovani colpiti dalla droga, sulle donne ed i bambini vittime del traffico di esseri umani e su tutte le persone vulnerabili a causa dell’insicurezza e della disoccupazione”. Guardando, inoltre, alle elezioni presidenziali in programma nel 2017, i vescovi mettono in guardia da una campagna elettorale “caratterizzata dall’esasperazione degli scontri politici” ed esortando al dialogo ribadiscono la missione della Chiesa: “Essere una testimonianza viva di verità e libertà, di pace  di giustizia, affinché la popolazione sia incoraggiata da una nuova speranza”.

Dolore per i cristiani perseguitati nel mondo
Poi, lo sguardo della Cec si allarga ai cristiani perseguitati nel mondo: “Condividiamo il profondo dolore per le tribolazioni e la drammatica situazione  dei nostri fratelli nella fede in varie parti del mondo - scrivono i vescovi – Li teniamo sempre presenti nella mente e nel cuore ed invochiamo il Signore affinché conceda loro la forza necessaria e la consolazione della fraterna e concreta sollecitudine di tutta la Chiesa”, in modo che la loro testimonianza “rafforzi la fedeltà di tutti i battezzati”.

I frutti della visita del Papa a luglio 2015
Uguale forza e sostegno nella fede i presuli invitano a ritrovarli nei frutti della visita di Papa Francesco nel Paese, svoltasi a luglio 2015. “Vi esortiamo a rivedere ed a far fruttare la ricchezza dei messaggio che il Santo Padre ci ha lasciato – scrivono i vescovi – Ciò ci rafforzerà nella fede, rinnoverà le nostre famiglie e farà crescere la nostra società nella solidarietà, nella gratuità e nella sussidiarietà”.

Giubileo della Misericordia, iniziativa provvidenziale
Altro tema centrale affrontato dalla Chiesa ecuadoriana è stato il Giubileo straordinario della Misericordia, in corso fino al 20 novembre. I vescovi si dicono grati al Papa per aver indetto “questa provvidenziale iniziativa” e ricordano l’importanza di impegnarsi nelle opere di misericordia, nella “generosa attenzione al Sacramento della Riconciliazione” e “nello sviluppo di un atteggiamento più accogliente in tutto il popolo cristiano”.

Amoris laetitia per riscoprire la bellezza del piano di Dio sul matrimonio
​Un ulteriore ringraziamento viene rivolto al Pontefice anche per la sua Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia” nella quale è possibile “riscoprire la bellezza del piano di Dio sul matrimonio, il dono della famiglia per la società e la promozione di molteplici iniziative per la cura dei nuclei familiari nel contesto dei problemi attuali”. Infine, i vescovi invocano l’intercessione della Vergine Maria su tutto il Paese. (I.P.)

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Bolivia: primo Congresso Internazionale sui diritti umani

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Alla chiusura del primo Congresso Internazionale sui diritti umani e il pensiero cattolico dell'America Latina, svoltosi dal 7 al 9 aprile, l'Università Cattolica boliviana (Ucb) "San Pablo" ha sottolineato il contributo della Chiesa cattolica per la difesa e l'osservanza dei diritti umani individuali, collettivi e dei popoli. Il Segretario generale della Ucb, Carlos Derpic Salazar, ha proposto una presentazione storica dei documenti e delle iniziative intraprese da sacerdoti, vescovi e dalla Conferenza episcopale boliviana (Ceb) in tempi diversi della storia del Paese. "La Bolivia ha una Chiesa profetica che annuncia la buona notizia e denuncia l'ingiustizia" ha detto ancora Derpic, elencando i nomi di diversi sacerdoti, fra cui José Prats, Luis Espinal, Jorge Centellas, ed altri, soprattutto nella parte occidentale del Paese.

