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Sommario del 13/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: pregate per il mio viaggio a Lesbo tra i profughi

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Un invito alla preghiera per la visita a  Lesbo, lo ha rivolto  Papa Francesco al termine dell’udienza generale, quando ha chiesto ai fedeli di essere così  accompagnato in questo viaggio dal forte connotato umanitario e dalla grande dimensione ecumenica. Il servizio di Francesca Sabatinelli

A tre giorni dalla sua partenza per l’isola greca di Lesbo, negli ultimi mesi teatro di massicci arrivi di profughi provenienti dalle coste turche, il Papa chiede ai fedeli di essere sostenuto con le preghiere:

"Sabato prossimo mi recherò nell’isola di Lesbo, dove nei mesi scorsi sono transitati moltissimi profughi. Andrò, insieme con i miei fratelli il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, e l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Hieronymos, per esprimere vicinanza e solidarietà sia ai profughi sia ai cittadini di Lesbo e a tutto il popolo greco, tanto generoso nell’accoglienza. Chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e la materna intercessione della Vergine Maria".

Sarà un importante gesto al fianco di chi fugge dalle guerre quello di Francesco, in un momento segnato, soprattutto nelle ultime ore, dalla forte contrapposizione tra Italia, Unione Europea e Austria, che prosegue nella costruzione della barriera al Brennero, nonostante gli appelli a recedere dalla sua decisione. E mentre a Strasburgo, all’assemblea plenaria del parlamento europeo, il presidente del consiglio Ue, Tusk, in vista del possibile aumento dei profughi in arrivo dalla Libia ha garantito la solidarietà dell’Unione a Italia e Malta, a Idomeni, al confine greco-macedone, la polizia ha di nuovo sparato lacrimogeni contro i migranti ammassati alla frontiera, che tentavano di scavalcare il recinto per protesta contro la chiusura della rotta balcanica.

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Il parroco di Lesbo: il Papa vicino ai migranti perché persone

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Nessuno arriva a Lesbo solo per andarsene di casa. E' la testimonianza dei volontari del "Jesuit Refugee Sservice" (Jrs) che lavorano con i migranti in Grecia. Le loro voci raccontano di anziani, disabili, senza fare distinzione tra migranti economici e chi invece arriva per sfuggire alla guerra. Su Lesbo, dove il Papa si recherà sabato prossimo, Jrs e Caritas Internationalis oggi sono intervenuti denunciando la violazione dei diritti dei migranti che, a Lesbo, si trovano nel campo di Moria "ora un centro chiuso" – si legge in una nota della Caritas, da dove migranti e rifugiati "non sono autorizzati ad andarsene". "Visto il recente quanto controverso accordo Ue che prevede il respingimento in Turchia dei migranti che sbarcano sulle sponde della Grecia, la visita del Pontefice non potrebbe giungere in un momento migliore – interviene il Jrs – tenuto conto che detto accordo contravviene al dettato della legge internazionale, nonché viola il principio di non-respingimento delle persone bisognose di protezione". Francesca Sabatinelli ha intervistato padre Leone Kiskinis, unico parroco cattolico dell'isola di Lesbo, dove il Papa arriverà sabato 16 aprile: 

R. –  E’ un viaggio di testimonianza a tutto il mondo che i migranti, prima di essere un numero da contare in un campo di accoglienza, sono delle persone, hanno una storia, hanno dei sogni, hanno un nome. Quindi, bisogna trattarli con dignità, da persone umane. Il Papa da sempre, da quando è salito al Soglio pontificio, ha dato questi segni di vicinanza a chi è emarginato, a chi è privo di dignità. Non possiamo dimenticare il suo primo viaggio a Lampedusa, proprio per essere vicino ai rifugiati che venivano dall’Africa. Lo stesso sta facendo anche adesso, qui a Lesbo.

D. – Il Papa arriva in un momento in cui l’Unione Europea sta sostenendo una dura battaglia all’interno di se stessa. Vediamo le prese di posizione delle ultime ore dell’Austria al confine con l’Italia, ma abbiamo visto i comportamenti di tanti Paesi, di chiusura nei confronti dei migranti. E lei pensa che questa visita del Papa riuscirà in qualche modo a dare un segnale?

R. – Credo di sì. Prima di tutto, non penso che la scelta di venire proprio qui a Lesbo e non in un’altra parte della Grecia – a Lesbo che è un’isola di approdo per queste persone che arrivano dalle coste turche – non penso che questa decisione sia casuale. Perché, nonostante la presenza delle autorità, delle istituzioni, delle organizzazioni non governative, la popolazione locale, le persone semplici hanno dimostrato una fratellanza, un’umanità mai vista finora da queste parti. La cittadinanza di Lesbo non ha chiuso le porte, non ha chiuso i cuori, non ha creato frontiere o barriere, ma ha accolto queste persone nella speranza che possano ricevere un calore e un’accoglienza in Europa – in questa Europa che è proprio la patria dei diritti umani. Quindi, secondo me, queste persone che arrivano dalle coste turche cercando un futuro migliore devono sperimentare questa accoglienza dell’Europa dei diritti umani.

D. – E’ molto importante, e questo si è ripetuto fin dall’inizio, la dimensione ecumenica di questo viaggio e la dimensione ecumenica di un appello umanitario…

R. – Esatto, sì. E credo che per risolvere questo problema della crisi migratoria non si debba lavorare da soli, ma bisogna collaborare, bisogna lavorare insieme, in comune. Non soltanto i governi delle nazioni europee, ma anche le Chiese – la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa, il Patriarcato ecumenico, la Chiesa ortodossa di Grecia: collaborare e dare una testimonianza di unità nella crisi migratoria. Noi siamo qui come cristiani, senza fare distinzioni di razza, di cultura, di lingua, di religione, per dare un po’ di sollievo a queste persone e anche per sensibilizzare la comunità europea, i governi, che bisogna lavorare “insieme”, “in comune”, non separatamente, ognuno per conto suo. Non è costruendo frontiere e barriere che si possono fermare queste persone che scappano dalla guerra e non hanno una via alternativa se non quella di arrivare in Europa sperando in un futuro migliore. In questo senso, c’è un grande carattere ecumenico cristiano, in questo viaggio del Papa.

D. – Lei è l’unico parroco cattolico dell’isola di Lesbo e quindi lei è uno dei protagonisti di questo viaggio di Papa Francesco sulla sua isola. Qual è stata la sua reazione quando ha saputo dell’arrivo di Francesco?

R. – Sono rimasto proprio sorpreso, non ci credevo proprio, perché io sono un parroco e non ero pronto per una possibile visita del Papa. La Chiesa cattolica locale è vero che è una piccola comunità – e magari anche per questo sono l’unico parroco dell’isola, c’è solo una chiesa cattolica in quest’isola – è però una comunità composta da fedeli molto impegnati nell’accogliere queste persone, perché la nostra fede non è astratta, è concreta. Noi crediamo di vedere Gesù che era affamato, era nudo, era forestiero, nel volto di queste persone. A prescindere dalla loro origine, noi cerchiamo di vedere Cristo dando un bicchiere d’acqua o un vestito per coprirsi, noi vogliamo credere che lo facciamo a Gesù stesso. Quindi, in questo senso, l’arrivo del Papa, oltre alla questione ecumenica, oltre a sensibilizzare i governi europei, è anche una soddisfazione per questa piccola comunità che è proprio alla periferia della Chiesa. Papa Francesco è molto sensibile a questa condizione. Siamo in Europa, siamo anche vicini all’Italia, però in queste isole dove la comunità cattolica è proprio una piccola minoranza, ci sentiamo “coccolati”, se posso dire così, dalla presenza del Papa: significa dare il suo affetto, il suo apprezzamento a questa piccola comunità che si sforza non solo di vivere, ma anche di essere utile, parlando cristianamente a queste persone che vengono dalle coste turche. Anche perché fino a 3-4 anni fa non c’era la presenza fissa di un sacerdote cattolico sull’isola, quindi questi fedeli hanno saputo vivere praticamente da soli, senza una pastorale continua. Ed ecco che, negli ultimi quattro anni, il vescovo ha deciso di avere un parroco fisso in quest’isola e poi dopo quattro anni arriva il Pontefice... Quindi, ci sentiamo veramente “coccolati” anche se in periferia…

D. – Lei parlava della piccola comunità cattolica di Lesbo: io però vorrei allargare lo sguardo a tutta la comunità, agli isolani di Lesbo, e chiederle se è cambiato qualcosa nel loro rapporto con questa presenza dei migranti. Sappiamo che la situazione nel campo di Moria è cambiata. Da quando c’è stato l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia questa parte dell’isola è stata quasi militarizzata, i profughi sono diventati quasi prigionieri, che cosa sta accadendo?

R. – L’atteggiamento di fratellanza, di vicinanza non è cambiato. Però, alcuni mesi fa, c’era la gente che cercava di salvare queste persone che arrivano qui, sulle imbarcazioni, dalle coste turche, adesso lo fa Frontex, o la guardia costiera turca. Cioè, la gente si sente meno coinvolta, se posso usare quest’espressione, alla loro assistenza, non è che non assista, ma assiste di meno. Ma il rapporto tra gli abitanti dell’isola e i migranti non è cambiato, c’è sempre una solidarietà che però viene data in modo minore rispetto ad alcuni mesi fa. Perché adesso ci sono le navi di Frontex, della Nato, che accolgono queste persone e le portano poi al porto di Mitilene per essere poi distribuite al campo di Moria.

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Francesco: anche i peccatori mangiano alla tavola di Dio

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Dio non esclude mai nessun peccatore dal suo amore, come mostrato da Gesù “che non aveva paura di dialogare” con pubblicani e prostitute. All’udienza generale, Papa Francesco ha rievocato la figura dell’Apostolo Matteo e le parole con cui Gesù risponde alle critiche dei farisei, che non volevano che frequentasse un pubblicano. Dio non ama, ha detto il Papa, “una religiosità di facciata” ma un cuore leale capace di pentirsi. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

A tavola con il nemico, un venduto che dissangua i suoi conterranei a favore degli odiati invasori. I farisei non lo avrebbero nemmeno sfiorato con lo sguardo, Matteo il pubblicano. Gesù invece accetta il suo invito e non solo mangia con lui ma lo accoglierà nella cerchia ristretta dei discepoli.

Chiesa non è “comunità di perfetti”
La chiamata di Matteo, indica il Papa, è lo spartiacque tra chi fa della religione una forma di decoro e chi un’esperienza di vita. “Essere cristiani – afferma Francesco – non ci rende impeccabili”:

“Tutti siamo peccatori, tutti abbiamo peccati. Chiamando Matteo, Gesù mostra ai peccatori che non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo. Una volta ho sentito un detto bello: ‘Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro’ (...) È bello questo: questo è quello che fa Gesù. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono”.

Peccatori, “commensali di Dio”
Il problema di un fariseo di ieri e di oggi, osserva Francesco, è che “ha la presunzione di credersi giusto” e vive di selezioni sociali, scegliendo e scartando. Gesù invece, sottolinea il Papa, “si presenta come un buon medico” che accoglie chiunque:

“Innanzi a Gesù nessun peccatore va escluso – nessun peccatore va escluso! (…) Chiamando i peccatori alla sua mensa, Egli li risana ristabilendoli in quella vocazione che essi credevano perduta e che i farisei hanno dimenticato: quella di invitati al banchetto di Dio (...) Se i farisei vedono negli invitati solo dei peccatori e rifiutano di sedersi con loro, Gesù al contrario ricorda loro che anch’essi sono commensali di Dio”.

Ricostituenti preziosi
I “farmaci” con i quali Cristo mostra “il potere risanante di Dio” sono la sua Parola e l’Eucaristia. Entrambi, prosegue Francesco, devono “dare fiducia e aprire il nostro cuore al Signore perché venga e ci risani”:

“A volte questa Parola è dolorosa perché incide sulle ipocrisie, smaschera le false scusanti, mette a nudo le verità nascoste; ma nello stesso tempo illumina e purifica, dà forza e speranza, è un ricostituente prezioso nel nostro cammino di fede. L’Eucaristia, da parte sua, ci nutre della stessa vita di Gesù e, come un potentissimo rimedio, in modo misterioso rinnova continuamente la grazia del nostro Battesimo”.

Non fermarsi alla carta
Gesù conclude il suo incontro-scontro con i farisei che lo contestano citando il profeta Osea: “Misericordia voglio e non sacrificio”. Ovvero, conclude Francesco, un cuore sincero e non una “religiosità di facciata”:

“‘Misericordia io voglio’, cioè la lealtà di un cuore che riconosce i propri peccati, che si ravvede e torna ad essere fedele all’alleanza con Dio. ‘E non sacrificio’: senza un cuore pentito ogni azione religiosa è inefficace! Gesù applica questa frase profetica anche alle relazioni umane: quei farisei erano molto religiosi nella forma (…) È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardassi soltanto la carta nel quale è incartato… Soltanto le apparenze, le forme, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato!”.

Gli auguri alla Polonia
Nei saluti post-catechesi a i vari gruppi linguistici, il Papa ha ricordato fra l’altro la Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni di domenica prossima, invitando a chiedere “a Cristo, Buon Pastore, di mandare sempre nuovi operai al suo servizio”. Quindi, con i fedeli della Polonia in particolare, Francesco si è soffermato sui 1.050 anni del Battesimo della nazione, che vengono celebrati in questi giorni. “Chiedo a Dio – ha detto – che la generazione presente e le future generazioni dei polacchi rimangano fedeli alla grazia del battesimo, dando testimonianza dell’amore di Cristo e della Chiesa”.

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C9, Lombardi: prende forma il documento per la nuova Curia

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Il frutto del lavoro del Consiglio di Cardinali in vista della riforma della Curia sta prendendo forma: lo ha detto padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, nel briefing a fine mattinata sulla XIV riunione che si è aperta lunedì e che si concluderà con un altro incontro nel pomeriggio. Con il Papa, presenti tutti i cardinali ad eccezione del cardinale Gracias, per motivi di salute. Il servizio di Fausta Speranza: 

Un "metodo circolare": così padre Lombardi descrive lo svolgimento dei colloqui in vista della nuova Costituzione Apostolica sulla Curia Romana, perché – spiega – si parla dei vari dicasteri con osservazioni e proposte che passano da un dicastero a un altro, senza una rigida ed esaustiva trattazione di uno dopo l’altro. Ancora non ci sono conclusioni – chiarisce padre Lombardi – ma oggi si è cominciato a raccogliere e ordinare i contributi:

“Oggi la giornata era dedicata piuttosto a riordinare, raccogliere i contributi che sono stati portati già in questi diversi Consigli, sui diversi dicasteri e ordinarli in modo tale che anche l’insieme della struttura della Costituzione, del documento di riforma complessiva, incomincia a prendere una sua forma. Non quindi limitarsi a vedere singolarmente i diversi dicasteri, ma poi cercare di collocare i tasselli che sono stati ottenuti con questi lavori, con queste riflessioni, in uno schema che gradualmente viene poi a completarsi per costituire la proposta che il Consiglio dà al Papa in vista di una nuova Costituzione. Questo era un po’ il lavoro di oggi. Si vede che incominciano a vedere di avere già percorso i diversi dicasteri, i diversi argomenti importanti per la riforma della Curia, e quindi incominciare a organizzarli e sistematizzarli”.

A proposito dei nuovi o rinnovati Dicasteri - dunque Laici, famiglia, Vita, Migrazioni,

Padre Lombardi spiega che il lavoro della presentazione delle proposte è completato. Ma negli incontri che Papa Francesco fa con il Consiglio di cardinali, formalmente istituito dal Papa stesso con un suo chirografo il 28 settembre 2013, non si parla solo della riforma. E’ l’occasione per Francesco per chiedere l’opinione dei cardinali che compongono il Consiglio su vari argomenti. E padre Lombardi cita la raccolta di informazioni per la nomina di nuovi vescovi. Si tratta di individuare persone adatte all’impegno episcopale e dunque ci sono procedure e contatti, criteri e obiettivi, approfondimenti, il colloquio con il nunzio nel Paese interessato. Altra opportunità, le riunioni del Consiglio sono l’occasione per aggiornamenti sull’attività della Segreteria per l’Economia e sulla Commissione per la Tutela dei minori. E padre Lombardi conferma che così è stato anche per la XIV riunione.

Resta da dire che le prossime riunioni si svolgeranno il 6-7-8 giugno, il 12-13-14 settembre, il 12-13-14 dicembre.

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Brasile, nomina al governo pastorale della prelatura di Lábrea

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Prelatura di Lábrea, presentata da mons. Jesús Moraza Ruiz de Azúa, degli Agostiniani Recolletti, in conformità al Can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre Santiago Sánchez Sebastián, del medesimo Ordine religioso, finora delegato della Provincia “São Nicolau” degli Agostiniani Recolletti e parroco della parrocchia “Santa Rita de Cássia” a Manaus. Il neo presule è nato il 25 luglio 1957 a Cortes (Navarra) – Spagna, arcidiocesi di Pamplona y Tudela. Ha frequentato il corso di Filosofia presso il Seminario “San Nicolás” a Fuenterrabia e il corso di Teologia presso il Teologado de los Agustinos Recoletos, a Marcilla.  Ha emesso la Professione religiosa il 22 agosto 1976 nell’Ordine degli Agostiniani Recolletti e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 26 luglio 1980. Nell’esercizio del ministero sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Formatore presso il “Colegio San Augustín”  a Valladolid, Spagna (1980-1983); Promotore Vocazionale a Valladolid (1983-1985); Formatore nel Seminario minore di Valladolid (1985-1988); Formatore nel Seminario minore di Lodosa, Navarra (1988-1997); Maestro dei Novizi a Monteagudo,  Navarra (1997-2006); Superiore, Formatore e Parroco a Fortaleza, Brasile (2006-2012). Attualmente è Delegato della Provincia di “São Nicolau de Tolentino” e Parroco della parrocchia “Santa Rita de Cássia” a Manaus.