Lettere pastorali sul rispetto dei diritti umani
​Tra le lettere pastorali della Ceb pubblicate sotto vari governi, citate da Derpic, figurava anche "Dignità e libertà" del 1972, che denunciava le differenze della formazione in città e nelle aree rurali. La lettera domandava: "Come possono chiamarsi cristiani coloro che commettono violazioni contro la dignità dell'uomo?". Questa lettera ha impedito a Garcia Meza di mettere in atto la "Legge di sicurezza dello Stato".

Ricordato il discorso all'Onu di San Giovanni Paolo II
Il rettore della Ucb, Marco Antonio Fernandez, alla fine dell'atto accademico ha ringraziato i partecipanti di otto Paesi (Italia, Ecuador, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Messico, Brasile, Bolivia) citando San Giovanni Paolo II, che all'Assemblea delle Nazioni Unite (1995), aveva affermato: "Non dobbiamo avere paura del futuro. Non dobbiamo avere paura dell'uomo (..) possiamo costruire nel secolo a venire (XXI) una cultura della libertà". Il Congresso si è svolto nell’ambito della celebrazioni per i 50 anni dell'Università. (C.E.)

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Vescovi cileni: diritto alla vita e rispetto comunità mapuche

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Una particolare preoccupazione per la violenza in Araucanía e un appello a collaborare in prima persona nella costruzione di una vita migliore sono stati espressi dai vescovi cileni nel loro messaggio conclusivo della 111.ma Assemblea plenaria, tenutasi a Punta de Tralca dal 4 all'8 aprile. Durante una conferenza stampa tenutasi al termine dei lavori sabato scorso, i vertici della Conferenza episcopale hanno presentato il loro messaggio finale. Sebbene i vescovi abbiano trattato diversi temi sociali di attualità, il documento ne sottolinea qualcuno in particolare.

Diritto alla vita e rapporto denaro-politica
"La realtà cilena è contrassegnata da un fitto calendario di riforme e iniziative legislative – sottolinea il messaggio - molte necessarie per il bene comune, altre pregiudizievoli contro il più fondamentale dei diritti umani: il diritto alla vita di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale. Noi continueremo a promuoverlo con umiltà e con la forza della testimonianza di molte donne che scelgono la vita". Un altro tema riguarda l'etica pubblica, il rapporto tra denaro e politica, e la delusione derivante dall’esito di diversi casi giudiziari. A questo proposito, il testo dei vescovi sostiene che "la trasparenza e la giustizia sono indispensabili per la convivenza, ma anche il rispetto per la dignità, la serenità nelle reazioni e la ricerca del bene comune".

Preoccupazione per la violenza in Araucanía
I vescovi manifestano il loro dolore per l'escalation di violenza che ha causato la morte di persone mapuche e non, e tra le forze di polizia. Gli attacchi incendiari hanno danneggiato gravemente famiglie e lavoratori; hanno arrecato danni a case, scuole, trasporti, agricoltura, mezzi di produzione e tempi. "Quando non sono rispettati i valori essenziali per l'esistenza di un popolo credente, come ad esempio il diritto alla vita umana, la sicurezza e i loro spazi sacri, si ferisce l'anima di questo popolo. Questi fatti vengono condannati dalla maggior parte della popolazione, e si rischia di stigmatizzare tutto il popolo mapuche e di screditare la sua giusta ricerca per il riconoscimento e la riparazione" dicono i vescovi.

Accoglienza delle legittime aspirazioni delle comunità mapuche
​Allarmante e incomprensibile è anche la "lentezza dello Stato e dei governi, nel loro dovere di cercare soluzioni efficaci a questa situazione. Una soluzione parte dall'accoglienza delle legittime aspirazioni delle comunità mapuche, che da più di un secolo chiedono giustizia di fronte a situazioni di violenza, espropriazione, disprezzo per la loro identità, cultura, organizzazione, e anche per l'invisibilità e la povertà a cui sono stati confinati". I vescovi sollecitano quindi le autorità e i leader a cercare il modo di lavorare insieme per "una nuova Araucanía, attraverso una giustizia urgente per tutti". (C.E.)