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Papa, tweet: Cristo abita in ogni famiglia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex tratto dall’Esortazione Apostolica “Amoris laetitia”: “La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani”.

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Vatileaks 2: in aula l'interrogatorio di Gianluigi Nuzzi

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Oggi si è svolta presso l’Aula del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano la prevista udienza del processo in corso per la divulgazione di notizie e documenti riservati. Erano presenti – ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - oltre al Collegio giudicante (Giuseppe Dalla Torre, Piero Antonio Bonnet, Paolo Papanti-Pellettier e Venerando Marano) e al Promotore di Giustizia (Roberto Zannotti, Promotore aggiunto), gli imputati Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, Gianluigi Nuzzi, Emiliano Fittipaldi, con i rispettivi avvocati: Emanuela Bellardini, Laura Sgrò, Rita Claudia Baffioni, Roberto Palombi e Lucia Teresa Musso.

L’udienza è stata dedicata integralmente all’interrogatorio dell’imputato Gianluigi Nuzzi da parte del Presidente, del Promotore di Giustizia, e degli avvocati difensori. Infine è stato letto e approvato il verbale relativo all’interrogatorio.

Quindi, alcuni avvocati hanno fatto richiesta alla Corte di ammettere alcuni testimoni oltre a quelli già precedentemente richiesti e ammessi. La Corte si è ritirata in Camera di consiglio e ha ricusato le richieste di nuovi testimoni. L’udienza, iniziata alle 10.30, è terminata verso le 14.15.

La prossima udienza è stata indetta per martedì 26 aprile alle 15.30. Essendosi conclusi gli interrogatori degli imputati, è prevista l’audizione dei testimoni ammessi.

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Mons. Vitillo: troppi bambini muoiono per Aids, governi facciano di più

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E’ in corso, in questi giorni, all’Ospedale Bambino Gesù di Roma una conferenza internazionale, promossa da Caritas Internationalis, per tracciare una road map per la cura e il sostegno dei bambini malati di Aids. L’evento, che riunisce personalità di numerose organizzazioni di ispirazione religiosa, si propone di spingere governi e compagnie farmaceutiche ad allargare l’accesso dei medicinali antiretrovirali ai bambini affetti da Hiv. Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Robert Vitillo, consigliere speciale di Caritas Internationalis per l’Aids: 

R. – Siamo molto preoccupati della situazione dei bambini che vivono con l’Hiv/Aids, perché abbiamo fatto molti progressi a livello degli adulti, nel rispondere e procurare l’accesso ai medicinali per gli adulti; ma molto meno per i bambini. Per questo, vorremmo focalizzarci sul problema specifico dei bambini, di esaminare come possiamo fare di più per questi bambini: se loro non hanno accesso ai medicinali, un terzo muore prima del loro primo compleanno e la metà muore prima del secondo compleanno.

D. – Oggi solo il 32%, quindi praticamente un terzo dei bambini malati di Aids, riceve le cure antiretrovirali: cosa si può fare per l’altro 68%?

R. – Bisogna espandere l’accesso: questo è l’unico modo! Ci sono medicinali che si possono usare per tentare di fortificare il sistema immunitario, ma veramente hanno bisogno di queste combinazioni di medicinali antiretrovirali. Bisogna fare molto di più: bisogna diagnosticare ai bambini la loro malattia e poi mantenerli nel trattamento antiretrovirale.

D. – Quando si parla dei bambini malati di Aids, non si può non parlare delle mamme: cosa si sta facendo a livello mondiale ma anche come Caritas Internationalis, per sostenere le mamme, oltre che i bambini?

R. – Prima di tutto, Caritas Internationalis ha lanciato una campagna per diagnosticare e trattare le mamme e i bambini: abbiamo lanciato questa campagna nel 2009. Le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna simile, però dopo di noi. Noi attualmente collaboriamo molto con Unaids, per promuovere questo trattamento delle madri: perché quando a una donna si fa una diagnosi precoce, poi si inizia il trattamento e quindi c’è una possibilità molto minore di trasmettere il virus al bambino. In questo modo, siamo riusciti a fare molto per ridurre il numero dei bambini infetti, però ancora ci sono bambini malati e dobbiamo identificarli precocemente per iniziare il trattamento. L’Oms raccomanda che tutti i bambini infetti ricevano questi trattamenti. Ma esiste un grave problema: manca una scelta di medicinali per questi bambini, e poi non abbiamo i dosaggi e le formulazioni adatte per uso pediatrico. Abbiamo qualche medicinale, ma non basta. Dunque dobbiamo anche incoraggiare le case farmaceutiche a fare più ricerca e sviluppare altre opzioni per questi medicinali.

D. – A giugno ci sarà un incontro di alto livello alle Nazioni Unite, proprio sull’Aids. Cosa possono fare le organizzazioni di ispirazione religiosa cristiane, e non solo, come Caritas Internationalis?

R. – Questo è uno degli obiettivi di questa conferenza all'Ospedale Bambino Gesù: di scambiarci le nostre esperienze, di identificare i problemi e gli ostacoli per l’accesso a questi medicinali, ma anche di fare “advocacy” per spingere i governi e anche le industrie farmaceutiche a fare di più. E’ questo uno degli obiettivi di questa riunione di alto livello. Molte delle organizzazioni fondate sulla fede, come la Caritas Internationalis, hanno lo status per fare “advocacy” presso le Nazioni Unite; e noi saremo lì, durante la riunione a New York. Così potremo formulare delle proposte da portare ai governi in questa riunione. Ci sarà anche una dichiarazione politica durante questa riunione e i governi dovranno promettere di seguire questa dichiarazione. Dunque, potremo dopo fare i conti con i governi, per verificare se loro implementeranno queste raccomandazioni!

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Tratta esseri umani. Intervento di mons. Urbańczyk a Vienna

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La tratta degli esseri umanI, fenomeno attuale perché spesso interno a quello dei flussi migratori, è al centro della 16.ma conferenza dell’Alleanza contro il traffico degli esseri umani a Vienna, in cui è intervenuto anche mons. Janusz Urbańczyk, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Il presule ha posto in risalto soprattutto la situazione dei minori non accompagnati, le difficoltà del loro recupero e l’impegno della Chiesa cattolica. Il servizio di Roberta Barbi: 

Accattonaggio, furti, spaccio di sostanze stupefacenti e vendita di merci rubate fino allo sfruttamento sessuale, alla prostituzione e perfino all’espianto di organi. Sono questi gli orrori, talvolta uno dopo l’altro, che subiscono molti minori che, intraprendendo non accompagnati il proprio viaggio migratorio, cadono spesso vittima della tratta degli esseri umani. È questa la denuncia che mons. Janusz Urbańczyk, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha portato avanti ieri durante la 16.ma Conferenza sul tema del traffico di esseri umani, purtroppo sempre più attuale in un momento storico di flussi migratori così ingenti.

Chiesa cattolica in prima linea
E sono i minori in movimento le vittime prescelte dai trafficanti, perché i più esposti e per più tempo alla vulnerabilità, che spesso diventano oggetto di traumi tali da richiedere un tempo lunghissimo di recupero senza, peraltro, la certezza del successo. È un’analisi dura ma realistica quella del presule, che partendo dall’esperienza propria della Chiesa cattolica, da sempre in prima linea nel soccorrere e accompagnare le persone, anche minori, in difficoltà, sottolinea come queste abbiano bisogno di immediata identificazione e protezione per essere sottratte ai trafficanti. L’approccio ideale, dunque, è quello multidisciplinare, che da un lato offra assistenza e aiuto e dall’altro dia una reale possibilità di liberazione dallo sfruttamento.

Tratta, necessaria la cooperazione tra Paesi
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, ovviamente ci vuole una maggiore collaborazione tra i Paesi, partendo da un comune sforzo internazionale diretto alla prevenzione di tali, ha detto, “situazioni inumane e degradanti” e passando per un’armonizzazione delle norme esistenti in vista di una maggiore efficienza degli interventi.

Migrazioni volontarie e migrazioni forzate
Per una migliore analisi del fenomeno, mons. Urbańczyk propone di distinguere tra “migrazioni volontarie” e “migrazioni forzate”, spesso oggi confuse in un unico enorme flusso che unisce elementi di persecuzione a elementi di violenza, determinate quindi non solo da guerre e violazioni dei diritti umani, ma anche da illegalità e forme nuove di sfruttamento delle popolazioni, sia nei Paesi d’appartenenza che nei Paesi di transito. “La persona – afferma il presule citando Papa Francesco –  è sempre un fine e mai un mezzo. Questo principio, fondamentale e indelebile in tutte le circostanze, è sancito anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, perciò il fenomeno della tratta assume le fattezze di “un’intollerabile vergogna” e dovrebbe essere riconosciuto come “crimine contro l’umanità”.

Migrazioni, "eventi traumatici che rendono soli e vulnerabili"
Il presule continua mettendo l’accento su come le migrazioni siano sempre per i migranti “un evento traumatico che accentua difficoltà e debolezze”, considerando anche i lunghi tempi di attesa e la necessità di spostarsi attraverso territori diversi prima di arrivare a una destinazione sicura. Spesso, inoltre, per portare a termine il viaggio, i migranti sono costretti a commettere reati istigati dai trafficanti. Urge, quindi, trovare una soluzione per una migrazione che utilizzi canali regolari e controllati e farsi carico anche dei singoli vissuti, così da meglio comprendere i percorsi di sfruttamento e le modalità d’ingresso nel mondo criminale da parte delle vittime, per sconfiggere gli aguzzini. Già da tempo la Chiesa è attiva nella realizzazione di reti di protezione e corridoi umanitari che riducano il rischio di tratta in diversi territori, cioè proprio lì dove le migrazioni partono perché – come ha evidenziato Papa Francesco nel discorso all’Onu del 25 settembre dello scorso anno – tra i passi concreti e le misure immediate che si possono chiedere ai governanti del mondo, ci sono quelli di “preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica”, con le sue tristi conseguenze, appunto, di traffico degli esseri umani.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Vicinanza e solidarietà: il Papa chiede ai fedeli di pregare per l'imminente viaggio tra i profughi nell'isola greca di Lesbo.

"Prima che scoppi la tempesta": alla vigilia della visita di Francesco, intervista di Lucetta Scaraffia al vescovo Fragkiskos Papamanolis, presidente dell'episcopato ellenico.

Dottrina e fede cristiana: in prima pagina, un editoriale di Maurizio Gronchi sull'esortazione "Amoris laetitia" tra Newman e Paolo VI.

Il 3 maggio di cinquant'anni fa il millenario del battesimo della Polonia: l'omeIia di Paolo VI tenuta a San Pietro il 15 maggio 1966, gli articoli dell'ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, Piotr Nowina-Konopka, e del direttore dell'agenzia cattolica di informazione, Marcin Przeciszewski.

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Oggi in Primo Piano



Ripresa dei negoziati per la Siria, mentre si vota a Damasco

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In Siria le forze lealiste sono tornate all'attacco nei pressi di Aleppo nel tentativo di riconquistare una località strategica sulla strada che collega la città del nord di Damasco. Oggi, nelle regioni sotto il controllo governativo, si svolgono le elezioni legislative.  Nelle stesse ore, la ripresa dei negoziati a Ginevra. Secondo l’inviato dell’Onu, De Mistura, a questo punto si tratta di affrontare  concretamente il nodo cruciale della "transizione" politica a Damasco. Delle sfide del negoziato e del voto, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. – E’ sicuramente il nodo centrale, ma è anche sicuramente l’ostacolo più grande. Di che tipo di transizione politica parliamo? Dipende. Dipende, infatti, da quale punto di vista lo andiamo ad osservare. Gli Stati Uniti vorrebbero l’eliminazione politica del Presidente Assad; i russi e gli iraniani, sicuramente no. E’ per questo che, per esempio, Staffan de Mistura ha utilizzato un termine preciso: ha definito i colloqui di pace come “flessibili”. In questo momento, infatti, ci vuole una grande flessibilità, soprattutto dopo le vittorie sul terreno da parte dei russi e, quindi, dell’esercito di Assad.

D. – L’inviato Onu, de Mistura, ha fatto tappa a Teheran, alla vigilia di questa ripresa dei negoziati. Che dire?

R. – Il ruolo di Teheran è centrale, ma è un’aquila bicipite: c’è la testa iraniana e c’è la testa russa. Il ruolo dei due Paesi è assolutamente centrale: dall’esterno, l’Iran, come supporto politico al governo di Assad; all’interno, un appoggio e un intervento diretto militare da parte dei russi, nella riconquista di zone che fino a poco tempo fa erano nelle mani o del presunto Califfato oppure delle forze di opposizione. Non dimentichiamo il ruolo della grande vittoria, da un punto di vista propagandistico, per la conquista di Palmira e anche l’annuncio da parte del governo siriano di un possibile intervento per la riconquista di Aleppo.

D. – Dopo cinque anni di conflitto, le elezioni legislative. Davvero è possibile, nelle zone sotto controllo di Assad ovviamente, esprimersi per il popolo siriano?

R. – Le elezioni si tengono in un territorio che, in questo momento, è controllato di nuovo dal governo di Damasco, dal governo di Assad. Bisogna, però, considerare  alcune cose. Primo, fino a pochi anni fa, cioè fino al 2011, inizio della guerra civile, in queste zone si trovavano 24 milioni e mezzo di persone e, oggi come oggi, ce ne sono quasi otto milioni. Le ragioni sono facilmente intuibili: la fuga, la guerra, l’intervento dell’Is e così via. Quindi sono elezioni particolarmente delicate e difficili da interpretare. Sono elezioni in cui, per esempio – e questa cosa è stata voluta – non compare tantissimo il nome del presidente Assad, ma in quasi tutti i manifesti e la propaganda si parla di unità della Siria, di ruolo centrale della Siria. Questo non vuol dire che Assad abbia fatto un piccolo passo indietro o un grande passo indietro; questo vuol dire che, in questo momento, da un punto di vista propagandistico, è centrale sottolineare come stia “vincendo la Siria”: naturalmente, è la Siria del governo Assad.

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Brasile. Card. Scherer: corruzione di Stato, ma attenti al caos

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Si allontana la possibilità per la presidente del Brasile Dilma Rousseff di evitare l'impeachment. Un altro alleato, il Partito Progressista, ha annunciato che gran parte dei suoi deputati voteranno contro il capo di Stato, accusato di aver manipolato i conti pubblici per nascondere il crescente buco di bilancio. Il voto è previsto per venerdì. La vicenda è collegata allo scandalo delle tangenti relative alla Petrobras, la holding petrolifera brasiliana. La Rousseff ha denunciato un tentativo di golpe, accusando il suo vicepresidente Michel Temer di essere a capo della cospirazione. I vescovi brasiliani stanno affrontando la crisi istituzionale nella loro assemblea generale in corso ad Aparecida. Ascoltiamo il commento del cardinale arcivescovo di San Paolo Odilo Pedro Scherer, al microfono del nostro inviato Silvonei Protz

R. – In questo momento il Brasile vive una crisi politica ed istituzionale molto seria, oltre alla crisi economica e alla crisi sociale che persistono. Come vescovi seguiamo attentamente la situazione ed esprimeremo la nostra parola su questa crisi. Non vogliamo certo agire come un partito, ma vogliamo esprimere una parola di discernimento, una parola di orientamento per la gente che ci vorrà ascoltare e che attende una parola anche da parte dei vescovi; una parola che possa dare un po’ di sapore ad una discussione che si perde talvolta in molti radicalismi e che non presenta argomenti chiari. La nostra parola vuole essere una parola di pastori, ma anche di incoraggiamento affinché il Brasile, le istituzioni e i poteri della Repubblica, si rendano conto e si facciano carico delle proprie responsabilità in questo momento di crisi, cercando di aiutare il Paese a trovare soluzioni più adeguate al momento. Questa parola la esprimeremo attraverso una dichiarazione della Conferenza episcopale: la stiamo elaborando e fra poco sarà pronta e pubblicata.

D. – Una questione che sta portando molta gente in strada è il tema della corruzione, che si dice essere ormai quasi endemica…

R. – Sì, questo è un grande male! Direi che è un male quasi culturale, che viene da lontano: noi siamo un po’ accondiscendenti culturalmente nei riguardi della corruzione. E forse è proprio per questo che i fatti non sono stati indagati così a lungo e più a fondo. In questo momento c’è una indagine che sta arrivando a conclusioni e ad accertamenti veramente spaventosi riguardo proprio alla corruzione anche nelle alte sfere del governo, delle istituzioni, delle organizzazioni governative. Adesso si sta prendendo veramente coscienza della serietà e delle gravità del fenomeno della corruzione: una corruzione endemica, sistematica; quasi una corruzione di Stato. E questo genera molta rabbia fra la gente, ma anche la voglia di chiarezza e di giustizia. Il momento politico che viviamo rischia di inquinare un po’ la chiarezza delle indagini e di mischiare argomenti politici e argomenti di giustizia ordinaria, perché la corruzione è questione di giustizia ordinaria: non si tratta di giustizia politica. Bisogna fare chiarezza sulle questioni della corruzione, senz’altro! Speriamo che una volta che sarà passato questo momento di crisi politica, si vada avanti, si cambi veramente e si cerchi di cambiare questa pagina che certo non è bella nella nostra cultura e nella nostra società.