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Portogallo. Plenaria dei vescovi: no all'eutanasia

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“Rifiuto totale dell’eutanasia”: a ribadirlo è la Conferenza episcopale del Portogallo (Cep), nella nota conclusiva della sua 189.ma Assemblea Plenaria, svoltasi a Fatima dal 4 al 7 aprile scorsi. La sottolineatura della Chiesa portoghese arriva mentre nel Paese è in atto un dibattito sociale e politico sulla possibilità di legalizzare l’eutanasia ed il suicidio assistito. La proposta arriva da un gruppo di cittadini riunitisi nel movimento denominato “Diritto a morire con dignità”, che ha raccolto le firme necessarie per consentire l’avvio di una discussione sul tema, all’interno delle forze parlamentari.

Difendere la vita, bene assoluto per l’uomo
In tale contesto, la Cep sottolinea che, mentre l’eutanasia “elimina la vita di una persona uccidendola”, dal suo canto “la Chiesa non smetterà mai di difendere la vita come un bene assoluto per l’uomo, rifiutando ogni forma di cultura della morte”. Di qui, il richiamo “a promuovere una vicinanza più efficace con i sofferenti e a intensificare la rete di cure palliative come un diritto per tutti, per aiutare a vivere ed a incentivare la speranza”.

Solidarietà con i rifugiati. Appello per la colletta per Ucraina del 24 aprile
Altro punto essenziale della Plenaria, è stato il tema della migrazione: “L’Assemblea è solidale con tutti i rifugiati; esprime rammarico per le morti che continuano a verificarsi in vari luoghi e lamenta l’inefficacia della comunità europea di fronte a tale difficile situazione, nella speranza che si trovino rapidamente soluzioni che restituiscano la dignità a coloro che soffrono in condizioni indegne”. Dal suo canto, prosegue la nota, “la Chiesa continuerà a sostenere coloro che rimangono nei Paesi colpiti da conflitti ed auspica, al contempo, che le persone e le istituzioni siano disponibili all’accoglienza dei rifugiati, permettendo la loro integrazione nella società”. Inoltre, in seguito all’appello lanciato da Papa Francesco nei giorni scorsi, la Cep invita tutti i fedeli e la società portoghese, in generale, a sostenere il popolo dell’Ucraina con la colletta internazionale indetta per il prossimo 24 aprile.

Processi nullità matrimoniale: agire secondo verità, giustizia e misericordia
I vescovi portoghesi hanno riflettuto anche sul tema della famiglia, sia in occasione della pubblicazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia” di Papa Francesco, sia sulla recezione del Motu Proprio del Pontefice sui processi di nullità matrimoniale, con il quale risulta essenziale il ruolo del vescovo secondo i criteri di “verità, giustizia e misericordia”. A tal proposito, in conferenza stampa, il card. Manuel Clemente, Patriarca di Lisbona e presidente della Cep, ha sottolineato che ultimamente in Portogallo “si è riscontrato un maggior numero di richieste” di nullità matrimoniale.

Rafforzare il significato del matrimonio cristiano
“I Tribunali ecclesiastici si stanno adeguando ai cambiamenti richiesti dalla lettera apostolica del Papa – ha aggiunto il Patriarca - e le diocesi cominciano a formare persone più preparate dal punto di vista canonico, medico e psicologico, al fine di soddisfare tale crescente richiesta”. Tuttavia, “i casi che effettivamente s’inquadrano nel nuovo processo breve non sono molti, e sono quasi del tutto eccezionali”. Resta, quindi, da “lavorare molto di più per preparare e rafforzare il significato del matrimonio cristiano”, ha concluso il card. Clemente.