D. – Il parlamento brasiliano, nei prossimi giorni, potrebbe votare l’impeachment della presidente Dilma Rousseff. Come segue la Chiesa questo evento?

R. – Senz’altro seguiamo con attenzione. Non vogliamo prendere una posizione, ma ci affidiamo veramente alle istituzioni. Questo lo diremo anche nella nostra dichiarazione: le istituzioni della Repubblica e dello Stato devono funzionare in questo caso, altrimenti sarà veramente il caos. Non si può nemmeno suggerire che venga invocata un’altra soluzione, anche perché sarebbe quella di un colpo di Stato militare, di una dittatura, di una chiusura dei poteri democratici. Questo non si può neanche pensare! Quindi noi ci affidiamo alla serietà e al funzionamento dei poteri della Repubblica, in conformità con la legge e la costituzione nazionale.

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25 anni fa il ripristino delle strutture cattoliche in Russia

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Ricorrono oggi i 25 anni dal ripristino delle strutture cattoliche della Federazione russa, per volere di san Giovanni Paolo II. Era infatti il 13 aprile 1991 e dopo 70 anni di clandestinità la Chiesa cattolica in Russia trovò nuova vita. Intanto a seguito dello storico incontro all’Avana nel febbraio scorso tra il Papa e il Patriarca russo Kirill, nei giorni scorsi (6 e 7 aprile) una delegazione bilaterale dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca e della Chiesa ortodossa russa ha visitato il Libano e la Siria per promuovere iniziative, coordinare gli aiuti e sostenere i cristiani in difficoltà. Ne parla al microfono di Paolo Ondarza l’arcivescovo cattolico di Mosca, mons. Paolo Pezzi

D. – Abbiamo avuto la possibilità di visitare alcune chiese e anche di vedere le iniziative, soprattutto in Libano: abbiamo potuto visitare un campo di profughi siriani; abbiamo incontrato alcune famiglie; abbiamo visitato una mensa per i più poveri … In secondo luogo, c’è stato un incontro allargato a tutte le realtà cristiane presenti a Damasco, testimonianza di come hanno vissuto e vivono i cristiani la loro fede, il dramma di dovere lasciare le proprie case, le aspettative e i desideri di ritorno.

D. – C’è stata una vera e propria diaspora, una fuga dei cristiani, visto lo stato delle violenze …

R. – Certo! Anche perché in alcune città parliamo di distruzioni fino al 60, 70, 80 e anche 90% delle case.

D. – Che situazione avete trovato tra i cristiani ancora presenti?

R. – Grande apertura e accoglienza; un vivo desiderio di rimanere … Certo, abbiamo incontrato anche persone molto provate, ma senza avere perso la speranza; e una seconda cosa che a me personalmente ha molto colpito è stata l’assenza completa di qualsiasi forma di rancore verso coloro che hanno fatto del male ai cristiani.

D. – Quanto accaduto con questa delegazione bilaterale dell’arcidiocesi cattolica della Madre di Dio a Mosca e della Chiesa ortodossa russa, è una esemplificazione, un rendere concreto quel concetto di unità che si costruisce “camminando”, come il Papa ha detto al termine del colloquio con il Patriarca di Mosca, all’Avana?

R. – Proprio così, esattamente come lei ha detto, cioè pensare all’unità non come a qualcosa di statico o dottrinale, a tavolino, ma qualcosa “in cammino” e come testimonianza di una operosità – per grazia di Dio! – nei confronti di coloro che soffrono maggiormente.

D. – Oggi, 13 aprile, ricorrono i 25 anni dalla ricostituzione delle strutture ecclesiastiche cattoliche della Federazione russa, voluta – dopo 70 di clandestinità – nel 1991 da San Giovanni Paolo II …

R. – Siamo veramente pieni di gratitudine al Santo Papa Giovanni Paolo II, perché l’istituzione di queste strutture ecclesiastiche fu realmente la possibilità di iniziare anche un lavoro pastorale con i cattolici. Come ben sappiamo e come – tra l’altro – mi hanno commoventemente testimoniato i cristiani in Siria, là dove c’è il vescovo, c’è la Chiesa, c’è la possibilità di vivere il legame con Pietro, la possibilità di ritrovarsi, la possibilità di ricevere i sacramenti e di testimoniare la propria fede. Vorrei anche esprimere la mia gratitudine a tutti i sacerdoti all’estero, perché evidentemente la Chiesa cattolica non aveva, negli anni Novanta, in Russia, un proprio clero, che hanno dato la propria vita – letteralmente! – per far crescere nella fede le persone e le comunità cattoliche in Russia.

D. – Come sono cambiate le cose da allora, e che valore assume questo anniversario?

R. – Ci dice di essere sempre e innanzitutto grati a Dio per quello che ci viene dato; in secondo luogo, di non perdere mai la speranza, perché anche nelle situazioni più difficili c’è sempre una luce che ci permette di andare avanti. Ricordo una vecchietta in Siberia che, anni fa, all’inizio del mio ministero sacerdotale in Siberia – perché anche io ho partecipato a questa rinascita, negli anni Novanta – mi disse: “Guardi, padre, quando sono stata deportata ero una bambina di dieci anni, negli anni Trenta; e mia madre mi disse: ‘La chiesa – dove allora vivevano, nella Russia europea – che adesso è stata distrutta, tu non la vedrai più, e anche io non la vedrò più. Ma ricordati che un giorno tu rivedrai un sacerdote e rivedrai la possibilità che queste chiese rinascano’”. Lei me lo raccontava molto commossa, dicendo: “Vede, padre, dopo 45 anni, io sono testimone che quello che mi diceva mia madre è una cosa vera, e io  non ho mai perso la speranza, in questi anni”.

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Pombeni sul ddl Boschi: importante scegliere bene i senatori

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La riforma istituzionale approvata definitivamente ieri sera alla Camera, in assenza delle opposizioni, ridisegna il sistema parlamentare italiano superando il bicameralismo perfetto. Tra le maggiori novità, un Senato formato da soli 100 senatori, rappresentanti di regioni e Comuni, non più eletti direttamente dai cittadini e che avrà funzione per lo più consultiva. La riforma sarà ora sottoposta a referendum, probabilmente a ottobre. Secondo la presidente della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, il parlamento in questo caso ha lavorato per trovare la mediazione più alta per raggiungere l’obiettivo. E’ così? Adriana Masotti ha sentito il parere del politologo, Paolo Pombeni, direttore dell’Istituto storico Italo-Germanico di Trento: 

R. – Sì, io credo di sì. Perché se noi riguardiamo la storia dei tentativi di riforma costituzionale – la prima Commissione formale, in questa direzione, è stata la Commissione Bossi nel 1983, quindi qualche decennio fa – vediamo come tutte queste Commissioni alla fine si sono impaludate sul fatto che nessuno voleva andare a trovare un punto di mediazione. Anche in questo caso, le opposizioni non hanno cercato alcun mediazione, non hanno fatto alcuna proposta ragionevole e questo, purtroppo, ha lasciato modo alla maggioranza di rendere più ruvido il suo progetto di riforma e di arrivare a una riforma che sicuramente presenta molti punti di debolezza, ma che alla fine si è rivelata l’unica riforma possibile. Rimangono aperti i campi per migliorare singole debolezze: la scrittura di una buona legge elettorale regionale che contenga una normativa atta ad avere dei senatori all’altezza del compito. E poi su altri punti si potrà intervenire in seguito. Soprattutto, vedremo in seguito come questi organismi riusciranno a conquistarsi uno spazio e a funzionare.

D. – La riforma adesso sarà sottoposta al referendum. Certo, un referendum non facile…

R. – Di questo non c’è dubbio. Molti sostengono che sarebbe stato meglio fare più referendum e quindi un referendum sui singoli blocchi di articoli. Questo risultava, però, molto difficile.

D. – Obiettivo della riforma è la velocizzazione dell’approvazione delle leggi. L’iter adesso sarà: la Camera approva una legge, il Senato la esamina e suggerisce anche modifiche, ma la Camera potrà poi anche non tenerne conto. Quindi, qual è questo ruolo che si ritaglia il Senato?