13 maggio, consacrazione diocesi del Portogallo alla Madonna di Fatima
Poi, in vista del 2017, anno in cui ricorrerà il centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, è stato stabilito che il prossimo 13 maggio, nella memoria liturgica della Vergine di Fatima, tutte le diocesi del Portogallo verranno a lei consacrate in un’apposita celebrazione presieduta dal card. Clemente. Infine, il porporato ha ricordato le principali sfide della società e della cultura odierne, tra cui il fondamentalismo, il terrorismo e la necessità di salvaguardare il Creato attraverso una vera e propria “ecologia integrale”. (A cura di Isabella Piro)

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Usa: 23-24 aprile annuale colletta per le missioni interne

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Un’iniziativa nata 18 anni fa e che trova sempre riscontri favorevoli: si tratta della colletta per le missioni interne che ogni anno la Conferenza episcopale degli Stati Uniti promuove, solitamente nel mese di aprile. Quest’anno, la raccolta si terrà tra sabato 23 e domenica 24, sempre con l’obiettivo di sostenere la pastorale delle così dette “aree di frontiera”, considerate difficili a causa delle condizioni sociali ed ambientali.

Focus sulle Isole Marshall
“Rafforza la Chiesa a casa” è il motto dell’edizione 2016, il cui ricavato sarà devoluto, in particolare, alle missioni delle Isole Marshall. Come spiega il sito web dei vescovi Usa, si tratta di un vasto insieme di atolli che copre una superficie di 500mila miglia quadrate. Date le distanze e le difficoltà di comunicazione, quindi, le Isole Marshall hanno carenza di sacerdoti e spesso possono contrare solo su un diacono permanente. Inoltre, poiché molti giovani migrano verso gli Stati Uniti, diventa difficile incentivare le vocazioni. Tuttavia, contro ogni previsione, nel 2014 si è registrato un seminarista. Ed è stato proprio grazie alla colletta per le missioni interne che il giovane è potuto entrare in Seminario per intraprende il suo percorso di studi.

L’aiuto di tutti per fare la differenza
“Con il vostro sostegno – scrive la Chiesa Usa ai fedeli – le missioni cattoliche interne potranno continuare a fornire servizi di catechesi, di formazione per i laici, di istruzione per i seminaristi e tutto ciò che è essenziale nelle diocesi”. Di qui, l’esortazione ad essere “generosi” per “contribuire a rafforzare la Chiesa interna”, perché “l’aiuto di tutti può fare la differenza”. (I.P.)

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Lateranense: libro degli studenti su amore, diritto e famiglia

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Dalla famiglia secondo il Papa nell'Amoris laetitia a quella secondo gli studenti della Pontificia Università Lateranense. È su questo binario che si muove il volume Nati per amare - I giovani raccontano la famiglia che sarà presentato dagli stessi giovani autori alla Lateranense il 14 aprile alle ore 11 presso l'aula Papa Francesco, con la moderazione di Alessandro Sortino, conduttore e autore di TV2000.

Un volume che raccoglie proposte e riflessioni sulla famiglia
Il volume nasce dalla riflessione che gli studenti della Lateranense hanno fatto a seguito del Sinodo del 2015 dedicato alla famiglia. Una riflessione i cui risultati sono contenuti in questo libro nato da uno dei progetti della Pastorale universitaria della Lateranense. In particolare, il volume raccoglie i contributi di alcuni studenti e docenti della Pontificia Università Lateranense che hanno lavorato per diversi mesi sulle tematiche sinodali.

Mons. Dal Covolo: sintonia tra studenti e “Amoris laetitia”
"Non deve stupire che degli studenti laici di un'Università come questa, addirittura Pontificia, parlino e si confrontino a più voci su temi come amore, famiglia, diritto", afferma il rettore dell’ateneo mons. Enrico dal Covolo. “L'Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia – ha aggiunto – ha raccolto le riflessioni di ben due Sinodi sulla Famiglia e trovo una splendida sintonia, quasi provvidenziale, con le analisi dei nostri ragazzi”. Per mons. dal Covolo, inoltre, "leggere questo lavoro collettivo vuol dire capire come sta maturando una generazione di cattolici responsabili, pronti a prendere il loro posto in una società in cui i rapporti familiari sono sempre più complessi”. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 102

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.