R. – Guardi, questo è un ruolo fortemente politico. Perché, che cosa succede? La Camera fa la proposta, il Senato dice motivatamente: “Questa proposta è pessima”... Certo la Camera può dire: “No mi interessa, io la riapprovo così”… Ma lei si immagina cosa succederebbe di fronte all’opinione pubblica ovviamente qualora il Senato avanzasse serie critiche... Ci sono i giornali, c’è il dibattito pubblico nel Paese… L’idea che la Camera possa dire “non mi interessa” è un’idea del tutto astratta, a meno che il Senato non sia così debole da usare questo potere semplicemente per giochetti, pretesti: in questo caso, naturalmente la Camera sarà più che autorizzata a dire: “I vostri giochetti fateveli voi, a me non interessano”. Ma se questo potere viene usato in senso proprio, difficilissimamente potranno fare finta di niente. E’ nell’interesse di tutti accogliere critiche costruttive.

D. – Mi sembra che il presupposto sia, dunque, una classe dirigente matura, insomma consapevole…

R. – Assolutamente e questo è il vero problema. La chiave vera sarà chi va al Senato: se al Senato ci mandano – e adesso lo dico con una battuta – gli uscieri dei consigli regionali, il Senato sarà una entità senza alcun tipo di rilievo. Se invece ci mandano personaggi di statura, come sono molti presidenti delle regioni e molti consiglieri regionali, allora è chiaro che non tenere conto del peso politico di queste persone diventerà molto più difficile. Il vero problema – come giustamente diceva lei – è alzare la qualità della classe dirigente. Ora, questo innalzamento su un Senato più piccolo può anche essere più facile, ammesso che le forze politiche vogliano impegnarsi in questa direzione e ammesso soprattutto che la gente voglia questo tipo di risultato.

D. – Quindi, secondo lei, non ci deve dispiacere – da comuni cittadini – del fatto che adesso il Senato non sarà più eletto direttamente da noi?

R. – No. Io credo che il problema vero sia quello di avere una buona legge che costringa i Consigli regionali, nel loro sistema elettorale, ad avere dei criteri di scelta molto buoni, che mettano i cittadini di fronte a delle scelte. Se i cittadini possono decidere questo tipo di scelte, queste scelte diventano più pesanti perché più pesante è mandare due persone di alta qualità in un organo, che non mandarne 30 raccattate nelle fila dei professionisti della politica.

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Alleanza contro Povertà: il governo manca di visione complessiva

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L’Alleanza contro la Povertà chiede uno strumento universale di lotta all’esclusione sociale, perché quanto c’è nella Legge di stabilità è solo un primo abbozzo. Il cartello delle 35 Associazioni che compongono questo soggetto oggi a Roma ha incontrato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in vista di un provvedimento che riveda tutte le norme contro l’indigenza. Il servizio di Alessandro Guarasci

In Italia, i poveri sono più di 4 milioni, circa il 7% della popolazione, quasi la metà concentrata al Sud. Il governo nella Legge di stabilità ha previsto un fondo già da quest’anno, che nel 2017 arriverà a un miliardo e mezzo di euro. Questo si traduce in un sostegno al reddito di 320 euro al mese per le famiglie con minori, accompagnato da un piano di inclusione sociale, tutto da definire. Ora serve un disegno di legge per delineare meglio i criteri per l’assegno e stabilire come possono intervenire associazioni ed enti locali. Gianni Bottalico, portavoce dell’Alleanza contro la Povertà:

“C’è un po’ uno stallo. Quello che ci preoccupa in questo momento soprattutto è il fatto che ancora non intravediamo una visione complessiva; ogni tanto sentiamo qualche spot come: 'Ottanta euro ai pensionati'. Ma a noi sta a cuore capire il disegno complessivo e quindi partendo da chi è più in difficoltà. Il lavoro di quest’oggi è costruire insieme questa ‘vision’, anzitutto”.

Insomma, bisogna riordinare gli strumenti già esistenti, come la nuova "Social card" o l’assegno di disoccupazione. E poi, c’è la necessità di dare servizi prima di tutto formazione e lavoro, da parte degli enti locali. Francesco Marsico di Caritas italiana:

“Questo mix, risorse e presa in carico, è il futuro della lotta alla povertà nel nostro Paese. Credo che il governo abbia consapevolezza di questo, però nella misura in cui questo mix diventa terreno comune di lavoro sui territori e quindi cantiere aperto su questo. E' chiaro che i rischi di fallimento, o quantomeno le difficoltà, sono molto ampi”.

Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, afferma che la razionalizzazione degli interventi di contrasto alla povertà non includerà le pensioni di reversibilità ma neanche le integrazioni al minimo. Per Poletti, in questo disegno di riordino sarà essenziale il ruolo delle associazioni:

“Riuscire a far co-agire tutti questi soggetti non è cosa semplicissima, perché non lo abbiamo mai fatto. Quindi, oggi dobbiamo essere capaci di costruire un’idea di governance del progetto che veda questi soggetti protagonisti. Noi dobbiamo costruire insieme una progettazione, perché questa è una cosa che deve durare per sempre”.

Bisogna far presto però, perché l’Italia è l’unico Paese in Europa, assieme alla Grecia, a non avere uno strumento di lotta alla povertà.

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Fermo, esplode una bomba davanti la chiesa di don Vinicio Albanesi

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A Fermo, nelle Marche, la scorsa notte è esploso un ordigno di fronte al portone della chiesa di San Marco alla Paludi. Non ci sono stati feriti ma i danni al luogo sacro sono ingenti. Paura per i residenti svegliati nel cuore della notte dal boato. Si tratta del terzo attentato a una chiesa del Comune marchigiano nell’ultimo mese e mezzo. Sul filo che lega questi episodi, Daniele Gargagliano ha raccolto a caldo il commento di don Vinicio Albanesi, parroco della chiesa teatro dell’esplosione e presidente della Comunità di Capodarco: 

R. – A Fermo, accade che noi stiamo intervenendo, abbastanza in rete e anche con efficacia, su una serie di problemi che riguardano da una parte gli spazi degradati, come per l’appunto la zona dei Tre Archi che è molto problematica, e dall’altra l’accoglienza degli immigrati. Tutti e tre siamo impegnati nell’opera della Caritas. Gli elementi che uniscono il nostro stare insieme, in questa serie di attentati, è l’impegno che abbiamo nei confronti di chi sta male, di chi è straniero, di chi ha bisogno.

D. – Sono atti vandalici o c’è un obiettivo preciso nel colpire le attività sociali della diocesi?

R. – Sono atti più che vandalici. Sono segnali evidenti di avvertimento. Sono delle vere e proprie bombe, fatte non con livelli di esplosivo raffinato, perché è polvere da sparo. ma sono vere bombe. Un tipo di avvertimento preciso per far male. Finora non alle persone, ma abbastanza significativi.

D. – Questi tre casi hanno un comun denominatore: la diocesi…

R. – Sono tutti e tre uguali, fatti usando lo stesso metodo, diversi solo per intensità. Due sono stati compiuti presso l’abitazione di due preti e l’altro, il terzo, presso la parrocchia, perché io non abito in parrocchia… Quindi, sono mirati e chi li fa conosce dove abitiamo, cosa facciamo e come ci muoviamo. Quest’ultimo particolarmente rischioso, perché lo hanno fatto al fianco della parrocchia dove c’è un centro sociale: appena chiuso il centro sociale, dopo solo 10 minuti, è esplosa questa bomba…

D. – Lei era lì al momento del boato?

R. – No. Mi hanno chiamato subito dopo…

D. – Sono state persone della parrocchia che l’hanno contatta? Erano spaventate?

R. – Sì, sì. Poi è venuto il 112 e il Ris da Ascoli. Mi hanno detto che il botto è stato proprio forte, tanto forte da far uscire le persone dalle case…

D. – Per fortuna, non ci sono stati feriti…

R. – Non ci sono stati feriti, perché evidentemente non volevano che ci fossero… Però, sono avvertimenti mirati e coscienti.

D. – Lei lavora sul e per il territorio anche con minori e tossicodipendenti. Quali sono le problematiche che riscontrate maggiormente, soprattutto tra i giovani?

R. – Tra i giovani il livello è tutt’altro, perché è fatto di nulla, di sballo, di non orientamento... Forme che sono degradate, nel senso che le persone non hanno riferimenti, non hanno contenuti e obiettivi. Questo è il problema più grosso. L’altro aspetto è che molti ragazzini sono fuori di testa: o per motivi familiari o per motivi personali e il loro equilibrio in alcuni momenti salta.

D. – Perché la vostra attività dà talmente fastidio?

R. – A volte, quando qualcuno fa del bene può creare fastidio a chi opera nel male. E’ un disturbo. Perché se un ambiente viene risanato, viene accudito, viene accompagnato, è evidente che chi agisce nell’ombra dell’illegalità, nella prostituzione, nello spaccio e nelle ruberie viene disturbato: perché gli si sottrae terreno. Si bonifica un territorio.

D. – Lei ha parlato di legalità, ma forse anche il supporto che date ai disagiati e ai migranti potrebbe dar fastidio?

R. – Quella è una pista che potrebbe essere di tipo ideologico. Però, il nostro territorio non ha manifestato mai forme anarchiche, anticlericali degne di questo nome, almeno a livello di aggregazioni. Sì, è sempre una pista possibile, ma sarebbe debole… Da come si vedono le scene, c’è una evidente impronta di uno stile mafioso, di uno stile malavitos:; se non di mafia ad alto rango, certamente malavitoso.

D. – Quanto è importante il compito che la Comunità di Capodarco ricopre ormai da quasi 50 anni sul territorio fermano per l’accoglienza delle persone disagiate?

R. – Abbiamo sempre seguito la linea di rispondere a chi avesse dei bisogni: fossero disabili, giovani, ragazzi stranieri, malati psichiatrici. Questa capacità di organizzarci per dare risposte, senza fare gli eroi ma dando delle occasioni concrete di vita attraverso le quali le persone potessero star meglio. E’ una azione che sembra difficile, ma che in realtà ridona senso e felicità alle persone.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Vescovi caldei: sacerdoti non favoriscano esodo dei cristiani

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La Chiesa in quanto tale, e in particolare i sacerdoti, non devono in alcun modo essere coinvolti direttamente in operazioni e programmi che pianificano e organizzano l'esodo dei cristiani iracheni verso Paesi stranieri, e chiunque continua a ignorare tale richiamo si assumerà la responsabilità delle sue scelte anche davanti all'autorità patriarcale. Così il Patriarcato di Babilonia dei caldei ha messo in guardia gli operatori pastorali, e in particolar modo il clero patriarcale, dal coinvolgersi direttamente e in forma operativa nell'organizzazione dell'espatrio dei cristiani iracheni che continuano ad abbandonare il proprio Paese, seguendo le rotte migratorie che dal Medio Oriente conducono anche all'Europa e all'America.

I vescovi caldei condannano chi coltiva interessi intorno ai flussi migratori
La questione delicata - riferisce l'agenzia Fides - è stata discussa dai vescovi caldei in una recente riunione, svoltasi a Erbil, sotto la presidenza del Patriarca Luis Raphael I. Durante il loro confronto – così si legge nel comunicato finale dell'incontro - i membri dell'episcopato caldeo hanno anche denunciato le operazioni ambigue messe in atto da individui e gruppi non direttamente collegati con la Chiesa, che pure cercano di sfruttare la drammatica condizione vissuta da molti rifugiati cristiani per perseguire “interessi economici, politici e mediatici”. Nel rispetto delle libere scelte di chi tenta di espatriare per assicurare un futuro più sereno alla propria famiglia, i vescovi iracheni mettono in guardia i cristiani dai pericoli che spesso incombono su fenomeni migratori gestiti illegalmente da trafficanti e organizzazioni senza scrupoli.

A rischio sfruttamento le popolazioni cristiane fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive 
​Potenziali vittime delle manovre di chi coltiva interessi intorno ai flussi migratori dei cristiani iracheni sono soprattutto le popolazioni cristiane fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive con l'arrivo dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh), che adesso vivono in condizioni precarie a Erbil e in altre aree del Kurdistan iracheno. Nel comunicato, pervenuto alla Fides, i vescovi caldei ribadiscono che la liberazione delle regioni irachene occupate dai jihadisti del Daesh non può essere ovviamente responsabilità della Chiesa, ma non è nemmeno nelle sole mani delle forze politiche locali o del governo di Baghdad, e potrà essere favorita solo con il coinvolgimento delle potenze regionali e globali. (G.V.)

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Cile: non si fermano gli incendi di chiese

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Un’altra cappella cattolica è stata incendiata all’alba di ieri nella regione di Antiquina, nel comune di Cañete, regione di Biobio (Cile). Secondo le informazioni della polizia, l'incendio doloso ha distrutto completamente la struttura, che dipendeva dalla parrocchia “Nostra Signora del Carmen”. Come nei precedenti incendi di luoghi di culto, anche qui è stata trovata una tela con delle scritte che accusano la Chiesa cattolica di essere complice dello Stato contro il popolo mapuche.

Seminario maggiore San Fidel occupato da membri della comunità mapuche
Il 2 marzo scorso - riporta l'agenzia Fides da una fonte locale -  era stato sgomberato il Seminario maggiore San Fidel, appartenente alla diocesi di Villarrica, che era stato occupato dai membri di un gruppo attivista della comunità mapuche Trapilhue, la quale rivendica la proprietà del terreno su cui sorge il Seminario. Il leader di questo gruppo ha affermato: "la Chiesa ha dimostrato di essere un membro in più dello Stato, e non ci sarà pace fino a quando la Chiesa non sarà espulsa dal territorio mapuche". Sono quindi iniziati i roghi delle chiese nella zona. All'inizio di aprile è stata incendiata anche la chiesa evangelica dell'Unione cristiana ad Ercilla, e sono stati trovati degli opuscoli con la scritta: "Tutte le chiese saranno bruciate".

Gli attacchi non colpiscono solo le chiese ma anche le comunità locali
​Il vescovo di Temuco, mons. Hector Eduardo Vargas, in un'intervista ad un giornale locale, ha spiegato che "le chiese bruciate si trovano nelle comunità mapuche, dobbiamo pensare che queste chiese sono state costruite da loro stessi. I mapuche, come ad esempio il gruppo dei ‘loncos’, sono i primi animatori delle comunità: guidano il catechismo, sono missionari laici, hanno perfino seminaristi. Le persone ora sono spaventate. Questi attacchi colpiscono non solo la Chiesa, ma le stesse comunità del posto". "Il popolo mapuche è profondamente religioso” sottolinea il vescovo, "e la soluzione definitiva parte dal dialogo". (C.E.)

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Vescovi Bolivia: il narcotraffico minaccia la convivenza

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La Conferenza episcopale della Bolivia (Ceb) ha ribadito la gravità del problema del traffico di droga, che "minaccia la convivenza pacifica e democratica del Paese". Lo ha fatto ieri, in un comunicato diffuso al termine della sua Assemblea tenutasi a Cochabamba. I vescovi hanno ripreso il contenuto della Lettera pastorale pubblicata pochi giorni fa, in cui avevano lanciato l’allarme perché il narcotraffico è ormai arrivato ad alcune strutture statali, messaggio che ha provocato la reazione del Presidente Evo Morales.

La Chiesa chiede passi più decisi contro il narcotraffico
Nel comunicato di ieri i vescovi riconoscono gli sforzi e le iniziative del governo nella lotta al traffico di droga, in atto da diversi anni, ma sottolineano che "bisogna fare passi più decisi da parte di tutti". Ribadiscono che il loro messaggio è una riflessione pastorale e un appello per un dialogo sincero nella società, al fine di riconoscere "la portata e la gravità del problema che minaccia la convivenza pacifica e democratica del paese".

Dal narcotraffico derivano tutti i mali della società
​"Infatti, il traffico di droga, oltre a causare la tossicodipendenza, porta la violenza, la corruzione, la menzogna, l'ingiustizia e la morte" si legge nel comunicato. I vescovi chiedono inoltre di non avere paura di "questa triste realtà", né di essere passivi o rassegnati "a confrontarsi con queste verità scomode associate a tale problema." Dinanzi alla richiesta del governo ai vescovi di segnalare i casi delle autorità coinvolte, i vescovi ricordano il caso di due ex capi dell’anti-droga boliviana, detenuti uno negli Usa e un altro in Bolivia. (C.E.)

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Vescovi argentini aderiscono a Settimana dei popoli indigeni

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Profonda solidarietà e vicinanza con tutte le comunità dei popoli indigeni dell’Argentina: ad esprimerla, in una nota, è la Commissione episcopale per la Pastorale aborigena, in vista della Settimana dei popoli originari che si terrà nel Paese dal 19 al 25 aprile. “Recentemente – scrive mons. Angelo Macín, vescovo di Reconquista e presidente della Commissione – Papa Francesco, con grande umiltà, si è scusato con i popoli indigeni del Chiapas, in Messico, per l’esclusione sistematica e strutturale che hanno subito da parte della società”.

Indigeni esclusi dalla società: le scuse della Chiesa per il suo silenzio
Una situazione che si è verificata anche in Argentina, afferma mons. Macín: “Riconosciamo il nostro silenzio e la nostra complicità in questo processo storico e chiediamo perdono per la nostra mancanza di testimonianza evangelica”. Al contempo, il presule ricorda “la presenza e l’opera di molti cristiani e di tanti uomini e donne di buona volontà che, con la loro vita, in modo nascosto, hanno dato e continuano a dare pieno riconoscimento ai diritti dei popoli indigeni”. Quindi, rivolgendosi alle popolazioni indigene, il vescovo di Reconquista scrive: “Vogliamo accompagnarvi ed esservi vicini, ma sempre nel rispetto del vostro diritto all’autodeterminazione ed all’autogestione delle risorse”.

L’importanza della salvaguardia del Creato
“Abbiamo anche bisogno – aggiunge il presule – di imparare da voi la cura dell’ambiente, della nostra casa comune, in un’ottica di dialogo interculturale e rispettoso”. Infine, mons. Macín esprime l’auspicio che la Settimana dei popoli originari, “tematica sensibile”, “aiuti tutti a comprendere in modo più chiaro e ad accrescere la consapevolezza sulla responsabilità che si hanno verso tutta la popolazioni aborigene del Paese, suscitando un atteggiamento proattivo radicato nella fede in Cristo, volto della misericordia di Dio Padre”.

L’autodeterminazione dei popoli aborigeni
​Intitolata “Autodeterminazione: il diritto di essere e di avere”, la Settimana dei popoli originari si pone l’obiettivo di rivendicare la cultura ed i diritti di tale popoli. Le date scelte per lo svolgimento dell’iniziativa non sono casuali: il 19 aprile 1940, infatti, a Patzcuaro, in Messico, aveva inizio il primo Congresso indigeno interamericano, allo scopo di salvaguardare e perpetuare le culture aborigene di tutto il continente. (I.P.)

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Congo. Morto don Kinalegu: stava accanto alle vittime dell’Lra

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È morto a soli 53 anni don Benoît Kinalegu, il sacerdote cattolico congolese che aveva lanciato l’allarme sulle violenze commesse dall’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. In particolare - riferisce l'agenzia Fides - era stato don Kinalegu a denunciare per primo la strage commessa dal gruppo di origine ugandese nel Natale del 2008, con l’uccisione di più di 800 persone nella regione di Haut-Uélé.

Chi lo conosceva era colpito dal suo coraggio
“Quando sono arrivata con una collega a Dungu per verificare se le informazione che ci erano pervenute fossero vere, ci è stato detto che la persona che dovevamo assolutamente incontrare era don Benoît” ricorda in una nota pervenuta all’agenzia Fides, Ida Sawyer di Human Rights Watch (Hrw). “Fin dal primo incontro siamo rimaste colpite dal suo coraggio” prosegue l’operatrice dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani. 

Assicurava alle vittime dell'Lra che il loro dramma non sarebbe stato dimenticato
“Ha accettato di aiutarci a scoprire quello che era accaduto e ci ha accompagnato in moto fino a luoghi remoti dove erano avvenuti i massacri. La sua empatia con le vittime, molte delle quali avevano visto i loro cari massacrati a colpi di machete, è stata istantanea. Era dolce, confortante e solidale. Le trattava con rispetto, prodigandosi in incoraggiamenti e assicurando che il loro dramma non sarebbe stato dimenticato”. Una promessa che don Benoît ha mantenuto, fino al punto che il governo americano ha inviato un corpo di forze speciali nella Rdc, in Sud Sudan e nella Repubblica Centrafrica (i tre Paesi maggiormente colpiti dalle incursione dell’Lra), per dare la caccia ai guerriglieri guidata di Joseph Kony.

Un Centro per il recupero di bambini rapiti e costretti alla schiavitù dall'Lra
Don Benoît ha inoltre creato un Centro a Dungu per i bambini che erano stati rapiti dall’Lra e costretti a diventare combattenti e schiavi sessuali. “Li ha aiutati a riprendersi, a ricostruire le loro vite e reintegrarsi nelle loro comunità. Il suo sorriso caldo e la sua natura ottimistica li hanno aiutati nel loro lungo percorso di recupero. Per molte vittime dell’Lra e per le loro famiglie, è stato un punto di forza nelle ore più buie” conclude Ida Sawyer.

Aveva ricevuto un premio per il suo impegno umanitario
​Don Benoît Kinalegu è morto l’8 aprile per problemi renali e circolatori. Era direttore della Commissione “Giustizia e Pace” della diocesi di Dungu-Doruma. Nel 2012 gli era stato conferito da Hrw il premio Alison Des Forges per il suo impegno umanitario. (L.M.)

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Vescovi Filippine: accogliere famiglie in difficoltà con misericordia

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I vescovi filippini pubblicheranno al più presto le linee guida sull’esortazione apostolica “Amoris laetitia”, ma intanto invitano tutte le comunità ecclesiali ad accogliere fin da ora le famiglie in difficoltà, con quello spirito di misericordia che è il cuore del documento post-sinodale, perché – affermano - “l’apertura dei del cuore e dello spirito non ha bisogno di leggi e non aspetta indicazioni”.

Non lasciarsi sedurre dalle forzature dei media sull’esortazione
“Quando i nostri fratelli e sorelle, a causa di relazioni, famiglie e vite spezzate,    esitano ad entrare nelle nostre chiese e nelle nostre vite non sapendo se saranno bene accolti, andiamo loro incontro a braccia aperte”, scrivono i presuli in una lettera pastorale diffusa il 10 aprile.  Allo stesso tempo, essi ammoniscono i fedeli a non lasciarsi sedurre dalle forzature dei media secolari che tendono a puntare l’attenzione solo sulle “situazioni difficili”, come quella dei divorziati o delle unioni irregolari, dando l’impressione che Papa Francesco abbia modificato la dottrina.

Nessuna modifica della dottrina cattolica sulla famiglia nell’Amoris laetitia
“Deve essere chiaro – sottolinea la lettera firmata da mons Socrates Villegas,  presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp) - che il Santo Padre non si allontana assolutamente dall’insegnamento della Chiesa contenuto nei credi, nei documenti conciliari e nel Catechismo della Chiesa cattolica”, anche se “l’esortazione apostolica è comprensibilmente scritta nella consapevolezza delle tante sfide, difficoltà e minacce alle famiglie e dei diversi motivi per cui a volte, purtroppo, le famiglie si disgregano”.

Trasformare le famiglie in luoghi di misericordia
Essa è in questo senso una sfida ai pastori e alle loro comunità a lavorare “per la trasformazione delle famiglie in luoghi di misericordia”.  Una sfida – sottolineano i vescovi filippini – che interpella tutti, il clero come i fedeli: “Le stesse famiglie, nessuno escluso, dovrebbero diventare agenti di trasformazione e di una nuova evangelizzazione per la chiesa domestica”. “Quando le famiglie falliscono – concludono - dobbiamo tutti batterci il petto, perché ogni comunità cattolica, ogni parrocchia, ogni diocesi ha un ruolo per sostenere la coesione, l’amore e la perseveranza di una famiglia”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Nord Irlanda: incontro vescovi-leader politici su lotta alla povertà

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La lotta alla povertà e l’impegno della Chiesa nel sostegno ai più vulnerabili sono stati i temi principali di due incontri distinti avuti dall’arcivescovo di Armagh, mons. Eamon Martin, con i rappresentanti del Partito unionista democratico e con i membri dello Sinn Féin. Ad accompagnare il presule, una delegazione del Niccosa, il Consiglio cattolico nord-irlandese per gli affari sociali, che opera all’interno del Consiglio episcopale Giustizia e pace.

Lotta alla povertà sia priorità del governo
“Chiediamo a tutte le parti politiche – ha riferito il Primate d’Irlanda – di fare della lotta alla povertà infantile una priorità del programma di governo”. Quindi, il presule ha evidenziato che “è stato incoraggiante vedere che entrambe le parti riconoscono il contributo vitale delle Chiese e dei gruppi religiosi all’offerta di servizi in favore dei più vulnerabili della società”. Di qui, il richiamo alla “necessità di rispettare il diritto di tali gruppi religiosi a fornire i loro servizi in accordo con i propri valori etici e religiosi”.

Tutelare la vita dal concepimento alla morte naturale
Altro tema al centro dei due incontri è stato quello della difesa della vita: “Abbiamo ribadito ad entrambe le parti – ha spiegato Nicola Brady, membro del Niccosa – l’importanza di supportare in modo consistente la cultura della vita, a partire dalla tutela del nascituro ed includendo chi ha condizioni di vita limitate”. In quest’ottica, è stata incoraggiata la costruzione di un hospice perinatale in Irlanda del Nord che possa offrire “le migliori cure possibili alle madri ed ai nascituri, in caso di gravidanze difficili”. “Il miglior futuro possibile per l’umanità – ha aggiunto Brady – risiede nella costruzione di una cultura della vita in cui la dignità di una persona viene rispettata sempre e non sminuita e distrutta”.

Promuovere inclusione e rispetto per la diversità
​Dal suo canto, mons. Dónal McKeown, presidente della Commissione nord-irlandese per l’educazione cattolica, ha sottolineato l’importanza di tutelare il diritto dei genitori a scegliere un’educazione religiosa per i loro figli, nell’ottica di “lavorare ad una società riconciliata, promuovendo l’inclusione ed il rispetto per la diversità”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 104

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.